MURI
collage di momenti lirici in 26 scene di
Anna Ceravolo
1. Voi
bastardi - You bastards - 2. Omaggio al tempo - I derelitti – 3. Omaggio al
destino - L’impotenza – 4. Omaggio al regime - La vecchia anzitempo – 5. Le
gioie del carcere – 6. Riflessione su: Le gioie del carcere – 7. La casa – 8.
Giochi d’infanzia 1 – La palla – 9 Analisi psicologica – 10. Io e i miei
complessi – 11. Pensiero crepuscolare – 12. Giochi d’infanzia 2 – Un ricordo – 13.
Giochi d’infanzia 3 – A nascondino – 14. Semplice – 15. Ex DDR 1990 – 16.
Riflessione – 17. Ex DDR 1990 – 18. Dedicato Dedicato – 19. Il manicomio – 20.
Cessi pubblici – Malinconia – 21. Autoriflessione – 22. Nel Suo pensiero – 23.
Graffiti – 24. La diva (Greta Garbo?) – 25. La prostituta – Addis Abeba 1936 –
26. Aldilà.
1.
Il muro siete voi, che avete occhi di vetro, che mi guardate e sputate fantasie
pettegole, sogni d’altri tempi.
Muri io vi abbatterò; con le mie spalle tonde, le mie mani lunghe e il mio
coraggio che non ho perduto.
O vi ignorerò, vi attraverserò come un faro nella nebbia, senza fatica e senza
farmi accorgere.
In fretta.
Per non appartenervi più di un attimo.
Vorrei vedere i vostri scalpi appesi a un chiodo e ghirlande d’intestini tintinnanti
al mio passaggio, e i vostri occhi di vetro, anneriti e rigonfi e duri di
sangue rappreso, come gli occhi dei conigli, sgusciati dalla loro pelle, nella
vetrina del macellaio.
2.
Il tempo sgretola i muri, e consuma la mia vita, le vite già logore, e le vite
che verranno, le non incominciate, ancora. Il tempo si è infilato nel limbo e
lo lavora come una carie. C’è puzza di marcio nel limbo, rutti fetidi per il
non digerito, coaguli di sangue che s’impigliano in catenelle d’oro.
Volti esplosi, neri, pieni di vermi, uscite fieri e camminate eretti!
Ogni ombra che s’avvicina vi fa sobbalzare? Non temete, fratelli, i passanti
hanno fretta.
3.
Non riesco a tollerare l’idea della non vita, la barriera bianca di un muro
illuminato.
Non è il tempo che passa, ma la vita negata che disturba i miei sonni. È il
muro che incombe sulle nostre ombre, e con la sua ombra le cancella.
4.
Ho visto muri sgretolati ostinarsi a restare in piedi.
Il tempo passa e mi toglie la speranza. Mi sogno ogni notte il crollare dei
muri, il mattino sopravanza e loro stanno sempre là. Immobili e immortali, come
stelle fisse.
Ci vogliono occhi disincantati per reggere la loro vista. Un occhio ingenuo non
ce la fa.
5.
Adoro questa prigione, e bacio le mani al mio carceriere che ogni giorno mi
riempie la scodella di minestra. Sciacquatura di piatti, la chiamano, quelle
ingrate delle mie compagnie, invece è deliziosa, non ne avevo mai assaggiata
una migliore prima di venire qui.
Non mi annoio a guardare questi muri; sto imparando a conoscerli, anzi, sto
imparando a riconoscerli. Stanno diventando familiari, come il mio corpo che
non mi stanco mai di osservare, di imparare, di inventariare. Una piccola
cicatrice al centro del mento dove non c’è quasi carne, due nei sul pollice
sinistro, tre grosse vene sporgenti, come un rettangolo senza un lato dietro il
polpaccio sinistro, il polpaccio destro leggermente più magro del sinistro, una
lunga smagliatura sulla coscia destra, quattro puntini rossi sotto l’ascella
destra, e inoltre posso già indovinare il posto delle rughe sulla mia faccia,
tra qualche anno. È proprio una fortuna che non mi abbiano portato via lo
specchio, così controllo ogni giorno se qualcosa è cambiato.
Batto tre volte contro il muro per svegliarti. Cerchiamo la vita sotto il
lenzuolo, fuori da questa cella è solo morte. Scivoli per terra e ti incolli
alle pareti. Questi muri fanno la guardia all’amore, come vestali insonni. Mi
lavo con cura ogni mattina, il nostro fuoco non si spegnerà!
Carceri! Magnifici castelli! Non amo invano… Amo come ho sempre voluto essere
amata. Dò quel che volevo ricevere. Voi non siete più liberi di me! Dentro
queste quattro mura sento i violini e le cicale, e vedo il sole, e i tetti, e
la strada, e i fili d’erba che la ornano.
6.
L’uomo e la donna sanno amare nello stesso modo, quando è necessario.
I muri sono i testimoni muti dei vostri peccati. Continuate a peccare, ed
ostinatevi a chiamarlo amore il vostro peccato. Peccato e amore, per molti sono
sinonimi. Ma le parole sono solo suoni o sogni. E dove c’è amore non può
esistere peccato. Di questo sono sicura.
Quale peccato avranno commesso questi pezzi di carne ansimanti?
7.
Le nostre solitudini, nascoste nel silenzio, nascoste nel rumore, unite in
orazione.
Ognuna in una stanza.
Chiuse a chiave.
8.
Il muro amico mi rimanda la palla nella solitudine dei giochi estivi. La palla
rimbalza sul muro accompagnata da filastrocche ripetute fino a perdere il loro
senso; e anche le parole rimbalzano, e faccio in fretta a riprenderle sulle
labbra, prima che cadano per terra e scivolino via.
Invoco la mia musa, una musa, una qualsiasi, quella che mi sta ascoltando.
9.
Potrei accendere un fiammifero sfregandolo contro un muro ruvido. E poi un
altro, e poi un altro, e poi un altro, e poi un altro ancora, quasi stessi
morendo assiderata come una novella, piccola fiammiferaia. No, non ci tengo a
fare una brutta fine. Sto studiando un altro modo per immortalarmi; anzi, mi
domando a cosa serva immortalarsi. Non è più magico essere un puntino che
svanisce improvvisamente? Stella cadente che si lascia dietro una scia luminosa
e di breve durata?
Così possiamo renderci conto che un muro può avere la stessa funzione del tacco
di una scarpa, o di un quadratino di carta vetrata incollato sulla scatola dei
cerini, con grande spreco di spazio, dal canto suo.
È possibile distinguere tre categorie di persone psicologicamente diverse in
base alla loro scelta di accendere un fiammifero sfregandolo contro la scatola,
il tacco o il muro.
Se il soggetto da esaminare sceglie la scatola, è pratico, economo e di poche
parole. Se sceglie il tacco è introverso ed egocentrico, si china su se stesso,
come se potesse sprigionare fuoco dalle proprie membra. Ma se sceglie il muro…
Abbandonatelo al suo destino. È malato di manie di grandezza e non sa
rassegnarsi ad essere un mediocre. Chi ha a che fare coi muri, è sempre un tipo
pericoloso.
Con tutto rispetto per i muratori.
10.
Quando mi sento in prigione.
Mi sembra di vedere il cielo, le montagne, mi sembra persino che i fumi della
terra si sollevino fino a intontirmi. Poi mi dico: «Ti stai sbagliando». Chiudo
gli occhi. Apro gli occhi. Chiudo gli occhi. Apro gli occhi. Chiudo gli occhi.
Apro gli occhi. Riesco a vedere il cielo, ma non vedo i muri della mia
prigione. Sono trasparenti. Forse sono di vetro o di cristallo. Racchiudono la
mia vita, circondano la mia vita. Io lo so che non posso scappare. Non ho mai
provato, neppure. Sì, una volta sì, ma non sono andata lontano. Mi sento tanto
grassa, e goffa, e insultata; allora mi appoggio al muro, e mi sento al sicuro.
Oh, delizioso hotel! Sul tuo tappeto rosso io ci cagherei sopra per farti
capire quanto ti amo.
11.
Insetti. Siete voi i miei amici. Che sfidate la forza di gravità, e percorrete
i muri. Passo dopo passo, attraversate pareti sterminate. Camminate. A testa in
giù verso il basso. Senza cadere. Perché. O verso l’alto, o in ogni direzione.
Magnetizzati al muro, come. La testa non pesa più dell’ala, o comunque non
sembra, dentro un meccanismo di equilibri, troppo difficile per me.
Insetti! Mosche e moschini, zanzare e vespe, farfalle notturne! Voi mi fate
compagnia. Ma solo quando camminate, quando volate non vi riconosco più. Ma
quando camminate, invece… avete il ritmo della mia attesa della cena. Il giorno
è quasi finito e domani… ci penso domani a tutto. Insetti che apparite
all’improvviso, vi vedo sul muro, ma non vi vedo arrivare. Insetti, cerco di
amarvi perché mi fate compagnia, perché mi camminate vicino. Nel buio della
strada e nel buio della casa, mi basta accendere una piccola lampada, e voi mi
venite a trovare. Ogni sera. Le coccinelle e i moschini piccoli sono i miei
preferiti. Camminano, poi smettono, volano, e camminano ancora, e riprendono la
strada dove l’avevano lasciata. Camminano, volano, camminano: è un mistero.
Anche le lucertole si avvinghiano ai muri assolati, e ci guizzano sopra a
scatti repentini. Anche le lucertole, appiattite contro i muri, infrangono le
leggi di gravità, ma mi piacciono di meno, perché fuggono sempre quando mi
vedono.
12.
I muri bassi li scavalco, ma i muri alti, no. I muri alti devono servire a
ripararmi. Ripararmi da cosa? Forse dal vento, o dal sole.
Piango nel buio come un fanciullo, e i muri non mi consolano, anche se sono
alti. I muri non parlano, non cantano e non mi cullano, nessuno lo fa.
Ci si cammina, anche, sopra i muri.
Con grande equilibrio e paura di cadere. In solitaria concentrazione, cammino
diritto, e faccio angoli senza scendere dal muro, quasi che toccare terra con i
piedi, fosse un’eresia.
13.
Chiudevo gli occhi, la faccia contro il muro, il braccio sopra la testa,
aderente al muro.
Contavo, e col contare cresceva la paura.
In quei momenti il muro smetteva di essere piatto, e diventava profondo.
Penetravo dentro di lui senza sforzo, e senza accorgermene neppure. Dietro il
buio delle mie palpebre abbassate, perdevo me stessa dentro la parete
spalancata e stretta, tanto generosa con me. M’inzaccheravo nella sua calce
bianca, col cuore in gola e con le mani aperte.
Lascia che ti chiami parete adesso, e non più muro.
Io ti difenderò come un guerriero, come un soldato la sua patria quando pensa
alle donne che lo vedranno eroe.
14.
Davanti a me si ergeva un muro, come una trincea.
Mi avvicinai, era bianco e pulito; lo toccai, era liscio e fresco. Mi innamorai
di lui.
Da quel momento non provai più il desiderio di sapere cosa esisteva oltre.
15.
Il muro abbattuto a colpi di piccone è adesso un muro inesistente.
Arriverà il giorno che la lista dei testimoni oculari sarà tutta spuntata. Agli
altri il muro farà un altro effetto. Un giorno dopo l’altro spinge avanti la
vita, tutto cambia significato.
Il muro sgretolato, il muro che non è più muro, ma briciole di muro, separate
l’una dall’altra, indistinguibili. Non più lo stesso corpo, ma membra
martoriate in infiniti pezzi.
Suoni duri, suoni aspri, nomi di città; il passato, e il passato ancora più
lontano ci raccontano di loro. Diversamente, perché anche la memoria ha dei
muri a confinarla. Di che verità ci volete parlare, briciole di muro?
Parete incandescente e gelida. Occhi che hanno sperato o che hanno maledetto
guardandoti.
Prima o poi la fatica si spegne.
Che verità alita nel cielo stupefatto? Nei cieli elettrici percorsi da
scheletri fili spinati? Il signor Zimmermann ne sa qualcosa, ma adesso sta
dormendo. Parlarne ora è troppo presto.
Ah! Se avessi i soldi per comprarmi il giornale tutti i giorni!
La mia testa è un muro tutto a bugne.
16.
I muri diventano così familiari, a volte, così consueti, così noiosi.
17.
Noi, case sventrate del comunismo.
I nostri muri trasudano delitti; ogni vetro infranto, una speranza infranta.
Di giovani timidi ed esibizionisti, di questo abbiamo bisogno: di rinnovati
padroni.
Guardie mattutine, sentinelle, sbirri, ladri di galline, domestiche avvizzite,
e funzionari, tramvieri, operai: tutti prigionieri, politici per l’esattezza.
Accalcati intorno ai chioschi o nei magazzini stipati di cianfrusaglie male
assortite, vi godete le sfrenatezze di una moneta che vale sempre meno.
Le caserme sono recinti dove bei ragazzi in uniforme camminano in modo innaturale
o stanno immobili con armi pesanti appese al collo. E nelle strade anche li
troviamo, agli incroci deserti della notte, sotto la luce arancio dei lampioni.
Nessuna Lili Marlene li sta aspettando.
Suonate i pianoforti coi martelli, non gettateli via insieme alle falci, vicini
sono decorativi.
18.
Attraversiamo spasmi d’apatia, di sonni rimasticati, di sole di cartone.
Ma caldo.
Poi ce ne pentiamo, e gli arti informicolati riprendono l’affanno.
Lapidi di marmo affisse ai muri, sulle strade, aspettano anche loro che cambi
il tempo.
19.
Picchiata sulla testa fino a farmi perdere i sensi… insana… indemoniata…
insana…
Io… io… io… se diventassi pazza, mi suiciderei. Se diventassi pazza…
Il mio mondo… il mio mondo è nella testa. Tutto nella testa. Senza la testa, il
mio corpo… gode per il cibo buono che danno qui in ospedale la domenica, e
soffre per le docce gelide.
Io penso cose… che nessuno mai… sarà capace di pensare… io penso cose… che
nessuno mai… sarà capace di pensare.
Non c’è pietà né pazienza per un pazzo… non c’è dignità. Un piatto, una sedia,
un letto, per gli infermieri è uguale. Iniezioni di canfora… voi non sapete
come ho paura… delle iniezioni… come ho paura…
Piango!
Per la camicia di forza e per il bavaglio.
Basta bianco! Basta bianco!
Picchio forte la testa contro i muri, e le spalle, e il petto, e le mani…
perché sono bianchi!… voglio il rosso… il sangue delle mie mestruazioni che mi
hanno portato via. Ho paura, sì! Che mi trattino male, che mi sentano
lamentare, e vengano a bucarmi la pelle… con le loro siringhe… come ho paura…
voi non sapete… come ho paura…
Merda!
Un giorno ho mangiato la mia merda.
Dio sono un uomo!… no, sono una donna…
Non capisco perché c’è sempre qualcuno dietro a delle sbarre che mi guarda e
dice «come si è ridotta»… c’è sempre qualcuno dietro a delle sbarre che mi
guarda e dice «come si è ridotta»…
20.
Di solito scrivo i miei messaggi sulla carta, ma qualche volta imbratto i muri.
Nell’intimità delle latrine sbocciano poesie, sos, dichiarazioni d’amore.
I ricordi scolastici ci riportano nelle latrine decorate, dove si dialogava
addirittura, contro il muro.
Qualcuno lanciava un quesito, e chi aveva qualcosa da rispondere poteva
esprimere il suo punto di vista: bastava scrivere tutto di seguito.
Qualcun’altro lasciava il suo telefono dichiarandosi lesbica, e qualcuno
inneggiava alla squadra del cuore.
Ogni mano di vernice si portava via le nostre preghiere.
21.
Mi soffermo e rifletto: sono logorroica.
Mi piacciono i messaggi telegrafici.
E adesso andiamo avanti.
22.
Io sono il muro e vengo a dividere, non ad unire. La cucina dal bagno, la
camera dal soggiorno.
Avanzo il diritto ad un’anima. Mi scuso della banalità.
Sono io che vi nascondo, che conservo i vostri segreti, che vi proteggo.
Chiamatemi… come vi pare.
Anzi non chiamatemi.
Io sono là. O qui. Sto fermo. Non posso accorrere ai vostri appelli.
Vedo ogni giorno lo stesso paesaggio. E questo mi annoia molto, credetemi. Per
fortuna che almeno voi mi distraete. Più i vostri guai sono complicati, e più
io mi distraggo. Più impallidite e vi disperate, e più io mi distraggo.
Quando qualcuno di voi casca a terra stecchito, io mi distraggo, mi distraggo,
mi distraggo. È un toccasana, perdo dieci anni.
Il dottore mi ha prescritto almeno un suicidio alla settimana. Le giovani generazioni,
forza, dateci dentro. Devo farvi un elogio, perché da questo punto di vista,
siete sempre quelli che mi date più soddisfazioni. Però si può fare di più e
meglio. Coraggio!
23.
I murales occhieggiano ai lati delle strade quando passiamo. Ci scrutiamo a
vicenda e ci lasciamo indifferenti. Uguali testimoni dei marciapiedi inerti e
senza volontà. Senza volontà come i muri dipinti, che son restati fermi ad
assorbire vernice, senza volontà come me, nei giorni in cui conto i miei
giorni.
Nottate di colore, per farvi belli, muri! E imbianchini senza sonno; ma pieni
di buone intenzioni: artistiche e pedagogiche.
Complimenti davvero! Non sono capolavori, ma almeno attirano l’occhio (ecco
come succedono gli incidenti!).
Eh, no! Non si può proprio più vivere nelle nostre città grige e senza fiato!
Andiamocene via!
24.
Grido il tuo nome e il muro se lo divora.
Je suis seule.
Vorrei incontrare gli occhi tristi dell’amore e accecarlo. Perché l’amore non è
cieco. Mi guarda e fugge. Cammina a piedi scalzi. Quando mi passa vicino il mio
cuore s’increspa, ma non so se è l’affanno.
Se io non appartengo a nessun uomo, o donna, ma appartengo a Dio; perché Dio
non è più esplicito?
Io amo le donne perché vorrei assomigliare alle donne. Ma non a quelle donne
che piacciono agli uomini che io detesto.
State svegli e pregate, perché il tempo è maturo. Il tempo della morte: eterno
malessere e finalmente malattia. Ognuno spinge il proprio muro.
Inutilmente.
25.
La mia bottega ha tre pareti e una tenda per entrare. I muri sono storti, così
la mia bottega non so nemmeno che forma ha. È gelida d’inverno, mentre d’estate
si soffoca. E io vendo la mia mercanzia tutto l’anno. Sventola una bandiera
gialla sopra la mia bottega, quando mi devo riposare. Tiro la tenda e chiudo la
finestra. E io la rimango a guardare, la finestra. La finestra che è la protesi
del muro a cui è stato amputato un organo.
Ed ora non sanguina più.
26.
Posso morire senza chiedere il permesso di nessuno. Scivolare piano piano in un
pozzo umido e stare là per sempre. Per sempre.
C’è un sottile strato umido e molle per terra, non mi posso sedere. Ho freddo.
Mi appoggio alla parete rotonda, muschio fradicio che mi gocciola sulle
caviglie. Lo sento con le mani, è tutto buio. Piano piano le pupille si
dilatano e mi abituo a questa fitta oscurità.
Niente e nessuno, è un semplice pozzo dal diametro delle mia braccia aperte, di
pietra ghiaccia e familiare a toccarsi, come di pelle.
Lontano, sopra la testa, il cerchio bianco dai bordi luminosi di un mondo che
non conoscerò mai più, ma so che esiste, perché sono stata sua. Quel cerchio
lontano è la mia aureola, sta a metri e metri sopra la mia testa.
Ecco cos’è l’aldilà: una tana scavata sottoterra, dove si trova fresco e
silenzio, dove ci si ripara dall’estate. Una casa di rane e pipistrelli.
Non sono all’inferno, allora, perché non c’è fuoco, e facce gialle e rosse, e
ombre spaventose. E neanche in paradiso perché nessuno canta, né l’aria è
azzurro e oro; ma sono in fondo a un pozzo, ingiudicata e scomoda, tornata a
dove ero, il ventre freddo di mia madre, e finalmente sola.