Mirzia
Marc'Antonio Epicuro
PERSONAGGI
Trebazio, pastore
Filerio, pastore
Ottimio, pastore
Mirzia, ninfa
Antiniana, ninfa
Venalia, ninfa
Diana, dea
Un Satiro
Una Sibilla
ATTO PRIMO
SCENA I
Trebazio.
Fiorite valli, verdi, ameni colli,
or quando mai potrò vedervi, ahi lasso,
che non sian gli occhi miei di pianto molli?
Quest'è quel loco, ohimè, quest'è quel sasso,
onde a mirar stav'io Mirzia mia bella,
che quinci fior cogliea di passo in passo.
Miser, ch'inanzi a gli occhi ancor par ch'ella
scolpita io veggia, e che quest'aria sone
d'intorno ancor l'angelica favella.
Or la mia vita in pianto si dispone;
ma chiunque poi saprà per cui languisco
dirà che ho di languir giusta cagione.
E se d'ardente fiamma io mi nutrisco
qual salamandra, che la donna mia
oltra le belle sia ben dire ardisco.
Deh, perché fra cotanta leggiadria
pietà non trovo? Amor, come consenti
ch'in sì bel petto tant'asprezza sia?
Qual fier aspide, ognor a' miei lamenti
chiude l'orecchie, e più si prende gioco,
quanto più scorge in me pena e tormenti.
Io son di solfo e d'esca in mezzo al fuoco,
ella di ghiaccio nel più crudo verno
che del sol le percosse stima poco.
Altro non è il mio cor, che un proprio inferno
d'angoscia, di sospir, di pianti e d'ire,
e d'ogni altro supplizio albergo eterno.
A che, dunque, ricuso di morire,
a che indugiar più cerco, se con breve
dolor potrò perpetuo duol fuggire?
Né già la morte rifiutar si deve,
ché chi è sepolto in amorosi affanni,
per non sempre morir, morte riceve.
Ma son sì dolci gli amorosi inganni,
che mi dimostran per migliore il peggio,
e soavi i martìr, utili i danni.
Onde tra 'l senso e la ragion vaneggio:
quello a morir m'invita, a viver questa;
io morir non vorrei, né vita appreggio.
E veggio pur ch'ancor più mi molesta
con duri strazi Amor, mia Ninfa e l'empia
fortuna, che al mio mal sempre è sì presta.
Ma pria che primavera i suoi prati empia
di nuovi fiori, o grato Amor mi sia,
o vo' che 'l saggio mio pensier s'adempia.
Oh, il bel tugurio scorgo, ove la mia
pena meglio disfoghi qui rinchiuso,
senza timor che d'altr'inteso sia.
Tugurio ad udir suoni e frottol'uso,
meco languir non ti dispiaccia alquanto
mentre che invan mia dura sorte accuso.
Forse tempo verrà ch'in riso il pianto
fia volto in grazia di mia ninfa; allora
lieto dirò: Qui dove piansi, or canto.
SCENA II
Venalia, Filerio
Venalia
Oh fortunato incontro, oh felice ora,
ecco il mio buon pastor, ecco ch'io veggio
il mio bel sole.
Filerio
Ed io la bella aurora.
Venalia
Tanta gioia ho nel cor, ch'a pena creggio
quel che con gli occhi scorgo.
Filerio
Ed io, mia diva,
per soverchio piacer quasi vaneggio.
Ma poi che il loco e la stagione estiva
n'invita al fresco, pur che non ti spiaccia
posiamci all'ombra in questa verde riva.
Venalia
Or ben desti, pastor, non poca traccia
all'amicizia nostra, a cui conviensi
che quanto piace a te tanto a me piaccia.
Né creder ch'altro brami, o ch'altro pensi,
che cercar aggradirti, e che i miei giorni
tutti ne' tuoi servigi opri e dispensi.
Filerio
Quanti bei rivi questi poggi adorni
bagnando van con dilettosi giri!
qui par che Genio con Amor soggiorni.
Ahi fortuna crudel!
Venalia
A che sospiri?
Filerio
Deh, non cercar, Venalia mia, ti priego,
l'alta cagion saper de' miei martìri.
Che se a l'occolto duol la voce spiego
potrei noiarti.
Venalia
Or che d'altro farei
se a sí vil grazia il tuo voler non piego?
Filerio
D'amorosi pensier son, Ninfa, i miei
sospir prodotti, e ciò più mi tormenta,
che senza lingua inteso esser vorrei.
Venalia
Cosa fuor di ragion par ch'oggi senta,
che 'l più saggio pastor ch'abbia Sebeto
in preda al cieco Amor dar si consenta.
Dogliomi assai del tuo stato inquïeto;
ma non celarmi di tua amante il nome,
se 'l ciel sempre ti fia benigno e lieto.
Filerio
Il nome non dirò; ma l'auree chiome
di colei ch'amo, e la serena fronte,
gli occhi onde porta Amor sí ricche some,
l'angelico e bel viso, in cui son pronte
quante grazie fra noi Giove diffonde,
vedrai, Ninfa, mirando questo fonte.
Venalia
Come possibil fia che sotto l'onde
sian poste ad albergar bellezze tante?
Scherzi? Ché questo al ver non corrisponde.
Pur vo' mirarvi; ov'è sì bel sembiante
qual già dicesti?
Filerio
Chiaro ivi si vede.
Venalia
Quella è l'imagin mia.
Filerio
Quell'è mia amante!
Venalia
Questa è dunque, pastor, la casta fede
che mi mostrasti? è questo il puro affetto?
Infelice colei ch'in uom mai crede!
(Qui la Ninfa fugge.)
SCENA III
Filerio
Miser, non debbo ormai l'uscio del petto
aprire alla mia grave ed incurabile
piaga d'amor, onde sol morte aspetto?
Ma in ciò mi confidai, che troppo affabile
la mia Ninfa vedea, e perché sogliono
esser le donne di natura labile.
Tai frutti, ohimè, di ben servir si cogliono?
Tal premio acquisto di sì lungo strazio?
Questo d'amor le dure leggi vogliono?
Ma godi, fiero Arcier, ch'in breve spazio
tingerò di me l'erba, acciò che scarico
resti io di duol, tu del mio sangue sazio.
SCENA IV
[Parte]
OTTIMIO, e FILERIO
Ottimio
(fra se)
Ai gesti ed al parlar, s'io non prevarico,
Filerio par costui che sparge all'aria
sí meste voci ed orrido rammarico.
(a Filerio)
Dimmi, Filerio mio, qual si contraria
sorte t'induce a star cotanto erronico
e dal dritto sentier tua mente varia?
Iersera insieme con Dameta e Clonico
cantando givi canzonette e frottole:
or languido ti veggio e melanconico.
Filerio
Ottimio, da qui 'nanzi in queste grottole
farò mia vita solitaria ed aspera
fra mal presaghe e spaventose nottole;
poscia ch'ognor il ciel vêr me si essaspera
e quanto può con nuovi affanni pungemi,
tal che a morir, non che a languir m'inaspera.
Ottimio
Di meraviglia e di pietà compungemi
il tuo parlar, mio caro antico sozio,
e dal petto pel duol l'alma disgiungemi.
Ma dimmi, qual sí fiero, aspro negozio
fu la cagion ch'a lagrimare e stridere
t'ha spinto, ed interrotto il tuo dolce ozio?
Modo non trovo onde 'l tuo mal considere.
Tu giovane, tu bello e tu ricchissimo,
tu far mai non dovresti altro che ridere.
Filerio
Che giova a me l'esser d'infinitissimo
gregge signore e ch'altri me poi domini
ch'ognor fa del mio cor scempio durissimo?
Poco mi val che tra pastor si nomini:
Troppo si mostra il ciel largo a Filerio,–
se poi convien che me medesmo abomini.
Il piangere è il mio spasso e refrigerio;
or giudicar ben puoi se di me trovasi
il più infelice in tutto il grembo esperio.
Ottimio
Più cresce il duol quanto più occolto covasi;
fanne dunque al fedel tuo sozio copia,
ché rimedio parlando al mal ritrovasi.
E ben ch'in te non sia d'ingegno inopia,
pure in ciò non ti déi fiducia prendere,
ch'ognun si perde ne la causa propria,
né alcun di sé può buon giudizio rendere.
CANZONE DI FILERIO
Ottimio, io ti dirò: Gran tempo Amore
d'una leggiadra Ninfa
mi tenne acceso occoltamente il core;
e venni a tal che spesso,
con lei solinga, appresso
a qualche fresca e mormorante linfa,
senza sospetto alcun lieto mi stava,
e seco dolcemente ragionava,
che ognun pensato avria
ch'ella dentro al suo petto
non minor fiamma avesse de la mia.
Poi, lasso! ritrovai contrario effetto;
ché quando volli la mia pena dirle
ed il celato mio foco scoprirle,
tosto turbar la vidi ne l'aspetto,
e con aspra favella
fuggir come fuggir suol lupo agnella.
CANZONE DI OTTIMIO
Sempre nel primo assalto ha per natura
la donna di mostrarsi
alquanto schiva, sdegnosetta e dura;
ma subito in pietate
volge la crudeltate,
e come suol d'estate il ciel turbarsi,
e quinci e quindi tuona, e lungi senti
fremer per l'aria tempestosi venti,
e in un momento poi
si scorge in ogni parte
il ciel sereno, e i chiari raggi suoi
il vago sol tra noi lieto comparte:
così talor avvien ch'orribil ombra
di fiero sdegno il petto e 'l viso ingombra
de la tua ninfa, e poi tosto si parte,
onde, colmo di riso,
dirai: Volto è l'inferno in paradiso.
Come in tutto al dolor vincer ti lasci?
Pon freno al sospirare, e meco alquanto
l'alma di gioia e d'allegrezza pasci.
[Parte]
Filerio
Ahi lasso! qual piacer potrò, qual gioco
prender già mai se l'alma mia nodrisce
mille saette d'amoroso foco?
Ovunque io vo' negli occhi mi scolpisce
amor mia ninfa, onde l'afflitto core
lunge dal proprio ben sempre languisce,
né trova altra quïete che a tutt'ore
sparger sospiri ardenti; e teme e spera,
e mille volte al dì rinasce e muore!
Ottimio
Ciascun ne la stagion di primavera
sa far ghirlande; ma ne' casi rei
sol conoscer si può la mente altiera.
Sai ben quante l'altrier capre perdei
per quell'orrendo tuono, e pur si vede
che l'alt'ira del ciel lieto soffrei.
Filerio
Capre? Che capre! fosser tutte prede
le mie greggi di lupi, ohimè, ché 'l duolo
d'amore è quel ch'ogni altro duol eccede.
Ottimio
In ciò non sei già tu primo, né solo,
ch'in ogni loco la sua forza estende
questo di Vener cieco, empio figliuolo.
Ma quanto più vi pensi, più s'accende
dentro la fiamma. Or l'alma sciogli omai
dal tenace pensier che sí t'offende,
e quivi a l'ombra, mentre i caldi rai
affrena il sol, vo' che cantando porgi
quïete alquanto a gli amorosi lai.
Oh, oh, mira, Filerio; non t'accorgi
del nido di colombi?
Filerio
Ov'è? nol veggio.
Ottimio
Tra que' due rami sta; né ancor lo scorgi?
Filerio
Più cari assai d'un gran tesor gli appreggio
per donarli a mia ninfa, ed or pian piano
senza più dimorar salir vi deggio.
Ottimio
Pan faccia sol che non t'affanni invano.
Sagli, ch'io ti terrò sopra le spalle.
Filerio
Sostienmi il piè con l'una e l'altra mano.
Creggio vi sian, se l'occhio non mi falle,
e già gli prendo. Ohimè, Ottimio, aita!
Ottimio
Tu lunge rimbombar fai questa valle
Nova pazzia d'amor forsi t'invita
a gridar qual fanciullo? Ancora langui?
Mira che fronte pallida e smarrita!
Filerio
Non vedesti cader quei tre fieri angui
ch'ho su trovati? E tal timor n'ho preso,
che tutti i membri miei son fatti essangui.
Ottimio
Se pur non t'hanno in qualche parte offeso
sta lieto, che le serpi augurio buono
soglion portar, com'ho più volte inteso.
Filerio
Ma di nuovo a salirvi io mi dispono
e meglio rimirar forse per caso
senza offender gli augei fuggiti sono.
Non altro già che il sangue vi è rimaso...
Oh dilettosa vista, or ben mi pare
star nell'altiero monte di Parnaso!
Quinci bei colli scopro, e quindi il mare;
sagli tu ancora, Ottimio, e con diletto
stiamci fra queste frondi a ragionare.
Ottimio
Vo' piú tosto salir su l'altro olmetto,
ché un picciol arboscel mal creder deggio
che duo sostenga. Oh che leggiadro aspetto!
Pozzuol, Cuma, Ischia e ancor Miseno veggio,
ov'è del gran Toledo il bel giardino,
che a quel d'Alcina ha tolto il nome e 'l preggio;
più in qua gli Astroni e 'l Colle Terracino,
Torre di Mezza Via, Nisida, Agnano,
Serena, Pausilippo e Mergellino.
Filerio
Ed io Vesuvio scorgo, 'Orio a Cremano,
Sebeto, Leucopetra, ed ivi appresso
l'Aretusa gentil del mar Sicano.
Ottimio
Taci, che più parlar non ci è concesso;
mira Diana che va quindi a caccia,
e in questo fonte suol posarsi spesso.
Filerio
Non ti mover d'un punto, acciò non faccia
di noi quel che d'Atteon.
Ottimio
Ecco mi celo
tra questi rami, e ciò tu ancor procaccia.
SCENA V
[Parte]
ANTINIANA e DIANA con MIRZIA e con VENALIA, e detti.
Antiniana
Sacra nostra Dïana, ora che in cielo
suoi rai rinforza il sol fuor di misura,
fermiamci sotto a quest'ombroso velo.
Diana
Ben si conosce tua debil natura,
ch'una disposta e vera cacciatrice
poco ha di freddo e men di caldo cura.
Antiniana
Già questo ancor farei, ch'allor più lice,
se dopo lungo affanno avessi speme
di ricca preda alfin esser felice.
Ma or ch'ogni animal pel caldo teme
uscir dalle sue grotte, in vano parmi
soffrir cacciando sí fatiche estreme.
Diana
Non vo' dunque scortese dimostrarmi
a tua giusta dimanda. Ognuna quivi
tosto a seder si ponga e si disarmi.
Era certo gran mal che di noi privi
fosser sì vaghi e dilettosi poggi,
sì mormoranti, freschi e chiari rivi.
Mai dì non vidi piú tranquillo d'oggi.
Mirzia fatti più in qua, porgimi il seno,
ove la testa per dormire appoggi.
[Parte]
SATIRO
Stanco omai di girar per queste piagge
dietro una ninfa fuggitiva e snella,
che con rapido corso
s'è involata a' miei lumi,
per fuggire del sole il maggior caldo
fia ben ch'io mi rinselve:
forse più allegro e baldo
a miglior tempo a questa cruda e bella
farò provare il mio soave morso.
Vendicherò quel che dagli occhi tragge
umor dolente, ond'è ch'io mi consumi.
Ella vaga di belve,
la bella mano armata,
quinci e quindi saetta
gli animali feroci in queste selve;
e nel ferir sí m'ha l'alma piagata,
che se il mio cor non fa dolce vendetta,
son per lasciar, misero, l'alma e il sangue.
Ma che veggio? Qui langue
più d'una vaga ninfa.
Che far mi deggio, Amore?
Cangerei quest'ardore
che mi tormenta l'alma
in queste, se sperar potessi alfine
trarne vittoria e palma:
segua quel che si vuol, vaghe rapine
io ne vuò far. Che scorgo?
Ohimè, sta qui Diana, e se si desta,
non avrò per fuggir la gamba presta:
ond'io sarei di mente poco sana,
se qui fermo attendessi il loro orgoglio
c'ha negli occhi l'ardor, nel seno un scoglio.
ATTO SECONDO
SCENA I
DIANA, MIRZIA, ANTINIANA e VENALIA.
Diana
Come vi è parso, o ninfe, il sonno ameno?
Su, destatevi omai, ch'a' suoi destrieri
il caro Febo ha già ristretto il freno.
Mirzia
Fra quanti travagliosi, alti pensieri
era sognando la mia mente involta,
che membrandoli ancor mi paion veri.
Antiniana
Ed io tutta gioisco, che disciolta
mi trovo dall'orribil visïone
che in gravi affanni mi tenea sepolta.
Venalia
Come oggi il cielo eguali ne dispone!
Ed io medesma ho visto nel dormine
cos'aspre, strane e fuor d'ogni ragione.
Diana
Avrei molto a piacer tai sogni udire.
Ognuna a mano a mano il suo racconti;
comincia, Mirzia, il tuo primo a scoprire.
Mirzia
Pareami star fra certi alpestri monti,
ove un bel gregge e duo lupi rapaci
scorgea d'intorno a divorarlo pronti.
Ma alfin restaro i suoi desir fallaci,
ché per la tema del pastor ch'ivi era,
non fùr mai d'accostarsi a quello audaci.
Antiniana
Ed io, smarrita da l'amata schiera,
fra duo satiri in mezzo, una donzella
vedea con mesta e lagrimosa ciera.
Venalia
Io temo forsi che la mia favella
l'orecchie offenda a l'alma nostra dea,
ché tutto il sogno mio sol tratta d'ella.
Diana
Di' pur ciò che ti piace.
Venalia
Mi parea,
cosa mirabil certo, che un pastore
dell'amor vostro follemente ardea.
Diana
Agli affannati spirti, a lasso core
suole il sonno apportar tanta dolcezza,
che sovente l'induce a vano errore.
Onde a chi più di voi sentia stracchezza
più dolce fu il dormir, e più le parve
veder quel che veder mai non fu avvezza.
Ma poi che qui siete oggi per pigliarve
spasso ridotte, con onesto gioco
vogliate insieme refrigerio darve.
Antiniana
Giochiamo a trar con l'arco in qualche loco,
per veder chi di noi meglio s'adopra.
Venalia
Un continuo essercizio aggrada poco.
Ma che più onesta e dilettevol opra,
che cantando mostrar chi contra 'l fiero
nostro nemico Amor più ingegno adopra?
Diana
Egli è lodato e ben saggio pensiero;
ciascuna dunque il suo parlar rivolga
contra l'alato e ignudo e fiero Arciero.
E pria Venalia a ciò la lingua sciolga.
Venalia
Crudo, iniquo, malvagio, empio tiranno,
ch'altro non rendi a chi ti segue merto,
ch'ire, sdegni, sospiri, infamia e danno,
e dubbiosa speranza e dolor certo,
talché lo stato uman, senza l'affanno
per tua cagion da lui ogn'or sofferto,
saria tanto più lieto e più giocondo,
quanto sarebbe senza morte il mondo.
Antiniana
Venenoso, spietato e rigid'angue,
che il capo tieni fra bei fior celato,
per cui si vive a un tempo e stassi essangue,
e mel si prova con venen mischiato,
s'agghiaccia e s'arde, si gioisce e langue;
che pregio dunque a castità fia dato,
che onor, che gloria a nostra Dea riluce,
se 'l suo contrario tanto mal n'adduce?
Mirzia
Fetida, ingorda, orrenda e brutta arpia,
che le belle vivande ammorbi e guasti;
desio che fai del ben l'alma restia
e priva di pensier benigni e casti;
empia furia infernal, che in compagnia
di morte a ruinare il mondo entrasti;
ma più di lei crudel, ch'il suo furore
sol di vita ne spoglia, e tu d'onore...
Diana
Tutte arrivate ad egual segno siete,
e non mancò nel dir vaghezza nuova,
ché vero e casto cor mostrato avete.
Ma incominciar degne opre poco giova
senza di poi seguir, ché 'l fine è quello,
non il principio, che la vita approva.
Dunque fuggite questo fiero augello,
che par sì dolce in vista e sì pietoso,
in atto è poi d'ogni pietà rubello.
Ma mentre passa il caldo aspro e noioso,
vi concedo che possa tra voi farsi
qualch'altro nuovo gioco e dilettoso.
Mirzia
Or un me ne sovvien, ch'imaginarsi
non potrebbe il più bello. Una di noi
bisogna a gli occhi un vel prima legarsi;
l'altre si asconderan d'intorno, poi
batteran con due pietre, e dove intende
il suono, ivi ella drizzi i passi suoi,
e chi di lor, per sua disgrazia, prende,
sia a velarsi costretta. Antinïana
ben conosco io che 'l mio parlar intende.
(ad Antiniana)
Vuoi tu legarti pria?
Antiniana
Quando a Diana
non dispiaccia, il farò.
Diana
Contenta sono
se non è cosa disonesta e vana.
Mirzia
No, no; chi ha quivi un velo? Il mio fia buono?
(Mirzia benda Antiniana.)
Vedici?
Antiniana
Nulla veggio.
Mirzia
Or n'ascondiamo.
Vieni a tua posta.
Antiniana
Quivi ho inteso il suono,
altrove l'odo, e qui trovar lo bramo.
Ferma, Venalia, ecco che in man t'ho presa.
Lassa! questo è d'un arbor tronco o ramo.
(Qui Mirzia ride.)
Quivi di Mirzia ho già la voce intesa;
seguire il vento fia pur troppo scorno,
e ben pazzesca e mal lodata impresa.
(Qui la ninfa si scopre il velo.)
Mirzia
Perché ti scopri?
Antiniana
E voi fuggite intorno?
Mirzia
Di ciò non ti turbar, ché promettemo
fermarci a un luogo.
Antiniana
Ecco a coprirmi torno.
(Quivi si parte Diana con le ninfe e lascia Antiniana sola così coperta.)
SCENA II
FILERIO, OTTIMIO e ANTINIANA.
Ottimio
Partite sono, o sozio, che faremo?
Filerio
Scendiamo giù pian pian, ch'ella è velata
e seco gran piacer prender potremo.
(Discendon i pastori da gli arbori.)
Antiniana
Voi pur fuggite, ed io sempre ingannata
al fin rimango; hai... che mi pare avere
come una barba squallida toccata...
(La ninfa fugge dicendo:)
Ohimè, Diana, aiuto!
SCENA III
FILERIO e OTTIMIO.
Filerio
Oh, bel piacere!
Ottimio
Anzi noia.
Filerio
Ti duol forse che sia
ella scampata fuor del tuo potere?
Ottimio
Poco di ciò mi cale, e ben saria
male, quel che di' tu, lieve e patibile;
duolmi d'amor la nuova piaga mia.
(Trebasio nel tugurio dice.)
Trebazio
Sonno fugace!
Ottimio
Or un'afflitta e debile
voce udir parmi, ch'amoroso strazio
dimostra fuor nel suon doglioso e flebile.
Trebazio
Fugace sonno, ch'in sì breve spazio
del dolce vaneggiar privo facestimi,
teco portando ogni mio bel solazio,
poi che, di me pietoso, concedestimi
che alquanto dessi all'afflitt'alma requie,
non già sì tosto abbandonar dovrestimi.
Quando fia il dì che gli occhi e 'l cor arrequie,
questo da sospirar, quelli da lugere?
Non mai finché di me non fien l'essequie!
Convienmi, ahi lasso, per chi m'odia struggere,
e che, contra mia voglia, ognor me inanime
di voler per altrui me stesso fuggere?
Ove son l'opre mie sagge e magnanime?
In man d'Amor che furibondo dicemi:
Suda, trema, ardi, agghiaccia, vivi essanime!
Ma ben mi ditta la ragion, che licemi,
per te, Mirzia crudele, a morte correre,
poi che sol morte il nome tuo predicemi.
Filerio
Or non tardiamo più girlo a soccorrere,
ch'egli già minacciò volersi uccidere,
e facilmente vi potrebbe incorrere.
SCENA IV
TREBAZIO e detti
Filerio
Credo che, nati in un medesmo sidere,
siam, caro amico, in questo strano ed orrido
mondano albergo per languire e stridere.
Felice età godeano e Tirse e Corido
che con lor dolci ninfe in gran delizie
trapassavano il tempo vago e florido.
Ma queste d'oggi han pur troppe nequizie;
non braman nostro ben, anzi gioiscono
di duol carchi vederci e di mestizie.
E se conoscon che i pastor nodriscono
occulto foco, non saperlo fingono,
e peggio fan se di scoprirlo ardiscono.
Ma pur, con tutto questo, il cor mi stringono
d'amore i lacci, e sì mi han tolto ogni ozio
che vicino al morir talor mi spingono.
Trebazio
Dunque Amor segui?
Filerio
Amore!
Trebazio
E questo sozio?
Filerio
Anch'egli Amor, ma non sì strano ed aspero;
novellamente è intrato in tal negozio.
Trebazio
Ancorch'assai mi sia grave ed essaspero
il vostro mal, pensando che tre simili
congiunti siamo, il mio martir disaspero.
Quantunque siano i nostri ardor dissimili,
ché tale è il mio (ché fo vero giudizio),
che ritrovar non posso a chi l'assimili...
Filerio
(interrompendo)
Questo non dir, ché il grave mio supplizio
non sol cred'io che il tuo di lungo superi,
ma quel di Efialte, di Flegia e di Tizio.
Ottimio
E benché Amor novellamente adoperi
in me le fiamme, non però concedovi
che voi d'affanni maggior nembo coperi.
Trebazio
Che abbiate gran dolor per certo credovi
ma quanto de le vostre è via più bella
la ninfa mia, tanto di pena eccedovi.
Filerio
Di beltà, lasso, non parlar, ché a quella,
che 'l mio cor strugge, ogn altra ceder sôle,
non men che a Febo cede ogni altra stella.
Ottimio
Deh, s'esprimer potessi con parole
della mia Dea l'estrema leggiadria,
so che farei parlando oltraggio al sole.
Trebazio
Ben giudica ciascun quel che desia,
e spesso il sangue ti farà parere
bella una ancor ch'in sé deforme sia.
Ma chi è fuori del laccio può vedere
e meglio giudicar la differenza
tra le finte bellezze e tra le vere.
Filerio
So che la mia non è folle credenza,
ché ognuno in lode di mia ninfa parla,
e raro falla universal sentenza.
E se fosse mia lingua atta a ritrarla,
e come l'ho scolpita ognoi nel petto
così bella potessi a voi mostrarla,
forsi v'infiammerei di tal diletto,
che chiar v'accorgereste che 'l mio strale
vien da troppo divin, alto soggetto.
Dunque per esser la beltà sua tale
che al mondo par non ha, potrò ben dire
che non è pena alla mia pena eguale.
Lasso, che quando acceso di desire
gli occhi rivolgo a rimirare i belli
aurati suoi capelli,
sento nel core un sì dolce martìre,
che trasformar mi sento in gioia e in foco.
E tra la pena e il gioco
meco dir soglio: o ricco mio tesoro,
ove mai sì fin oro
possibil fia nel mondo ritrovarsi
che di bellezza a voi possa agguagliarsi?
Se la serena fronte miro poi,
in cui fa sempre amor suo lieto seggio,
ivi unite star veggio
quante grazie disperge il ciel fra noi.
Se le due luci scorgo, paion quelle
due rilucenti stelle;
e quante volte avvien ch'ella mi guardi,
tant'infiammati dardi
m'avventa al petto, e tal piacer ne sento,
ch'arder mi veggio e son d'arder contento.
Che dirò de le gote e del bel naso?
Che de la dolce bocca? Or qui ben vile
sarebbe ogn'altro stile
o del dolce Elicona, o di Parnaso.
Qui ben dirò ch'ogni arte ed ogni cura
pose l'alma natura;
quinci le soavissime parole
escono, e quivi suole
formarsi quell'angelico sorriso
che mostra in terra un altro paradiso.
Soggiunge appresso, più che neve bianco,
il delicato collo e 'l dolce petto
colmo d'alto diletto,
onde mi punge amor sovente il fianco.
Quivi ondeggiar si veggon poi due belle
e candide mammelle,
che mirand'io più volte dissi: O dèi,
ivi morir vorrei!
Giudicate voi dunque se 'l mio duolo
per unica beltade è al mondo solo!
Trebazio
Deh, per Dio, non vogliate ch'io rinovi
l'antico mio dolor senza aver speme
ch'alcun rimedio a le mie piaghe trovi.
Ch'io sento già che si dilegua e freme
in mezzo al petto il cor, e, in pensar l'alma,
la lingua in dir tant'alte cose teme.
Pur de la sua beltà divina ed alma
qualche parte dirovvi, ancor ch'io veggia
che troppo alle mie spalle è grave salma.
Se laurea chioma di mia diva ondeggia
sopra del vago suo leggiadro collo,
e coi raggi d'Apollo
dolcemente s'affronta ed appareggia,
talmente lampeggiar l'aria vedrai,
che fra te ben dirai
col cor d'eterna gioia pieno allora:
Ecco la bella Aurora
che li dorati crin gira d'intorno,
e fa più illustre il ciel, l'aer più adorno.
La sua serena ed onorata fronte
di cristallo è formata, dove uniti
si veggono scolpiti,
come in un puro e trasparente fonte,
quanti vera beltade ha fiori e frutti.
Ivi ritrovo tutti
i miei piaceri impressi e le mie gioie,
i martìri e le noie,
ché, secondo è turbata o pur serena,
così sente il mio cor diletto o pena.
Gli arcati cigli son di vivo e nero
ebano fatti, a' quali ancor sovente
conosco apertamente
ogni pietoso od empio suo pensiero.
Qui sotto due begli occhi son che soli
somiglian veri soli,
spargendo all'aria vaghi rai d'amore,
dal cui almo splendore
un sì gran nembo di dolcezza piove,
che accenderebbe in ciel Mercurio e Giove.
Quivi congiunto, e con egual misura,
il bel formato naso poi discende;
ove chiar si comprende,
ch'arte imitar non basta a la natura.
Da l'uno e l'altro canto son due rose,
fra bianca neve ascose,
fresche sempre e vermiglie, che ben dire
potrai pien di desire:
venga quivi a mirar chi brama e spera
trovare a mezzo inverno primavera.
Ohimè, che giunto sono a quel divino
fonte, di elette perle circondato,
ch'è aperto e serrato
da due margini belli di rubino,
il qual d'angusta porta manda fuore
un sì dolce licore,
che il nettare e l'ambrosia vil s'apprezza.
E se per allegrezza
più dell'usato s'apre, ben t'avviso
che vedi aperto in terra un paradiso.
Di candido alabastro una sottile
e lucida colonna sostien sopra
la bella e leggiadr'opra
che già vi ho conta, al cui color simile
trovi un'amena e spazïosa valle
ch'ha in mezzo un stretto calle;
e quinci e quindi duo pomi di latte
ch'ognor l'un l'altro sbatte,
tra' quali Amor scherzando in dolce modo
mill'alme allaccia d'insolubil nodo.
Ahi, che dirò di quelle bianche mani,
man che tengon d'Amor gli strali e l'arco,
onde di preda carco
a tutte l'ore il fan di cuori umani?
Che dirò di que' snelli e leggiadretti
piè, cui mille fioretti
nascon sotto e mill'erbe fresche e nove,
ovunque ella gli move,
che sempre trovi appresso 'l suo viaggio
un vago aprile, un dilettoso maggio?
Maraviglia non è dunque se meco
soglio, miser gridando, dir talora
che per troppo mirar divenni cieco.
Ma perché a nostra voglia è breve l'ora,
dare ad Ottimio loco mi conviene,
stanco di raccontar, non sazio ancora.
Ottimio
Lasso, ché a palesar l'eterno bene
de l'onorata dea, ch'in terra adoro,
parlar di perle e d'oro,
di cristalli e di fior si disconviene,
ch'a le cose divine le mortali
non han già forme eguali,
e tutti insieme quelli onor congionti
che avete qui racconti
di vostre ninfe, e mille volte tanti,
a mostrar sua beltà non son bastanti.
Anzi, unite in un luogo tutte quelle
ch'han per il mondo di bellezza il nome,
a lei sarebbon come
a rispetto del sol tutte le stelle;
onde sol questa laude a lei può darsi,
che non basta lodarsi,
ch'ogni ben colto ed alto stile avanza;
perché la sua sembianza
è di sì estrema ed alta meraviglia,
che sol se stessa e null'altra simiglia.
Trebazio
Ognun la mente e 'l suo desire appaga,
e raro avvien che chi ama una donzella
lei non istimi più d'ogn'altra vaga;
e voi le vostre, ed io la mia più bella
giudico, altri la sua; e così alfine
convien che ciaschedun segua sua stella.
Ma se il ciel lieta sorte ne destine,
diciamo i nomi lor, ché fia talvolta
ch'a più dritto giudizio alcun s'inchine.
Filerio
Contento son.
Ottimio
Ed io; ma acciò sia tolta
ogni suspicïon, giuriamo insieme
che cotal cosa qui resti sepolta.
Filerio
Questa medesim'ombra assale e preme
non men che te ciascun altro di noi,
ch'ognuno il biasmo di sua ninfa teme.
Trebazio
Ben sarei sciocco se i secreti tuoi
altrui manifestassi, essendo certo
che tu di colpo egual gravar mi puoi.
Filerio
Ed io voglio esser primo a farvi aperto
di colei il nome, a cui, tant'anni sono,
ho il miser core in sagrifizio offerto.
Venalia è quella ove 'l mio amor ripono,
che Venere e leon m'assembran fuore
nel suo pria dolce e poscia amaro suono;
perché, sì come dare il primo onore
a Venere si suoi di leggiadria,
ed al leon di fiero ed aspro core,
così ben puote ancor Venalia mia
la più leggiadra ninfa oggi nomarsi
e la più cruda che nel mondo sia.
Trebazio
Colei per cui tante io lagrime sparsi,
è talmente da sé nota per fama,
ch'ognun di voi chi sia può imaginarsi.
Pur dirò il nome, Mirzia ella si chiama,
qual non per altro fin sì bella nacque,
che per dar morte ad un che tanto l'ama.
Ottimio
Tra basse cose il vostro foco giacque,
ma io tant'alto il core affissi e gli occhi,
che ciò ch'io vidi dopo lei mi spiacque.
Diana amo io!
Trebazio
Diana?!... Ahi, troppo sciocchi
son tuoi desiri, Ottimio, e mira bene
ch'in qualche duro scoglio non trabocchi.
Oh quanto a un nostro par si disconviene
voler in così degna e nobil dea
ponere, amando follemente, spene.
Onde tanta pazzia? ché ognun dicea
che 'l più intiero, il più casto e'l più perfetto
pastor di te l'Esperia non avea.
Ottimio
Per Pan oggi vi giuro che al mio petto
altra fiamma d'amor mai non s'accese;
questo fu il primo e fra l'ultimo affetto.
Filerio
Ora conosco ben chiaro e palese
che non basta uom, sia pur saggio e discreto,
a gli amorosi colpi far difese.
E con questo il tuo errore e il nostro acqueto,
ché, per seguir Amor, cotanti dèi
ebber via più di noi stato inquïeto.
Ma tu Mirzia ami? Qui, poco ancor, lei
vedemmo con mia ninfa e con Diana,
ed un suo vel mostrarti anco potrei,
che all'altra sua compagna Antinïana
prestò, che per timor da noi fuggendo,
ivi lasciollo presso alla fontana.
Trebazio
Mirzia qui dunque fu? Lasso, che intendo!
E dove er'io?
Filerio
Tu stesso il sai!
Trebazio
Ben veggio
che nel tugurio mi trovai dormendo.
O fiera sorte, ognor di male in peggio,
di fiamma in foco, di Cariddi in Scilla,
senza potermi aitar cader mi veggio!
Filerio
Ma ecco il vel.
Trebazio
O vel, che la tranquilla
fronte di lei toccasti e quelle chiome
per cui tanto il mio cor arde e sfavilla,
te stringo e bacio, a te m'inchino, e come
sacro t'adoro, riverisco e côlo,
carco d'affanni e d'amorose some.
E se pria fosti con mio grave duolo
tutto de' bei crin d'oro, or vo' che sii
delle lagrime mie ricetto solo.
Deh, che i fati volessero e gli dii
che per te quivi Mirzia oggi tornasse,
onde adempissi in parte i miei desii!
Filerio
Esser potria, dopoi ch'ella avvedrasse
del suo perduto vel, che a ritrovarlo
di nuovo qui bramoso il piè spronasse.
Trebazio
Ma che vi par, ch'io debba ivi lasciarlo,
o pur meco tenerlo?
Ottimio
A me parrebbe
assai meglio su questo arbor poggiarlo,
perché vedendol ivi ancor potrebbe
l'arbor salir per tôrlo, e, al parer mio,
prigion nelle tue man si troverebbe.
Filerio
Questo ben lodo.
Trebazio
E questo lodo anch'io;
né altro esser potea che buon consiglio,
poi che di bocca di tal uomo uscìo.
Or il baston per su porvelo appiglio,..
già vi è rimaso. Noi che far debbiamo?
(ad Ottimio)
A te mi volgo e teco mi consiglio.
Ottimio
Parmi che qui d'intorno or n'ascondiamo,
e s'ella vien tu solo uscir potrai,
e noi da banda occoltamente stiamo,
perché son dell'onor timide assai
le donne, e spesso nel segreto fanno
quel ch'in palese non farebbon mai.
Trebazio
Così facciamo, o ben composto inganno,
e forse ancor le stelle per ventura
a buon principio meglior fin daranno.
Ottimio
Ben dimostran li dèi di te gran cura.
Non vedi la tua ninfa appresso al pino,
che più oltre passar non s'assecura?
Trebazio
O lieto, avventuroso mio destino,
grazie ne rendo al ciel, ma sol pavento
ch'addietro non rivolga il suo cammino.
SCENA V
MIRZIA e detti.
Mirzia
Andar ormai potrò senza spavento
a ritrovar il vel ch'intorno quinci
perdei. Né scorgo alcun, né voce sento.
Or vinci pur, crudel fortuna, vinci;
l'arco l'altrier perdei ed oggi questo;
so che non cessi mai, poi che cominci!
Ma non mi è il danno già tanto molesto,
ché ciò poco mi cal; quanto mi è grave
che per burlare altrui burlata resto.
Quinci ella disse che lasciato l'have;
nol veggio... meglio fia ch'indietro il passo
volga, che il cor di mal incontro pave.
O meraviglia estrema! Ov'è rimaso!
il vento stato fia; ma far vo prova
s'io 'l potessi gittar giù con un sasso.
Invan m'affanno, e ciò nulla mi giova.
Cercar voglio un baston, ché in altro modo
impossibil mi par ch'indi il rimova.
Eccol... Ma non vi giunge... Or ben mi rodo
di rabbia e di dolor! O sorte strana,
che tra novelli impacci ognor m'annodo!
Ogni fatica, ogn'opra alfin è vana,
se non vi saglio. O fia dunque in buon'ora.
Quanto mal per te pato, Antiniana!
(Sale sull'albero: vedendo avanzare Trebazio)
Ahi, che pastor è questo!
Trebazio
O vaga aurora,
o vita, o luce mia serena e pura,
sola cagion ch'io sì languisca e mora;
o celeste, o divina alma figura,
non ti prender di me spavento alcuno,
pon da parte il sospetto e la paura.
Non son io tigre già, non importuno
leon, non orso, né fantasma ria
venuta a farti oltraggio; ma son uno
tuo fido amante ch'altro non desia
che servirti, adorarti e sol far cosa
qual tuo piacer, tuo onor, tua gloria sia.
Mirzia
Pastor la tua favella ogni noiosa
tema m'ha tolta, e più che io non credeva
sta nel tuo petto gentilezza ascosa.
Ma se dell'amor mio fiamma t'aggreva,
come già mostri, e brami compiacermi,
mentre discendo giù quinci ti leva.
Trebazio
E perché questo ninfa? per potermi
ingannar poi fuggendo? A che t'ingegni
contra chi non t'offende usare schermi?
Mirzia
Fuor di ragion, pastor, vêr me ti sdegni,
e lungi erri in pensar che tal richiesta
sia che ingannarti col fuggir disegni.
Ma solo il fo ché non è cosa onesta
star d'intorno a mirar, perché accadere
mi potria cosa all'onor mio molesta.
Giudica dunque tu se gli è dovere
quel che ti chiedo e s'è giusta domanda
e da un amante fra lieve ottenere.
Trebazio
Or mi discosterò, ninfa, da banda,
e sallo ben Amor ch'altro non voglio,
che quel che l'onor tuo vuole e comanda.
Ma come l'alma da tal dubbio scioglio?
Chi m'assecura che non fuggi poi,
e che sotto umiltà non trovi orgoglio?
Mirzia
Amore e fedeltà sempre amendoi
sogliono insieme star; dunque, pastore,
se privo sei di fé, come amar puoi?
Trebazio
La fé non sopra in non aver timore
di perder quel che s'ama, anzi t'affermo
ch'ove timor non è, non regna amore;
ma s'opra solo in esser saldo e fermo,
in aver sempre in una il cor constante.
In questo il tuo parlar lodo e confermo.
E ben permette il ver ch'oggi mi vante,
né fra' nostri pastori è cosa nuova,
che non ha il mondo il più fedele amante.
Mirzia
Come dunque farò che si rimova
il tuo sospetto e 'l mio?
Trebazio
Già saper déi
che ad ogni cosa alfin modo si trova.
Mirzia
E qual fia questo?
Trebazio
Se contenta sei,
chiuder gli occhi prometto finché scendi,
e così tu secura ed io sarei.
Mirzia
Or tua ragione e te stesso riprendi,
ché se di me non ti confidi, ond'io
vuoi che di te cotal fiducia prendi?
Chi ti vieta d'aprirli e che in oblio
la fé non ponghi? Anzi, volendo ancora,
mal potresti pugnar contro il desio.
Dunque, pastor, per quel che i boschi onora
vostro almo pan, mostra che nel tuo petto
non men già cortesia che amor dimora.
Trebazio
Or pongo il tuo voler, ninfa, in effetto,
e se amore in me alberga e cortesia,
abbia pietade almen teco ricetto.
Ecco mi ascondo, dolce anima mia;
tu far chiamando segno mi potrai,
quando il ritorno mio grato ti fia.
Mirzia
(scende col velo)
Pastore a tuo piacer ritorna omai.
Trebazio
Lingua non paventar, mostrati audace,
in discoprir del cor la fiamma e i guai.
Mirzia
Ma se vuoi meco aver tranquilla pace,
giurami prima senz'alcun oltraggio
cortesemente dir quel che ti piace.
Trebazio
Per Pan ti giuro e per quel vivo raggio
del ciel, che ragionar teco sol chieggio,
senza fare al tuo onor punto d'oltraggio.
Ninfa, tanti anni son ch'ardo e vaneggio
ne l'amoroso foco,
ch'il tuo bel viso dentro il cor m'impresse;
onde sì amare e spesse
lagrime spargon fuor gli occhi dolenti,
e tai sospiri ardenti
disgombra il petto ognor, che ben m'avveggio
ch'ogni rimedio è fioco
al mio dolor, s'a così dura sorte
non darà fine o tua pietate, o morte.
E bene, ahi lasso, eguale a la cagione
fa poi l'effetto, l'opra,
ché come par non ha tua leggiadria,
così la pena mia,
indi prodotta, ogn'altra fiamma eccede.
E come il ciel ti diede
nome che morte sol par che risuoni,
così egli in me adopra
effetto tal, ch'ovunque Mirzia sento
tosto m'assale il cor mortal tormento.
Mirzia
Per lume naturale è desïata
da ciaschedun la vita,
e la morte schivata come cosa
orribile e noiosa;
dunque, se il nome mio morte ti porge,
chiaramente si scorge
ch'io son da te, pastor, ben poco amata;
e se ragion t'invita
un che t'odia a fuggir, non déi languirti
s'odïata da te cerco io fuggirti.
Trebazio
Ninfa, dai vaghi e chiari raggi tuoi,
per cui in terra ogn'altro
lume d'altra beltade estinto giacque,
l'allezïon mia nacque;
e dall'allezïon tosto nel core
s'accese un fiero ardore,
il fiero ardor causò nell'alma poi
un continuo pensiero,
il continuo pensier fermo desire,
e 'l desir fermo un immortal morire.
Ma se fia freddo il caldo e caldo il gielo,
crederò ben allora
che possa un vero amor odio chiamarsi.
E qual certezza darsi
potria maggior d'un'amorosa fiamma?
ch'ognor a dramma a dramma
vedermi consumar? Né perché in zelo
d'amor languisca e mora,
ho cotal morte in odio ed in dispregio!
Anzi più lei che mille vite appregio.
Mirzia
Ambi saremmo di sciocchezza eguali
se tu persuadermi
ed io creder volessi error sì grave
che sia già morto uom ch'have
alma, respira, parla e ode e vede,
e vital aura gode.
Son tue ragioni al mio giudizio frali,
mal colorate e inferme;
la morte è morte, e quel che muor non vive,
e chi vive, tra' morti non s'ascrive.
Trebazio
L'alma meco non è, ché in te soggiorna
insieme ella col core;
e quel che a ragionar forza m'impresta
e gli miei spirti desta,
alma non è, ma sol d'alma scintille:
sì come mille e mille
fiate avvien ch'un fior, perché ritorna
secco e del suo vigore
in tutto scosso, non però si toglie
ch'odor non serbi nelle spente foglie.
Ma morto o vivo sono tuo, tuo fui,
e tuo sarò mai sempre;
te bramo, te desio, te sola onoro,
riverisco ed adoro;
per te qual neve al sol mi sfaccio e struggio,
per te qual leon ruggio,
e fatto son di me medesmo altrui;
per te convien che stempre
in duri pianti gli afflitti occhi miei.
Tu il mio splendor, tu la mia vita sei.
Mirzia
Pastor, per farti la mia mente piana,
dico che in van ti affanni,
se pensi mai col tuo languir sì folle
render un sasso molle.
Saper già déi ch'io seguo e seguir voglio,
finché lo spirto scioglio
da queste membra, l'alma dea Diana;
ad ella i miei verdi anni
ho consecrati, ond'è ben fral tua speme,
ché amore e castità stan male insieme.
Trebazio
Dunque fia il mio sperar di frutto indegno?
qual dura legge vuole,
che d'un fedel servir, d'un amor vero,
merito iniquo e fiero,
si colga ira, dolor, pianti e sospiri,
odio, affanni e martìri?
Piacciati almen qualche pietoso segno
o d'atti o di parole,
ninfa bella, mostrarmi, ond'io raffrene
se non in tutto in parte le mie pene.
Mirzia
Contenta son ch'oggi da me riceva
amoros'atto, pur ch'ivi in quel rivo
per amor mio prima una volta beva.
Trebazio
Questo non sol, ma per tuo amor a schivo
non prenderei di ber veleno e tosco,
ché morendo per te sarei ben vivo.
E due e tre volte, e quante frondi ha un bosco
bevrò per compiacerti...
Mirzia
Or vo' che lave
sotto quest'acque il tuo pensier sì losco,
insan pastore, e le tue voglie prave.
(Qui la ninfa butta il pastore nel fonte e poi fugge.)
Trebazio
O d'ogni nostro ben tenace freno,
o lappa tra' bei campi di frumenti,
o tra vaghi giardin spine pungenti,
o nebbie ch'oscurate ogni sereno;
o tra soavi cibi amar veleno,
o sott'ombra di gioia aspri tormenti,
o in mar tranquillo tempestosi venti,
o rigid'angue in bel fiorito seno;
di voi, donne, parl'io, di voi mi doglio,
perfide, inique, ingrate, empie e crudeli,
albergo sol di falsità ed inganni.
Vôte di cortesia, come d'orgoglio,
mutabili, incostanti ed infedeli
e sempre intente a' nostri estremi danni.
Or che vi par, che ne direte, o sozi?
deggiomi, ohimè, con le mie mani uccidere
per uscir di sì gravi, aspri negozi?
Io veggio ben ch'ella mi cerca uccidere,
né, pur con tanto oltraggio e tanto strazio,
posso dall'amor suo l'alma dividere.
Filerio
Col dolor non si suol, car mio Trebazio,
dolor scemare, e quanto più nel piangere
ti struggi, men sarai di pianger sazio.
Non è d'altiero e saggio cor farsi angere
da l'empio affanno, ma cercar rimedio
con che possa il tuo mal quetare e frangere.
Trebazio
Or più mi avvolgi in tormentoso tedio,
ché ad ogni cosa alfrn si trova ostacolo,
fuor che a schivare un amoroso assedio.
Ottimio
Qui presso v'è d'Apollo il sacro oracolo,
per cui saprem se nostre ninfe accendere
potrà mai forza d'amoroso giacolo.
Trebazio
In van cerco d'altrui mia sorte intendere,
ché al folgorar de' suoi begli occhi licito
mi fia ben chiaro 'l mio destin comprendere.
Filerio
Anz'io mi sento da desio sollicito
pungere il petto di saper che termine
avran gli affanni ov'io mi trov'implicito.
Forse ch'udendo il ver fia che si germine
altro pensiero in noi più ragionevole
che le nostre pazzie finisca e termine.
Trebazio
Per me non resti; ma non ben agevole
sarà questo ottener senza far opre
convenïenti ad atto sì lodevole,
ché non mai gli alti suoi segreti scopre
l'alma Sibilla pria ch'al sacro ospizio
e riverenza e degno onor s'adopre.
Andiamo dunque con benigno auspizio.
Ma ecco il tempio. Ognun si mostri intento
al riverente suo debito uffizio.
SCENA VI
UNA SIBILLA e detti.
Filerio
Febo, che per le selve errante armento,
vago del pastoral dolce nostr'uso,
guidasti un tempo, e poi con fier tormento
ne la prigion d'amor fosti rinchiuso;
deh, fammi aperto se l'ardor ch'io sento
fia con acerbo o lieto fin conchiuso;
e s'allor t'infiammò raggio d'amore,
or raggio di pietà ti scaldi il core.
Ottimio
Febo, per tua memoria un verde alloro
in mezzo al mio giardin piantar prometto,
ove fia inciso: "Questi gli stral d'oro
son ch'al più alto pastor punser il petto",
s'oggi udirò, se da colei ch'adoro
avrà la pena mia felic'effetto,
o pur, sì come ho cominciato, gli anni
menar convienmi in sempiterni affanni.
Trebazio
Febo, il più bello e 'l più feroce tauro
ch'abbia, in tuo onor oggi cader vedrai,
e coronato poi di verde lauro
canterò di Titon gli ultimi lai;
quando saprò se il caro mio tesauro
ne le mie man fia che pervenga mai,
o se pur sempre per destin mi tocchi
dal cor fiamma versar, pianto da gli occhi.
(Qui si fa rumor nel tempio.)
Filerio
Che terribil rumor, che suono orrendo,
che gran muggir, che spaventoso strido
è quel ch'uscir dal sacro tempio intendo!
Trebazio
Or qui più dimorar non mi confido,
ché forse Apollo in noi d'ira sfavilla
e manda fuor sì tempestoso grido.
Ottimio
Questa, cari compagni, è la Sibilla,
che quando Febo il cor l'ange ed ingombra,
colma di rabbia così mugghia e strilla.
SIA. Filerio, i fieri tuo' martìri sgombra,
ché pria ch'il sol con Gemini soggiorne,
Imeneo ti trarrà dal petto ogn'ombra.
Ottimio, non sperar le caste e adorne
membra fruir della tua dea; sol puoi
che l'umana tua form'altra ritorne.
Trebazio, se placar tua ninfa vuoi,
fuggila, ché fuggendo aggiungerai
quel che seguendo aggiungere non puoi.
Ottimio
Già di partirsi egli è ben tempo omai,
poscia che avuto abbiam noi certa fede
di ben futuri e di futuri guai.
Trebazio
Questo a Filerio dir ben si concede;
ma io, che grato senso vuoi che coglia
da la risposta che a me sorte diede?
Disse ch'io fugga l'infiammata voglia
per adempirla. Or, come avvien che adempia
uom cosa mai ch'egli adempir non voglia?
Ottimio
Deh, quant'ebbi di te più dura ed empia
sorte in udir che la mia ardente spene
dopo cangiata questa imagin s'empia!
Sai che volse ella dir? che a me conviene
morire, e in terra trasformarmi al fine
per uscir fuor de l'amorose pene.
Filerio
Forse non drittamente le divine
voglie, sozi miei car, potete esponere,
e per le rose figurar le spine.
Or cerchi ognun la mente sua reponere
nel supremo voler, ch'indarno sforzasi
umano ingegno contra 'l ciel disponere.
Ottimio
Col tuo parlar via più mia pena inforzasi,
ché la fiamma d'amor non può ricevere
consiglio alcun, né per consiglio ammorzasi;
e chi comincia, è forza che persevere
nel ciec'ardor, cui non potrebbe amovere
quant'acqua è in Po, in Gange ed Istro e Tevere.
Ma tempo ben sarà ch'alle mie povere
capre ritorni, e voglian pur le fatora
che con alcuna scema io non l'annovere.
E, se vi par, ne le profonde pratora
di Pausilippo, ov'il terren producere
fresche erbe, vaghi fior mai non si sazia,
poi che comincia il sol calando adducere
altrove il giorno e dal ciel l'ombre cascano,
unitamente le potrem conducere.
Trebazio
Io voglio che le greggi mie qui pascano,
e fia l'albergo mio questo tugurio
per fin che i raggi matutin rinascano.
Ottimio
Quanto più sto più di dolor m'infurio.
Compagni, a Pan vi lascio.
Filerio
Ed io pur vogliomi
teco partir.
Trebazio
Sia con felice augurio.
SCENA VII
Trebazio
Amor, non ho ragion se di te dogliomi,
non ho ragion se ti maldico e biasimo,
non ho ragion se de' tuoi lacci sciogliomi?
Io piango, ardo, sospiro e moro e spasimo,
e la mia ninfa de' miei danni preggiasi,
e ben vedesti come al fin rimasimo.
Core, a me riedi, né per me più deggiasi
ombra seguir, ché ad un noioso incarico
meglio è pur tardi che non mai provveggiasi.
Ecco mi sento d'ogni pena scarico,
l'amor in odio, il fuoco in ghiaccio mutasi,
in gioioso pensier l'aspro rammarico.
Ecco, bel gregge mio, che già commutasi
iniqua sorte, e ben puoi lieto dirti
che tuo il pastor, non più d'altri riputasi.
Ma nell'ombre soavi di quest'irti
ameni faggi, mentre vai tu errante
dar vo' riposo a' miei già lassi spirti.
SCENA VIII
MIRZIA E TREBAZIO.
Mirzia
S'io avessi il cor più duro d'un diamante,
s'io fossi più che tigre empia ed acerba,
sprezzarei sì fedele e bello amante.
Troppo spietata fui, troppo superba.
Ma.. ecco il mio pastor ch'a l'ombra veggio
solingo star fra i vaghi fiori e l'erba.
(a Trebazio.)
Leggiadro, almo pastor, s'un tempo in spreggio
ebbi l'acceso tuo caldo desio,
or del commesso error perdon ti chieggio.
Trebazio
Rigido serpe venenoso e rio,
volgi altrove il sentier, tornati a dietro.
ch'io non son più d'Amor, son fatto mio!
Mirzia
Come fu il tuo pensier di fragil vetro!
Poc'anzi me qual idolo adoravi,
or teco a pena ragionare impetro.
Ah, l'ingrato pastor, se non mi amavi,
chi ti spingeva a dir: Mirzia, te sola
desio, tu sola hai del mio cor le chiavi?
Trebazio
Al vento spargi, ninfa, ogni parola.
Ninfa la chiamo!... Anzi infernal megera
che acerbamente la mia pace invola.
Non più noiarmi, tempestosa fiera!
MIA. Ahi che fierezza mostri a chi sol tenta
scoprirti la sua fé pura e sincera!
Trebazio
Poi che ti veggio a star pur quivi intenta,
voglio io medesmo tôrmiti dagli occhi.
Or teco parla, or teco ti lamenta.
SCENA IX
MIRZIA sola.
Mirzia
Amoroso disio, colmo di sciocchi
e vani error, che per vie cieche e torte
fra duri stecchi ognor l'ama trabocchi;
per finir così acerba ed aspra sorte,
con un pungente stral voglio in un punto
dare a' miei spirti pace, al corpo morte.
Trebazio, non mi duol che il dì sia giunto
del mio morir, ma duolmi che morendo
fia il nome tuo d'eterno biasmo punto,
ché ognun dirà, ch'udrà il mio caso orrendo:
Crudel, fiero pastor! Tal ch'oggi insieme
e la mia vita e la tua fama offendo,
bench'io stessa causai tante mie estreme
noie, che non dovea, s'empia ti fui,
trovar in te pietà, prender mai speme.
Io doler mi vorrei, né so di cui,
se non di me che giustamente pato
quel che prima patir feci ad altrui.
Acuto dardo che sovente stato
sei d'animali strage, or vo' che impari
esser nel sangue mio duro e spietato.
Lingua ch'alti lamenti, occhi ch'amari
pianti versate, consentite meco
che con un colpo al vostro mal ripari.
Cor mio, deh non temer quest'atro speco
anzi tempo lasciar, ch'al tuo morire
tutti i tormenti tuoi morranno teco,
anzi viva si può, non morta dire
colei ch'ognor morendo nel dolore
cerca con morte dalle morti uscire.
Sol mi punge la tema de l'onore;
ma di ciò paventar nulla pur deggio,
ché bel fin fa chi ben amando muore.
Duri sassi, fresco antro, ombroso seggio,
se vera alta pietà mai vi congiunse,
com'or ben chiar nel vostr'aspetto veggio,
serbate in voi queste mie note incise:
UNA NINFA INFELICE MIRZIA DETTA
QUIVI PER TROPPO AMOR SE STESSA UCCISE.
(Qui Mirzia si converte in mirto.)
ATTO TERZO
SCENA I
UN SATIRO.
Questa peste d'amor quanti n'infetta!...
Altri in occolta fiamma si tormenta,
altri languisce, altri al morir s'affretta.
Qui d'intorno, o pastor che si lamenta,
o ninfa ho udito; pur io qui davanti
parmi che nulla veggia e nulla senta.
O tormentata vita degli amanti,
insieme esposta sempre a ghiaccio, a fuoco,
a speranze, a timor, a risi, a pianti!
Io pur di Filli un tempo arsi e non poco;
ma poi che del suo nodo il cor disciolsi,
fiamma d'amor non ebbe in me più loco.
Quante volte dal mèle assenzio colsi,
ed era sì nel riso il pianto impresso,
che nel più bel gioir più mi condolsi!
E ben provai come agghiacciar d'appresso,
arder da lungi, e come si conviene
per acquistar altrui perder se stesso.
O penose dolcezze, o dolci pene,
quïete avvolta in travagliosi stenti,
vita che mille morti in sé ritiene.
Amor, io il vo' pur dir, senza i tormenti
che tu ne dai, sarebbe il nostro stato
non men che 'l mar senza noiosi venti.
O chiari e freschi rivi, o verde prato,
o delle rose piagge, o colle ameno
di vaghi fior soavemente ornato;
quivi di rose e di viole il seno
mi vo' colmare ed adornar le tempie
fin che si ponga al duro caldo il freno.
SCENA II
OTTIMIO e detto.
Ottimio
(avanzandosi)
Ottimio, che déi far? Ecco de l'empie
tue noie giunto il desïato fine
ecco che morte le tue voglie adempie.
Non v'è riparo a l'aspre tue ruine,
poi ch'ami cosa ch'è d'Amor nimica,
e sono impresse in te fiamme divine.
Ma se 'l mio amor sol vive e si nutrica
di speme, ed io cosa impossibil amo,
come fia che l'amor amor si dica?
Odio gli è dunque; ma come odio chiamo
quel che ad amar mi spinge? O caso rio,
che conoscer non so s'amo o disamo!
Io amo pure... anzi ardo, e l'amor mio
è sì possente che si nutre e pasce
non di speranza ma di van desio.
Ahi infelice ch'in tal fato nasce!
Ché nel più bel fiorir de' miei verdi anni
convien che quest'afflitta spoglia lasce.
Satiro
Che gran sospir, che suon colmi d'affanni
è quel ch'io sento? Egli è pastor ch'involto
si trova forsi in amorosi inganni.
Sopra d'un tronco tien poggiato il volto
e fra se stesso ivi sospira e piange
com'uom di senno privo e in tutto stolto.
(ad Ottimio.)
Pastor, che fiero alto dolor si t'ange,
che in sì riposto e solitario loco
del petto un Etna fai, degli occhi un Gange?
Ottimio
Satiro, per dio Pan, lasciami un poco,
lasciami un poco disfogar, ti priego,
con pianti il ghiaccio e con sospiri il foco.
Satiro
Alza almen gli occhi ed al mio giusto priego
moviti alquanto, poi sospira e luggi
e fa quel che ti par, ch'io non tel niego.
Misero, a che tacendo ti distruggi?
Discovri il mal, ch'oltra che fia men greve,
trovarai forsi onde l'acqueti e fuggi.
Ottimio
Anzi parlando avvien che più l'aggreve,
ch'al duol che nel mio cor si chiude e serra
ogni rimedio per tristezza è lieve.
Satiro
O donne, o crudel peste, o nostra guerra,
se non fossero nebbie e donne al mondo,
né in ciel pioggia saria, né male in terra.
Ottimio
Al tuo parlar via più di doglia abbondo,
ché da donne sol vien quant'è fra noi
di leggiadro, di bello e di giocondo.
Satiro
A ciò risposta nulla chieggio, poi
che o gioco o pianto, che da lor procede,
chiar si conosce nei sembianti tuoi.
Ottimio
Chi la beltà di colei ch'amo vede
ben mi dice: Pastor, mori contento,
ché più che questo il pregio suo richiede.
Ma pur di donne a ragionar intento
mi veggio. Ahi lasso, d'alma dea deriva
e non da donna il cieco ardor ch'io sento.
E questo è quel che mi dispoglia e priva
d'ogni piacer, d'ogni tranquilla pace,
ché non può il mio desir giungere a riva.
Satiro
E perché nudre il cor fiamma sì audace?
Ottimio
Deh, non far che 'l mio duol più rinovelle:
Diana, ohimè, Diana mi disface!
(Quivi il pastor diventa matto per nomar Diana.)
Oh quanti fiori in cielo, oh quante stelle
in terra scorgo, e con irsute chiome
far tigri intorno vaghe danze e belle.
Satiro
Ahi infelice, ahi duro caso! come
restò di senno e d'intelletto fuore
a nominar della sua amante il nome!
Ottimio
Questo ch'è quivi, è lupo o pur pastore?
egli è pur lupo; al lupo, gregge mio!
fuggi del lupo il gran vicin furore!
Qui le pecore mie tutte vegg'io...
pecore?... paion ninfe e non son fiere...
Satiro
Sciocco d'amanti universal disio!
Ottimio
Vo' in questo freddo e duro sasso bere...
o che durissim'acqua!.. ora fia ben meglio
che qui nell'aria pongami a sedere.
Io par che caggia, e nel cader mi sveglio...
aria, sta ferma... or di volare imparo...
Satiro
O d'amorose insanie duro speglio!
Ottimio
Deh, torniamo a lottar, sozio mio caro,
ch'io per disgrazia caddi... sta pur forte...
ché a questa scossa mal puoi far riparo.
Satiro
Ahi dispietata, ahi miserabil sorte,
con l'arbor lotta!...
Ottimio
Oh, buona presa è questa;
or sugli omeri pur fia che ti porte.
Satiro
Pastor, ormai dal vaneggiar ti resta...
Ottimio
Il sol è in Tauro e co' suoi raggi intensi
par che di nuove erbette il mar rivesta.
Satiro
Dico che acqueti i travagliati sensi...
(a sé)
E solo piange e mugge e ben dimostra
che sian di grave ardor gli spirti accensi.
(Qui il pastore comincia a gocciolar d'acqua per convertirsi in fonte.)
Donne crudel, quest'è pur colpa vostra!...
o pietà grande, quant'umor diffonde!...
cosa non vista ancor ne l'età nostra.
Raffrenati, pastor... Ei non risponde,
e quanto più gli parlo, più gli scorgo
versar da gli occhi amare e fervid'onde.
Ottimio
Ahi lasso, ahi miser, ché se ben mi accorgo,
so che d'un alto sonno ho l'alma scossa;
tutto bagnato in mezzo l'acque insorgo.
Anzi mi par che mover più non possa
quinci le membra... O sacri dèi, che veggio?
acqua diventan le mie carni e l'ossa!
Satiro mio, cui sì pietoso veggio
d'un sì fiero destin, porgimi aita.
Non miri, ohimè, che d'ogni intorn'ondeggio?
Satiro
Strani accidenti di pazzesca vita
mirati ho un tempo. Il ciel veder poi femmi
che la sua forma un'altra forma invita.
Ottimio
Lasso, che sento dirti?... Ora sovvienmi
quel che Apollo mi disse, che a finire
la pena mia, cambiar forma convienmi.
Fors'egli volse per ventura dire
che, lavandosi qui, potrò le belle
e caste membra di mia dea fruire.
Satiro, non dolerti, anzi le stelle
meco ringrazia, ch'oggi non potrei
già maggior dono aver ch'ebbi da quelle.
Sol due grazie vi chieggio, o sommi dèi,
che per farmi gustar vera dolcezza
serbiate in questo fonte i sensi miei;
e in questo mio liquor tanta chiarezza
insorga ognor, che l'alma mia Diana
spesso a bagnarsi in me prenda vaghezza.
Non mi duol che l'umana
mia forma cangi, e che tra fonti sia
quel ch'era tra pastor nomato pria;
né mi è la morte strana,
se morte si può dir la morte mia,
poscia ch'è 'l viver noia,
ed il morir mi fa perpetua gioia.
Qual mai giocondo stato
potrà eguagliarsi con sì lieta sorte,
o pur qual vita con sì dolce morte,
se col morir m'è dato
quel che non fia già mai che vita apporte?
Dunque, per meglio dire,
morte fia il viver mio, vita il morire.
Ma, ahi lasso, a poco a poco
tutto divento umor ch'ogni gran fiamma
già per natura estingue, né pur dramma
s'estingue del mio fuoco,
e più che pria il mio desir s'infiamma.
O miracol d'amore,
che fai ne l'acqua conservar l'ardore!
Satiro
O infelice e più d'ogn'altro misero,
a cui l'inique stelle sì durissimo
e miserabil fin oggi permisero,
stimati dunque sempre quïetissimo,
né sarà mai chi tue chiare onde macoli,
o tra fedeli amanti fedelissimo.
E l'ama dea dagli spietati giacoli
spesso nel grembo tuo pietoso accolgasi
tra questi vaghi e dilettosi ombracoli.
Ché a sé l'ira del ciel da te ricolgasi
ch'ogni passato duol, ogni terribile
tua pena in gioia sempiterna volgasi.
SCENA III
TREBAZIO e detti.
Trebazio
(rientrando)
Grazie rendo a li dèi che quella orribile
furia non veggio, né fia più che 'l rigido
angue d'intorno a le mie orecchie sibile.
Ma ché ne l'ozio più m'impigro e infrigido?
Voglio alquanti trovar di questi arbuscoli
e prepararmi un dolce, ombroso frigido.
Questi spessi, fronzuti e bei ramuscoli
porrò di mia capanna al frontispizio,
né i rai m'offenderan se tutto offuscoli.
Mirzia
Ahi crudo, empio pastor, sempre al mio essizio
col cor sei pronto, ché non solo in vita,
ma cerchi in morte ancor darmi supplizio!
Trebazio
O sacro Pan, che voce ho, lasso, udita,
ch'or, nel troncar ch'io fei d'un ramo quivi,
è fuor del tronc'orribilmente uscita!
Spirto che in questa pianta alberghi e vivi,
dimmi chi sei; ch'eternamente 'l cielo
e da piogge e da grandini ti schivi.
Mirzia
Mirzia son io, che con ardente zelo
t'amai ed amo ed amerò mai sempre,
fin che sta l'alma in questo alpestre velo.
Né perché pianta son fia che contempre
l'eterno acceso fuoco, anzi m'è forza
ch'or più che mai languendo mi distempre.
Trebazio
Mirzia dunque sei tu che in questa scorza
t'inchiudi?... ahi lasso, e qual acerba sorte,
qual rio destino a ragionar ti sforza?
Mirzia
Io ti dirò: sì mi compunse il forte
strale de l'amor tuo, ch'oggi fui osa
con le mie proprie man darmi la morte.
Ma la madre d'Amor, di me pietosa,
nol consentì: così restai, per voglia
di lei, con l'alma in questo tronco ascosa.
Trebazio
Dunque cagion io fui di tanta doglia?
Assai m'annoia, e il ciel volesse ch'io
modo trovassi onde il tuo mal discioglia,
ché ben vedresti ancor nel petto mio
riaccendersi la fiamma, e più che mai
viver in me quel primo almo desio.
Mirzia
Ben potresti, pastor, gli aspri miei guai
in gioia oggi ridur, pur che infiammata
sia la tua mente d'amorosi rai.
Arbor son io a Vener consacrata,
quale al desir di veri e fidi amanti
non si mostrò già mai fiera e spietata.
S'umili prieghi in onor suo qui avanti
spargi, ben esser può ch'ancor ritorni
ne' già mutati miei primi sembianti.
Trebazio
In ciò non vo' che punto or si soggiorni;
ma un satiro veder qui appresso parmi
che d'edra il capo e di be' fior s'adorni.
Chieder gli vo' che in cortesia aiutarmi
a ciò si degni con pietoso affetto
e in sì divina alt'opra accompagnarmi.
(al Satiro.)
Satiro, se i tuoi giorni 'n gran diletto
eternamente godi, or manifesta
se fa pietà entro al tuo cor ricetto.
La bella ninfa mia conversa in questa
pianta si trova, e di doglie impie e adre
non men la mia che la sua vita infesta.
Drizziamo i prieghi alla benigna madre
d'Amor, che voglia nel primiero stato
render le membra sue vaghe e leggiadre.
Satiro
Eccomi al tuo volere apparecchiato:
ma il ciel non fia che a nostre voglie inchine,
se per destin qui sempre a star gli è dato.
Trebazio
Forsi migliore e più gioioso fine
avran che tu non credi i nostri preghi,
ché tarde non fùr mai grazie divine.
Pregoti dunque ch'or la lingua spieghi.
Satiro
Venere bella, se il tuo fiero Marte
grato diletto ognor teco si prenda,
senza che mai del vecchio fabbro l'arte
i dolci tuoi piacer turbi ed offenda:
vogli a costei pietosa oggi mostrarti,
e talmente dal ciel tua grazia scenda,
che possiamo ben dir ch'in te s'apprezza
non men bella pietà ch'alta bellezza.
Trebazio
Venere bella, onde ogni ben deriva,
e da cui piove ogni amoroso nembo;
se a piè d'un colle, o amorosa diva,
tenghi il tuo Adon soavemente in grembo,
piacciati i miei desir condurre a riva;
e poscia in onor tuo vedrai un nembo
sparger di fiori e fare in canto adorno
Citerea, Citerea sonar d'intorno.
Satiro
Diva madre d'Amor, d'un bel cipresso
e d'un leggiadro e bianco gelsomino
voglio onorarti, a cui d'intorno spesso
raccolti in dolce coro e pellegrino
balleran ninfe e satiri, e 'l successo
canteran del tuo nome alto e divino,
come volgesti i due fedeli amanti
in estremi piacer da estremi pianti.
Trebazio
Diva del terzo ciel, madre d'Amore,
da cui prodotto fu quel nome sacro
ch'ad uomini ed a dèi compunge il core,
or con vera dolcezza, or con dolce acro;
due colombe di latteo e bel colore,
ch'ancor ne l'olmo serbo, a te consacro;
e ben t'offrirei 'l cor se fosse meco,
ma se 'l ritiene la mia ninfa seco.
Ecco, benigno ciel, che fuor già scorgesi
l'angelica sembianza, ed a' miei lumini
l'amata vista dolcemente porgesi.
O Mirzia, o vita, o mio splendor, ch'allumini
quest'alma, or non fia più ch'empio dissenzio
e crudel odio me, qual pria, consumini.
Or dal mio cor ogni martìr licenzio
poi che le nostre fortunate fatora
han volto in dolce mêl l'amaro assenzio.
Non più sarete da qui innanzi, o pratora,
dal pianto mio bagnate, anzi dolcissimi
canti s'udran ognor per queste latora.
E tu, caro mio ben, poi che agli asprissimi
dolori hai fin già posto, umil ringrazia
Vener e del figliuol i numi altissimi.
Mirzia
Vaga ciprigna dea, che a tanta grazia
la lingua mia non corrisponde, l'anima
almen non fia mai di lodarti sazia.
Cupido, ch'ogn'impresa alta e magnanima
conduci al varco, non mie lodi attendere
vogli, ma il buon desio che a ciò m'inanima.
Finché si veggia in ciel Febo risplendere,
sempre s'udran le grazie e le tespiadi
onor a Citerea saltando rendere.
E fin ch'i lauri han frondi, le amadriadi
il nome dell'alato Arcier risuonino,
e le napee con le vezzose driadi.
Satiro
Ma acciò che i fati al buon principio donino
miglior successo, or che dolci aure fiatano
vo' che le mie sampogne alquanto sonino
su quest'ombroso e verdeggiante platano.
SCENA IV
FILERIO, TREBAZIO, MIRZIA e VENALIA.
Filerio
O come son quest'alme amiche e liete!
Mirzia, questo è il mio caro e dolce sozio.
Mirzia
Salutatelo pur come solete.
Trebazio
Vener ti doni pace, requie ed ozio,
e metta in core a la tua ninfa ancora
di non sprezzar d'amor l'alto negozio.
Filerio
E te soccorra Pan con grazie ognora,
che le sparga più ognor con larga copia,
Trebazio mio, poi c'hai la bella aurora.
Trebazio
Quest'è 'l mio sol, questa è mia vita propria,
e spero ch'ancor tu presto sarai
fuor degli affanni e di sì lunga inopia.
Filerio
Ahimè, quand'avran fin tanti miei guai?
quando potrò mai dir: Questa è mia luce,
quest'è quel ben che tanto desïai?
Trebazio
Lascia operare al cieco e alato duce,
e non ti diffidar, che già suol dirsi
che dopo il triste tempo il buon riluce.
Venalia
O quanto fui ne le amorose trame
poco avvertita; o sciocco e van pensiero,
come fia ver che un tal pastor non ame?
O ingordo desio fallace e fiero!
Ché tal dimestichezza era fra noi,
che dimostrava amor puro e sincero.
Trebazio
O Filerio, Filerio, il ciel, dopoi
che lieto ti si mostra, puoi lodare:
or la tua ninfa scorgo e vien a noi.
Chi sa non l'abbi il ciel fatta mutare
di reo pensiero in buona voglia? Io spero
che il cieco Amor ti voglia oggi aiutare.
Venalia
Io ardo, agghiaccio, e sol tu, crudo Arciero,
cagion sei d'infiniti e sì diversi
mali, onde torsi dal dritto sentiero.
Quinci la noia fu, quindi soffersi
disdegnosa lasciar Filerio solo,
che fin al ciel di me debbe dolersi.
Se si cercasse l'uno e l'altro polo,
già mai non trovarassi il più gentile,
il più vago pastor cui l'alma involo.
Ma se acerba gli fui, voglio or più umile
mostrarmi a lui, perché, vedendo aperto
ch'ei mi ama, sentirà cangiato stile.
Filerio
O ciel, benigno mi ti mostri certo,
ch'io sento la mia ninfa di altra voglia
per tua bontade, Amor, non per mio merto.
Or vo' scoprirmi, acciò mia lingua scioglia:
Trebazio, che ti par?
Trebazio
Andiamci tutti.
Filerio
Pan ti guardi da stenti, pena e doglia.
Venalia
E te levi di affanni e inesti lutti.
Filerio
Ninfa, cangia pensier, che gli occhi, ahi lasso,
non si vedon già mai dal pianto asciutti.
Vedi che vado, e non con lento passo,
a trovar l'ombra degli ombrosi mirti
là giù nel regno tenebroso e basso.
Venalia
Sappi, pastor, ch'io sol son qui per dirti
che tua son, tua sarò perfin che l'alma
a queste membra porgerà gli spirti.
Lascia tu dunque la gravosa salma,
caccia il timor, nè aver dubbiosa spene.
Trebazio
Or toccatevi un poco palma a palma,
e di abbracciar ancor vi si conviene.
Oh quanta gioia sento! Or lascia il lutto,
che il cor, Filerio, sì t'ingombra e tiene.
E poi che piace al ciel maturo frutto
agli amor nostri dar, torniamci in gioia
a nostre mandre ov'è il gregge ridutto,
e lasciam tutti ogni penosa noia.
SCENA V
ANTINIANA e DIANA.
Antiniana
Sacra Dïana, pregoti che quivi
aspettiam nostre sozie, ché il patito
caldo ci fa mancare, e in questi rivi
ristorerem le forze già perdute.
Diana
Contenta son, pònti ne i verdi rivi.
Antiniana
Venalia e Mirzia prim'anci venute
saranno forse, e smarrite cercando
andran le care lor sozie perdute.
Diana
Meglio dunque sarà che rinfrescando
le nostre mani in questo chiaro fonte,
veniam pian pian le forze racquistando.
Antiniana
Non mi ricordo a piè di questo monte
esser stata fontana, e credo certo
che a tua divinità tutte sian pronte.
Diana
Antinïana, mai da noi deserto
sarà più questo fonte, anzi ogni giorno
fia il corpo nostro a le sue acque offerto,
perché gridando noi spesso d'intorno,
e faticate per troppo camino,
chiamerem le compagne al suon del corno.
Un'altra fonte era ancor qui vicino,
ove altre volte noi ci siam lavate,
se ti ricordi, fonte cristallino.
Antiniana
Acque non mai sì dolci e delicate
esser rammento per sì stran paese,
ché ci sarian palese,
essendo in caccia per di qua passate:
ma ben mi crederei che 'l traditore
iniquo e fiero Amore
causa di questo fonte sol sia stato;
sì ch'abbian trasformato
gli dèi qualche seguace, onde costretto
da troppo amor s'abbi passato il petto
Diana
Acqua, se la natura o pur creata
t'abbia alcun dio sì chiara e sì perfetta,
restati in pace, poi che ti ho gustata;
e tua divinità sempre ristretta
teco star possa, e se pur creatura
sei stata al mondo fragile e imperfetta,
ritorna come prima a tua natura
e ripiglia il tuo corpo abbandonato
per tua disgrazia e tua disavventura.
E se stato sei forse lacerato
dal fiero aspide iniquo e traditore
d'Amor, onde tu fia qui trasformato,
scordati del passato e grave errore,
e vivi ormai contento; vivi in pace,
racconsolando il tuo misero core.
Antinïana andiamci, ché fallace
è nostra compagnia.
Antiniana
Andiamo, o Diva,
poi che la voglia lor tanto è fugace.
SCENA VI
OTTIMIO ritornato nella prima forma.
Ottimio
(ritornato nella prima forma)
Ahimè, ch'io volea dir ch'io mi sentiva
tutte umide le membra ed agghiacciate;
non so se morto ero io, se pur dormiva.
Pecorelle ove sête abbandonate
dal vostro buon pastor? com'è possibile,
che voi ne foste tanto allontanate?
Questo mi pare a me quasi ridibile:
ero pur dietro a voi per queste latora
or ora, e siete ognuna a me invisibile.
Dormo pur io... ma queste son pur pratora;
questo è un alloro e quello è il mio tugurio,
e quelle son di Alfesilbeo le capora.
Ov'è Trebazio? ahimè, infelice augurio
questo m'apporta; e molto meravigliomi
che a ritrovarlo presto non infurio.
Tutto dentro gioisco ed or rammentomi
che il gregge mio lasciai dentro a lo stabulo.
Cercar nol debbo più, dunque rallegromi,
poiché al mio gregge alcun cattivo ostaculo
mentre ho dormito de' lupi rapaci
fatto non è; di questo mi congratulo,
e quantunque i miei sensi sì fugaci
la chiara mente mia sì m'offuscasse,
onde in pensier mi trovai sì fallaci.
Ove sete, miei sozii? se mi amasse
il mio Filerio, meco affronteriasi,
fin tanto che 'l mio ben gli raccontasse.
Nessun di me più lieto troveriasi,
quando che altrui potessi discoprire
il core, e poi allegro torneriasi.
Con sì dolce parlar gli vorrei dire
e gli vorrei mostrar quanto contento
or mi ritrovo con sommo desire.
Meglio dunque sarà che in vér l'armento
ritorni presto con felice augurio,
poiché tanta dolcezza al cor mi sento.
APPENDICE ALLA MIRZIA
PROLOGO E LICENZA DELLA TREBAZIA
UN PASTORE FA IL PROLOGO.
È pur gran cosa (Spettatori illustri,
Gentildonne bellissime e voi tutti),
ch'al giorno d'oggi questo van desio
chiamato amor con la sua forza ed arte
domini tutta la mondana sfera;
e non sol viva tra palagi e scettri,
tra prencipi e signori in pompe, in agi,
ma sovente discenda tra le selve
accendendo i bifolchi ed i pastori.
Ma che dich'io che tra gli umani ei regni?
Non regna tra le fiere e gli animali?
e tra sassi e tra piante? E chi è colui
sì costante e sì fermo che non abbia
provato i colpi del fanciullo acerbo?
Nïuno certo, e se ve n'è qualcuno,
che non gli abbi provati, or s'assicuri,
che non molto anderà dal fiero illeso;
anzi che in breve tempo egli vedrassi
ne le reti e nei lacci a questo Arciero.
Né vi pensate già, Madonne care,
fuggir con tal beltà da le sue mani,
ché v'ingannate e ne vedrete essempio
oggi molto famoso e molto chiaro,
mentre due ninfe che da lui fuggire
volean e servir Cinzia entro de' boschi,
facendo ognor patir pene e dolori
a' loro amanti miseri e infelici,
avviene che rimasero prigione
del fiero cieco, e i lor pastori amanti
co 'l seguir, co 'l fuggir le reser vinte.
Ma perché il caso è da sé chiaro e aperto,
non voglio affaticarmi or in narrarlo.
Ben raccordo a colui che segue Amore
a porre i suoi pensieri in loco tale
che non commetta error, sì come avvenne
ad Ottimio pastor, come vedrete;
ché il folle suo desio tropp'alto ascese,
fatto sol di Diana avido amante.
Impari oggi a sue spese ogn'uom mortale
e non si lasci trasportar tant'alto,
se non vuole provar fortuna avversa,
come provò costui che il suo desio
misero il fece trasformare in fonte.
Mancavi raccordar che udendo voi
questa favola nostra attenti stiate,
com'è il solito vostro, e siate certi
che l'avervi promesso già più giorni
di affaticarsi per farvi piacere,
ne fa oggi venir su questo palco,
confidati però che quel cortese
vostro animo gentil che ci promette
grata audïenza, voi gentil Signore
imparate oggi a veder quanto importi
chi viver vuol d'Amor lontana e sola;
e sopra il tutto prendete il consiglio
che vi dà il servitor vostro fedele:
Amate chi ama, ché così commanda
d'Amor la legge. Ma pur troppo ho scorso
co 'l parlar mio: di grazia state cheti
infino al fine, e quando pur vediate
ne la favola nostra qualche errore,
abbiate escusi noi, che troppo siamo
pronti a servirvi; ma perché già veggio
Trebazio che vien fuori, vuò lasciarvi.
Porgete orecchie a sue querele a i pianti.
[Licenza]
UN PASTORE CHE LICENZIA.
Poiché ha piacciuto a Amor maturo frutto
dar de le sue fatiche a i duo pastori,
benigni audienti e voi sagge Signore,
e vi ha concesso ch'oggi voi possiate
comprender chiaramente che già mai
non lascia che un servir sincero e saldo
vadi senza il suo premio, come avete
in Filerio e Trebazio oggi veduto:
voi che saldi e costanti ognora siete,
leggiadri amanti in servir donna quale
rigida e dura vi si mostri un tempo,
non vi sgomentin le patite pene
che Amor ognor vi dà; ma siate certi
che un giorno vi farà contenti e lieti.
State pur saldi a l'amorosa impresa;
ché se pene e dolor provate adesso,
tempo verrà che ancor sarete lieti.
Sagge Signore ch'avete veduto
quanto sia grave a Amor l'esser crudele,
imparate oggi esser benigne e pie,
perché a la fin vedrete in danno vostro
ogni cosa riuscir: siate prudenti;
diportatevi in modo che ad Amore
non convenghi adoprar l'animo irato.
Ma perché so ch'è vano il ricordarvi
questo, vedendo quanto allegramente
seguite Amor, in ciò non vi dico altro.
Mi resta di pregar questi ascoltanti,
Signori e Donne, in nome di noi tutti
che ci siam faticati, acciò possiate
oggi mirar questo caso d'amore;
che se le nostre forze no han potuto
arrivar dove forse era il disegno,
ne abbiate escusi e vi sia in pagamento
il buon animo nostro tutto pronto
in oprar cosa che vi sia in diletto.
Se cosa avete vista che vi piaccia,
noi l'abbiam caro: non voglio altro dirvi.
Vi sia in ricordo di tenir memoria
de la nostra attenzion. Dio vi conservi
felici e lieti ed in amor contenti.
FINE