Mio figlio, ecco il guaio

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MIO FIGLIO, ECCO IL GUAIO

Commedia in tre atti

di LUIGI ANTONELLI

PERSONAGGI

SANTORO padre

BARBERINA

IL CONTE

SANTORO figlio

PAOLINA

ROSALIA

LA MADRE DI PAOLINA

IL DIRETTORE D’ALBERGO

IL SIGNORE DEL SOPRABITO

LA CAMERIERA DEL 1 PIANO

1° CAMERIERE

2° CAMERIERE

3° CAMERIERE

4° CAMERIERE

5° CAMERIERE

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Pianterreno di un grande alber­go. A sinistra l'uf­ficio di contabilità, coi suoi vetri opachi e il parapetto di legno. Questo ufficio è momentaneamente deserto. A destra sono disposti i mobili che servono da spogliatoio. Pellicce e soprabiti appesi. Cappelli, bastoni, ombrelli. C'è anche un paravento, dietro cui si nasconde qualcuno.

Il direttore, seduto sul davanti della scena di fronte al paravento. Quando si apre il ve­lario si capisce ch'egli è in animata conversa­zione con la persona che si nasconde dietro il paravento. S'indovina una donna e, meglio an­cora, una bella donna seminuda.

Il direttore è molto preoccupato. Ogni tanto ha l'aria di tergersi il sudore. Si alza, si rimette a sedere, mette in movimento campanelli elet­trici di tutti i toni. Accorrono i camerieri. Al­lora egli, come se volesse impedire alla persona che sta dietro al paravento di muoversi, alza il braccio e grida:

Il direttore                     - Un momento! State ferma! (Si precipitano il primo, secondo e terzo cameriere. Al primo cameriere) Cercate, se qualcuno ha bisogno di prendere il proprio soprabito, di non farlo entrare qui e di servirlo voi stessi. (Al secondo cameriere) Informatevi se il n. 31 è ancora in camera. (Al terzo cameriere) Infor­matevi dal portiere chi era stanotte al 26, se questo 26 è partito e per dove. (Man mano che i camerieri ricevono gli ordini, vanno via di corsa. Parlando alla persona del paravento) Ma non si ricorda da che camera è venuto fuori?

Voce                             - (acuta di dietro il paravento) No!

Il direttore                     - (tocca il bottone di un altro campanello) Non gridate! Non vi ricordate se era al primo piano, al secondo, al terzo...?

La voce                         - Al primo!

Il direttore                     - (suona un altro campanello) Oh! Al primo. Cominciamo a capire qualche cosa. E che cosa dichiarate di aver smarrito?

La voce                         - Tutto.

Il direttore                     - (prende appunti) Tutto. Abiti?

La voce                         - Abiti. Gioielli.

Il direttore                     - Gioielli.

La voce                         - Due valige. Due cappelliere.

Il direttore                     - Due valigie, due cappelliere.

La voce                         - Un baule!

Il direttore                     - Un baule. E tutto è scom­parso?

La voce                         - (di pianto) Tutto!

(Arriva la cameriera del primo piano).

Il direttore                     - Avete visto una signora in camicia uscire da una stanza e precipitarsi dal­le scale?

La cameriera                 - Sì, signore. Dalla camera n. 26.

Il direttore                     - Oh! Sia lodato Iddio! Dalla camera 26. (Arriva il terzo cameriere). Ebbene?

Terzo cameriere             - Il 26 era occupato dal commendator Santoro.

Il direttore                     - (stupefatto) Padre o figlio?

Terzo cameriere             - Padre. Ho detto dal commendatore. Il figlio è nella camera comu­nicante col 26, ed è chiusa. Il giovanotto dorme fino a tardi, come lei sa.

Il direttore                     - E il commendator Santoro?

Terzo cameriere             - Partito, mezz'ora fa, col nostro autobus.

Il direttore                     - Ma come si fa a sospettare di lui... Veramente è la prima volta che lo ve­diamo al nostro albergo. Ma un commenda­tore... Aveva con sé valigie?

Secondo cameriere        - (entra in fretta, prende un soprabito, aiuta un signore a indossarlo, gli porge il cappello. Via. Questo particolare va ripetuto una sola volta più tardi, ad libitum del regista).

Terzo cameriere             - Tre grosse valigie. Due cappelliere.

Il direttore                     - Due cappelliere! (Si vedono due braccia alzarsi oltre il paravento e la voce della donna gridare: ce È lui! È lui! Il mio baule!»). Stia buona, signorina, non gridi. (Al cameriere) Col treno di Milano? Voi dite che doveva partire per Milano.

Terzo cameriere             - Sissignore.

Il direttore                     - Il treno non è partito. (Si pre­cipita al telefono. Consulta un orario, guarda 'l'orologio). Pronto? Stazione? Servizio di po­lizia. Allora mi dia il capostazione.

Il sotto­capostazione      - (Al cameriere) Prima classe?

Terzo cameriere             - Sissignore.

Il direttore                     - Pronto. Scusi se la disturbo, ma è una cosa grave, delicata e urgente. Parla col direttore dell'cc Albergo del Golfo»... Sì... In una vettura di prima classe sta per partire, diretto a Milano, il commendator Giovanni Santoro. È un signore di una certa età, faccia rasata da attore, sopracciglia folte. Bisogna trarlo in arresto o per lo meno fermarlo... Eh? Ci vuole la denunzia regolare? Ma trovi un mezzo, incarichi qualcuno del servizio di, po­lizia. Pare che abbia rubato vestiti, gioielli, un baule di roba a una signora nostra cliente... Eh, sì, trovi lei un mezzo prima che parta il treno... Com'era vestito? (Lo chiede al terzo cameriere). Di grigio. Sì, grazie. Mi son dimen­ticato di dirgli che porta con sé due cappel­liere... (La Voce emette un gemito). Stia buo­na, signorina. (Al terzo cameriere) Appena ar­riva fatelo entrare qui. (Terzo cameriere via).

La voce                         - Posso un momento uscire da que­sto paravento? Infine, ho la camicia!

Il direttore                     - Faccia come crede... (Vedendo arrivare la moglie) Un momento! Non si muova!

La voce                         - Perché?

Rosalia                          - (bella signora giovane, abbigliata per uscire, chiede al direttore) Con chi stavi parlando?

Il direttore                     - Io?

Rosalia                          - Parlavi. Non parlavi?

Il direttore                     - Io parlavo? Lasciami stare. Sto sbrigando un brutto affare.

Rosalia                          - Vediamo questo brutto affare... (Va a guardare dietro il paravento e getta un altissimo grido. Subito accorrono vari camerie­ri. Il direttore con un gesto li manda via. In­tanto cerca di calmare la moglie). Ah! È così? Tu nascondi le donne in camicia dietro il paravento? E poi dici che è un brutto affare.

li, direttore                    - Io?!

Rosalia                          - Spiegati! Perché quella donna è lì?

Il direttore                     - Se lo sapessi! Non ti posso spiegare niente. Non so ancora niente. Ripassa più tardi e ti potrò dire qualche cosa!

Rosalia                          - Ah, sì? Ti burli di me? Tu na­scondi le tue sgualdrine...

Il direttore                     - (vivamente) Rosalia! Come si fa a dare della sgualdrina a una signora che non conosci?

Rosalia                          - È in camicia!

Il direttore                     - Quando tu sei al mare non hai neanche quella.

Rosalia                          - Ma non mi metto dietro i para­venti.

Il direttore                     - Lo vedi? È già molto, è già molto essere dietro un paravento!

Barberina                      - (si parte risolutamente dal para­vento. Va a togliere dall'attaccapanni il primo soprabito da uomo che le capita davanti, se lo infila e si pianta risolutamente dinanzi alla si­gnora del direttore) Da che deduce che io sono una sgualdrina?

Rosalia                          - (con lieta meraviglia) La signora Cora!

Barberina                      - Rosalia Santini! (Si abbrac­ciano).

Rosalia                          - (al marito stupefatto) Ci siamo conosciute ad Abbazia... Ma che ti succede?

Barberina                      - Niente. Mi hanno rubato ve­stiti, gioielli, tutto. Mi hanno lasciata come tu mi vedi. Tuo marito sta facendo un'inchiesta...

Rosalia                          - (presentando) La signora Cora. Mio marito.

Barberina                      - Molto lieta...

Il direttore                     - (baciandole la mano) Oh! Cominciamo a raccappezzare qualche cosa.

Barberina                      - Aspettiamo un signore che è stato arrestato alla stazione.

Rosalia                          - Un signore arrestato...

Barberina                      - Sì, una storia complicata. Il si­gnore della stanza 26. (Al direttore) Ma questa stanza 26 era mia? O del signore? Ci deve es­sere stata confusione. Ieri sera mi hanno fatto bere tanto champagne!

Rosalia                          - Al solito.

Barberina                      - Eh, sì! Ti ricordi quella sera ad Abbazia?

Rosalia                          - (ride) Ma non raccontare queste cose dinanzi a mio marito. Chi sa che cosa cre­derà che abbiamo fatto!

Barberina                      - No. Ho detto: ricordi quella sera? Non ho detto niente.

Rosalia                          - (guarda l'orologio) Senti. Io ti auguro di ritrovare tutto quello che credi di aver perduto.

Barberina                      - Speriamo.

Rosalia                          - In ogni caso metto a tua disposi­zione il mio guardaroba, quel che ti può ser­vire per andar fuori a fare acquisti.

Barberina                      - Non ho soldi. Non ho niente. Anche gli anelli che ho posato sulla toletta del­la camera da bagno... La collana...

Rosalia                          - Non importa. Non ti disperare. Sarai mia ospite. Ti presterò quel che occorre.

Barberina                      - (l’abbraccia) Grazie! Grazie! Ora, se devi andare, va' pure, non fare com­plimenti.

Rosalia                          - Devo arrivare di corsa vicino alla stazione. Una commissione urgente. Spero al mio ritorno di trovarti più calma. A rivederci. A rivederci, Max! (Via).

Primo cameriere            - È arrivato il commendator Santoro, con due agenti in borghese.

Il direttore                     - Che entri subito. Pregate gli agenti di rimanere nell'atrio.

Primo cameriere            - Sta bene. (Via).

Barberina                      - (si siede sopra una sedia, sempre avvolta nel soprabito).

Santoro                         - (entra tutto indignato) Ma è una cosa indegna! Una soperchieria! Dov'è il diret­tore? Mi meraviglio di lei che fa fermare un galantuomo che sta per partire pei suoi affari... Io la citerò per danni! Lei è responsabile del tempo che mi fa perdere, dei miei affari che andranno a monte, del disagio a cui mi ha ob­bligato e della figura che mi ha fatto fare... C'era un amico, sul treno, che ho incontrato per caso e che ha assistito alla scena, il quale mi ha chiesto se avevo assassinato qualcuno... Ho risposto: «Forse! Avrò assassinato? ». Dov'è la vittima? (Barberina si alza. Un po' il sopra­bito si sbottona. Santoro ha, un piccolo sussulto; guarda ogni tanto la signora e smorza a tratti la sua ira). E chi sa cosa il mio amico avrà pen­sato di me. E dire che qui all'albergo c'è mio figlio, c'è la sua fidanzata, c'è la madre della fidanzata... Se avevate bisogno di schiarimenti, notizie... potevate aspettare che si svegliasse tutta questa gente... No? E lei è la vittima? Non dico di no che lei possa aver avuto delle noie... lo deploro, ma io che c'entro? (Guardandola) Se volete c'entrerò, sono disposto a tutto, ma di che si tratta?

Il direttore                     - Guardi, commendatore.

Santoro                         - Lasci il commendatore. Mi chiami Santoro. State per mandarmi in galera. Non voglio complimenti.

Barberina                      - Insomma, i miei vestiti? I miei gioielli? I miei bauli? Sapete che sono nuda?

Santoro                         - (ammirato) Oh!

Barberina                      - Sotto questo soprabito, che ap­partiene a un signore qualunque, che io ho preso da quell'attaccapanni, io sono nuda, ca­pite?

Santoro                         - È una bellissima cosa, ma che ci devo far io? Vi ho forse spogliata io? Ma vo­lesse il cielo vi avessi spogliata, che a un certo punto vi avrei pregata di rivestirvi, oppure no... Vi avrei pregata di non farlo troppo in fretta. In ogni caso non me ne sarei andato alla sta­zione...

Barberina                      - Avete portato via anche le mie cappelliere!

Santoro                         - Giusto cielo, le cappelliere di mio figlio, o meglio due cappelliere della fidanzata di mio figlio che ho depositato alla stazione, insieme con le valigie! Tullio mi dice - Tullio è mio figlio - «Papà, porta queste due cap­pelliere a casa, che sono di più. A noi ce ne basta una. Le ritroveremo a casa dopo il nostro viaggio di nozze». Tra le altre cose mi vergo­gnavo a farmi vedere in giro con due cappel­liere senza che vicino a me ci fosse l'ombra di una donna. Per fortuna una signora è entrata nello scompartimento e a lei mentalmente ho ceduto le cappelliere.

Barberina                      - Insomma siete uscito dalla mia stanza, dal n. 26.

Santoro                         - Prego, il n. 26 era la mia stanza. Sono due stanze comunicanti: in una dorme mio figlio... Oh scommetto che dorme ancora. Tra le nostre due stanze c'è il bagno. Dunque, nessuna possibilità di errore.

Il direttore                     - E tuttavia la signora è stata vista uscire tutta disperata dalla sua stanza!

Santoro                         - Ah! Ma allora tutto si spiega! Lei è la signora che è venuta a dormire nel mio letto?

Il direttore                     - Dica piano, per favore!

Santoro                         - (abbassando la voce) Lei è la si­gnora che è venuta a dormire nel mio letto?

Barberina                      - (indignata) Signore!

Il direttore                     - La signora è amica di mia moglie. Sappiamo chi è. La richiamo al rispetto.

Santoro                         - Un momento! Non c'è nulla, in quello che ho detto e che sto per dire, di poco rispettoso per la signora. Se voi stesso dite che è uscita dalla mia stanza...

Il direttore                     - Sì!

Santoro                         - Se voi stesso dite che nella stanza c'ero anch'io... Perché era la mia...

 Il direttore                    - Sì!

Santoro                         - Bisogna convenire che prima di uscire per andare alla stazione e prima di usci­re lei per andare non so dove...

Il direttore                     - Per scendere qui.

Santoro                         - Oh! C'è stato un lasso di tempo... si può dire lasso. C'è stato un lasso di tempo in cui siamo stati nella stessa stanza tutti e due. Oh! Qui infatti è avvenuto qualcosa d'insolito...

Il direttore                     - Oh! Dica, dica! Ma lei aveva tutte quelle cose da dire e ha dichiarato di non saper niente. Che cosa è avvenuto d'inso­lito?

Santoro                         - Un'ora prima di partire... Com'è mio costume, perché io sono mattiniero, ho cominciato ad alzarmi e sono andato nel ba­gno... Ho fatto il mio bagno, poi sono rientrato nella stanza per vestirmi, e chi vedo nel mio letto?

Barberina                      - Chi vede?

Santoro                         - Una donna.

Barberina                      - Io? Mi faccia il piacere!

Santoro                         - Non lo so! Una cosa che non mi era capitata mai nella vita. Oh, Dio! Che una donna fosse entrata nella mia stanza, niente di straordinario. A tutti sarà capitato. D'altra parte, dove dovrebbero entrare? Ma che una donna dalla camicia da notte rosa... Eh, sì, siete proprio voi! Che una donna dalla camicia da notte rosa entri nel mio letto per mettersi a dormire... no, non m'era mai capitato! Così dolcemente l'ho vista dormire! Non voglio dire che russavate un poco, oh no! Le donne non russano... Ma quel respiro forte, proprio di chi riposa... quel respiro greve del sonno duro... e quieto, anche che incute rispetto come tutte le cose naturali espresse con innocenza... Prima di tutto io avevo fretta di partire, ma se anche non avessi avuto fretta avrei rispettato il suo riposo... Quando io sono uscito dalla mia stan­za, la donna riposava ancora.

Il direttore                     - Ma un momento: lei che cosa ha pensato?

Santoro                         - In un primo momento ho pensato che fosse una cameriera... Scusi tanto!

Barberina                      - Signore!

Il direttore                     - Prego, signore! Io ho un per­sonale irreprensibile.

Santoro                         - Fate torto alla signora facendo supporre che il fatto di essersi messa a dormire nel letto di uno sconosciuto possa essere da voi giudicato reprensibile.

Barberina                      - Ma i gioielli, i vestiti, il denaro, il baule, le cappelliere...

Santoro                         - Ma se io ho rispettato il vostro sonno...

Barberina                      - Appunto per questo. L'avete rispettato perché v'interessava ben altro. E poi come faccio io a credere che avete rispettato il sonno?

Santoro                         - Oh, Dio! Ve ne sareste accorta, no? ...

Barberina                      - Spudorato!

Santoro                         - Io?!

Conte Tavernò              - (entra, tutto agghindato, cer­cando qualcuno) Permesso? Dov'è il diret­tore? (Barberina, con un piccolo grido, nascon­de il viso nel bavero di pelliccia del soprabito e va a rifugiarsi dietro il paravento). È lei? Mi dica una cosa e non si stupisca della mia do­manda.

Il direttore                     - Dica pure. Immagini se posso stupirmi di qualche cosa. Da stamane non sento che cose sorprendenti.

Conte                            - Sentirà questa. Mi sa dire dov'è andata a finire la signora che ha dormito con me stanotte? Un momento: che ha dormito nella stanza attigua? Ci sono i suoi vestiti, c'è il suo baule, ci sono le sue cappelliere, le sue valigie, ci sono tutti i suoi gioielli... ma di lei nessuna traccia. Noti che è la mia fidanzata. Ma dopo teatro s'è bevuto molto champagne. Devo aver dormito anch'io come un sasso...

Il direttore                     - Che numero, scusi?

Conte                            - Ventinove.

Il direttore                     - (giubilante) Ah, ecco! La si­gnora ha chiesto il bagno mezz'ora fa e la ca­meriera è da lei, in questo momento. Ieri sera chiese una stanza a parte, il n. 31, che comu­nica con lo stesso bagno. Non le piaceva più quella che le era stata assegnata.

Conte                            - Ma! Chi sa perché? Forse non vo­leva stare troppo vicino a me. È una signora piena di scrupoli. Ah, meno male! Mi levate un pensiero! Dov'è il bar?

Il direttore                     - Da questa parte, conte. Ho il piacere di accompagnarla io stesso.

Conte                            - Molto gentile!

Il direttore                     - Da questa parte, da questa parte. (Se ne va premuroso facendo dei segni a Barberina di filare in tutta fretta).

Barberina                      - (esce dal paravento ed è fermata dall'uomo dal soprabito).

L'uomo dal soprabito    - (mellifluo) Scusi...

Barberina                      - Che vuole? L'uomo dal soprabito   - Quel soprabito...

Barberina                      - È suo? Prenda... (Se lo leva, glielo porge, sta per prenderne un altro).

L'uomo dal soprabito    - (tenendo in mano, esta­siato, l'indumento che ebbe la ventura di co­prire le nudità di Barberina) No... No... Lo tenga, per favore, se lo metta! Non gli faccia l'affronto di prenderne un altro! Sarà entusiasta di lei... Lo tenga ancora finché le serve... (Ab­braccia il soprabito, lo porge).

Barberina                      - (paziente, se lo infila. Nell'andarsene si volge a Santoro sorridendogli) Mi aspetti! Scendo subito! (Lo guarda con ammi­razione). Grazie! Sei stato generoso. Sei stato perfetto. Grazie! Ti adoro! (Via).

Santoro                         - (rimane stupefatto a guardarla).

L'uomo dal soprabito    - (senza capire, rimane in estasi anche lui).

Santoro                         - (ripete mentalmente le parole elet­trizzanti di lei, le quali non fanno che accresce­re il suo stupore. Alla fine si accorge dell'uomo dal soprabito che lo guarda. Poi gli chiede, leggermente stizzito) Ma, insomma, che vuo­le da me, lei?

L'uomo dal soprabito    - Io, da lei? Non mi sogno neanche di volere qualche cosa.

Cameriera del primo piano- (col soprabito tra le braccia) Scusi, è suo questo soprabito?

L'uomo dal soprabito    - Ah, sì! (tende le braccia).

Cameriera                      - (gli deposita il soprabito sulle braccia come se fosse una creatura adagiata e se ne va in fretta).

L'uomo dal soprabito    - (prende fra le braccia il soprabito come se avesse tra le braccia la donna e se lo porta via estasiato).

Secondo cameriere        - (a Santoro) C'è suo figlio.

Santoro                         - Ah, meno male che s'è alzato! Venga, venga!

Secondo cameriere        - (via).

Tullio                             - Oh, caro papà! Ti cercavo per mare e per terra.

Santoro                         - Ma come! Sapevi che ero partito col treno. Che c'entra il mare?

Tullio                             - Sì, ma poi ho saputo che t'hanno fermato alla stazione. Oh, povero papà! So tutto...

Santoro                         - Mi pare che non ci sia niente da rallegrarsi.

Tullio                             - Io, mi rallegro? No!

Santoro                         - Pare di sì. In questa faccenda spero che tu non entri affatto.

Tullio                             - Sì, sì, papà!

Santoro                         - (sobbalzando) Eh? Volevo ben dire!

Tullio                             - Sta' attento. C'è la mia fidanzata con tanto d'occhi così. La mia futura suocera non ti dico, Qui bisogna che tu mi salvi.

Santoro                         - Io?

Tullio                             - Per fortuna le nostre due stanze erano comunicanti. Se no non si uscirebbe.

Santoro                         - Da dove?

Tullio                             - Dal pasticcio, dalla trappola.

Fidanzata                      - Dov'è Tullio? Eccolo qua... Ah, buongiorno! (Guarda Santoro ammirata).

Santoro                         - Ah, buongiorno, signorina! Bene alzata? Come mai così di buon mattino?...

Tullio                             - Papà, sono le undici!

Santoro                         - Di già? Le undici? E io che avevo a Milano un appuntamento con tanta gente... E non ho ancora telegrafato!

Fidanzata                      - Sarebbe bene che si riposasse.

Santoro                         - Io? Signorina, lei scherza. Non sento affatto questo bisogno!

Fidanzata                      - (ammirata) È meraviglioso!...

Santoro                         - Ma che ho fatto?

Tullio                             - (gli chiude la bocca).

Fidanzata                      - Non faccia il modesto!

Tullio                             - Paolina, va di là... Dove hai lascia­to la mamma?

Fidanzata                      - Sì, sì, fatti raccontare... Poi mi dirai, neh? Caro! Ormai, posso sapere anch'io. Sarò sua moglie fra quattro giorni. A proposito, le mie cappelliere?

Santoro                         - Arrestate anche quelle.

Fidanzata                      - Ah, ah! (Ride). Sono la sola cosa innocente della vostra avventura.

Santoro                         - Ma quale avventura?

Fidanzata                      - (quasi con un grido, che vuole es­sere uno scoppio di risa se ne va).

Santoro                         - Ma mi dici in quale nuovo impic­cio mi hai messo?

Tullio                             - Ormai tutti in albergo sanno della tua avventura con la bella bolognese.

Santoro                         - Ma io l'ho trovata che dormiva tranquillamente...

Tullio                             - Va bene. Ma nessuno ci crede. Io ho sentito che mi chiamava con un altro nome. Mi sono guardato bene dall'accendere la luce. Osvaldo. Chi è Osvaldo?...

Santoro                         - Sarà il conte! Il fidanzato!

Tullio                             - Ha un fidanzato?

Santoro                         - Sì! Quello che se la sposa... Sic­ché quando lei è venuta da me... (Capisce tut­to, rimane in atto di stupore).

Tullio                             - Era già mattina. Si vede che ave­va due stanze comunicanti come le nostre...

Santoro                         - Ma quella disgraziata sbaglia letti con una semplicità adorabile! Ma mica ne ha sbagliato uno. Due! E tu non ti vergogni di aver profittato dell'errore innocente di una bra­va creatura che crede di essere tra le braccia quasi legittime del prossimo sposo?

Tullio                             - Papà, io non ho fatto niente per indurla in errore. E poi mi ha chiamato Osval­do! Non me l'aspettavo... Mi è parsa una cosa così nuova...

Santoro                         - Belle scuse! Se basta chiamarti Osvaldo per non farti agire lealmente!

Tullio                             - E poi ella stessa mi ha mormorato che non si raccapezzava... che aveva troppo be­vuto... Ti dico che una donna più deliziosa non esiste.

Santoro                         - Ma perché lo racconti a me?

Tullio                             - Papà, non insistere nella tua...

Santoro                         - Che cosa?

Tullio                             - Non insistere nella tua versione della donna addormentata... Se no finiranno per crederti!

Santoro                         - Ma è la verità!

Tullio                             - Appunto! Finirà poi per venir fuo­ri la verità mia!

Santoro                         - Ma che razza d'uomo sei! Non stai mai fermo!

Tullio                             - Papà!

Santoro                         - Complichi l'esistenza... metti me negli impicci. Lei ha dormito effettivamente...

Tullio                             - Lo credo! Lo credo! Era tanto stanca!

Santoro                         - (lo guarda corrucciato. Una pausa) Tra le altre cose l'avevo presa per una ca­meriera.

Tullio                             - (redarguendolo scherzosamente) Ah, ah, ah! Questo, papà, ti fa torto... Una donna di grande classe...

Santoro                         - La classe si capisce quando una donna sta in piedi. Oh! Si può sapere, infine, che vuoi da me?

Tullio                             - Niente. Te l'ho detto. Non insi­stere nella tua versione. Non rovinarmi...

Fidanzata                      - (a Tullio) Tullio, vieni che ti vuole la mamma! Ebbene? Ebbene ti ha detto?

Santoro                         - Ma che devo dirgli! Signorina, non è neanche bello da parte sua!

Fidanzata                      - L'ho sempre detto che lui è un tipo diverso da te! (A Santoro, accennando a Tullio) Lui è modesto. È borghese. Casalingo, direi. Non è così?

Santoro                         - Se lei sa tutte queste cose, che vuole che le dica io?

Fidanzata                      - (a Tullio) Mi piace, vedi? Che tu abbia un padre così!

Tullio                             - Lo vedi? Perfino alla mia fidanzata monti la testa!

Santoro                         - Io? Ma se la monta da se!

Fidanzata                      - Tuttavia ti voglio bene lo stesso. Ti prendo come sei.

Tullio                             - Lo vedi? Si acconcia. Ma l'ideale saresti tu.

Santoro                         - Ve ne volete andare tutti e due?

Madre della fidanzata   - Tullio, Paolina, dove siete? (Arriva in fretta. Si ferma di scat­to) Ah! (Guarda Santoro con l'occhialino, poi chiede ai ragazzi) Cosa fate qui, voi?

Santoro                         - Buongiorno, signora.

Madre della fidanzata   - (seccamente) Buon giorno. Non si può dire che sia esemplare quel che fate. Oggi, intanto, si cambia albergo. Non voglio che mia figlia si sposi in un ambiente così contaminato. Per fortuna vostro figlio è serio e non vi somiglia.

Santoro                         - Infatti! Ma sono io che non somi­glio a lui!

Madre della fidanzata   - Se non fossi, sicura di questo cambierei albergo e città. E mia figlia cambierebbe fidanzato.

Tullio                             - Mamma!

Madre della fidanzata   - (lo bacia in fronte. In questo momento sopraggiunge sorridente Barbe­rina, così bella e così elegantemente abbigliata da produrre un movimento di stupore in tutti i presenti. Barberina si è avvicinata sorridente a Santoro desiderosa di parlargli, ma sì trattiene. Momento d'imbarazzo. Quella che sorride compiaciuta è la fidanzata. Il giovane figlio di San­toro lancia occhiate furtive, ma abbassa gli oc­chi dinanzi allo sguardo della futura suocera, ancora più stizzita dal fatto che non può dare sfogo alla sua indignazione) Andiamo, Pao­lina! Andiamo, Tullio! (Via tutti e tre, l'uno dietro l'altro).

Barberina                      - È vostro figlio, quel giovanotto?

Santoro                         - Sì. Da che lo avete immaginato?

Barberina                      - Ha le vostre sopracciglia folte, caratteristiche.

Santoro                         - Come siete bella!

Barberina                      - Ah, sì? (Sorride. Poi, volgendo lo sguardo intorno, dice misteriosamente) An­cora grazie! Grazie!

Santoro                         - Ma di che?

Barberina                      - Della tua storia della donna ad­dormentata. Ah, ah! Sei stato geniale. Se c'è uno che non mi ha fatto dormire sei proprio tu, nonostante che fossi tutta languida e pigra e an­nebbiata... Ma tu hai un certo metodo per sve­gliare! Come sei stato caro! Come ho sentito il tuo desiderio e la tua passione... Mi conoscevi? Sì? Ad Abbazia? Tu mi hai vista ad Abbazia! Dimmi la verità! Ma quanti anni hai?

Santoro                         - E chi lo sa!

Barberina                      - Senti. Stanotte avevi trent'anni. Io ho conosciuto solo mio marito, e per così poco! L'anno scorso avevo vent'anni ed ero ve­dova! E sai chi sei stato tu stanotte? Il mio fidanzato.

Santoro                         - Io?

Barberina                      - Il conte mi fa la corte da molto tempo. Mi vuole sposare. È veramente il mio fidanzato. Non ho voluto mai concedergli nulla. Stanotte è stata la notte dell'oblìo. E lo vedi? Mi sono sposata con te!

Santoro                         - (ha l'aria d'inghiottire qualche cosa dì ostico) Cara!

Barberina                      - (lo guarda, gli sorride) Perché ogni tanto mi mormoravi all'orecchio « Tupin»?

Santoro                         - Eh? (Tra sé) Vattelo a pescare quel mascalzone...

Barberina                      - Un tuo vezzeggiativo?

Santoro                         - Eh, sì!

Barberina                      - Il nomignolo dell'amore?

Santoro                         - Ecco!

Barberina                      - «Tupin».

Santoro                         - a Tupin».

Barberina                      - Senti. Si può conoscere un uo­mo, amarlo, stargli vicino con l'anima e infine essere sua, essere felici... Questo è nella realtà di tutti i giorni, nella possibilità nostra quoti­diana, è vero? Ma io sono stata tua nel sogno, non ho conosciuta realtà, ne prima né dopo. Apro gli occhi adesso... Non mi vorrai abban­donare...

Santoro                         - Ma no! Come faccio ad abban­donarti?

Barberina                      - Non importa se sono più giovine di te. Io non amo i ragazzi. Mio marito aveva vent'anni più di me... E anche il conte... Oh, che fortuna che io abbia sbagliato stanza I Ho sempre sentito un'oscura diffidenza per Osvaldo...

Santoro                         - Oh! Osvaldo!

Barberina                      - Si, quella diffidenza fisica oscu­ra, che è in noi, per cui non si riesce mai a essere l'uno dell'altro... Soltanto in sogno è pos­sibile quell'affinità della pelle, quella comunio­ne fisica che è ancora più rara di quella dell'a­nima. Che pensi tu? Che pensi? Bisogna parlare subito al conte.

Santoro                         - Ma aspetta! Non precipitare!

Barberina                      - E, prima di tutto, dimmi che mi perdoni...

Santoro                         - Che cosa?

Barberina                      - Ti ho fatto quasi arrestare.

Santoro                         - Giusto! Quasi non ci pensavo più! Bella cosa hai fatto!

Barberina                      - Ma senti. Spiegami questa cosa. Come potevi tu, dopo una notte simile, andar­tene... senza la curiosità di conoscere almeno il colore dei miei occhi.

Santoro                         - Sono tornato subito! Ti avrei cer­cato! Non potevo non essere a Milano oggi. E poi, non ti ho conosciuta ad Abbazia?

Barberina                      - Ah, è vero! (Gli sorride. Una pausa). Ti ho fatto perdere qualche grosso af­fare?

Santoro                         - Sì.

Barberina                      - Mi perdoni? Devi perdonarmi per la gioia che ti ho data...

Santoro                         - Eh! Se non fosse per questo!

Barberina                      - Dimmi che è stata tanta...

Santoro                         - Sarebbe impossibile farti capire quanta è stata. È meglio che non ti dica niente. Io mi auguro di riuscire a non dirtelo mai.

Barberina                      - Come sei fine e delicato! Santoro   - (cerca la maniera di salvarsi) Ma guarda. Sei proprio una bambina vicino a me. Vedendoti mi pare che desiderarti ora, dopo averti vista, debba avere in se qualche cosa...

Barberina                      - Non è vero! Non tirar fuori teo­rie paterne! Troppo tardi! Ti ho nel sangue. Ecco Osvaldo.

Santoro                         - Eh?

Barberina                      - Ho detto: ecco Osvaldo.

Santoro                         - Dov'è?

Barberina                      - Eccolo là.

Santoro                         - Ah! Quello che ha domandato: «Scusi, dov'è la signora che ha dormito con me questa notte?». Poi si corregge e dice: «Nella stanza attigua». Deve essere un cretino. E quel­la stava con mio figlio...

Conte                            - Oh, Barberina! Finalmente ti ri­vedo...

Barberina                      - (si volta, preoccupata di vedere Santoro parlare da solo) Ti presento un ami­co, un amico di Abbazia, un caro amico di Abbazia, quasi parente nostro, voglio dire mio... (Non conosce il nome e gli fa dei gesti).

Santoro                         - Santoro. Giovanni Santoro.

Barberina                      - Il conte Osvaldo Tavernò. Ilj nostro Santoro, eh? il nostro Santoro. E peri prima cosa si cambia albergo. È vero che si stai male? Tutti al «Majestic». Direi di cominciare con l'andar là a fare colazione. Niente da obbiettare! Sai che ci dovevamo sposare? Mia zia se l'era messo in mente. È vero?

Santoro                         - È tutto vero quello che dite.

Barberina                      - (con molta grazia e leggerezza) Invece ora il fidanzato saresti tu. Ma Ora che ho rivisto Santoro...

Conte                            - Ma come?

Santoro                         - Un momento. La signora scherza.

Barberina                      - E la vostra promessa? (Santoro la guarda costernato). La vostra promessa di quel giorno?

Santoro                         - Ah! Ma ne è passato del tempo!

Barberina                      - Vado a mettermi un soprabito, a chiudere il baule. Tra due minuti sono qua. Con permesso?... (Via).

Conte                            - Senta...

Santoro                         - Dica, conte.

Conte                            - Siamo due uomini. Su per giù ab­biamo la stessa età. Possiamo parlarci franca­mente?

Santoro                         - Ma da un'ora tutti' i miei sforzi sono rivolti alla possibilità di dire quel che penso, quello che è vero, quello che ho nel cuore. Ma sapete che è difficile?

Conte                            - Ebbene, quella donna veramente mi è cara. È una graziosa creatura. La credo anche una onesta donna. Avevo deciso di spo­sarla, anche perché ella ha bisogno di assisten­za. Sono di fronte a un gentiluomo. Posso chie­dere alla sua lealtà una parola chiara?

Santoro                         - Tutto quello che volete.

Conte                            - C'è, oltre che una promessa, un legame tra voi?

Santoro                         - Niente.

Conte                            - Forse che ad Abbazia...

Santoro                         - Ad Abbazia niente. In altre parti del mondo niente. Qui niente.

Conte                            - Soltanto... una vecchia conoscenza?

Santoro                         - Vecchia... Ci sarebbe anche da di­scutere sul «vecchia». Tuttavia...

Conte                            - Tuttavia... Come mai quel suo en­tusiasmo... per lei?

Santoro                         - La signora ha una grande consi­derazione di me. Ecco tutto. Sono fissazioni. Chi sa poi perché. Con lei forse che...

Conte                            - Niente. I nostri rapporti sono in­nocenti.

Santoro                         - Come con me.

Conte                            - Non c'è stato che un'amicizia.

Santoro                         - Con me neanche quella.

Conte                            - Che dite? Ma sarà basata su qual­che cosa... questa grande considerazione...

Santoro                         - Macché! La considerazione di una donna, quando è sincera, è basata su niente. È così che va avanti l'umanità. Se non fosse così andrebbero avanti solo gli uomini d'ingegno, e forse sarebbe una calamità da un'altra parte. La mia è tutta una fama usurpata. Ma andate a levarglielo dalla testa! Volete un consiglio? Portatevela via stanotte. Sposatela domattina. Ci vuole un atto di forza, capite? Se no vedrete

Conte                            - Che succede?

Santoro                         - Senza Fatto di forza da parte vo­stra? Quella lo compie lei l'atto di forza.

Conte                            - Su che?

Santoro                         - Su di me. Quella mi sposa. Quella m'impaccotta, mi porta al Municipio. Poi mi chiude a chiave in un orto. Forse si dimenti­cherà che io la sto ad aspettare tra le insalate e io sarò tutto intirizzito. Poi s'impadronirà di me. Farà quello che crede.

Conte                            - Ma come! Ha tanto potere su voi?...

Santoro                         - Non lei. Chi comanda è un'altra persona.

Conte                            - E questa persona si serve di lei?

Santoro                         - Sì. E senza che lei lo sappia. Sa­pete quegli aeroplani che si comandano a di­stanza con le onde? Immaginate di poter dare, a un tratto, coscienza a quell'aeroplano; quello crede di seguire la sua volontà. Invece ilo. La volontà è un'altra.

Conte                            - (non capisce troppo) E io non po­trei essere vostro alleato per liberarvi?

Santoro                         - Io farò tutto quello che occorre perché sia vostra. Vi esalterò. Mi oltraggerò. Siete capace di secondarmi? Anche se vedrete cose strane, siete capace di non credere a niente, di credere solo a quello che vi dico io?

Conte                            - Sta bene.

Santoro                         - Qua la mano. Sarà vostra.

Conte                            - Grazie. (Entra dalla destra, . nato, Tullio).

Santoro                         - Eccolo qua. Che c'è ancora? Quan­do ti vedo immagino subito una nuova compli­cazione. Ma mi vuoi lasciare in pace? Che c'è? Presto. (Presentando) Mio figlio. Il conte Ta­verne.

Conte                            - Oh! Parlate pure liberamente. Io vado a sollecitare la signora. Starà chiudendo le valigie e il baule. Vado a vedere. Torno subito. (Stringe la mano a Tullio) Piacere.

Santoro                         - Avanti, che c'è ancora?

Tullio                             - La futura suocera...

Santoro                         - Che altro vuole la futura suocera? E tu quando la finisci di mettermi negli im­picci?...

Tullio                             - Papà, la futura suocera è impaz­zita. Seguita a investigare, a fare inchieste. Ora ha saputo dalla signora del direttore che la si­gnora... quella tale...

Santoro                         - Barberina.

Tullio                             - Si. È una brava signora onorata e irreprensibile. Sono amiche. Si sono cono­sciute...

Santoro                         - Ad Abbazia.

Tullio                             - Come lo sai?

Santoro                         - Qui tutti ci siamo conosciuti ad Abbazia. Va' avanti.

Tullio                             - Ma è vero!

Santoro                         - Sì, verissimo. È una brava signo­ra. È amica della moglie del direttore. Si sono conosciute ad Abbazia.

Tullio                             - Quando la suocera ha saputo che si trattava di una signora per bene che tu avresti...

Santoro                         - Che io avrei... Sbrigati.

Tullio                             - Che tu avresti compromessa, non è stata più nella propria pelle. È diventata una furia. Sai le furie quando sono animate da one­sto zelo? È disposta anche a mandare per aria il nostro matrimonio se...

Santoro                         - E sempre la stessa minaccia! Sem­pre per quella miseria del milione! E rinunziaci al milione! Che io veda un tuo bel gesto nella vita! Uno!

Tullio                             - Papà...

Santoro                         - Va bene. Niente! Parla. Che pre­tende la futura suocera? Che comanda?

Tullio                             - Vuole che tu ripari esemplarmente al danno recato a quell'onesta signora.

Santoro                         - Senti... Se non te ne vai... Se non mi lasciate in pace... Quand'è che ti sposi?

Tullio                             - Lo sai: tra quattro giorni.

Santoro                         - Sta bene. Chiama la suocera. Fal­la venire qui appena sarà scesa la signora. Che io dichiari di sposarla? Ma subito! Finché si tratta di dichiarare!

Tullio                             - (contento) Oh, papà!

Santoro                         - Ma quando ti sarai sposato, al­meno per tre mesi non ti far vedere da me.

Tullio                             - Sì, papà.

Santoro                         - «Sì, papà!». Non sai dir altro... Ma una al giorno ne inventi per darmi fa­stidio! Ci sono poi le giornate di gala in cui sei tutta una fon­tana di invenzioni. E hai quell'aria melensa... con quelle so­pracciglia!... È vero che sono come le mie... Ma tutti le no­tano...

Tullio                             - Papà! Sei tu che me le hai fatte...

Santoro                         - Ma sì! Ti ho fat­to tutto! Ma questo non ti au­torizza ad abusarne!...

Tullio                             - Papà, vado... La signora sta per venire...

Santoro                         - Sì, va', va'!

Barberina                      - (precedendo il conte) Amore mio, t'ho fat­to aspettare... Siccome cambia­mo albergo ho dovuto chiude­re tutto... Vogliamo andare?...

(Arrivano Tullio, la fidanza­ta, la madre della fidanzata, la signora del direttore).

Santoro                         - Eccomi pronto! Mi pare di averle già presen­tato mio figlio...

Barberina                      - Sì! Sì!

Santoro                         - La fidanzata di mio figlio, la madre della fi­danzata di mio figlio, il conte Taverne... La signora Barbe­rina... mia fidanzata...

Barberina                      - (gettandosi tra le braccia di Santoro) Oh, a-more mio! (Indi ai conte, che rimane trasecolato) Era fatale! (Poi si unisce al gruppo da cui riceve complimenti e felicita­zioni).

Santoro                         - (ha subito preso sot­tobraccio il conte e gli grida all'orecchio) Niente paura! Lascia che sia la mia fidanzata, lascia che sia mia moglie e tutto quello che vuole la suo­cera... (Con voce tonante, facendo sobbalzare il conte) Osvaldo! (Tutti si voltano di colpo) Sarà tua, te lo giuro! (Subito si unisce al gruppo).

Barberina                      - (gli presenta la signora Rosalia) La mia amica di Abbazia...

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Albergo sul lago. Salotto e giardino pensile fra una stanza e l'altra. Grandi alberi contro il cielo infuocato. L'ora del tramonto.

Barberina, in leggiadro abito, viene dalla si­nistra infilandosi i guanti, accompagnata da Rosalia, mentre un cameriere viene dal fondo per aggiungere qualche cosa alla tavola elegante­mente apparecchiata con quattro coperti.

Barberina                      - (al cameriere) Tutto è pronto? Oh! Avete portato la tavola!

Quarto cameriere          - Sì, signora. La torta, la frutta, lo champagne.

Barberina                      - Bene. Noi saremo di ritorno tra dieci minuti.

Quarto cameriere          - Sta bene, signora.

Barberina                      - La frutta, mi raccomando.

Quarto cameriere          - Guardi.

Barberina                      - Dov'è il conte?

Conte                            - (dalla sinistra) Presto, mancano cin­que minuti all'arrivo del treno.

Rosalia                          - Andiamo, andiamo. (Via tutti e tre dal fondo, a sinistra).

Quarto cameriere          - (è occupato a ordinare la tavola).

Tullio                             - (appare dalla destra) Ehi, came­riere!

Quarto cameriere          - Comandi!

Tullio                             - (a Paolina) Vieni, vieni Paolina. (Paolina appare). A che ora arriva il treno?

Quarto cameriere          - Tra pochi minuti. Loro, arrivano adesso?

Tullio                             - Sì, col motoscafo.

Quarto cameriere          - Ah!

Tullio                             - Sentite, caro. Quei signori sono an­dati incontro a mio padre.

Quarto cameriere          - Infatti, sono andati in­contro a un signore. Probabilmente sarà suo padre.

Tullio                             - Come « probabilmente »! Noi sia­mo in viaggio di nozze...

Quarto cameriere          - Ah! Bene!

Tullio                             - Mai più mio padre immagina che noi siamo arrivati qui.

Quarto cameriere          - E deve ignorarlo?

Tullio                             - Altro che! Papà ama di queste improvvisate. Vogliamo fargli una sorpresa. Ma non subito. Forse oggi, forse domani. Insomma lei ci ignora, non ci ha visti; anche se ci vede passare non ci conosce, non si sognerà di dire che una coppia di sposi è arrivata all'albergo. Basterebbe la frase «una coppia di sposi» per metterlo in sospetto. Adesso ripeterò questo di­scorso alla cameriera della signora Santini. Al portiere l'abbiamo già detto. Che altro? (il ca­meriere, sempre approvando e sorridendo, si è un po' allontanato).

 Paolina                         - Baciami.

Tullio                             - Aspetta. Io dico: «Che altro?». E tu: «Baciami». Non c'è relazione. Che nes­so c'è? Paolina                           - Baciami.

Tullio                             - (la bacia) Dicevo dunque: che al­tro? Nient'altro. (A un gesto di Paolina, che si avvicina) Adesso basta. Adesso andiamo a par­lare alla cameriera...

Paolina                          - (al cameriere) Lei capisce, è per la sorpresa!

Quarto cameriere          - Che sorpresa?

Paolina                          - A mio suocero.

Quarto cameriere          - Ah!

Paolina                          - Basti dire che lui ci immagina ancora a Parigi!

Tullio                             - E inutile che gli racconti queste cose. A lui non interessano affatto.

Paolina                          - Baciami.

Tullio                             - Anche questo. Lui ha capito per­fettamente che siamo in viaggio di nozze. Se in­sisti troppo, anzi, comincerà a sospettare che sia un trucco e che noi due stiamo tramando chi sa che cosa.

Paolina                          - Ma io lo faccio per me. Che m'im­porta del cameriere?

Tullio                             - Ah, se lo fai per te, allora è giu­sto! (Lo bacia).

Quarto cameriere          - (scuote il capo sorridendo).

Tullio                             - Cameriere, un'altra domanda.

Quarto cameriere          - Dica pure.

Tullio                             - Dì che umore è il conte?

Quarto cameriere          - - Quale conte?... Ah, sì! Placido.

Tullio                             - La sagacia dei camerieri! Tenga. (Gli dà una moneta d'argento). Non ha detto: gioioso. Non ha detto: allegro. Non ha detto: sereno. Placido. C'è tutto il conte.

Paolina                          - Dio, come sono contenta! Essere qui dove lui sta per arrivare, in questo ambien­te quasi suo, dove egli si muoverà! Forse tu non ci credi, ma questo mi elettrizza...

Tullio                             - Ho capito, ho capito...

Poalina                          - Tuo padre è di quegli uomini che con la sola presenza diffondono allegrezza.

(Il cameriere si allontana un momento).

Tullio                             - Basta, adesso! Non ti montare la testa. A Parigi non facevi che parlarmi di lui. Per disgrazia non abbiamo visto una sola bella donna a fianco di un giovanotto. Parigi è il tri­pudio dei maturi. Tu dici che è l'età radiosa.

Paolina                          - Sì! L'età estrema!

Tullio                             - Che vuoi intendere con quell'« estrema»?

Paolina                          - L'età in cui l'uomo rifulge di tutto quello che deve abbandonare. Tu ci vedi il fulgore e anche la disperazione.

Tullio                             - Ma scusa: allora perché non ti sei sposata con mio padre?

Paolina                          - Perché il fulgore non è eterno. Ho vent'anni. Baciami.

Tullio                             - Sì, ma non pensare a mio padre. È una cosa che mi secca.

Paolina                          - No. (Lo bacia. Rimane incantata).

(Il cameriere rientra).

Tullio                             - (la guarda, la scuote) Paolina!

Paolina                          - (come destandosi) Eh? Andiamo?

Tullio                             - Sì, andiamo. (Via entrambi a si­nistra).

(Si odono voci gioiose. Barberina, Rosalia e il conte che arrivano insieme con Santoro).

Santoro                         - (di dentro) Ah! Ma com'è bello qui!...

Barberina                      - (di dentro) Ti piace?

Rosalia                          - (c. s.) Tutto è stato scelto per voi.

Santoro                         - (entrando con gli altri) Ah, sì! Ma nulla impedisce a voi di godervelo egual­mente.

Rosalia                          - Ah, certo!

(Il cameriere s'inchina al nuovo arrivato).

Santoro                         - Ma come? La tavola apparec­chiata?

Conte                            - Oh, poca cosa! Noi abbiamo già ce­nato. E immagino che tu...

Santoro                         - E io pure.

Conte                            - Barberina ha pensato che avresti gradito un po' di torta e un po' di frutta. Sarà bene accendere la luce. . ,

(Il cameriere accende. Lampade colorate ren­dono l'ambiente ancora più intimo e dolce. Il cielo, già incendiato dal tramonto, si va oscu­rando).

Santoro                         - Molto gentili...

Conte                            - Sai? Ti ho fatto assegnare una bel­la stanza.

Santoro                         - Sì, benissimo.

Conte                            - (accennando a sinistra) Da quella parte è la stanza di Barberina.

Santoro                         - Ah!

Barberina                      - (a Rosalia) Vieni di là a posare il cappello nella mia stanza. (Via a sinistra tutte e due).

Santoro                         - (premurosamente, al conte) Eb­bene?

Conte                            - Niente. Tutto come prima. Lei è graziosa, gentile, talvolta piena di capricci, ma sempre deliziosa. Però niente che non sia ami­cale. Sono come un padrino, capisci? Ora mi vado rassegnando a questo ruolo.

Santoro                         - Ma non ci pensare neppure. Ve­drai che verrà la tua volta.

Conte                            - È sempre tutta entusiasta di te. Par­lami francamente.

Santoro                         - Ma vuoi che t'inganni? T'ho detto che non ho fatto nulla per meritarmi questa grande considerazione e ti giuro che non farò nulla per accrescerla. Ti ripeto che verrà la tua volta. È un momento. Lascialo passare. Solo ti consiglio di essere più di buon umore. Le don­ne, lo sai, amano chi le fa ridere. Alla nostra età, poi, se non ridi sei un sentimentale triste.! Allora sei buffo. Tu sei pieno di risorse, pieno di spirito, ma non lo fai vedere. Bisognerà che io ti aiuti a valorizzare te stesso. Comincerò subito a tavola, vedrai. A tavola ti valorizzo. Ma, intanto, tieni conto di quello che t'ho detto. Se non ridi, si vede l'età.

Conte                            - Ho capito. Ma senti...

Santoro                         - Dimmi.

Conte                            - Infine, che cosa t'impedisce di es­sere quello che lei vuole che tu sia? Il suo in­namorato, il suo amante o suo marito? Che cosa anche potrebbe averti impedito di esserlo già?

Santoro                         - Immagina una cosa terribile. Im­magina, per esempio, che io sia suo padre!

Conte                            - (spaventato) Di chi? Di Barberina?

Santoro                         - Di Barberina! Immagina ch'ella non lo sappia, povera... innocente!

Conte                            - (gli stringe le mani) Ah, Santoro!

Santoro                         - Non ti rallegrare. Per uscirne bi­sogna creare qualche cosa.

Conte                            - Sì, ma che cosa?

Santoro                         - Non lo so ancora bene, ma qual­che cosa dovrà maturare qui... subito... Perché se quella, per esempio, entra nella mia stanza... Intendi questo?

Conte                            - Eh, se lo intendo!

Santoro                         - Cosa che io ho, con tutte le mie forze, evitato finora... Tu lo sai...

Conte                            - Lo so... Me lo hai detto tu...

Santoro                         - E che vuoi dire? Lo sai benis­simo!

Conte                            - Ma sì! Ti credo! Se ci sono quelle ragioni a cui hai accennato...

Santoro                         - Capisci? Se entra nella mia stanza e il padre si smarrisce...

Conte                            - Oh, Dio! Tu?

Santoro                         - Io, sì! Se questo succedesse, ca­pisci? E tutto può succedere... Anche i padri si smarriscono... Allora si creerebbe l'irrepara­bile da un'altra parte... Mi vedresti correre per tutto il mondo con una valigetta in cerca di oblìo... L'oblìo sarebbe introvabile... La dispe­razione sempre chiusa nella valigetta e io sem­pre pieno di vergogna e di dispetto... Non puoi credere quello che provo quando lei mi abbrac­cia e mi bacia sulla bocca... Tutti i momenti lo fa... Hai capito, ora?

Conte                            - Sì.

Santoro                         - Mi credi?

Conte                            - Pienamente.

Santoro                         - Hai fede in me?

Conte                            - Ho fede e ti compiango. Che devo dirti?

Santoro                         - Puoi dirmi quello che ti pare. Abbracciami.

Conte                            - Volentieri. Sei un leale amico.

Santoro                         - Oh, almeno sento vicino a me il tuo brutto muso! Sento le tue braccia... È un ristoro. Ma lo sai che provo quando lei mi ab­braccia?

Conte                            - Non lo so. So quel che proverei io...

Santoro                         - Tu che proveresti? Non lo sai. Allora dimmi cosa provi quando vedi che lei mi bacia.

Conte                            - Invidia.

Santoro                         - Beato te! Almeno è un sentimento chiaro. Mentre io sono negli abissi!

Conte                            - Che provi?

Santoro                         - Non si può dire. È troppo compli­cato. Ho l'impressione di sprofondare. (Quasi trasognato) Delizia, martirio, ma giù... giù...

(Barberina e Rosalia vengono dalla sinistra senza cappello, leggiadrissime, tenendosi per mano. Nello stesso momento il quarto e il quin­to cameriere arrivano dal fondo e spostano le sedie della tavola per invitare a sedersi. Il quar­to cameriere serve l'antipasto che depone su una specie di consolle, adibita al servizio della ta­vola).

Barberina                      - Oh, sediamoci! (A Santoro) A te piace il dolce? (Lo bacia sulla bocca).

Santoro                         - (in grande imbarazzo, volge un'oc­chiata significativa al conte con un'aria da vit­tima) Ah! È così che voi fate per accertarvi che uno ama il dolce?

Barberina                      - Sicuro!

Santoro                         - E riescile a capire?

Barberina                      - Si sente subito.

Santoro                         - È una maniera originale, non dico di no... (Si siedono). Spero che non rivol­gerete questa domanda abitualmente a tutti...

Barberina                      - No! A te solo! Ma perché mi dai del « voi »?

Santoro                         - (al conte) Lo vedi? È fatta così!

(I camerieri, intanto, servono e ogni tanto spariscono in fretta per tornare al momento opportuno).

Rosalia                          - (a Santoro) Non ci avete detto nulla dei ragazzi.

Santoro                         - Che ragazzi?

Bosalia                          - Ma come! Gli sposi! Siete stato dieci giorni fuori per loro, no?

Santoro                         - Eh! Altro che! Non sono cose che si possono dimenticare. Il da fare che dà un matrimonio! Tutto andrebbe liscio se non ci fosse la sposa... no, quella lì è necessaria, se non ci fossero le altre donne... Non basta mai nulla... Non sì finisce mai... La suocera, poi, con la sua aria contrita... Trattarla male non si può... e bisogna rispondere ai suoi terribili quesiti... «Credete che vostro figlio non pretenda questo? Credete che non pretenda quest'altro?... Voi che lo conoscete, credete che abbia degli scatti di collera?». Ma no! «Voi che lo conoscete»... Io lo conosco? Lo conosco sì, diamine, ma come faccio a sapere se avrà uno scatto di collera! Sono cose poi, che non riguardano un padre! Basta. Venne il momento della stazione. Questo dolce lo trovo squisito.

Conte                            - Anch'io.

Rosalia                          - Merito di Barberina.

Barberina                      - Non l'ho fatto io. L'ho sempli­cemente ordinato...

Rosalia                          - Dunque, viene il momento della stazione...

Santoro                         - Ah, sì! L'invocato momento! Per averlo troppo atteso naturalmente il treno è lì che non parte mai. I treni sono di una capar­bietà inqualificabile. Ma poi siccome tutto ar­riva... Osvaldo!

Conte                            - Dimmi!

Santoro                         - (sottolineando) Siccome tutto ar­riva a questo mondo, anche il treno si mosse... Addio, addio! «Non vi fate vedere per tre mesi, fate il vostro viaggio di nozze lunghissimo! ». Ora sono a Parigi. Da Parigi forse s'imbarche­ranno per l'India... Fa piacere, in questo mo­mento, pensare che possono essere partiti per l'India. Che siano felici, ma che di questa loro felicità io abbia notizie soltanto epistolari o telegrafiche...

Barberina                      - (dopo una pausa) Ha sempre quelle sopracciglia folte?

Santoro                         - Chi? Ah, mio figlio? Gli ho detto: «Radile... Non cercare di imitarmi in tutto!». Mi ha risposto: «Papà, me le hai fatte tu»... «Va bene, te l'ho fatte, ma tu ne abusi»...

(Barberina e gli altri ridono).

Conte                            - È strana questa specie dì intolle­ranza fisica, questa specie di avversione, si può dire, del padre contro tutto quello che sfiora la vita sensuale del figlio. Una sorta di pudore of­feso, una sorta di opacità tra i due esseri.

Santoro                         - (estasiato) Come è vero! Come è vero! (Le signore approvano). Badate che quel che ha detto è di una verità e di una profondità straordinaria! Bravo, conte! Io trovo che tu parli poco! Io trovo che tu non esprimi quel che hai dentro, mentre tu vivi una vita spiritual­mente vibrante e profonda. Forse, chi sa, sei troppo raffinato per rivelare il tuo vero essere!

Conte                            - Tu adesso esageri i miei meriti. Ma io ho tante volte riflettuto a quel disagio a cui ho accennato tra padre e figlio. Ho osservato, per esempio...

Santoro                         - (alle due signore che si mormorano qualche cosa all' orecchio) Zitte, zitte...

Conte                            - Ho osservato, per esempio, che tra madre e figlio è diverso. C'è da parte della don­na una sorta d'indulgenza.

Santoro                         - (muovendosi precipitosamente dal suo posto e mettendosi in piedi a fianco del conte) Com'è vero! Mi congratulo con te! Sei un osservatore profondo. Vedi, tu mi ti ri­veli! Se fossi una donna ti abbraccerei. Qui ce ne sono due che non lo fanno e hanno torto.

Barberina e Rosalia       - No, no, ammiriamo!

Santoro                         - (sempre rimanendo in piedi) Oh! Lei ammira. Senti? Ammira. E ha ragione. Ti assicuro che io non credevo che tu vivessi spi­ritualmente con tanta profondità. E ti rendo un po' umiliato il dovuto omaggio! Dico umi­liato perché avrei avuto il dovere di conoscerti meglio e perciò di non meravigliarmi adesso. (Dà un'occhiata a Barberina, poi torna lenta­mente al suo posto).

Rosalia                          - Sì, sta bene. Ma, dico io, dinanzi a un bimbo che disagio può provare un padre?

Santoro                         - Che c'entra!

Conte                            - Che c'entra il bimbo! Si parla di uomini.

Rosalia                          - Diventeranno uomini anche loro!

Conte                            - Diventeranno, non dico di no, ma intanto il miracolo è di essere fuori della pe­santezza umana. Quando hai un bambino in braccio tu non vedi il futuro ministro, il futuro commendatore?

Barberina e Santoro      - Ha ragione! Ha ra­gione!

Conte                            - Dunque vedete che i bimbi non c'entrano quando si parla di figli!

Santoro                         - Ah, sentite! Com'è vero! Com'è vero! Ma perché, scusa, hai l'abitudine di stare zitto? Ma non vedi le cose belle che dici? Barberina! Signora Rosalia!

Barberina e Rosalia       - (scuotendosi) Eh?

Santoro                         - Ma non avete sentito?

Rosalia                          - Abbiamo sentito!

Santoro                         - Ma Barberina!

Barberina                      - Eh, caro! Non mi fare impau­rire!

Rosalia                          - Lei diceva a me (accenna a Bar­berina) che il lago è sempre un po' triste.

Santoro                         - (seccato che la conversazione è svia­ta) Ma andiamo, via! Che c'entra il lago! Se è triste peggio per lui ITI lago è dell'umore di chi gli sta vicino. Per me, per esempio, que­sta sera, è allegrissimo.

Rosalia                          - Sì! Questa sera è di buon umore.

Barberina                      - Spiritoso.

Santoro                         - Chi?

Rosalia                          - Voi.

Santoro                         - (stizzito) Ma che c'entro io? È lui! (Accenna al conte). È lui che dice delle cose bellissime. (A Rosalia) E voi dite del lago? Eh? Voi siete di quelli che quando si trovano al lago dicono bene del mare, quando sono al mare elogiano la montagna! Che ne dice il con­te? È come se io, per esempio, mentre mangio I111 alla vostra tavola questa deliziosa pesca mi met­tessi a lodare l'uva. Che ne dice il conte? E che dirà la pesca?

Conte                            - È la cattiva educazione contro il paesaggio. Noi siamo ospiti, infine, dei luoghi, dove ci rechiamo, e quasi pretenderemmo che il lago si mettesse a fare il mare.

Santoro                         - (ride rovesciando un po' il capo sulla spalliera della sedia. Le signore lo imitano. A me quanto diverte quell'uomo!... (Fa di cenni con la mano per esprimere la sua ilarità)!

Conte                            - Ma se non ti piace un posto, non andarci! È proprio una maleducazione! (A Barberina) Volete una sigaretta? (Santoro l'offre alla signora Rosalia).

Barberina                      - Grazie. Stasera è la vostra be­neficiata. Avete detto delle cose giuste. Veramente siete un timido, è vero Santoro?

Santoro                         - (quasi arrabbiato) Oh! Altro che timido! (Al conte) Fa impressione per quanto sei timido! La vita non dà: essa offre occasione! di prendere. E se non afferri non hai! (Io! guarda).

Conte                            - (a sua volta imitandolo) Ecco, ecco! Hai detto una cosa vera... (Le signore approvano).

Santoro                         - (con violenza) Ma fammi il piacere! Ho detto una cosa che sanno tutti! Andiamo, via!

Barberina                      - Ma perché ti arrabbi?

Santoro                         - (riprendendosi, sorride) Io? No!

Barberina                      - (a Rosalia) Prendi il caffè?

Rosalia                          - Sì.

Santoro                         - Anch'io. (Al conte) Tu?

Conte                            - Sì. (Al cameriere) Quattro.

Cameriere                      - (via di corsa).

(Si alzano tutti e quattro contemporanea­mente).

Barberina                      - (sporge il viso verso Santoro come se volesse baciarlo).

Santoro                         - (schernendosi) Vorreste doman­darmi ancora se mi piace il dolce. Avete visto quanto ne ho mangiato! (Si siedono. Rosalia a parte, il conte a parte e Barberina e Santoro davanti).

Barberina                      - Che c'entra? Sei o no il mio fidanzato?

Santoro                         - Ma sì! Ammesso che si possa chia­mare fidanzato uno della mia età... Alla mia età si può commettere la follia di sposare una don­na, ma chi la commette non si chiama fidanzato. Si dice un imprudente, un pazzo...

Barberina                      - Ah, grazie!

Santoro                         - Non dico per voi. Voi siete una deliziosa donna. Chi sposa voi è un uomo av­venturato. Ma chiuda gli occhi, si nasconda, non passi per fidanzato neppure un momento! (/ camerieri servono il caffè. Santoro, mentre beve il caffè) A proposito, come passate la vita qui?

Conte                            - Passeggiate, gite sul lago. La mat­tina ci si alza presto.

Rosalia                          - Al levar del sole!

Barberina                      - Quasi...

Santoro                         - Benissimo!

Barberina                      - Naturalmente, la sera si va .a dormire con le galline.

Santoro                         - Ecco una cosa che non mi va.

Barberina                      - Vi piace andare a letto tardi?

Santoro                         - Sono le galline che non posso sof­frire. Andarci a letto, poi, deve essere odioso.

Rosalia                          - (si alza) Ragazzaccio! Certe volte mi sembrate proprio un ragazzaccio. (A Barbe­rina) Vado a prendere il cappello che ho lascia­to nella stanza tua.

Barberina                      - (si alza anche lei) Vieni, vieni. (Via entrambe a sinistra).,

Santoro                         - (animatamente) È venuta la tua ora!

Conte                            - (spaventato) Che succede? Hai qual­che presentimento?

Santoro                         - Ma no! Dico che è venuta la tua volta!

Conte                            - Senti. Ti ringrazio degli sforzi che fai. Ma vedi l'effetto...

Santoro                         - Ma come! Non t'ha detto che sei timido?

Conte                            - Sì!

Santoro                         - È lei che te lo rimprovera! Fatti avanti. Scuotiti. Crea qualche cosa. Strappale una promessa.

Conte                            - Si fa presto a dire!

Santoro                         - Intanto, io le parlo.

Conte                            - Ah! Questo piuttosto. Eccola là.

Santoro                         - Cerca di allontanarti un momento con la signora. Va' a vedere il lago con la luna.

Conte                            - Non c'è luna.

Santoro                         - Inventala.

Conte                            - E poi?

Santoro                         - Portala qua, ma dopo aver aspet­tato un quarto d'ora.

Conte                            - Sta bene. (A Rosalia e a Barberina) Non si fa una passeggiatala di dieci minuti?

Rosalia                          - (c/te ha il suo cappellino in mano) Io si, volentieri. (Guarda Barberina perplessa).

Barberina                      - Forse verremo anche noi.

Rosalia                          - Benissimo. (Sì avvia col conte).

Barberina                      - Caro, sei stato poco gentile con me, stasera. Devo sempre io rincorrerti, strofi­narmi a te!

Santoro                         - E tu sei stata poco gentile col conte. Un uomo come lui! Sai che è un uomo di prim'ordine?

Barberina                      - Sì, ma io che ci posso fare?

Santoro                         - Ti ama. Ti guarda estatico. Assa­pora le tue parole. Cioè le assaporerebbe. Ma tu non gliene dici una buona!

Barberina                      - Appena torna, per farti piacere, gli darò un bacio.

Santoro                         - Oh, brava! Ma non uno dei soliti baci fatui, dati all'aria, a destra o a sinistra, fuori le guance o ;n fronte. Non è mica tuo zio!

Barberina                      - Non posso baciarlo come ba­cio te.

Santoro                         - Perché?

Barberina                      - Tu sei il mio amante! Non sei il mio amante?

 Santoro                        - (scuotendo il capo) Ma... sì!

Barberina                      - È inutile. Quando mi prendi tra le braccia sei un altro.

Santoro                         - Lo puoi dire! Quando è poi che ti prendo tra le braccia? Quella volta!

Barberina                      - Quella volta, sì! Dieci giorni, fa!

Santoro                         - Sì, sempre quella volta. Hai sem­pre in mente quella volta!

Barberina                      - Se è stata la sola! Come posso aver in mente le altre?

Santoro                         - Sì, ma vorrei che la dimenticassi! Allora non ti conoscevo. Buio completo.

Barberina                      - Sì! So che ti piace il mistero! Ma perché, dimmi, ti piace non vedermi? Spin­gesti ancora più l'imposta da cui entrava un filo di luna.

Santoro                         - Io?

Barberina                      - Sì. E chi? Io?

Santoro                         - (riprendendosi) Sì... per il mi­stero! Quella canaglia... complicò le cose.

Barberina                      - Sì, fosti veramente una cana­glia! (Ride). Ti piace sentirti dare della ca­naglia?

Santoro                         - Tanto mi piace che me la do da me!

Barberina                      - Sì, ma quando te lo dice una donna che è la tua amante...

Santoro                         - Ascolta, Barberina.

Barberina                      - Ti ascolto!

Santoro                         - Io sono il tuo fidanzato, tu dici.

Barberina                      - Sì, sei anche il mio fidanzato!

Santoro                         - Aspetta che inghiottisca questa parola. Non riesco a mandarla giù.

Barberina                      - Bene. Passaci sopra.

Santoro                         - Da che mi sento tuo fidanzato, io ti guardo con altri occhi.

Barberina                      - (impaurita) Non ti far venire in mente l'idea di rispettarmi! Io non voglio essere rispettata!

Santoro                         - Sta' buona! Figurati se io ti ri­spetto! Io non ti rispetto affatto. Oh! Mettiamo a posto le cose.

Barberina                      - Va' pure avanti!

Santoro                         - Per una fìsima di vecchio senti­mentale... ti prego: aspettiamo di essere marito e moglie... Non è rispetto, ti dico... figurati se io ti rispetto!... È un sentimento mio... Vedi: io medito un viaggio... un viaggio lungo... che nessuno sospetta, durante il quale nessuno avrà notizie di me...

Barberina                      - Di noi, vuoi dire.

Santoro                         - Di noi. Un viaggio durante il quale a nessuno possa venire in mente di rag­giungermi.

Barberina                      - Raggiungerci, vuoi dire.

Santoro                         - Raggiungerci.

Barberina                      - Come sarà bello, attraverso pae­si sconosciuti, stare sempre attaccata a te!

Santoro                         - Tu sogni questo?

Barberina                      - Sì.

Santoro                         - Ebbene, sogna.

Barberina                      - Ho capito. Ma che vuoi con­cludere con questo bel programma? Che io debba essere tua sposa e poi...

Santoro                         - Sì.

Barberina                      - Non per rispetto...

Santoro                         - Macché!

Barberina                      - Per sentimento.

Santoro                         - Sì.

Barberina                      - (si è alzata. È tutta bella davanti a lui) Che t'ho da dire? Fa' come vuoi. Non voglio contrariarti.

Santoro                         - Adesso perché mi guardi così?

Barberina                      - Tu mi ami?

Santoro                         - Senti. Io ho tale tumulto, io ho tale confusione dentro di me che non mi racca­pezzo» Perciò non domandarmi se ti amo. E non seguitare a guardarmi in quel modo. Vorrei en­trare nella tua testa per capire a che stai pen­sando.

Barberina                      - Penso che non ti voglio con­traddire. Penso che forse è una cosa gentile per un uomo considerare la sua futura mogliettina con un sentimento come il tuo. Forse è bello, sì! Soltanto...

Santoro                         - Soltanto?

Barberina                      - Soltanto starò a vedere se tu hai la forza, questa sera, di non venire da me, quando sarà così facile per te, se mi ami, essere felice. Girare una maniglia... che cos'è girare una maniglia?

Santoro                         - Eh! So bene che cos'è! Pare fa­cile.

Barberina                      - Come, ce pare »?

Santoro                         - Pare.

Barberina                      - Certo che quando si hanno certe fisime in testa... Non ci dobbiamo sposare?

Santoro                         - Ma sì...

Barberina                      - E allora! Io mi considero tua moglie. La tua mogliettina giovane... Vedrai quanta gente t'invidierà! Vedrai i tuoi amici... «Ah! Ma guarda quel Santoro!... Guarda che bella mogliettina s'è presa!...». E questo ti rin­giovanirà, sai? È dimostrato che quando si sta vicino a una giovane...

Santoro                         - Dimostrato da chi?

Barberina                      - Per bacco, dalla scienza!

Santoro                         - Ah! Allora non c'è dubbio.

Barberina                      - Quando un uomo di una certa età... Posso dire che sei di una certa età?

Santoro                         - Per bacco! È il meno che tu pos­sa dire.

Barberina                      - ... Sta vicino a una mogliettina giovane ringiovanisce.

Santoro                         - E siccome tu sei troppo giovine avverrà questo: che io tornerò alla mia infan­zia... (Barberina ride). Figurati lo stupore dei miei amici! Mi prenderanno per mio nipote!

Barberina                      - (ride) Caro! Ebbene, senti. Io non ti dico più niente. Starò in attesa. Chiuderò gli occhi, al buio... Veramente non ci sarebbe bisogno di chiuderli...

Santoro                         - È quel che pensavo anch'io...

Barberina                      - Sì! Ma hai notato che, nel buio» non è piacevole tenere gli occhi aperti? Non sii sogna? Non si riposa? A che pensi?

Santoro                         - A che vuoi che pensi? Alla nostra situazione.

Barberina                      - Oh, amore mio, credilo! Il tuo sentimento rivela la tua delicatezza... Io ti sono grata... Ma io ti ho parlato sempre a nome dell'amore... La nostra storia è senza preludio.

Santoro                         - Ci siamo inabissati.

Barberina                      - È perciò che io non conosco altro linguaggio. Tu non me lo hai insegnato, amore mio... E io prego Dio che la nostra storia non abbia nemmeno epilogo...

Santoro                         - Scoppierà in aria.

Barberina                      - Preferisco.

Santoro                         - Per carità, non mi baciare...

Barberina                      - Hai paura? Scommetto che lai tua preoccupazione è il conte. Temi che arrivi, temi che ci veda...

Santoro                         - Ma che conte! Sono molto lontano I da lui in questo momento! Vedi... se non avessi la visione di quel viaggio... di quel lungo viaggio...

Barberina                      - Che faremo.

Santoro                         - Che faremo... Sarebbe da impaz­zire!

Barberina                      - Caro! Caro! (Lo bacia. Santoro si dibatte tra la delizia e l'orrore. Siccome ha un tavolinetto davanti a sé vi appoggia la fronte e rimane immobile. Barberina, sorridendogli, lo guarda; poi lo scuote, lo chiama) Giovanni!

Santoro                         - (alza il capo) Chi è Giovanni?

Barberina                      - Non ti chiami Giovanni?

Santoro                         - Ah, è vero! (Riabbassa il capo).

Barberina                      - Ecco il conte. (Santoro si scuote e si alza). E la signora?

Conte                            - S'è fermata nella sua stanza. Ora viene.

Barberina                      - (a Santoro) Guarda come man­tengo la promessa. (Sorride al conte). Abbiamo parlato di voi.

Conte                            - Di me? Quando si dice essere a corto d'argomenti!

Barberina                      - Non bisogna, non bisogna essere troppo timidi, remissivi e modesti.

Conte                            - Io timido? Sono tutt'altro che ti­mido. Anzi sono intraprendente!

Barberina                      - (ride sonoramente) Intrapren­dente lui! Se non mi ha mai dato un bacio!

Conte                            - Sì, sì! Ho tentato! Altro che!

Barberina                      - (canzonandolo) Ah! Tentato!

Conte                            - Non potevo baciarvi per forza!

Barberina                      - Datemi subito un bacio. (Il con­te le afferra prontamente il capo e la bacia). Ecco. (Lo bacia sulla bocca un istante).

Santoro                         - (tornato di buon umore, approva battendo le mani) Te lo dicevo io che sarebbe venuta la tua volta!

Barberina                      - Amici miei, non ho sonno, non sono stanca, ma ho voglia di distendermi sul letto. Sono stata tutto il giorno in piedi!

Santoro                         - (al conte) Hai portato la luna?

Conte                            - Macché! Non c'è stato mezzo di trovarla.

Barberina                      - Salutatemi Rosalia. Notte fonda.

Santoro                         - Fonda!

Conte                            - Che vuol dire?

Santoro                         - Vuol dire che tu non hai portato la luna. Perciò la notte ne subisce le conse­guenze.

Barberina                      - Avete capito? Buona notte!

(Via a sinistra).

Santoro                         - Ti ha domandato se hai capito.

Conte                            - Questa volta ho capito.

Santoro                         - (lo guarda) Un momento. Che cosa hai capito?

Conte                            - Mi aspetta.

Santoro                         - (spaventato) No! Ma no!

Conte                            - (corrucciato) Basta, neh?

Santoro                         - (stupito) Che cosa basta?

Conte                            - Basta con la tua tutela. Divento maggiorenne.

Santoro                         - Come età credevo che tu lo fossi da un pezzo. Come cervello forse è ancora pre­stino. Ma che hai intenzione di fare?

Conte                            - Perbacco, mi sembra che sia chiaro. Esco di tutela. Opero per mio conto.

Santoro                         - Spiegati.

Conte                            - Vado da lei. Vado a salutarla. Non è molto tardi.

Santoro                         - Ma tu impazzisci.

Conte                            - Ho detto che non accetto più con­sigli. Ti ringrazio di quel che hai fatto. Vera­mente non mi aspettavo da te tanta prova dì amicizia. Ma ora, tu lo capisci, sarebbe stupido da parte mia se, con un atto di energia, non provvedessi alla mia felicità. Che ne dici? Tu geloso non sei...

Santoro                         - Io?

Conte                            - Se sei suo padre! Sei ancora suo padre?

Santoro                         - Sì, ma un momento...

Conte                            - Sei o non sei?

Santoro                         - Sì, ma che vuol dire?

Conte                            - Mi hai detto che avevo torto a non mettermi in valore?

Santoro                         - E va bene!

Conte                            - Adesso devi gioire se, valorizzato da te, ne approfitto.

Santoro                         - Io mi metto qui di guardia, e una stupidaggine non te la faccio fare. Andare da lei! (Con terrore) Può credere che sia io...

Conte                            - Ma che mormori? Di che cosa ti dai pensiero? Vuoi spiegarti?

Santoro                         - Dico che se non ti comporti leal­mente...

Conte                            - Che c'entra la lealtà! M'hai detto che non devo fare il timido!

Santoro                         - E pensare che sono io che ti ho inventato! Pensare che non eri niente dinanzi a lei!

Conte                            - Vuole che io la sposi, capisci? Si vede che è decisa.

Santoro                         - Pensare che t'ho inventato io!

Conte                            - Del resto, sì torna come prima. Pri­ma che tu ci venissi tra i piedi, scusa, sai... prima che tu mi avessi inventato, non ero il suo fidanzato? Nulla dunque è cambiato. Addio, buona notte.

Santoro                         - Aspetta! Almeno questo atto di lealtà da parte tua!

Conte                            - Quale atto?

Santoro                         - Se vai da lei, devi dirle chiaro e tondo chi sei.

Conte                            - Udrà bene la mia voce! Ho già pen­sato al discorso che le voglio fare! E poi tu ti preoccupi inutilmente. Siamo due uomini vi­cino a lei, non è vero? E tu, come padre, sei escluso.

Santoro                         - E dalli con questo padre! Quando ti metti in testa una cosa non la finisci più!

Conte                            - Non sei il padre?

Santoro                         - Sì, ma una volta sola! Tu lo ri­peti troppe volte.

Conte                            - Non mi hai spinto tu a farmi avan­ti? E io mi faccio avanti.

Santoro                         - (smarrito) Oh, Dio, quella crede che sia io! Come si potrebbe fare ad evitarlo?

Conte                            - Che hai detto?

Santoro                         - (si avvicina al corridoio) Ma an­diamo, Osvaldo! Vuoi proprio disturbare la si­gnora Barberina? Non ti pare di averla già sa­lutata? È tardi, sai! È tardi!

Conte                            - Sta' zitto! No, non la disturbo af­fatto. Non penso neanche di disturbarla.

Santoro                         - (deciso) Va', va'! Qui veglio io.

Conte                            - Veglia, veglia! Ma sarebbe meglio che tu andassi a guardare il lago con Rosalia!

Santoro                         - Te Io do io il lago.

Conte                            - Buona notte.

Santoro                         - Va' al diavolo.

Conte                            - (a Rosalia, che entra dalla destra) Vi saluto, signora. Vado nella mia stanza.

Rosalia                          - E Barberina?

Santoro                         - Anche lei è andata a letto. Vi ha lasciato i suoi saluti.

Conte                            - Vado nella notte fonda.

Santoro                         - Sì, a farti cacciar via! (Conte via a sinistra. Santoro, tra se) Macché! Non oserà! Sono certo che non oserà!

Rosalia                          - E voi? Rimanete qui? Ahi! ahi!

Santoro                         - Niente ahi. Sedete voi pure, se non vi dispiace. Cosi non farete cattivi pensieri.

Rosalia                          - C'è tutta una notte per pensar male. Le prime ore possono essere di dolce at­tesa.

Santoro                         - Avete sonno?

Rosalia                          - No.

Santoro                         - Allora aspettiamo l'alba. Divento vostro prigioniero fino all'alba.

Rosalia                          - Anche dopo l'alba si può essere felici.

Santoro                         - Anche più in là. Fino al sole.

Rosalia                          - E poi?

Santoro                         - Poi prenderemo il caffè-latte.

Rosalia                          - Che strano uomo siete!

Santoro                         - A vedermi non è niente. Bisogne­rebbe tenermi per un mese. Allora si scoprireb­bero in me delle cose... delle cose...

Rosalia                          - Ci guadagnate a conoscervi bene?

Santoro                         - Molto.

Rosalia                          - E Barberina?

Santoro                         - Tutto rotto.

Rosalia                          - Badate che io so tutto, perché mi ha raccontato tutto.

Santoro                         - Un episodio.

Rosalia                          - Sì.

Santoro -                       - Quell'episodio.

Rosalia                          - Sì.

Santoro                         - Ma senza particolari.

Rosalia                          - No, no. Barberina è molto riser­vata. Vi ama, sapete?

Santoro                         - Non più! Quello che amava era un altro. Credete voi che l'uomo che vi ama sia quello che vi sta vicino? Si crede. Ma non è. Voi credete che il vostro vero marito sia quel tale direttore d'albergo con cui l'ho a morte perché mi fece fermare alla stazione e fu l'ori­gine dei miei guai? Ma neanche per sogno. Voi, per essere felice, dovete naturalmente sposare un altro, che chi sa dove sta.

Rosalia                          - Eh!Forse è così!

Santoro                         - Forse in questo momento il vostro vero marito coltiva il caffè nel Venezuela! Forse con un bastone lungo, in questo momento, sta frugando in un nido di termiti, in una foresta vergine del Camerum, mentre a pochi passi di distanza un airone rosato è lì lì per spiccare il volo verso il cielo. Chi lo sa dove si trova, in questo momento, il vostro vero marito!

Rosalia                          - È meglio non indagare.

Santoro                         - Brava. Avete un eccellente carat­tere. Oltre le tante altre cose che avete.

Rosalia                          - Ma se non vi siete neanche ac­corto di me! Sentiamo: che ho di bello?

Santoro                         - Eh! Parecchie cose! Non posso dirvelo se no voi le nascondete.

Rosalia                          - Ma come? Sono tutte esposte?

Santoro                         - Vi vedo tutta.

Rosalia                          - Oh, Dio! Bisogna che corra a mettermi sotto le coperte.

Santoro                         - Facciamo prima una passeggiata. Ma prima della passeggiata lasciate ancora che io rimanga in ascolto... di queste parole nuove, nostre... Sedete qui... La vostra amica non è entrata in nessun particolare, raccontando di me? È stata discreta? Meno male! Credetelo,! non c'è di meglio che stare insieme con una donna che non si aspetta grandi cose... Io, signora mia, sono passato a traverso un dramma che nessuno potrà conoscere e apprezzare perché abbiamo avuto tutte facce allegre e burle­sche e io poi, per mia natura, propendo più per il comico che per il tragico.

Rosalia                          - (stupita) Come? Ma quando è av­venuto questo? Qui? Oggi?

Santoro                         - Sì, anche oggi...

Rosalia                          - Io non mi sono accorta di nulla.

Santoro                         - Eh! Lo credo! Sono agguati tesi nell'ombra. Nessuno se ne accorge, anche a pas­sarvi vicino!... Una mistificazione, chi la vede? La si porta dentro, e tuttavia non c'è nulla chef più ferisca il cuore dell'uomo! (In ascolto) Non avete inteso nulla?

Rosalia                          - Io no.

Santoro                         - Neanch'io. Non trovate, voi, ili conte un uomo senza dignità?

Rosalia                          - Ma come! Questa sera lo avete[ esaltato! Per merito vostro ho avuto quasi l'im-E pressione che fosse un altro! Ce lo avete trasfigurato a tavola.

Santoro                         - A tavola, sì... Ma è senza dignitàlo stesso!

Rosalia                          - Eravate voi che gli davate l'anima vostra! Ma veramente non capisco perché voi! cercate di valorizzarlo agli occhi di Barberina, quando l'amante di Barberina siete voi.

Santoro                         - Lui se la sposa. Io non posso spo­sarla. Io non sarò mai più il suo amante.

Rosalia                          - Dite davvero? Chi sa che mistero mi nascondete!

Santoro                         - Lo credete un timido o un uomo I aggressivo e audace?

Rosalia                          - Oh, timido, timido...

Santoro                         - Timido, è vero? Un atto audace da lui è inutile aspettarselo.

Rosalia                          - Macché! È l'irresolutezza in per­sona!

Santoro                         - Ah, come capite bene gli uomini voi!

Rosalia                          - Credete?

Santoro                         - Avete una percezione così sicura!

Rosalia                          - Sì, ma non passeremo tutta la notte a occuparci del conte Osvaldo! Mentre ave­vate cominciato a essere così gentile con me...

Santoro                         - Sentiamo. Che cosa avevo detto?

Rosalia                          - Che io ho parecchie cose belle, ma non volete dirle per paura che io le na­sconda. Se io vi promettessi di non nasconderle?

Santoro                         - Siete proprio una deliziosa donna! Avete ragione: è un timido.

Rosalia                          - Chi?

Santoro                         - Quello là.

Rosalia                          - Ma io vedo una nube sulla vostra fronte.

Santoro                         - Una nube? Io non l'ho chiamata, Si sarà messa lì per conto suo. Non potete cre­dere quanto mi piacete.

Rosalia                          - Tutto a un tratto?

Santoro                         - Perché no? Chi è quell'imbecille che ha detto che per avere la grande gioia dell'amore bisogna essersi conosciuti da bambini? Ma che! Nessuno osa confessare che la vera, la grande gioia d'amore è una improvvisata della sorte!

Rosalia                          - Sicché, per voi, l'amore è una spe­cie di ardente curiosità?

Santoro                         - È sempre stato.

Rosalia                          - E qual'è la più bella curiosità dell'amore?

Santoro                         - Non posso dirlo. Vi conosco da poco tempo.

Rosalia                          - Ma come! Se avete detto che tutto deve essere improvviso!

Santoro                         - La più bella curiosità dell'amore è vedere... Vedere che occhi fa la donna nel momento in cui...

Rosalia                          - E se « il momento in cui » non arriva?

Santoro                         - Arriva, arriva! Una donna che non sia un mostro lo fa arrivare.

Rosalia                          - E se ella non ha quella inten­zione?

Santoro                         - Vuol dire che è proprio male­ducata.

Rosalia                          - (ride) Vi piaccio?

Santoro                         - Infinitamente.

Rosalia                          - L'eterna storia.

Santoro                         - È colpa nostra se non è stato in­ventato nulla di meglio? Io ho tanto cercato, sapete?, per vedere se avessero per caso inven­tato qualche cos'altro. Niente. Zitta.

Rosalia                          - Ma che state ascoltando? Voi par­late con me e la vostra attenzione è altrove.

Santoro                         - Avete ragione. È un timido.

Rosalia                          - Chi? Il conte?

(Si sente girare una chiave).

Santoro                         - (quasi con un grido) No! (Dopo litui pausa) È un mascalzone.

Rosalia                          - Perciò vi dico: non vi occupate più di lui!

Santoro                         - Altro che timido! Quello è un filone! Un filone! Uno di quelli che aspet­tano la preda al varco! Non so come avete fatto a giudicarlo un timido. Un audace, vo­lete dire! Un prepotente! Si comporta in modo bestiale!

Rosalia                          - Il conte? Può darsi. Vuol dire che mi sono sbagliata.

Santoro                         - Sì, va bene, cara. Ma non è bello.

Rosalia                          - Ma che importanza può avere per voi:

Santoro                         - (inorridendo) Quella crede che sia io! No... ora egli le parla. Lei lo scaccia. Macché! Non lo scaccia. Questo silenzio è ter­ribile. Che rumore vi è parso di sentire? Era una maniglia che girava o una chiave che chiu­deva?

Rosalia                          - Una chiave che chiudeva. (San­toro ride con amarezza). Andiamo, via, avete deciso di non abbandonare quella poltrona?

Santoro                         - Mi ci sono affezionato. Se volete ve la regalo. Ve la faccio mandare in camera!

Rosalia                          - Santoro! Santoro! Che pena è la vostra? (Pausa). Ditelo a me.

Santoro                         - È una pena come tante altre. La vita. Andiamo via. C'è la luna? Quello stupido non è stato buono a trovarla. Ma la luna si crea dal niente! Si fabbrica sul momento! Io ne avevo una, che tenni per tanto tempo chiusa nella vasca da bagno. Adesso non l'ho più.

Rosalia                          - Ve l'hanno rubata?

Santoro                         - No! Sono cose che non si rubano. L'avevo inventata io! È sparita.

Rosalia                          - Come spariscono le più belle cose.

Santoro                         - I sogni! Quando c'è chi li conta­mina! (Irato, volgendosi verso la stanza del conte) Nessuno rispetta nulla! Farabutti!

Rosalia                          - Ma Santoro! Svegliate la gente!

Santoro                         - Ah! È gente che non dorme. An­diamo, cara. Vi voglio bene. Siete molto gra­ziosa. (Le bacia la mano).

Rosalia                          - A chi volete bene? A me? Non ci credo. Ma è lo stesso.

Santoro                         - Lo vedete che siete deliziosa?

Rosalia                          - E non guardate più da quella parte!

Santoro                         - Vi siete accorta che guardo sem­pre là?

Rosalia                          - Sì! E sento anche le vostre la­crime!

Santoro                         - Le mie... (Ride). Ma che dite! Dove stanno?

Rosalia                          - Qui dentro. (Gli tocca il petto). Non è necessario che appaiano negli occhi!

Santoro                         - Sentite: è più facile che questa sera vediate la luna che le mie lacrime.

Rosalia                          - Chi sa! Non bisogna vantarsi trop­po. Può capitare a tutti. E adesso dove si va?

Santoro                         - Dove volete. Datemi la mano.»

Rosalia                          - È da mezz'ora che tenete la mia mano stretta nella vostra!

Santoro                         - Ah! È vero. Quante volte si ha nel pugno il proprio bene e non ce ne accor­giamo.

La voce del conte         - (discreta) Santoro!

Rosalia                          - La voce del conte!

La voce del conte         - Santoro!

Santoro                         - (turbato, irritato) E che vuole da me? Perché gli viene in mente di chiamarmi?-Che c'entro io adesso? Zitta. (Tenendo per mano Rosalia fugge a sinistra sospinto dalla voce che ancora chiama: «Santoro!»).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena. La mattina dopo.

Sulla tavola apparecchiata c'è l’occorrente per, la colazione mattutina. Il quarto cameriere me­sce il caffè e il latte nelle tazze che Santoro e Rosalia hanno davanti. Sono stati i primi a le­varsi. Tra di loro è quella comunità affettuosa che è sorella della tenerezza.

Santoro                         - Basta il latte.

Rosalia                          - Basta il caffè.

Quarto cameriere          - Ancora miele? Pane abbrustolito? Preferiscono altra cosa?

Rosalia                          - Per me basta.

Santoro                         - Anche per me. (Cameriere via a destra. Santoro, allegro) Preferite il pane ab­brustolito?

Rosalia                          - Preferisco voi.

Santoro                         - Al pane abbrustolito?

Rosalia                          - Anche.

Santoro                         - È molto, sapete. Badate a quel che dite!

Rosalia                          - So, so. Sono cosciente.

Santoro                         - Come tardano .a svegliarsi i no­stri amici in questo delizioso albergo!

Rosalia                          - Barberina fa il suo sonno d'oro con la testa reclinata sul cuscino. È pallida, chi sa perché.

Santoro                         - Scende dal letto con gli occhi semichiusi. Schiaccia il naso contro i vetri. Sba­diglia. La camicia sì ferma sui fianchi. Lei si stira. Vede il lago come una nube plumbea. Il paesaggio è cambiato. Perché è cambiato?

Rosalia                          - È il mattino. La nebbia copre il lago. Non lo sapete?

Santoro                         - (allegro) E a pochi passi da lei che succede? Il vecchio Santoro e la bella Ro­salia prendono il caffè-latte.

Rosalia                          - Rosalia pensa che Santoro è un uomo amabile, divertente, originale...

Santoro                         - Santoro pensa che Rosalia è una deliziosa donna. Gli occhi un po' pestati la fan­no rassomigliare a una bambinona sonnacchio­sa, le danno un'aria un po' casalinga. Chi sa poi che voleva da me il conte ieri sera. Avete capito da che parte veniva la voce?

Rosalia                          - Questo non l'ho capito. La signora adesso va a riparare a tutto questo disordine. Per fortuna mi avete detto che mio marito non è mio marito. Con che coraggio mi ripresenterei dinanzi a lui?

Santoro                         - Più ci ripenso e più sono persuaso che vostro marito è quello del Camerun.

Rosalia                          - Quello che fruga con un lungo bastone nel nido delle termiti? Credo anch'io.

Santoro                         - Deliziosa Rosalia. Cuore saldo. Anima semplice. Niente fisime.

Rosalia                          - Vado dunque a riparare alle in­giurie del mattino.

Santoro                         - Non le cancellate tutte. Lasciate in qualche posto il ricordo di me.

Rosalia                          - Dove?

Santoro                         - Dove vi pare, purché sia in qualche parte. (Rosalia se ne va a destra dopo averlo guardato e avergli sorriso). Deliziosa! Deliziosa! Deliziosa!

Conte                            - (dalla sinistra, di pessimo umore, guarda il suo amico fieramente) Chi?

Santoro                         - (lo guarda male) Oh, eccolo quali Fammi il piacere, non opprimermi con l'espressione verbosa della tua felicità! Fammi il piacere di non dirmi niente. Sono felice anch'io.! Lasciami in pace.

Conte                            - Che sia felice tu non stento a cre­dere. Ma se poi immagini che io ti debba esprimere la mia contentezza non so da che parte! cominciare.

Santoro                         - Accidenti! Ma che vuoi di più?! Non ti contenti mai! L'amavi, la vuoi sposare...!

Conte                            - Finiscila con la tua ironia. Vi siete! burlati stupidamente di me! Ma non credere,! caro mio, di aver fatto una cosa molto spiritosa. Avete fatto una cosa sleale e inutile.

Santoro                         - (indignato e stupefatto) Chi? Io?l E chi altri?

Conte                            - Sì, voi due! Tu e Barberina... Ti ho chiamato ieri sera... Non speravo che tu mi rispondessi...

Santoro                         - (ridendo) Ah, sì? Ma come? lo e Barberina?... Peccato che non è qui la signora Rosalia! Siamo stati insieme a passeggiare fino a tardi. Ah! Ma allora non è avve­nuto niente? (Allegro) Allora posso dirti che verrà la tua volta.

Conte                            - Sì. È venuta la volta che vi pianto e avrò il piacere di non vedervi più.

Santoro                         - Ma se ieri sera ho sentito, mentre ero qui a discorrere con la signora Rosalia, ho sentito girare la chiave.

Conte                            - Avrà lei girato la chiave. Si sarà chiusa dentro. Questo che vuol dire?

Santoro                         - (tra sé, allegrissimo) Indignata] che io non mi son fatto vedere, la poverina...

Conte                            - Si può sapere che cosa mormori? I Non ho conosciuto un uomo più falso di te. Sei impressionante! Perché lo fai, poi, non si sa. A che miri?

Santoro                         - Ma lo vuoi capire che Barberina è adirata contro di me? Lo vuoi capire che forse, quando mi vedrà stamattina, non rispon­derà al mio saluto o fingerà di non vedermi? Lo sai che ieri sera io le ho detto una quantità di parole spiacevoli? Lo sai che forse, adesso che ripenso al fatto della chiave, lei non mi guarderà neanche in faccia?

Conte                            - Non ci credo!

Santoro                         - Non ci credi? Non ci credi? Ma sai che comincio a offendermi? (Pausa). Sen­tiamo che cos'è avvenuto! Tu sei andato a gi­rare la maniglia...

Conte                            - Ma certo! La maniglia è anche gi­rata su se stessa, poverina, e si aiutava per quanto poteva, coi fianchi, ma la porta era ine­sorabilmente chiusa di dentro, lo non ho insi­stito. Sono troppo discreto, e già la cosa non mi piaceva...

Santoro                         - (confuso, arrabbiato) Ebbene, giu­dicherai del nostro incontro. Vedrai se quella mi guarda in faccia... (Si siede).

Conte                            - Vedremo, vedremo. Giusto, eccola qui.

Barberina                      - Buon giorno, conte! (Si avvi­cina a Santoro e gli dice appassionatamente) Buon giorno, caro! (Lo bacia con violenza sulla bocca, mormorando) Tesoro!... (via subito a destra).

Santoro                         - (rimane sbalordito. Non sa dire al­tro che) Ohilà... (e si porta le mani alla bocca rimanendo tutto mortificato, deliziato e stupefatto dinanzi al conte).

Conte                            - (stizzito, amaro) Infatti, non ti ha guardato neanche in faccia! Quello è il bacio della gratitudine, il bacio che vuol dire: ce Quan­to sei caro!». (Santoro accenna di sì). Ah! Ne convieni! (Santoro ancora accenna di sì, allun­gando le braccia). Meno male che ne convieni. Del resto, la cosa è troppo evidente. Ti di­sprezzo!

Santoro                         - (battendo una mano sulla gamba) È inutile! Più le tratti male, le donne...

Conte                            - (al colmo dell'ira) Basta, eh? Ba­sta! Impostore! (Via in fretta a destra).

Santoro                         - Ma no! Ma senti! Ma dove vai!... (Si è alzato di scatto e gli corre dietro).

Quarto cameriere          - (dalla sinistra) Non c'è. Era qui. (Si volge a sinistra da dove arriva Tul­lio). Suo padre non c'è. Vuole che lo cerchi?

Tullio                             - No. L'aspetto qui. Se lo vedete, anzi, non dite niente.

Quarto cameriere          - Vuole che le serva qui la colazione?

Tullio                             - Eh! Ho già fatto colazione. M'ha servito l'altro cameriere.

Quarto cameriere          - Ah! Ho capito. Posso andare?

Tullio                             - Vada, vada.

(Quarto cameriere, via a sinistra. Tullio pren­de da un tavolino una rivista e la guarda., Barberina, dalla destra, attraversa la scena in fret­ta per, tornare nella sua stanza. Le pare e non le pare che sia il figlio di Santoro. Voltando il capo una seconda volta si ferma incerta. Tullio si alza. Barberina gli si avvicina graziosamente, ma un poco perplessa).

Tullio                             - La signora Barberina...

Barberina                      - Il signor Santoro? Ah! Suo pa­dre la credeva a Parigi! È venuto a fargli una improvvisata? Ma bravo! Come va il matri­monio?

Tullio                             - Bene, bene...

Barberina                      - È venuto con la signora, natu­ralmente.

Tullio                             - Eh, sì! Per forza!

Barberina                      - Ah! Non si dice per forza...

Tullio                             - (correggendosi) Si dice: natural­mente...

Barberina                      - Ah! Ecco!

Tullio                             - E papà?

Barberina -                    - Ah! È da ieri qui... Sempre delizioso uomo. È arrivato ieri sera.

Tullio                             - Lo so.

Babrerina                      - Sa che prestissimo ci sposiamo?

Tullio                             - (preoccupato) Vi sposate? Vi spo­sate davvero?

Barberina                      - Ma come! Ci si sposa forse per burla?

Tullio                             - No. Credevo che...

Barberina                      - Lui è sempre un po' riluttante, a dire il vero: sempre per la storia dell'età. Ma se è così giovane! Lui non lo sa quanto è giovane! Più di lei! (Tullio allarga le braccia assentendo). Credo che alla fine del mese ci sposiamo. Pensi che lei diventerà... Che cosa diventerà?

Tullio                             - Niente diventerò...

Barberina                      - Come niente?!

Tullio                             - Barberina...

Barberina                      - Sì! Cominci pure a chiamarmi Barberina.

Tullio                             - (in preda a vivo orgasmo) Senta...

Barberina                      - Che mi vuol dire?

Tullio                             - Barberina, non so come dirle... Non ho il coraggio... Eppure devo! Devo! E devo dirlo subito, anche brutalmente!

Barberina                      - (spaventata) Eh? Oh, Dio! Che cosa ci può essere di così terribile?

Tullio                             - (guardandosi intorno) Guardi: le dirò solo una parola! Una parola che le farà capire tutto: Rirì!

Barberina                      - Non capisco...

Tullio                             - Rirì!

Barberina                      - (con un grido) No!

Tullio                             - Sì, sì, Barberina! Era necessario chiarire questa cosa... Io...

Barberina                      - Voi! Che cosa?

Tullio                             - Sì, io! Io!

Barberina                      - (drammatica) Quella volta... all'albergo...

Tullio                             - Sì... Sì...

Barberina                      - Non è possibile...

Tullio                             - Sì, sì, Barberina!

Barberina                      - (coprendosi il viso) Vi dico che non può essere! Non deve essere!

Tullio                             - Eppure è così!

Barberina                      - E vostro padre... sa?...

Tullio                             - Sì. Glielo dissi io! E perciò ha sempre cercato di ribellarsi alle vostre tenerez­ze... Il povero padre mio l'abbiamo messo alla tortura...

Barberina                      - Oh, Dio! C'è da diventar pazza! E perché suo padre si prese quella responsa­bilità?...

Tullio                             - Per non mandare a monte il mio matrimonio. O io o lui dovevamo essere il col­pevole e non c'era scampo con quella suocera terribile! S'è sacrificato... Tanto per voi...

Barberina                      - (irata, disperata) Ah! Per me era lo stesso, è vero?

Tullio                             - (confuso) Non volevo dire questo...

Barberina                      - (non sa riaversi dallo stupore) e proprio da impazzire:

Tullio                             - Ma egli non sa niente di questa notte...

Barberina                      - Oh! E io... e io... (Poi, risolu­tamente, lo guarda con gli occhi spalancati).

Tullio                             - Gli avete detto qualche cosa sta­mane?

Barberina                      - - No, ma il mio contegno... (Sem­pre lo guarda con ostilità).

Tullio                             - Non dovete giudicarmi con seve­rità... Dopo quella prima volta... Vi ho vista... Non ho avuto più pace. Sono pazzo di voi... Non per salvare mio padre dal pericolo di spo­sarvi... So che non l'avrebbe mai fatto... ma io non potevo... non potevo seguitare a fare il ladro... E tuttavia eccomi qui come un disgra­ziato che non può vivere senza di voi...

Barberina                      - (lo guarda ancora come per leg­gere dentro di sé) Io vi guardo...

Tullio                             - (tutto pieno di speranza mormora) Sì, sì!...

Barberina                      - Vi guardo per leggere dentro di me. È terribile...

Tullio                             - (le prende una mano, gliela carezza) Barberina, quello che la mia passione vi ha rivelato senza che io potessi mai parlare... il pericolo terribile in cui mi sono gettato rapi­nando una felicità che se io avessi chiesta non avrei mai avuto... ha messo in me tale tumulto che è impossibile descrivere... Barberina... (Si china a baciarle la mano). Barberina, non mi dite nessuna delle parole cattive che mi meri­to... perché, infine, ero io quello che per una strana avventura vi avevo avuta tra le braccia, ero io dunque quello che, sia pure nasconden­dosi, sia pure deludendo la vostra fiducia, ave­vo il diritto di avvicinarvi...

Barberina                      - (ritirando bruscamente la mano e guardandolo quasi con ira) Capite? Mi vergogno! Ho voluto ascoltarvi... Mi son lasciata prendere la mano... ho cercato di figurarmi di essere vicino a voi... ho misurato dentro di me il vuoto che mettevano le vostre parole appassionate... e vi dico che mi vergo­gno, e nient'altro!...

 Tullio                            - Oh, Barberina! È possibile? È possibile?...

Barberina                      - Andatevene! Partite! Non voglio vedervi... Avete rovinato... Oh, se sapeste che cosa avete rovinato!...

Tullio                             - Siete crudele, ecco! Crudele.

Barberina                      - No. Non voglio neanche essere crudele... Devo a voi una felicità smisurata.., ma che aveva un'altra faccia... Aveva altra ma­linconia... ed era per me, per me che non sapevo, illuminata da altro sentimento. Ed è lai faccia di uno che non può essere congiunto coni voi senza generare una specie di orrore! Capite! ora perché dovete andarvene?

Tullio                             - Me ne andrò... Ma non so come farò a vivere...

Barberina                      - Oh, vivrete! Non mi date a intendere delle storie! Avete una moglie sposata! da pochi giorni... Avete cominciato a ingannarla prima di essere suo marito... Non sarò! io che vi farò delle prediche... (Sorride). Me ne manca prima di tutto l'autorità... Ma c'è uni pudore anche per la dissolutezza... Ci sono dei limiti che non si possono varcare... Salutate vostro padre e partite. Anch'io partirò... Bisognai soffocare tutto e fuggire... fuggire... Lasciatemi, addio... (Gli porge la mano).

(Tullio gliel'afferra. Rimangono così nel mezzo della scena e si guardano. Lei gli sorride, come se sorridesse a un altro. Poi, nello stesso tempo, rapidamente, Barberina se ne va a sinistra e Tullio a destra. Arriva dal fondo, a sinistra, il signore dal soprabito che indossa lo stesso soprabito del primo atto, quello che servì a coprire Barberina sommariamente vestita).

L'uomo dal soprabito    - Cameriere! (Fa dei segni con la mano al quarto cameriere che ar­riva dalla destra).

Quarto cameriere          - Dica, signore.

L'uomo dal soprabito    - Senta. (Sta per chie­dergli qualche cosa quando arriva, dalla sinistra, molto accigliato, Santoro, il quale dà un'occhia­ta all'Uomo dal soprabito senza riconoscerlo e va a sedersi discorrendo da solo con aria corrucciata. Si vede soltanto la bocca che pronun­zia parole che non arrivano allo spettatore. L'Uomo dal soprabito, accennando a Santoro, dice) Anche lui mi sembra di aver visto. Senta, cameriere: il portiere non ha saputo dirmi nul­la ma le mie informazioni non possono avermi tratto in inganno. È venuta ad alloggiare qui una bella signora piuttosto alta...

Quarto cameriere          - Passano qui tante si­gnore...

L'uomo dal soprabito    - Bella, molto bella.

Quarto cameriere          - Qui sono tutte belle.

L'uomo dal soprabito    - Accompagnata da un conte... un conte dall'aspetto magro... sui cinquant’anni... Eppure quel signore lo co­nosco.

Santoro                         - (che intanto seguitava nel soliloquio, fa cenno al cameriere di dire di no).

Quarto cameriere          - No... no... Se non mi dice il nome... Vuol sedersi?... Vuol levarsi il soprabito?

Santoro                         - (fa un gesto di rabbia).

L'uomo dal soprabito    - Io, levarmi il sopra­bito? Sono tredici giorni che non me lo levo. La notte, quando dormo, mi fa da coltre... Dal­la mattina alla sera faccio tutto con questo so­prabito.

Quarto cameriere          - (smarrito, dà un'occhiata a Santoro che gli fa capire coi cenni che quello è pazzo) Oh! Bene, bene... È un voto che ha fatto...

L'uomo dal soprabito    - Un voto, sì... alla Bellezza! Ma, dunque, questa signora con que­sto conte...

Quarto cameriere          - Ah! Ho capito. Sono stati qui, infatti... Ma ieri sono partiti per Ve­nezia: se si metterà a passeggiare per piazza San Marco li troverà certamente.

L'uomo dal soprabito    - Ah, grazie! Mi ba­sta! Grazie. Tenga. Buon giorno. (Esce).

Quarto cameriere          - Poveretto! Ma è pazzo veramente?

Santoro                         - (distratto) Macché! No. È come noi. Io parlo da solo, lui non si leva il sopra­bito, quell'altro crede che io gli porti via la sua donna. L'unico che ci guadagna siete voi: quanto vi ha regalato?

Quarto cameriere          - Dieci lire.

Santoro                         - Per aver data una informazione falsa che pretendete di più?

Quarto cameriere          - Oh, sì, è vero! (Via di corsa).

Santoro                         - (sempre fissato nella sua idea) Se non fosse a Parigi, se non fosse - forse - in viaggio per l'India, direi: « Qui c'è lo zampino di mio figlio! ».

Rosalia                          - (dalla destra, indossa un delizioso abito da mattina) Con chi parlate?

Santoro                         - Con nessuno! Parlo con me stes­so! E non c'è verso d'intenderci! Io non capisco quel che gli capita. Lui meno di me. Ma lo zampino c'è.

Rosalia                          - Che zampino?

Santono                         - So io!

Rosalia                          - Ma volete sapere una cosa sba­lorditiva?

Santoro                         - (scattando) No! Per carità! Non voglio più saperne, di cose sbalorditive. Siate buona! Voi siete una donna così dolce e ripo­sante! Io vi voglio bene per questo!

Rosalia                          - Si tratta di Barberina.

Santoro                         - Che ha detto Barberina?

Rosalia                          - È venuta da me poco fa a farmi le sue confidenze. Mi ha detto che vi adora, che siete l'uomo che riempie la sua vita...

Santoro                         - (quasi raggiante) Ha detto così?

Rosalia                          - Ma sentite ancora... Nessuno me­glio di me sa dove voi siete stato questa notte...

Santoro                         - Sì... E lei?...

Rosalia                          - E lei mi ha confidato, con segre­tezza... che anche questa notte è stata con voi. O è fissata, o l'amore per voi la fa delirare, o vuole trarmi in inganno per qualche cosa.

Santoro                         - Il terribile invece è che non è fissata. Il terribile è che è stata con me questa notte, e tuttavia voi sapete che non è possibile..„

Rosalia                          - Andiamo! Volete burlarvi di me!

Santoro                         - Allora: « Cercare il figlio ». Girare il quadro da tutte le parti... Deve essere rincan­tucciato in qualche parte. Magari nella piega della mia giacca... Sapete quei disegni dove si cerca il cane o la capra? Cercare il cacciatore.

Rosalia                          - Ma che cosa vi fa supporre?... E, poi, che c'entra?

Santoro                         - (sempre seguendo la sua idea) Il bacio, il bacio! Il modo come mi ha baciato...

Rosalia                          - Tacete, eccola qua...

Santoro                         - Ah, sì? (Si alza). State attenta. Vi do la riprova...

Rosalia                          - Barberina!

Barberina                      - (confusissima) Ah, sei qui, cara?

Santoro                         - (le va incontro, l'afferra a se come se volesse baciarla. E la bacia infatti, ma Bar­berina gli porge con rapido gesto la fronte, come se fosse una sua figliola. Santoro, stupe­fatto, si volge verso Rosalia come per dire: «Non capisco». Senza togliere le mani dalle spalle di Barberina torna a baciarla, ma anche questa volta con rapido gesto Barberina ha abbassata la fronte. Santoro grida fuori di se) Mio figlio! Dov'è mio figlio?

Barberina                      - Non l'avete ancora visto? Era qui. Vi cercava. Con permesso... (Via a occhi bassi, a destra).

Santoro                         - (dopo aver seguito con la bocca aper­ta Barberina) Signora Rosalia!

Rosalia                          - Che volete?

Santoro                         - Mordetemi in qualche posto.

(Intanto Paolina è apparsa. Veniva in fretta, ma la scena a cui assiste la immobilizza, la fa rimanere come estasiata).

Rosalia                          - Mordervi?

Santoro                         - Sì, qui, l'orecchio.

Rosalia                          - (ridendo) Volete proprio?

Santoro                         - Sì. Grazie. Ho sentito. È per ac­certarmi che quello che succede è vero. È ades­so, a noi... (Si accorge di Paolina). Eccola là la sposa! Io l'ho messo al mondo, sta bene. Ma non è detto che io lo debba scontare in questo modo!

Paolina                          - (fa qualche passo avanti) Papà!... (Guarda, più ammirata che stupita, ora San­toro ora Rosalia).

Santoro                         - (a Rosalia, allargando le braccia) Papà! (A Paolina) Vieni avanti, vieni!

Rosalia                          - Buon giorno, signora. Sta bene?

Paolina                          - (senza smettere il suo contegno) Bene. Grazie. Come sono contenta di rivedere il papà! (Gli si strofina sul petto).

Rosalia                          - Auguri, signora! Vi lascio alle vo­stre espansioni! (Via a destra).

Paolina                          - Papà! Una nuova conquista? Ah! Come sono contenta di avervi sorpreso nell'in­timità!

Santoro                         - Ma che intimità!

Paolina                          - (sorridendo, deliziata) Vi facevate mordere l'orecchio!

Santoro                         - Ma no, stupida!

Paolina                          - Sì! (Lo guarda con civetteria). E l'altra? La vostra Barberina? Le avete qui tutte e due?

Santoro                         - Ma che «vostra Barberina»! Io vi domando piuttosto dov'è vostro marito!

Paolina                          - (sempre in estasi) Vi cercava!

Santoro                         - Mi cercava! Tutti mi dicono che mi cercava; io non mi sono mosso di qui! Tutti mi trovano e lui no!

Paolina                          - Eccolo qua.

Tullio                             - (si è fermato a una certa distanza) Papà!

Santoro                         - (fa gesti di ira come se volesse sal­targli addosso. Quello è pronto a darsi alla fuga) Io non so se sei impazzito!

Tullio                             - (va ad abbracciarlo) Papà...

Santoro                         - Ma quando siete venuti? Ma che volete da me?

Paolina                          - Ieri sera.

Santoro                         - Ah! E m'avevate cercato, eh? Inutilmente cercato? (A Tullio) Questo è bri­gantaggio, lo sai? Neanche i pirati cinesi fanno questo che tu fai! Io non li ho mai visti, quei manigoldi, ma non credo che sorpassino le tue piraterie.

Paolina                          - Volevamo farvi una sorpresa. Tul­lio ci teneva molto. Io invece non vedevo l'ora di vedervi.

Santoro                         - Ah! Tullio ci teneva molto? Ma dove lo fai tu il viaggio di nozze? Negli alber­ghi dove va tuo padre? Non potresti lasciarmi in pace?

Paolina                          - Lui subisce molto il vostro fascino. Come me!

Santoro                         - Tu sei pure un'esaltata. Ma c'è almeno in te una sorta d'ingenuità... Pazienza. (A Tullio) Tu, però, sei un fior di canaglia!

Paolina                          - No! Macché! Cerca d'imitarvi, ma non ci riesce. Che! Non vale una vostra unghia!

Santoro                         - Che ne sai tu, disgraziata! (Al figlio) Ad ogni modo sta' attento: guadagnarsi una cattiva reputazione con una donna qualsiasi può essere un danno riparabile, ma guadagnar­sela con la propria moglie è sempre un pericolo!

Paolina                          - Lui lo sa che sono pazza di voi.

Santoro                         - Quel che mi tocca sentire! E tu non ti ribelli? Non trovi che è una sudiceria questa promiscuità in cui mi stai trascinando,! questa confusione di donne, di sessi, di sensi! non capisci che questo non va?

Tullio                             - Sono molto colpevole, papà! (Piano) Ho confessato tutto a Barberina.

Santoro                         - (si alza con uno scatto, traballando va verso il figlio. Poi si volge a Paolina e lei dice) Lasciatemi solo con lui.

Paolina                          - Sì, papà! (Guarda estasiata Santoro e se ne va in fretta).

Santoro                         - Che le hai detto?

Tullio                             - Le ho confessato tutto. Ti adora, È rimasta molto colpita.

Santoro                         - È rimasta molto colpita?

Tullio                             - Ti adora.

Santoro                         - (che cerca di sviare la sensazione di giubilo data da quelle parole) Naturalmente,! è rimasta indignata.

Tullio                             - Mi ha imposto di partire. Ti[ adora.

Santoro                         - (sempre sviando la dolcezza che egli assapora segretamente) E tu?

Tullio                             - Ti chiedo perdono. Ho creduto al uno scherzo. S'è cominciato con una specie di farsa. Tu sai che la vita gioca di questi tiri. Ma poi ho visto che quella donna è assai diversa da quella che credevo e forse in principio credevi anche tu. Ho guastato qualche cosa, qual­che cosa che forse non nasceva senza di me e a cui io e tu potevamo collaborare. Ad ogni modo è un male che ho fatto a te. Ti adora.

Santoro                         - (estasiato, ma senza mostrarlo) La] vuoi smettere?

Tullio                             - Non sarebbe nata senza di me, ma poi è stata tua, tua forse nell'anima, l'ho capito poco fa, e io mi ci son trovato bestialmente congiunto. Ti adora.

Santoro                         - Senti, figlio mio. Quando vuoi partire per l'India?

Tullio                             - Non ho bisogno di denaro. Perciò puoi credermi se ti dico che partiamo veramen­te. Subito. Addio, papà. Ma credilo: è un do­lore!

Santoro                         - Tuo?

Tullio                             - Sì, papà. Perdonami.

Santoro                         - (lo squadra da capo a piedi) Se! almeno ti radessi quelle sopracciglia! È un fatto che tutti le notano.

Tullio                             - Non posso. È l'unica cosa con cui ti assomiglio!

Santoro                         - Ma perché, dico io, ti deve pia­cere tutto quello che piace a me!

Tullio                             - Perché ho grande ammirazione del tuo buon gusto! Sta di fatto però che tu piaci più di me!

Santoro                         - Addio, addio. Non parliamo di queste cose. (Lo bacia. Sono commossi). Addio, vattene.

Tullio                             - (a Paolina, che si affaccia dal fondo a sinistra) Saluta papà.

Paolina                          - Ho visto le valigie pronte. Si parte?

Tullio                             - Subito.

Paolina                          - (a Santoro) Venite con noi?

Santoro                         - No.

Paolina                          - Peccato.

Santoro                         - Via, via, abbraccia papà.

Paolina                          - Oh, si! (Lo bacia sulla bocca).

Santoro                         - (si divincola) Ma, insomma, via! (Al figlio) Senti: questa ci mancava.

Tullio                             - Anche lei ha una grande conside­razione di te. Ma è buona, in fondo. È una cara ragazza. Mi dedicherò a lei.

Santoro                         - Oh, Dio, ti ringrazio! Che al­meno una cosa saggia nasca!

Tullio                             - Vedrai, papà. (Gli fa addio con la mano. Anche Paolina imita quel gesto man­dando anche dei baci).

Santoro                         - Oh, Dio! Sarà vero, poi, che vi imbarcate subito? Sarà vero che andrete nell'India? A me che sia l'India non m'importa niente, purché sia un lungo viaggio.

Paolina                          - Oh, per me, se lui vuole, io lo seguo. Egli è padrone del mio corpo, il che mi lascia la libertà di pensare a chi voglio.

Santoro                         - (animatamente) Oh! In India! In India! ...

(Tullio e Paolina se ne vanno).

Rosalia                          - (dalla destra) Quei cari ragazzi sono partiti?

Santoro                         - Si! Quei cari ragazzi! Hanno det­to che partivano... Avevano l'aria di partire! Ma sarà poi vero? E se mi facessi preparare la valigia anch'io?

Rosalia                          - Anche Barberina va via.

Santoro                         - Chi ve l'ha detto?

Rosalia                          - Lei.

Santoro                         - Sicché tutto si sfascia. Voi li se­guite...

Rosalia                          - Per un po' di tempo. Venite an­che voi con noi!

Santoro                         - Buona idea. Ma se parte per sta­re lontana da me!

Rosalia                          - Credete? Ora vado ad aiutarla. Avrà bisogno di me.

Santoro                         - Che faccio io solo?

Rosalia                          - Se volete, le dico che siete qui solo. Ve la mando?

Santoro                         - No!

Rosalia                          - Sembrate un ragazzo. (Santoro accenna di no e rimane a capo chino). Avete paura di parlare con Barberina? (Santoro an­cora scuote il capo e non risponde).

Quarto cameriere          - (a Santoro) Permette? C'è la signora Cora che ha chiesto di lei. Se può favorire nella sua camera.

Santoro                         - (accenna di no col capo).

Rosalia                          - C'è anche il conte, di là?

Quarto cameriere          - Sì, signore.

Rosalia                          - Andate. Adesso penso io.

 Quarto cameriere         - (via dal fondo, a sinistra).

Barberina                      - Che ha capito il cameriere?

Rosalia                          - Che Santoro doveva venire da te!

Barberina                      - Mi ero immaginato che avesse capito proprio il contrario!

Rosalia                          - Vado io ad aiutarti per il baule?

Barberina                      - Sì, cara, mi fai piacere.

Rosalia                          - (via a sinistra).

Barberina                      - Santoro...

Santoro                         - Eh?

Barberina                      - Vostro figlio è partito?

Santoro                         - Pare.

Barberina                      - Oh, sì! Io gli ho parlato in modo che non può essere che partito.

Santoro                         - (come se volesse confidarle qualche cosa) È un disgra... cioè, un mascalzone.

Barberina                      - Mi sono vergognata dinanzi a lui. Mi sarei strappato il cuore. Adesso sento tanta pietà di me...

Santoro                         - Barberina!

Barberina                      - Siamo stati traditi tutti e due.

Santoro                         - Come avete ragione! Cerchiamo di ridere di quest'avventura. Ci sono casi ter­ribili nella vita che possono essere risolti solo comicamente. Affrontare il dramma è morire.

Barberina                      - Quel ragazzo pensava che io fossi legata a lui o che stessi per legarmi a lui irremissibilmente. Quando m'ha confessato che cosa egli era stato per me l'ho sentito subito staccato e senza dolore. Io l'avevo amato, sì, ma col vostro viso! Talvolta avevo sorpreso dei segni di terrore sul vostro volto, quando vi av­vicinavo e vi baciavo. Ora capisco quanto do­vete aver patito.

Santoro                         - Mi avete martirizzato un poco.

Barberina                      - Ora non c'è via d'uscita. Non possiamo ne riparare, né seguitare, ne voltarci indietro.

Santoro                         - Niente. Finirete con lo sposare il conte.

Barberina                      - Forse. Quello o un altro non m'interessa più.

Santoro                         - Glielo avevo detto che sarebbe venuta la sua volta!

Barberina                      - Mentre ero di là, sola, ho sen­tita una rivolta contro di me! Mi sono buttata nel letto a singhiozzare. Se potessi cancellare tutto, essere quella di prima e incontrarmi con voi...

Santoro                         - (cerca di volgere in ischerzo il tono del dialogo) Ah, ah! Sopra una collina fio­rita!

Barberina                      - Sì! (Sorride).

Santoro                         - Oh, eccovi sorridente! Ebbene, non vi accorgereste di me. E se io osassi anche seguirvi con lo sguardo voi pensereste: « Chi è quel signore attempato che mi guarda così sfacciatamente? Sarà uno dei soliti vecchi li­bertini... ».

Barberina                      - Oh, no! Adesso vi picchio!

Santoro                         - Bene, picchiatemi! (Barberina lo picchia nel petto, sui fianchi). Adesso che mi avete picchiato vi dico che se fossi stato un giovanotto e avessi fatto per mio conto quello che ha fatto mio figlio, ci saremmo amati e sa­remmo stati felici. La vita invece si vendica quando si cerca di deluderla.

Barberina                      - Chi lo sa!

Santoro                         - In quella fatale notte in cui be­veste troppo champagne e io vi trovai a dor­mire nel mio letto...

Barberina                      - Ma è la verità, questa?

Santoro                         - Sì. Io avevo fretta di partire e, dico la verità, dover andarmene mi dispiacque. Tuttavia vi confesso che la curiosità mi spinse a guardarvi. Avevate un viso da bambina. Con le labbra un po' sinuose e appena truccate mi sembraste quella che siete: bellissima. Allora osai una cosa che non avrei dovuto fare: vi sfiorai il volto con un bacio... qui...

Barberina                      - Qui.

Santoro                         - Sì. Ebbene, in queste giornate in­fernali in cui mi avete mezzo tramortito con l'espressione della vostra passione, e io sapevo quale ne era la fonte e avevo orrore di me...

Barberina                      - Povero amico mio!...

Santoro                         - ...Ebbene... io mi consolavo ri­cordando il vostro viso posato sul cuscino, con quell'aria di bimba triste. Con quella visione cancellavo tutto: i vostri baci infuocati che mi facevano traballare... cancellavo la rivolta che mi saliva di dentro... l'odio per mio figlio... E io vi porterò via così, com'eravate quella mattina, come voi foste per me solo quella mat­tina, Barberina! Eravate nel mio letto, l'unica volta che ci siete stata...

Barberina                      - Caro amore, io porterò via il sogno sciupato del nostro amore, e il sogno avrà il vostro volto, non dubitate! Solo un favore vi chiedo. Ma non lo giudicate una frivolezza.

Santoro                         - No, no. Dite pure.

Barberina                      - Rosalia non sa nulla della no­stra tragedia. Non le dite, no, non le dite che non siete stato il mio amante. Ditele che ci siamo tanto amati! In un certo senso è la ve­rità! (Piange).

Santoro                         - Se vi piace così, lo farò... Ma non piangete, via!

Barberina                      - (col pianto in gola) La vita ci ha traditi.

Santoro                         - Avete ragione.

Barberina                      - (piangendo) Sono tanto dispe­rata...

Santoro                         - Ma no, se volete essere come quella mattina non dovete piangere... Forse che piangevate nel sonno? Niente affatto!

Barberina                      - (asciugandosi gli occhi) Se tu non vuoi dirmi com'ero!

Santoro                         - Eravate quieta. Gli occhi non avevano traccia di lacrime...

Barberina                      - (se li strofina) Così...

Santoro                         - Né arrossati né gonfi! Se no coni facevate a essere bella?

Barberina                      - (sorridendo) Ci vorrebbe lai cipria.

Santoro                         - E neanche c'era la cipria, ve lui garantisco... La sola pelle bianca!

Barberina                      - Così come sono... (Si alza, sorride).

Santoro                         - Ah, bambina! Sei troppo giovine! Non sai che la vita è continuamente da aggiustare!

Barberina                      - Insegnami tu! Vorrei essere peri te come quella mattina!

Santoro                         - r- Lascia passare un po' di tempo,! Ci rivedremo con altri occhi. Ci guarderemo! col cuore sgombro.

Barberina                      - Rinnovarsi! Rifarsi!

Santoro                         - Solo che bisogna avere del tempo! dinanzi a sé per aggiustare e rifare. Tu ne hai tanto! Ma io, ormai, che vuoi che aggiusti?

Quarto cameriere          - Scusi, commendatori Santoro...

Santoro                         - Che c'è?

Quarto cameriere          - Suo figlio...

Santoro                         - (spaventato) Ah, per Dio!

Quarto cameriere          - ...ha telefonato alla Direzione, prima di partire per Chiasso, peri mandarle i suoi saluti.

Santoro                         - Oh, Dio! (Al cameriere) Voleva farmi prendere un accidente? (Barberina poggia la testa sul petto di lui come a difenderlo). Lo vedi, cara? Mio figlio ha rovinato E tutto. Ma senza di lui non nasceva neanche!? questo nostro dolore che ci portiamo in cuore! tutti e due e a cui nessuno di noi, forse, vorrai mai rinunziare... (Barberina, sempre tenendo il capo sul petto di lui, accenna di no). Anche! se nato da una beffa, un dolore non riesce mai a sporcarsi. Addio, Barberina.

Barberina                      - (smarrita, lo guarda) Addio...! (Poi se ne va a sinistra, sconvolta, senza voltarsi).

FINE