Misteri nello spazio

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MISTERI NELLO SPAZIO

 


Dramma fantascientifico in 3 atti

di Franco ROBERTO

Personaggi

GIULIO GRANT, scienziato

SIMONA TODD, sua assistente

PATRIZIA BAKER, tenente di polizia

TIZIANA ROBERTS, magistrato

MICHELE RAY, sergente di polizia

TOMMASO DREYER

VINCENZO KIRMAN

Oggi, nella villa «Grant», in California (Usa).

La scena (fissa per tutti gli atti):

Un salotto.

Al fondo una porta-finestra che dà nel giardino; due por­te: una a destra e l'altra a sinistra.

Mobili: un tavolino, alcune sedie o poltrone; apparecchio telefonico; pulsante per chiamare il personale di servizio.


ATTO PRIMO

Verso le ore 23 di una sera d'autunno. In scena, all'a­prirsi del sipario, non c'è alcuno.

Vincenzo — (dall'esterno, a sinistra) Da questa parte, prego.

Michele — (entra, seguito da Tommaso e Vincenzo. Michele è un sergente di polizia in borghese sui 25 anni).

Vincenzo — (tipo distinto, riservato, di qualsiasi età oltre i vent'anni, dopo una pausa imbarazzante) Chi devo an­nunciare al professor Grant?

Tommaso — Non mi riconosce?

Vincenzo — Oh sì... Lei è il signor Tommaso Dreyer, se non sbaglio.

Tommaso — Non sbaglia.

Vincenzo — Il proprietario della villa a centro metri da questa.

Tommaso — Esatto. Dunque?

Vincenzo — (indica Michele) È il nome del signore che avrei desiderato sapere.

Tommaso — «Un signore in mia compagnia». Spero che al professore basterà.

Vincenzo — Lo spero anch'io. (S'avvia verso destra).

Tommaso — Dica pure, al professor Grant, che vorremmo vederlo con una certa urgenza.

Vincenzo — (annuisce ed esce a destra).

Michele — Mi consenta di avvertirla, signor Dreyer, che se non vuole avere guai deve lasciare «guidare» a me la con­versazione con il professore.

Tommaso — Perché?

Michele — È un ordine del tenente Baker.

Tommaso — (sprezzante) Che per giunta è una donna.

Michele — Perfettamente all'altezza del suo grado. Comun­que, siccome non ho alcun mandato di perquisizione, la nostra è una visita amichevole.

Tommaso — Ma io sono sicuro di ciò che ho visto!

Michele — Ci vogliono prove. E non dimentichi che siamo nella villa del professore Grant, eminente scienziato di notorietà internazionale.

Tommaso — Però... (Tace, perché vede entrare).

Vincenzo — (da destra) Il professore li prega di scusarlo. Sarà libero fra qualche minuto.

Tommaso — Dov'è?

Vincenzo — In biblioteca.

Tommaso — (malgrado le occhiatacce di Michele che lo in­vita a tacere) E cosa fa? Vincenzo — Beh... In biblioteca... legge.

Tommaso — Possibile che non possa interrompere la lettura, per riceverci tempestivamente?

Vincenzo — Sta prendendo appunti.

Tommaso — Allora copia dai libri degli altri!

Vincenzo — Non direi... Comunque mi ha detto che verrà lui, qui.

Tommaso — Qui?

Vincenzo — Sì, qui. S'accomodino. Con permesso. (Esce a sinistra).

Tommaso — Sergente!... Faccia una sorpresa nella bibliote­ca (Indica verso destra).

Michele — È illegale.

Tommaso — Insomma, sergente!... La polizia è fatta sì o no per proteggere i cittadini?

Michele — Lei non è in pericolo.

Tommaso — «Apparentemente». Ma in realtà, dopo quanto ho veduto, potrebbe essere in pencolo l'intera Nazione. Ma che dico?... Tutta l'umanità.

Michele — Suvvia, signor Dreyer... Adesso esagera.

Tommaso — (indignato) Esagero?!?... (Michele allarga le braccia e annuisce) Non ha mai visto un film di fanta­scienza?... (Michele idem come prima) Ebbene... I mar­ziani, per esempio. Quelli vengono sulla terra e distrug­gono ogni cosa: uomini e città.

Michele — (sorride) Nei film di fantascienza.

Tommaso — C'è poco da ridere! Anche i satelliti, le stazio­ni spaziali, un tempo non lontano erano solamente fanta­sie. Oggigiorno, invece... (Michele sorride) Sergente!... È chiaro e lampante che lei mi crede un idiota. Lo dica, lo dica!

Michele — Non lo credo e non lo dico, signor Dreyer. Dubi­to appena che lei non abbia visto bene.

Tommaso — Tuttavia la sua-suo tenente l'ha mandato qui.

Michele — Soprattutto perché lei non commettesse scioc-chezze nei confronti della libertà personale del professor Grant. Lei, al tenente, è apparso molto agitato. Questa è la verità.

Tommaso — L'ho detto!... Mi considerate un idiota.

Giulio — (entra da destra, sorridente. È un tipo cordiale e distinto, oltre la quarantina. Parla sempre con calma e gentilezza, sovente con lieve ironia nella voce) Chiedo scusa, signori, di averli fatti attendere. Purtroppo stavo consultando alcune importanti pubblicazioni, e se perde­vo il filo... (Sorride). Buonasera, signor Dreyer. (Guarda Michele).

Tommaso — (stringe la mano che gli tende Giulio) Buona­sera, professore. (Indica Michele) Il sergente Ray.

Giulio — (tende la mano verso Michele e gli stringe la ma­no) Molto lieto di conoscerla. Posso offrire qualcosa ai miei graditi ospiti... «notturni»?

Michele — A me no, grazie.

Giulio — (ironico) Perché, forse, è «in servizio»?

Michele — (lievemente imbarazzato) No, ma... Meglio di no.

Giulio — E lei, signor Dreyer?

Tommaso — Neppure, grazie. (Dopo un attimo d'imbarazzo) Siamo qui per un motivo importante.

Giulio — (indicando i due) «Siamo»?... (Tommaso annui­sce) Perbacco!... (Sorride, ironico) Un sergente di poli­zia in casa mia. Mi fa quasi paura!... Ovviamente scherzo. Tuttavia spero che lei sia venuto a trovarmi quale amico del signor Dreyer, piuttosto che come funzionario.

Michele — Per la verità... Diciamo per l'una e l'altra ragione.

Giulio — Sul serio? (Michele annuisce) Mi preoccupa.

Michele — (sorride) Non è il caso. Tanto più che lei non ha nulla da nascondere.

Giulio — Direi di no. Comunque, considerato che il collo­quio diventa interessante, vogliamo sedere?

Michele — Molto gentile. (Siedono tutti).

Giulio — (a Michele) Dica pure.

Michele — Preciso che lei deve qualificare questo incontro null'altro che una cordiale chiacchierata. Quindi, in qualsiasi momento, le riconosco il diritto di interromperla e di invitarci a uscire.

Giulio — (ride) Oh, no... Non l'ho mai fatto neppure con il più pigro e indisciplinato dei miei studenti. Certo che una cosa mi incuriosisce moltissimo: (rivolto a Tommaso) che c'entra, con lei, il sergente Ray?

Tommaso — (meno sicuro di prima) Ecco... Io... Sono stato io che...

Michele — (interviene) Sì, professore; è stato il signor Dreyer che ha provocato il nostro interessamento.

Giulio — (sorpreso) «Vostro»... Cioè della polizia? (Michele annuisce).

Nei miei riguardi?

Michele — Direi... Direi di sì.

Giulio — (a Tommaso) Ha fatto bene!... Ho capito di che si tratta.

Tommaso — (sorpreso) Ha capito?

Giulio — Eccome!... Tutte le volte che esco dal box, urto con la mia macchina la sua meravigliosa siepe di mirtilli. Ha perfettamente ragione. Ho sempre il cervello fra le nu­vole. Le pagherò i danni passati, presenti e futuri. Anche futuri, sì. Perché non so proprio come riuscirò, domani stesso, a ricordarmi dei suoi mirtilli.

Tommaso — Ma... (Smarrito, guarda Michele per chiedergli aiuto).

Michele — Scusi, professore... (Breve pausa) Non si tratta della siepe di mirtilli del signor Dreyer.

Giulio — Allora si spieghino, diamine!... Comincio a diver­tirmi.

Michele — Se non le spiace, mi dica... Questa villa è sua?

Giulio — Certamente.

Michele — È molto grande.

Giulio — Amo le comodità.

Michele — Lei è scapolo?

Giulio — Sì.

Michele — Qui, oltre lei, chi vive?

Giulio — Beh... Oltre a me c'è il domestico Vincenzo Kirman, che loro hanno già visto, e... e la mia assistente, dot­toressa Simona Todd.

Michele — Nessun altro?

Giulio — No. Ah!... Sì.

Tommaso — (al massimo della tensione nervosa) Chi?

Giulio — Un cane, un gatto... E poi una ventina di cavie, ov­vero porcellini d'India, che uso per i miei esperimenti scientifici. (Sorridente, a Tommaso) Se n'è forse trovato uno nel letto?

Tommaso — (disorientato) No. No no.

Giulio — (rivolto a Michele) E allora?

Michele — Le spiego.

Giulio — Meno male.

Michele — Il qui presente signor Tommaso Dreyer, verso le tre della notte scorsa, stava guardando dalla finestra.

Giulio — (ironico, a Tommaso) Soffre d'insonnia?

Tommaso — (imbarazzato) Un... Un po'.

Giulio — Me lo ricordi, prima di andarsene. Le darò un nuo­vo farmaco, efficacissimo, che non danneggia il cuore.

Tommaso — (c. s.) Gra... Gra-grazie.

Giulio — (sorride) Ma glielo davo anche senza l'intervento

della polizia.

Michele — Mi permetta di continuare.

Giulio — Prego.

Michele — Il signor Dreyer, dalla finestra, ha visto una spe­cie di disco di fuoco atterrare a un chilometro da qui, in mezzo al bosco.

Giulio — (ride) Soffre pure di allucinazioni!... (Ironico) È grave.

Michele — (continua seriamente) E poco dopo ha veduto lei e la sua assistente dirigersi nel bosco, sull'auto guidata dal domestico, dalla parte dov'era atterrato il disco di fuoco.

Giulio — (ironico) Sempre più interessante. E poi?... Cos'altro ha «visto» l'insonne e fantasioso signor Dreyer?

Michele — La stessa macchina tornare dopo mezz'ora, con a bordo, oltre a lei, la sua assistente e il domestico, un... (Esita) Un... Un «marziano», dice lui (indica Tommaso).

Giulio — Un momento, sergente. Un momento, per favore, che non mi raccapezzo più. Ha detto «un marziano»?

Michele — Mah!... (Indica Tommaso) Così gli è sembrato.

Tommaso — (precede Giulio, il quale stava per obiettare) Sì, professore. Con loro tre c'era un uomo.

Michele — (a Tommaso) Lo riconoscerebbe?

Tommaso — Impossibile. Era totalmente coperto da una tu­ta argento, e casco d'acciaio, come... come si vede in cer­ti film.

Giulio — Ha voglia di scherzare?

Tommaso — No no... La luna era piena e chiara. E io... ho una buona vista, io.

Michele — (a Giulio) Che ne dice?

Giulio — Dico che nego di essere uscito in macchina verso le tre della notte scorsa. Come vede lavoro fino a tardi, ogni sera... Per questo ho in villa un attrezzato laboratorio... Però non vado a fare scampagnate notturne nel bosco. E tanto meno per raccogliere «marziani».

Michele — A che cosa tendono le sue ricerche scientifiche?

Giulio — Sergente, lei adesso esagera!

Michele — Mi scusi. Le togliamo il disturbo. (Fa l'atto di alzarsi).

Giulio — No. Soddisferò tutte le curiosità. Del resto non ho nulla da nascondere. Il laboratorio mi serve per effettua­re esperimenti i cui risultati, modestia a parte, vanno a beneficio dell'intera umanità.

Michele — L'ho sentito dire, e mi pare che lei sia anche can­didato al Nobel.

Giulio — (sorride) Già... Forse perché due anni fa, proprio qui, ho scoperto un processo chirurgico per estrarre il cuore a certi pazienti, e mantenerlo in vita anche una set­timana, sostituendolo con un apparecchio di mia inven­zione.

Michele — Le sue ricerche ed esperienze scientifiche non può effettuarle in un laboratorio... diciamo «di pubblica utilità»?

Giulio — Potrei, sì. Ma i colleghi sono molto molto curiosi, e soprattutto invidiosi. Non lavorerei con la necessaria tranquillità. Mi comprende?

Michele — Perfettamente.

Giulio — Allora è tutto chiaro.

Michele — Sino a un certo punto.

Giulio — Che vuol dire?

Michele — Che stamane, a seguito delle segnalazioni del si­gnor Dreyer, e prima di disturbare lei, abbiamo compiuto un sopralluogo.

Giulio — (sarcastico) Avete arrestato il... «marziano»?

Michele — No. Però a circa milleduecento metri da qui, nel bosco, sono stati rinvenuti residui bruciati d'un oggetto di cui, almeno per ora, non siamo riusciti a immaginare la

forma.

Giulio — (ride) Il disco volante, l'Ufo!, visto dal signor

Dreyer!

Michele — Chissà... Comunque i reperti trovati, apparente­mente di legno e materia plastica, li abbiamo spediti in ae­reo alla direzione della polizia scientifica di Washington.

Giulio — (divertito) Quindi fate sul serio!... È pazzesco. E siccome io, in questa faccenda, non c'entro, vi diffido dall'immischiare il mio nome. (Rivolto a Michele). Glielo dica anche al suo tenente.

Michele — Infatti ci siamo fatti dovere di parlare prima con

lei, ma...

Giulio — (interrompe, alzandosi in piedi, seccato) Non m'interessa! E lei, signor Dreyer, stia attento. Qualsiasi danno che potrebbe procurarmi la sua «visione notturna» le costerà carissimo.

Patrizia — (appare alla porta di fondo, con il sorriso sulle labbra. È una piacevole tenente di polizia sulla quaran­tina, in tailleur scuro con una borsetta a tracolla. Sempre calma, gentile, arguta, qualche volta appare distratta, ma in realtà è costantemente all'erta) E' permesso?

Michele — (si alza in piedi. Così pure Tommaso).

Giulio — (si volta di scatto verso il fondo) Chi è?

Michele — (indica Patrizia) Il tenente Baker.

Giulio — (irritato) Ma allora avanti!... Avanti. Mancava pro­prio una persona, la quarta, per fare la partita.

Patrizia — (avanza verso Giulio) Ho l'impressione di di­sturbare.

Giulio — (ironico e nervoso) S'immagini!... Si consideri a casa sua. Ma noto che già si considera, poiché entra sen­za farsi annunciare.

Patrizia — È vero. Mi scusi. Ma c'era il cancello del giardi­no aperto, e allora...

Giulio — (sgradevolmente sorpreso) Il cancello aperto?

Patrizia — Sì sì... Non sembrava, ma appena l'ho toccato... (Imita il cigolio) ...«ciu-ciu-cì», si è spalancato.

Giulio — Il mio cancello non cigola.

Patrizia — Strano... Per me ha cigolato.

Giulio — E io non sono qui per farmi prendere in giro da lei!... Quindi la invito a uscire immediatamente da casa mia. Lei, e questi signori.

Patrizia — Come vuole, professore... Dunque la prego di se­guirmi.

Giulio — (ride) Questa è bella!... Mi arresta?

Patrizia — (ironica) Chi ha detto una cosa simile?... L'hai detta tu, Ray?

Michele — No, tenente.

Patrizia — L'ha detta lei, signor Dreyer?

Tommaso — Io... no.

Patrizia — (a Giulio) Allora da chi l'ha sentita?

Giulio — (sbotta) Da nessuno, da nessuno! (Si controlla) Comunque, considerato che lei fa la pignola, lo farò an­ch'io. E le ricordo che per farmi andare nel suo ufficio deve inviarmi una regolare convocazione scritta.

Patrizia — Ha ragione. (Siede accanto al tavolo, estrae dal­la borsetta un foglio di carta e una penna. S'accinge a scrivere).

Giulio — Che fa?

Patrizia — Redigo la convocazione e gliela consegno. (Fir­ma e gli consegna il foglio di carta, alzandosi in piedi)

Giulio — (disorientato, lo prende) Ma... Ma è il colmo!

Patrizia — No no. È un mandato di comparizione.

Giulio — (ride nervoso, fa pallottola del foglio di carta e la scaraventa per terra, in un angolo).

Patrizia — Spiacente, ma ora ha commesso quasi un reato.

Giulio — Anche!... Lo sa chi sono io?

Patrizia — Come no?... Lei è il professor Giulio Grant. Ma dopo la sua accoglienza e il suo comportamento comincio a dubitarne.

Giulio — Perché?

Patrizia — Avevo sentito dire da molte persone che è una persona gentile con tutti: tanto all'ospedale quanto all'U­niversità. Invece...

Giulio — (fissa un istante Patrizia, scuotendo il capo; poi sorride e le tende la mano) Mi scusi, sign... (Si corregge). Tenente, vero? (Patrizia annuisce, stringendogli la ma­no) Purtroppo, in certe circostanze, i nervi a fior di pelle può averli anche un tipo come me, che li conosce come le proprie tasche. Capirà che stavo lavorando, quando i si­gnori (indica Tommaso e Michele) mi sono capitati in ca­sa per raccontarmi la favola di un «marziano». Poi è arri­vata lei così, dal giardino... Sono sconcertato, ecco.

Patrizia — Capisco.

Giulio — Ciò non toglie, però, che io sia pure meravigliato nel constatare che la polizia prende sul serio i racconti di fantascienza del signor Dreyer.

Patrizia — I residui bruciati trovati nel bosco sono una realtà. Una realtà senza spiegazioni. Per questo è mio do­vere occuparmi della questione. Tuttavia... (Si rivolge a Tommaso). Immagino che il signor Dreyer possa andare a riposare. La sua gentile consorte starà in pensiero.

Tommaso — (confuso) Già... Io... Io, allora, vado. (Giulio preme il pulsante per chiamare il domestico) Buonanotte, professore. (Gli tende la mano).

Giulio — (finge di non vederla, e non gliela stringe) La fac­cio accompagnare.

Vincenzo — (appare alla porta di sinistra e si sorprende di vedere Patrizia).

Giulio — (nota la sorpresa di Vincenzo) Sì, Vincenzo: il te­nente (indica Patrizia) è entrata dal giardino.

Patrizia — (sorniona, a Vincenzo) Il cancello era aperto... Ho già spiegato tutto al professore.

Tommaso — (a Patrizia e Michele) Buonanotte. (Esce a si­nistra, seguito da Vincenzo).

Michele e Patrizia — (borbottano) Buonanotte.

Patrizia — (fa un cenno a Michele, il quale si pone in di­sparte e prenderà appunti sopra un taccuino).

Giulio — Allora, tenente?... Cosa vuole raccontarmi?

Patrizia — Io nulla. Lei, piuttosto, mi dica... La notte scor­sa è andato nel bosco perché «anche lei» aveva visto ca­dere il cosiddetto «disco di fuoco»?

Giulio — No!... E ripeto quanto ho già detto al sergente: il si­gnor Dreyer soffre di allucinazioni. Inoltre nego che da questa casa, né la notte scorsa né le altre notti preceden­ti, sia uscito qualcuno con la macchina, oppure a piedi.

Patrizia — Evidentemente un estraneo ha usato la sua auto­mobile senza avvertirla.

Giulio — Impossibile!

Patrizia — È facile provarlo.

Giulio — In che modo?

Patrizia — Prima di entrare qui, ho dato un'occhiata alla sua macchina.

Giulio — Nel box chiuso da una porta?

Patrizia — Sì.

GIULIO — Allora ha compiuto una «violazione di domicilio».

Patrizia — Solo per caso. Ho sbagliato porta, ecco tutto. E in­vece di trovarmi là (indica il fondo) mi sono trovata nel box.

Giulio — (ironico) Ma guarda che combinazione!...

Patrizia — (con altrettanta ironia) L'ho pensato anch'io: «Ma guarda che combinazione».

Giulio — Basta così, tenente!... Mi ha seccato.

Patrizia — Mi spiace. Quindi mi limito a pregarla di consi­derare valido... quello. (Indica la pallottola di carta per terra).

Giulio — (sbotta) Insomma!... Ha visto la mia auto. E con ciò?

Patrizia — I disegni del battistrada dei pneumatici sono gli stessi che abbiamo rilevato dalle impronte trovate nel bo­sco, e proprio sulla strada nel punto più vicino al luogo

dove c'erano i residui bruciati.

Giulio — Non dica sciocchezze!... Alle cinque di stamane c'è stato un violentissimo temporale. Cosa può avere vi­sto? (Si interrompe, poi accenna un sorriso) E' divertente, ma incredibile.

Patrizia — Almeno quanto lei.

Giulio — Cosa intende dire?

Patrizia — Che indaffarato com'è, e sempre con la testa «del genio» fra le nuvole, s'è accorto che c'è stato un tempo­rale violentissimo dopo le tre. Anzi, ricorda addirittura l'ora in cui si è scatenato, cioè le cinque.

Giulio — Mi hanno svegliato i tuoni, e ho guardato l'ora. È proibito, forse?

Patrizia — No. (Sospiro di soddisfazione di Giulio). Ma c'è dell'altro.

Giulio — (ironico) Continui pure il suo «show»!

Patrizia — Sul pedale del freno della sua macchina c'era questo. (Estrae dalla borsetta una busta di plastica tra­sparente, contenente quanto può sembrare un piccolo ar­busto bruciato, la solleva controluce e invita Giulio a guardarla).

Giulio — (guarda) Cos'è?

Patrizia — Un residuo d'arbusto bruciato, uguale a quelli che abbiamo trovato nel bosco.

Giulio — Beh... Devo riconoscere che i suoi sospetti sono fondati. Si direbbe proprio che qualcuno, con la mia macchina, sia stato dove dice lei. Ovviamente a mia in­saputa.

Patrizia — (ironica) Allora dobbiamo supporre che un estra­neo, la notte scorsa, si sia introdotto nel suo giardino, quindi nel box, e abbia preso - cioè «rubato» - la sua au­tomobile. Poi, dopo averla usata, l'abbia riportata nel box, correndo il rischio di essere scoperto. (Breve pausa) Le pare credibile?

Giulio — (dopo lieve esitazione) ...no.

Patrizia — Grazie. Perciò abbiamo la ragionevole certezza che la sua macchina è stata usata da qualcuno «della casa». E sappiamo che quel «qualcuno», da quanto una sua scarpa ha lasciato sul pedale del freno... (solleva e don­dola la busta di plastica) ...è stato nel bosco, ed esatta­mente nei pressi dov'è bruciato l'oggetto caduto dal cielo. (Breve pausa) A prescindere da tutto questo io non credo che sia stato lei ad andare nel bosco. Il signor Dreyer avrà visto male.

Giulio — Giusto!

Patrizia — Ma la sua macchina, sì!, quella è andata di certo, e probabilmente guidata da una persona a lei vicina. In breve, professore, le chiedo solamente una sincera e cor­diale collaborazione.

Giulio — L'avrà.

Patrizia — Molto gentile.

Giulio — Anche se non comprendo questo suo accanimento a voler chiarire quanto non ha nulla di oscuro. Sì sì... Se­condo me il cosiddetto «disco di fuoco» che il signor Dreyer afferma di aver visto, se l'ha visto!, cadere dal cie-lo, non è altro che qualche rifiuto scaricato da un aereo. Ecco!... Qualcosa di metallo che, per effetto dei raggi lu­nari... (S'interrompe, perché Patrizia scrolla negativa­mente il capo) No?...

Patrizia — Ho già fatto controllare: nessun aereo di linea, o militare, o privato, ha sorvolato il bosco a quell'ora. (Ri­pone la busta di plastica nella borsetta) Però... (E tace).

Giulio — (ansioso) «Però»... cosa?

Patrizia — Alcuni punti radar a cento chilometri da qui han­no registrato, verso le tre della notte scorsa, il passaggio d'un aereo sconosciuto ad altissima quota.

Giulio — (trionfante) Dunque era un aereo!

Patrizia — Così si dice, per prudenza, nei rapporti «ufficia­li». Però i posti radar l'hanno qualificato «oggetto sco­nosciuto».

Giulio — (ride) Ma allora crede anche lei ai dischi volan­ti!... Agli Ufo!... Ai marziani!... Ossia alla fantascienza, come il signor Dreyer?

Patrizia — Professore... Diversi anni fa era «fantascienza»

pure il viaggio Terra-Luna. Ebbene, a mio avviso, da quando Icaro, figlio di Dedalo, fuggì dal labirinto di Cre­ta, volando con ali fabbricate dal padre con penne d'a­quila e cera...

Giulio — (prosegue tempestivamente, ironico) ...s'avvicinò troppo al sole e precipitò in mare. E che vuol dire, con questa sua «esibizione» di cultura mitologica?

Patrizia — Solamente che dal momento in cui l'uomo si è al­zato in volo ci sono molti misteri nello spazio. La realtà è che non sappiamo mai niente di sicuro.

Giulio — (esaltato) La scienza!... La scienza può donare la

realtà ai sogni e alle fantasie!

Patrizia — (sarcastica) Forse. (Con tono professionale) Co­munque, se in ciò che avrebbe visto il signor Dreyer non c'è nulla di «misterioso», tanto meglio. Ma non ci sareb­be neppure ragione, da parte di «qualcuno», di nasconde­re d'essere stato nel bosco, magari appena per vedere «qualcosa» bruciare gli arbusti.

Giulio— (rassegnato) ...d'accordo. Come posso aiutarla?

Patrizia — In un modo semplicissimo. Permettendomi di parlare, in sua presenza, al domestico e all'assistente.

Giulio — Tutto qui?... (Patrizia annuisce. Giulio fa l'atto di premere il pulsante per chiamare il domestico).

Patrizia — No. Prima l'assistente. (A Michele) Vai a chia­marla tu.

Giulio — Se non le spiace, vado io. La dottoressa Todd sta certamente sviluppando lastre radiografiche, e un'im­provvisa luce...

Patrizia — Capisco. Prego...

Giulio — (esce a destra).

Patrizia — Hai preso nota di tutto?

Michele — Euh!... (Fa vedere il taccuino). Ce n'è da fare un romanzo.

Patrizia — (fa qualche passo, pensierosa) Dev'essere una lavoratrice formidabile l'assistente del professore. (Ironica) Infatti, non trova neppure il tempo per andare a dormire a casa sua. È una settimana che sta qui giorno e notte.

Michele — È sicura, tenente?

Patrizia — (annuisce) Me l'ha detto la sua affittacamere. Se n'è andata sette giorni fa, lasciandole questo indirizzo per eventuali lettere o telefonate dei suoi genitori, che stanno nel Texas. Che ne dici?

Michele — Mah!... Io sono un tipo che, appena finito l'ora­rio di servizio, me la squaglio a tutto gas.

Patrizia — (sorride) Anch'io. Però, nei casi in cui ci sono esigenze eccezionali, o urgenti... (S'interrompe). To'... Non ci avevo pensato.

Michele — A che, tenente?

Patrizia — L'assistente si è stabilita qui proprio perché, evi­dentemente, deve compiere con il professore un lavoro eccezionale, e magari urgente.

Michele — (sorpreso, sottovoce) In relazione alla caduta del «disco di fuoco», o del... «marziano» visto dal signor Dreyer?

Patrizia — Chissà...

Simona — (entra da destra, accompagnata da Giulio. Può  avere qualsiasi età oltre i venticinque anni. È una bella ragazza, ma trascurata nell'abbigliamento e senza truc­co sul viso. Evidentemente è timida, imbarazzata, inquie­ta, e prima di rispondere alle domande guarderà sovente Giulio, come se aspettasse dal suo professore un'appro­vazione o un suggerimento).

Giulio — (presenta) La dottoressa Simona Todd, mia assi­stente; il tenente Baker, e il sergente... Sergente?...

Michele — Ray. (Strette di mano a soggetto).

Giulio — Vogliamo sedere?

Patrizia — Grazie. (Siedono tutti, escluso Michele che si ri­pone in disparte a prendere appunti).

Giulio — (a Michele) S'accomodi anche lei.

Michele — No no... Scrivo meglio in piedi.

Patrizia — (sorride) Già... Ho poca memoria, io. E allora... Lui scrive. Pratico, no?

Giulio — Praticissimo.

Patrizia — (a Simona) Anzitutto, dottoressa, la prego di scu­sare questo disturbo... «notturno».

Simona — In qualità di «ospite» del professor Grant non fac­cio apprezzamenti sull'ora in cui egli riceve visite.

Patrizia — Dev'essere un lavoro molto pressante, il suo.

Simona — Per noi ricercatori non esiste lavoro «pressante»; esiste «il lavoro».

Patrizia — Bella risposta, ma non è... una risposta.

Giulio — (interviene, rivolgendosi a Simona con tono di rim­provero) Simona!... Stai parlando con un funzionario di polizia. Come ti ho già detto in laboratorio, ti prego di ri­spondere con la massima cordialità, sincerità e chiarezza alle domande che ti verranno rivolte.

Simona — Sì, professore. Mi scusi. (A Patrizia) Che diceva?

Patrizia — Notavo il suo zelo professionale. Da quanti gior­ni è «ospite» del professor Grant?

Simona — Mah... Non saprei. Saranno due, tre...

Patrizia — Coraggio, dottoressa. Non le dovrebbe essere difficile ricordarlo.

Simona — (dopo evidente indecisione) Beh... Quattro gior­ni. Sono qui da quattro giorni.

Patrizia — (ironica) Anche lei soffre della «distrazione del genio». Glielo ricordo io: lei è in questa villa, giorno e notte, da una settimana.

Giulio— (nota l'imbarazzo di Simona, quindi interviene sorridendo) Ecco, tenente... Ha proprio ragione lei. Noi scienziati viviamo giornate di venti ore lavorative... se ba­stano. Talvolta ci capita di uscire credendo di trovare il sole, e ci accorgiamo che invece è mezzanotte. Quindi ab­biamo una nozione del tempo alquanto approssimativa, ed è evidente che la dottoressa si è confusa.

Patrizia — Illustre professore, abbia pazienza... Noi poli­ziotti siamo costretti, purtroppo, a non confonderci.

Simona — Sta bene. Riconosco di essermi sbagliata. Saran­no sette, anche otto giorni. Non rammento. E con ciò?

Patrizia — Dov'era la notte scorsa, dalle tre alle tre e mez­za, circa?

Simona — Oh, bella!... Dormivo.

Patrizia — (sarcastica) Già... (A Giulio). Chiami il dome­stico, per favore.

Giulio — Subito. (Preme il pulsante per chiamare il perso­nale di servizio).

Simona — Io posso tornare in laboratorio?

Patrizia — Per ora, no. (Rivolta a Giulio). A meno che la sua assistente abbia qualcosa d'urgente da fare.

Giulio — (indeciso) No... No no... (Guarda Simona) Credo di no.

Simona — Ma... (Con lo sguardo interroga Giulio, evidente­mente preoccupata).

Patrizia — (nota lo sguardo) Ha lavori urgenti?

Giulio — (interviene) Ma no!... Assolutamente no. (Rivolto a Simona) Puoi rimanere.

Vincenzo — (appare alla porta di sinistra).

Giulio — Vieni. Il tenente Baker desidera farti qualche do­manda. Ovviamente rispondi con la massima sincerità.

Patrizia — (a Giulio) Molto gentile. (A Vincenzo). Lei dove dorme?

Vincenzo — In una camera del pianterreno, da quella parte (indica verso sinistra).

Patrizia — Allora situata nei pressi del box.

Vincenzo — Sì.

Patrizia — La notte scorsa ha sentito uscire la macchina del professore?

Vincenzo — No.

Patrizia — Se qualcuno entrasse o uscisse con la macchina, sentirebbe dalla sua stanza?

Vincenzo — Senza dubbio, perché la saracinesca del box è rumorosa.

Patrizia — Dunque la sentirebbe anche se fosse già addor­mentato.

Vincenzo — Sì.

Patrizia — Cioè si sveglierebbe di soprassalto.

Vincenzo — Evidentemente.

Patrizia — (ironica, rivolta a Giulio) Gli cambi la camera, perbacco! Quella saracinesca dev'essere un supplizio.

Vincenzo — No, poiché da quando sono al servizio del pro­fessore nessuno è mai uscito o entrato con la macchina mentre io dormivo.

Patrizia — (sorride) Non gliel'avevo chiesto.

Vincenzo — (sconcertato) Sì, ma... Mi era sembrato che...

Tommaso — (dall'esterno, al fondo, urla) Aiuto!... (Quelli seduti si alzano di scatto e, tutti, guardano verso il fondo) Aiuto!...

Michele — È il signor Dreyer! (Si lancia verso il fondo con Patrizia, ma entrambi si fermano, perché).

Tommaso — (appare sulla soglia della porta di fondo. È sen­za giacca, e ha la camicia, il colletto, la cravatta e i ca­pelli in disordine, come se avesse sostenuto una lotta. An­sante, terrorizzato, con gli occhi dilatati, sussurra:) Mia moglie... (E cadrebbe svenuto per terra, se Michele e Patrizia, che gli sono accanto, non lo sostenessero pronta­mente e, aiutati dagli altri, non lo facessero sedere).

Giulio — (gli tasta il polso) Nulla di preoccupante. Direi che è solamente spaventato. (Il suo sguardo s'incrocia con gli sguardi preoccupati di Simona e Vincenzo).

Tommaso — (apre gli occhi, si guarda intorno. È sempre an­sante, agitato. S'aggrappa al braccio di Patrizia) Mia moglie... uccisa.

Patrizia — (a Michele) Corri là e telefona alla Centrale!

Michele — (esce di corsa al fondo).

Patrizia — Si calmi, signor Dreyer.

Tommaso — (nelle condizioni di prima) Il mostro... L'ha uc­cisa un mostro... Ha sfondato la porta... lo e mia moglie eravamo in salotto... Non abbiamo avuto il tempo di ca­pire che cosa accadesse, ma... (Si copre il viso con le ma­ni, inorridito). Orrendo!... (Terrorizzato). È il mostro che hanno portato qui loro! (Indica Giulio, Simona e Vincenzo). Sembra un uomo, però ha la testa tutta fasciata da una benda di garza o tela!... Si vedono solamente gli oc­chi... Quegli occhi!... Sembrano due ferite sanguinanti!... (Disperato). Ha strangolato mia moglie!... Io ho tentato di allontanarlo, ma... Ha una forza bestiale!... Per fortuna, appena mia moglie è caduta per terra, il mostro ha emes­so una specie di urlo, come un lupo, ed è fuggito. Io... Io ho provato a rianimare mia moglie, ma... (Scoppia in la- crime). È morta!... È morta!... (Singhiozza).

Patrizia — Si ricorda, signor Dreyer, com'è entrato qui?

Tommaso — Dal... Dal cancello. Era spalancato.

Giulio — (tempestivamente) Infatti di là era già passata lei (indica Patrizia).

Patrizia — (fissa un momento Giulio, poi dice con molta calma) Ma io l'avevo chiuso... con la medesima chiave con cui l'avevo aperto.

Giulio — (violento) Allora ammette d'avere violato il mio domicilio?

Patrizia — Sì.                                       

Giulio — La farò destituire!                          

Patrizia — Faccia pure. Però, adesso, è suo dovere dirmi chi è... o «cos'è»... che la notte scorsa, con il loro aiuto (in­dica Simona e Vincenzo), lei è andato a prendere nel bo­sco.

Giulio — (indignato) È impazzita?

Patrizia — Forse. Infatti sono tentata di dichiararla in arre­sto.

Giulio — Non può! Non può!

Patrizia — Perché!... Ora sappiamo tutti che «il mostro», come l'ha definito il signor Dreyer, è uscito dal cancello di questa villa. La garza che gli fascia la testa, inoltre, qualcuno gliel'avrà messa. Un «qualcuno» che è proba­bilmente un medico, come lei.

Giulio — Potrebbe trattarsi di un ladro che si è coperto il vi­so con la garza, come altri se lo coprono con una calza femminile, un passamontagna, o che so io.

Patrizia — È vero. Però, a quanto sembra, non ha rubato. Strano ladro davvero. (Rivolta a Vincenzo e Simona). E loro?... Non hanno nulla da aggiungere a quanto già detto?

Simona — (dopo evidente esitazione) Io... no.

Vincenzo — (dopo avere guardato Giulio) Neanch'io.

Patrizia — (li osserva lentamente tutt'e tre, poi sospira) ...e sta bene, signori. Comunque li avverto che tutto quanto diranno d'ora in poi potrà essere usato contro di loro.

Giulio — (sprezzante) Per che cosa?

Patrizia — Sia per l'incriminazione, sia in un processo, «per esempio».

Giulio — (scoppia in una risata nervosa. È eccitatissimo) Capito, signori?... Il tenente (indica Patrizia, sprezzante) crede anzitutto alle visioni di questo individuo (indica Tommaso), poi ci accusa d'avere occultato un «marzia­no», e quindi è convinta che gli abbiamo fasciato la testa con la garza, affinché potesse strangolare i «terrestri» senza essere riconosciuto. Cose da pazzi!... (Ride, poi di­venta serio, violento verso Patrizia) È lei che presto dovrà cercarsi un posto da tenente nella polizia... «marziana»!... Anzi, telefono subito al senatore Lancaster, mio carissimo amico. (Si lancia verso l'apparecchio telefonico).

Patrizia — (con calma e prontezza pone una mano sul rice­vitore) Per ora, secondo la legge, può appena telefonare a un avvocato.

Giulio — (minaccioso) Si pentirà anche di questo!

Patrizia — Pazienza... (Sorride). Potrò dedicarmi di più al­le cure delle mie rose. Ne ho delle meravigliose, creda. Sono riuscita a ottenere una nuova qualità che... sì, le chiamerò «marziane». Buona idea, vero?

Michele — (entra dal fondo, ansante. È serio, ma subito sor­ride) La signora Dreyer, grazie al Cielo, non è morta.

Tommaso — (scatta in piedi, emozionato).

Giulio — (trionfante) Visto, tenente?... Il signor Dreyer, an­che per la moglie, ha avuto un'allucinazione.

Michele — (rivolto a Patrizia) Dai profondi segni che ha sul collo non c'è dubbio che qualcuno ha tentato di strango­larla. Tuttavia si è già ripresa. Se in attesa dell'arrivo del­l'autoambulanza il professore (indica Giulio) potesse ve­nire a vederla...

Giulio — Subito! (Ironico, rivolto a Patrizia) Anch'io faccio il mio dovere.

Patrizia — Grazie. Andremo in casa Dreyer... «tutti».

Vincenzo— Ma io...

Patrizia — (interrompe) Anche lei! (Indica la porta di fon- do). Prego...

Giulio — (rivolto a Simona e a Vincenzo) Andiamo pure. Il tenente ha evidentemente bisogno d'aiuto per tirare a ri­va i «granchi» presi dal signor Dreyer. (S'avvia, ed esce al fondo, seguito da Tommaso, Simona e Vincenzo).

Michele — (fermandosi sulla soglia della porta di fondo con Patrizia) In quella villa sembra che sia passato un uragano. Ci sono anche mobili rovesciati, sedie e poltrone rot­te. Dovevano essere almeno in quattro i farabutti che han­no combinato quel finimondo.

Patrizia — (guarda un momento Michele, poi dice) No, ser­gente... (Scandisce). Era uno solo.

Michele — (stupito) Ma non è possibile che un uomo pos­sa...

Patrizia — (lo interrompe, battendogli una mano sulla spal­la) È possibile, quando «un uomo», come ha detto il si­gnor Dreyer, è diventato un «mostro», cioè una specie di animale, una belva. (Breve pausa). E forse non per colpa sua. (Dà uno sguardo alla camera; poi, dicendo) Andia­mo, sergente! (Esce al fondo con Michele, mentre il sipa­rio si chiude lentamente).


ATTO SECONDO

E' trascorsa circa un 'ora dagli avvenimenti dell'atto pre­cedente. Nella stanza, però, c'è molto disordine, come se fos­se avvenuta una lotta fra alcune persone. Il tavolo è sposta­to, sedie e poltrone sono rovesciate, eccetera.

Giulio — (dopo qualche istante dall'apertura del sipario, entra dal fondo, insieme a Simona e Vincenzo. Tutt'e tre, stupiti e preoccupati, si fermano un momento sulla soglia della porta a osservare il disordine. Poi Giulio dice sot­tovoce, concitato) Mettiamo in ordine.

Vincenzo, Simona e Giulio — (s'affrettano a rimettere ogni cosa a posto).

Giulio — È passato qui, non c'è dubbio. Magari è di là (in­dica verso sinistra). Dovete assolutamente prenderlo e ri­portarlo dove si trovava.

Simona — (indecisa, indicando verso il fondo) Ma il tenen­te e il sergente...

Giulio — Penserò io a trattenerli. Tu, Vincenzo, lo attiri ver­so di te. Tu, Simona, gli inietti alle spalle dieci centime-tri cubi di quanto sai... Sferra la siringa come se fosse un pugnale. In pochi secondi cadrà come un sacco vuoto. Quindi dal box passate nel sotterraneo e legatelo nel soli­to sgabuzzino. (Rivolto a Simona) Se riprende i sensi fa­gli cinque ci-ci di «Zeta quattro». (Simona annuisce, poi esce a sinistra con Vincenzo. Giulio, nervoso, fa qualche passo, osservando che ogni cosa, nella camera, sia per­fettamente a posto).

Patrizia — (entra dal fondo. Con lo sguardo cerca Simona e Vincenzo).

Giulio — (con forzata disinvoltura) Ah!... La mia assistente

e il domestico sono andati un momento in laboratorio.

Patrizia — Li ha mandati lei?

Giulio — Sì, ma... nulla di eccezionale. Devono solamente dare il pasto alle cavie che stiamo sottoponendo all'espe­rimento di alcuni sieri. Capirà... Potrebbero andare persi alcuni mesi di studi.

Patrizia — (poco convinta) Già...

Giulio — Comunque, se vuole andare anche lei in laborato­rio...

Patrizia — No... per ora. (Dopo una lunga pausa, durante la quale fissa Giulio, il quale la guarderà e si muoverà ostentando disinvoltura). Professore...

Giulio — Dica.

Patrizia — Perché non vuole aiutarmi?

Giulio — Perché... Perché non posso.

Patrizia — Cosa mi nasconde?

Giulio — Nulla. E glielo ripeto per l'ennesima volta: «nulla»!

Patrizia — Qui, nella sua villa, ospita qualche «paziente», o qualche «ferito» grave, magari in un incidente stradale?

Giulio — Macché!

Patrizia — Non ci sarebbe nulla di male. Anzi, un eminente scienziato come lei potrebbe avere tentato un'operazione chirurgica mai tentata finora. Forse su un uomo clinica-mente morto.

Giulio — (sogghigna) Ah!... E il «paziente», il «ferito gra­ve», il «mostro», sarebbe addirittura un «marziano»? Continua a scherzare, tenente?

Patrizia — Non ho mai scherzato, professore. E le dichiaro che non credo più a quanto mi dice.

Giulio — (furente) Anche di questa offesa dovrà rendermi conto!

Michele — (entra trafelato dal fondo) Tenente... (S'inter­rompe, perché vede Giulio).

Patrizia — Fai un respiro profondo e riferisci.

Michele — (con un cenno del capo indica Giulio).

Patrizia — In sua (indica Giulio) presenza, sì.

Michele — Le impronte digitali trovate sui mobili del signor Dreyer le ho inviate per fax all'archivio internazionale.

Patrizia — Ebbene?

Michele — (indeciso) Corrispondono a quelle di... Di un ter­rorista orientale ricercato dalle polizie di tutto il mondo.

Giulio — (ironico) Accidenti!... Il «marziano» è pure un ter­rorista. L'affare si complica.

Patrizia — (a Michele) Prosegui.

Michele — (pronunciando le parole in modo lento e distin­to) Risulta che quel terrorista, l'altro ieri, è stato ucciso in Algeria. O meglio è stato... diciamo «giustiziato» da un gruppo rivale con... Con il netto taglio de... de-della te­sta.

Giulio — (scoppia a ridere) Questa è bella!... Un uomo, a cui è stata tagliata la testa due giorni fa, avrebbe attraver­sato mezzo globo per venire qui, in California, a strango­lare la moglie del mio «caro» vicino.

Michele — (rivolto a Patrizia) Ovviamente ho dato ordine di controllare, e di chiedere tempestive ulteriori informa­zioni alla polizia algerina.

Patrizia — (dopo un momento di riflessione, a Michele) Va' in laboratorio a chiamare la dottoressa e il domestico.

Giulio — (rivolto a Patrizia) Vuole che l'accompagni?

Patrizia — No.

Michele — (indica la porta di destra) Si passa di qua?

Giulio — Sì. C'è una scala che conduce giù.

Michele — (annuisce ed esce a destra).

Giulio — Quando mi permetterà, tenente, di andare a dor­mire?

Patrizia — Abbia pazienza. C'è qualcosa che mi sfugge.

Giulio — (ironico) L'uomo senza testa?

Patrizia — Già. (Arguta) E se, adesso, la testa ce l'ha di nuo­vo?

Giulio — Le rammento che è stato come... «ghigliottinato». Quindi... (Fa segno con la mano passata rapidamente, a coltello, dietro il proprio collo) Zac!... Non c'è perdono.

Patrizia — (fissa un momento Giulio) A meno che... «chissà chi» gli abbia messo un'altra testa.

Giulio — (sarcastico) È vero!... La garza, le bende!... E una cosa è certa: quella che il chirurgo capace di compiere un'operazione simile meriterebbe il Nobel. Infatti avreb­be «ricostruito» un uomo capace di pensare, di lavorare...

Patrizia — ...di uccidere.

Michele — (entra da destra con Simona, la quale ha una mano bendata).

 Giulio — (preoccupato, indicando la mano di Simona) Cosa ti è accaduto?

Simona — (imbarazzata) Nulla di grave. Stavo... Stavo fa­cendo un'iniezione a... a «quell'animale» sotto esperi­mento, e lui... lui mi ha morsicato.

Giulio — (a Patrizia, sforzandosi di sorridere) Normale infortunio sul nostro lavoro.

Patrizia — (a Michele) E il domestico?

Michele — Viene subito. Sta pulendo con disinfettante il pa­vimento del laboratorio.

Simona — (c.s., con sguardi furtivi a Giulio) Mi... Mi sono caduti per terra alcuni barattoli d'un siero che è bene eliminare, poiché contiene microrganismi pericolosi.

Giulio — (a Patrizia) Tutto chiaro, vero?

Patrizia — Tutto «apparentemente giustificato». Ed è diver­so. Insomma, sarebbe giunto il momento per dire i fatti come veramente stanno. (Col capo fa un cenno d'intesa a Michele, il quale si pone di nuovo in disparte a prendere appunti sul suo taccuino).

Giulio — Come immagina che stiano i fatti, tenente?

Patrizia — In qualsiasi modo, tranne quello supposto da lei.

Giulio — Ma perché?... È venuta a cercare un «marziano», e ha trovato un terrorista... (Sogghigna) ...«ghigliottinato». Politica, diamine!... Nella quale io non c'entro. Il signor Dreyer, piuttosto!... Giacché se hanno tentato di strango­largli la moglie, significa che c'è qualche relazione fra lui e i terroristi. Questi sono i fatti!... E non li ho inventati io.

Patrizia — (sorride) Suvvia, professore... In certe occasioni siamo (indica se stessa e Michele) noiosi e petulanti, ma qualche volta siamo anche... intelligenti.

Giulio — Non lo metto in dubbio. Però, nelle ore libere, pre­ferisco la compagnia di altre persone.

Patrizia — Ci scusi.

Giulio — (contento) E se ne vanno?

Patrizia — No! (Squillo del telefono).

Giulio — (fa l'atto di andare a sollevare il ricevitore).

Patrizia — Non si disturbi. (A Michele). Rispondi. (Giulio sbuffa).

Michele — (al telefono) Pronto... Sì... (Lunga pausa, duran­te la quale Giulio osserva attentamente le reazioni di Michele, con l'intenzione di capire cosa sente. Patrizia os­serva, sorridendo, il comportamento di Giulio). Grazie... No. Per ora non ci occorre altro. Ciao. (Posa il ricevitore. A Patrizia) È la Centrale. Dice che è giunta la conferma che le impronte del... del «signor X», ovvero lo scono­sciuto che ha tentato di strangolare la signora Dreyer, cor­rispondono senza dubbio a quelle del terrorista decapitato. Per giunta... (S'interrompe, imbarazzato, e guarda Patrizia, in attesa dell'autorizzazione a continuare).

Patrizia — Vai avanti.

Michele — La polizia algerina ha comunicato che il cadave­re è... È scomparso.

Patrizia — (dopo lunga pausa, durante la quale fissa Giulio) Professor Grant... Finora ho ascoltato ogni sua parola, ogni sua ironia con la massima attenzione, e... e pazienza. Ora, però, le rivolgo una domanda precisa. (Breve pausa, poi scandisce). «Chi nasconde in questa villa?». (Giulio fa l'atto di rispondere, ma è impedito da' un gesto di Patrizia) Un attimo!... L'avverto che se non mi risponderà in modo soddisfacente, fra qualche minuto mi arriverà un regolare mandato di perquisizione.

Giulio — (sforzandosi di rimanere calmo) Addirittura, eh?... (Patrizia annuisce e allarga le braccia. Giulio guarda Simona, la quale s'avvicina a lui. Infine Giulio si rivolge a Patrizia, con ostentata cordialità). Gentile tenente, io l'ammiro, e la stimo. Talmente che le dico subito... No, non occorre il mandato di perquisizione. (Breve pausa). Dichiaro di «ospitare», quindi non di «nascondere», un uomo. (Simona trasale e lo guarda stupita).

Patrizia — Perché non l'ha detto prima?

Giulio — La legge mi autorizza a custodire il segreto pro­fessionale. Anzi, assumo io qualsiasi responsabilità verso di lei, e verso la legge. La mia assistente e il mio dome­stico hanno mentito, perché l'avevo a loro ordinato.

Patrizia — E... il suo «ospite» sarebbe un paziente, un am­malato?

Giulio — Non «sarebbe»; «è», eccome!, un paziente, un am­malato. Gli sto praticando un trattamento delicatissimo, che sinora avevo solamente esperimentato su animali. Ovvia­mente lui, il paziente, lo sa; e mi ha autorizzato per iscritto.

Patrizia — Potrei parlargli?

Giulio — No, per ora.

Patrizia — Allora quando?                        

Giulio — Fra tre o quattro giorni, allorché sarà terminato il suo stato catalittico.

Patrizia — Se ho ben capito, vorrebbe dire che quest'uomo è come addormentato, e che soltanto fra tre o quattro gior­ni tornerà in sé.

Giulio — Esatto. E se io ho tentato più volte di... (Sorride) ...di disfarmi di lei, sono giustificato da un motivo im­portantissimo. Lo stato catalittico di un individuo dev'es­sere sorvegliato attentamente, giorno e notte, senza un at­timo di sosta, poiché la morte è in continuo agguato. Io e la dottoressa (indica Simona) avevamo studiato e stabili­to un perfetto ordine di turni che lei... lei ha mandato al­l'aria.

Patrizia — (dopo qualche attimo di riflessione) Come si chiama?

Giulio — Chi?

Patrizia — Il paziente.

Giulio — Mi spiace, ma non glielo posso dire, almeno sino a quando otterrò l'autorizzazione dall'Associazione Medi­ca Nazionale. In caso contrario rischio la radiazione dal­l'Ordine dei Medici.

Patrizia — Capisco... E c'è qualcuno, oltre lei e la dottoressa, e il domestico, che sappia di questo suo... «esperimento»?

Giulio — No. Tanto più che oggigiorno, per un Nobel, certi colleghi farebbero qualsiasi vigliaccata.

Patrizia — Sono informati i familiari del paziente?

Giulio — È un pover'uomo, solo al mondo. (Sorride). Però, se il mio esperimento riesce, diventerà ricco e famoso.

Patrizia — Per quale motivo?

Giulio — Le Università di tutto il mondo se lo disputeranno a suon di centinaia di migliaia di dollari per poterlo ve­dere, esaminare.

Patrizia — Interessante. E... Quante probabilità ci sono che... diciamo «guarisca»?

Giulio — Non ho precedenti su cui basarmi. Quindi è im­possibile dirlo. Sino a due ore fa, comunque, tutto proce­deva secondo le mie previsioni.

Patrizia — Vuole insinuare che, dopo, l'ha trascurato per colpa mia?

Giulio — (sorride) Nooo... Non l'accuserò di omicidio. Poco fa la dottoressa (indica Simona) è scesa in laboratorio per controllare la situazione. (Rivolto a Simona), Vero?

Simona — (annuisce).

Patrizia — (a Simona, indicando la sua mano bendata) Il suo infortunio, allora, non è stato provocato da un «animale»?

Simona — (confusa) Beh... No.

Patrizia — Il «paziente», insomma, si è «mosso».

Simona — (annuisce) ...infatti ho incaricato il domestico di   

stargli vicino.

Vincenzo — (dall'esterno, a destra, lancia un urlo di spa­vento e dolore, quindi grida) Aiuto!... Professore, aiuto!...

Patrizia e Michele — (estraggono la rivoltella ed escono precipitosamente a destra, seguiti da Giulio e Simona, mentre dall'esterno si sente un altro grido strozzato di).

Vincenzo — Aiuto... (seguito da rumori di mobili rovesciati e vetri infranti, quindi da due colpi di rivoltella. Lunga pausa di silenzio assoluto. Poi, da destra, entra).

Patrizia — (che sta riponendo la rivoltella nella borsetta, e va al telefono. Consulta un appunto scritto sopra un pez­zo di carta,  e compone un numero) Pronto, signor Dreyer... È ancora in casa sua l'ispettore Douglas della scientifica?... Bene. Vorrei parlargli... Grazie. (Breve pausa). Pronto, Douglas... Vieni al più presto, con i tuoi uomini, nel laboratorio del professor Grant... Passa dalla porta del giardino. Il sergente Ray vi aspetta là, e ti spie­gherà tutto. (Posa il ricevitore, mentre).

Giulio — (entra da destra, molto abbattuto, sconvolto).

Patrizia — Come sta il domestico?

Giulio — Se l'è cavata.

Patrizia — E... «l'altro»?

Giulio — (crolla a sedere, scrollando negativamente il capo).

Patrizia — (allarga le braccia) ...eppure non potevamo fare diversamente.

Giulio — (balza in piedi, fuori di sé) Sì, invece!... Non do­vevate sparare.

Patrizia — Cosa sarebbe accaduto?... Con la forza che di­mostrava d'avere... una belva!... ci avrebbe uccisi tutti, uno dopo l'altro. Come aveva già fatto in casa Dreyer, quello spostava i mobili al pari di stuzzicadenti. Sì, per­ché... «quello» è lo stesso che ha tentato di strangolare la signora Dreyer. Sì, o no?

Giulio — (annuisce).

Patrizia — E per poco non strangolava il domestico. Le no­stre rivoltelle, per giunta, hanno difeso anche lei e la sua assistente. E molti altri, forse. «Quello» non era un uo­mo. Era un animale infuriato.

Giulio — (esaltato) No, tenente. Era «un uomo»!... Un uomo «risuscitato». Anzi, «ricostruito» da me, dal mio cervello, dalle mie mani, contro tutte le leggi della Natura! (Si co­pre le orecchie con mani, e urla) E ora basta!... Basta!...

Patrizia — No, professore. È mio dovere proseguire. (Va al telefono).

Giulio — (allarmato) Che fa?

Patrizia — (solleva il ricevitore) Chiedo l'immediato inizio di un'istruttoria a suo carico.

Giulio — Di cosa mi accusa?

Patrizia — Solamente di «errore professionale»... per adesso.

Giulio — (rimane un istante a fissare Patrizia. Poi balbetta) Io... Un errore, io?... Io ho fatto un errore?... (Scoppia in una risata nervosa). Nooo!... Pazzi!... Siete tutti pazzi!... L'umanità è impazzita!.. (E continuando a ridere e a gri­dare) L'umanità è impazzita! (Esce al fondo, mentre Patrizia compone un numero al telefono, e il sipario si chiu­de lentamente).


ATTO TERZO

È l'alba della notte in cui si sono svolti gli avvenimenti del primo e del secondo atto.

Michele e Patrizia — (sono in scena all'apertura del sipa­rio. Entrambi sono seduti accanto al tavolo e sonnec­chiano. Dopo qualche istante, Michele russa).

Patrizia — (sussulta, apre gli occhi, guarda Michele, sorri­de e consulta l'ora. Michele continua a russare, sempre più rumorosamente. Patrizia gli sfiora un braccio) Ser­gente...

Michele — (si sveglia di soprassalto e scatta meccanicamente in piedi, ponendosi comicamente sull'attenti) Comandi, generale! (Patrizia ride di cuore. Michele si stropiccia gli occhi e, deluso, ricade sulla sedia) Sognavo di essere in Vietnam... E il generale Huston mi stava decorando.

Patrizia — Perché russavi più forte degli altri?

Michele — Nooo... Perché da solo avevo fatto venti prigio­nieri.

Patrizia — Beh... Io non posso decorarti, ma sono quasi le sei, e da un momento all'altro arriverà il giudice Roberts.

Michele — Meno male che è una bella donna. Oh, scusi.

Patrizia — Di niente. È la verità. E per giunta è molto in gamba.

Michele — La vedremo all'opera in questa faccenda a dir poco incredibile.

Patrizia — Eppure vera, reale. Comunque dobbiamo inter­venire con la massima urgenza, prima che il fatto arrivi alla stampa. A proposito: hai dato ordini precisi agli uo­mini fuori?

Michele — (annuisce) Non lasceranno passare altri, oltre il giudice Roberts e il signor Dreyer.

Patrizia — I giornalisti si sono già scaraventati in casa Dreyer?

Michele — (annuisce) Però i coniugi risponderanno solamente che un uomo, a loro sconosciuto, si è introdotto nella villa con la chiara intenzione di rubare. Null'altro.

Patrizia — Bene.

Michele — Per fortuna nessuno di quei ficcanaso della stam­pa, finora, ha tentato di mettere piedi qui. Non immagi­nano che ci siamo noi. Qualcuno si è limitato a chiedere di chi era questa villa. Poi, saputo che era «dell'eminen­te professor Giulio Grant», non hanno insistito.

Tiziana — (appare alla porta di fondo, con una borsa di cuoio sotto il braccio. È una bella donna oltre la trentina, giudice per le indagini preliminari, cordiale con i funzio-nari di polizia, seria con gli altri, ma sempre gentile. In­dossa pantaloni e giacca. Sorride a Patrizia) Dunque, te­nente Baker?.., È qui che scendono i «marziani»?

Patrizia — (si alza in piedi, come Michele) Buonasera, giu­dice... Cioè! Buongiorno.

Tiziana — (le tende la mano, che Patrizia stringe) Lieta di ri­vederla. (Stringe la mano anche a Michele). Anche lei, sergente. (A Patrizia). Ho già parlato a lungo con il dottor Douglas, capo della scientifica. (Batte una mano sopra la borsa). Ho qui un suo dettagliato rapporto.

Patrizia — Dubita che l'abbiamo disturbata inutilmente?

Tiziana — Al contrario. Considerata la notorietà internazio­nale del professor Grant, è meglio che il fattaccio, alme­no per ora, rimanga «in famiglia». Poi, quando avremo chiarito tutto, sia quel che deve essere. (Siede accanto al tavolo ed estrae dalla borsa diversi fogli di carta che con­sulterà sovente, prendendo appunti durante gli interro­gatori). Possiamo cominciare. I tre sono in casa?

Patrizia — (annuisce) Ognuno nella propria camera.

Tiziana — Come si comportano?

Patrizia — L'assistente come se nulla la riguardasse. Il do­mestico si è disperato un po', dicendo che lui obbediva agli ordini del professore.

Tiziana — E il professore?

Patrizia — Stanotte, subito dopo la morte del... diciamo «pa­ziente», ha avuto una crisi di nervi. L'abbiamo fermato a cinquecento metri da qui, mentre continuava a urlare che l'umanità è impazzita. L'assistente si è affrettata a prati­cargli un'iniezione calmante, e l'abbiamo accompagnato in camera sua.

Tiziana — (consulta i suoi appunti) Cominciamo dal dome­stico.

Patrizia — (a Michele) Provvedi.

Michele — (annuisce ed esce a sinistra).

Tiziana — Il dottor Douglas mi ha detto che l'esperimento tentato dal professor Grant è pazzesco, diabolico. Ora spero di potermi fare un'idea precisa.

Patrizia — Dipenderà molto dal professore.

Tiziana — Sono convinta che parlerà. Gli premeva soltanto che non trapelasse alcuna notizia su quanto aveva com-piuto. Adesso, evidentemente, questa preoccupazione non lo tormenta più. (Sorride) Curiosa, la vita!... Il professor Grant maledirà l'insonnia del signor Dreyer. Per­ché proprio da quell'insonnia, se ho capito, è iniziata tut­ta la storia.

Patrizia — Meno male!... Altrimenti saremmo stati all'o-   

scuro di ogni cosa.

Tiziana — Già... Ovviamente l'autorizzo a intervenire nel­l'interrogatorio.

Vincenzo — (entra da sinistra, accompagnato da Michele).

Michele — Il signor Vincenzo Kirman. (Si pone in disparte a prendere appunti sul suo taccuino).

Tiziana — (indica a Vincenzo una sedia di fronte a sé) S'ac-comodi. (Vincenzo siede, smarrito). Sono il giudice Tiziana Roberts. La prego di rispondere ad alcune domande. Vincenzo — (agitato) No!... Io voglio bene al professor  Grant. Mi ha sempre trattato, e pagato, come nessun altro.

Tiziana — Non le chiedo di «tradirlo». Le chiedo solamen­te di rispondermi con assoluta sincerità. (Breve pausa). Verso le tre della notte scorsa guidava lei la macchina del professore?

Vincenzo — (dopo evidente esitazione) Sì.

Tiziana — Per quale motivo ha condotto il professore e la sua assistente nel bosco?

Vincenzo — (c. s.) Dovevamo... Dovevamo portare qui il... il «contenuto» della cassa che aveva gettato un aereo pro­veniente dall'Algeria.

Tiziana — Lei sapeva cos'era il... il «contenuto» della cassa?

Vincenzo — Io... Io... (Quindi annuisce).

Tiziana — Chi glielo aveva detto?

Vincenzo — (con orgoglio) Il professore in persona, perché mi ha sempre onorato della sua fiducia.

Tiziana — Non lo metto in dubbio. Comunque, chi vi ha co­municato l'ora del passaggio dell'aereo, poiché il luogo del «lancio» della cassa, evidentemente, era già stato con­cordato?

Vincenzo — Nel box c'è una radio ricevente e trasmittente.

Patrizia — (a Tiziana, mortificata) Confesso di non averla notata.

Vincenzo — È situata in un locale a cui si accede aprendo una botola sul pavimento.

Patrizia — (c. s., allargando le braccia) Io l'ho creduta la fossa utile per la manutenzione dell'auto.

Tiziana — (fa un cenno a Patrizia, come per dirle: «Non ha importanza», quindi si rivolge di nuovo a Vincenzo) Una radio potente, vero?

Vincenzo — Potentissima. Possiamo comunicare con il mondo intero.

Tiziana — Perciò anche con l'Algeria.

Vincenzo — Certo. È di là che, due giorni fa, un uomo di fi­ducia del professore ci avvertì che a «un tale» avevano mozzato il capo. Erano diversi mesi che il professore aspettava l'occasione. Il resto era già tutto pronto.

Tiziana — (evidentemente sorpresa) Vuol dire che al profes­sore occorreva il corpo d'un uomo senza... la testa?

Vincenzo — (indeciso, timoroso) Sì, perché la testa... La te­sta... (E non prosegue).

Tiziana — Continui.

Vincenzo — (non riesce a parlare. Infine sbotta) Una testa era da tempo conservata in laboratorio.

Tiziana — Dove era stata presa?

Vincenzo — Beh... Apparteneva a un uomo deceduto in un incidente stradale. Però era intatta. La portò qui un devo­to allievo del professore, che l'aveva... «prelevata» all'I­stituto di Anatomia dell'Università.

Tiziana — Come si chiama quel... «devoto allievo»?

Vincenzo — Perkins, mi pare.

Tiziana — (prende nota) Torniamo all'aereo. Il signor Dreyer ha dichiarato che vide cadere dal cielo un disco di fuoco. Un «disco», quindi; non un «cassa». E perché «di fuoco»?

Vincenzo — (accenna un sorriso di superiorità) Era una cas­sa, invece. Tutta ricoperta d'una vernice protettiva che lo sfregamento dell'aria rese fosforescente, e segnalò il luo­go di caduta. Però la cassa non entrava nella macchina.    Allora, dopo avere estratto il corpo, l'abbiamo incendiata. Era di legno e plastica.

Patrizia — Come è stato protetto il cadavere?

Vincenzo — Nella cassa da una speciale imbottitura. Poi, dal bosco a qui, da una tuta d'amianto e un casco da subac­queo che avevamo portato noi.

Patrizia — Ecco perché il signor Dreyer lo paragonò a un «marziano» da film di fantascienza.

Tiziana — Il professor Grant effettuò subito... «l'operazio­ne»?

Vincenzo — Non lo so. Mi ordinò dì andare a dormire.

Patrizia — E... sotto, in laboratorio, stanotte... Cosa accadde, dopo che la dottoressa Todd venne qui con il sergente?

Vincenzo — Tornando da casa Dreyer, qualche minuto prima di lei, avevamo trovato l'uomo svenuto in giardino. Ap­pena portato in laboratorio, l'assistente gli fece un'inie­zione. Poi l'abbiamo legato e messo in uno sgabuzzino che (rivolto a Patrizia) lei non avrebbe mai scoperto. Pur-troppo, mentre lo legavamo, riuscì a mordere una mano alla dottoressa. In seguito stavo lavando e disinfettando il pavimento, quando mi sentii prendere alle spalle. Feci uno scatto avanti e mi voltai... (Si copre gli occhi con le mani, inorridito).

Tiziana — Cosa vide?

Vincenzo — Era... «lui». Aveva strappato le catene come un'ora prima, allorché era fuggito in casa Dreyer. Mi fis­sava con una terribile espressione d'odio, strappandosi le bende sotto le quali apparivano suture chirurgiche gron-danti di sangue. Improvvisamente fece un balzo e tentò d'afferrarmi per il collo. (Breve pausa). Il resto lo sapete già.

Tiziana — Grazie, signor Kirman. Torni pure nella sua camera.

Vincenzo — (si alza in piedi e s'avvia verso sinistra. Poi si ferma e si rivolge a Tiziana) Avrò delle noie anch'io?

Tiziana — Per ora non glielo posso dire.

Vincenzo — (scrolla le spalle ed esce a sinistra).

Tiziana — (a Michele) Adesso sentiamo la dottoressa Todd.

Michele — (annuisce ed esce a sinistra. Squillo del telefono).

Tiziana — (a Patrizia) Risponda, prego.                                                 

Patrizia — (al telefono) Pronto... Sì, sono io... Ah, bene.    Grazie. Ciao. (Posa il ricevitore) Dal laboratorio... Le analisi chimiche dei residui bruciati trovati nel bosco,    confermano le dichiarazioni del domestico. Legno, ma­teria plastica e ovatta.                                                    

Simona — (entra da sinistra, accompagnata da Michele).

Michele — La dottoressa Simona Todd, assistente del professor Grant. (Si pone in disparte, come prima).               

Tiziana — (indica una sedia a Simona) Prego. (Simona siede, apparentemente serena, tranquilla). Sono il giudice Roberts.                                                                        

Simona — Lo so. Dica pure.

Tiziana — Non le nascondo che il professore è sospettato di   «grave errore professionale».

Simona — Al quale ho collaborato. Quindi sono sua «complice».                                                                          

Tiziana — Non è ancora il caso di usare questi termini. Piuttosto mi dica... Da chi è stato eseguito l'esperimento del trapianto della testa?                                                     

Simona — Ovviamente dal professor Grant, con la mia assi­stenza.

Patrizia — Quando?

Simona -— Verso le cinque del mattino, due ore dopo che avevamo ricevuto il... il...                                               

Tiziana — (ironica) ...il «regalo» dall'Algeria. E se non foste stati «disturbati» dal signor Dreyer e da... (indica Patrizia e Michele) da noi, insomma, quanto tempo sarebbe durato il vostro esperimento... «alla dottor Frankenstein»?

Simona — (infastidita, precisa) Noi non facevamo un film.

Tiziana — Risponda, per favore, alla mia domanda.

Simona — Oh, bella!... Avremmo proseguito nel nostro «la-voro», sino a che il professore l'avesse ritenuto opportu­no, senza mettere in pericolo la vita dell'individuo.

Patrizia — (sarcastica) Finalmente!... È la prima volta che qualcuno, in questa casa, sembra ricordare la speciale na-tura del «materiale» da laboratorio.

Simona — Tuttavia non è la prima volta che la scienza è co­stretta ad esigere il sacrificio di uno per il bene di altri.

Tiziana — Ma lei dimentica che non c'è scienza al mondo, al­meno nei Paesi liberi, che abbia la necessità di nascondersi alla giustizia. Altrimenti diventa scienza e delitto insieme. Perciò la legge persegue il delitto, e dimentica la scienza.

Simona — (ironica) Quindi, secondo la legge, e lei, noi sa­remmo dei trafugatori e seviziatori di cadaveri. Dei sadi­ci, insomma! (Sorride nervosa) Comunque, io non ho nulla da aggiungere. (Si alza in piedi) Posso tornare in camera mia?

Tiziana — Certamente.

Simona — Grazie. (Esce a sinistra).

Tiziana — (a Michele) Il professor Grant.

Michele — (annuisce ed esce a sinistra).

Tommaso — (appare alla porta di fondo) È permesso?...

Patrizia — S'accomodi, signor Dreyer. (Indica Tiziana) Il giudice Roberts. (A Tiziana). È il marito della signora che...

Tiziana — (interrompe, alzandosi in piedi e tendendo la mano verso Tommaso, che gliela stringe) Molto lieta, signor Dreyer. La signora come sta?

Tommaso — Adesso bene. Ha dormito diverse ore. Anzi, io sono venuto a ringraziare il tenente per le premure sue, del sergente e del medico verso di noi.

Patrizia — Nostro dovere.

Tommaso — (imbarazzato) Poi... Poi volevo dire che mi spiace se il professor Grant avrà dei fastidi per colpa mia. Io... Io sono quasi pentito d'avere...

Tiziana — (lo interrompe, battendogli cordialmente una ma-no sulla spalla) No, signor Dreyer. Lei ha fatto benissimo. Sì, perché il suo «allarme» ha sicuramente salvato la vita di diverse persone.

Tommaso — Ma il professore... È un grand'uomo, una brava persona. Urta con la sua macchina la mia siepe di mirtil­li, però non vorrei che...

Tiziana — (interrompe, sorridendo) Non si preoccupi, si­gnor Dreyer. Dobbiamo difenderci, tutti quanti, da chi concepisce la scienza come «qualcosa» senza limiti, per la quale sia lecito calpestare lo spirito e i sentimenti.

Tommaso — Capisco. E... per quanto riguarda i giornalisti, devo continuare a dire le solite cose?

Tiziana — Ancora per oggi. Poi si consideri libero da ogni segretezza.

Tommaso — Sta bene. (Le stringe la mano). Arrivederla. (Idem con Patrizia) Anche lei, tenente. (Esce al fondo).

Tiziana — (siede) Molto gentile e cordiale, il signor Dreyer.

Patrizia — Sì. Ma quando mi telefonò che aveva visto un «marziano», Beh... per un momento pensai di farlo rico­verare in manicomio. (Sorridono entrambe).

Giulio — (entra da sinistra, calmo, accompagnato da Michele).

Michele — Il professor Giulio Grant. (Si  pone in disparte come prima).

Tiziana — (indica a Giulio la solita sedia) Prego... (Giulio siede). Sono il giudice Tiziana Roberts.

Giulio — (ironico) Lieto di conoscerla. Allora?... Qual è l'accusa?

Tiziana — «Grave errore professionale»... per ora.

Giulio — Benissimo!... Quando avrete provato il mio «erro­re», sarò pronto, e felice!, a pagare di persona. Sì, poiché la dottoressa Todd e Vincenzo non c'entrano. Chiaro?

Tiziana — Si vedrà. (Breve pausa, durante la quale consul­ta i suoi appunti). Immagino che nessun altro suo collega abbia effettuato un esperimento simile.

Giulio — Questo non significa niente. È una questione di iniziativa e di audacia, al servizio dell'abilità.

Tiziana — Lei, insomma, sostiene che la moralità dell'avan­zamento scientifico sta tutta nell'utilizzazione delle co­noscenze acquisite.

Giulio — Certamente!

Tiziana — Lei ha tentato il trapianto d'un organo importan­te come la testa, addirittura in un cadavere?

Giulio — Proprio!                                                             

Tiziana — Per provare che cosa?                                  

Giulio — Anzitutto che oltre il trapianto di diversi altri organi, compreso il cuore, come già viene fatto, si può an­che trapiantare il cranio.

Tiziana — Anche in un corpo morto?

Giulio — Soprattutto!... Perché l'autentico «centro motore» dell'organismo è il cervello, che può fare molte «sorprese».

Tiziana — Poi che cosa voleva provare?                              

Giulio — Semplicissimo. (Si alza in piedi e fissa un momen­to Tiziana, poi scandisce quasi solennemente) Che l'uo­mo può ridare la vita a un altro uomo.

Tiziana — E mentre operava, cosa aveva fra le mani?

Giulio — (esaltato) Un corpo umano che io... Io stavo rico­struendo.

Tiziana — E che ci metteva, professor Grant, al posto del­l'anima?

Giulio — (si volta di scatto a guardare Tiziana, poi fissa nel vuoto, dinanzi a sé: la sua espressione, da arrogante, di­venta smarrita) Dov'è quest'anima, sulla quale il nostro bisturi, da sempre, slitta?

Tiziana — Sicuramente non in un barattolo, annegata nella formalina.

Giulio — (sincero) Sì... Ha ragione. (Una pausa) Adesso co­sa mi accadrà?

Tiziana — (guarda Patrizia, poi sospira) Mah... Fortunata­mente, oltre ai mobili del signor Dreyer, non c'è stato al­tro danno a terzi. Rimane il trafugamento del... chiamia­molo «pezzo anatomico» in Algeria, e del «pezzo anato­mico» dall'Istituto d'Anatomia. Però manca la cosa più importante.

Giulio — Quale?                                            

Tiziana — La sua ammissione di avere sbagliato.

Giulio — Lo ammetto adesso, deplorando le minacce che possono venire alla libertà dell'individuo da certe «ope­razioni scientifiche» come la mia.

Tiziana — (sarcastica) Nient'altro?

Giulio — Molto. Per esempio riconosco che le cosiddette «scoperte scientifiche», e le loro applicazioni, possono essere usate non solo per il bene, ma anche per il male, cioè sia per guarire sia per uccidere.

Tiziana — Conclusione?

Giulio — L'uomo di oggi deve difendersi dai poteri che la scienza può mettere a disposizione di coloro che non so­no in grado di usarne almeno, e solamente, nella giusta di­rezione. (Attimo di pausa. Poi indica amaramente se stes­so) Come...

Tiziana — Per me basta così. E immagino che la giustizia inquadrerà questo fattaccio alla pari di «un pazzesco infortunio di laboratorio». È d'accordo, professore?

Giulio — (annuisce, e rimane a testa bassa).

Tiziana — (ripone i fogli sparsi sul tavolo nella sua borsa, dicendo) Il mio compito, qui, è terminato. (Rivolta a Patrizia e Michele). Vogliamo togliere il disturbo?

Patrizia e Michele — (annuiscono, fanno un cenno del ca­po verso Giulio, borbottano) Professore... (ed escono al fondo).

Tiziana — (fa un cenno del capo verso Giulio, il quale è ri­masto immobile, a testa bassa) Professore... (e s'avvia verso il fondo. Quand'è sulla soglia della porta si fer­ma, e si rivolge al pubblico, un po' sorridente). Comun­que, gentili signore e signori, a questi (indica Giulio) ti­pi di «scienziati» fate molta attenzione. Potrebbero non avere tutte le (si tocca la fronte) rotelle a posto. Buonasera. (Ed esce al fondo, mentre il sipario si chiude rapi­damente).

FINE DEL DRAMMA