Stampa questo copione

MIRDAD

Libera riduzione teatrale

Di NATALE MISSALE

PERSONAGGI

Noè

Sem

Viandante

Montanaro

Pastore

Vecchia 1

Vecchio

Vecchia 2

Shamadam

Naronda

Mirdad

Micayon

Zamora

Tasca

Ester

Filosofo

Principe

Commedia formattata da

Prologo

 (Quando il sipario si apre la scena è buia. Un sibilo di vento sottolinea tutto il discorso delle sole voci).

Noè                          - Noè ti ringrazia Signore! La mia vita e quella dei miei figli, da oggi in avanti, sarà vissuta per celebrare la tua gloria. Sem!

Sem                          - Sì, padre.

Noè                          - Prestami attenzione, figlio mio. Tu, i tuoi fratelli, i vostri figli ed i figli dei vostri figli ripopolerete la spoglia terra. Tuttavia temo che con il tempo gli uomini dimenticheranno il diluvio, nonché le bramosie e le cattiverie che lo causarono. Essi dimenticheranno anche l'Arca e la Fede che portò questa a trionfare per 150 giorni sulle furie dei vendicativi abissi. Per evitare che essi dimentichino, invito te, figlio mio, a costruire un altare sulla più alta cima di queste montagne. Tale vetta la chiamerai Picco dell'Altare. Intorno all'altare dovrai costruire una casa simile all'arca. Un fuoco perenne dovrà ardere in essa. Questa casa sarà un santuario per una piccola comunità di uomini scelti, il cui numero non dovrà mai essere né superiore, né inferiore a nove. Se uno di loro morirà, Dio provvederà subito alla sua sostituzione.

Sem                          - Padre, perché il numero dovrà essere proprio nove?

Noè                          - Tale è il numero di coloro che fecero salpare l'Arca.

Sem                          - Ma eravamo in otto! Tu e la mamma, e noi tre figli con le mogli.

Noè                          - Figlio mio, la nona persona era un clandestino conosciuto e visto solo da me. Egli era il mio costante compagno e timoniere. Non chiedermi altro di lui, ma non dimenticare di lasciargli il posto nel tuo santuario. Sem, figlio mio, queste sono le mie ultime volontà. Fa in modo che siano rispettate. (Si accendono le luci. Entra in scena un viandante con bastone mantello e bisaccia. Un montanaro sta raccogliendo qualcosa da terra)

Viandante                - Per il Picco dell'Altare mi sono state indicate due vie d'accesso. Dimmi, montanaro, quella via di mezzo, diretta, che dalla base porta alla vetta, non è forse la più immediata e facile?

Montanaro                - La china di pietra? Non esseere tanto pazzo, viandante, da dar via la tua vita per così poco. Molti hanno tentato ciò prima di te, ma nessuno è mai tornato per raccontarlo. Se vuoi ti posso guidare io su per la montagna attraverso sentieri più sicuri. Ti scongiuro- non gettare la tua vita per nulla.

Viandante                - Ti ringrazio, montanaro, ma ho deciso- scalerò la china di pietra.

Montanaro                - La tua è follia, viandante, ma, che Iddio ti assista. (va).

Viandante                - Le tenebre stanno cedendo il posto alla luce e mi sono scrollato dalle palpebre i sogni della notte. Ho qui (tocca la bisaccia) sette forme di pane. Il debole respiro della notte ed il rapido battito del giorno nascente, sembrano aver donato ali ai miei piedi e leggerezza al mio sangue. Con una canzone nel cuore, vado incontro alla China di Pietra.

Montanaro                - Vai, vai, e vedrai come, fra poco, ingoierai la tua canzone (esce il viandante). Vedrai come, quella che ti sembra una strada dritta e liscia, altro non sia che una muraglia insuperabile di pietre di ogni grandezza e forma. I più piccoli frammenti sono come aghi appuntiti o come lame affilate. (Esce. Rientra il viandante)

Viandante                - Forse era questo che intendeva il montanaro            - questa China con i soli piedi non potrà mai essere scalata. Affonderò pure mani e ginocchia. La mia marcia mi ha stancato e m'ha fatto venir fame. (Prende una forma di pane dalla bisaccia e sta per addentarla quando si ode un suono di campana) Che sarà mai? (guarda verso le quinte) Ma quello è un capro nero con una campana appesa al collo! Ed ecco altre capre, tante capre. Ma che fanno? Vengono verso di me, vogliono il mio pane (nasconde il pane dietro la schiena, mentre entra il pastore del gregge)

Pastore                     - Il mio capo-gregge è un capro molto viziato. Io lo nutro di pane ogni volta che posso procurarmene. Ma per molte lune, nessuna creatura che si nutre di pane è passata di qui. (Al capro) Vedi, mio fedele capro, come la buona Fortuna provvede? Non bisogna mai perdere la fiducia nella Fortuna (Prende la pagnotta dalla mano del viandante e la dà al capro)

Viandante                - Questo frugale pasto sarà da noi spartito. C'è qui abbastanza pane per noi due e per il capro. (Il pastore prende la bisaccia del viandante, tira fuori tutti i pani rimasti e li dà alle capre) Visto che hai nutrito le tue capre con il pane di un affamato, non nutriresti costui con un po' del loro latte?

Pastore                     - Per i pazzi il latte delle mie capre è un veleno, e non mi va che esse siano colpevoli di togliere la vita ad un uomo, sia pure folle.

Viandante                - Perché mai mi ritieni pazzo?

Pastore                     - Perché prendi sette pagnotte per un viaggio che dura sette vite.

Viandante                - Avrei dovuto forse prenderne settemila?

Pastore                     - No, neanche una.

Viandante                - Intraprendere tale viaggio senza provviste? E questo che mi consigli?

Pastore                     - Il sentiero che non provvede al viandante non è un sentiero degno d'essere percorso.

Viandante                - Vorresti forse che mangiassi pietre al posto del pane e che bevessi il mio sudore invece dell'acqua?

Pastore                     - La tua carne è sufficiente come cibo ed il tuo sangue lo è come bevanda. C'è poi anche il sentiero.

Viandante                - Tu ti burli fin troppo di me, o pastore. Io non ho, comunque, alcuna intenzione di restituirti la beffa. Chiunque mangi parte del mio pane, lo stesso diventa mio fratello, anche se mi lascia affamato. Il giorno sta ormai scivolando lungo la montagna, puoi dirmi se sono ancora lontano dalla vetta?

Pastore                     - Troppo vicino all' oblio sei tu. (va)

Viandante                - (Osserva i suoi abiti e le scarpe) Le mie calzature sono imbrattate di sangue, la pelle dei piedi sembra incollata ad esse. Le palme delle mani sono coperte di solchi. Le pietre affilate hanno hanno tagliato in più parti i miei vestiti, e la testa mi si gonfia dal sonno. (Guarda un angolo del palcoscenico) Quella mi sembra una grotta     - sarà il mio alloggio per la notte (si sdraia e s'addormenta. Entrano una vecchia ed una fanciulla con in mano una lanterna. La vecchia gli tira la giacca)

Vecchia                    - Vedi, mia dolce fanciulla, come la buona Fortuna provvede? (E tenta di strappare dalle spalle del viandante la sua giacca) Non bisogna mai disperare. (toglie giacca e camicia del viandante e le dà alla fanciulla, sta per passare ai pantaloni).

Viandante                - Se tu hai perso ogni pudore, vecchia donna, non altrettanto ho fatto io. Della mia nudità io mi vergogno persino davanti a una svergognata megera come te. Che bisogno ha una fanciulla dei cenci di un uomo sfinito in una notte simile?

Vecchia                    - Ciò serve per alleggerire il tuo peso e per scaldare lei- non vedi come batte i denti dal freddo?

Viandante                - Ma quando il freddo farà tremare i miei denti, con che cosa lo mando via? Non hai nel cuore un po' di compassione? I miei indumenti sono tutto ciò che ho al mondo.

Vecchia                    - Meno possiedi, meno sei posseduto, più possiedi, più sei posseduto. Andiamocene, bambina mia.

Viandante                - Prima di andartene, vecchia donna, non saresti tanto gentile da dirmi se mi trovo ancora lontano dalla vetta?

Vecchia                    - Sull'orlo della Nera Voragine sei tu. (Vanno)

Viandante                - Ecco, si dileguano nella fuliggine della notte. Le pareti della grotta sembrano esalare gelo; i miei denti battono; i miei pensieri sono confusi e divisi fra capre, pastore beffardo, questa donna e questa fanciulla, io seminudo e pieno di lividi e di ferite, infreddolito, affamato, inebetito, in una grotta del genere sull'orlo di un abisso. Odo un abbaiare d'un cane (guarda verso la quinta) e vedo un'altra luce. (entrano un vecchio e una vecchia)

Vecchio                    - (Ad un cane che non si vede, verso la quinta) Tu rimani a cuccia lì, e non ti muovere. Vedi, mia cara, come la buona Fortuna provvede? Non si deve mai disperare.

Vecchia                    - Che magnifica stanza!

Vecchio                    - Sì, una magnifica stanza nuziale per il nostro amore.

Vecchia                    - E uno splendido bastone al posto di quello che mi sono perso.

Vecchio                    - Con un bastone del genere non dovresti inciampare più, amor mio. Tra poco il forestiero se ne andrà, mia adorata, e noi sogneremo soli soletti i sogni della notte.

Viandante                - Non vi basta avermi tolto il bastone? Sareste forse tanto crudeli da privarmi anche di questa grotta, mio unico rifugio per la notte?

Vecchio                    - Felici coloro che son privi di bastone,

Vecchia                    - essi non inciampano. Felici coloro che non hanno casa,

Vecchio                    - essi sono a casa. Solo chi ,come noi, inciampa ha bisogno di camminare con un bastone.

Vecchia                    - Solo chi, come noi, è incatenato alla casa deve avere una casa.

Viandante                - Guardate le mie mani. Guardate i miei piedi. Io sono uno sperduto viandante in questa china desolata. La strada che mi ha portato sin qui è marcata dal mio sangue. Non avete alcun timore del castigo? Se non volete spartire con me la grotta, datemi almeno la lanterna.

Vecchio                    - L'amore non sarà violato.

Vecchia                    - Il lume non sarà spartito. Ama e vedi.

Vecchio                    - Illumina e sii.

Viandante                - Oh buon vecchio! Buona vecchia, io non disturberò la vostra intimità. Anch'io una volta ho assaporato l'amore. Non vi chiederò di rimanere, né vorrò la lanterna. Vi chiedo solo di indicarmi la vetta, perché ho perso l'orientamento e l'equilibrio.

Vecchio                    - Il leone e la larva, il coniglio e la lumaca, l'aquila e la talpa, solo la morte può compensare. Muori per vivere o vivi per morire. (Si spengono le luci. Poco dopo si riaccendono - i vecchi sono spariti, al loro posto un abate).

Shamadam               - Alzati, o beato straniero. Tu hai raggiunto il tuo obiettivo.

Viandante                - Chi sei tu, dove mi trovo?

Shamadam               - Io sono l'Abate Legato, e tu ti trovi sul Picco dell'Altare.

Viandante                - E la grotta?

Shamadam               - E' alle tue spalle.

Viandante                - E la Nera Voragine?

Shamadam               - E' davanti a te.

Viandante                - Chi mi ha tirato fuori dalla voragine?

Shamadam               - Lui ti ha tirato fuori dalla voragine, e Lui ti ha guidato fino alla vetta.

Viandante                - E chi è questo Lui?

Shamadam               - Lo stesso che ha legato la mia lingua e che mi ha tenuto incatenato in questo Picco per centocinquant'anni.

Viandante                - Dunque tu saresti l'Abate Legato. Ma quello di cui ho sentito parlare è muto, non parla, mentre tu parli.

Shamadam               - Tu hai sciolto la mia lingua.

Viandante                - Da quello che ho sentito dire, tu eviti qualunque uomo, come mai non eviti me?

Shamadam               - Per cento cinquant'anni ho atteso la tua venuta. Per tutto questo tempo, giorno dopo giorno mi sono affacciato da questa China, nell'attesa che un uomo come te, senza bastone, ignudo e senza provviste, giungesse fin qui. Molti hanno tentato di scalare la China, ma nessuno mai c'è riuscito. Alcuni sono arrivati seguendo altri sentieri, ma erano con bastone, indumenti e provviste. Tu sei morto per vivere. Io sto vivendo per morire. Tutto è come Lui aveva promesso. E questo mi dà la convinzione che tu sei l'uomo designato.

Viandante                - Chi sarei io?

Shamadam               - Il beato nelle cui mani devo consegnare il sacro libro, affinché venga reso noto al mondo.

Viandante                - Quale libro?

Shamadam               - Il suo libro, il Libro di Mirdad.

Viandante                - Mirdad? E chi è Mirdad?

Shamadam               - Possibile? Tu non hai mai sentito parlare di Mirdad? Davvero strano. Sacro è questo luogo, o straniero, perché i suoi piedi lo hanno calpestato. Sacra è quest'aria, perché i suoi polmoni l'hanno respirata. Sacro è questo cielo, perché i suoi occhi lo hanno scrutato.

Viandante                - Confesso che hai stimolato bene la mia curiosità. Ora voglio saperne di più su questo Mirdad.

Shamadam               - Prestami il tuo orecchio ed io ti dirò ciò che mi è permesso rivelare. Ero il decano dell'Arca allorché uno dei nove Compagni morì. La sua anima era a mala pena dipartita, che mi fu comunicata la presenza di un forestiero che chiedeva di me alla porta. Io avrei dovuto gioire nel constatare che Dio continuava ad occuparsi dell'Arca, come aveva fatto fin dai tempi di Sem, il figliolo di Noè. Notai subito che nel mio petto albergava un senso di ribellione       - prima ancora di posare i miei occhi sul forestiero, tutto il mio essere lottava già contro di lui. Era come te, viandante   - ignudo, affamato e privo di bastone. Sembrava completamente indifeso. Tuttavia, una strana luce nel suo volto lo faceva apparire più invulnerabile di un cavaliere nella sua armatura. Tutte le mie viscere protestarono contro di lui. Lo cacciai via, ma non si mosse, e gli sputai in faccia, per questa sua cocciutaggine. In quel momento, nel mio intimo ammisi che il confronto era impari e che il più forte di noi due era lui. Se ti siedi là, in quell'angolo, ti farò rivivere quell'incontro. (Escono. Poco dopo rientra Shamadam con un rosario orientale in mano. Quindi un monaco annuncia)

Naronda                   - Abate, Abate, è morto Elia, uno dei Compagni!

Shamadam               - Avete preparato tutto per la funzione?

Naronda                   - Sì, è tutto pronto, nonostante sono appena passati pochi minuti. Ma c'è una strana coincidenza. Il fratello Elia aveva appena reso l'anima a Dio, quando alla porta dell'arca bussavano. L'antica profezia, secondo cui ad ogni morte di uno dei nove Dio avrebbe provveduto immediatamente, si è ancora una volta avverata. Il forestiero vuole parlarvi.

Shamadam               - Fallo passare subito. Lo riceverò. (il monaco esce, e Shamadam parla al Viandante) Com'è che il mio sangue ribolle in ogni vena del mio corpo, Viandante? Perché, senza averlo nemmeno visto, ogni mio lembo di corpo e di mente si oppone alla presenza di tale forestiero? (Rientra il monaco)

Naronda                   - Ecco il forestiero, Abate. (Va mentre entra il forestiero Mirdad)

Shamadam               - Cosa vuoi, forestiero?

Mirdad                     - Chiedo di restare nella comunità, Abate.

Shamadam               - Ti ordino di lasciare immediatamente quest'Arca santa. Non puoi restare qui!

Mirdad                     - Prego l'Abate di ripensare a questa decisione, io devo restare.

Shamadam               - Come osi opporti ai miei ordini (Si avvicina al Viandante) fu a questo punto che gli sputai in faccia, (a Mirdad) via di qui, insolente! (Mirdad si asciuga lo sputo dalla faccia)

Mirdad                     - Consiglio ancora una volta all'Abate di cambiare la sua decisione.

Shamadam               - Stai oltrepassando ogni limite, forestiero, devo umiliarti ancora, per farti capire che tu non puoi restare qui con noi?

Mirdad                     - Chiedo all'Abate se è possibile avere qualche po' di cibo e degli indumenti.

Shamadam               - Il monastero vive di carità e non può dispensare carità (si avvicina al Viandante) Il monastero era così ricco che non poteva negare cibo e vistiti ai bisognosi. A Mirdad) Tuttavia, pensandoci bene, puoi rimanere, ma… solo come servo. (al Viandante) Gli proposi questo, per nascondere la mia disfatta. Non mi rendevo però ancora conto che ero io il mendicante, e non lui.

Mirdad                     - Farò il servo, accetto.

Shamadam               - Va bene, vai da Giuseppe, nelle cucine, ti dirà lui cosa fare. Digli che sei qui come servo. (Mirdad esce. Shamadam si rivolge al Viandante) Non avrei mai potuto immaginare che facendolo entrare, anche solo come servitore, stavo mettendo me stesso alla porta. Fino all'ultimo giorno mi illudevo d'essere io il padrone dell'Arca, e non lui. Ah, Mirdad, Mirdad, che cosa hai fatto a Shamadam, che cosa hai fatto a te stesso!

Viandante                - Se parlare di quest'uomo ti scuote tanto, ti prego, non parlarne.

Shamadam               - No, devi sapere. Per sette anni egli fu per noi un umile servitore. Gentile, sveglio, inoffensivo, discreto, pronto sempre a ubbidire. Dopo sette anni il mio cuore si intenerì nei suoi riguardi, consultai la comunità e decidemmo di ammetterlo come Confratello. Proprio allora Mirdad dissuggellò le sue labbra e la tempesta si scatenò. Tutti furono travolti, eccetta (indica se stesso) questo povero Shamadam. Mirdad era il padrone, io lo schiavo. La sua dottrina è strana e complicata       - è tutta contenuta nel Libro. Di esso a me non è permesso parlare. Osserva, Viandante, quello che accadde. (Entrano Mirdad e i Fratelli)

Naronda                   - Tutte le terre che erano state offerte al monastero, le abbiamo donate, Maestro. Inoltre abbiamo distribuito ai poveri e ai bisognosi tutte le ricchezze del monastero.

Mirdad                     - A lungo avete vissuto sulle vette. Oggi dovete discendere negli abissi       - la valle e la vetta vanno unite. In quanto a te, Shamadam, la tua ora non è ancora giunta. Aspetterai la mia venuta su questo Picco, e nell'attesa sarai il guardiano del mio Libro. A suo tempo invierò un mio messaggero, affinché prelevi il Libro e lo renda noto al mondo. Da questi segni lo riconoscerai- ascenderà questa vetta passando per la China di Pietra; lo troverai davanti a questa grotta privo del bastone e delle sette pagnotte con cui aveva cominciato il viaggio, e privo dei suoi vestiti. Fino alla sua venuta, la tua lingua e le tue labbra saranno suggellate, e tu schiverai ogni umana creatura. Solo la sua presenza ti libererà dalla prigionia del silenzio. Appena gli consegnerai il Libro, sarai trasformato in una pietra, la quale ostruirà l'entrata di questa grotta fino alla mia venuta. Poi ti libererò. (Shamadam si toglie il mantello, lo dà al Viandante. Tira fuori il libro da una custodia e glielo dà)

Shamadam               - Questo abito non mi serve più. Ecco, questo è il Libro di Mirdad, e questo sono io (gli porge una pietra e scompare. Il Viandante apre il libro e legge)

Viandante                - Quella sera gli otto erano radunati in camera da pranzo. Grande fu il nostro stupore e la nostra gioia quando, per la prima volta in sette anni, Mirdad apriì la bocca e ci parlò.

Mirdad                     - Non con l'occhio, ma attraverso di esso dovete guardare per potere vedere tutto ciò che si trova aldilà di esso. Non con il labbro e la lingua, ma attraverso di essi voi dovete parlare per poter dire tutte le parole che si trovano aldilà di esse. L'anima di ogni altra parola è racchiusa nella parola Io. Io, o monaci, è la Parola Creativa. Il vostro Io non è altro che la vostra Consapevolezza. Pensando Io, voi mettete in agitazione un mare di pensieri nelle vostre teste. Se voi avete pensieri che pungono, trafiggono o graffiano, sappiate chel'Io in voi è stato il solo a dotarli di pungiglioni, zanne e artigli. Sappiate che quest'universo è la creazione del vostro Io, che è allo stesso tempo il creatore e il creato. Com'è il vostro Io, così è il vostro mondo. Ma il vostro è un mondo di culle che diventano tombe e di tombe che diventano culle; di giorni che divorano notti e di notti che rigurgitano giorni; di pace che dichiara guerra e di guerra che sollecita pace. Mirdad, o monaci, intende estrarre il veleno dal vostro Io, sì da permettervi di assaporare la dolcezza del Discernimento. (Rivolgendosi ad un monaco) Micayon, i tuoi occhi mostrano stupore, c'è qualcosa che vuoi dire?

Micayon                   - Le tue parole mi hanno travolto come un torrente in piena. Esse sono troppo provocanti, o Mirdad, aprono molte porte ma ci lasciano lì sulla soglia. Noi vogliamo entrare, non rimanere qui.

Naronda                   - Sì, guidaci dentro, Mirdad.

Mirdad                     - Sappiate, allora, che, sebbene uno abbia come centro il proprio Io, voi tutti avete come centro lo stesso Io, che è il singolo Io di Dio che è l'eterna ed unica parola di Dio. Quando Egli dice Io, tutto, senza l'eccezione di alcun granello di sabbia, viene pronunciato e pressato in quella parola. (A Zamora) L'uomo è un Dio in fasce, Zamora. Tempo, spazio e carne, sono fasce.

Zamora                     - Sì, Mirdad, ma io, uomo, mi sento ancora troppo consapevole delle mie fasce, ed esse cambiano di giorno in giorno.

Mirdad                     - E' per questo che il tuo discernimento risulta offuscato, e, di conseguenza, la tua vita squilibrata. Quando dici Io, quando voi tutti dite Io, o monaci, tagliate la parola in due parti                        - le sue fasce, e Dio. E addio identità con l'Uno. Non fate che separarvi dalla Verità. (Shamadam si avvicina al Viandante)

Shamadam               - Non avrei mai immaginato che spremendo una scopa, calpestando un servo, se ne potesse ricavare tanta saggezza.

Mirdad                     - Per il saggio, tutto è deposito di saggezza, Shamadam, mentre per lo sprovveduto, la saggezza stessa è follia.

Shamadam               - Tu hai un abile lingua, non c'è dubbio, ed è strano che l'abbia tenuta a freno per tanto tempo, tuttavia, le tue parole son troppo dure per essere ascoltate.

Mirdad                     - Le mie parole sono molto semplici, Shamadam. E' il tuo orecchio ad essere duro. Ma guai a coloro che ascoltano senza sentire, e guai a coloro che guardano senza vedere.

Shamadam               - Io sento e vedo molto bene, troppo, forse. Ma non desidero ascoltare la follia che Shamadam è come Mirdad, che il padrone è uguale al servo.

Mirdad                     - Il servo è il padrone del padrone, ed il padrone è il servo del servo. Io non sto parlando da servo, né da padrone, ma da fratello a fratello. Perché dunque sei turbato dalle mie parole? Questo deve essere il nido delle aquile Shamadam, non delle talpe. Sedete in questo nido e proiettate fuori la vostra immaginazione. Essa è la vostra guida divina, seguitela con il cuore pieno di risolutezza e coraggio. Sappiate che non potete immaginare alcunché che non si trovi in voi o che non sia parte di voi.. L'uomo può espandersi all'infinito, poiché le sue radici sono piantate nell'eternità. Non ponete limiti a voi stessi, espandetevi fino a che non vi siano regioni in cui voi siate assenti. Espandetevi fino ad incontrare Dio ovunque vi troviate. Ogni pensiero, azione o desiderio procrea secondo il proprio genere e la propria natura. Tutto ciò che è in armonia con la Legge Divina va ad accumularsi alla Vita. Quello che si oppone ad Essa, invece, va ad unirsi alla morte. I giorni che colpiscono, che sferzano, che costringono a mordere la polvere, sono il frutto delle ore spese in ostinata opposizione alla Legge.

Zamora                     - Ma come faremo a conoscere la Legge di Dio?

Mirdad                     - La Legge di Dio è l'Amore. Ma…l'amore che sceglie una porzione del tutto è predestinato al dolore. L'Amore è la linfa della Vita. Esso non è una virtù, ma una necessità. Per poter veramente vedere e udire, Shamadam, occorre che l'Amore sia nell'occhio e nell'orecchio.  Quando riuscirete ad equipaggiare il vostro sangue con un Desiderio Maestro, la vostra mente con un Pensiero Maestro, e tutto il vostro essere con una Volontà Maestra, allora conseguirete la Verità. Desiderio Maestro, Pensiero Maestro e Volontà Maestra devono essere la base della vostra preghiera- se dietro ogni sillaba non vi è il cuore, la preghiera non esiste. Tu, Shamadam, sei un'ombra che si sposta qua e là, e non sei né qui, né lì. Ma io sono venuto per bruciare tutte le vostre ombre al Sole.

Shamadam               - Io ero decano di quest'Arca molto prima che il tuo alito cominciasse ad inquinare l'aria. Come fai a dire che non sono qui?

Mirdad                     - Io ero prima che queste montagne fossero, e continuerò ad essere dopo che esse saranno diventate polvere.

Shamadam               - Avete sentito, monaci? Avete sentito tutti? Compagni, aiutatemi a buttare giù nel pozzo questo sacrilego che crede di essere Dio (Lo afferra per un braccio, ma Mirdad rimane fermo e imperturbabile). Sono io il Decano di quest'Arca, e farò valere l'autorità conferitami da Dio.

Zamora                     - Non ora, Decano. Al portone c'è già parecchia gente che aspetta di essere ricevuta da Mirdad. Da che s'è sparsa la voce che lui è un secondo Salomone, coppie di litiganti si accalcano tutti i giorni a quest'ora per essere ascoltate ed avere giustizia.

Shamadam               - Va bene, va bene, venite via con me - sapete quanto lavoro ci aspetta. Via, via, lontani da questo…(con aria ironica) tribunale! Lasciamo Salomone ai suoi degni ospiti (vanno).

Mirdad                     - Vai, vai Shamadam, ma strofina i tuoi occhi, fratello mio! Svegliati prima che il turbine del tuo odio nei miei confronti ti investa irrimediabilmente. Odiando me, odii te stesso, fratellino mio! Amati amandomi             - il tuo Essere è il mio Essere          - Io è me, te ed ogni cosa che abbia Coscienza. (Si sentono voci litiganti)

Tasca                        - (Dalle quinte) Non ti azzardare più! Guai a te se ti pesco un'altra volta mentre… (Entrano) Io sono la vecchia Tasca, Mirdad, e ho trascinato qui questa strega perché continua a… (viene interrotta da Mirdad)

Mirdad                     - Tasca è il tuo vero nome, vecchia?

Tasca                        - No, Mirdad, il mio vero nome è Peppa, Peppa Materasso.

Mirdad                     - E Materasso è il tuo cognome?

Tasca                        - No, no, monaco santo. Tasca e Materasso sono nomignoli.

Ester                         - La chiamiamo così, perché è la più gran tirchia di tutta la terra. Sappi, buon monaco, che costei…(viene interrotta da Tasca)

Tasca                        - (Minacciosa) Se ti azzardi ancora a…

Mirdad                     - Va bene, va bene! Parliamo del fatto.

Tasca                        - Il fatto è presto detto, monaco. Costei, nonostante le mie continue lamentele, tutti i giorni sporca il mio giardino.

Ester                         - Oltre che tirchia, monaco buono, costei è anche bugiarda! (A Tasca) Perché non glielo dici cosa butto? Hai paura del santo monaco, eh!

Mirdad                     - Cosa butta, vecchia Tasca?

Tasca                        - E' lei che butta, non io. Quindi, chiedilo a lei cosa butta.

Ester                         - Come vedi, oltre che tirchia e bugiarda, è anche furba. Butto! Io non butto niente, Mirdad. Dò solo da mangiare al suo povero cane, un incrocio di Skai e Spinone, che costei ha ridotto, pur di risparmiare, a pelle ed ossa. Se non fosse per me, sarebbe già morto!

Tasca                        - Brutta strega! Se non fosse per questo santo monaco, affonderei queste vecchie unghie fra quelle odiose rughe!

Mirdad                     - Le tue parole, vecchia Tasca, non profumano certo di saggezza. (Guarda verso le quinte) E' quello il tuo cane?

Tasca                        - Sì, è proprio quello.

Mirdad                     - La vecchia Ester fa bene a dargli da mangiare          - a momenti si perde le vene. (A Ester) Forse, vecchia Ester, dovresti aumentare la dose. Dimmi, Tasca, Quando hanno cominciato a chiamarti così?

Tasca                        - Dal giorno in cui cominciai ad andare in giro con questa grossa tasca che mi consente di portare a spasso tutto quello che ho.

Mirdad                     - Dimmi ancora, vecchia Tasca, se io nella tua tasca metto tutto ciò che ho nella mia tasca, darai da mangiare al tuo cane due volte al giorno una giusta misura di cibo?

Tasca                        - (Allargando la tasca) Tu vuota la tasca nella mia tasca e Tasca ti promette di aprire i cordoni della tasca per sfamare il cane.

Ester                         - Non fidarti, monaco, non lo farà!

Mirdad                     - Lo farà, vecchia Ester, lo farà. Se non lo fa le chiuderò la bocca per centocinquant'anni, come ho fatto con un monaco. La sapete la storia, no?

Tasca                        - Riempini la tasca ed io lo farò, santo monaco. Io temo la tua santità. Lo farò, lo farò!

Mirdad                     - Tu, vecchia Ester, controlla dal muro di confine, e se dà da mangiare a quel povero cane, tu non le sporcherai mai più il giardino.

Ester                         - Ma io non sporcavo, facevo un'opera di carità!

Mirdad                     - (Mentre vuota la sua tasca di spiccioli che versa nella tasca di Tasca) Sì, lo so, vecchia Ester, ma vedi, è la sua spilorceria che vede fango là dove c'è pane. Non criticare la buona vecchia Tasca               - il suo occhio è velato dal velo del possesso. Ma sta sicura che, dando da mangiare al cane, scioglierà il suo cuore appena osserverà bene gli occhi del suo amico a quattro zampe              - l'amore di esso risveglierà il suo amore, ed a "sporcare" il suo giardino più spesso, provvederà la vecchia Tasca. Andate, e che Dio vi benedica. (Vanno. Entra uno strano personaggio) Come mai sei solo? Qual'è la disputa da dirimere? E con chi?

Filosofo                    - Sono un filosofo, e la disputa, che dura ormai da tutta una vita, è fra me e me. Io, Mirdad, ho abbracciato la logica fin dai tempi della scuola. Tutta la mia natura è fondata su di essa. Ma da che ho abbracciato tale disciplina è cominciata una furibonda lotta con me stesso. Fin da subito ho scoperto che logica e buon senso non sempre vanno d'accordo. Spesso un pensiero filosofico è la perfetta apologia ed esaltazione della logica, ed al tempo stesso un pugno in faccia al più elementare buon senso. La lotta, Mirdad è diventata aspra ed il mio pensiero non sa più da che parte andare. Ti prego     - aiutami!

Mirdad                     - Non hai ancora scoperto che l'unica utilità della logica è quella di liberare l'uomo dalla logica e di guidarlo alla Fede che conduce al Discernimento? La logica è immaturità intenta a tessere la ragnatela con cui intende catturare la conoscenza. Ma alla fine strangola se stessa nella propria rete e si trasmuta in fede, che è conoscenza più profonda. La logica è Fede divenuta infantile, e la Fede è logica diventata maggiorenne. Cresci, Filosofo, lascia che la tua logica divenga Fede, e la tua interna disputa avrà fine. Non devi far altro che sgattaiolare dal cerchione del tempo, al suo asse.

Filosofo                    - Ma per fare ciò, l'uomo deve negare se stesso.

Mirdad                     - Negare se stessi, Filosofo, equivale a morire al Mutamento e rinascere nell'Immobilità. La maggior parte degli uomini vive per morire. Se tu muori al Mutamento, muori per vivere nell'Immobilità. Passare dal cerchione all'asse del tempo, significa avere vinto i desideri, cioè la causa delle ripetizioni di tutte quelle cose che sono divenute preda del tempo. L'attaccamento a brame e desideri vi costringerà alla ripetizione, fino a che non vi svezzerete da soli una volta per tutte. E' l'Amore l'unico mezzo per liberarsi dall'attaccamento, dalla ripetizione delle proprie trasgressioni. Esso è il solo che possa liberarti dalla ruota del Tempo. Sappi che il Tempo altro non è che l'universale memoria scolpita nella tavoletta dello spazio, Filosofo. Il Tempo ricorda assolutamente tutto e salda ogni conto.

Filosofo                    - Stai dicendo che un fulmine non colpirebbe mai una casa se questa non lo attirasse a sé? Stai dicendo che colui che deve essere ucciso invita la spada dell'omicida, e colui che deve essere derubato dirige le mosse del ladro?

Mirdad                     - Già, prima l'uomo invita le proprie calamità, poi protesta contro i molesti ospiti dimenticando come, quando e dove ha compilato e spedito gli inviti. Ma il Tempo non dimentica, e consegna, nella stagione propizia, ogni invito al giusto indirizzo. Questi ospiti sono invero vostri creditori. Nel tempo e nello spazio nessun evento è accidentale.

Filosofo                    - Devo dunque accettare ogni accidenti mi capiti?

Mirdad                     - Non puoi far altro, Filosofo. (Entra Zamora)

Zamora                     - La nostra Sim-Sim, la nostra vecchia mucca è malata, Mirdad, e Shamadam ha chiamato un macellaio perché la finisca e venda carni e pelle.

Mirdad                     - Portate Sim-Sim qui, subito. (Esce Zamora e subito dopo porta una mucca di terracotta da presepe)

Zamora                     - Ecco Sim-Sim, Mirdad (Gli mette in mano la mucca).

Mirdad                     - Dov'è il tuo lobo, mia generosa Sim-Sim? Il tuo niveo latte, divenuto cremisi, sta tuttora scorrendo nelle nostre vene. I tuoi vigorosi vitelli stanno trainando pesanti aratri nei nostri campi e ci stanno aiutando a nutrire molte bocche affamate. Perfino i tuoi rifiuti ci aiutano a produrre frutta e verdure. Nei nostri burroni echeggiano ancora i possenti muggiti della buona Sim-Sim. Le nostre erbe sono felici di nutrirti, volto benigno, e le nostre brezze sono son felici di scivolare sul tuo morbido e lucente pelo. Sim-Sim ha dato molto ed ha molto preso, ma Sim-Sim non ha finito né di dare né di prendere.

Zamora                     - Può Sim-Sim capire le tue parole? Tu le parli come se avesse umana comprensione.

Mirdad                     - Non sono le parole che contano, Zamora, ma ciò che in esse vibra. A questo, persino la bestia è sensibile.

Zamora                     - A cosa serve parlare così alla vecchia e cadente Sim-Sim. Speri forse, così facendo, di arrestare la devastatrice azione del tempo e di allungare i suoi giorni?

Mirdad                     - Un terribile fardello è la vecchiaia, e gli uomini l'hanno resa gravosa con la loro insensibilità. Ad un bambino, essi profondono ogni cura ed affetto, mentre ad un uomo gravato dall'età, essi riservano indifferenza piuttosto che attenzione, disgusto invece che simpatia. Essi sono tanto impazienti di vedere un infante diventare grande, quanto lo sono di vedere un vecchio inghiottito dalla tomba. In verità i vecchi meritano più simpatia dei giovani - bisogna rinvigorire le deboli forze del vecchio con l'Amore. Un uomo che ha seminato se stesso per ottant'anni, è molto di più che un istante. Egli è il cibo di tutti coloro che raccolgono la sua vita. Lo stesso è per un debole animale. Siate gentili, o miei compagni e benevoli coi vecchi e con i deboli. Siate buoni con gli animali di ogni specie ed età, poiché essi sono i nostri muti compagni di viaggio. E' vera ingratitudine trarre profitto dal latte di Sim-Sim e poi, quando essa non può più darne, porre la lama del macellaio alla sua gola. Dì a Shamadam che questa mucca non è malata e morente, essa è più sana di me. Ha solo una gran fame. Datele da mangiare.

Zamora                     - Le tue carezze e le tue parole l'hanno guarita, Mirdad! (Si riprende la statuina della mucca) Vieni, Sim-Sim, andiamo a mangiare (Se la poggia alla guancia e va. Entra il Principe di Bethar con due guardie).

Mirdad                     - Chi sei tu, che ricco di insegne di comando vieni a me, al più umile fra gli uomini?

Principe                    - Sono il Principe di Bethar, e sono qui per rendere omaggio alla santità tua, Mirdad. Essa ha varcato i confini di questa regione ed è giunta fino a noi.

Mirdad                     - Non fidarti dei capricci della fama, Principe.

Principe                    - Dolci, tuttavia, sono i capricci della fama, e dolce è lo stampare il proprio nome sulle labbra degli uomini.

Mirdad                     - Basterà uno sternuto a spazzar via il tuo nome dalle labbra degli uomini. Il tuo nome lo devi marcare a fuoco nei loro cuori.

Principe                    - Ma i cuori degli uomini sono chiusi da molte serrature.

Mirdad                     - Le serrature possono essere molte, ma unica è la chiave che le apre tutte.

Principe                    - Possiedi tu forse questa chiave?

Mirdad                     - Anche tu ce l'hai.

Principe                    - Ahimè, io non posseggo tale chiave, nonostante queste vesti e queste insegne di comando.

Mirdad                     - Proprio essi sono l'ostacolo.

Principe                    - Cosa intendi? Dovrei forse spogliarmi di tutto per trovare questa chiave? No, troppo alto è il prezzo. Se licenzio l'esercito e rinuncio al mio potere, il principe mio vicino invaderebbe subito le mie terre e mi ucciderebbe. Ma parliamo d'altro. So, dal decano, che Mirdad è molto versato nei misteri della stregoneria  - vorrei che egli quindi manifestasse qualche potere affinché io possa credere in lui.

Mirdad                     - Se il rivelare Dio nell'uomo è stregoneria, allora Mirdad è uno stregone. Desideri una prova della mia stregoneria. Guarda, io sono la prova e la manifestazione. Procedi pure adesso. Fa' il lavoro per cui sei venuto.

Principe                    - Bene, hai tu divinato dicendo che ho altro da fare che ascoltare le tue idiozie. Io, Principe di Bethar, fra poco ti darò prova di una più grande stregoneria! (Alle guardie) Incatenate quest'uomo-Dio o Dio-uomo. Diamogli un saggio della nostra stregoneria. (Entrano Zamora e Micayon)

Micayon                   - Che succede qui, non toccate il nostro Maestro!

Zamora                     - Cosa sta accadendo, Mirdad?

Mirdad                     - Lasciate che esercitino il loro mestiere, miei cari confratelli; Le catene non fanno paura a Mirdad. Lasciate che Shamadam gioisca nel rattoppare la sua autorità con quella del Principe di Bethar. La toppa li lacererà entrambi.

Principe                    - Portate via questo furfante, via! Alle prigioni di Bethar!

Mirdad                     - Rimanete fedeli a Mirdad. Io non vi lascerò prima di aver varato la mia Arca. (Escono Principe, guardie, Mirdad e i due discepoli suoi. Entra Shamadam e parla al Viandante)

Shamadam:Ho tentato con tutti i mezzi di riconquistare i fratelli con buoni cibi, buone bevande e tanta legna per il freddo. Ho spiegato loro che compiangevo Mirdad, perché lo ritenevo un pericoloso visionario, e che se avevo chiesto aiuto al Principe di Bethar, l'avevo fatto per il loro bene. Ma mentre parlavo loro così, dai miei occhi scendevano lacrime di disperazione            - nessuno dei fratelli mi aveva aperto il cuore. In quattro lasciarono l'Arca, come tigri scappati dalla gabbia. Qualche tempo dopo, però, me li rividi comparire qui all'all'Arca, capeggiati da Mirdad, che aveva convertito il Principe di Bethar ed era stato liberato. Osserva (Entra Mirdad seguito dai quattro discepoli. Shamadam si inginocchia ai piedi di Mirdad). Anch'io credo in Mirdad! Lascia che tocchi i tuoi piedi!

Mirdad                     - Shamadam teme una rappresaglia, e dalla paura grida "anch'io credo!". Ma la fede che nasce su un'onda di paura, non è altro che la schiuma della paura. La vera fede sboccia sullo stelo dell'Amore. (Shamadam si avvicina al Viandante)

Shamadam               - Da quel giorno divenni un estraneo agli uomini, Viandante.

Mirdad                     - Micayon, devi dirmi qualcosa?

Micayon                   - Si, maestro, devo raccontarti un sogno. C'era una moltitudine di persone presso un fiume. Festeggiavano una ricorrenza. L'unico a non essere vestito a festa ero io. Improvvisamente si udì un forte muggito, e la moltitudine si aprì in due file e posò la faccia sulla polvere. In lontananza vidi un enorme toro, la cui bocca sputava lingue di fuoco, e le cui narici emettevano colonne di fumo. Quando il toro stava per incornarmi, fui sollevato in aria e capii che ormai non poteva farmi alcun male. Il mio volo finì ai piedi di un'alta montagna, e presi un sentiero percorribile solo dalle capre. Un incredibile numero di uomini e donne salivano e ruzzolavano. Scalata la montagna, stanco, mi addormentai. Tempo dopo, nel sogno, fui svegliato da una mano, mentre una voce diceva- alzati, la Primavera è vicina. Infine mi sono svegliato. Cosa vuole dirmi questo sogno, maestro?

Mirdad                     - Rallegrati, Micayon, poiché il tuo cuore è stato pervaso dalla Grande Nostalgia. La Grande Nostalgia è come una foschia   - isola il cuore; è pure come una febbre- debilita il cuore nel consumare le sue scorie; ma è anche come un ladro    - libera il cuore da ogni fardello, ma lascia la vittima sconsolata per mancanza di fardelli. L'uomo colpito da essa è solo, perché l'occhio del suo cuore è volto verso l'altra sponda. Egli è un sonnambulo in un mondo apparentemente ben desto che passa la vita a festeggiare. Ma quando il dio della paura - il toro - appare sulla scena, la folla è costretta a mordere la polvere, mentre il sonnambulo viene sollevato e portato ai piedi della montagna, il cui sentiero è ripidissimo e durissimo, ma superabile con la Fede. Molti tentano la scalata stando dietro a maestri ciechi         - sono coloro che si fidano solo dei sensi. Questi non arrivano che alla caviglia della montagna e scivolano giù rovinosamente. I sensi privi di Fede, sono guide cieche. L'uomo dalla Grande nostalgia è simile ad un'aquila, quello dalla Piccola Nostalgia è simile ad una talpa. Gioisci, Micayon, il tuo è un sogno da profeta. A voi altri, invece dico- proseguite per il vostro sentiero intrapreso, e quando avete qualche dubbio circa il passo successivo, rimanete dove siete. Nelle vostre bisacce non c'è che pane e acqua, ma non ritenetevi poveri. Il vero povero è colui che fa cattivo uso di ciò che ha. Il vero ricco è colui che fa buon uso di ciò che possiede. E non dimenticate ancora che il Caso è il giocattolo del saggio, mentre i folli sono il giocattolo del Caso. (Dalle quinte arriva la voce della vecchia Tasca)

Tasca                        - (Dalle quinte) Ho saputo che è tornato e gli devo parlare. (Entra e si guarda intorno) Ah, sei qui! Bel consiglio mi hai dato! La mia tasca è sempre vuota, e la pancia del mio cane è sempre piena! Ma non è per questo che sono venuta.

Mirdad                     - Perché sei venuta, vecchia Tasca?

Tasca                        - Sono qui, perché quella lì, la mia vicina, la Ester - tu la conosci - quella che mi sporcava il cortile, ebbene, mi ruba l'aria.

Mirdad                     - Come fa a rubarti l'aria, vecchia Tasca? Di aria ce n'è in abbondanza per tutti, perché dici questo?

Tasca                        - Perché l'ho osservata bene- dalla mattina alla sera lavora- prima in casa e poi in giardino. La sua casa, che io guardo col binocolo, è sempre pulita, e la mia, per causa sua - capisci? Sono costretta ad osservarla! - è sempre sporca. Ed il suo giardino è perfetto- non c'è un'erbaccia. Ora, siccome lavora troppo, è costretta a respirare più aria, e così respira sia la sua che la mia aria. Ho l'affanno, non vedi come respiro male? Anzi, no- qui respiro bene; è a casa che respiro male. Qui l'aria è buona. Io non voglio tornare a casa, voglio rimanere qui,con te, Mirdad, eh?

Mirdad                     - Ad una condizione, vecchia Tasca.

Tasca                        - Quale?

Mirdad                     - Devi "posare" la Tasca (La vecchia si toglie la tasca che tiene a tracolla e la mette a terra)

Tasca                        - Eccoti la tasca.

Mirdad                     - Non fare la furba, vecchia Tasca, non è di quella tasca che parlo, ma di quella vecchia Tasca che ad ottant'anni è ancora invidiosa della sua vicina, ma il cui cuore è già stato toccato dalla Grande Nostalgia. (La vecchia si avvicina a Mirdad, il quale le impone le mani). Adesso che la vecchia Tasca si è posata, preparate una celletta per questa cara vecchietta, e che sia vicina alla mia, la voglio tenere d'occhio per un po'.

FINE