MORTE DI UN MUSICISTA BLUES.
di
Lorenzo Marvelli
Idea per un monologo ospedaliero: quando il teatro è a disposizione di medici ed infermieri.
Voce fuori
campo:
- Si è spento all’età di trentasei anni presso il reparto di rianimazione del
nostro ospedale, un noto musicista blues. Ne diamo il triste annuncio tutti...
proprio tutti. Ed anche se nessuno ci ascolta!
Il musicista blues:
-Ho questa cazzo di luce in faccia. E’ così bianca, così fastidiosa che
percepisco la sua presenza anche ad occhi chiusi; e poi questo caldo.
Dico, non una sensazione piacevole, non il sole sulla pelle, non il golfino di
lana della mamma o le coperte che lei ti rimboccava alla sera prima di
salutarti.
Dico invece una sensazione di... “peso bollente” sul viso, sul petto, sulla pancia.
Io, col viso vicino ad un pezzo di tronco che brucia... io che per gioco provo
a resistere: uno... due...tre...quattro... cinque, via, via, non ce la
faccio!
Io che fuggo quel fuoco domestico.
Io che scherzo col camino di casa.
Una mattina d’inverno, che freddo!
No, caldo... sì, caldo... caldo.
Sento sul corpo quel fuoco, quella legna che brucia ed ora non posso andar
via.
Aiutooo!
Per favore, è un caldo infernale, opprimente.
E’ il calorifero qui vicino, è lui il diavolo con le corna! Non c’è una
ventola, un umidificatore neanche a pagarlo... qui non si respira... oddio che
afa!
Ho bisogno di aria, devo assolutamente respirare...
Mammaaaa, mammaaaa... mamma brucio dal caldo.
Ho la febbre... quaranta e mezzo.
“Non ti avvicinare troppo al camino”
Si, mamma... non mi avvicino.
“Attento alla pentola sul fuoco”
Sì, mamma, lo so, l’acqua bollente.
“Lascia stare i fiammiferi”
Sì, mamma... sono pericolosi... mamma.
Mangerei un gelato... mamma, mi compri il gelato?
“Tra poco si mangia”
Ma mamma...
No, no la pezza sulla fronte non la voglio!
“Hai la febbre!”
Sì mamma... quaranta e mezzo... ho la febbre.
Ho caldo, apri la finestra!
“Ti raffreddi”
Mamma... ho sete, voglio l’acqua.
“Hai appena vomitato”
Aiutooo, un po’ d’aria!
Ma no, no, non quest’aria secca... cosa fai, ehi tu... toglimi la maschera
dalla faccia, non voglio respirare quest’aria... che fastidio, è troppo forte,
la sento nel naso... insomma, vuoi che ti vomiti in faccia? Togli questa
merda... chi te l’ha chiesta!
Fssssss....
Una mano sulla bocca... anche sul naso.
“Ssst, stai zitto... non dire queste cose”
Toglimi le mani di dosso. Cazzo, mi soffochi.
Non dico nulla, sto zitto.
Insomma, togli la mano, la maschera, l’ossigeno, ti ho detto di lasciarmi in
pace!
Non dico più parolacce, va bene?
Sto zitto, zitto, zitto, zit... guarda, guarda: respiro e basta, così,
guarda...
Cristo, non riesco a muovermi, ho i polsi legati da ore... ma dove sono?
E voi chi siete? Sì, dico voi, chi siete? Perché fate finta di non sentirmi; mi
volti le spalle eh?
Tu e la tua amichetta smettetela di confabulare.
Ah, ma andiamo proprio bene, vi mettete a ridere mentre io sono qui a farmi un
culo così...
Sono qui, sdraiato su questo cazzo di letto!
Allora, volete almeno guardarmi?
Vi prego, ho caldo, questo posto è un inferno e la luce...
Spegnete la luce, non ho bisogno di vedere, voglio riposare, voglio riposare in
pace...
La pace di quelle braccia... torpore... dico fresco e non caldo, il buio e la
sua mano sulla mia guancia...
“Ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do...”
Faccio fatica a non chiudere gli occhi: se dormo perdo tutto.
Apro gli occhi e... il suo profilo... naso, labbra grandi, l’intreccio dei
capelli.
Chiudo gli occhi... torpore... dico fresco e non caldo... buio... pace.
Sono andati tutti via, meglio, quel riso mi dava sui nervi, cretini. Ah ma non
finisce, non finisce così.
Sul letto. Sono disteso sul letto, lei è distesa sul letto.
Io non parlo, lei non parla.
Io ricordo, lei ricordava.
La guardo mentre guardava me: bianca, fredda, gelida... torpore... dico fresco
e non caldo.
E ora?
E allora?
Allora solo... via di casa, lontano.
Altre case: belle, brutte.
Tutte uguali.
“Poverino, poverino”.
Silenzio.
“Sei fortunato tu, hai trovato chi ti vorrà bene”.
Sono fortunato io.
No, solo... sono andati tutti via.
Non sento voci se non uno strano rumore, un rumore ritmico e fisso che mi entra
nel cervello, sì proprio sulla fronte, come un chiodo battuto da un martello,
no no, più forte e squillante, un allarme, sì, un allarme di una macchina, di
una banca, di una cazzo di casa...
E’ il rumore del cuore, il mio cuore che batte, beee beee beee... non voglio
sentirlo, chi se ne frega del verso del cuore?
Beee beee beee... che palle, volete farmi morire, eh bastardi!! Volete che io
impazzisca, che mi metta a gridare, a colpire, a... ma cosa volete da me?
Ma dove siete tutti?
Ooooh, sto male, vi prego, aiuto, aiutooo!
Solo.
Le sbarre... la cella.
Come cazzo ci sono finito.
Aiutoooo!
Sto male: non sopporto gli spazi chiusi.
Le sbarre, la cella
E tu che cazzo ridi?
Vaffanculo guardia di merda!
Mi hai gonfiato di botte, guarda il sangue, guarda qui sul labbro...
Guardiaaaa, dove sei... apri questa cazzo di porta!
Non ho rubato la macchina, volevamo fare un giro.
Va bene, la patente... ma insomma!
Insomma, guardiaaa!
Apri la porta, voglio parlare con l’avvocato.
Guardiaaa!
Nessuno, nessuno.
Prima non era così, no, prima mi bastava uscire di casa per avere tutti
intorno.
Ero una stella prima, musica e successo...
A proposito dov’è la mia chitarra... ehi, bastardi, mi avete fregato la
chitarra! Voglio la mia chitarra, non vivo se non ce l’ho.
Ehi voi, ma dove cazzo siete, vi prego, la chitarra, solo la chitarra.
Suonavo il blues prima, o meglio, mi lasciavo suonare dal blues, gli aprivo le
porte dell’anima e lasciavo che mi possedesse, lasciavo che mi facesse male,
che mi facesse soffrire, quasi morire.
Arrivavo lì appunto, sull’orlo del precipizio, al baratro, al limite oltre il
quale ti aspetta lei, quella figlia di puttana... era ad aspettarmi, la vedevo
allungare le braccia verso di me come ad afferrarmi.
Sorrideva, la puttana, voleva farmi credere... sì: “Dai, vieni qui, vieni con
la tua chitarra...” Ed io “Col cazzo che ci vengo...”
Mi piaceva scherzare con la morte, mi piaceva sfiorarla anche se mi costava
soffrire.
No, non avevo paura di soffrire, anzi, io, io... gridavo quel dolore, lo
gridavo con forza e passione sino a sentirne il graffio sulla gola.
E lo suonavo, lo suonavo sulla chitarra, il dolore sulle corde, il male sulle
dita...che male, che male!
Mi piaceva il sangue della mia musica e più soffrivo più riscuotevo successo;
divenni una star grazie al dolore che mi martoriava l’anima.
Cazzo, che caldo... Ehi voi, ma sapete chi sono?
Sono “la chitarra crudele del blues”, sono...
Così diceva di me la tipa della rivista che venne ad intervistarmi dopo un
concerto.
Ero a Roma, anzi no a... ma era poi un concerto? No, forse era in uno di quei
posti che si frequentano solo per decidere dove andare a scopare...
Gente, tanta gente e nebbia di fumo.
Il blues nell’aria.
Aria sporca di tutto.
Bagni con puzza di vomito.
Video psichedelici .
Bam!
Bottiglia in frantumi.
Un errore.
No, una rissa.
Gran vociare nel fumo e di fronte lei: la tipa della rivista.
Lei la ricordo... carina, piena zeppa di piercing, che schifo... in fondo anche
a lei piaceva farsi male.
Non la ricordo a letto, ricordo le sue labbra, le sue domande, le sue domande,
le sue domande...
Ero così “fatto” che rispondevo incidendomi con una lametta il braccio.
Sì, zac! Proprio così, dei tagli!
Ora ricordo: bella domanda?... succhio il sangue dai tagli.
Domanda del cazzo?... via giù con la lametta, zac! Zac! Zac!
E la tipa con la mano sugli occhi: “Ma che fai... che schifo!”.
No, bella tipa, sei tu che mi fai schifo, non l’hai ancora capito e poi
insomma, quand’è che si scopa?
Te la do io la chitarra crudele, stronza!
Piacevo in questo modo, mi amavano se stupivo, se esageravo, se facevo casino,
se facevo... schifo!
Aveva ragione il mio agente: “Devi fare schifo!”
Timur lo zoppo mi chiamava... Tamerlano il grande, il re dei re, lo sciita
terrore di tutti, turchi, cristiani, arabi... tutti.
Tamerlano...
“E’ fatto bene, alto di statura, come la sua ambizione alta e divina...”
Tamerlano...
“Assetato di impero e di battaglie...”
Tamerlano...
“Proporzionato in tutto, come chi ha deciso di conquistare il mondo...”
Conquistare il mondo. Conquistare il mondo. Conquistare il mondo.
Piacevo quando volevo conquistare il mondo!
Eccovi di nuovo, bastardi... cioè, no, scusate, insomma, volevo dire che, hm,
sapete com’è, qui fa caldo, ma dove sono, perché fate finta di non sentirmi, e
cosa volete farmi con quel tubo, ehi tu, calma piccola, calma, sì tu vestita di
bianco, che occhioni da cerbiatto, ma perché non lasci perdere e ce la
spassiamo un po’, ma guarda quanta grazia di dio; allora bella bimba?
No eh?
Fai orecchie da mercante, dì la verità: te lo impongono qui dentro, chi sono i
tuoi capi?
Che fai, toglimi le mani di dosso, aiutoooo, il sangue, il sangue, il tubo in
gola, collegato alla macchina.
Tunf
tunf tunf...
La
macchina comanda il mio respiro.
Tunf
tunf tunf...
E’
quella maledetta macchina che respira per me, lo fa al mio posto, guarda,
guarda il petto che si alza.
Ecco, ora si abbassa, sto respirando anche se non lo faccio...
Toglietemi il tubo.
Tunf
tunf tunf...
Slegatemi
i polsi.
Tunf
tunf tunf...
Cosa fai
con quella siringa, puttana, sei una puttana insensibile, sei una lurida cagna,
tu sei la morte, la morte sì, bella e crudele... no...no... stronzi, bastardi
tutti!
L’ambulanza, ora ricordo, lo schianto con la moto, sì, ora ricordo, la corsa in
ospedale...
La sirena.
Lunga, forte, continua.
No, doppio tono, alla francese... Belfagor, Fantomas, Parigi, il sangue, la
rivoluzione dei sanculotti...
“Non hai studiato, impreparato”.
Impreparato non fa media.
“Vedremo alla fine dell’anno...”
Il sangue in bocca, il sangue in gola.
Brutta sensazione.
Fa male il manganello.
No, la corsa in moto... bam!
“Senza casco”.
Il casco non è obbligatorio.
“Col casco si sarebbe salvato”.
Non sono ancora morto.
Il sangue in gola, il tubo che l’aspira, i denti spezzati.
Anch’essi in gola.
Misti al sangue.
Corri ambulanza, corri... doppio tono... alla francese.
Garze ed acqua ossigenata.
“Respiro spontaneo, dottore. Pneumotorace a destra, dottore”.
La destra e la sinistra.
La destra e le bombe...
Bam!
Con la moto... come una bomba.
Bam!
No, non metto il casco... sento la velocità in faccia... prima, seconda,
terza... su una sola ruota...
Roarrr!
Quarta, quinta...
Roarrr!
Mi piaceva correre con la moto, così, senza una meta precisa; preferivo i
percorsi senza curve, i lunghi rettilinei, davo gas e vaaai!
100, 200 all’ora e poi d’un tratto lasciavo il manubrio, mi sollevavo sulle
gambe ed affrontavo la barriera dell’aria con le braccia aperte ed il viso
sparato in su, verso il cielo... che forza!
“Non ha visto lo stop... e poi correva come un matto... se avesse avuto il
casco... è perché fanno pochi controlli, pensano solo a rubare, loro, i
politici...”
Loro... i politici...
Io il casco non lo metto!
Ecco l’ambulanza.
Sirena... doppio tono... alla francese.
“Dottore, è grave?”
Cazzo fate, piano, ho male dappertutto!
“Politrauma”.
Che vuol dire?
“E’ in coma”.
Cazzo dici!
La moto, dov’è la moto?
“Via tutti, circolare, via...”
Oddio, la polizia!
Non ho fatto niente... non voglio tornare in prigione... non sopporto gli spazi
chiusi.
Guardiaaaa!
“Avete chiamato un’ambulanza?”
“Già fatto brigadiere”
Mi piaceva correre con la moto, mi piaceva sentire la paura, il dolore della
paura, e poi trasformare quell’angoscia con la chitarra: l’aria diventava
musica, il rumore del motore diventava musica.
Fu mia sorella a regalarmi la chitarra.
Lo fece prima di morire di crepacuore.
Mia madre... prima!
Zac, lamette sul braccio...
Sangue.
Mia sorella... dopo!
Zac, lametta... sul braccio.
No, sul cuore!
Crepa di cuore mia sorella.
Crepacuore... zac... sangue.
Oggi la chitarra è mia sorella o... mia sorella è la chitarra: rendo l’idea,
no?
Voglio dire che non posseggo altro che quella maledettissima chitarra che voi,
dottori ed infermieri, mi avete fregato
Sì voi, voi che non smettete di guardarmi, di toccarmi, di costringermi, di
manipolarmi, di iniettarmi, di nutrirmi, di girarmi, di intubarmi,
incannularmi...
Ma guarda che facce!
Cosa credevate, di avere davanti un pezzo di carne, un animale inerme ed
insensibile, una bestia da clonare?
Una pecora.
No, non è giusto, sai l’etica...
La pecora bioetica.
E gli embrioni in provetta?
Gli organismi mutati geneticamente?
Non sono un musicista transgenico... sai, non è giusto.
Bioetica e scienza.
Scienziati... pediatri...
Mammaaa, il cucchiaio in gola!
Pediatri... mamma... pediatri...
“Tonsille gonfie”.
Mi viene il vomito.
“Antibiotico a largo spettro”.
Largo che?
“Dieci intramuscolo”
No!
“Ci pensa la zia, è così brava”
La zia mi fa male
“Allora operiamo... zac... un attimo”.
Sangue.
Non mi toccare, pediatra!
“Ti compro il gelato”.
Come faccia a mangiarlo con questi ferri in bocca!
Sangue.
Mamma, dove sei.
“Mamma è in cielo”.
No, mamma è morta... prima...zac!
Mia sorella è morta... dopo... crepacuore... zac!
Domanda del cazzo? Zac, lametta sul braccio... te la do io la chitarra crudele
del blues!
100, 200 all’ora... chi se ne frega del casco.
“Bravo!”
Bam!
La moto... bam... prima, seconda... con una ruota, terza, quarta, quinta...
Bam!
“Circolare, circolare. Avete chiamato un’ambulanza?”
Le sirene.
Doppio tono... alla francese.
“Quest’anno ti boccio”
La mamma muore di crepacuore se mi bocci.
No, mia sorella è morta di crepacuore... zac!
Sangue.
Guarda il sangue.
Infermieraaa!
Ma guardala la puttana dagli occhi di cerbiatto... le unghia laccate, il
rossetto, le poppe gonfie.
Hai finito di bucarmi?
E non ridere sai, non ridere... ehi... aspetta, aspetta, dove cazzo vai,
aspetta!
Io vi sento bene ed ho capito, ho capito!
Ho capito che sono in questo cazzo di ospedale e voi me ne state facendo di
tutti i colori: tubi, macchine, iniezioni, scariche elettriche, violenze,
violenze... Volete salvarmi, eh?
Ma chi credete di essere voi, una schiera di Santi miracolosi?
“Santa Maria Madre di Dio... eterno riposo dona a loro... riposino in pace”
Riposino in pace: mamma... zac! Mia sorella... zac!
Amen.
Ed io ?
Solo, nessuno.
“Poverino, poverino”
Guardiaaa, apri questa cazzo di porta!
Non ho la patente ma vado bene con la moto.
“Troppo veloce”
Sono bravo: 100, 200 all’ora...
“Senza casco”.
Non è obbligatorio e poi allora cosa volete farmi il processo?
Guardiaaa, voglio parlare con il mio avvocato!
Guardia... no, infermieraaa!
Apri la porta.
Slegami i polsi.
Non dico più parolacce, sto zitto.
Non sopporto gli spazi chiusi.
Infermieraaa!
Oh, finalmente eccoti di nuovo, sorrisetto stampato come al solito.
Tu, proprio tu con quella siringa in mano.
5 10, 20 CC.
Cosa vuol dire CC?
“Ago cannula otturato, sostituiamo la vena”
Cosa volete sostituire?
“Parametri nella norma, continuiamo la terapia”.
No, tu non vuoi continuare la terapia, tu non vuoi che io esca da
quest’inferno, tu godi del mio male.
Guarda come mi tocchi, come sposti le mie braccia.
Ti sei accorta che questo è il mio braccio?
No, tu hai i tuoi CC.
5 10 20 CC.
Sollevi al cielo la siringa... spingi un po’ lo stantuffo... qualche gocciolina
nel nulla ed il tuo feticcio è pronto all’uso, lo strumento del tuo illimitato
potere.
Zac!
Anche tu.
Sangue,
sangue, sangue.
Zac!
Come me,
ricordi?
Domanda del cazzo e...
E ma io potevo farlo, le braccia erano mie!
Cazzo, tu invece vuoi fare... zac... su quelle degli altri!
Troppo comodo, cerbiatto, troppo comodo.
Zac!
Sangue.
No!
Tu godi a bucarmi le braccia, lo fai tre, quattro, cinque volte e ti accanisci
con le mie vene che non ti sopportano più.
E l’altro, quello che ti è vicino; mi da le spalle, sembra non essersi accorto
che esisto.
Ha a che fare con il suo monitor, lo scienziato, il piccolo Eistain, il genio
dell’ baracca: si diverte ad innescare i beeep che mi distruggono le orecchie.
Sì le orecchie! Perché io ci sento, ci vedo.
Io, prossimo alla morte, sono vivo, esisto anche se per questi ultimi istanti.
100 200 all’ora, braccia alzate, aria in faccia... senza casco.
“Il casco è obbligatorio”.
Non me ne frega niente... vivo prossimo alla morte.
Godo di questo dolore che mi strazia.
Zac!
Sangue.
Più mi dilania più mi regala piacere.
Zac!
Domanda del cazzo... lametta... ne ho il diritto, le braccia sono mie, tu
invece cerbiatto....
No!
100 200 all’ora, 5 10 20 CC... senza casco... i CC sono obbligatori.
No, non è vero!
“Continua la terapia”
E’ obbligatorio.
No, non è vero!
Spruzza le tue goggioline nel culo dell’amico... il genio della baracca... sì,
spruzzatevi nel culo a vicenda, ah ah ah!
Non vi lascerò abusare del mio corpo, non vi darò la gioia di vedermi resistere
alle vostre torture.
Non lo farò perché non lo avete meritato.
Mi avete fregato la chitarra, non avete ascoltato la mia sofferenza, vi siete
accaniti contro la mia malattia e non vi siete accorti che, dietro quella, c’è
un corpo, un corpo di carne ed ossa, c’è un corpo con la sua chitarra, c’è un
corpo con la sua musica... il blues, una musica che voi neanche conoscete!
Non vi ragalerò le mie vene, la mia trachea, i miei reni, ecco, guardate...
guardate come sono bravo, la macchina mi gonfia d’aria ed io non gliela
restituisco, ah ah, me la tengo tutta dentro e vaffanculo ad Eistein ed il suo
monitor.
Sì, piccolo genio, suda ora, preoccupati, chiama i compari.
“Ma che cazzo è successo?”
Sì, sì, così, correte, correte.
Ma certo piccola puttana, eccoti pronto il mio braccio, le vene sono tue, ma
guarda che brava, e come è preoccupata, ora non ride più la bambina, op,
tranquilla che ti saltano fuori le poppe!
Sì, sì così, così mi piace, mi diverto come quando ero sull’orlo, sul
precipizio ed avevo di fronte lei...
Ed ora, signori e signori, il salto mortale, volo carpiato con doppia capriola
e giù, giù, sino a dove nessuno di voi riesce a vedere.
Guardate fermo il mio cuore, ascoltate l’urlo d’allarme della macchina
infernale: stronzo, lascia la macchina del respiro, ora è quella che ti chiama,
dai corri, genio!
Beep,
beep, beeeeep!
Sì
correte, affrettatevi, scaricatemi la corrente sul torace...
zzzzzz, zzzzzz!
Poveri illusi!
Mi avete fregato la chitarra.
Che cazzo capite del blues... ed allora...
Correte illusi, correte... non ce la farete mai!
Beeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeep!!