Mulini a vento

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MULINI A VENTO

MULINI A VENTO

Commedia in tre atti

di EDOARDO ANTON

PERSONAGGI

MARIA

OLGA, sua sorella

GIULIA, loro zia

STE­FANO

RODOLFO

SASSI

L'ANTIQUARIO

IL PO­STINO

MICHELINA, came­riera

SUSANNA

I FAC­CHINI

ATTO PRIMO

(Salotto e spoglia­toio moderni della casa di Olga e Ma­ria. La scena è divi­sa in due, in sezione, a circa due terzi. La parte di sinistra, la più grande, è il salotto che ha una grande finestra in fondo e la comune a sinistra; attraverso una porta chiusa da una tenda di velluto si passa alla parte minore di destra, che è lo spogliatoio. Specchi, cuscini, toilette, ecc., e porta a destra. Sono in scena, nello spogliatoio, Olga e Maria).

Maria                             - (alla sorella che si sta vestendo) E se mi domandano degli elefanti? (Piagnucolando) Io cosa rispondo?

Olga                              - Non te lo domanderanno.

Maria                             - Mi confonderò» vedrai, e mi metterò a piangere!

Olca                              - Meglio, sembrerà più naturale.

Maria                             - Come, meglio! Intanto chi si troverà nei pasticci sarò io. Tu te ne vai, tu! Fai le invenzioni e poi te ne vai!

Olga                              - Senti, piccola, lo sai che vado a lavorare.

Maria                             - Vorrei andarci io! «Signorina Marmé, lei crede che sia meglio guarnirlo di crespo roga o di or­gandis azzurro? ». «Signorina Marmé, mi dia lei uno dei suoi famosi consigli». « Signorina Marmé... ».

Olga                              - Finiscila! Quanto fiato sprechi!

Maria                             - Eh, ti ho vista ieri! Sono stata là due ore e non hai fatto altro che dispensare parole.

Olga                              - E ti par niente!

Maria                             - Ma non erano « vere »Neppure il nome del vestito rispetti! Lo stesso modello blu, ti ricordi?, lo hai chiamato « Malinconia » con una cliente e « La Gran­duchessa » con un'altra.

Olga                              - Perché la prima era una scrittrice di quelle per le quali « esser vestita di malinconia » è una ceca che deve parere essenziale. La seconda era una bottegaia grassa e arricchita. Un tempo deve essere stata alla cassa nella salumeria del marito e certamente riveriva la cuoca della signora contessa per poterle refilare cinque lire false. Oggi poter dire alla sua cameriera: «Tirami fuori la Granduchessa! ». «Mi hai stirato la Granduchessa? », deve essere per lei una soddisfazione irresistibile!

Maria                             - Di' un pò... Ma tu le dici sempre a tutti le bugie?

Olga                              - Bugie? Mai. Io.« improvviso delle storie. Per questo mi pagano e mi apprezzano: è il mio lavoro. Io... m'intono con gentilezza al sogno segreto di ciascuno!

Maria                             - Ma, dico, le... le storie le improvvisi anche fuori orario?... Per esempio, con quel giovanotto bruno che ti è venuto a prendere ieri sera?

Olga                              - Maria, ti prego di non occuparti dei fatti miei. Ho fatto venire te e la zia da San Germano perché non volevo lasciarti ammuffire in provincia con una vecchia pazza.

Maria                             - Non dire così della zia! Sei cattiva!

Olga                              - E’ la verità. E' sempre stata assai debole di (accenna al capo).

Maria                             - Ah! E perché anche adesso non senti il bi­sogno d'intonarti con gentilezza... come hai detto?

Olga                              - Perché non serve a niente in questo caso.

Maria                             - Commerciante! La zia dice delle cose che... bene interpretate sono di una saggezza impressionante!

Olga                              - Se lo dici tu!

Michelina                      - (entrando da sinistra e attraversando il salotto) Signorina, l'avvocato Sassi è sceso.

Olga                              - Ah! Fallo passare in salotto. (La cameriera si avvia). Michelina! Poi vieni a mettere ordine di qua. (La cameriera riattraversa la scena e rientra facendo passare Sassi).

Michelina                      - Vuole attendere un momento, avvocato?

Sassi                              - Sì, si, prego, (ha cameriera riattraversa ed entra nello spogliatoio cominciando a mettere ordine).

Olga                              - (che intanto è pronta per uscire) Allora, siamo intese, Maria! Recita bene la tua piccola parte.

Maria                             - Ma, insomma, è venuto con elefanti o senza elefanti?

Olga                              - Senza, senza. Semplifica. Vieni. Ti aiuterà Sassi. E’ un pover'uomo fissato, ma è tanto gentile. (La trascina in salotto). Buongiorno, avvocato.

Sassi                              - Buongiorno, signorina. Mi sono vestito e sono sceso. In che cosa posso rendermi utile?

Olga                              - Guardi. Ecco il giornale di stamattina. Questo avviso economico segnato in rosso: è nostro.

Sassi                              - Devo leggere?

Olga                              - Sì, sì, la prego.

Sassi                              - (dopo essersi messo gli occhiali) « Mancato matrimonio Vendesi camera da letto antica. Dalle dieci alle dodici. Mozart ventidue». E allora?

Olga                              - Il portiere è già avvertito. Forse tra poco verrà qualcuno a vedere.

Sassi                              - E questo mancato matrimonio? Non sapevo: una bella signorina come lei...

Maria                             - Sono io. Il mancato matrimonio sono io. Un principe indiano che ho conosciuto a Biarritz senza corteo d'elefanti. Ma poi non mi sono decisa ad andare con lui nel suo paese…, perché...

Olga                              - Altra civiltà...

Maria i                           - Altra civiltà...

Olga                              - E ci è rimasta la camera da letto che già aveva comprato da un grande antiquario.

Sassi                              - Sarà magnifica!

Olga                              - Ecco. Lo vedi? Sarà magnifica, dice subito l'avvocato. E' bella, infatti. Ma prova invece a dire che era la camera da letto dei nostri genitori, e che ve la siete portata da San Germano una settimana fa, e vedrai che la vendiamo per una sciocchezza!

Sassi                              - Ma...

Olga                              - Appunto: una bugia commerciale. E lei, avvo­cato, da buon vicino ed amico dovrebbe con discrezione lasciar trapelare la storia del matrimonio mentre accom­pagna di là l'acquirente...

Sassi                              - Ho capito.

Maria                             - Ma che bisogno c'è che ci sia io!

Olga                              - Per dar colore, verosimiglianza. Non lasciar dubbi sull'autenticità della storia. Se non avessi avuto degli impegni stamattina, l'avrei fatto io.

Maria                             - E sarebbe stato più credibile... Un principe indiano! A me non mi ha mai guardato nessuno... Fi­gurati... E' assurdo.

Olga                              - Non importa. E' una storia di moda in questo momento: perciò la crederanno facilmente. Adesso lascia­temi andare. Sono già le dieci... Questa è la ricevuta da riempire.

Sassi                              - Bene. E il prezzo?

Olga                              - Chiedere diecimila per scendere al massimo sino a otto. La ringrazio tanto, avvocato. Se dovesse aspettare, poiché so che il suo tempo è prezioso, si può mettere di là: c'è carta, matite...

Sassi                              - (illuminandosi) Grazie. Grazie. Ho tutto con me.

Olga                              - Arrivederci. Ciao, piccola. (Esce dalla co­mune).

Sassi                              - Arrivederla.

Maria                             - Ciao.

Sassi                              - Sua sorella è straordinaria! E’ una delle po­che persone che credono ai miei studi! Allora, se per­mette, io mi siedo di là. (Si avviano allo spogliatoio).

Maria                             - Studi giuridici?

Sassi                              - No! E' un pezzo che non mi occupo più di questo! Io... ho scoperto un metodo- matematico... che mi darà enormi ricchezze...

Giulia                            - (entrando sorride e s'inchina. Ha un nastro rosso annodato fra i capelli bianchi) Riverisco.

Sassi                              - Signora!

Giulia                            - Di là non potevo più rimanere. Cerano degli spiriti buffoni che mi facevano ogni sorta di scherzi...

Maria                             - Ma sì, stai qui con noi, zia. (A Sassi che ha tratto di tasca matita, carta e una macchinetta rotonda) E questa che cos'è?

Sassi                              - Una roulettina. Una piccola roulette automa­tica per ì miei esperimenti... Si schiaccia qui e... gira (eseguisce).

Giulia                            - Bellissima. Assomiglia alla Porta Nuova di San Germano!

Maria                             - (a Sassi) Quando una cosa le piace molto, la paragona sempre alla Porta Nuova di San Germano.

Sassi                              - Ah, ecco!

Maria                             - E lei con questa vince?

Sassi                              - Mi servo di questa... Ma è il mio sistema che vince. Lo provo da dieci anni!

Maria                             - E perché non va a un Casinò?

Sassi                              - (triste) Perché... tutte le volte che ho giuocato danaro, ho perduto. Sulla carta, invece, ho sempre vinto circa cento unità al giorno... E’ una cosa strana e ter­ribile!

Giulia                            - Anche lei è una vittima degli spiriti buffi? Eh, tutti lo sono! Nessuno lo vuol dire, ma tutti lo sono.

Sassi                              - Già.

Maria                             - Che cos'è un'unità?

Michelina                      - (fa passare dalla comune l’antiquario. ÀU traversa la scena e annunzia nello spogliatoio) C’è dì là un signore per...

Sassi                              - Bene. Vengo subito.

Maria                             - Oh, Dio, vado a mettermi in ordine (Va via).

(La cameriera riattraversa e via).

Sassi                              - Un'unità è... quello che si vuole... Dopo le faccio vedere. (Si alza ed entra in salotto) Buongiorno, signore.

L'Antiquario                 - Buongiorno.

Sassi                              - Lei è venuto per... Se vuole accomodarsi.-(Attraversa con lui la scena verso destra).

L'Antiquario                 - Questi mobili moderni! Francamente non mi piacciono! Sa, io sono antiquario...

Sassi                              - Piacere. Piacere. Già, sono molto più difficili a falsificarsi...

L'Antiquario                 - (controscena) Ah!  Ah!  Lei è un uomo faceto! Ah! Ah!

Sassi                              - La camera che adesso le mostro è legata ad una storia romantica!... E' stata acquistata da pochi giorni da...

L'Antiquario                 - Sa, a me basta un'occhiata... (Dà una capatina attraverso l’uscio poi ridendo ancora) Ah! Ah! Mi risparmi la storia romantica! Questa è stata fatta l'anno scorso!...

Sassi                              - Ma cosa dice!

L'Antiquario                 - Ma per carità! A me non la danno a bere! Ma dove l'hanno comprata?

Sassi                              - Da uno dei suoi colleghi in- occasione del matrimonio...

L'Antiquario                 - Bell'affare! E... quanto vorrebbero di quel legno lì? Deve ancora stagionare! Tutto sommato, più di cinquecento franchi non ci butto...

Sassi                              - (arrabbiandosi) Senta, se vuole che glielo dica, questa camera non solo è autentica, ma è degli stessi proprietari da mezzo secolo... Al diavolo il Rajà!

L'Antiquario                 - (offeso) Come ha detto?

Sassi                              - Niente, niente.

L'Antiquario                 - Beh, avrò sbagliato... Forse è auten­tica...

Sassi                              - No « forse »: « è ».

L'Antiquario                 - Non dico dì no. Lo «ara».

Sassi                              - No: «è »!

L'Antiquario                 - «E’»... «I?»«. Ma che brutto carat­tere! Senta, dal momento che «è» autentica,»

Sassi                              - Lo riconosce?

L'Antiquario                 - Sì. Sì. Non l'ho detto?

Sassi                              - Ecco. Allora può anche andarsene.

L'Antiquario                 - Ma come! Io le offro... Guardi: tre­mila franchi...

Sassi                              - Prego. Per di qua.

L'Antiquario                 - (uscendo) Bel modo di vendere!

Sassi                              - (dalla porta) Bel modo di comprare! (Riat­traversa e sì rimette alla roulette),

(La cameriera rientrando da sinistra con Stefano e Rodolfo, attraversa e dice a Sassi)

Michelina                      - Ci sono altri due signori.

Sassi                              - Vengo subito.

Michelina                      - (riattraversa e via dalla comune).

Sassi                              - (alla zia Giulia) Ha sentito che mascalzone?

Giulia                            - Ce n'era un altro sotto il fico di don Al­fredo...

Sassi                              - (la guarda di traverso un po' sgomento, poi si mette a spiegarle) Un'unità è quello che si vuole... E’ l'entità della puntata... Può essere di cinque franchi come di cinquemila, secondo il capitale... (Giulia ha fatto scattare la roulette). Ecco, per esempio: ventisette rosso         - (segna sulla carta). Provi ancora. Provi. (Giulia fa scattare di nuovo. Egli segna successivamente diverse volte mentre nel salotto si svolge la scena tra Stefano e Rodolfo).

Stefano                         - (a Rodolfo) Di' la verità: quanti quadri ci sono in questa stanza?

Rodolfo                        - (guardando a terra, senza esitazione) Sette.

Stefano                         - (ridendo) Ero certo che li avevi già contati!

Rodolfo                        - Ma ti sembra una cosa assennata quella che stai per fare?

Stefano                         - Ma sì! Sono stufo di stare in pensione qua e là. Avrò la mia cameretta. Un piccolo studio per me lo faccio con niente. Lavorerò. Ma forse lo dici perché temi che io non ti restituisca questo denaro...

Rodolfo                        - No. Che c'entra. Ormai è deciso.

Sassi                              - Ecco questo è il momento. Io punto cento franchi sul nero.

Giulia                            - (batte le mani come una bambina) Che bravo!

Sassi                              - No, aspetti. Vediamo prima che colore esce. Spinga. (Ella eseguisce). Due! Nero. Ha visto? (Ma Giulia si è già disinteressata della cosa. Sassi preme an­cora il bottone e segna. Poi alzandosi di scatto e depo­nendo la roulette sulle ginocchia di Giulia) Perbacco! Mi ero dimenticato! (Entra in salotto e inchinandosi lievemente dice) Mi scusino... Anche loro sono venuti...

Stefano                         - Già.

Sassi                              - Come avranno notato, a questa camera da letto è legata una storia sentimentale.

Rodolfo                        - E’ lei che doveva sposare?

Sassi                              - Oh, no! Io... Io sono un vicino della signo­rina che... (Misterioso) Era un principe indiano...

Stefano                         - Ma forse di quelli che non abdicano.

Sassi                              - Già. No, è la signorina che non ha abdicato... Cioè... Non ha voluto seguirlo. Sa... altra civiltà... E' rimasta la camera da letto acquistata da un grande anti­quario... E adesso bisogna disfarsi dei ricordi...

Stefano                         - Si può vedere?

Sassi                              - Naturalmente. Io sono qui apposta: da buon amico delle signorine.

 Stefano                        - Sono due?

Sassi                              - Due. Due.

Stefano                         - Se mi piace la porto via subito. Quanto costa?

Sassi                              - Prima la veda: come le ho detto, è stata presa da uno dei primi antiquari di Parigi.

(Maria entra dal fondo nello spogliatoio. I tre uomini lo attraversano. Piccoli cenni del capo. Stefano interroga col gesto Sassi come per domandargli: «E’ lei? ». Sassi annuisce. I tre via a destra).

Maria                             - Zia, che ne dici di questa storia? Pare che in questa casa moderna non stia bene la nostra bella camera dove io e te abbiamo tranquillamente dormito a San Germano. Ce la porteranno via. Che ne dici? Eh?

Giulia                            - (Lascia andare! E ringrazia il cielo che ab­biamo vinto la guerra!

Maria                             - Tu sei come la «Divina Commedia», zia! Se si vuole una risposta basta aprirti a caso e leggere il primo verso d'una pagina qualsiasi. Tu sei un oracolo, zia Giulia! (Giulia sorride guardando con curiosità Maria che l'abbraccia).

Stefano                         - (rientrando da destra con Rodolfo e Sassi) Bella. (A Rodolfo) Per favore, di' al portiere che venga su con un altro...

Rodolfo                        - Sì. (Piano) Ma non lodarla troppo. Cerca di tirare sul prezzo: è cara, sai! (Via).

Stefano                         - Lascia fare a me. Bella! Complimenti, si­gnorina, per il gusto,.. L'ha scelta lei?

Maria                             - No. Cioè... in un certo senso, sì.

Stefano                         - Bene. Io mi complimento per quel certo senso. La signora, scommetto, è d'accordo con me!

Giulia                            - Questo signore è come la Porta Nuova di San Germano...

Stefano                         - Come dice? (A Maria) Ho detto qualche cosa che non va? No, perché spesso mi capita...

Maria                             - No. No.

Stefano                         - Ah, non mi sono presentato! Stefano Corot, architetto e professore in belle lettere.

Sassi                              - Avvocato Sassi. La signorina Marmé e la zia.

Stefano                         - Piacere. Allora? A quali formalità ci dob­biamo sottoporre?

Sassi                              - Ecco. Se vuol accomodarsi di qua. Riempiamo la ricevuta...

Stefano                         - (avviandosi con Sassi verso il salotto) Ven­ga, venga anche lei, signorina. Vedo dal suo viso che all'ultimo momento le dispiace... Senta piuttosto che darle un dispiacere non la compro!

Maria                             - Ma no, stia tranquillo!

Stefano                         - Non la porto mica lontano, sa! Qui sopra, all'ultimo piano. E... non mi fraintenda, la prego. Tutte le volte che desiderasse venirla a vedere... E' a sua disposizione. Magari anche con la zia...

Sassi                              - (che ha preparato la ricevuta, a Maria) Se vuol firmare.

Stefano                         - Ecco. Aspettiamo il mio... è il mio cas­siere. (A Rodolfo che entra seguito dal portiere e da un altro uomo) Paga.

Rodolfo                        - Subito. (Agli uomini) Di là. Sono quat­tordici pezzi, compresi i due letti. (A Sassi) Allora? Non si potrebbe... (Stefano gli dà una occhiataccia, Ro­dolfo si rassegna). Otto, ha detto.

Sassi                              - Otto. (Maria firma. Rodolfo paga a Sassi che gli consegna la ricevuta. Intanto Maria e Stefano parlano).

Stefano                         - Ho saputo, signorina, che l'India non l'ha attirata. Ha fatto bene. Un paesaccio, sa!

Maria                             - La conosce?

Stefano                         - Me ne guardo bene! Se io fossi un prin­cipe indiano farei come lei: una bella inserzione: «Occasionissima «Vendesi Principato sotto «osto ». E me ne verrei via. Ma le pare? Uno fischietta un'aria allegra al mattino facendosi la barba e vien fuori un serpente dal bagno! Poi bisogna combattere con le tigri e con i governatori britannici... Invece uno realizza e viene qua! Si fa la barba tranquillo, non trova inglesi e trova lei!

Maria                             - Oh, un gran vantaggio!

Stefano                         - Ma enorme! Non lo metta in dubbio! Chi non la pensa così non ha la mia Stima e merita d'essere abbandonato. (Sassi mette in mano a Maria una busta con il denaro e Rodolfo in mano a Stefano la ricevuta). Lei ha fatto bene, signorina... (guarda la ricevuta) signorina Maria.

(Entrano da destra con una rete metallica i due uo-mini: attraversano la scena e via da sinistra).

Rodolfo                        - Facciamo piano, eh! (Si ode da fuori il rumore di un urto). Sempre così. (Segue i facchini fuori dicendo a Stefano) Allora, intanto, vogliamo scendere dal padrone di casa per metterci d'accordo per l'apparta­mento?

Stefano                         - Va, va tu. Quello che fai è ben fatto. Io rimango a... sorvegliare. Noi sorvegliamo i facchini.

Rodolfo                        - E va bene! (Via).

Stefano                         - (gridandogli appresso) Di', Rodolfo, quanti gradini ci sono da qui al padrone di casa?

Rodolfo                        - (da fuori) Settantadue!

Stefano                         - Lui è fatto così. Conta istintivamente ogni cosa. E’ una mania che ha sin da ragazzo. (In­tanto dall'altra parte Giulia ha ricominciato a far gi­rare la roulettina automatica. Sassi al caratteristico e noto rumore della pallina di avorio si pone in ascolto, poi non resiste e corre di là a vedere e a segnare men­tre il dialogo di qui continua).

Maria                             - Ma allora è vero che viene ad abitare qui!

Stefano                         - Non glie l'ho detto?

Maria                             - Credevo che scherzasse.

Stefano                         - Non scherzo che sulle cose tristi. Le mie, s'intende. Questa non è una cosa triste.

Maria                             - E... scherza spesso?

Stefano                         - Uh! Purtroppo! Che altro posso fare? Almeno c'è una cosa allegra nella mia vita: io!

Maria                             - E’ già molto.

Stefano                         - E' il minimo. Del resto non è colpa mia se... non desto un interesse speciale. Campo, tiro là. La vita non fa pazzie, per me. Lei forse non può capire questo.

Maria                             - E perché?

Stefano                         - Perché lei ha tutt'altro destino. Si vede subito. Guardi, questa sua storia che sono venuto a sa­pere come acquirente casuale dei suoi mobili, basta...

Maria                             - (interrompendolo) Oh, quella!

Stefano                         - No, no. E’ un segno, mi creda. Lei ha in sé quelle misteriose qualità che possono fermare un principe, un Rajà... Lei, si vede, interessa la vita! Ed io la guardo come una creatura straordinaria, di quelle che senza dubbio hanno un destino importante.

Maria                             - (imbarazzata e lusingata insieme) Senta... io non... Cambiamo discorso... Vuole?

Stefano                         - Sì, sì. Mi scusi, anzi. Con il pretesto di comprare una camera da letto io... (Le dico delle cose che certamente le dicono tutti..»

 Maria                            - No, ma.

Stefano                         - Cambiamo discorso,

(Entrano i facchini, attraversano come prima e tornano in scena portando un inginocchiatoio in stile maggio-lino, Stefano e Maria non sanno cosa dire. Un paio di volte cercano di dire qualche cosa, ma non trovano un argomento. Finalmente ai facchini sfugge di mano il  mobile: allora, insieme)

Stefano e Maria            - (gridando) Piano! (Poi si sorridono come contenti di aver parlato. I facchini rialzano il mobile, ma un pezzo del fondo si è staccato e rimane a terra. Uno dei due lo raccoglie, non sa che farne, guarda gli altri, poi decisamente apre un cassetto e lo mette dentro. Al rumore dell'urto anche Sassi si è scosso. La­scia la roulette e accorre dopo aver sussurrato a Giulia)

Sassi                              - Abbiamo vinto cinque unità! (Poi affaccian­dosi di là) Che c'è?

Maria                             - Sono antichi, si sa...

Stefano                         - Eh! Poi con un colpo simile!... Stateci attenti, perbacco!

(Nell'urto, dal fondo rotto del mobile è caduta a terra una scatoletta legata con un nastro. L'altro facchino si china, raccoglie e rivolgendosi ai presenti li interroga con lo sguardo).

Rodolfo                        - (entrando da sinistra) Che cos'è?

Maria                             - Non sappiamo. (Prende dalle mani del fac­chino il pacchetto. I facchini alzano di nuovo il mobile e via a sinistra).

Stefano                         - Era nascosto nel fondo.

Sassi                              - (avvicinandosi e osservando) E' una scatola ingiallita. Una cosa riposta da molti anni. (Intanto di là Giulia pianamente si addormenta con la roulette su le ginocchia).

Stefano                         - Apriamo? (Maria slega il nastrino e apre la scatola).

Tutti                              - Ah!

Sassi                              - Un anello!

Stefano                         - Con un brillante!

Maria                             - E’ bellissimo!

Rodolfo                        - Montato all'antica.

Stefano                         - Ma lì sotto c'è ancora qualche cosa.

Rodolfo                        - (toglie dalla scatola una carta piegata, ingial­lita dal tempo; la guarda) Non capisco.

Sassi                              - (sbirciando da dietro le sue spalle) Sembra un monoverbo.

Stefano                         - (togliendo loro la carta dalle mani) Mac­ché! E' una pianta.

Maria                             - (scherzando) Un tesoro?

Rodolfo                        - Eh?

Stefano                         - Sicuro! Questa è la pianta del luogo dove , è nascosto qualche cosa.

Rodolfo                        - Ma certo! Un tesoro! Guardate qui una crocetta, un albero, una torre... E dei numeri! Le di­stanze.

Maria                             - Magari fosse!

Stefano                         - Io d'ai venticinque anni in poi ho sempre sognato storie di tesori.

Sassi                              - Le faccio i miei auguri, signorina.

Rodolfo                        - (a Stefano) Sarei proprio contento per te se fosse vero.

Rodolfo e Sassi             - (si guardano, poi contemporanea­mente si dicono) Come ha detto? (Poi cercando affannosamente intorno con gli occhi) Dov'è l'anello?

Maria                             - (che lo aveva al dito, togliendoselo) Eccolo.

Stefano                         - Ma no, prego. Se lo provi, pure.

Sassi                              - Signori! Non so se loro si rendano conto.

Rodolfo                        - Dico, non facciamo scherzi: i mobili sono nostri. Da un quarto d'ora, è vero, ma sono nostri!

Sassi                              - E con questo? Loro hanno comprato i mo­bili: permetteranno però che ne togliamo la roba che c'è dentro!

Rodolfo                        - Avvocato! Non mi faccia l'ingenuo!

Sassi                              - Mi meraviglio!

Stefano                         - Non litigate, per favore. I diretti interes­sati siamo io e la signorina. Allora, signorina, ragionia­mo. Lei non conosceva l'esistenza di quel pacchetto. Lo ha dimostrato prima con il suo stupore. E' esatto?

Maria                             - Sì.

Stefano                         - D'altra parte è chiaro che è lì rinchiuso da molto tempo. E loro invece hanno acquistato i mo­bili da poco.

Maria                             - Ma cosa dice?

Stefano                         - Sì, loro... il Rajà, insomma...

Maria                             - (guardando disperatamente Sassi) Eh già... infatti!

Stefano                         - Dunque questa roba non è né loro, ne mia, e probabilmente neppure dell'antiquario che ha venduto i mobili, ma di coloro dai quali li ha comprati. Occorre perciò avvertire l'antiquario. Non le pare, si­gnorina?

Maria                             - (c. s.) Eh... sì, forse...

Sassi                              - Ma, signore, lei deve sapere- Io non posso tacere un fatto che... potrà apparire strano... Ma mi de­vono credere... Questi mobili sono...

Maria                             - (coti impeto) No! (Poi più pacatamente) E' invece semplicissimo. - (Entrano i facchini).

Sassi                              - (fermandoli col gesto) Sospendete un mo­mento. Aspettate fuori, per piacere. (I facchini escono facendosi cenni come a dire. «Che cosa piglia loro, adesso? »).

'Maria                            - E' semplicissimo: noi non conosciamo l'an­tiquario.

Stefano                         - Come! Hanno detto che è uno dei primi di Parigi...

Maria                             - Uno dei primi! Uno dei primi... E' natu­rale... Ma quale, tra questi primi, dico io? Non si sa. Non si è mai saputo. Creda che me lo sono chiesto molte volte... Ma, per delicatezza, si capisce, non l'ho mai domandato al... coso... al Rajà. E’ terribile: ce la dovremo tenere noi quella roba lì.

Rodolfo                        - In questo caso, allora...

Stefano                         - Zitto, tu. Uomo venale! Faremo delle ri­cerche. Domanderemo ai tre o quattro antiquari più noti... Anche se dovessimo interrogarli tutti lo trove­remo. Non ce ne saranno milioni!

Sassi                              - Già... Ma il guaio è che mi pare di aver sentito il Rajà che diceva... è vero, Maria?

Maria                             - Verissimo.

Sassi                              - ... che diceva ho telegrafato all'antiquario... mi ha scritto l'antiquario... Chi sa dove risiede!

Rodolfo                        - Ma non aveva detto che è uno di Parigi?

Sassi                              - Di nascita! Solo di nascita, ma se n'è andato chi sa dove...

Maria                             - Sin da ragazzo, forse...

ìStefano                        - Mi dispiace. Mi dispiace vederla mentire «osi male, signorina. Finche si tratta dell'avvocato, pa­zienza, è il suo mestiere, ma lei...!

Sassi                              - Signore!

Stefano                         - Andiamo! E' chiarissimo che questa storia non è vera! Tentano di non farmi cercare l'antiquario Ma è inutile: lo cercherò lo stesso. E se non dovessi trovarlo», allora queste cose sarebbero mie.

 Rodolfo                       - Ben detto. Onesti, ma forti. Andiamo: il pa­drone di casa ti aspetta per il contratto. (Ai facchini) Ehi, voi! Continuate a portar su la roba!

Sassi                              - (imperiosa ai facchini che rientrano) « Riportate dentro la roba., (Agli altri) La camera da letto rimane qui sinché questa questione non è chiarita. (I facchini riman­gono immobili non sapendo che fare).

Rodolfo                        - La camera da letto è nostra! Lei non ha il diritto di trattenerla.

Sassi                              - E io voglio che sia innegabile che quegli og­getti sono stati trovati in questa casa!

Maria                             - Senta, Sassi, lasciamo andare... E’ colpa nostra. (Traendolo in disparte) Noi abbiamo ragione, ma do­vremmo fare una brutta figura. Io piuttosto di dichiarare che la storia del Rajà è un'invenzione, preferisco che si portino via tutta la roba, ecco.

Stefano                         - (in disparte a Rodolfo) Noi abbiamo ra­gione. Questa scatola o troviamo l'antiquario o è nostra.

Rodolfo                        - Certo.

Stefano                         - Ma è così carina!

Rodolfo                        - Carina?

Stefano                         - Ma non la vedi? Ha due occhi e una per­soncina che... (fa schioccare le dita). Come si fa ad essere scortesi con lei?

Rodolfo                        - (disperato) Ah, senti!...

Maria                             - (ai facchini) Portino pur via il resto dei mo­bili, loro. (/ facchini si avviano a destra e via. A Stefano) Signore, anche l'anello... e quella speranza di ricchezza, sono suoi. Mi auguro che con questo la vita cominci a fare pazzie anche per lei. Buongiorno. (Si avvia a destra).

Stefano                         - (rincorrendola) Signorina! (Compaiono da destra i facchini con uno specchio. Stefano a loro due) Un momento. Posate lì! (/ facchini esterrefatti esegui­scono fermandosi a metà sulla porta di divisione tra le due camere, rimanendo con lo specchio orizzontale pog­giato sui loro piedi, ciascuno in un settore della scena) Forse ho trovato una soluzione che accontenterà l'avvo­cato, il mio... amministratore e, spero, anche noi due.

Rodolfo                        - (con le mani in testa) Chi sa che cosa esce, adesso!

Stefano                         - La camera è mia e non posso lasciargliela perché ne ho bisogno. Però (a Sassi) lei vuole che i mo­bili restino qui. D'altra parte se li avete venduti è segno che non vi servono. Io vi propongo di rimettere a posto la camera dov'era e di prendermi come inquilino per un mese. Ci metteremo d'accordo per la pensione. E' una via di mezzo. Se fra un mese non avremo trovato l'antiquario, allora cercheremo un accordo fra noi. Che ne dite?

Maria                             - Non so. Qui la padrona di casa è mia sorella...

Sassi                              - E’ una proposta strana, la sua...

Rodolfo                        - (piano a Stefano) Sei fritto. Se non osi liti­gare con lei adesso che la conosci da mezz'ora, figuria­moci dopo un mese di convivenza!

Stefano                         - Ti sbagli. E' proprio attraverso la conviven­za che s'impara a litigare. Dovresti saperlo: hai moglie! (A Maria) Allora? Per adesso ci dividiamo la custodia degli oggetti: (eseguendo) a lei la piccola certezza, a me la grande speranza. Va bene? (le consegna Vanello e mette in tasca la carta).

Maria                             - (che in fondo vede la cosa con piacere) Non saprei... Un mese, ha detto?

Stefano                         - Sì. Sua sorella approverà, ne sono certo. Del resto, mi pare che la signora della casa, per età, sia la zia. Domandiamo il suo parere. (Stefano si avvia a de­stra. Sassi tossisce).

Maria                             - (decisa, come chi si risolvesse a chiedere lumi al caso, va alla parte destra della scena. Vede la zia dor­mire, le s'inginocchia affettuosamente accanto e, sveglian­dola con dolcezza, chiede) Zia, zia Giulia... (Giulia si desta e sorridendo Maria continua) Zia Giulia, passiamo accogliere questo signore in casa nostra?

Giulia                            - (lancia esclamazioni vaghe) Eh! Eh!

Maria                             - Che ne dici?

Giulia                            - (guardando lo specchio) Eh! Purché non rompa lo specchio! (Stefano guarda con curiosità zia Giulia).

Maria                             - (baciandola) Cara, cara e saggia zia! (Ai fac­chini) Riportate i mobili nella camera.

(I facchini guardano Maria e rimangono immobili ai lati dello specchio).

Stefano                         - Riportate i mobili nella camera!

(I facchini guardano Stefano e come sopra).

Sassi, Rodolfo, Maria e Stefano        - (insieme) Ripor­tate i mobili in camera!

(I facchini guardano tutti come per assicurarsi che siano d'accordo, poi rapidamente, quasi fuggendo, via a destra con lo specchio).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(Sera verso le otto dopo cena. Stanza da lavoro nella casa di Olga e Maria. A un lato uno scrittoio, a un altro un grande tavolo da disegno a piano inclinato, un di­vano: dinanzi un tavolino con sigarette e riviste. Qua e là rotoli di disegni e libri e carte sparse. A sinistra la comune, a destra altra porta. In fondo, grande vetrata a veranda; sono in scena Sassi, Olga e Maria).

Sassi                              - (misteriosamente, mostrando una carta che ha tratto dalla tasca) Ho eseguito il vostro incarico a puntino. A San Germano dietro la vostra vecchia casa... Ma perché ò così trascurato l'orto? Anche il frutteto...

Maria                             - Non si distragga, avvocato...

Olga                              - Lascialo dire. E' il suo modo di raccontare.

Sassi                              - Grazie, signorina (le sorride). Dunque, dietro la vostra vecchia casa, proprio a trentacinque metri... ho misurato esattamente, eh! (Trae un metro e se lo ap­pende al collo). Proprio a trentacinque metri, come in­dica la pianta, dall'angolo est... no, ovest; no, no, est, dicevo bene... c'è un albero: questo - (lo mostra sulla car­tina e seguita il racconto seguendolo su la pianta). Ti­rando una linea ideale, questa punteggiata, dall'albero al centro della torretta rotonda che è presso il muro di cinta... Mi sono portato anche lo spago, sapete! (estrae dalla tasca un gomitolo di spago).

Maria                             - Bravo. Bravo. Avanti.

Sassi                              - Giusto. Su questa linea ideale, com'è indicato qui dove c'è la crocetta, a ventidue metri e mezzo dall'albero, ho scavato e...

Olga e Maria                 - (insieme) Ebbene?...

Sassi                              - Non ho trovato niente.

Olga                              - E ce lo dice con quella faccia soddisfatta?

 Sassi                             - Un momento! Abbiate pazienza. Io non mi sono rassegnato. Ho riflettuto: perché sino all'albero tutto coincide nelle misure e nelle posizioni e dopo l'albero no? (Strisciandosi l'indice lungo il naso sino al mento) Perché andando in giù liscio liscio liscio (risalendo col dito sino ad urtare nel naso) e andando in su, puff? E’ un giochetto che mi faceva mio padre quand'ero bam­bino... Mi è venuto in mente appunto quando mi sono chiesto: perché sino all'albero tutto coincide e dopo l'al­bero no?

Maria                             - Oh Dio! Io mi domando come resistessero i giurati!

Sassi                              - I giurati?

Maria                             - Si, quando lei parlava in tribunale.

Qlga                              - Non ci badi, avvocato, Maria è nervosa.

Sassi                              - Eh! Quel cuoricino! Quel cuoricino! Allora mi sono guardato intorno. Questa (indica un punto su la carta) non è la torretta rotonda come abbiamo creduto: è il pozzo! Infatti a ventidue metri e mezzo su la linea ideale tirata dall'albero al centro del pozzo, ho scavato e... ho trovato una cassetta.

Olga e Maria                 - Ah!

Sassi                              - Secondo le loro istruzioni, ho subito colmato il buco è sono venuto via senza toccare nulla.

Olga                              - Sì, ci andremo tutti insieme. (A Maria) Picco-lina! Sei contenta?

Maria                             - Dobbiamo ancora aprirla... Tu credi sul serio che...?

Olga                              - (alzando le spalle) Oh Dio! Dal momento che per qualche giorno siamo costrette a fare delle supposi­zioni, tanto vale che siano rosee. Oh Dio, una cosa na­scosta!  Questo è già molto, perché data la fiducia che regna fra gli uomini, in generale si nascondono le cose preziose... Del resto potrebbe trattarsi benissimo dei va­lori del nonno! Quelli che nascose non si è mai saputo dove quando ci fu l'invasione durante la guerra. Ti ri­cordi che papà ne parlava spesso?

Sassi                              - Ma è certo, signorina! Come dubitarne? Loro stanno per diventare ricche! Specialmente lei, signorina Maria...

Maria                             - Io? Non alzerò mai un dito su questa for­tuna, ammesso che lo sia: mi fa troppo male l'idea che Stefano sappia che il nostro primo incontro si è basato su di una menzogna...

Sassi                              - Eh! (Con furberia) Non avrà bisogno di al­zare un dito! Basterà che lo porga! Si sa bene che lei e Stefano... Eh! Eh! Questo mese lo hanno utilizzato! Lui ha trovato due tesori! Due! Due: nero, pari e manque... No, volevo dire che... invece di portarla lei la dote, la porterà lui! E' più elegante. Ma... (gesto del contare) è lo stesso.

Maria                             - (vergognosa) Non c'è nulla di serio in quello che dice, avvocato. (A Olga) In ogni modo a te farebbe piacere?

Olga                              - Ma certo! Stefano sarebbe per me un simpa­ticissimo cognato! Ma non essere troppo ingrata verso la piccola bugia del fidanzato Rajà. In fondo devi a quella innocente invenzione da «Mille e una notte» s'egli ha cominciato subito a interessarsi di te.

Maria                             - (avvilita) Credi?

Olga                              - Gli uomini son fatti così.

Stefano                         - (entrando infilandosi la giacca) Come sono fatti gli uomini, Olga?

(Sassi nasconde in tasca la carta che ha in mano).

Olga                              - Adorabilmente, Stefano.

Maria                             - Male.

Stefano                         - Mettetevi d'accordo! (A Sassi) E lei che cosa fa? Il tappezziere?

Sassi                              - lo? No... si accorge di avere intorno al collo metro e spago). Cioè, sì... quasi... misuravo la finestra perché mia moglie diceva che la nostra di sopra è più piccola. Invece, no. E’ questa che è più grande... (Olga e Maria nascondono le risa. Stefano fa loro cenno come per dire: il Ma che cosa dice? »; Olga si batte la fronte per significare che Sassi è un po' svanito). Ecco: adesso ho finito e me ne vado. Signorine... (ammicca loro come a dire: «Sono stato abile, eh »). Caro Stefano... (Si avvia in fretta dalla comune).

Olga                              - L'accompagno, avvocato. (Agli altri) Allora io mi vado a vestire. E tu, Maria?

Maria                             - Ti raggiungo subito. (Via tutti e due).

Stefano                         - (con gravità comica) Maria, che cosa si fa quando si rivede l'uomo della propria vita con un vestito nuovo?

Maria                             - (gli si avvicina ingenuamente civetta) Mah! Non saprei... (Egli l'abbraccia).

Stefano                         - Per essere una donna fatale sei troppo ingenua!

Maria                             - Ma tu mi vuoi bene davvero?

Stefano                         - (trae dalla tasca una moneta che lancia in aria, la riafferra, riapre il pugno e la guarda) Sì.

Maria                             - Come ci si può fidare di te, se giochi sem­pre! Giochi all'innamorato come giochi all'architetto e allo scrittore...

Stefano                         - Bisogna che tu ti fidi di te e non di me.

Maria                             - Ma chi sei veramente, tu?

Stefano                         - (fingendo di riflettere) Stefano: dalla punta dei piedi alla cima dei capelli io, sono tutto e soltanto Stefano. E pure, ho l'onore di piacerti...

Maria                             - Vieni qui, farfalla. (Lo fa sedere accanto a se sul divano). Sii serio e dimmi che cosa hai combinato oggi.

Stefano                         - E' proprio necessario?

Maria                             - Sì.

Stefano                         - E' presto detto: niente.

Maria                             - Ma come? L'editore... M'avevi detto che ti aveva telefonato così gentilmente...

Stefano                         - Perché aveva intenzione di chiedermi cin­quemila lire per la stampa del mio libro.

Maria                             - C'era da aspettarselo. Tu sei troppo ottimista. Tutti, anche quelli che sono poi diventati celebri, hanno pagato l'edizione del primo libro... E se poi uno non di­venta celebre? Fatica sprecata.

Stefano                         - Già.

Maria                             - Tu ti senti proprio molto portato per la let­teratura?

Stefano                         - (alza le spalle) Così, così.

Maria                             - Ecco, vedi? Meno male. E’ una vocazione pericolosa che è meglio non avere. E poi, se non l'hai proprio irresistibile, non potrai fare mai nulla di ec­cellente.

Stefano                         - Tu hai ragione! Hai sempre ragione, Maria! Mah! Meglio lasciar andare e darsi tutto all'architettura. Ho molte speranze nel concorso al quale ho mandato il progetto per le scuole.

Maria                             - Con tutto il cuore, Stefano, io ti auguro di vincere. Quando si saprà l'esito di questo concorso?

Stefano                         - Uh! Tra sei mesi! Forse otto... In com­penso, andando bene le cose, c'è un premio di centomila franchi e il lavoro di realizzazione. Senza contare il va­lore morale: mi affermerei definitivamente.

Maria                             - Certo, un colpo grosso! Ma io diffido dei colpi grossi. Mi fanno l'impressione dell'avvocato Sassi quando parla delle «unità» che vince alla roulette.

Stefano                         - Non sei incoraggiante, Maria. D'altra parte è un progetto che avevo già lì pronto. Non l'ho prepa­rato apposta. L'ho spedito così...

Maria                             - Vedi, caro, tu vivi alla giornata: un disegno qui, un progetto o una novella da un'altra parte!... Non si costruisce nulla, così. Io vorrei vederti guadagnare ma­gari meno, ma in una ditta seria dove il tuo valore len­tamente si facesse strada e si imponesse solidamente...

Stefano                         - ….in dieci anni!

Maria                             - Ma anche in quindici!

Stefano                         - Eh! Ma tu guardi la vita come un ragio­niere! Chi sa dove sarò io fra quindici anni! Se non sarò diventato presidente della Repubblica, sarò certamente scaricatore di porto a Calcutta o in un fresco e quieto cimiterino di montagna e mia madre o la mia vedova gi­reranno con la mia medaglia d'argento sul petto!

Maria                             - E tu, con questa visione della vita, pensi a costruire una famiglia? Io ti dovrei avere accanto, così, caro e distratto, con l'occhio nelle nuvole, per uno, due, cinque, dieci anni, e poi, dal momento che non diverrai di certo presidente della Repubblica, saperti facchino a Calcutta o in un cimiterino di montagna? E’ questo il programma che offri a me e ai bambini che forse ver­rebbero? Non lo posso credere.

Stefano                         - Ognuno offre quello che può.

Maria                             - No. Che la vita sconvolga qualsiasi pro­gramma, anche il più sano, e che una buona moglie segua il marito nella sfortuna e lo aiuti magari a scaricare le merci o porti fieramente sul petto la sua medaglia al va­lore, io lo capisco. Ma partire già con queste idee, non è onesto e non può portare fortuna.

Olga                              - (dall'altra stanza) Maria!

Stefano                         - Che vuoi che ti dica. Io ti voglio bene. E sono qui, dinanzi a te... come sono. Ma senza testardag­gine poiché non mi amo abbastanza. Si dice che abbia anche delle qualità. Vedi tu se puoi fare di me quello che sogni.

Olga                              - (dall'altra stanza) Maria!

Stefano                         - E adesso vani a vestire. Se no facciamo tardi. Io devo ancora farmi la barba (guarda l'orologio) e lo spettacolo comincia alle nove e mezzo. (Maria si avvia).

Olga                              - (entrando vestita da mezza sera) Maria! Che aspetti?

Maria                             - Eccomi. Eccomi. (Via).

(Stefano va al tavolo da disegno, e, rimanendo in piedi, schizza distrattamente qualche cosa sul margine di un foglio. Olga lo segue con lo sguardo).

Olga                              - E' successo qualche cosa?

Stefano                         - (continuando a disegnare) Macché, non suc­cede mai niente.

Olga                              - Avete litigato?

Stefano                         - No...

Olga                              - Ho capito: ti ha fatto una predica. (Stefano alza le spalle. Olga gli si avvicina e guarda ciò che egli disegna) Grazioso! Dove l'hai visto?

Stefano                         - Là (indica il soffitto).

Olga                              - Buffone! Un'idea originale. Sarebbe un deli­zioso abito primaverile.

Stefano                         - Te lo regalo. Guarda, dietro c’è anche una casa colonica: ti regalo anche quella.

Olga                              - (come presa da un'idea improvvisa) Stefano!

 Stefano                        - Ah, no, basta! Sei insaziabile! C’è annessa anche la vaccheria! Che cosa vuoi di più!

Olga                              - Ma sta un po' zitto! Tu, di questi figurini, ne sapresti disegnare degli altri?

Stefano                         - Eh, sai, mi sento così esaurito dopo la crea­zione di questo, che mi ci vorrebbero prima almeno sei mesi di riposo!

Olga                              - Finiscila, ragazzaccio. Sei pieno di talento da tutte le parti e hai l'aria di non crederci. Domani ti pre­sento a madame Cailleaux.

Stefano                         - Brava! Allora adesso vado a farmi la barba. (Si avvia).

Olca                              - Stefano!

Stefano                         - Eh?

Olga                              - Scommetto che non ti ricordi chi era madame Cailleaux.

Stefano                         - Infatti. Ma se ci tieni...

Olga                              - E’ la padrona e direttrice della Maison Cail­leaux dove io lavoro. Una delle più note di Parigi!

Stefano                         - Ah, già! Bene.

Olga                              - Ma lo sai che con la tua fantasia e il tuo gusto, se indovini questa strada puoi diventare un Jean Patou?

Stefano                         - Dici sul serio?

Olga                              - Naturalmente. E' un campo sempre assetato di ingegni nuovi, originali... Domani ne parlo alla si­gnora e ti fisso un appuntamento. Lei ti metterà dinanzi una stoffa e ti dirà di immaginare un modello che le si adatti. E tu disegnerai una cosa talmente graziosa, che subito te ne compreranno alcuni, per cominciare.

Stefano                         - Mi piacerebbe. E' un lavoro che si risolve, così, giorno per giorno...

Olga                              - Non so come mai non ci abbiamo pensato prima... Questa è una via sicura per te.

Stefano                         - Sei straordinaria, Olga!  Brindiamo alla nuova magnifica idea! (Trae da una madiola due bic­chieri e una bottiglia. Versa, offre, alza il suo bicchiere).

Olga                              - Al futuro Jean Patou! Alla Maison Stefano Corot!

Stefano                         - E alla sua cara e preziosa collaboratrice!

Olga                              - Già mi hai messo in ombra!

Stefano                         - Vuoi il nome in ditta? (Olga ride). Te lo concedo! Chi sa, forse potremo presto cominciare per conto nostro. Un mese è passato e pare che questo anti­quario non si trovi. Ormai, siamo alla caccia del tesoro! Anche se è piccolo, basterà, no?

Olga                              - Avrei buone notizie per te, da questo lato...

Stefano                         - Cioè?

Olga                              - Mentre tu esercitavi la tua onestà alla ricerca dell'antiquario, io... ho svolto altre indagini...

Stefano                         - Ma se la pianta l'ho io! (indica la scrivania).

Olga                              - L'ho fatta ricopiare.

Stefano                         - Ah! Non capisco perché...

Olga                              - E' un segreto... non mio... L'importante è che forse presto noi ti metteremo fra le braccia una cas­setta...

Stefano                         - Alla Maison Corot e Manne! Ma mi spie­gherai... (Deponendo il bicchiere sul tavolino e dive­nendo improvvisamente melanconico) No, non è possi­bile, Olga. Niente di tutto questo è possibile. Io devo fare l'impiegato. O, per lo meno, devo impiegarmi come architetto in una bella ditta di costruzioni... A milledue­cento franchi al mese e la firma all'orologio dell'in­gresso...

Olga                              - Perché?

Stefano                         - Le idee di Maria...

 Olga                             - Le seguirai?

Stefano                         - (allargando le braccia rassegnato) Eh!

Olga                              - L'ami molto?

Stefano                         - Sì.

Olga                              - Ma non per questo vorrai sciupare, intristire la tua vita! Mai, nessuna donna merita un sacrificio si­mile. E poi Maria è una bimba!

Stefano                         - Non quanto credi.

Olga                              - Ma sì! E’ una bimba paurosa che ha fatto la sua esperienza dalla cattedra della scuola elementare di San Germano sulla Marna! E' una cara e dolce maestrina, intelligente, sensibile.

Stefano                         - Ma che, probabilmente, dalla sua vicenda sentimentale con un principe, quasi un re, nel suo paese, ha tratto una improvvisa maturazione. Non so. Ma, è certo, ha un modo terribilmente logico di vedere le cose... Forse ha imparato da lui a comandare... Non sa­prei spiegarti... Mi disarma...

Olga                              - Lascia andare, Stefano! (Gli si avvicina e gli poggia le mani sulle spalle come per meglio convincerlo) Comunque, un uomo come te non può lasciarsi guidare da lei... Tu hai un temperamento eccezionale, hai dell'ingegno... devi pazientemente insegnarle a vedere le cose come tu le vedi... Stefano, tu... (pausa. I due riman­gono così, vicini, l'uno di fronte all'altra, guardandosi negli occhi sinché il silenzio diviene imbarazzo. Egli pia­namente le accarezza i capelli. Allora ella volge il capo altrove, si stacca da lui e va a sfogliare distrattamente le carte della scrivania. Egli rimane immobile, a testa china).

Maria                             - (entrando1 anch'ella vestita da mezza sera, ma più sobriamente della sorella, si ferma a guardare l'uno e l'altra, lentamente, come cercando di capire il loro atteggiamento. Poi) Allora?

Stefano                         - (scuotendosi) Ah, sì! Scusa. In cinque mi­nuti mi sbrigo. (Via di corsa dalla comune).

Maria                             - (osserva ancora la sorella che volgendole le spalle sfoglia le riviste con lo sguardo fisso al muro. Poi va a sedere sul divano, accende una sigaretta e dice ac­cennando ai due bicchieri) Un brindisi?

Olga                              - (volgendosi) Eh? Ah, sì!

Maria                             - E' l'onomastico di qualcuno?

Olga                              - No. Una nuova idea che forse potrà giovare a Stefano.

Maria                             - Ancora una nuova idea?. Ma è un vulcano! Cos'è? Vuol mettersi a suonare il violino?

Olga                              - Questa volta l'idea è mia. Guarda - (le tende il disegno di Stefano). Grazioso, vero?

Maria                             - (fredda) Sì, sì.

Olga                              - Non è perfetto, ma l'ha fatto così, senza pensarci.

Maria                             - (ironica) Naturalmente.

Olga                              - Perché? Non ti piace?

Maria                             - (come sopra, fingendo di voler rimediare) Ma certo! Volevo dire che l'ha fatto naturalmente. Per di­sposizione naturale, insomma.

Olga                              - E' quello che ho notato io. E allora gli ho proposto...

Maria                             - ... di creare dei modelli per la casa Cailleaux.

Olga                              - Appunto.

Maria                             - Gli hai aperta una nuova carriera dinanzi! Una nuova via fiorita!

Olga                              - Maria!

Maria                             - Come se non ne avesse abbastanza!

Olga                              - Ma non capisci che potrebbe...

Maria                             - Cosa, potrebbe? Cosa? Accarezzare nuovi sogni, farsi cullare da nuove illusioni! Questo sì, potrebbe. Senti, Olga, fammi il piacere di non occuparti di Stefano! Io mi affatico tutto il giorno a tirargli i piedi per terra, e tu gli attacchi nuovi palloncini al cervello! Io benedirò lo sconosciuto che verrà qui un giorno a ordinargli il disegno di un muretto... un semplice muro di cinta, alto così(accenna con la mano a mezzo metro da terra), e che- (gli darà dieci franchi di compenso!

Olga                              - Non capisci che in questo modo Io rendi infelice?

Maria                             - No, cara! Cerco di liberarlo dalle ubbie che lo renderebbero certamente infelice un giorno! E ci riu­scirò! (Pausa). Ci riuscirò perché lo amo.

Olga                              - Piccolina, gli uomini non si mutano! Tutt'al più è possibile approfondire i loro difetti sino a farli divenire virtù.

Maria                             - Teorie! Del resto, anche se non siamo d'ac­cordo, la cosa non muta. A te che importa della sua felicità?

Olga                              - Penso che è strettamente legata alla tua...

Maria                             - Oh, non ti preoccupare!

Olga                              - (assorta) E anche alla mia...

Maria                             - Questa poi non la capisco.

Olga                              - Certo. Noi viviamo qui, insieme, tutti e tre... E io vi... vi voglio bene... Insomma, voi «dovete » essere felici. Allora... tutto passerebbe in seconda linea.»

Maria                             - Tutto che?

Olga                              - Oh, Dio, Maria! Stasera mi stai pesando le parole ad una ad una! Vuoi la matita rossa e blu, come quando correggi i compiti ai tuoi allievi?

Maria                             - Non è colpa mia, se non ti fai capire!

Olga,                             - Ma è chiarissimo!... Sei mia sorella e perciò vorrei che lui fosse felice... e anche tu.

Maria                             - Dunque, poiché io sono tua sorella... Tu vuoi che Stefano sia felice... e anch'io...

Olga                              - Sì, sì. Non potrei tollerare che vi foste sba­gliati, insomma.

Maria                             - Sei tanto inverosimilmente buona che... ti giuro, mi fai paura! (Pausa). Di un po'. Rispondimi senza scantonare: mi pare d'aver capito che prima di tutto t'interessa che Stefano sia felice.»

Olga                              - E anche tu...

Maria                             - Anche! Di riflesso! Ma, soprattutto, lui! Eh? Rispondi!

Olga                              - Maria, io...

Maria                             - (quasi con ira) Rispondi!

Olga                              - Sì, è vero! Molto!

Maria                             - (incolore) T'importa molto della felicità di Stefano!

Olga                              - (accennando col capo, mormora) Sì.

Maria                             - E... E perché?

Olga                              - Questo non c'entra.

Maria                             - E come c'entra!

Olga                              - Maria, ti prego! E' una cosa che assolutamente non ti riguarda e non lo riguarda... Vi volete bene... Vi sposerete... Solo, farò di tutto perché sia felice... Questo è lecito, no?

Maria                             - (soffiato) Lo ami! (Olga non risponde). Tu lo ami! E... E lui lo... sa?

Olga                              - (con sincerità, quasi a chiederle perdono) Spero di no.

Maria                             - E tu che hai tanti amici, ammiratori, corteg­giatori, hai aspettato ad innamorarti proprio di questo unico uomo che mi ha guardata, che mi ha notata... forse per uno sbaglio!...

Olga                              - Maria! Non son cose che si fanno apposta».

Maria                             - Sì, forse... Ma potevi lottare in principio».

 Olga                             - L'ho fatto»

Maria                             - Potevi dirmelo e andartene... Perché non te ne sei andata?

Olga                              - Per lui. Ti giuro, Maria, che se fossi stata sicura che tu eri la donna per lui, adatta a renderlo fe­lice, lo avrei fatto. Ma, così!.»

Maria                             - Ti ha detto che io lo rendo infelice?

Olga                              - Oh, no! Ma lo sa.

Maria                             - E credi che con te lo sarebbe meno? Oggi, può essere, ma domani? Sareste due disgraziati, insieme!

Olga                              - Può essere. Ma lo saremmo tutt'e due allo stesso modo.

Maria                             - Se questa è una consolazione!.»

Olga                              - (illuminandosi) Oh, tu non puoi capire che cosa sia commettere insieme gli stessi errori!

Maria                             - Certo. Certo. Sono altezze alle quali io, po­verina, non giungo. In ogni modo, cara sorellina, pur­troppo per te, questo tuo bel sogno di errori a due è irrealizzabile, dal momento che Stefano ama me.

Olga                              - Forse per uno sbaglio», hai detto dianzi.

Maria                             - (esitante) No. Ho detto che forse mi ha no­tala subito in grazia della ingenua storia romanzesca, in­ventata del resto da te. Ma l'amore è nato -dopo ; l'amore è per me.

Olga                              - Non vedi che non sei sicura neppure tu di quello che dici? Una cosa è conseguenza dell'altra. Tu sai benissimo il fascino che ha un romanzo su Stefano. Lotti ogni giorno contro questo!

Maria                             - Che cosa vuoi concludere?

Olga                              - Non so. Trai tu stessa le conclusioni, se sei abbastanza serena per farlo.

Maria                             - Lo sono. Lo sono.

Olga                              - E allora ti dovrai accorgere che io non voglio niente per me.

Maria                             - (ironica) No! Tu combatti in nome della ve­rità! Non è così?

Olga                              - Infatti.

Maria                             - (c. s.) Ah! Ah! Ah! E disinteressatamente….

Olga                              - Maria, mi tratti come una nemica». Capisco il tuo risentimento...

Maria                             - Meno male!

Olga                              - Ma, credimi, io non penso che al bene dì Stefano...

Maria                             - Che altruismo!

Olga                              - Se tu lo ami, non ti deve sembrare tanto strano.

Maria                             - Insomma, che cosa vuoi?

Olga                              - Che Stefano sia nelle condizioni di vedere chiaramente. Che sia messo lealmente dinanzi alle nostre verità, in modo che possa scegliere ciò che gli sembra il suo meglio... Forse non saremo ne tu ne io. Ma, almeno, se un giorno dovrà rimproverare qualcuno, non se la potrà prendere che con sè stesso.

Maria                             - E’ che tu conti sull'impossibilità di Stefano a vedere qual è il suo meglio!

Olga                              - Non esistono uomini simili, Maria! L'istinto li guida.

Maria                             - O la ragione.

Olga                              - E' quello che si tratta di stabilire. (Pausa).

Maria                             - Tu mi obblighi a fare con lui una piccola brutta figura. Non importa, mi perdonerà facilmente una bugia senza intenzione. Non sarà questa sciocchezza ad allontanarlo da me.

Olga                              - No, certamente.

Maria                             - E per il resto, egli sa com'io lo vorrei.

Olga                              - E non dirgli che io invece l'amo così com'è. Lo capirà ugualmente...

 

Maria                             - Chiamalo. Non voglio aspettare neppure un minuto.

Olga                              - (affettuosa) Maria. Qualunque cosa avvenga, vorrei... che noi...

Maria                             - Non ci serbassimo rancore! Sì, sì, certo». Al­meno per una delle due sarà facile... Quella che avrà la meglio... (Guarda Olga che siede sul divano. Allora decisamente va alla comune e chiama) Stefano!

La voce di Stefano       - Sono quasi pronto. Eccomi!

Maria                             - Vieni subito, per favore.

Stefano                         - (entrando con la cravatta sciolta sulla testa e uno specchio in mano) Bisogna essere di una perfidia senza nome per disturbare un uomo mentre sta facendosi il nodo alla cravatta!

Maria                             - (imbarazzata)  Stefano...

Stefano                         - Or ditemi che siete ansiose di penetrare i misteri della mia toletta più delicata, e allora io vi servo subito (appoggia lo specchio sul tavolo da disegno e comincia a farsi il nodo).

Maria                             - (c. s.) Stefano, ti devo parlare. Anzi, noi ti dobbiamo parlare.

Stefano                         - Benissimo. Avremo1 un argomento per riempire l'intervallo fra il primo e il secondo atto. Adesso corriamo perché è tardi.

Maria                             - No. Forse non andremo a teatro, stasera. E’ una cosa seria.

Stefano                         - (lasciando U nodo a metà e volgendosi) Uh, là, là! Più seria della Comédie Francese? Mi fai paura...

Olga                              - Ti riguarda personalmente.

Stefano                         - (alzando le spalle) Uh! Allora non può essere importante... (Illuminandosi) Il tesoro? (Guarda le due donne immobili ai lati della scena). No, non è il tesoro. (A Maria) Cos'è? Ho commesso qualche altra cosa che non va?

Maria                             - Ma no!

Stefano                         - (a Olga) Ah, perché non ci sarebbe da stupirsi! Io sono come il Saggio: sbaglio sette volte al giorno. Vero, Maria? (Avvicinandosele e prenden­dola per le braccia) Su, su, bestiolina! Qualunque cosa sia non ti voglio vedere con questa faccetta. Sono di­sposto per amor tuo a diventare capo del personale all'Ufficio del Catasto...

Maria                             - Senti, Stefano... Chiacchierando, così, con Olga... mi sono decisa a dirti una cosa che... mi imba­razza dal giorno che ci siamo conosciuti... Sai, quando sei venuto per acquistare i mobili... quelli del Rajà... Ebbene, questo mio fidanzato Rajà...

Stefano                         - E' tornato!

Maria                             - Non potrebbe tornare.

Stefano                         - E’ morto.

Maria                             - Non potrebbe morire.

Stefano                         - Oh Dio! (sgrana gli occhi e guarda Olga comicamente come per dire: «.Maria è pazza») E’ im­mortale...

Maria                             - Non è mai nato. Non esiste. Ce lo siamo inventato noi. Anzi, se lo è inventato Olga per... dare un valore maggiore ai mobili...

Stefano                         - (pausa) Bellissima! Che donna straordi­naria sei, Olga!

Maria                             - E così, non sei in collera per questa bugia che mi ha fatto passare ai tuoi occhi per una ragazza fatale che incatena il cuore dei re!

Stefano                         - Sei strana. Perché dovrei... Anzi, se devo esser franco, mi dava un po' fastidio questo spettro principesco che faceva capolino dal tuo passato.

 Maria r                         - Sei caro, Stefano.

Stefano                         - Beh? E' tutta qui la cosa seria? A pro­posito: l'anello e la pianta?... E’ roba vostra, allora! (Maria annuisce). E te ne stavi zitta per non... Oh, è gentile! E’ veramente gentile...

Olga                              - Ma non è tutto, Stefano. Maria....

Maria                             - Sì. Io ti ho raccontato questo perché tu vedessi in me soltanto la piccola provinciale che sono, perché tu non mi attribuissi un fascino e un'esperienza che non ho, e perciò non fossi influenzato da nulla, che non sia il tuo amore per me, nel costringere il tuo carattere nella vita chiara e ordinata che io voglio per te, per il tuo bene. So che ti è difficile, Stefano. Ma voglio egualmente che tu sappia che i miei consigli ti giungono soltanto dalla cattedra di una scuola elemen­tare di paese. (A Olga) 1? così?

Stefano                         - Scusate, ma mi sfugge il nocciolo di que­sto nostro discorso. Perché...

Maria                             - Con quel mio modo da... « ragioniera », come dici tu, di guardare la vita, è vero che io ti rendo infelice?

Stefano                         - (guardando Olga che non evita il suo sguar­do) Chi ha detto questo?

Maria                             - O pensi che io ti renderò felice in seguito? O che invece ti potrò aiutare essendo pratica e costante per quanto tu non lo sei? (Stefano giocherella con la cravatta).

Olga                              - (pausa) Stefano non si pronuncia!

Stefano                         - Non è questo. Io ti voglio bene, Maria. Ma quanto alla mia felicità... Non ci ho mai pensato.

Maria                             - Perché? Sta forse in quel continuo incan­tarsi dinanzi alle proprie fantasie? Nell'inseguire di ora in ora le proprie illusioni?

Olga                              - Forse.

Maria                             - Ma quelli che ti aiutano in questo gioco è che si divertono di te! Oh, lo so, è uno spettacolo vederti mentre cavalchi le nuvole tenendo in resta la lancia della speranza! Ma sono in malafede! Digli tu la verità, Olga. Tu che te ne intendi di bugie! Tu che lo fai per mestiere...

Olga                              - Io? Non ho nulla da dire.

Maria                             - Non sei una giocatrice onesta, Olga! Tu devi scoprire dinanzi a Stefano le tue carte, come ho fatto io... Chi devi dire che tu sai che i suoi non sono che sogni...

Olga                              - Ma se in fondo è lui il primo a saperlo, Maria!...

Maria                             - Devi dirgli che tu menti con lui, come con tutti, quando fingi di prendere per moneta buona le sue fantasie...

Olga                              - Questo no. Non è vero. Credo in lui, così com'è. Io, Stefano, credo nel tuo ingegno e nel tuo avve­nire. Credo che occorra lasciarti al tuo estro che un giorno o l'altro ti farà improvvisamente salire. Se mi piace aiutarti a costruire i tuoi scintillanti castelli in aria è perché so che per te, come per me, la felicità è in ciò che immagini e non in ciò che sarà.

Maria                             - Tu, però, la tua vita te la sei fatta secondo le meschine leggi borghesi... Il tuo posto... Il tuo sti­pendio...

Olga                              - Perché sono una donna e so di non avere talento...

Stefano                         - (si sfila la cravatta dal colletto e la getta sul tavolino) Ecco. Finalmente ho capito il senso (con intenzione) « tutto » il senso di questo nostro discorso. Olga, non ti sono grato di averlo provocato. In ogni modo, tu ti sbagli sul mio conte. Io non sono neppure un Don Chisciotte, perché non ho una fede come la sua. Sono un uomo comune, come tanti altri. Non è logico aspettarsi da me l'invenzione della telegrafia senza fili, ne una « Santa Giovanna » come quella di Shaw. Secondo giustizia, io oggi dovrei essere «un buon elemento» del Genio Civile o dell'Azienda Ponti e Strade. Maria ha ragione. E non lo sono: questo è il male!

Olga                              - Ma se hai due lauree!

Stefano                         - Troppe. E senza alcuna parentela fra loro. So fare mediocremente troppe cose: mi metto al tavolo per disegnare una chiesa e finisco per comporre la prima quartina d'un sonetto d'amore. E se sono alla scrivania per scrivere il secondo capitolo di un romanzo, è inevi­tabile che mi sorga l'idea di un nuovo ponte sulla Senna... E questo è assolutamente inutile: lo so da me. Baste­rebbe che fossi tanto abile da colpire venti volte su venti al tiro al piccione o fossi il più veloce parruc­chiere per signora, e la mia carriera sarebbe fatta. Oggi è così. Io e Rodolfo eravamo compagni di scuola al ginnasio. Naturalmente io il primo della classe, lui l'ul­timo: tutti zeri, perché invece di studiare andava sul ponte della stazione a contare i treni, i vagoni dei treni, e i finestrini dei vagoni dei treni... E’ stata la sua for­tuna: oggi lui è gestore capo alla sezione merci delle ferrovie, e io gli chiedo in prestito del denaro... Ci vuole una vocazione specifica... Un tempo si sarebbe detto di me « è un uomo completo », oggi non si può dire altro che sono un uomo mancato.

Maria                             - No, Stefano. Ma insegui dei sogni. Frulli come un mulino allo spirare del primo vento! Sei sem­pre pronto a «cambiare rotta.

Stefano                         - Per forza!  Io so che la mia sola salvezza sarebbe nell'imbattermi nella fortuna... E la spio, la in­seguo, la cerco all'angolo di ogni strada... E ce ne sono tanti come me, sapete! Non ci sono mai state tante lot­terie come adesso da noi: in Francia, ce n'è una alla settimana! Ogni mattina io mi affaccio alla finestra per vedere se passa il cavallo bianco delle favole, pronto a saltargli in groppa e ad afferrarmi disperatamente alla sua criniera... Naturalmente non passa mai. E voi mi domandate se so da che parte è il mio bene! Parlate della mia felicità! Lasciate andare... So dov'è e so che non la potrò raggiungere. Non mi tormentate. Dovrei de­dicarmi appassionatamente ad un'impresa e condurla a termine nel corso della mia vita a forza di fede. Come hanno fatto tutti quelli che hanno costruito qualche cosa. Ma è colpa mia se questa fede non l'ho? E' colpa mia se ho trentacinque anni? La guerra è finita ed io ne avevo diciassette. Troppo ragazzo per andare a combat­tere e immergermi in una polvere d'eroismo che poi ha nutrito l'anima a tanti e l'ha illuminata per tutta la vita. Ma troppo adulto per non sentirne l'ombra sulla giovi­nezza. Ho visto mio padre, come il vostro, perdere tutto quello che aveva... Mio fratello morire a trentadue anni quando stava per raccogliere i frutti di una vita di solo lavoro... E il suo fattorino guercio, licenziato perché non aveva voglia di far niente, diventare milionario con delle forniture di scarpe... E' colpa mia se tutto questo ha per­cosso la mia mente con tanta forza che io non so libe­rarmi da queste immagini e aspetto da un momento all'altro la stessa cosa? Posso in queste condizioni di spi­rito farmi un programma di vita che duri dieci anni? Ma un anno già mi sembra problematico! Siamo in pace, voi dite! Ma che pace è la nostra se i nostri governi si alternano come le figure colorate in un caleidoscopio! Chi mi garantisce che stasera stessa non salga al potere un pazzo spinto dal gioco di pazzi? E allora che sarebbe di noi domani? Rimarrebbe la fede nel proprio Paese, nelle sue forze di resistenza! Forse ho torto, mi auguro d'aver torto, ma non mi riesce neppur questo. Vi giuro che se avessi un campo, nel camminarci sopra avrei la sensazione di passeggiare su di una polveriera... E non lo recingerei di un muro alto, non lo farei arare, no! Lo venderei d'urgenza, rovinosamente e manderei l'oro all'estero, in un paese quieto, ordinato, come fanno i furbi. E voi volete che nonostante tutto questo io mi co­struisca una vita felice! E' commovente! No, per quelli come me non c'è via d'uscita. Non possiamo. Non ci ri­mane che attendere alla finestra il nostro inverosimile cavallo bianco...

Olga                              - Tu, però non hai risposto a...

Stefano                         - Non ho risposto? Ma, è chiaro, Olga! Tu sbagli! Il solo e vano tentativo di salvezza è per me una donna come Maria!  Un'ancora in un mare senza fondo! Non servirà a niente, lo so, ma ho il dovere di tentare... (Squilla il campanello del telefono. Stefano stacca il ricevitore e risponde) Pronto. Sì. Sono io. Ah! Casa Editrice «Jeunesse»? II direttore? Sì, aspetto. (Pausa). Buonasera. No, no, affatto. E' un'ora decentissima. Ci ha ripensato? Oh, troppo gentile... Un poco gracile? Ma, vede, io ho voluto appunto descrivere una storia comune che non raggiunge mai... Come è spesso nella vita, capisce? Certo. Non subito... Beh, pazienza! Sì... Sì... Oh, Io so! Naturalmente: sono quelle che rendono di più. Oggi con la letteratura pura non si mangia. Quale settimanale? Ah... «L'asso del pedale»! No, non lo conosco. Non mi sono mai interessato di sport. Ma potrei, se conoscessi il genere... E' urgente?... (Guarda Maria, poi, risolvendosi) Volentieri. Bisogne­rebbe che vedessi gli altri articoli... Bene. Grazie. Sì, domattina. Proverò: sì, speriamo. Buonasera, direttore.

Maria                             - Che cosa voleva?

Stefano                         - Si è ammalato un redattore di un suo periodico di ciclismo. Ha bisogno subito di un articolo. Pare che se ci prendessi la mano potrei essere assunto nel giornale...

Olga                              - E il romanzo?

Stefano                         - In un secondo tempo, dice che se ne potrà parlare...

Olga                              - Ah! E... hai accettato?

Stefano                         - (guardando fissamente Olga) Sì. (Poi sor­ride a Maria. Olga va a sedere sul divano e accende una sigaretta con gesto annoiato).

Maria                             - Sai chi dovrebbe avere dei giornali sportivi? Michelina. E’ fidanzata con uno che ha fatto delle corse in bicicletta. Glie ne ho visti in camera sua... Vuoi che la chiami?

Stefano                         - Sì, sì. Mi fai un piacere. Potrà farci dare delle notizie inedite.

Maria                             - (suona il campanello. Entra Michelina) Mi­chelina...

Michelina                      - Che cosa desidera, signorina?

Maria                             - Michelina, tu...

Stefano                         - (intervenendo) Michelina. Tu sei fidanzata con un ciclista. (Michelina scoppia a piangere di­rottamente). Perché piangi? Non c'è niente di male.

Michelina                      - (tra i singhiozzi) Mi ha lasciata...

Stefano                         - (arrabbiandosi) Santo Dio! E’ mai possi­bile essere così oche da farsi piantare da un ciclista? A me servivano delle informazioni.

Michelina                      - E’ un mascalzone.

Stefano                         - Ma no. Non questo. Michelina, devi far la pace con lui.

Michelina                      - E' impossibile.

Stefano                         - Se tieni a questo servizio... Come si chiama?

Michelina                      - Gastone.

Stefano                         - Se tieni a questo servizio devi fare la pace con Gastone.

Michelina                      - Ha moglie e tre figli!

Stefano                         - Oh, hai ragione, è veramente un ma­scalzone!

Maria                             - Hai almeno dei giornali, degli almanacchi...

Michelina                      - Sì.

Maria \                           - Fa vedere. (Michelina esce asciugandosi gli occhi nel grembiulino).

Stefano                         - Peccato, Sarebbe stato comodo. Qui in casa...

Maria                             - Certo. Peccato.

Olga                              - Una piccola sfortuna, Stefano. Certo, non si può pretendere di trovare proprio tutto in una sola casa... (Silenzio d'imbarazzo).

Michelina                      - (rientrando con un enorme fascio di ritagli di giornali) Ecco. E' tutto quanto mi rimane di tre anni d'amore... Partecipava a tutte le corse e arrivava sempre ultimo... Ci sono anche le sue lettere (posa tutto in terra).

Stefano                         - Quelle te le puoi tenere. (Michelina le inette da una parte). Vediamo un po'. (S'inginocchia per terra accanto ai giornali. A Maria) Mi aiuti?

Maria                             - Certamente, Stefano.

Stefano                         - (frugando tra i giornali e guardando dei pezzi segnati in rosso ne scarta alcuni ed altri li porge a Maria che li depone sul tavolo da disegno) Giro di Francia... Giro di Francia... Ecco. Questa mi serve: la Parigi-Marsiglia del millenovecentotrentotto... quella del trenta sette... Ecco qua: anche la Rouen-Parigi del trentasei. (Olga ogni tanto si volge a guardarli con espressione ironica).

Michelina                      - (fra i singhiozzi) Fu proprio la sera dopo la Rouen-Parigi del trentasei che... Oh, Dio, Dio! Dio!

Olga                              - Eh! Questa è storia, Michelina. A loro oc­corrono fatti molto più modesti...

Stefano                         - (leggendo a caso) L'eroismo del gruppo di punta non conobbe limiti... Quante cose non cono­scono limiti! (Poi riprende) Antonino Magne, il Na­poleone Bonaparte del nostro ciclismo... E’ il tono che sarà difficile imparare... Che grande articolista sportiva sarebbe la zia Giulia!... Vogliamo provare, Maria? Io detto e tu scrivi. Il nostro avvenire può dipendere da questo...

Olga                              - (alzandosi) Bene. Allora io vi lascio al vostro lavoro e vado a teatro... (Avviandosi, poi con ironia) Non voglio disturbare... l'ispirazione del futuro redat­tore dell'« Asso del pedale ». Arrivederci.

Stefano                         - Al ritorno ci racconterai la commedia.

Olga                              - (sulla porta) E voi la vostra. (Esce dalla comune. Maria abbassa il capo e si dispone a scrivere. Stefano alza le spalle alle parole di Olga  guardando i ritagli sì dispone a dettare).

Maria                             - Stefano...

Stefano                         - (quasi senza badarle) Eh?

Maria                             - Oh, niente... Una cosa senza importanza...

Stefano                         - Ma no, di'...

Maria                             - (timidamente) Ti voglio bene. E... se tu vuoi... Io... noi due potremmo...

Stefano                         - (le si avvicina, le accarezza i capelli) Cara! Vuoi consolarmi dell'«Asso del pedale»?

Maria                             - (tenera) E' dunque un dispiacere tanto grande?

Stefano                         - Ma il compenso è maggiore...

Maria                             - (c. s.) Davvero? Ma tu... potrai resistere a... questo colore grigio? (accenna alla carta distesa dinanzi a lei).

Stefano                         - Se mi aiuterai...

Maria                             - (c. s. quasi a sé stessa) Sempre, caro. Sem­pre... Sino a che sentirò che tu lo vuoi...

Stefano                         - E anche quando dovessi accorgerti del contrario, Maria.

Maria                             - Questo è più difficile... Ma io credo che... nonostante quello che hai detto prima... esista anche oggi un premio per gli uomini di buona volontà...

Stefano                         - Sì, cara.

Maria                             - Tutto sta ad avere il coraggio di comin­ciare dal fondo e comportarsi... come se si fosse sicuri di riuscire...

Stefano                         - Tu ne sei sicura?

Maria                             - Ti amo!...

Stefano                         - E allora comincio ad esserne sicuro anch'io...

Maria                             - Poi, riuscire veramente non è molto im­portante... Io saprò sempre in ogni modo quello che tu sei, Stefano! (Stefano la bacia sul viso). Ma forse ho scelto male il momento di dirti queste cose... (Con leggerezza) Il tempo passa e... «L'Asso del pedale» ha fretta! Dunque... Lavoriamo.

Stefano                         - Lavoriamo. (Passeggiando con le mani in tasca) E' dall'epica lotta della Parigi-Marsiglia dell'anno scorso che non si assisteva nel Parnaso del ciclismo francese... (si ferma e si passa la mano sugli occhi. Pau­sa. Poi) Dove eravamo rimasti, Maria?

Maria                             - Al Parnaso, Stefano...

Stefano                         - Già. (Le sorride, poi, continuando) ...nel Parnaso del ciclismo francese ad un tentativo di as­salto titanico come quello che in questa tappa del giro...

Maria                             - (con timidezza) Stefano...

Stefano                         - (continuando) ...in questa decima tappa del Giro di Francia... Che c'è?

Maria                             - Giro- lo vuoi col «G» maiuscolo?

Stefano                         - Non so... Ma è meglio. Sì, sì. Più maiu­scole ci sono e più fa impressione. Come le lettere d'amore dei soldati...

Maria                             - (ripetendo) Giro di Francia...

Stefano                         - (c. s.) II gruppo degli isolati ha scatenato contro gli uomini di Pelissier... Ma, simile a Giove, il mitico campione negli ultimi quattordici chilometri li fulminò uno dopo l'altro... Ed essi caddero appunto come Giapèto, Iperione... (Pausa). Come Giapèto, Iperione... E chi se li ricorda? E... gli altri quattro troppo orgogliosi figli di Titano...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

 (Le otto e mezzo del mattino nella casa di campagna di Olga e Maria. Vasto tinello terreno. Grande tavolo cen­trale, sedie di paglia. Alla sinistra della scena una madia, all’altro lato in prima un camino. Sul fondo, tra una porta «una finestra aperte sull'orto, appesi al muto vecchi arnesi di caccia. A sinistra, una porta in prima e una in seconda; a destra, possibilmente, per movimentare la scena, una scala di legno che porta alle camere superiori. Altri­menti soltanto un'altra porta in seconda. A un attacca­panni è il soprabito di Stefano. La tavola è apparec­chiata per la prima colazione: in mezzo, in un piccolo vaso, un mazzolino di fiori di campo con un biglietto sopra. Accanto al camino, una poltrona. In fondo, al di là della soglia dell'uscio spalancato, sta Sassi con un cappellaccio calcato sulla nuca e una pala tra le braccia, a imitazione dell'atteggiamento delle sentinelle. Egli passeggia avanti e indietro sbuffando, sinché da sinistra in prima non entra Maria con un semplicissimo vestito da mattina).

Maria                             - (stupita) Avvocato!

Sassi                              - Finalmente qualcuno «i sveglia! Buon giorno.

Maria                             - Ha dormito bene?

Sassi                              - (drammatico) Sono qui dalle sei ad aspettare che vi degnate di diventare ricchi!  Ma voi 6ui tesori ci dormite!

Maria                             - Sia ragionevole, Sassi! Ieri sera siamo arri­vati ch'era già buio...

Sassi                              - Che importava? Io so dov'è. Bastava questa (trae dalla tasca una lampadina elettrica e l'accende e spegne un paio di volte).

Maria                             - Lo sa bene che Olga vuole che sia Stefano ,a trovare la cassetta... così, per conto suo... Lei certe delicatezze non le capisce...

Sassi                              - Uff! E poi la signorina Olga è rimasta a Parigi!

Maria                             - Ma neanch'io le capisco, si consoli. Però, dal momento che qui non si fa altro che recitare-cerchi di non mostrarsi con lui troppo informato. Dove le dirà di scavare, lei scavi, e basta. Ha fatto colazione?

Sassi                              - Sì, ho già fatto tutto.

Maria                             - Bravo. Allora deponga l'arma e venga a tenermi compagnia. (Vedendo i fiori) Uh, i miei fiori di campo! (Prende e legge il biglietto) Ben tornata, signorina maestra. Con affetto, i suoi bambini (Maria rimane assorta).

Sassi                              - (prendendole il biglietto) Un « affetto » con una « effe » di meno, però...

Maria                             - (scattando) Sì, ma c'è tanta verità, tanta sem­plicità più che... altrove! Magari si trovasse facilmente un affetto vero anche senza una « effe»!  Mi alzerei tutte le mattine alle cinque per aggiungercela!

Sassi                              - Non si arrabbi. Io non volevo...

Maria                             - No, non mi arrabbio. (Chiamando) Susanna! (Triste) Servirebbe forse a qualche cosa?

Susanna                         - (tipo di contadina in costume, entra da si­nistra in seconda con una lattiera e un pacco di carte) Buongiorno, signorina Maria.

Maria                             - Buongiorno, cara. Vorrei... (nota che Su­sanna ha già il bricco del latte in mano). Ah, brava! Avevi già capito.

Susanna                         - Signorina, questa mattina la nuova signo­rina maestra che è venuta dopo di lei ha mandato questa roba (porge il  pacco di carte).

Maria                             - Cos'è? Compiti? E perché?

Susanna                         - La signorina è malata da tre giorni con un febbrone. Dice che sono i compiti degli esami e che a mezzogiorno arriva l'ispettrice.

Maria                             - E io che c'entro?

Susanna                         - Dice che è una grande fortuna che ieri «era sia arrivata lei, perché se per mezzogiorno glieli corregge le fa un grande piacere e l'ispettrice trova tutto a posto.

Maria                             - Va bene. Metti lì. (Susanna depone il pacco sulla tavola). Mandale a dire che per mezzogiorno li avrà.

Susanna                         - Sì, signorina.

Sassi                              - Anche la signorina Giulia dorme?

Maria                             - No. (A Susanna) Chiamala, per piacere. (Susanna via dalla porta a sinistra in prima). Perché così torvo, Sassi?

SASSI                           - Torvo? No: un poco triste, forse.

Maria                             - L'aria di San Germano.

Sassi                              - Può essere. Ma mi sento invecchiato.

Maria                             - Da ieri sera?

Sassi                              - E che ci vuol tanto a invecchiare? A una certa età basta un'ora. E stamattina ne ho avute più di due a disposizione. Ancora un poco e mi trovavate cen­tenario.

Maria                             - Perché? Cosa ha fatto?

Sassi                              - Ho pensato a me. Che disastro! Forse erano vent'anni che non pensavo a me...

Maria                             - (vedendo rientrare Susanna che tiene per mano zia Giulia che saluta con cenni del capo e sorrisi) Ecco, zia, la pappa è pronta. (Siedono e cominciano a far colazione. Si ode bussare alla porta del fondo. Su­sanna si avvia e rientra mentre sulla soglia appare il postino).

Susanna                         - C'è il postino. Dice che bisogna firmare.

Maria                             - Che venga. Venga avanti! (Susanna via).

Il Postino                      - (entrando e mettendo famigliarmente due dita alla visiera) Salutiamo!

Maria                             - Che c'è, Arturo?

Il Postino                      - Buongiorno, signorina Maria. C'è un tele­gramma per Stefano Corot presso Marmè. (Con il tele-gromma in mano guarda furbescamente ora Sassi ora Maria come per stabilire a chi « appartenga » questo Ste­fano Corot).

Maria                             - Mettete lì. (Il postino depone il telegramma sulla tavola e porge la ricevuta a Maria che dice a Sassi firmando) Chi sa che cos'è...

Il Postino                      - Dice a me?

Maria                             - No, no. Tenete.

Il Postino                      - Credevo che la signorina avesse doman­dato a me di che cosa si tratta! Il segreto epistolare è inviolabile!

Sassi                              - Veramente lei non dovrebbe neppure cono­scere il testo dei telegrammi!

Il Postino                      - Chiedo venia. Legalmente parlando, no. Io sono il postino e non il ricevitore. Ma umanamente...

Maria                             - Arturo! Ricordatevi che ci vuole poco a scan­dalizzare i parigini.

Il Postino                      - Chiedo venia, signorina Maria. Ma ho avuto dal signore un rimbrotto umanamente ingiusto. La legge va interpretata. Io sono una creatura umana che reca un messaggio ad un'altra creatura umana... Può essere una nascita, può essere una morte. Io ho il dovere di atteggiarmi...

Maria                             - Arturo...

Sassi                              - Come sarebbe a dire?

Il Postino                      - Atteggiarmi. Posso io recare un messaggio funebre con una faccia lieta? O uno lieto con una faccia funebre? Posso io, creatura umana, restare indifferente alle gioie e ai dolori che... inserisco in altre creature umane? Sarebbe... chiedo venia... animalesco!

Maria                             - (sorridendo) E’giusto.

Il Postino                      - Dove andrebbe a finire la fraternità? Invece... avete notato il mio sorriso modesto, quando ho dato il telegramma? Buona notizia. Non posso dire di più: è inviolabile.

Sassi                              - Però è comodo!

Il Postino                      - (pieno di sottintesi alza la mano con due dita aperte. Gli altri non capiscono) Due! Duemila! Riverisco. (Si avvia verso il fondo. Quando è sulla porta si volge e dice soffiato) Vi raggiungo domattina. Richiesta cartellone pubblicitario 'Mostra Moda duemila! (Via dal fondo. Poi riappare con la testa e c. s.) Saluti. Olga. (Via. Sassi ride, mentre Giulia batte le mani divertita).

Sassi                              - La signorina Olga ha avuto paura per la sua parte del tesoro! Oh, perché non è venuta con noi ieri, allora?

Maria                             - Perché non aveva ancora.» questa buona no­tizia da darci...

Sassi                              - Stefano dovrà partire!

Maria                             - (triste) Forse, avvocato.

Sassi                              - (con impazienza) E non scende! Io non so quando andremo a...

Maria                             - (mette sul camino il telegramma) Senta. Vedo che lei non resiste. Faccia una cosa, si prenda la zia e... vada a spasso per il giardino...

Sassi                              - Perché?

Maria                             - Avvocato! Dov'è tutta la sua furberia?

Sassi                              - (illuminandosi) - Ah! Sì, grazie. Ho capito (strizza rocchio con intesa).

Maria                             - Io non le ho detto niente, eh?

Sassi                              - Ma certo! (A zia Giulia) Andiamo a fare questa... passeggiata? (Ella lo segue docilmente per mano. Egli prima d'uscire afferra la pala. Via tutti e due. Stefano appare alla sommità della scala, lento, svogliato).

Stefano                         - Buongiorno, Maria. Sassi è pronto per la nostra impresa?

Maria                             - Sì, sì: e da lungo tempo! Come va, caro?

Stefano                         - (scendendo a colazione) Bene. Oh, adesso andremo ad arricchire! Ma che simpatica e bella casa avete! Appena ho spalancato le imposte è entrata una pace! Questa campagna ha una dolcezza di colori straor­dinaria.

Maria                             - Sono contenta che ti piaccia. Passeremo qui qualche buona giornata insieme. Poi torneremo a Parigi e prenderai servizio alla Banca. Vedrai che sarà molto meglio che alla Casa editrice « Jeunesse ».

Stefano                         - Sfido! Non mi hanno voluto! Ma chi po­teva immaginare che Giove fosse meno conosciuto di .Napoleone?

Maria                             - Beh, che vuoi farci! L'uniforme fa sempre colpo! Un altro po' di latte?

Stefano                         - No, grazie.

Maria                             - Sai che ho notato che da un pò di tempo mangi poco? Quando saremo sposati e cucinerò io, spero che farai più onore alla nostra tavola.

Stefano                         - Prometto. (Pausa). Bisognerà cominciare a cercar casa...

 Maria                            - Sì, certo.

Stefano                         - Un paio di stanze... piccole piccole... Dev'es­sere proporzionata allo stipendio...

Maria                             - (ambigua, con grazia, arricciando il naso) Si sentirà appena entrati l'odore di quello che abbiamo mangiato... Ma che importa?... Un medico svedese dice che l'odore di cucina evita l'ulcera allo stomaco...

Stefano                         - Ecco, vedi? C'è sempre un lato buono...

Maria                             - (c. s.) E per consolarci di avere le finestre del cortile metteremo i gerani sui davanzali...

Stefano                         - Genialissima soluzione! Poi, tu sai, ho un certo gusto...

Maria                             - (c. s.) Quanto a questo, povero Stefano, dovrai sbizzarrirti tra una carta a fiorami e mobili di abete!..,

Stefano                         - (sorridendo) Eh, sì!... Soltanto nei film ame­ricani i portinai abitano regge!

Maria                             - Stefano!

Stefano                         - Eh?...

Maria                             - (c. s.) Mi condurrai al cinematografo!

Stefano                         - Al sabato! Solo al sabato sera: perché alla domenica si può dormire, e perché... così vuole un sano concetto dell'economia...

Maria                             - (insinuante) Sei caro. Sai dare un sapore anche a un piccolo programma di vita elementare... E’ tanto più commovente da parte tua, in quanto eri nato per tutt'altra cosa...

Stefano                         - Lo devo a te. Sono tuo allievo, in questo.

Maria                             - A scuola non ne ho mai avuto uno più dili­gente nell'imparare la lezione!.,.

Stefano                         - E poi non sono nato con un cartellino qui (accenna alla fronte): « tu devi essere un ricco signore »!

Maria                             - No. Ma hai scritto qui (accenna al cuore), nell'anima, che sei un artista.

Stefano                         - (con serietà e melanconia) E allora, Maria, se tu Io vedi, questo cartellino, ti prego, leggimelo spesso ad alta voce: ho bisogno di non dimenticarlo!

Maria                             - Ma certo!  Te Io... leggerò due volte al giorno. Quando tornerai a casa dalla Banca... Va bene?...

Stefano                         - (c. s.) Sì.

Maria                             - Ecco. Se basta cosi poco a renderti felice, vuoi che io non lo faccia?

Stefano                         - Però non ti entusiasma!

Maria                             - Oh, oh! Entusiasmo! E' una parola forte che va bandita dal nostro piccolo vocabolario, Stefano! Anche le parole devono essere proporzionate al proprio stipendio...

Stefano                         - (sospirando) Hai ragione, Maria.

Maria                             - Quello che si è di dentro... l'essenza del pro­prio spirito... Tutte storie: credimi, caro. Bisogna ade­guarsi al proprio stipendio!

Stefano                         - (c. s.) Ma certo!

Maria                             - (eccitandosi, quasi con trionfo) Oh, ne sei convinto! E allora, io dico, se tutto dipende dal denaro, perché non tentare di guadagnarne molto?

Stefano                         - (con vivacità) Ma infatti, io ho sempre-.

Maria                             - (c. s.) Giustissimo! Attendere l'occasione pro­pizia... e... zac... migliorare, in un solo colpo tutto: la propria vita, la propria anima, i propri sogni... allargare i confini dei sentimenti, persino le possibilità del proprio vocabolario... Vedrai, Stefano, che ti capiterà presto... Abbi fiducia... E... (con commozione appena accennata) sarai tanto più felice...

Stefano                         - (prendendole una mano e baciandogliela) Cara! ... (Ella si alza per nascondere la sua commo­zione).

Susanna                         - (entrando dal giardino di corsa annunzia)

                                      - E’ arrivata la signorina Olga!

Stefano                         - (alzandosi) Olga?

Olga                              - (entrando rumorosa, elegante e lieta) Ob, cari! Come state! (Stretta di mano tra lei e Stefano. Carezza alla sorella). Sono venuta con il primo treno per fare più presto.

Stefano                         - (scherzoso) Ma come mai? Ti sei decisa a raggiungerci così, all'ultimo minuto... Non bai resistito all'idea di scoprire con noi il tesoro, eh? Hai fatto bene, sei ancora in tempo.

Olga i                            - Ma... il mio telegramma? Non lo avete rice­vuto ?

Stefano                         - Quale?

Maria >                         - Oh, Stefano! Eccolo là. Me ne ero dimenti­cata... (lo prende e glielo porge. Stefano lo apre).

Olga                              - Ma allora lui non sa niente!

Stefano                         - (dopo aver letto, con gioia) Magnifico! E a chi devo questo? (Passa il telegramma a Maria).

Olga                              - Ai tuoi bozzetti. Li ho presi e li ho portati al direttore della Mostra! Gli sono piaciuti...

Stefano                         - Ti sono tanto grato, Olga. Non hai idea come questo mi faccia piacere! Mi sembra di respirare! (Sorride, felice. Poi, rivolto a Maria) Sì, perché aggiun­gere qualche cosa a quei tuoi sogni non guasta, vero, cara?

Maria                             - Oh, no, Stefano. Se poi pensi che con poche ore di lavoro puoi guadagnare due mesi dello stipendio della Banca.

Stefano                         - Brava, Maria, E' proprio così! Bisognerà confermare.

Olga                              - E subito anche: telegrafa. Ecco, questo è l'in­dirizzo (porge a Stefano un biglietto tratto dalla bor­setta).

Stefano                         - (a Maria) E poi bisognerà che io- vada

Maria                             - Certamente. Non bisogna lasciarsi sfuggire una proposta .simile!

Olga                              - Tanto più che potrà avere degli sviluppi...

Stefano                         - (raffreddandosi) Ma, sai... Io non avrò tanto tempo...

Olga                              - Vedi tu...

Stefano                         - Forse potrei...

Maria                             - ... rimandare di un poco il tuo ingresso alla Banca...

Stefano                         - Ecco! Temporeggia re... E vedere come si mettono le cose! Maria, stamattina non ti riconosco: sei di una saggezza impressionante! (l'abbraccia scherzosamente).

Maria                             - Hai ragione.

Stefano                         - Allora, io vado a consultare l'orario e poi telegrafo a Parigi per fissare un appuntamento. ( Via di corsa su per la scala). E prima di partire sono certo di scavare almeno un piccolo tesoro. (Arrestandosi) Vi assicuro che ora aie sono impaziente. (Via di corsa).

Olga                              - Non mi offri niente, Maria?

Maria                             - (grave) Tutto quello che ho. (Olga la guarda, allora Maria accenna al tavolino) Scegli. Latte, caffè, caffè e latte.

Olga                              - (sedendo e servendosi il caffè dopo essersi tolto il cappello e il soprabito da viaggio) E tu non vai a preparare le valige?

Maria                             - No.

Olga                              - Perché? Non ci accompagni a Parigi?

Maria                             - No... io no. Avevo già intenzione di fermarmi più che non credeste a San Germano. Perciò ho insistito perché venisse con noi anche la zia... Andate voi due. Parti con lui. Anzi, tu per questo lavoro gli sarai utilis­sima per i modelli... le conoscenze...

 Olga                             - Questo sì. Ma tu... (Stefano ridiscende di corsa la scala con l’orario in mano).

Maria                             - Non ti preoccupare. Rimango volentieri. Pre­ferisco.

Olga                              - Stefano, io parto con te.

Stefano                         - Naturalmente. Io ho bisogno di te.

Olga                              - Già. Maria, però, vuole rimanere qui! Con­vincila tu.

Stefano                         - (cercando sull'orario) Ma certo! Che ci stai a fare? Trecento... trecento. Non preferirai i pioppi a me! Bada che sono gelosissimo dei pioppi... Trecentosettan-tadue: ecco qua. Dunque il primo treno è alle dieci. Troppo presto: non facciamo a tempo per il tesoro. Ma dov'è Sassi?

Maria                             - Viene subito.

Stefano                         - Ah! Invece, ecco, quello delle undici e ventisette va benissimo. E' un diretto. Ragazzi, per le undici e ventisette: siamo intesi. Vado al telegrafo. (A Maria) Quanto a te, neanche a parlarne di rimanere. (Sii avvia, si volge) Oh, dov'è il telegrafo?

Maria                             - Devi arrivare al paese: attraversalo tutto. In fondo, sulla destra... non puoi sbagliare.

Stefano                         - Bene. (Via di corsa dal fondo).

Olga                              - (Sei proprio decisa?

Maria                             - Sì.

Olga                              - E... Stefano? Così lontana da lui... Non se...

Maria                             - (amara) Oh, quando ci si ama... veramente le distanze non contano. (Pausa), E poi è per poco tempo! Sai, io sono abituata a stare in campagna... Sono una provinciale... Parigi mi dà un poco- alla testa... Ri­mango qui con la zia...

Olga                              - Tutto il mese?

Maria                             - Ecco, sì. Tutto il mese.

Olga                              - Allora non parto neanch'io.

Maria                             - Non fare la sciocca.

Olga                              - Passerò anch'io qui con te gli otto giorni della mia vacanza!

Maria                             - Ma Stefano deve partire e ha bisogno di qual­cuno che... gli stia vicino... che lo aiuti in un lavoro nuovo. Chi meglio di te, in questo caso? Andiamo, ra­giona!

Olga                              - E' vero-, ma... Tu sei una bambina! Senza le e la zia... Devi pur capire...

Maria                             - Per la gente? Le convenienze? Ma, Olga! Tu non sei una provinciale! Quando sei in pace con la tua coscienza... Che t'importa del resto?

Olga                              - Sì, sì-

Maria                             - Siamo d'accordo?

Olga                              - Se proprio insisti...

Maria                             - Ma se te lodico! Sorveglialo, fa che lavori bene, di buon umore... Fa come se ci fossi io, insomma.

Olga                              - (considerandola) Non ti capirò mai, Maria.

Maria                             - Non ho niente di misterioso.

Olga                              - Mah! Forse sei troppo ingenua, troppo chiara perché io ti capisca... In ogni modo, è certo che meriti tutto il bene possibile! (le prende il volto fra le mani e la bacia in fronte affettuosamente. Maria rimane immo­bile a guardare tristemente dinanzi a sé). Ebbene? Che cos'hai?

Maria                             - (riprendendosi) Oh, niente! Pensavo... al Nuovo Testamento, figurati! (Come per cambiare di­scorso) E... Sassi? Ma dove è andato Sassi? (Si fa sull’uscio) Uh! Non ha resistito. (Scherzosa) Ah, mascalzone, farabutto! Scavatore di tesori!

Olga                              - Dov'è? (Esce anche lei dal fondo). Oh! Lo vedi se avevo ragione? Lo sentivo, stamattina in treno!

Maria                             - Guardalo, come corre con la cassetta sotto al braccio! E zia Giulia come si diverte! (Entra, seguito dalle due donne, Sassi, trafelato, con la cassetta sporca di terra, dicendo)

Sassi                              - Ecco fatto! E suona! Suona! (la scuote, depone la cassetta sulla tavola mentre Olga e Maria ne scostano le stoviglie),

Olga                              - Non era nei nostri patti, veramente...

Sassi                              - Oh! Non ne potevo più! Mi facevate venire lo scorbuto, voialtri...

Maria                             - E adesso?

Sassi                              - E adesso l'apriamo. L'apriamo subito subito (afferra un coltello e si dà attorno a scassinare la serra­tura. Giulia entra anch'essa dal fondo e interessata si av­vicina e sta a guardare con curiosità).

Olga                              - Si sbrighi, almeno!

Sassi                              - Eh! E'... arrugginita! Ah! (con un ultimo sforzo è riuscito a far saltare la serratura)

Olga                              - Apra. (Sassi d'un colpo solleva il coperchio).

Olga, Sassi e Maria       - Ooh! (Sassi tuffa le mani nel contenuto della cassetta e lo fa ricadere in pioggia riso­nante).

Sassi                              - (disperato) Bottoni! Olga  - (stupita) Bottoni?

Maria                             - (tranquilla) Bottoni.

Sassi                              - (c. s., quasi piangendo) Di tutte le forme, di tutte le specie... Quadrati, oblunghi, rotondi, d'osso, d'acciaio, di cristallo... Che ricchezza! Che ricchezza di assortimento... (Giulia tuffa con curiosità le mani nella cassetta, mentre Olga siede da un lato avvilita).

Maria                             - (avvicinandosi) Ti dispiace proprio molto?

Olga                              - Sai... quando ci si aspetta una cosa, e invece...

Maria                             - Ma che diritto avevi di aspettarti una for­tuna?

Olga                              - Non dico una fortuna! Ma... mille franchi, guarda! Una moneta d'oro! Una sola!

Maria                             - Sì, da tenere su di un tavolino, per ricordo!

Olga                              - Tu scherzi: ma sarebbe bastata a salvare la nostra speranza dall'archivio delle delusioni!

Sassi                              - Ha ragione la signorina Olga. Se mi promet­tono un regalo, io penso a mille cose ricche. Sarà questo, penso; o quest'altro... Poi magari mi regalano un gicarello da quattro soldi... Ma sono contento lo stesso. Se però mi facessero trovare sotto al cuscino un pezzetto di carbone... E' una beffa. Dispiace...

Maria                             - Ma chi vi ha promesso niente, dico io!

Olga                              - Noi. Noi ce l'eravamo promesso!

Maria                             - Siete come i bambini all'Epifania... avete tro­vato il carbone! Poverini!

Olga                              - Tu queste cose non le hai mai capite.

Maria                             - Mah! Si vede che è così. Forse mi ostino a cercare degli adulti...

Sassi                              - Io poi mi domando chi può essere stato!

Olga                              - A far che?

Sassi                              - A sotterrare dei bottoni... A tracciare una pianta e a nasconderla in un cassetto insieme ad un bril­lante! Bisogna essere pazzi... (Egli stesso e le due donne colpite dalla medesima idea volgono il viso verso Giulia che si diverte a frugare tra i bottoni).

Olga                              - (dopo una pausa si alza, sì avvicina alla zia e mettendole una mano sulla spalla) Zia Giulia.

Giulia                            - Eh?

Olga                              - Non li hai mai visti, tu, questi bottoni?

Giulia                            - Voi credete che siano bottoni?

Olga                              - Tu hai sotterrata questa cassetta?

Giulia                            - Chi lo sa!

Olga                              - Cerca di ricordarti, zia.

Giulia                            - Non bisognava tirarla fuori, perché gli spi­riti buffi, vedete cos'hanno fatto? Bottoni! Ma se li sot­terrate di nuovo, ridiventano subito oro.

Olga                              - (agli altri) E' stata lei, senza dubbio. Chi sa quando. Forse noi non eravamo nate. (Pausa). Ora, via! (Rimette i bottoni che sono sulla tavola nella cassetta, la chiude, la consegna a Giulia) La vuoi custodire tu, zia?

Giulia                            - Se è il buon Dio che lo vuole...

Olga                              - (sospingendola verso la sua camera in prima a sinistra) Lo vuole, lo vuole. Nascondila bene, eh! (Giulia via. Olga agli altri) Fatemi un piacere. Non dite niente a Stefano.

Sassi                              - Per me...

Maria                             - Se è il buon Dio che Io vuole...

Olga                              - Se noi non siamo degli adulti, come tu dici, Stefano lo è meno degli altri. Ne rimarrebbe male. Lei, Sassi, allora, ha scavato senza trovare. E se... (Entra Ste­fano di corsa. Olga a lui) Hai telegrafato?

Stefano                         - Sì. E adesso, avvocato, a noi. Dov'è la pala?

Sassi                              - E'... là. Ho già scavato, ma...

Stefano                         - (dalla soglia della porta) Dove?

Sassi                              - (che lo ha seguito, indicando col braccio) Là.

Stefano                         - Tra l'albero e il pozzo?

Sassi                              - Sì, ho misurato bene...

Stefano                         - Ma io le ho detto tra l'albero e la torretta! (Alle due donne) Aveva voglia a misurare, da quella parte! Ah, Sassi, lei non è un cacciatore di tesori! Adesso le faccio vedere io come si fa! (Lo trascina via per qualche passo, poi si volge) E voi non venite ad assi­stere? E' questione di due minuti.

Olga                              - (facendosi sulla soglia al braccio di Maria) Vi guarderemo da qua.

Maria                             - Sì, è meglio. Avremmo un'emozione troppo intensa...

Stefano                         - (allontanandosi) Va bene, va bene! Nes­suna donna avrebbe seguito Giasone alla conquista del Vello d'Oro! (Via con Sassi. Maria e Olga rimangono di spalle al pubblico appoggiate agli stipiti della porta a guardar fuori).

Maria                             - Non ti smentisci mai, Olga!

Olga                              - Per... perché non ho voluto che Stefano sa­pesse?

Maria                             - Sì.

Olga                              - Non sei d'accordo?

Maria                             - Lo cercherà ancora chi sa fino a quando questo... tesoro!

Olga                              - Appunto. L'importante, per lui, è che non ri­nunci mai a cercarlo.

Maria                             - Ti ammiro, Olga! Del resto, anch'io ci gua­dagno: almeno ogni tanto verrà a scavare una buca da queste parti...

Olga                              - Parli come se ti seppellissi definitivamente a San Germano...

Maria                             - Dopo tutto, non credi che... sarebbe un bene?

Olga                              - Non hai detto -che era per un mese?

Maria                             - Sì... ma non è cosi-

Olga                              - Ma... significherebbe rinunciare a...

Maria                             - Già. (Pausa). Olga, noi abbiamo fatto un certo discorso tra noi...

Olga                              - Sì.

Maria                             - Gli abbiamo posto un quesito. Quale è stata la sua risposta?

Olga                              - Mi pare che abbia detto chiaramente...

Maria                             - Detto! Oh, sì! Lo ha detto... Ma a fatti, di', quale è stata la sua risposta? (Pausa). Lo hai guardato in questi ultimi tempi? Intristito fra una povera cosa seria e l'altra! E appena sei giunta con il tuo cartellone variopinto è divenuto un altro! Adesso... guardalo. Ec­colo laggiù che scava i suoi sogni!... Abbiamo- combattuto lealmente per il suo bene io e te. Ho perduto e pago.

Olga                              - Vuoi rimanere qui per sempre?

Maria                             - Per sempre! Oh, Dio! Vi verrò a trovare qualche volta... A Pasqua o a Natale...

Olga                              - Ma se non hai più neppure la tua scuola...

Maria                             - No. Mi sono fatta mettere in aspettativa. Chiederò di riprendere il mio posto qui, all'ombra del campanile... E poi, guarda (indica la tavola) ho già dei compiti da correggere! Che cosa c'è? Non va bene? E’ la gola conclusione logica...

Olga                              - Sì, ma... Capiscimi, è imbarazzante costruire la propria felicità su di un gesto nobile come il tuo...

Maria                             - Eh, cara! Questo... imbarazzo proprio non te lo posso evitare! Scusami, sai...

Olga                              - Non mi fraintendere. Stefano quando saprà che hai rinunciato a lui per amor suo...

Maria                             - Certo, sarebbe più comodo per te che io gli combinassi una porcheria... Che mi facessi trovare fra le braccia di un suo amico, di Rodolfo.»

Olga                              - Non dico questo.

Maria                             - Meno male! E poi, non saprà. Sarà una cosa insensibile, graduale... E' già cominciata, del resto. Un bel giorno se ne accorgerà anche lui. Avrà una breve crisi di coscienza, perché è onesto... Forse farà un viag­gio sin qui per... parlarmi. Ma, sta tranquilla, mi troverà tanto noiosa!.»

Olga                              - (commossa fa per avvicinarlese) Maria, io...

Maria                             - No, eh! Questo no. Per me è imbarazzante questo, vedi? Abbracciarti.

Olga                              - Ma, allora...

Maria                             - Passerà. Ecco Stefano. (A lui che ritorna) Eb­bene? Niente?

Stefano                         - (dopo un poco appare sulla soglia sfiduciato, seguito da Sassi con la pala) Niente. Ci deve essere un errore. O le cifre sono convenzionali.... o questo cir­coletto (indica la carta) non è ne il pozzo né la torretta. Non c'era qualche altra cosa, una volta nel vostro giar­dino?

Maria                             - Chi sa!

Olga                              - Forse.

Stefano                         - Eh, dovreste saperlo!

Maria                             - Stefano, chi può dire di conoscere veramente il proprio giardino?

Stefano                         - (distratto) Già. E' giusto. E' molto giusto quello che dici, piccolina... (Illuminandosi) Ma lo trove­remo! Ne sono sicuro. A costo di ritentare cento volte! Ma lo troveremo, (Guarda l’orologio) Siete pronte? La mia valigia è chiusa.

Olga                              - Sassi, andiamo a chiudere la sua.

Sassi                              - Devo partire?

Olga                              - Sì, sì.

Sassi                              - Ah! Per accompagnare Stefano al cartellone pubblicitario Mostra Moda duemila!

Stefano                         - Come lo sa? Lettura del pensiero?

Sassi                              - No. Lettura del postino, (Si avvia su per la scala. Via con Olga).

Stefano                         - (a Maria) E tu?

Maria                             - Io rimango qui a... sorvegliare.

Stefano                         - Ma come? Ti ho detto...

Maria                             - Mi fa tanto piacere, Stefano, ritrovare per un poco la mia campagna! E' tanto bella, come tu dicevi...

Stefano                         - Sì, ma se fossi rimasto anch'io, lo capirei...

Maria                             - (con leggerissima commozione contenuta) Oh, lo so! Sarebbe stato meraviglioso... Ma non si è potuto! Non si è potuto proprio... (riprendendosi) dal momento che tu devi partire.

Stefano                         - (sinceramente) Mi dispiace.

Maria                             - Ti ringrazio.

Stefano                         - Ma non avrai intenzione di fermarti molto!

Maria                             - Noo! Un poco. Solo un poco. Ti scriverò.

Stefano                         - Ed io ti verrò a prendere.

Maria                             - Ecco, sì. Siamo intesi: quando ti scriverò di venirmi a prendere, tu...

Stefano                         - E resteremo qui insieme qualche giorno.

Maria                             - Sì. Intanto avrai già consegnato il cartellone, forse avrai combinato altro lavoro, e... avrai tante cose da raccontarmi.

Stefano                         - Certo. E... cosa farai qui tutto il giorno?

Maria                             - Passeggerò sul nostro tesoro sotterrato... Poi mi verranno a trovare i miei bambini... Li troverò cre­sciuti...

Stefano                         - (attirandola a sé) Ed io lavorerò per te. Perché tu sia contenta. Eh? Lascia fare a me...

Maria i                           - Sì... (Egli fa per abbracciarla. Maria, pren­dendogli il polso e guardando l'orologio) Stefano!

Stefano                         - (lasciandola) Che c'è?

Maria                             - E’ tardi! Non vorrai perdere il treno! Su­sanna!  Olga!  Sassi!

Susanna                         - (entrando da sinistra in seconda) Signorina?

Maria                             - La valigia del professore, presto. (Susanna via su per la scala).

Olga                              - (affacciandosi dalla scala) Siamo pronti! (Scende).

Maria                             - Allora, fate buon viaggio. E scrivetemi.

Stefano e

Olga                              - (insieme) Stai tranquilla.

Sassi                              - (compare sulla scala con berretto e valigetta se­guito da Susanna con la valigia di Stefano e il suo cap­pello) Eccomi.

Maria                             - Susanna, prendi anche il soprabito della si­gnorina Olga. (Susanna eseguisce).

Sassi                              - Andiamo?

Stefano                         - Sì. (Prende il cappello dalle mani di Su­sanna).

Sassi                              - Allora, arrivederci, signorina Maria.

Maria                             - Arrivederci, caro Sassi. Mi raccomando, le sue unità!

Sassi                              - Macché! Forse le abbandono...

Maria                             - Eh, via! Cose che si dicono.,.

Sassi                              - Già... Forse ha ragione. Arrivederci. (Dà la mano a Maria, poi, avvicinandosi) Permette?

Maria                             - Ma certo! (Sassi la bacia paternamente sui capelli).

Stefano                         - Noi siamo intesi, eh Maria? (l’attira sé).

Maria                             - Sì. Addio, Stefano.

Stefano                         - Arrivederci, piccola (si china a baciarla, ma essa abbassa il viso e si fa baciare sulla fronte).

Maria                             - Ciao, Olga.

Olga                              - (imbarazzata sta per avvicinarsi. Maria la guarda. Olga tende la mano) Ciao. (Maria la stringe in fretta. Tutti si avviano; appare Giulia sulla porta di sinistra in prima).

Sassi                              - (tornando indietro) - Arrivederla, signora. (Ella fa un grazioso inchino e si avvicina alfa porta).

Stefano                         - (prende la mano a Giulia, non sa cosa dire, infine) Stia bene. (Olga l'abbraccia in silenzio).

(Tutti, tranne Maria e Giulia che rimangono sulla soglia, escono dal fondo ancora salutando Maria che rimane a lungo a salutare con la mano, mentre Giulia si rimette al suo posto accanto al camino. Maria rimane con la testa appoggiata allo stipite a guardare lui che s'allontana. In­fine rientra trattenendo a stento i singhiozzi', vede il so­prabito che Stefano ha dimenticato, lo afferra, si rifà sull'uscio mentre Susanna entra a sparecchiare e grida)

Maria                             - Stefano! Stefano! Stefano!

Susanna                         - Non la può sentire. E’ già troppo lontano. (Pausa). Vuole che lo raggiunga?

Maria                             - (dopo un attimo di esitazione stringendosi il cappotto) No. (Fa ancora qualche passo per la stanza; getta il soprabito su di una sedia, presso la tavola; poi corre a riprenderlo per aggiustarlo bene su la spalliera).

Susanna                         - (che ha finito di sparecchiare sta per portare via il vassoio. Indicando i compiti sulla tavola) Signo­rina, si ricordi i compiti.

Maria                             - (con un gesto di stanchezza) Sì, sì. (Susanna via. Maria va a prendere una matita rossa e blu da un cassetto e siede alla tavola centrale cominciando a correg­gere il primo compito, segnando qua e là gli errori. Infine dice leggendo) «Era un giorno di primavera, ma gli uccellini se ne erano andati via tutti e le oche erano di­magrite perché Anna aveva mentito. (Pausa). Invece Eli­sabetta era buona e perciò era felice...». Non basta, cara. Non basta! Eppure bisogna insegnare loro queste bugie! Poi a questa (guardando il nome dietro il compito) Carlottina... Carlottina Cocardier, quando sarà cresciuta, non basteranno gli occhi per piangere... Ma sarebbe troppo brutto, Carlottina, che tu Io sapessi fino da ora! A che ti servirebbe avere dieci anni? Questa bugiarda della tua nuova maestra!  Ti ha dato un tema simile: « La verità e la base di ogni felicità! ». Per ingannarti ancora per un poco. Per ingannarti il più possibile... La verità! (Guarda il soprabito come fosse un interlocutore) Ah! Ah! Ah! Carlottina, vedi, c'è chi la pensa molto diversa­mente... Sarei costretta a darti un brutto voto, se tu non meritassi dieci in... speranza!... Perché io lo so che tu sei come la tua Elisabetta! Povera piccolina! Ce n'è tanto poco in giro di oro vero! (Non reggendo più allo sforzo di trattenere le lacrime, getta via ì compiti e balbetta) Oh, zia Giulia! Neanche lui era d'oro vero! (Si accoc­cola singhiozzando ai piedi della zia, nascondendo il viso su le ginocchia di lei).

Giulia                            - Te l'ho già detto com'è: è roba che solo quando la sotterri diventa d’oro...

FINE