Miracolo

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MIRACOLO

Tre atti (cinque quadri)

Di NICOLA MANZARI

PERSONAGGI

IL RETTORE

ANDREA

TOMASO

FULGEN­ZIO

MARCO

PAOLO

ROBERTO

MARIA PRIMA

MARIA SECONDA

ANNA

L'OSTE

I QUATTRO

Oggi, in un città qualunque

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(A sipario ancora calato viene fuori Andrea. E' un bel giovane sui trent’anni, alto e robusto, vestito correttamente di scuro. Ha il pastrano e il cappello anch'essi neri e - particolare - il bavero del pastrano levato a coprirgli il collo. Tuttavia la sua espressiome non è quella di un uomo in lutto. Splende ansi nei suoi occhi una luce vivace, quasi ilare. E' sciolto e libero nei movimenti. Gira lo sguardo sulla platea sorridendo, poi si toglie il cappello, ma non in atto di saluto. Resta così, u capo scoperto, mentre patria con voce pacata).

Andrea                            - ; Buona sera... Prima di cominciare, de­sidero avvertirvi di una cosa. I miei compagni ed io starno preoccupati: non vorremmo che qualcuno di voi s'impressionasse nel vedere riuniti in iscena tanti 'di noi in una volta sola... e temesse quindi che i casi che vedrà qui rappresentati, per essere troppo legati ad un ambiente e a un modo di vita, fini­scano col non interessare tutti, cioè per non essere - in una parola - « teatro ». Perciò vi prego di aspet­tare a giudicare e di vedere, innanzi tutto, in noi degli uomini indipendentemente... sì, dall'abito cine portiamo. Perché... avrei dovuto dirvelo subito... (si toglie il pastrano...) io sono un sacerdote. (Ha in­fatti la redingotte caratteristica dei preti e il solino di celluloide...). E anche i miei amici lo sono, come potete constatare... (Il sipario si alza mostrando l'in­terno di una sacrestia in stile gotico con una grande vetrata'in fondo. In scena sono variamente disposti Tomaso, Paolo, Fulgenzio, Marco. Marco siede ad un tavolo sul quale è una scacchiera).

Andrea                            - Siamo infatti in un collegio. In un col­legio cattolico per le Missioni. Questo è il Collegio di San Paolo a... beh, è meglio nomi dirvi dov'è. An­che fra noi c'è gente suscettibile. Accontentatevi di sapere che è una delle Case del nostro Ordine sparse nel mondo. Sono duemilatrecentoundiei, per essere precisi. Tante, vero? Eppure non bastano. Ma altre ne sorgeranno un giorno. Noi ne siamo, in un certo senso, garanti. (Movimento degli altri attori) Ma t miei amici si agitano. Sono impazienti di esservi presentati. Beh, soddisfiamo la loro vanità. Ecco Marco. (Marcoi Si alza e s'inchina al pubblico) Ah, devo dirvi che questi non sono i nostri nomi, i nomi di battesimo, per intenderci. Tu, Marco, come ti chiamavi al secolo?

Marco                              - Gaetano.

Andrea                            - (al pubblico) Non vi pare che abbia guadagnato nel cambio?

Marco                              - Ho Scelto1 il nome di San Marco evan­gelista.

Andrea                            - (c. s.) Vedete? Anche il nome abbando­niamo con la famiglia e il resto. Ma è la Regola. E non si discute. Marco giura di avere una bella voce. (Al pubblico) Volete sentirla?

Paolo, Tomaso e Fulgenzio    - (insieme) Per ca­rità. No. Ce ne andiamo.

Andrea                            - (imidicandoli) Protestano, perché se Marco comincia,, non la smette più. Dalla mattina ci affligge con i suoi vocalizzi.

Marco                              - Sempre meno noioso del piffero di Ful­genzio.

Fulgenzio                         - Prego. Flauto non piffero. (Trae dalla tasca un flauto).

Andrea                            - Questi è Fulgenzio, asso della teologia e flautista di cartello.

Fulgenzio                         - (s’inchina).

Tomaso                            - ... E seccatore emerito!

Andrea                            - (indicando) Questi che ha parlato è Tomaso, il flebotomo della compagnia.

Tomaso                            - Macché fielbotamo! Sono medico io.

Paolo                               - Già, ma noni hai mai esercitato e la pra­tica la fai su di noi.

Tomaso                            - Dovreste ringraziarmi

Andrea                            - Approfitta della nostra rassegnazione in Dio per fare sui nostri corpi i suoi esperimenti.

Tomaso                            - (voltando le spalle seccato) Oh!

Marco                              - E quel che è peggio i suoi empiastri son fatti solo di erbe.

Paolo                               - Tutte le medicine possono ridursi a pochi elementi fondamentali e fra questi, in primo piano, le erbe. Perché la matura è più provvida e intelli­gente di noi.

Fulgenzio                         - Dì, se parlassi per te? (Tutti ri­dono).

Paolo                               - Intanto con questa faccenda delle erbe mi hai rovinato tutta la salvia.

Andrea                            - (al pubblico) Questi che si risente è il giardiniere del convento.

Paolo                               - (protestando) Giardiniere?

Andrea                            - Oh, scusa! Botanico. (Al pubblico) Già, è laureato in botanica. Doveva allevare le piante, ha finito col curare le anime. Ma tutti così noi: in­dirizzati a una attività, abbiamo finito col prati­carne un'altra.

Marco                              - Tu dovevi fare l'imbonitore.

Andrea                            - (al pubblico) Vedete? Nani mi perdo­nano di saper parlare. Perciò si vendicano affibbian­domi tutte le prediche: dell'anno.

Fulgenzio                         - Sentitelo! Abbiamo dovuto dargli tutte le prediche compreso il quaresimale.

Andrea                            - Abbiamo dovuto! Come se dipendesse da voi. (Al pubblico) Niente dipende da noi. Chi tutto regola è dispone qui, è un personaggio che an­cora non conoscete: il Padre Rettore. (Sottovoce) Oh, anche voi ne avvertirete la presenza. E' un uo­mo molto» degno, del resto, e ci vuol bene. Anche se sembra più attaccato all'Ordine che a noi. Così ci avete conosciuti tutti. Ah, dimenticavo... C'è un al­tro» di noi che adesso non è qui. E per ora nomi ve­drete... (Preoccupato) Già... è impedito.

Paolo                               - Perché non dici la verità?

Andrea                            - La verità? Qual'è la verità? (Al pub­blico) Non badate. Discutiamo spesso di ciò. In que­sti giorni noni si parla d'altro qui. Perché effettiva­mente si tratta di un caso preoccupante e forse... grave. Ma ve ne renderete conto voi stessi. E ora permettete che riprenda il mio posto. (.Siede al ta­volo su cui è la scacchiera) Stavo finendo una par­tita. La solita partita della sera. Sapete qual è la posta?... No, niente danaro. Non ne possediamo. Ohi perde, deve, andare a spegnere le candele della Chiesa giù. E per salire sull'altare c'è una scala così vecchia, così malsicura... Insomma ognuno di noi cerca di non perdere la partita.

Marco                              - E stasera invece toccherà a te. (Gli soffia una pedina).

Andrea                            - Te ne approfitti perché sono distratto.

Marco                              - Non cercare pretesti. (Gli soffia un'al­tra pedina).

 Paolo                              - (che osserva la partita) Eh, non c'è nulla da fare.

Marco                              - Dichiarati vinto.

Andrea                            - No.

Marco                              - Sei anche testardo.

Andrea                            - E tu noioso!

Fulgenzio                         - Un momento! (Fa cenno di star zitto).

Marco                              - Che c'è?

Fulgenzio                         - Ssttt... (Sta attento ad ascoltare. Anche gli aiìtri fanno attenzione) Non avete sentito niente?

Paolo                               - No.

Fulgenzio                         - Eppure... (Tutti tacciono ancora. Si ode appena distinto il rumore di un passo).

Marco                              - Sì. Hai ragione.

Tomaso                            -, S'è alzato.

Andrea                            - Ancora! (Tutti levano la testa ad ascoltare qualcosa che, proviene éalle stanze supe­riori).

Fulgenzio                         - Non si sente più.

Tomaso                            - Bisognerebbe rinchiuderlo.

Paolo                               - (in tono di Rimprovero) Tomaso!

Tomaso                            - Sì. Io resto della mia opinione. E la mia opinione conterà pure qualche cosa, no? Dopo tutto sono un medico.

Fulgenzio                         - Oh, voi altri medici...

Tomaso                            - Bravo. Proprio per non dare ascolto ai medici siamo giunti a questo punto.

Marco                              - Del resto il Padre Rettore dice...

Tomaso                            - Oh, il Padre Rettore parla per spirito di pietà. Ma è proprio qui l'errore. Nel caso suo... (indica il soffitto...) tenendolo fra noi, non gli fac­ciamo del bene. Forse lontano di' qui...

Andrea                            - (irritato, interrompendolo) In un ma­nicomio, vero?

Tomaso                            - Ecco. Anche tu ti lasci impressionare dalle parole. Cosa credi che sia un manicomio? Un luogo tetro come una prigione? Se invece io dico: «casa di riposo», pensi subito ad una villa, fra tanti alberi, bianca e ridente, dove uno spirito in­quieto ritrova la pace e forse la via della salvezza.

Andrea                            - No, non, è questo. Egli è un nostro compagno. Se fossimo già in una delle nostre mis­sioni, in Cina o in Africa, o altrove, lo abbandoneremo noi?

Marco                              - No. Di certo.

Andrea                            - (a Tomaso) Vedi?

Tomaso                            - Ma è diverso. Qui egli può essere mo­tivo di scandalo. E noi dobbiamo difendere l'abito che portiamo. Conducendolo in una clinica, lo di­chiariamo ufficialmente malato e quel che dice e fa non può toccare l'Ordine.

Fulgenzio                         - Tomaso ha ragione. Si è atteso ab­bastanza. Ormai egli è perduto.

Marco                              - Perduto? Cosa ne sai tu? Dio non ab­bandona mai le sue creature.

Tomaso                            - Dico « perduto » come intelligenza. H giudizio sulla sua anima non spetta a me.

Paolo                               - Ragazzi, se la smettessimo di parlare sempre su quest'argomento?

Tomaso                            - Se non vuoi ascoltarci, vattene.

Paolo                               - Prego, parlate pure se ciò vi diverte. (Si alza e va alla vetrata di fondo) Che bella notte! Al mio paese in queste notti si va a pesca con le lampare!

Andrea                            - Ecco il romantico! (A Fulgenzio) Perché non lo accompagni con il tuo flauto?

Paolo                               - (senza voltarsi) Ridete pure. Ma a pra­ticare la pesca occorrono pazienza e tenacia, due virtù cristiane.

Marco                              - Perché non pubblichi un manuale: «Della pesca quale avviamento allo stato di gra­zia? ». (Tutti ridono).

Paolo                               - (con un grido soffocato) Oh!

Gli altri                            - (subito seri) Che c'è?

Paolo                               - (indicando qualcosa fuori la vetrata) Là. Guardate. (Tutti accorrono verso la vetrata e guardano).

Andrea                            - Non vedo niente.

Tomaso                            - Dove?

Marco                              - Ma se non c'è nulla!

Fulgenzio                         - ^ Cosa hai visto?

Marco                              - Ma nulla. Cosa vuoi che abbia visto?

Fulgenzio                         - Continua a sognare ad occhi aperti.

Paolo                               - No. Vi dico. Ho visto benissimo.

Andrea                            - Ma che cosa?

Paolo                               - Un'ombra. Qualcuno è passato nel giar­dino. Pareva che i suoi piedi non calpestassero le aiuole, ma le sfiorassero soltanto.

Tutti                                 - (si guardano sbigottiti. Uno stesso pen­siero li domina).

Marco                              - Credi che fosse lui?

Paolo                               - Certo. Chi altri può essere a quest'ora?

Fulgenzio                         - Bisogna avvertire il padre Rettore.

Tomaso                            - (trattenendolo) Sai bene che non si deve. Potrebbe avere conseguenze funeste.

Paolo                               - Bisogna lasciarlo dunque andare e per­mettergli di ripetere quanto ha già fatto?

Marco                              - Il Padre Rettore ci ha proibito...

Tomaso                            - Il Padre Rettore! Il Padre Rettore! Non conosci altro ritornello? Non capisci che il ri­dicolo cade su tutti noi?

Fulgenzio                         - Noi? Cosa c'entriamo noi?

Tomaso                            - Credi che questi contadini sappiano distinguere fra noi e lui? Essi sanno solo che por­tiamo lo stesso abito.

Marco                              - Oh, partire, partire! Perché non mi destinano ad un continente qualsiasi, ma lontano mille miglia di qui?

Tomaso                            - Il Padre Rettore è troppo vecchio.

Andrea                            - Che vuoi dire?

Tomaso                            - (con voce lenta e pacata) Sì. E' giunto a quella stagione della vita in cui anche la fiam­mella della fede vacilla e... (Spaventato di quanto stava per dire, tace improvvisamente, coprendosi il volto con le mani) No, Signore; perdonami. Per­dona quest'orrendo pensiero.

Andrea                            - (scuotendolo furioso) Tu vuoi dire che il Padre Rettore fa un esperimento su di lui?

Tomaso                            - (non risponde con le palme sugli occhi).

Andrea                            - (scostandogli le marni dal volto) E' questo che hai pensato? Questo?

Tomaso                            - (con voce soffocata) Perdono.

 Andrea                           - (allontanandosi inorridito) Oh, sei giunto a... tanto!

Paolo                               - (intervenendo) Non tormentarlo. Egli non ha colpa. Siamo tutti con i nervi un po' scossi, dopo quello che è avvenuto.

Marco                              - Sì. Ma spetta al Padre Rettore interve­nire. E' lui il capo, no?

Fulgenzio                         - Ohi ti dice che egli non abbia già deciso?

Andrea                            - E' già trascorso un mese da quel gior­no... E non ha fatto nulla: tranne che ordinarci di pregare, di pregare perché Dio (con ironia) ricon­duca la grazia nel cuore del figlio traviato. Santo candore!

Marco                              - Oh, io rinunzio a mostrarmi in paese. Ho abbracciato l'Ordine per lottare, non per sof­focare nello scandalo.

Paolo                               - Ieri un vecchio m'ha fermato: « Padre, è vero che uno di loro s'è svegliato tocco e va in giro ripetendo d'essere l'Onnipotente? ». E' stato co­me se "una folgore mi colpisse. Rivedo quella bocca sdentata aperta nel riso che risorge in gola infre­nabile... sono scappato. Io sono scappato.

Fulgenzio                         - Eppure la regola contempla il caso in cui il Padre Rettore non provvede...

Andrea                            - Vorresti denunziare al Vescovo il no­stro. Rettore?

Tomaso                            - In qualche modo bisogna pur uscirne... (Essi sono così infervorati a discutere, che non si accorgono dell'ingresso del Padre Rettore. E' questi un vecchio ancora) agile e vigoroso doli capelli can­didi. Negli occhi splende una luce d'intelligenza pronta e vivace, mitigata da una continua volontà di umiliarsi).

Il Rettore                         - Figliuoli. (Tutti tacciono smarriti e si rivolgono verso il Rettore incerti se li abbia uditi o no. Il Rettore, non mostrando di notare il loro imbarazzo, continua) Non c'è nessuno stasera che scenda in Chiesa a spegnere le candele?

Marco                              - (felice di allontanarsi) Padre, vado su­bito io.

Il Rettore                         - No. E' inutile. Le ho già spente io.

Paolo                               - (mortificato) Ci scusi.

Il Rettore                         - Di che? Ero giù a pregare e mi è parso naturale pensarci da me.

Fulgenzio                         - (sincero, con affetto) Non dovrebbe salire da solo su quella scala.

Il Rettore                         - Perché? Dio non mi lascerebbe mai cadere proprio mentre lo servo.

Fulgenzio                         - (incerto) Già...

Marco                              - Era in Chiesa, Padre?

Il Rettore                         - (bonario) Non l'ho forse detto?

Marco                              - (consultando gli altri con un'occhiata) Ah, ecco perché...

Il Rettore                         - Cosa?

Marco                              - ...perché non ha visto...

Andrea                            - Pochi minuti fa s'è alzato ed è uscito. Sì, ha attraversato il giardino di corsa. Vero?

Paolo                               - Sì. L'ho visto proprio io. E se devo cre­dere ai miei occhi era ancora... semsvestito.

Il Rettore                         - Ah!

Fulgenzio                         - S'è allontanato in direzione del pae­se. Stavamo appunto per avvertirla.

Paolo                               - (prendendo coraggio) E volevamo anche chiederle se non fosse il caso...

Marco                              - (venendogli in aiuto) Si pensava... dato che, insomma, Tomaso  era dell'opinione...

Il Rettore                         - (core occhi freddi fissa Tomaso) Perché, lei ha un'opinione in merito?

Tomaso                            - Oh, soltanto come medico. Non mi permetterei mai...

Il Rettore                         - (senza più badargli, si rivolge agli al­tri) E' proprio di questo che volevo parlar loro.

Paolo                               - (con un sospiro dì sollievo) Oh, bene.

Marco                              - Padre, in quel che possiamo...

Fulgenzio                         - Ci comandi!

Il Rettore                         - (freddo) C'è qualcuno che ha av­vertito il Vescovo!

Andrea                            - (a Tomaso, scattando) Tu. Sei stato tu.

Tomaso                            - Io?

Andrea                            - Sì, hai voluto...

Il Rettore                         - (interrompendolo) La prego. (Sot­tolineando) C'è stato qualcuno... in paese, oh queste brave donne sono così edificanti nei loro propositi di fare del bene, che ha informato il Vescovo. E sua Eccellenza mi ha chiesto un rapporto scritto, riser­vandosi di decidere sul « caso » conformemente ai canoni di Santa Madre Chiesa.

Andrea                            - (con un sospiro di sollievo) Oh, sua Eccellenza non potrà che decidere per il meglio.

Il Rettore                         - Infatti. Perciò come misura cau­telare mi ha ordinato la sospensione « a divinis » del nostro « malato ».

Tomaso                            - Mi pare che sia giusto. Come può ac­costarsi all'altare un sacerdote che non ha più co­scienza di quello che fa?

Il Rettore                         - (con una sottilissima ironia) Giu­sto. Coscienza.

Marco                              - Sa, Padre, cosa ha fatto ieri? S'è posto sul ciglio della strada e ha cominciato ad affrontare tutti i carrettieri di passaggio: «Salvati! Salvati! Dio è con te! ». I cavalli che quasi lo schiacciano; il fango sul volto e sulle mani... urna scena disgu­stosa.

Il Rettore                         - Capisco.

Fulgenzio                         - E stasera dove sarà andato così... svestito?

Tomaso                            - Delirio deambulatorio. E' un caso ti­pico.

Il Rettore                         - (c. s.) Evidentemente.

Paolo                               - Povero Roberto!

Marco                              - Lui così vigile e discreto in ogni suo gesto!

Paolo                               - Comprendiamo quanto deve riuscire pe­noso a lei che ci ha sempre seguiti con affetto.

Il Rettore                         - Infatti.

Tomaso                            - Ma bisogna rinchiuderlo. Si convinca, Padre.

Il Rettore                         - E' proprio di questo che volevo parlar loro. Poiché un caso così insolito' investe pro­blemi di coscienza oltre che di regola monastica ho voluto che la mia risposta al Vescovo fosse concor­data con loro.

 Tomaso                           - Con noi?

Il Rettore                         - Sì.

Tomaso                            - Ma...

Il Rettore                         - Capisco i loro scrupoli. Dovrei es­sere solo a decidere. Così vuole la regola. Ma io sono vecchio e forse mi può far velo l'affetto che porto a tutti loro e a « lui » adesso in particolare. Perciò prego loro di venirmi in aiuto. Quando si è giovani, come loro hanno la fortuna di essere, si è forse più vicini alle verità della fede e si può scor­gere là dove noi, stanchi per gli anni e le lotte, forse non vediamo più. Non respingano questa mia preghiera. Cerchino di vedere con me nell'animo di colui che fino a ieri fu loro amico ed oggi attende dall'autorità della Chiesa la sentenza che lo per­derà in eterno o lo riaccosterà più a Dio. Mi aiutino a vedere ed k» pregherò per loro con tutte le mie forze sino alla fine dei miei giorni.

Tutti                                 - (sono commossi e sì guardano).

Marco                              - Padre, è una tremenda responsabilità che ci assumiamo.

Il Rettore                         - Le responsabilità nel nostro mini­stero non si possono eludere. Questo li fortificherà per il futuro, quando in qualche angolo sperduto del mondo saranno soli a decidere.

Andrea                            - ... E sia.

Il Rettore                         - Sapevo che non avrebbero rifiutato. Grazie. Vogliono sedere? (Indica loro le sedie).

Tutti                                 - (seggono in circolo).

Il Rettore                         - (siede solo ad un tavolo. C'è un si­lenzio solenne. Il Rettore con calma trae dalla tasca dei fogli e una matita e li dispone innanzi a sé) Innanzi tutto il Vescovo attende di conoscere come si sono svolti i fatti'. Il fatto, quand'è obbiettiva­mente considerato, è l'elemento base del giudizio. Dunque... chi era accanto a Padre Roberto quella mattina?

Paolo                               - Io.

Il Rettore                         - Padre Paolo. (Scrive, qualche cosa).

Paolo                               - (si agita sulla sedia).

Il Rettore                         - (a Paolo) Allora, figliuolo? (Resta in attesa).

Paolo                               - (si fa forza) Ecco. Roberto aveva tra­scorso, la notte innanzi a pregare.

Il Rettore                         - Tutta la notte?

Paolo                               - Almeno fino a quando mi addormentai. Dal mio letto lo vidi inginocchiato, pregare con il solito fervore. Faceva così tutte le sere. La cosa non poteva meravigliarmi.

Il Rettore                         - Certo.

Fulgenzio                         - Aveva l'abitudine di pregare per molte ore con le ginocchia sul pavimento, estate e inverno. (Pettegolo) Ha due piaghe proprio qui. (Indica le ginocchia).

Il Rettore                         - (duro) Questo non interessa.

Fulgenzio                         - (confuso) Credevo.

Il Rettore                         - (c. s.) Stiamo ai fatti. (A Paolo) Notò nulla di strano nel suo contegno?

Paolo                               - No. Avevamo discusso a lungo durante il giorno. (Indica gli altri) C'erano anche loro.

Tomaso                            - S'era parlato di una questione di teo­logia.

Il Rettore                         - Cioè?

Andrea                            - Se nel sacrificio dell'Eucarestia il cor­po e il sangue di Gesù Cristo si separino mistica­mente. Roberto sosteneva di sì, perché Cristo in persona disse prima: «Questo è il mio corpo! » e poi: «Questo è il mio sangue! ».

Marco                              - Noi stavamo con i Santi Padri. L'Eu­carestia è un tutt'uno inscindibile. Vero, Padre?

Il Rettore                         - (non risponde").

Paolo                               - Roberto si accalorò nella disputa e a un certo punto sembrò irritarsi.

Fulgenzio                         - Sì. Egli sosteneva sempre con molto calore le sue idee.

Paolo                               - Ricordo che disse: «lo sento...» - pro­prio così - « io sento quando celebro la Messa che prima il corpo poi il sangue di nostro Signore scendono in me ».

Il Rettore                         - Null'altro?

Paolo                               - L'indomani mattina, quando scendem­mo in Chiesa, ci parve come gli altri giorni vivace, pronto, persino allegro.

Andrea                            - Io ero accanto a lui sull'altare. Gli vidi chinare la fronte all'Elevazione e posso affer­mare che ancora in quel momento i suoi occhi erano quelli di un uomo normale. Un attimo dopo, quando rialzò la testa, nel suo sguardo c'era... il vuoto. Qualcosa s'era rotto in lui. Mi guardai in­torno spaventato. Ma i fedeli non s'erano accorti di nulla. Andò innanzi con gesti meccanici fino alla fine della Messa. E poi... ma quello che ha fatto dopo, lei lo sa!

Il Rettore                         - (dopo una pausa) Così che lei so­stiene che la frattura si è operata in lui al mo­mento dell'Elevazione.

Andrea                            - E' quello che pensiamo tutti.

Fulgenzio                         - E quest'è terribile, Padre. Che Dio abbia scelto proprio il momento in cui si fa corpo per folgorare così sull'altare il migliore di noi...

Tomaso                            - Dio? Che c'entra Dio? E' un fenomeno di autosuggestione. I manicomi son pieni di gente che si crede qualcuno: Napoleone, Cesare... il no­stro povero amico si crede addirittura (si fa la croce) Cristo!

Il Rettore                         - Loro, medici, hanno il privilegio di saper ricondurre tutte le manifestazioni eccezio­nali nell'ambito dei fenomeni naturali...

Tomaso                            - (scandagliando) E lei no?

Il Rettore                         - (secco) Son qui per rispondere al Vescovo. (Altro tono, dolce) Solo mi domando: se Francesco, Agostino, Domenico tornassero oggi a predicare alle folle non li rinchiuderebbero in un manicomio, come lei suggerisce?

Paolo                               - Padre: Francesco, Agostino, Domenico erano dei slamiti!

Il Rettore                         - (dolce) Dopo la loro morte, figliuo­lo. Dopo la loro morte. La Chiesa li ha canonizzati dopo, non quand'erano in vita.

Fulgenzio                         - Certo. La Chiesa ha dettato norme precise per accertare le virtù eroiche dei suoi figli. Il codice canonico stabilisce...

 Il Rettore                        - Giusto. Il codice canonico, il Con­cilio di Trento... Per fortuna quando Francesco, Agostino, Domenico, operarono, il Concilio non s'era riunito e il Codice non era stato promulgato.

Tomaso                            - (scattando) Allora qualunque impo­store...

Il Rettore                         - Lei ha ragione... Ecco perché la Chiesa s'è cautelata. Ci sono le leggi, il Codice e ormai tutto è regolato, predisposto, definito... Ma non bisogna poi lamentarsi se non ci sono più santi.

Marco                              - I santi sono esseri eccezionali.

Paolo                               - In compenso ci sono molte anime buone.

Il Rettore                         - Infatti sono le anime buone, come lei dice, che fanno la forza della Chiesa. Ma non divaghiamo... (Di dentro una voce concitata e un rumore di passi che si avvicinano).

Anna                                - (di dentro) Padre, padre!

Il Rettore                         - (alzandosi) Chi è?

Anna                                - (entra in iscena quasi di corsa. E' una, donna sui quarant’anni ancora forte e robusta. Ca­pelli neri. E' sconvolta. Si ferma un attimo diso­rientata perché trova tutti i preti riuniti) Oh, sono tutti qui!

Marco                              - (affrontandola) Chi vi ha lasciato en­trare?

Anna                                - (non gli bada e va verso il Rettore) Pa­dre! (Ma è tanta l'emozione che non riesce a parlare).

Paolo                               - Buona donna, non vedete che il parroco è occupato? Uscite.

Anna                                - No. No.

Il Rettore                         - Un momento. (Alla donna) Figlia, avete bisogno di qualche cosa?

Anna                                - Io? No. No.

Fulgenzio                         - C'è l'orario per i parrocchiani. Tor­nate domattina.

Il Rettore                         - La lasci parlare.

Anna                                - Mia figlia! Mia figlia!

Il Rettore                         - (con sentita tenerezza) Sta forse peggio?

Anna                                - No. Non è questo.

Il Rettore                         - Calmatevi. Sedetevi.

Anna                                - Mia figlia. Padre Roberto....

Il Rettore                         - (colpito) Ah!

Paolo                               - Ecco. E' andato da lei. (Agli altri) Non vi ho detto di averlo visto uscire?

Anna                                - Sì. E' stato lui.

Il Rettore                         - Raccontate con calma.

Anna                                - Ecco. Mia figlia era a letto come sem­pre... Son tredici anni domani, povera figlia, dac­ché le venne l'attacco. Io l'avevo appena vestita per la notte... Tutte le sere lo faccio. Da sé non potrebbe... Un tronco, vi dico, un tronco...

Il Rettore                         - (con pietà) Lo so. Il Signore ha voluto così.

Anna                                - No. Non più. « Lui » ha aperto la porta... e dalla soglia le ha detto: «Maria, hai aspettato troppo. Alzati! Andiamo! » E mia figlia ha detto soltanto: «Sì, Padre Roberto». S'è buttata giù dal letto da sé, da sé... ha preso lo scialle e se n'è an­data con lui... Cammina! Cammina! Dio onnipotente! (Si inginocchia al centro della scena pic­chiandosi il petto) Mea culpa. Mea culpa. Mea culpa.

Marco                              - (prendendola per il braccio) Su, via... Alzatevi!

Anna                                - Sono un'indegna peccatrice. Ma il Si­gnore ha avuto pietà di tutte le mie lacrime...

Il Rettore                         - Il Signore ha sempre pietà di noi.

Tomaso                            - Padre, con tutto il rispetto, ma non mi sembra opportuno secondare questa povera donna.

Anna                                - (scattammo) Povera? Perché, se il Si­gnore ha voluto visitarmi? (Con furia) Tutto il paese deve sapere. Tutti. E della camera di Maria vaglio fare una cappella. Si, sì. Tutti devono pas­sare per la soglia dove « Lui » è passato. Devono venirci in pellegrinaggio anche di lontano. Sì. De­vono farlo.

Tomaso                            - (indicando la donna con ironia) Vede?

Anna                                - (al Rettone) E lei consacrerà la cappel­la. Darò tutte quello che serve. Venderò anche la terra, se occorre. Tanto ho braccia forti e posso lavorare ora che lei è risanata. Padre, fate tutto quello che occorre. Scriva a Roma. Scriva al Ve­scovo. Io non m'intendo di queste cose. Ma ho fidu­cia in lei. Perciò sono venuta.

Il Rettore                         - Sì, figlia. Vedremo.

Anna                                - Non è lei, il nostro Parroco? E dunque spetta a lei far riconoscere il miracolo.

Tomaso                            - Adesso basta!

Anna                                - Che?

Tomaso                            - Sì. Cosa credete che sia la Chiesa? Una bottega per accreditare le vostre frottole?

Il Rettore                         - Le proibisco.

Tomaso                            - (che non si domina più) No. In ma­teria di fede lei non può proibirmi o impormi nulla. Solo il Sant'Ufficio lo può. Noi abbiamo ubbidito quando ci ha ordinato di lasciare libero Roberto, abbiamo ubbidito quando ha dato i primi segni di squilibrio, abbiamo ubbidito sempre, ma non sop­porteremo che adesso giunga a metter su tutto il villaggio con codeste sciocchezze!

Anna                                - (che cerca di capire) Ma di chi parla?

Marco                              - (spingendola;) Niente. Niente. Andate pure.

Anna                                - (ostinata) Ma parla di Padre Roberto!

Tomaso                            - Certo. Di chi volete che parli?

Anna                                - Padre Roberto è un santo!

Tomaso                            - (fuori di sé) E' un demente. Ecco che cos'è. E se voi non lo sapete...

Paolo                               - (intervenendo) Via. Calmati!

Anna                                - (al Rettore) Padre Roberto un... Oh, Padre, gli proibisca di bestemmiare.

Marco                              - (trascinandola via) Andiamo. Andiamo.

Anna                                - Parlare così, e un sacerdote! Ma io so quel che lo irrita. E' invidia. Sì. Perché Padre Ro­berto è capace di far miracoli e lui no.

Tomaso------------------ - (c. s.) Ecco la religione ridotta a trap­pola per i gonzi. E' questo il suo ideale sacerdotale, Padre Rettore? E' questo? Ebbene può essere soddisfatto. Questa sua parrocchiana le darà gloria e prestigio!

Fulgenzio                         - Adesso non sai più quel che ti dici.

Paolo                               - (al Rettore) Lo scusi, Padre.

Il Rettore                         - (calmo) Il Signore lo perdoni, co­me io lo perdono.

Tomaso                            - (gridando) No. Nessun perdono. Se ho peccato che io sia punito. Se ho mancato verso il mio superiore che io sia condannato. Ma se volere Che la Chiesa torni alle fonti divine e ripudi tutte le superstizioni, le stregonerie, i fanatismi che la Credulità popolare si ostina a gettarle addosso, non è peccato: ebbene sia invece condannato chi scam­bia la Chiesa per una bottega e l'abito per un mantello da prestigiatore. (In questo momento alto solenne il suono dell'organo che invade la scena quasi a coprire le parole. E' il «Te Deum». Tutti si guardano stupefatti)

Il Rettore                         - Chi suona a quest'ora?

Paolo                               - Chi vuole che sia? Roberto. Non c'è nessun altro fuori.

Anna                                - (estatica) Oh, Padre Roberto!

Il Rettore                         - (ad Anna) Smettetela. (A Marco) E lei scenda in Chiesa. Lo porti via. Non ci man­cherebbe che mi trascini qui tutto il paese a quest'ora!

Marco                              - Vado, padre. (Corre via).

Il Rettore                         - (a Fulgenzio) Vada anche lei. E' meglio.

Fulgenzio                         - Sì. (Corre via).

Tomaso                            - Ecco un'altra trovata del nostro santo.

'Il Rettore                        - Taccia. Taccia, per carità. (Si prende la testa fra le mani).

Anna                                - (c. s.) Padre Roberto! (Trae di tasca un rosario comincia a recitare delle preghiere sotto­voce).

Andrea                            - (ad Anna) E voi andate a pregare a casa vostra.

Anna                                - (non lo ascoltai nemmeno. Continua a pre­gare imperterrita).

Tomaso                            - (con ironia) Eccola lì, un'anima buo­na. Chiusa nella sua fede come un palombaro nel suo scafandro. (Disgustato) Oh, c'è davvero da per­derla, la fede! (Volta le spalle alla donna).

Fulgenzio                         - (d. d., gridando) Padre, Padre! (Marco e Fulgenzio tornano in iscena dì corsa. Sono sconvolti) Padre, non c'è nessuno in Chiesa.

Il Rettore                         - Come, nessuno?

Tomaso                            - (prendendo Fulgenzio per le spalle e scuo­tendolo) Cosa dici? Sei impazzito?

Fulgenzio                         - No. E' così. Non c'è nessuno che suoni.

Marco                              - Sì. L'organo suona da solo.

Tomaso                            - (respingendo Fulgenzio) Anche tu!

Andrea                            - (a Marco) In nome di Dio, cosa dici?

Marco                              - E' così. Nessuno. Va' a vedere.

Anna                                - Miracolo! Miracolo!

Il Rettore                         - (si fa lentamente il segno della cro­ce subito imitato da tutti gli altri meno Tomaso).

Tomaso                            - Anche voi. Tutti!

Anna                                - . Miracolo!

Il Rettore                         - (semplice) Signore, abbi pietà di noi.

Anna                                - (con fervore) Così sia. (Il suono dell'or­gano si fa sempre più forte mentre cala il sipario).

ATTO SECONDO

 (Quando gli Spettatori rientreranno in mia dopo l'intervallo troveranno il sipario calato ed Andrea seduto alla ribalta su di una rozza sedia di paglia con un giornale in mano).

Andrea                            - (attende che la gente si sia seduta, poi comincia) Stavo leggendo quel che dicono del fatto i giornali. Già, non s'è potuto tenere il segreto. Ecco qua. (Leggendo) « L'episodio è tanto più signi­ficativo, in quanto la piccola Maria era degente da tredici anni per artrite deformante. L'autorità ec­clesiastica, nella sua prudenza, non si è ancora pro­nunziata. Ma la fama del miracolo s'è sparsa per i paesi vicini e già numerosi infermi muovono da ogni parte verso il convento. Avremo dunque un nuovo santo? ». (Smettendo di leggere e riprenden­do a parlare con il pubblico) Vedete come fanno presto? (Confidenziale) Ma Padre Roberto, quello li, non possono vederlo. Per ordine del Vescovo lo teniamo sotto chiave ora. (Ridendo) Eh, già, era tempo!... Come?... No, io non ho idee in proposito. Son problemi troppo grossi per me... Beh, staremo a vedere... (Si alza e fa per rientrare in palco­scenico).

L'Oste                              - (apparendo a sinistra della scena e chia­mando Andrea) Un momento!

Andrea                            - (fermandosi) Chi è?

L'Oste                              - Devo dirle solo una parola.

Andrea                            - (al pubblico) Costui è veramente noioso. E' l'oste del paese. Un brav'uomo, ma pi­gnolo.

L'Oste                              - Sì. Lo dica pure. Pignolo. Non mi of­fendo. (Al pubblico) Buona sera. Gestisco la locan­da all'ingresso del paese. Ogni conforto. Camere con acqua corrente, cucina...

Andrea                            - (interrompendolo) Ma cosa vuole che interessi ai signori...

L'Oste                              - Eh, no... Una buona locanda interessa sempre, si lasci servire... (Al pubblico) Se lor signori si trovassero a passare da queste parti...

Andrea                            - (interrompendolo) Insomma, cosa vuo­le? Si sbrighi. Sta per suonare l'Uffizio...

L'Oste                              - Ecco. Bario a lei, perché con lei si può ragionare. Gli altri padri della comunità, gente dabbene, ma...

Andrea                            - Venga al fatto.

L'Oste                              - E' per la faccenda del miracolo. Io, badi bene, non sto a discutere se è vero o no, ma dico: una volta che in questo paese succede qual­cosa che può portarci un po' di forestieri, perché non dobbiamo sfruttare, a fin di bene, natural­mente, l'occasione? Insomma, un miracolo, vero o no, è faccenda grossa che non capita tutti i giorni: crea interesse, movimento, afflusso di denaro...

Andrea                            - (scandalizzato) Denaro?

L'Oste                              - (precipitosamente, ai ripari) Oh, capi­sco che per loro sacerdoti il denaro non conti. Benché la Chiesa avrebbe bisogno di restauri, nessuno meglio di loro lo sa e se aspettano che il Vescovo metta mano alla borsa, campa cavallo... Ma è il bene pubblico che loro non dovrebbero perdere di vista... Gli interessi di tutti noi, dico...

Andrea                            - L'ho già ascoltata abbastanza.

L'Oste                              - Ma non capisca. I miracoli sono rari oggigiorno e quando ne capita uno, loro voglion passarci su.

Andrea                            - Io non so nulla. E' Roma che deve decidere.

L'Oste                              - Bene. E noi abbiamo scritto a Roma. (Traendo un foglio) Ecco qua. Ho fatto girare il foglio. E hanno firmato tutti. Giovanni solo s'è rifiutato. Oh, no, che non ci creda, intendiamoci... Ma è imparentato con l'oste del paese vicino. E allora: (concorrenza. Mi capisce? Sporca concor­renza.

Andrea                            - (preoccupato) Che hanno scritto?

L'Oste                              - Oh, tutto bene. Tutto bene. (Leggendo) «Noi sottoscritti slam pronti a testimoniare con giuramento innanzi a qualsiasi Tribunale la verità del miracolo di Padre Roberto. Perciò facciamo ri­spettosa istanza perché il detto miracolo sia rico­nosciuto senza perder tempo e il paese dichiarato luogo di pellegrinaggio indispensabile alla salvezza di tutti i cristiani». Questo ce l'ho aggiunto io!

Andrea                            - Siete pronti a giurare anche su quello che non avete visto?

L'Oste                              - Come? La povera Maria era inchio­data in un letto. Tutti lo sanno. E ora cammina. Ma non capisco perché loro sacerdoti facciano tante difficoltà. Più miracoli accadono e più contenti dovrebbero essere!

Andrea                            - Basta. Basta. (Fa l'atto di rientrare).

L'Oste                              - Ne parli al parroco.

Andrea                            - Al parroco? Per carità. (Esce a sini­stra, sempre a sipario chiuso, seguito dall'oste che continua a ripetere)

L'Oste                              - Mi ascolti. Un minuto solo... (Appena i due sono usciti il sipario si leva mostrando la stessa scena dell'atto precedente. E' una chiara mattina piena di sole. Un attimo scena vuota. Poi entrano Marco e Fulgenzio, sono in tenuta sporti­va: calzoni lunghi di flanella bianca ed un maglione alto sino al collo. Sono accaldati).

Marco                              - E' stata proprio una bella partita.

Fulgenzio                         - Sì. Il terreno s'è fatto sodo ed ela­stico. Ideale.

Marco                              - Quando m'invieranno in missione, mia prima cura sarà di scegliere un bello spiazzo per farci un campo da tennis.

Fulgenzio                         - (ridendo) E giocherai con gli in­digeni?

Marco                              - Già. Gli indigeni. Credi che dovrò ri­nunziare al tennis?

Fulgenzio                         - A ben altre abitudini dovrai rinun­ziare. E del resto, non avrai tempo di pensarci. Molto probabilmente ti toccherà portare a spalla i mattoni per costruirti la Chiesa. Ecco un vero sport da missionario.

Marco                              - Pazienza. Ma se un giorno dovessi fon­dare un Ordine imporrei come regola un'ora di ginnastica ogni mattina. Non c'è nulla che difenda meglio dai pensieri molesti.

Fulgenzio                         - Vuoi dire dalle tentazioni?

Marco                              - Sei sottile e maligno. Dovresti fare l'avvocato del diavolo nelle cause dei santi. Non ne entrerebbe più nessuno in cielo.

Fulgenzio                         - A proposito di « Santi » che fa il nostro?

Marco                              - Ah, io non voglio più pensarci.

Fulgenzio                         - Hai « paura » di pensarci?

Marco                              - Paura? Oh, la mia fede è al disopra di ogni dubbio.

Fulgenzio                         - E allora perché non vuoi parlarne?

Marco                              - Smettila. Tu vuoi leggere in me la ri­sposta ai tuoi dubbi. Vero? Ma è fatica sprecata, caro avvocato. Io non mi farò prendere nel tuo gioco diabolico, ne E' certo quel che è certo! ». Ecco la mia risposta. E ora sbrigatela un po' da te. Io vado a cambiarmi. (S'avvia).

Fulgenzio                         - E' comodo fuggire.

Marco                              - (tornando indietro lentamente) Io non fuggo. E ascoltami bene. Io sono un prete rozzo, ignorante, in seminario ero uno degli ultimi; ma preferisco rimanere come sono. L'intelligenza, la vostra intelligenza mi 'disgusta. Io credo che in un prete quel che conta è lo spirito di carità. E per la vita che mi attende, mi saranno più utili i miei muscoli, sì, non ridere, la mia robustezza fisica che mi fa resistente alle fatiche, ai disagi, alle lotte, che tutta la vostra ragione obliqua, viscida che impu­tridisce tutto quello che tocca. Ed ora non seccarmi più. (Esce in fretta).

Fulgenzio                         - (scoppia in una risata) Ah, signor abate, il coraggio, ecco quel che ti manca. Il coraggio. Sei più debole di tutti noi. (Suono interno di campanella) Ah, l'Uffizio! E io sono ancora così. (Esce in fretta. Un attimo scena vuota. Poi entra Maria. E' una ragazza graziosa di diciott'annì, molto timida. Cauta e circospetta si guarda intorno come a riconoscere il luogo. Sì ferma indecisa, poi si avvia verso l'ingresso alle stanze interne. E' quasi giunta sulla soglia allorché entra Tomaso che le grida)

Tomaso                            - Ehi, ragazza, non sai che è proibito entrare in convento?

Maria                               - (fermandosi confusa) Io... io cercavo Padre Roberto.

Tomaso                            - Padre Roberto non si può vederlo.

Maria                               - Perché? E' malato?

Tomaso                            - No. Ma non si può.

Maria                               - Oh, a me non può dire di no.

Tomaso                            - E chi sei tu?

Maria                               - (semplice) Io sono Maria.

Tomaso                            - Ah, sei tu la ragazza guarita...

Maria                               - Sì. Glielo dica, per favore, che ci sono io. Vedrà che verrà subito.

Tomaso                            - (ironico) Perché sei così certa che verrà?

Maria                               - Perché dobbiamo lavorare molto insie­me noi due. Perciò ha scelto me. Anche lui ha « ub­bidito ».

Tomaso                            - E che genere di lavoro sarà il vostro?

 Maria                              - (paziente come se spiegasse ad un bambi­no) Dobbiamo estirpare le erbacce.

Tomaso                            - Le erbacce.

Maria                               (c. s.) C'è il grano e la gramigna. Ma il Signore disse: «Che la gramigna cresca insieme al grano. Non aver fretta a tagliarla. Quando sarà alta e il contadino si dispererà perché temerà che la. gramigna stia per uccidere il grano, allora ta­gliala, e il grano tornerà a fiorire alto, tutto d'oro e darà buon raccolto ». E adesso vada ad avvertire padre Roberto.

Tomaso                            - (ironico) Non occorre. Egli certamente « sentirà » che tu sei qui.

Maria                               - Crede? Oh, sì, egli mi «sentirà». Allo­ra lo aspetto qui. (Siede).

Tomaso                            - Ecco. Stai qui da brava. Ed ora dimmi. Roberto ti conosceva prima di quel giorno che venne da te?

Maria                               - No. Non mi aveva mai vista. Ma io « conoscevo » lui.

Tomaso                            - Tu lo conoscevi?

Maria                               - . Sì. L'avevo visto tante volte «dentro» di me. Oh, non era vestito come lei. Ma conoscevo il suo volto, il suo sorriso, quella vena che gli batte nel collo come un filo di sangue... Perciò quando aprì la porta e mi disse:! « Alzati e andiamo! » io mi alzai e andai con lui.

Tomaso                            - E dove andaste?

Maria                               - Questo è un segreto. Mi ha proibito di dirlo.

Tomaso                            - Ah, avete anche dei segreti?

Maria                               - Ci son cose che non dipendono da noi. Noi dobbiamo « ubbidire ».

Tomaso                            - (ora sta in piedi accanto alla ragazza dominandola) sempre più) Tu non vuoi confidarti con me, Maria. Eppure sono anch'io un sacerdote. Dovresti aver fiducia in me.

Maria                               - (agitandosi sulla sedia come se volesse sfuggirgli) Io... io... ho fiducia...

Tomaso                            - (insinuante) E allora perché non ti abbandoni? Perché non mi «racconti»?

Maria                               - (c.s.) Io non so... io non so...

Tomaso                            (c.s.) Vediamo, Maria... (Le poggia una mano sulla spalla) Tu sei molto devota, vero?

Maria                               - (c. s.) Sì... sì...

Tomaso                            - Ed hai pregato spesso, hai chiesto al buon Dio di «guarire»...

Maria                               - Oh, sì...

Tomaso                            - Ecco... e attendevi solo « qualche co­sa», qualche segno che Dio ti ascoltasse...

Maria                               - Oh, no... questo no... io mi mettevo nelle sue mani. Gli dicevo: Che sia fatta la tua volontà, o Signore.

Tomaso                            - Sì... questo va bene... ma tu « sentivi » che un giorno ti saresti alzata, no?

Maria                               - (smarrita) Oh, non so... non so...

Tomaso                            - (dominandola) Tu lo sentivi. Alza la fronte. Guardami. (Le solleva il viso quasi a forza) Tu, Maria, eri « certa » di guarire, vero? Aspettavi solo «qualche cosa». Non è così?

Maria                               - Non so... non so...

Tomaso                            - (terribile) Piccola bambina ribelle, perché mentisci?

 

 Maria                              - Oh. io... io... (Sta per piangere).

Tomaso                            - Non piagnucolare ora... non ti serve... Parla, su! (Di nuovo dolce) Abbi fiducia in me... io voglio aiutarvi... Sai che hanno rinchiuso Roberto?

Maria                               - Rinchiuso?

Tomaso                            - Sì... l'hanno preso e ora lo tengono prigioniero in una stanza di dove non può più uscire... E tu non lo vedrai mai più...

Maria                               - Ma perché? Perché?

Tomaso                            - Tu sola puoi liberarlo.

Maria                               - Io?

Tomaso                            - Sì. Perché è per te che lo tengono prigioniero. Per il miracolo!

Maria ,                             - Oh, è stato per me!

Tomaso                            - Sì. E tu devi aiutarlo ora. Vero che lo vuoi?

Maria                               - Sì... sì... Egli non deve soffrire per me. E poi abbiamo tanto da fare noi due...

Tomaso                            - Ebbene tu « puoi » salvarlo.

Maria                               - Cosa devo fare? Presto, mi dica.

Tomaso                            - Tu devi dire a tatti che non c'è stato miracolo, che non è vero niente.

Maria                               - Come? Devo dire...

Tomaso                            - Sì. E' necessario.

Maria                               - Oh, questo no, non posso. Che dirà il buon Dio?

Tomaso                            - Dio ti perdonerà. Egli sa perché lo fai... Se tu risponderai così, nessuno parlerà più di Roberto, nessuno lo crederà più un santo e lo la­sceranno libero come uno di noi... Ed egli tornerà a te e insieme potrete fare quel che vi attende. Insieme potrete ancora «ubbidire».

Maria                               - (combattuta) E' troppo. E' troppo quel che mi chiede.

Tomaso                            - (dominandola con lo sguardo e suggestio­nandola sempre più) Ora ti sembra troppo. Ma tutto sta che ti abitui all'idea... Vedi, basta che tu pensi che i giorni precedenti il miracolo tu avver­tivi un formicolio alle gambe, come se il sangue si destasse dal lungo torpore e - strano - hai visto che ti ubbidivano, non stavano più come due rami morti... e una mattina, sì, una mattina, non c'era nessuno in camera, tu hai provato a spingerle fuori dal letto e ci sei riuscita, ti sei trovata in piedi, sentivi che volendo avresti potuto muovere i passi; sentivi di poter camminare, ma hai avuto paura, hai avuto paura di cadere e sei tornata subito a letto e non hai detto nulla a nessuno... Ma da quel momento tu «sapevi» di poter camminare, ne eri «certa». Vero, Maria?

Maria                               - (ormai succube) Sì... lo sapevo.

Tomaso                            (c. s.) Sapevi che qualunque momento sarebbe stato buono per alzarti, avresti potuto far­lo sempre, solo che l'avessi voluto, ma eri pigra, pi­gra, si stava così bene a letto, al calduccio, servita e non hai voluto compiere quello sforzo, quel piccolo sforzo... Ma quella mattina quando padre Roberto s'è affacciato nella stanza e t'ha detto: «Alzati! », t'è venuto naturale di alzarti, perché non era la prima volta, non era la prima volta...

Maria                               - Non era la prima volta... (Sulla soglia è apparso il Rettore che osserva sbigottito la scena, non visto dai due).

 Tomaso                           - Ecco. Ora sei una brava bambina. Pa­dre Roberto sarà contento di te.

Maria                               - (ripete meccanicamente conte ipnotizzata) Non era la prima volta. Non era la prima volta.

Tomaso                            - (con un sorriso di trionfo) Ecco... così...

Il Rettore                         - (con voce terribile) Maria!

Maria                               - (subito voltandosi verso il Rettore con una voce che tradisce l'imminente crisi isterica e si fa sempre più alta) Non era la prima volta. Io già camminavo. Avevo già provato. Ma non l'avevo detto a nessuno. Non è stato un miracolo...

Il Rettore                         - (a Tomaso) Cosa ha fatto a questa bambina?

Tomaso                            - (chiuso, ostile) Niente.

Maria                               - (c. s., avvicinandosi sempre più verso il padre Rettore sino a giungergli vicino) Non è stato un miracolo... Io camminavo... Ma liberate Padre Roberto... liberate Padre Roberto!

Il Rettore                         - (a Tomaso) Lei mi risponderà di questo gesto.

Tomaso                            - Io ho strappato la verità a questa pic­cola bugiarda.

Maria                               - (che non l'ascolta, sempre al Rettore) No. No. Padre Roberto non ha fatto nulla. Non è un santo. Egli non mi ha guarita. Liberatelo. Libe­ratelo. Noi dobbiamo « ubbidire ». Non è stato un miracolo. Io camminavo. Padre Roberto... lo posso giurare... Oh, il buon Dio mi perdoni... Padre Ro­berto... il miracolo... no, no... Io camminavo, Padre Roberto... (La crisi è al culmine. Rigida, cataletti­ca, ella cade di schianto).

Tomaso                            - (con un grido) Attenzione! (Corre per reggere Maria, ma il Rettore è stato più svelto e l'ha presa fra le braccia, respingendo Tomaso).

Il Rettore                         - (a Tomaso) Non la tocchi. Non ha bisogno di aiuto!

Tomaso                            - (che vorrebbe avvicinarsi per prestar soc­corso a Marna) Come medico... solo come medico...

Il Rettore                         - (trascinando Maria su di una sedia e deponendomela) Non ha bisogno della sua scienza.

Tomaso                            - (indicando la ragazza livida immobile sempre svenuta) Ma è una crisi isterica. Io so quel che si deve fare.

Il Rettore                         - Anch'io lo so. E non ho studiato come lei. Io ho un'altra medicina. (Prega sotto­voce, le mani sul volto di Marta. Si capisce solo qualche parola più forte) Libera, domine, a malo... libera, domine...

Tomaso                            - (indietreggia confuso).

Maria                               - (riapre gli occhi) Padre Roberto...

Il Rettore                         - Sono io, Maria... Come stai?

Maria                               - Cosa è successo?

Il Rettore                         - Nulla. Nulla.

Maria                               - Oh, Padre, io non volevo... non volevo... (Scoppia in pianto).

Il Rettore                         - (l'accarezza teneramente. Maria pian­ge sul suo petto come una bimba) Sì, piangi, piangi, bambina... Benedette le tue lacrime... Oh esse possono lavare le colpe di tutti noi...

Tomaso                            - (fa un passo, vorrebbe parlare, ma il suo sguardo si incontra con quello dei Rettore che lo fissa immobile, sta per parlare, poi, rapido, si volta ed esce).

Il Rettore                         - (il volto estatico, ispirato) Signore, abbi pietà di noi!

Maria                               - (col volto illuminato, quasi ridente) Così sia! (Cala il sipario. Appena il sipario è calato vie. me fuori alla ribalta Andrea che riprende a parlare col pubblico).

Andrea                            - (al pubblico) Ecco dove ci ha condotti la nostra azione. In questo momento Tomaso cam­mina solo per le strade del villaggio, cercando la risposta ai suoi dubbi. Ma tutti noi la cerchiamo, compresi voi... anche se non ve ne rendete conto. Perché in una società che ha perso il senso del peccato e sorride dell'Inferno come di una fiaba per far paura ai bimbi, gli spiriti avvertiti non possono fare a meno di chiedersi: « Perché? Ecco: perché, Signore, permetti tutto questo? Io non vo­glio infastidirvi a lungo, ma vi prego di pensare solo a questo: (fra tutti gli animali che popolano la terra solo l'uomo è così cieco, ostinato, intento alla sua distruzione, nemico di se stesso. Perché? Porse di tutti questi '«perché» è lastricato l'In­ferno. (Coro femminile dall'interno) Ascoltate? La nostra chiesetta è gremita. Il popolo la riempie co­me non mai per il passato ora che la fama del mi­racolo s'è diffusa. La questione è ancora a Roma in esame, il Santo Uffizio non ha ancora deciso se si tratta di miracolo o di mistificazione, ma il popolo ha già deciso per suo conto a affolla la chiesa. Noti è meraviglioso tutto questo? Non è questo il vero miracolo? ('Si riapre il sipario. La stessa scena de­gli atti precedenti. Giorno. Scena vuota. Andrea continua, sempre rivolto al pubblico) Vedete? Non c'è nessuno. Sapete dove sono i miei amici? Giù, dietro i confessionali. Da stamani lunghe file di uomini e donne chiedono di confessarsi. Nemmeno il Rettore, che è qui da trentacinque anni, ricorda un fenomeno simile. Si direbbe che, improvviso, ir­resistibile, sia scoppiato in ognuno il bisogno di liberarsi di tutte le colpe, di tornar puri e buoni...

Marco                              - (entra. Ha al collo la, stola dei confessori) Non ne posso più. Sono cinque ore che ascolto cose terribili. Quasi tutti non si confessavano da dieci, quindici, vent'anni. Hanno avuto il tempo di commettere tutti i delitti.

Andrea                            - E il Rettore?

Marco                              - E' ancora giù, lui. E' meraviglioso. In­stancabile. Ma io non resistevo più. Mi sembrava, se mi fossi fermato ancora, di sporcarmi per sem­pre a contatto di tante colpe! Oh, il lezzo di quella umanità corrotta, di quel- (branco sordo e cieco, agganciato ai suoi segreti disgustosi e immondi! Aria, aria pura! (Apre la vetrata) Non si deve pre­tendere l'impossibile da un confessore. Siamo uo­mini anche noi.

Andrea                            - Vorresti respingere quelli che vengono in cerca di perdono?

Marco                              - No, certo. Ma ci sono tentazioni sottili e terribili anche per il più agguerrito dei confessori. Non parlo della carne. Sono anni che l'ho domata, almeno spero. Ma tentazioni di orgoglio, di sfi­ducia, di smarrimento. Tentazioni su Dio che tace, su Dio che permette... Cosa può allora la volontà, sia pure eroica e 'disperata, di salvare le anime contro il dubbio che tutti costoro domani torne­ranno a peccare come prima, più di prima? Oh, meglio gli indigeni di qualche tribù primitiva dell'Africa, dell'India o che so io... Stasera stessa scri­verò al Vescovo chiedendo di spedirmi nel cuore di qualche continente inesplorato. Lì sento che potrò essere più utile alla Chiesa!

Andrea                            - No. Nemmeno laggiù avrai pace, se non sarai in pace con te stesso.

Marco                              - Basta! Sono un prete rozzo io! Il latino m'è sempre entrato in testa a fatica; in seminario le ore di studio erano ore di tortura; e dunque non chiedetemi di pensare. Datemi piuttosto pietre da spaccare, alberi da abbattere, ospizi, scuole, cap­pelle da costruire e, perché no?, infedeli da pie­gare con due pugni ben dati... Nella vigna del Si­gnore non c'è forse posto per tutti gli operai?

Andrea                            - (conciliante) Sì, Marco. Cinque ore di confessionale sono veramente troppe per un prete dinamico come te! (Si ode il coro femminile più forte).

Marco                              - E cantano, cantano sempre. Quando si stancheranno?

Andrea                            - Oh, lascia che si sfoghino! Una volta tanto Fulgenzio sarà felice di avere un vero e pro­prio coro da istruire.

Marco                              - Ma hai visto le loro facce mentre can­tano? Non c'è nulla di mistico nelle loro espres­sioni. Sarebbero capaci di qualsiasi gesto di fana­tismo.

Andrea                            - Via, via, tu sei stanco, Marco. Perché non torni a spaccar legna. Ne avremo tanto bi­sogno questo inverno.

Marco                              - Forse hai ragione. Meglio cure mate­riali che tengono occupata la mente...

Paolo                               - (entra. Ha anch’egli la stola. Agita il brac­cio destro come in un esercizio ginnastico).

Andrea e Marco              - (lo guardano meravigliati).

Paolo                               - Sì, guardatemi pure. Sono sei ore che questo braccio distribuisce comunioni. Vogliamo re­stituirgli la funzione normale? (Ride).

Andrea                            - E' un gran giorno questo per te, uomo senza dubbi, vero?

Paolo                               - Per me? Per la Chiesa, vorrai dire.

Andrea                            - Li hai visti finalmente tutti i tuoi pec­catori, anche i più riottosi, umili e chini ai tuoi piedi come agnelli!

Paolo                               - La Chiesa ha già conosciuto giorni come questi nel corso dei secoli. Un sacerdote non deve insuperbirsi, ma fortificarsi per i giorni neri quando voltandoti dall'altare per la comunione, non trovi nessuno ai tuoi piedi, nessuno... Certo sai anche tu lo sconforto di quell'attimo e tuttavia si con­tinua... perché si è certi che il trionfo non man­cherà.

Marco                              - Hai ragione, Paolo. Fa bene averti vi­cino... quando si è un po' stanchi. Io chiedo a Dio che nel posto dove sarò destinato mi capiti, prima o poi, un compagno come te.

Andrea                            - Marco chiederà di andarsene.

Paolo                               - Mi dispiace perderti, Marco. Ma non stiamo qui riuniti proprio per disperderci ai quat­tro angoli del mondo? E del resto lo spazio non è un concetto soltanto fisico... Si può essere vicini e divisi... lontani e uniti. E io so, come lo sai tu, che un giorno ci riuniremo tutti e ci sarà il nostro buon Rettore e anche Tomaso e anche... Roberto...

Andrea                            - (ridendo) Sentilo com'è generoso, lui. Accoglie tutti.

Paolo                               - lo? Non sono io misericordioso, ma Chi può veramente esserlo. E ho il sospetto che « al­lora » più d'uno sarà sorpreso nel vedere Tomaso avanti tutti noi...

Marco                              - Tomaso?

Paolo                               - Io. Io lo vedo precederci come in pro­cessione portando una grande bandiera sulla quale sono scritte solo due parole: «Ho dubitato! ».

Marco                              - Evviva! A proposito, dov'è? In chiesa non s'è visto.

Andrea                            - Oh, il padre Rettore non se ne preoc­cupa. Quando gli ho chiesto se voleva che andassi a cercarlo, mi ha risposto: «No. Lasci che torni da sé ».

Il Rettore                         - (entrando ha sentito) Sì, per quel che vale il consiglio di un vecchio prete e per l'uso che potranno farne nella futura vita apostolica, ricordino: «Mai cercare!». I figli prodighi tor­nano sempre.

Marco                              - E se tornano quand'è troppo tardi?

Il Rettore                         - La Chiesa ignora l'uso di due av­verbi: «tardi» e «mai». Tutta la sua storia sta lì a provarlo.

Paolo                               - Grazie, padre. La lezione ci gioverà.

Il Rettore                         - Nessuna lezione. Sono un vecchio prete che continua a imparare qualche cosa ogni giorno. (Il coro femminile riprende più forte. Nitido il suono dell'organo che lo accompagna).

Andrea                            - Fulgenzio suona come un forsennato: Bach, Palestrina, Beethoven... Sta esaurendo in po­che ore tutto il suo repertorio.

Marco                              - Lo osservavo poco fa mentre pestava sull'organo e mi son chiesto se fosse lui a guidare quelle donne o le donne lui! (Ride).

Paolo                               - Sono anni che aspettava un po' di pub­blico che apprezzasse i suoi virtuosismi.

Marco                              - Credi che quelle donne siano in grado di capire la sua musica? Si abbandonano ad essa, ma non l'intendono.

Il Rettore                         - (bonario) Non bisogna chiedere troppo alle donne. L'importante è che non stonino.

Paolo                               - Ha ragione. Questa è una bella giornata per tutti noi. E quel che conta è ricordarsene sempre, dovunque andremo. (C'è nell'aria un'ilare tensione. Tutti appaiono soddisfatti e felici. In que­sta atmosfera sospesa entra Tomaso. E' cupo e ag­grondato. La tonaca vizza e infangata. Stringe in pugno dei fogli).

Andrea                            - Ecco il figliuol prodigo!

Marco                              - Possiamo chiederti dove sei stato?

 Paolo                              - T'abbiamo atteso in chiesa per aiutarci.

Tomaso                            - Ho fatto qualcosa di più importante. (I tre giovani si guardano stupiti).

Il Rettore                         - (sembra indifferente).

Tomaso                            - (al Rettore) Padre, ho qui qualcosa per lei. (Accenna ai fogli che ha in mano. Mentre parla, freme, ma si domina).

Il Rettore                         - (calmo) E' urgente?

Tomaso                            - (con accento di trionfo che non riesce a dissimulare) Direi di sì.

Il Rettore                         - Non sarebbe meglio rimandare a dopo... voglio dire a quando si sarà rimesso un po' in ordine? (Indica l'abito di Tomaso).

Tomaso                            - (c. s.) Se avrà la bontà di ascoltarmi, forse avrà modo di constatare che in questo mo­mento c'è qualcosa più importante del mio abito.

Il Rettore                         - Come vuole. L'ascolto. (Siede).

Tomaso                            - Ecco. E' una breve relazione che mi son permesso di sollecitare... (Legge) « Noi qui sot­toscritti attestiamo che dalle indagini eseguite ri­sulta che uno zio del nominato Roberto morì in manicomio, affetto da demenza progressiva, e che la di lui sorella, colpita dieci anni fa da paranoia, conduce tuttora vita ritiratissima e presenta ad un esame clinico chiari sintomi di schizofrenia. Tanto per la verità, eccetera... ». (Porgendo il foglio al Rettore) Può controllare da sé.

Il Rettore                         - (non prendendo il foglio) Le credo sulla parola.

Tomaso                            - Ma sono documenti ufficiali.

Il Rettore                         - Non ne dubito.

Tomaso                            - E allora la convincerà quest'altro. (Legge) «Il giovane Roberto manifestò sin da ra­gazzo carattere vivace e impressionabile ed una singolare capacità ricettiva. Ebbi a notare in lui i caratteri tipici di isteria da angoscia... ».

Il Rettore                         - (fa cenno di non continuare) La dispenso... :

Tomaso                            - (cominciando a perdere la calma) Co­me? Non vuole ascoltare?

Il Rettore                         - No.

Tomaso                            - Ma sa che quel che fa è... molto grave?

Il Rettore                         - Davvero?

Tomaso                            - Questi documenti non lasciano dubbi. Roberto è pazzo.

Il Rettore                         - Bene. Lei lo ha sempre sostenuto.

Tomaso                            - Ma adesso ne abbiamo la prova. E quelle donne, il paese, tutti adorano un pazzo! E' mostruoso.

Il Rettore                         - Trasmetta codesti atti al Sant'Uffi­zio. E' quanto posso suggerirle.

Tomaso                            - Ma è lei il mio superiore. Finché du­bitava potevo capire il suo atteggiamento, ma adesso...

Il Rettore                         - Vorrebbe forse consigliarmi quel che devo fare?

Tomaso                            - Io dico che non bisogna lasciare nell'inganno tutta quella gente laggiù. Essi non sanno. Ma noi, sì... (Sventola i fogli) E abbiamo il do­vere di avvertirli.

II Rettore                        - Dovere... dovere... Ognuno di noi si fa un concetto diverso del dovere. Dio dirà chi era nel giusto.

Tomaso                            - Dio. Dio. E' comodo rimettersi a lui in ogni circostanza.

Il Rettore                         - La prego: non sciupi una giornata così bella!

Tomaso                            - Bella? Lo trova bello lei codesto spet­tacolo di esaltazione collettiva? Io mi sono affac­ciato in chiesa poco fa, ma ne sono stato respinto. La gente pigiata che urla, le navate che tremano scosse dai boati dell'organo come sotto un enorme martello sonoro e un nereggiare di teste, di. corpi agitati, un'atmosfera da comizio...

Il Rettore                         - La musica ha il potere di accen­dere i cuori!

Tomaso                            - I cuori, forse... Ma io non ho mai vi­sto la passione musicale dar fuoco ai cervelli... Quella non è più la chiesa di Cristo quale noi la sogniamo, ma l'anticamera dell'Inferno!... Possi­bile che lei sia così cieco da non vedere?

Il Rettore                         - Chi le dice che la via del Para­diso non passi dall'Inferno?

Tomaso                            - Ma si affacci, si affacci giù un mo­mento... e poi mi dica se quella non è un'accolta di dannati! Anch'essi lo sentono: ecco perché stan lì da cinque ore, inchiodati l'uno all'altro, immersi nella musica come in un abisso dal quale hanno paura di risalire, perché fuori li aspetta la luce ed essi hanno paura, paura... (Vibra nelle sue pa­role un'esaltazione della quale solo adesso gli altri si rendono conto).

Il Rettore                         - (che solo ora capisce) Non così figlio...

Tomaso                            - Essi aspettano i neri cavalli dell'A­pocalisse, i neri cavalli che gettan fiamme dalle narici e portan vento, distruzioni, morte... Io li vedo venire... (La sua voce si è fatta terribile. Marco, Andrea e Paolo guardano sbigottiti il Rettore come a chiedere cosa debbono fare. Tomaso continua con lo stesso tono) Non udite lo scalpiccio dei loro zoc­coli? Fra breve il mondo intero l'udrà e tutti pie­gheranno le ginocchia dinanzi alle loro criniere gonfie di vento! (Effettivamente qualcosa sì è rotto ora nel ritmo del canto. Il suono dell'organo si spezza in un lamento e un incomposto vociare sale sempre più alto dalla chiesa).

Paolo                               - Che accade?

Tomaso                            - Tremate, anime pavide. E giorno dell'Apocalisse è venuto. (Fra il clamore della folla si odono grida sempre più frequenti: « Padre Rober­to!... Padre Roberto!...).

Marco e Andrea              - (con vario tono) Padre Ro­berto... Padre Roberto...

Il Rettore                         - Per l'amor di Dio, è meglio andare a vedere! (Fa per muoversi).

Fulgenzio                         - (entrando sconvolto) Padre, è suc­cesso qualcosa. Non riesco più a tenerli. Vogliono vedere Roberto. Gridano. Rompono tutto. Ven­gono su.

Il Rettore                         - Ma come, come ha potuto lasciarli così... (Il clamore ormai domina le voci dei preti e si avvicina sempre più. E' l'urlo di una folla im­pazzita. Dall'alto un rumore come di pugni battuti contro una porta e una voce che non ha nulla di umano...).

Fulgenzio                         - E' Roberto. Ha sentito. Vuol uscire.

Tomaso                            - Parroco sagace, cosa farai ora? (Tutti meno Tomaso si stringono intorno al Parroco. Marco è innanzi a lui come a proteggerlo).

Il Rettore                         - (il volto quasi bagnato dalle lagrime) Signore, perché hai voluto tutto questo?

Tomaso                            - (che è rimasto in disparte) Eccoli i tuoi fedeli, Parroco. Vengono. E distruggono la casa di Cristo. Ah, non questo sognavi. Non questo. (Il rumore della folla è vicinissimo).

Il Rettore                         - (e. s., il volto levato) Padre, non abbandonare i tuoi figli. (Oltre la vetrata appare Maria. Ha una veste candida e cammina leggera. Al suo semplice tocco la vetrata sì apre. Ella entra sorridente senza « vedere » nessuno, come una son­nambula).

Maria                               - Parroco, mi ha chiamato?... Noi dob­biamo « ubbidire »... Ubbidire... (E passa, leggera e sorridente, fra ì sacerdoti che si scostano muti al suo passaggio. Maria esce a sinistra per la porta che conduce in chiesa. Come ella è uscita, dopo un po' il clamore cessa. Non si odono più nemmeno i colpi picchiati su da Roberto).

Tomaso                            - (con un grido in cui è tutta l'angoscia della sua disperazione) Sempre così, dunque? Sempre così?

Il Rettore                         - (semplice, quasi sottovoce) Si­gnore, abbi pietà di noi!,

Tutti, meno Tomaso        - (in coro, quasi sommesso) Così sia.

ATTO TERZO

 (A sipario calato viene fuori Andrea. Ha le ma­niche della tonaca rimboccate e in mano un'ascia e un martello).

Andrea                            - Scusate, se mi presento così. Ma quan­do leggevo l'espressione «operai del Signore » non avrei mai supposto che si potesse interpretare in questo modo. (Accenna agli arnesi da falegname) E tuttavia quel giorno è venuto. E tocca a noi ri­parare i danni arrecati dalla folla. Già, non s'è trovato nessuno in paese disposto a darci una mano. Diciamo pure che « si vergognano ». Ma sarà poi così?... Mah... i miei amici preferiscono non pensarci... (Colpi di martello dall'interno) Li sen­tite? Son le opere che contano, vero?... Eppure le intenzioni... ( I rumori si fanno più forti) Scusate, ma con questo chiasso è impossibile... Le intenzioni, dicevo... (Il rumore interno copre le parole) Beh, le intenzioni lasciamole lì. (Fa per rientrare e con­temporaneamente si apre il sipario. La stessa scena degli atti precedenti. In scena sono un pulpito e un confessionale intorno ai quali lavorano Fulgenzio, Paolo e Marco).

Marco                              - (continuando a picchiare, ad Andrea) Hai finito di chiacchierare?

Andrea                            - Oh, siete bravi anche senza di me!

Fulgenzio                         - Settimo: l'accidia!

Andrea                            - Marco, questue lavoro per te. Non chiedevi di «fare»... «fare»?

Marco                              - Già. Ma non questo intendevo.

Paolo                               - (sorridendo) Le vie del Signore sono infinite.

Fulgenzio                         - Taci, tentatore. (Ha in mano una cornice che applica al tetto del confessionale. A Marco) Scusa, vuoi reggere un momento?

Marco                              - (esegue).

Fulgenzio                         - (s'allontana per studiare l'effetto) Mi pare che vada, no?

Paolo                               - Sentilo com'è soddisfatto. Si direbbe che l'assalto alla chiesa per lui sia venuto a pro­posito.

Fulgenzio                         - No. Certo. Ma lo stile di quel con­fessionale m'era insopportabile. E poi era più stretto di una cella. Dopo un po' che ci stavo mi venivano i crampi alle gambe.

Andrea                            - Era del quindicesimo secolo. Ce ne sono passati dunque di sacerdoti e dagli archivi della chiesa non mi risulta che qualcuno se ne sia mai lamentato.

Fulgenzio                         - Si vede che gli illustri Padri che ci hanno preceduto eran più resistenti di noi.

Andrea                            - O meno pignoli.

Paolo                               - Di', pensa se qui ci fosse Tomaso.

Marco                              - Perché?

Paolo                               - Eh, nel vedere che la folla si è accanita proprio contro il pulpito e i confessionali.

Andrea                            - Oh, mi par già di sentirlo: « il sub­cosciente... gli atti riflessi...».

Marco                              - E concluderebbe... (rifacendo il verso a Tomaso) con una dotta disquisizione sui moti istintivi della bestia che reagisce contro i due car­dini del cattolicesimo... (indicando gli oggetti) la confessione e la predicazione.

Fulgenzio                         - Oh, non ci vuol la scienza di To­maso per concludere che questo è stato un tipico « delitto di folla ».

Andrea                            - Per gli avvocati l'uomo che agisce sotto l'impulso di una folla in tumulto gode le at­tenuanti.

Paolo                               - Già, con codesta teoria anche i croci­fissori di Nostro Signore godrebbero le attenuanti.

Marco                              - Perché preoccuparcene ora? Lo sapre­mo il giorno del giudizio.

Fulgenzio                         - Troppe cose dovremo sapere quel giorno...

Marco                              - Alludi a Tomaso?

Fulgenzio                         - A Tomaso e a... Roberto.

Marco                              - Roberto ormai è tranquillo.

Fulgenzio                         - Cosa ne sai tu?

 Marco                             - L'ho ben visto in faccia quando lo por­tavano via. Nei suoi occhi non tremava più quella angoscia che ci aveva tanto spaventati. E tu stesso non hai notato come ha seguito docile gli infer­mieri? Son convinto che un giorno tornerà guarito.

Paolo                               - No. Roberto non uscirà più... di lì.

Marco                              - A sentir dunque te nessuno esce mai da... sì, da una casa di salute!

Paolo                               - Non Roberto. Egli ha già vissuto tutto il suo dramma. Il cammino che gli altri, noi ad esempio, fanno a passo a passo, egli l'ha percorso d'un fiato. Ormai egli è giunto al suo porto.

Andrea                            - L'errore di Roberto è stato di presu­mere troppo dalle sue forze.

Paolo                               - Egli ha peccato d'orgoglio perché ha voluto sostituirsi a Dio.

Andrea                            - Ma la nostra aspirazione non è forse questa di rassomigliare il più possibile a Dio?

Paolo                               - L'hai detto: « rassomigliare » non « so­stituirci » a lui.

Marco                              - Ecco perché io dico che la salvezza è nella fatica. (Brandendo il martello e tirando giù dei colpi) Ognuno di questi colpi mi libera da qual­che cosa!

Fulgenzio                         - «Fare... fare», eccolo il tuo ritor­nello. Perché poi se tutto può con un soffio crol­lare? (Indica il pulpito e il confessionale).

Andrea                            - Ascoltatemi bene, amici. C'è una sola via d'uscita a tutto questo. Io vi ho molto riflettuto.

Paolo                               - (con scetticismo) E cosa hai concluso?

Andrea                            - Che dobbiamo restare uniti.

Marco                              - Non lo siamo forse?

Andrea                            - Non a codesto modo. H difetto è in noi: ognuno di noi vuol scontare da sé la propria esperienza. Noi siamo, contro ogni apparenza, degli individualisti, dei solitari. Forse è il risultato della educazione impartitaci. E' così che si finisce ribelli. Invece, Chiesa vuol dire comunità. E un soldato non deve pensare. Perciò io non direi più « Chi è solo è con Dio! », ma « Chi è solo è col demonio!».

Paolo                               - La carità, diceva San Paolo...

Marco                              - Basta con le parole! Possibile che noi dobbiamo vivere di parole? Ecco perché a chi, di­sperato, ricorre a noi, distribuiamo soltanto parole. Quasi che il mondo potesse essere salvato da esse!

Fulgenzio                         - Sono con te, Marco. Il primo che parla lo chiudiamo nella sua cella e ve lo lasciamo tre giorni a discorrere con i muri.

Marco                              - D'accordo. (Tutti tacciono e per un po' lavorano con lena. Fragore di martelli e di asce. Entra Tomaso. E' in abiti civili. Sul suo volto sono i segni di una notte insonne).

Paolo                               - Tomaso! (Tutti smettono di lavorare).

Marco                              - (indicando i suoi abiti) Cosa significa?

Fulgenzio                         - (andando vicino a Tomaso) No. Tu non puoi farlo.

Tomaso                            - (con accento disfatto) Perché?

Fulgenzio --------------- - Ma perché... (Si ferma come chie­dendo aiuto agli altri). io?

Tomaso                            - Perché dovrei rimanere? (.Tutti si guardano sbigottiti) E allora cosa mi rispondete?

Paolo                               - Ognuno di noi ha avuto la sua crisi. Perché negarlo? Ma nessuno è giunto a far questo.

Tomaso                            - Segno che siete più forti di me.

Paolo                               - No, nessuno è forte abbastanza, To­maso. Ma non si deve, non si può.

Tomaso                            - Non si deve. E' facile per te, forse. Ma io... (Con disperazione) Oh, lasciatemi in pace!

Andrea                            - (.ponendogli una mano sulla spalla) Io so il tuo tormento. Tu hai orrore della mediocrità. Sì. Lasciami finire. Tu hai sognato un clero vigile, forte, generoso. Tu non accetti d'essere un me­diocre. E' il dramma che ha perduto Roberto. O tutti Santi o tutti peccatori. Non c'è altra solu­zione per voi. Ma Santi son coloro che han rice­vuto più degli altri. E chi ti dice che proprio tu non abbia ricevuto di più?

Tomaso                            - Io?... Oh, io appartengo a quella spe­cie di deboli, di miserabili, le cui intenzioni restano buone, ma che oscillano tutta la vita fra l'ignoranza e la disperazione.

Fulgenzio                         - Ma nessuno ti chiede i tuoi pen­sieri, Tomaso. Noi missionari siam la pattuglia di punta dell'esercito di Cristo. Ih guerra se indie­treggia un soldato addetto al servizio tappe o alla sussistenza, la cosa può avere poca importanza. Ma ci sono quelli della prima linea. E in prima linea un petto è un petto. Uno di meno conta. Per­ciò noi non possiamo disertare.

Tomaso                            - No. Non si è più utili a nessuno con questo dentro! (Indica U proprio petto)... Crede­temi, son giunto sino in fondo e non posso più ri­salire... Addio.

Marco                              - Aspetta, Tomaso! (Fa per parlare).

Paolo                               - Lascialo andare, Marco. Tornerà. Fuori di qui non potrà trovare quella che cerca.

Tomaso                            - La tua fede, Paolo. Vorrei avere la tua fede! Perché siamo così diversi?

Paolo                               - Io non dico nulla per trattenerti. Mi vergognerei se pensassi che sono state le mie pa­role a fermarti. Arrivederci. (Gli tende la mano).

Tomaso                            - (stringendogliela) Addio, Paolo. E se credi che io ne sia ancora degno, prega per me. (Anche gli altri si stringono intorno a Tomaso sa­lutandolo. Tomaso stringe la mano a tutti) E non pensate troppo male di me... Io ho tentato tutto ma, come avete visto, qualcosa è ogni volta acca­duto, qualcosa... CSI avvia. Sta per varcare la soglia quando appare & Rettore, che si rende subito conto di ciò che accade).

Il Rettore                         - (agli altri) Scusino, vogliono la­sciarmi solo con Padre Tomaso? (Silenziosamente Andrea, Paolo, Marco, Fulgenzio escono. Il Rettore e Tomaso sono di fronte).

Tomaso                            - E' stato inutile mandarli via. Le sue parole non acquisteranno perciò una maggiore ef­ficacia.

 Il Rettore                        - Lei immagina che farò il possibile per indurla a restare.

Tomaso                            - E' quel che m'aspetto. E, del resto, è giusto. E' il suo compito.

Il Rettore                         - Infatti. Io non la lascerò andar via così.

Tomaso                            - Ma poiché io so già tutto quello che mi dirà, non potremmo risparmiare a lei e a me quest'inutile colloquio?

Il Rettore                         - Inutile? Ma lei è stato affidato a me, alle mie mani, io sono il suo superiore. Perciò io non la pregherò: oh, no, non le dirò nessuna delle tante parole che si aspetta e alle quali cer­tamente si è preparato a rispondere. No. Io sempli­cemente le « ordino » di restare.

Tomaso                            - (stupito) Lei?

Il Rettore                         - Sì. La sua sorte dipende tutta da un passo giusto o falso, da una determinazione af­frettata, da un'incertezza, da un equivoco. E alla sua sorte, anche se lei non se ne rende conto, è legata quella di tanti altri. Perciò con l'autorità che mi viene da Dio io le ordino di restare.

Tomaso                            - E lei crede che un uomo come me che si è già posto al di fuori della Chiesa possa ubbidire al suo Rettore?

Il Rettore                         - Lei non è al di fuori della Chiesa. Gli ordini sacri che ha ricevuto sono un crisma che non l'abbandonerà più dovunque vada, qua­lunque cosa faccia. Non si illuda. Fuori di qui sarà sempre uno spostato.

Tomaso                            - Più di quanto non io sia oggi?

Il Rettore                         - Di più. Di più. Ella sarà sempre per tutti un « prete spretato ». L'espressione è dura, ma efficace. E non conoscerà mai più la gioia. Non quella furtiva, ora conquistata ora negata, ma un'al­tra gioia, più sicura, profonda, uguale, perenne, per così dire inesorabile, simile alla dilatazione di una altra vita nella vita. Risalendo il corso dei suoi anni, per lontano che arrivi, non troverà nulla di somigliante al suo stato attuale. E un giorno, stan­co, avvilito, vinto, busserà alla porta di un con­vento chiedendo di ritrovare quella pace che non avrà più conosciuto. Ma sarà troppo tardi. Qual­cosa sarà morto per sempre in lei. (Ha parlato con foga rivelando un intimo dramma).

Tomaso                            - (sorpreso) Lei. Lei dunque...

Il Rettore                         - Sì, figliuolo. Io, il suo parroco... un giorno feci come lei.

i Tomaso                          - (commosso dalla confessione) Perché ha voluto umiliarsi così?

Il Rettore                         - Oh, qui non è più questione di me. Sono vecchio ormai e il Signore farà di me quel che vorrà. Ma lei non deve sciupare in una lotta sterile le qualità eccezionali di cui la divina bontà' l’ha provveduta. Sulla sua fronte è il segno di quell'intelligenza che Dio dona ai suoi servi migliori. E là dove Dio la chiama le conviene salire. O salire o perdersi. Non c'è altra via.

Tomaso                            - (combattuto) Ma io ho sperperato la grazia di Dio. Io sono già giudicato, condannato.

Il Rettore                         - No. Nessuno lo è sino alla fine. E gli umili che ricorrono a noi non chiedono di sapere chi siamo. Ma solo se possiamo fare qual­cosa per loro. Si guardi intorno: e oggi più che mai vedrà braccia protese, occhi che implorano, anime avide di certezza. Guardano a noi, alla Chie­sa come all'ultima speranza. Poiché tutto crolla intorno. E lei, lei vuol rimanere sordo a questo ap­pello, preoccupato solo di risolvere il suo dramma personale? Ebbene io non glielo permetterò. Mi basta di aver perduto Padre Roberto.

Tomaso                            - Lui? Cosa può rimproverarsi lei?

Il Rettore                         - Nessuno di noi è un'isola conte­nuta in sé stessa. Ogni uomo è coinvolto nel ge­nere umano e la perdita di uno toglie qualcosa a tutti. Noi siamo responsabili anche degli atti de­gli altri. (Con forza) Perciò lei non se ne andrà. A costo di trattenerla con la forza. (Egli domina Tomaso quasi minacciandolo).

Tomaso                            - (già incerto) Ma cosa posso fare qui ancora io?

Il Rettore                         - Tutto. Oh, non le eviterò il la­voro, stia certo. Confesserà, predicherà, affonderà sino al collo nelle fatiche del ministero finché non avrà più tempo per pensare. Ecco qui. (Gii dà dei fogli) Domani alla funzione del vespero terrà lei la predica. E così per tutto il mese. Faccio dare su­bito l'annuncio. Contemporaneamente il corso ca­techistico per i fanciulli passerà a lei. Inoltre in­tendo che riordini la biblioteca e lo schedario, com­pilando un nuovo catalogo per materie. E poi-Bene, domani le dirò quel che deve fare ancora.

Tomaso                            - (s'è venuto illuminando in viso come tra­scinato dalla foga del Rettore. Il suo occhio cade sui fogli che stringe in mano).

Il Rettore                         - E' l'epistola di San Paolo ai Co­rinti. Ogni giorno io le darò un argomento da trat­tare.

Tomaso                            - (comincia a leggere) « Fratelli, quand'io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo risuo­nante o un cembalo squillante...

Il Rettore                         - (in punta di piedi si allontana).

Tomaso                            - (continua a leggere. Istintivamente si fa vicino al pulpito) ...E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri e ogni scienza, e quando avessi tutta la fede sicché trasportassi le montagne, se non ho la carità sono un niente... (Egli continua ormai senza più leggere con voce sempre più alta come se predicasse) E quando distribuissi in nutri­mento dei poveri tutte le mie facoltà, e quando sa­crificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità nulla mi giova. (Il suo volto è ispirato, rapito).

(Il sipario lentamente cala sulle sue parole. A sipario chiuso la voce di Tomaso, attraverso un altoparlante, continua).

Tomaso                            - (d. d.) La carità è paziente, è bene­fica. La carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia; non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra del godi­mento della verità: a tutto s'accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno, mentre le profezie passeranno e cesse­ranno le lingue, e la scienza sarà abolita. (Su que­ste ultime parole U sipario si apre. La stessa scena degli altri atti. Il Rettore, Andrea, Tomaso, Marco, Fulgenzio, Paolo sono seduti su sei alti scanni in fila sul fondo della scena. Hanno in mano i ore-viari che leggono silenziosamente. Mentre ognuno di essi parla, gli altri non levano la testa dai libri come se non lo udissero. E così di seguito per ognuno che parla).

Andrea                            - (dal suo posto senza alzarsi) I giorni sono passati e la nostra chiesetta è tornata vuota e tranquilla. Solo qualche donnetta ci viene ogni tanto. Del miracolo non v'è più traccia nel cuore degli uomini. Ognuno è tornato ai suoi pensieri, ai suoi affari... ai suoi peccati. Solo noi restiamo qui, fermi, a ricordare.

Paolo                               - (levando il capo) La faccenda del mi­racolo s'è arenata negli uffici di Roma. Prove, con­troprove, testimonianze, carte che vengono, carte che vanno e tutte queste carte sommergono, schiac­ciano, disperdono ogni giorno più la memoria del fatto. Io stesso che fui testimone non mi oriento più, non ricordo più, non « so » più.

Marco                              - E intanto io son costretto a stare qui. Io che so come solo l'agire sia patire. Quanto an­cora, o Signore, durerà questa mia immobilità? Io so quel che m'aspetta - vedo le scuole da costruire, le chiese da riattare, i bimbi da raccogliere, i vec­chi da ricoverare, i poveri da nutrire - e tuttavia resto qui, inoperoso e inutile. Per quanto ancora, o Signore?

Fulgenzio                         - Non c'è più nessuno che voglia ascoltare la mia musica. Queste vecchie donne ri­maste sono un po' sorde e anche se non lo fos­sero, non saprebbero distinguere Bach da Palestrina. Cosa sanno esse di mottetti, di oratori, di polifonia? Le mie dita si sciuperanno dunque fred­de e inerti e non susciteranno più la musica scritta per cantare le tue lodi, Signore?

Tomaso                            - Io ho fatto butto quello che un uomo dotato di ragione deve fare. Io non mi sono fer­mato all'evidenza, alla sciocca evidenza alla quale tutti facilmente si abbandonano. Ma ho voluto ri­salire alle cause prime. Io ho cercato... perché di ogni atto credo si debba, innanzi tutto, cercare il segreto disegno... e tuttavia ho cozzato contro un muro insormontabile. Ed ora son qua ad aspettare. Che cosa?

II Rettore                        - Io so quel che essi pensano. Sono stato giovane anch'io. Ma adesso tutto s'è placato in me, affanni tormenti dubbi, e non cerco più... Tuttavia non sono ancora in pace con me stesso. Ma forse la pace non verrà se non con la morte. E verso quella pace noi corriamo ogni giorno più. Ecco tutto. (Entra Maria. Tutti continuano a leg­gere come se non avvertissero la sua presenza).

Maria                               - Ma come, siete ancora lì? Perché non fate qualche cosa? Perché lasciate che il gregge si disperda e nessuno parli più del miracolo? Tutti adesso trovano naturale che io cammini e nessuno ricorda più il tempo che ero immobile in letto. (Av­vicinandosi al Rettore) Parroco, perché non ordina pubbliche preghiere per ringraziare il Signore? Perché non sale sul pulpito a minacciare gli uomini della corta memoria?

Il Rettore                         - Non posso, Maria. La Chiesa non s'è ancora pronunciata.

Maria                               - Ma lei, credo, crede in tutto quello che è accaduto.

Il Rettore                         - Io sono il Parroco, Maria, e posso rendere testimonianza solo quando la Chiesa me l'ordina. Il mio giudizio personale non conta. (Ri­prende la lettura).

Maria                               - (avvicinandosi a Marco) E lei che non ha mai dubitato, che arde d'agire, perché non fa qualche cosa? Questo è il momento.

Marco                              - No, non è ancora giunta la mia ora. Sono chiamato ad altri compiti, io. Non posso la­sciarmi impastoiare in tutta questa storia. Ho già perduto molto tempo qui e se ti dessi retta, altro ne perderei. Non posso. Mi dispiace, Maria. (Ri­prende a leggere).

Maria                               - (a Fulgenzio) Scenda in Chiesa, riapra l'organo. Da troppo tempo esso tace. Le navate serbano ancora nel loro grembo gli echi della sua musica. Porse nei cuori degli uomini quell'eco non è spenta del tutto e come le navate anch'essi desi­derano accoglierla ancora...

Fulgenzio                         - No. Le mie dita son divenute lente e pesanti. Non saprebbero più. La musica è spirito. E lo spirito tace ora in me. (Riprende la lettura).

Maria                               - (si avvicina a Paolo e fa per parlare).

Paolo                               - (non lasciandola parlare) No, non dir­mi nulla. Non c'è nulla che tu possa dirmi che io non mi sia già detto. E sono stanco di pensare. Voglio restar qui e immergermi nelle pratiche del culto, nella liturgia sino a non lasciar libero nem­meno un angolo della mia mente. Io voglio difen­dermi contro i miei pensieri, Maria. (Torna a leg­gere).

Maria                               - ( a Tomaso) Lei. Non mi è rimasto che lei. Non mi respinga.

Tomaso                            - Io ero riuscito a dimostrare con do­cumenti irrefutabili che Roberto era pazzo. Io vo­levo che la fede non fosse il risultato di un'abitu­dine o di una tradizione, o peggio, la semplice grazia di Dio; io ho voluto... quante cose non ho vo­luto? Ma tutto è stato inutile; qualcosa è accaduto e io sono ancora qui a cercare dentro di me. Non posso aiutarti, Maria. (Riprende a leggere).

Maria                               - (disperata) Tutti così dunque? Ciechi e perduti dietro i vostri pensieri? Io sono piccola e debole. Cosa posso fare io sola se non mi aiutate? (Quasi piange).

Anna                                - (entrando) Maria, perché stai ancora qui a perder tempo? Torna a casa. Sai bene chi ti aspetta.

Maria                               - (disperata) Oh, mamma, anche tu? Perché non capisci che io non posso, non posso... Mandalo via!

Anna                                - Sei una sciocca bambina e se tu non fossi stata malata, ti picchierei. E' un ottimo par­tito e sarai invidiata da tutto il paese.

Maria                               - Ma ho altro da fare io!

Anna                                - No. Tu devi fare quello che fanno tutte le donne: sposarti e avere dei bambini. Non dar retta alle loro chiacchiere. (Indica i preti).

Maria                               - Come puoi parlare così tu? Dopo quello che hai patito per me?

Anna                                - . Ho patito quand'era tempo di patire. Il Signore non chiede di più. Adesso è tempo di gioire e tu devi prenderti la tua parte di gioia, come tutte le fanciulle. E se (indica i preti) ti di­cono che non è così, tu non devi ascoltarli. Io, tua madre, ti ordino di non ascoltarli.

Maria                               - (quasi piangendo) Vattene! Vattene!

L'Oste                              - (entrando) Tua madre ha ragione, Maria. Essi (indica ì preti) non hanno alcun senso pratico della vita. S'è visto come si son regolati in tutta la faccenda del miracolo. Hanno lasciato sciu­pare un'occasione che non si presenterà più. E io mi domando: se son tutti così, come potrà il mondo essere salvato da loro?

Maria                               -  Tacete. Tacete. (Ai preti) Li sentite? Perché lasciate che parlino così? E come essi son tutti. Perciò io non voglio andare. Io resterò sem­pre qui ai vostri piedi. (S'inginocchia) A render te­stimonianza, io sola, di quel che è accaduto.

Andrea                            - (levandosi) Alzati, Maria. (La rialza) Tu non resterai, tu andrai con loro.

Maria                               - (ostinata) No. Non andrò.

Andrea                            - (calmo) Tu finirai con l'andare. Ac­cade sempre così. E ti sposerai e avrai dei bambini. E un giorno anche tu dubiterai, dubiterai persino d'essere mai stata ammalata.

Maria                               - (disperata) No. Questo no. Questo poi no.

Andrea                            - E' così, Maria. Vuoi vedere? (La luce cambia in scena) Ecco... sono passati molti, molti anni... Tua madre non c'è più! (Anna si ritira si­lenziosamente) E tu hai finito con lo sposare lui, l'oste. Ma anche lui - era tanto più vecchio di te - adesso è morto. (L'Oste si ritira) E avete avuto figliuoli perché questa è la legge della vita. Ma anche i tuoi figli è come se non ci fossero più, perché sono in città lontane intenti ai loro com­merci e ti scrivono solo a Natale e il giorno del tuo onomastico... Anche qui nella nostra Chiesetta sono accadute molte cose... H nostro amabile Parroco fu il primo a lasciarci, sì, cadde dalla scala, pensa, quella scala che conduce sull'Altare e sulla quale - diceva - Dio non avrebbe mai potuto colpirlo... o forse il Signore l'ha colto così in alto perché più breve fosse la strada per condurlo in Cielo... (Il Parroco si ritira) E anche lui       - (indica Marco) non c'è più. Ricordi quanta smania di agire era in lui? Ebbene fu accontentato. Fu assegnato ad una delle nostre missioni in Cina e lì, sul luogo ove aveva costruito chiese, ospedali, scuole, fu ucciso in una guerriglia civile o in una rivolta d'indigeni, non ricordo bene. Quel che si sa di preciso è che fu colpito con quegli stessi mattoni che qualche giorno prima aveva benedetti. Strano, no? (Marco si ritira) ...Gli altri due, Paolo e Fulgenzio, vivono, ma l'uno ad oriente, l'altro ad occidente, a molte mi­glia di mare da qui... E per quel che se ne sa, sono due bravi missionari, hanno ottenuto un gran nu­mero di conversioni in tutti questi anni di aposto­lato e hanno spinto il regno di Cristo in regioni pressoché sconosciute alla predicazione della Chie­sa... Ma le loro notizie sono rare e saltuarie... La distanza, capisci... (Paolo e Fulgenzio si ritirano) E qui, come vedi, è rimasto Tomaso, è lui il Par­roco, ora. (Tomaso mette sul capo una parrucca bianca che trae di tasca e scende dallo scanno. Ma nessun altro cenno di vecchiaia è in lui) Natural­mente altri giovani missionari hanno preso il po­sto di quelli partiti o scomparsi. (Entrano quattro giovani chierici in cotta bianca che silenziosamente vanno a sedersi in fondo alla scena sugli scanni) Le fila dell'esercito di Cristo continuamente si di­radano e continuamente si rafforzano...

Maria                               - E padre Roberto?

Andrea                            - Già, Roberto... Lo saprai subito. (En­tra una vecchietta) Sei tu, Maria. Guardati.

Maria                               - (con meraviglia) Oh, io... (Con gioia) Vengo ancora in Chiesa dunque?

Andrea                            - (con un sorriso) Sì, Maria... ma è come se non ci venissi. Ascolta tu stessa.

Maria Seconda                - Parroco, mi ha mandata a chiamare?

Tomaso                            - Sì, figlia mia. Ho da parlarvi. Sedete.

Maria Seconda                - (restando in piedi) Grazie, ma ho le gambe ancora buone.

Tomaso                            - Come volete. (Il suo tono è dolce, ma un po' stanco) Si tratta di questo. Hanno scritto da Roma per introdurre la causa di beatificazione del reverendo Roberto. Pare che Analmente siano stati rimossi gli ultimi ostacoli e tutte le carte che andavano scritte sono state scritte. Ora si tratta di rendere testimonianza sulle virtù eroiche e sulle rivelazioni celesti che ebbe in vita... E voi che siete la sua miracolata...

 Maria Seconda               - (come punta) Miracolata? Vo­lete alludere alla malattia che ebbi da piccola?

Tomaso                            - Sì. E' la prova determinante.

Maria Seconda                - Dovrei apparire sui giornali?

Tomaso                            - No, non credo che si arriverà a que­sto. Ma se anche fosse...

Maria Seconda                - Dovrei andare a Roma?

Tomaso                            - Solo se vi chiamano a deporre.

Maria Seconda                - (che ha riflettuto) Ebbene, Padre, in coscienza non posso dire che fosse un miracolo.

Maria Prima                     - (con uno scatto) Cosa dici?

Maria Seconda                - (parlando sempre al Parroco co­me se non avvertisse la presenza della prima Maria) Sì. Non ricordo bene. Sono passati tanti anni...

Maria Prima                     - (disperata) Sì, che ricordi. Tu devi ricordare.

Maria Seconda                - (c. s.) A pensarci bene, mi pare che già altre volte mi fossi alzata prima di quel giorno. Sì, è così. Non fu la prima volta quan­do entrò padre Roberto.

Maria Prima                     - (ad Andrea) Non posso essere io a parlare così. Non sono io.

Andrea                            - Sei tu Maria.

Tomaso                            - Voi vi assumete una terribile respon­sabilità dinanzi a Dio. Avete ben riflettuto?

Maria Seconda                - Sono vecchia, padre, e devo pensare ai miei figli. Essi sono in commercio -gente seria, stimata - che direbbero nel vedere il mio nome andare sui giornali, sulle bocche di tutti? E le mie nuore? Voi non le conoscete, ma son così suscettibili, permalose... mi chiuderebbero l'uscio in faccia... e io non voglio trascorrere la vecchiaia senza rivedere i miei figli. Mi dispiace.

Tomaso                            - Anche a me dispiace, Maria. Anche a me resta poco da vivere come voi... e soffro nel vedere che invece di considerare quel che vi aspetta in cielo, voi siete ancora attaccata agli scrupoli e alle convenienze di questa terra. Ma io non posso forzare la vostra volontà.

Maria Seconda                - (con uno scatto di acredine) Un giorno lo faceste però! Foste voi stesso a ordi­narmi di gridare che non era miracolo... Allora non vi scandalizzaste. Perché vi scandalizzate oggi che,, in fondo, non ripeto che quello che m'insegnaste allora?

Maria Prima                     - (ad Andrea) Fatela tacere! Fa­tela tacere!

Tomaso                            - (rassegnato) E così? Tutto ritorna, dunque? Tutto ritorna su noi?

Maria Prima                     - (ad Andrea) Mandatela via!

Andrea                            - (fa un cenno alla vecchia di uscire).

Maria Seconda                - (nell'uscire) Mi dispiace. Pro­prio mi dispiace. (Esce).

Maria Prima                     - Oh, non avrei mai creduto che sarei arrivata a tanto.

Andrea                            - Nessuno di noi sa veramente quello di cui è capace! (Prende per un braccio Maria e la conduce da parte).

Maria Prima                     - (sottovoce, indicando Tomaso) Ma è solo. Chi lo aiuterà?

Andrea                            - Qualcuno, Maria. Qualcuno.

Tomaso                            - E' questo, dunque, che volevi da me, Signore? Condurmi con mano sino in fondo alla mia strada? Tu vedi: io l'ho percorsa tutta giorno per giorno, attimo per attimo e non ho allontanato da me nessuna « occasione », nessun pericolo. Adesso son qui solo e non mi difendo più. Non ho più nulla da difendere. Ho dato tutto. Io, il ribelle, son qui ai tuoi piedi... fa di me quello che vuoi, Signore... Ma dimmi, dimmi che tutto non fu vano, che c'era una ragione in tutto questo!

Roberto                           - (una luce a sinistra in alto nella quale è l'ombra di un corpo) E' così, Tomaso. E' così.

Tomaso                            - (calmo, come se parlasse ad una persona vicina) Sei tu, Roberto?

Roberto                           - Sì.

Tomaso                            - Hai sentito? Nessuno vuol più rico­noscere il tuo miracolo!

Roberto                           - Non ti preoccupare, Tomaso. Io ap­partengo già alla gloria della Chiesa trionfante. H mio processo è un incidente. Qualche giorno, fra cento o mille anni, si farà. Tutto quello che gli uomini potranno decidere su di me, qui è già stato deciso. Pensa a te, Tomaso.

Tomaso                            - Io? Io sono solo.

Roberto                           - No. Tu non sei solo. Tu sei il Par­roco e devi fare della tua parrocchia una provincia del Paradiso.

Tomaso                            - Gli uomini non vogliono ascoltarmi. .

Roberto                           - Sempre gli uomini non vogliono ascol­tare. Anche tu rifiutasti il mio messaggio. Anche tu ti accanisti contro di me.

Tomaso                            - Ero cieco, Roberto.

Roberto                           - Tutti gli uomini lo sono. E' privilegio dei santi ricondurli fra le braccia di Dio.

Tomaso                            - Si. Ero cieco. Cercavo Dio nella luce, nella gloria manifesta, nel prodigio palese. E in­vece Dio è nell'oscurità, nell'orgoglio che nega, nella, ragione che dubita, nella carne che vacilla. Dio è nelle povere umili cose che sfioriscono, nel cer­chio di pena in cui ogni giorno ci dibattiamo, in questa Chiesa deserta dai fedeli, nelle pietre be­nedette che hanno colpito a morte Marco, nella scala che cede sotto i passi del Parroco, nella ca­lamità, nelle sventure, nel dolore. La gente do­manda sempre nuove prove buone, solide, evidenti e non s'accorge che le prove sono ogni giorno, ogni attimo sotto i loro occhi ed essi, ostinati, non le vedono. Il torto è in noi che vogliamo ad ogni costo scoprire in tutti gli atti le intenzioni segrete, le cause remote, gli intimi disegni, i piani, i signifi­cati... In noi testardi Che vogliamo capire, capire... L'assurda e sciocca pretesa: capire... mentre do­vremmo soltanto amare... e accontentarcene... perché solo l'amore redime la nostra condizione umana e ci fa degni della patria celeste! (Con forza) Io ora «so», Roberto. Ora so.

Roberto                           - Allora posso lasciarti, Tomaso.

 Tomaso                           - (c. s.) Sì, sono forte, Roberto. Ce n'è voluto, vero? Ma ora sono forte e credo... cre­do! (La luce scampare. Si ode il suono dell'organo che intona il « Gloria in excelsis Deo ». / quattro in fondo cantano a mezza voce. E su tutto le parole di Tomaso) Io credo!

FINE