Nathan il saggio

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Gotthold Ephraim Lessing

(Kamenz, 22 gennaio 1729 - Braunschweig, 15 febbraio 1781)

Il massimo esponente dell'Illuminismo letterario tedesco.

NATHAN IL SAGGIO

A cura di Diego Fusaro

PERSONAGGI

IL SULTANO SALADINO

SITTAH, sua sorella

NATHAN, ricco ebreo di Gerusalemme RECHA, sua figlia adottiva

DAJA, cristiana che vive in casa di Nathan come dama di compagnia di Recha

UN GIOVANE TEMPLARE

UN DERVISCIO

IL PATRIARCA DI GERUSALEMME

UN FRATE

UN EMIRO

Alcuni mamelucchi del Saladino

La scena è a Gerusalemme.

1


ATTO I

Scena I

Il cortile della casa di Nathan. Arriva Nathan, di ritorno da un viaggio. Daja gli va incontro.

DAJA:

È lui! È Nathan! - Grazie a Dio in eterno! Finalmente siete di ritorno.

NATHAN:

Sì, Daja; grazie a Dio. Ma perché finalmente? Volevo forse ritornare prima? E come avrei potuto?

Babilonia dista da Gerusalemme, deviando a destra e a sinistra, come spesso dovetti fare, duecento buone

miglia; e riscuotere crediti è un negozio che non accelera la via, che non si lascia sbrigare troppo in fretta.

DAJA:

Oh, Nathan, quale sventura poteva nel frattempo colpirvi proprio qui! Casa vostra...

NATHAN:

È bruciata. L'ho già sentito dire. - Voglia Iddio che non abbia nient'altro da sentire!

DAJA:

Per poco non bruciò da cima a fondo.

NATHAN:

Allora, Daja, ne avremmo costruita una nuova, più comoda.

DAJA:

Sì, certo. -Ma per un soffio non bruciò anche Recha.

NATHAN:

Chi? Recha? La mia Recha? Lei? -Questo non lo sapevo. - Allora non avrei più avuto bisogno di una casa.

-Non bruciò per un soffio! - Ah! Certo è bruciata! È bruciata davvero! - Dimmi tutto! Dimmelo! - Uccidimi

e non torturarmi più così. - Sì, è bruciata.

DAJA:

Se lo fosse, lo udreste forse dalla mia bocca?

NATHAN:

Perché mi spaventi allora? - Oh, Recha! Recha mia!

DAJA:

Vostra? Recha vostra?

NATHAN:

Di nuovo? E non dovrei chiamare più mia figlia?

DAJA:

Con lo stesso diritto chiamate vostro tutto ciò che possedete?

NATHAN:

Nulla con maggior diritto. Tutto il resto l'ho avuto dalla natura e dalla sorte. Lei sola ho guadagnato con la

virtù.

DAJA:

Ma quanto cara a me fate pagare, Nathan, la vostra bontà! Se la bontà con simili intenzioni si può dire

bontà.

NATHAN:

Con simili intenzioni? E quali?

DAJA:

La mia coscienza...

NATHAN:

Daja, lascia che ti dica piuttosto delle cose...

DAJA:

La mia coscienza, voglio dire...

NATHAN:

Delle belle stoffe che per te ho comperato a Babilonia. Stoffe ricche, ma fatte con gusto. Per Recha non ne

ho prese di più belle.

DAJA:

A che pro? La mia coscienza, ormai sono costretta a dirvelo, non può più tacere.

NATHAN:

Vedrai, ti piaceranno gli orecchini, i bracciali, l'anello e la collana che ho cercato per te a Damasco. Non

vuoi vederli?

DAJA:

Ecco come siete. Voi pensate soltanto a regalare!

NATHAN:

Tu prendi di buon grado come io dono - e taci.

DAJA:

Taci! - Chi dubita, Nathan , che voi siate l'onestà, la generosità in persona? Eppure...

NATHAN:

Eppure sono solo un ebreo. - È questo che vuoi dire?

DAJA:

Quello che voglio dire lo sapete benissimo.

NATHAN:

Allora taci!

DAJA:

Io taccio. Ma l'affronto a Dio commesso qui, che non posso impedire né cambiare, non posso - ricada su di

voi!

NATHAN:

Ricada su di me. - Ma dov'è lei adesso? Dove se n'è rimasta? – Daja, se tu m'inganni! - E lei lo sa che sono

giunto?

DAJA:

A voi lo chiedo. Il terrore le trema ancora in ogni nervo, e la sua fantasia dipinge fiamme su tutto ciò che

vede. La sua mente veglia nel sonno e dorme nella veglia; ora sembra quasi una bestia, ora più di un

angelo.

NATHAN:

Povera bambina! Cosa siamo noi uomini!

DAJA:

Stamane stette a lungo distesa ad occhi chiusi, come morta. Poi di colpo drizzandosi gridò: «Ascolta!

Arrivano i cammelli di mio padre! Ascolta! È la sua voce dolce!» - Poi l'occhio si appannò di nuovo e il

capo, non più sostenuto dal suo braccio, ricadde sul cuscino. - Io corro al portone e, guarda, voi state

arrivando! - Ma non c'è da stupirsene. Tutta la sua anima era con voi - e lui - per tutto il tempo.

NATHAN:

Lui? Quale lui?

DAJA:

Colui che l'ha salvata dalle fiamme.

NATHAN:

Chi è stato? Chi? - Dov'è? Chi mi ha salvato la mia Recha? Chi?

DAJA:

Un giovane templare, qui condotto prigioniero pochi giorni or sono, e graziato poi da Saladino.

NATHAN:

Come? Un templare? E Saladino gli lasciò la vita? Solo un simile miracolo poté salvare Recha? Dio!

DAJA:

Senza di lui, che mise lietamente a repentaglio l'insperato guadagno, era perduta.

2


NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA: NATHAN: DAJA:


E dov'è, Daja, questo uomo nobile? - Dov'è? Conducimi ai suoi piedi. E gli deste per prima cosa tutti i

tesori da me lasciati? Gli deste tutto? Gli prometteste molto di più?

Come avremmo potuto?

No? No?

Nessuno sa da dove sia venuto, nessuno sa dove se ne sia andato. - Nessuno della casa lo chiamò. Guidato

dal suo orecchio, si gettò ardito, col mantello aperto, tra fumo e fiamme, verso quella voce che ci chiedeva

aiuto. Noi lo credevamo già perduto; ma a un tratto, dal fumo e dalle fiamme, ci fu davanti, e sulle forti

braccia teneva lei. Freddo e indifferente ai nostri grazie, alla nostra esultanza, depone la sua preda, si fa

largo tra il popolo - e sparisce!

Non per sempre, spero.

I primi giorni, dopo, lo vedemmo vagare avanti e indietro tra le palme che danno ombra alla tomba del

Risorto. Mi avvicinai, felice, a ringraziarlo, lo implorai, lo scongiurai che ritornasse anche una volta sola

dalla dolce creatura che non ha pace se non può dirgli grazie in lacrime ai suoi piedi.

:Ebbene?

Invano! Era sordo alle nostre preghiere; e soprattutto con me così mordace...

Che tu ne fosti scoraggiata...

Niente affatto! Ogni giorno ritornavo a cercarlo, ogni giorno mi lasciavo deridere. Che cosa non mi son

lasciata dire! Cosa non avrei sopportato! - Ma da un pezzo non si fa più vedere tra le palme che danno

ombra alla tomba del Risorto. Nessuno sa dove sia. - Siete sorpreso? Pensieroso?

Sto pensando all'effetto che deve fare tutto ciò su un'anima come quella di Recha. Vedersi disprezzata da

chi si sente costretta ad ammirare; sentirsi così respinta, eppure così attratta; vedrai, la testa e il cuore

litigheranno a lungo, non sapendo se far vincere l'odio o la tristezza. Nessuno vince, spesso; e la fantasia,

entrando nella lite, fa sognare dei sogni in cui la testa fa la parte del cuore, e il cuore della testa. - Pessimo

scambio. - Se la conosco bene, Recha fa questo; sta sognando.

Sogni così pii, così teneri.

Sono sempre sogni!

Soprattutto un - capriccio, se volete, le è molto caro. Ecco; il suo templare non è una creatura della terra. Il

suo piccolo cuore di bambina amava credersi affidato a un angelo, e quell'angelo in veste di templare uscì

ad un tratto dalla nube in cui sempre, invisibile, le era stato accanto; anche nel fuoco. - Non ridete! - Chi

sa? O lasciatele almeno un'illusione in cui l'ebreo, il cristiano e il musulmano s'incontrano. Una dolce

illusione!

Dolce anche per me. - Vai, brava Daja, guarda che cosa fa, e se posso parlarle. - Subito dopo cercherò il

selvatico, ombroso angelo custode. E se gli piace ancora trattenersi giù fra noi e fare il cavaliere con tanta

scortesia, lo troverò di certo, e lo porterò costì.

Ardua impresa.

Allora quella dolce illusione farà posto ad una verità più dolce. - Perché credi, Daja, un uomo amerà

sempre un uomo più di un angelo - Ma tu non te la prenderai con me, se guarirò la sognatrice d'angeli?

Voi siete così buono - e così perfido! Vado! - Ma, sentite! Guardate! Ecco lei stessa.


Scena II

Recha e i precedenti.


RECHA:

NATHAN:

RECHA :

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:


Siete voi tutto intero padre mio? Credevo che vi avesse preceduto solo la voce. Dove indugiate? Quali

monti, quali deserti e fiumi ci separano ancora? Respirate muro a muro dalla vostra Recha e non correte ad

abbracciarla? La povera Recha, che stava per bruciare! - Quasi! Solo quasi, non rabbrividite! Oh, che morte

orribile bruciare.

Bambina! Cara bambina mia!

Voi dovevate passare l'Eufrate, il Tigri, il Giordano - e chi sa quanti altri fiumi. - Quante volte ho tremato

per voi, prima che il fuoco mi sfiorasse! Ma da quando il fuoco mi ha sfiorato, morire in mezzo all'acqua

mi sembra un sollievo, una salvezza. - Ma voi non siete annegato e io non sono bruciata. Rallegriamoci e

rendiamone lode a Dio! Lui portò voi e la barca sulle ali di angeli invisibili oltre quei fiumi infidi, lui

ingiunse al mio angelo di rendersi visibile e di portarmi sulle sue bianche ali attraverso le fiamme -

(Bianche ali? Ah, sì! Il bianco mantello aperto del templare).

Visibile, visibile mi portò tra le fiamme, allontanate dalle sue ali. - E dunque io ho fissato in volto un

angelo; il mio angelo.

Recha l'avrebbe meritato; e non avrebbe visto in lui cosa più bella di lui in lei.

(sorridendo) Chi lusingate, padre? L'angelo o voi stesso?

Anche se solo un uomo - un uomo come la natura ne fa ogni giorno - avesse fatto questo, per te egli

sarebbe, non potrebbe essere che un angelo.

No, non un angelo così! Uno vero. Era un angelo vero! - Non mi avete insegnato voi stesso che è possibile

che gli angeli esistano, e che Dio per fare il bene di chi lo ama può fare miracoli? Io lo amo.

Anche lui; e ogni ora fa miracoli per te e per quelli come te. È dall'eternità che fa miracoli per voi.


3


RECHA:         Belle parole.

NATHAN:      Come? Solo perché suonerebbe del tutto naturale e quotidiano se ti avesse salvato solo un templare, questo non sarebbe un miracolo? - Il miracolo supremo è che i veri, autentici miracoli possano, debbano essere quotidiani. Senza questo miracolo comune nessun saggio avrebbe mai usato la parola miracolo, se non con

i bambini, che inseguono a occhi spalancati solo il nuovo e l'insolito.

DAJA (a Nathan) Volete offuscare del tutto il suo cervello, già troppo teso anche così, con queste sottigliezze?

NATHAN:      Lasciami dire. - Per la mia Recha non è miracolo che basti esser salvata da un uomo, che un non piccolo

miracolo già dovette salvare? Non piccolo miracolo! Perché chi sentì mai che Saladino risparmiasse un

templare? Che un templare abbia mai chiesto o sperato grazia da lui? Che in cambio della libertà offrisse

mai più della cintura che gli regge la spada, o il suo pugnale?

RECHA:         Questo mi dà ragione, padre. - Appunto: sembrava un templare e non lo era. Se nessun templare

prigioniero viene a Gerusalemme se non a morte certa, se qui nessun templare è libero di muoversi, come

poteva un templare quella notte salvarmi di sua volontà?

NATHAN:      Eppure un senso c'è. Daja, parla. Mi hai detto che qui è arrivato prigioniero. Senza dubbio ne sai di più.

DAJA:             Infatti. - Così dicono. E dicono, poi, che il Saladino lo ha graziato perché il templare è molto somigliante a

un suo fratello, da lui molto amato. Ma da più di vent'anni quel fratello non vive più - come si chiamasse,

non so; non so dove sia finito; - tutto suona così... così incredibile, che certo non vi è nulla di vero.

NATHAN:      Ah, Daja! E perché sarebbe poi tanto incredibile? Forse - come succede spesso - perché si vuole credere a

una cosa ancora più incredibile? Perché mai Saladino, che ama tanto i fratelli e le sorelle, non ne avrebbe

amato in gioventù uno più di ogni altro? - Non possono due volti assomigliarsi? - Un'impressione antica è

per questo perduta? - La medesima causa non produce i medesimi effetti? Da quando? - Dov'è qui

l'incredibile? Ma allora, saggia Daja, non sarebbe più un miracolo; e solo i tuoi miracoli han biso... voglio

dire, meritano fede.

DAJA:              Vi burlate di me.

NATHAN:      E tu di me. - Anche così la tua salvezza, Recha, resta un miracolo, che può solo colui che dirige col filo più

sottile i severi decreti e gli inflessibili piani dei re come trastulli - se non come zimbelli.

RECHA:         Padre mio, se sbaglio, lo sapete, non lo faccio volentieri.

NATHAN:      Volentieri anzi ti lasci correggere. - Pensa! Una certa curvatura della fronte, un naso con un certo profilo,

sopracciglia che si piegano, seguendo un osso più o meno pronunciato, in un modo o in un altro, un angolo,

una linea, una ruga, una piega, un segno, un nulla sul volto di un barbaro europeo: - e tu in Asia scampi

dalle fiamme! Non è un miracolo, amiche dei miracoli? Perché volete scomodare un angelo?

DAJA:             Che male c'è - se posso dirlo - Nathan, a preferire l'idea che il salvatore non sia un uomo ma un angelo?

Non ci si sente molto più vicini alla causa prima e incomprensibile della salvezza?

NATHAN:      È orgoglio. Solo orgoglio. Il vaso di ferro vorrebbe essere tolto dalla fornace con pinze d'argento per

credersi un vaso d'argento. - Bah! - Che male c'è, chiedi? Che male c'è? A che serve, piuttosto, potrei

domandarvi. - Il tuo «sentirsi molto più vicini a Dio» è solo assurdità, o bestemmia. - Ebbene sì, c'è male, e

molto male. - Ascoltatemi dunque. - La creatura che ti salvò - fosse angelo o uomo - non la vorreste forse

ricambiare, tu soprattutto, facendole del bene? - Non è così? - Ma a un angelo che bene, che grande bene

mai potreste fare? Potete ringraziarlo, sospirare, pregare, sciogliervi in estasi per lui, potete digiunare alla

sua festa, ed offrire elemosine. - A che pro? - Mi sembra che voi stesse e i vostri cari ne avreste ben

maggiore beneficio. Il vostro digiuno non lo farà più grasso, né più ricco le vostre offerte, né più splendido

la vostra estasi, né la vostra fiducia più potente. Non è così? Ma un uomo!

DAJA:             Avremmo certo avuto più occasioni di fare qualche cosa per un uomo. E lo sa Iddio quanto avremmo

voluto! Ma non voleva nulla, non aveva alcun bisogno; era così appagato in sé e di sé, come soltanto gli

angeli sono e possono essere.

RECHA:         E poi quando sparì...

NATHAN:      Sparì? Come sparì? Non si è più fatto vedere tra le palme? - Tutto qui? O avete continuato le ricerche?

DAJA:             No, questo no.

NATHAN:      No, Daja? - Vedi adesso che male c'è? - Crudeli sognatrici! - E se quell'angelo - si fosse ammalato!...

RECHA:         Ammalato!

DAJA:             Ammalato! No di certo!

RECHA:         Che freddo brivido mi afferra! - Daja! - La mia fronte, sempre così calda, ad un tratto è di ghiaccio.

NATHAN:      È un franco, non avvezzo a questo clima; è giovane, non avvezzo ai duri compiti dell'Ordine, alla fame,

alle veglie.

RECHA:         Malato! Lui malato!

DAJA:             Nathan ha detto solo che è possibile.

NATHAN:      A letto, senza amici, né denaro per comprarsi un amico.

RECHA:         Ah, padre mio!

NATHAN:      A letto senza cure, né consiglio o conforto, in balia del dolore e della morte.

RECHA:         Dove? Dove?

NATHAN:      Lui che si gettò nel fuoco per una donna mai vista, per una sconosciuta - Era un essere umano, e gli bastò...

DAJA:             Nathan, risparmiatela!

NATHAN:      Che non volle conoscere, non volle rivedere la donna che salvò - per risparmiarle i ringraziamenti...

DAJA:             Nathan, risparmiatela!

NATHAN:      Del resto non fu più cercato - a meno che non dovesse salvarla un'altra volta - Ma basta, è solo un uomo...

DAJA:             Smettetela, guardate!

4


NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:


Che, morendo, per unico conforto ha la coscienza del suo gesto.

Basta! La ucciderete.

E tu hai ucciso lui! - Avresti potuto ucciderlo. - Recha, Recha! Non è un veleno questo che ti ho dato, è un

rimedio. È vivo! - Torna in te! - Non è malato!

Non è morto? Non è malato?

Certo no. Anche quaggiù Dio ricompensa il bene fatto. - Vai! - Ma ora comprendi quanto è più facile fare

sogni pii che buone azioni? Quanto ama i sogni pii anche l'uomo più inetto, pur - talvolta forse, senza

esserne cosciente - di non dover fare buone azioni?

Ah, padre, non lasciate mai più sola la vostra Recha! - Può essere soltanto partito, non è vero?

Sì. Andate! - Ma laggiù io vedo un musulmano che rimira incuriosito i miei cammelli carichi. Lo

conoscete?

Ah, il vostro derviscio.

Chi?

Il derviscio, il compagno di scacchi.

Al-Hafi? Quello è Al-Hafi?

Adesso è tesoriere del sultano.

Chi? Al-Hafi? Sogni nuovamente? - Ma è lui - è lui davvero! - Viene verso di noi. Entrate, presto! - Cosa

mi toccherà sentire!


Scena III

Nathan e il derviscio.

DERVISCIO:Aprite gli occhi quanto più potete!

NATHAN:      Sei tu o non sei tu? - In tanta pompa, un derviscio!...

DERVISCIO: Perché no? Da un derviscio non si può cavar niente, proprio niente?

NATHAN:      Tutt'altro! - Ma ho sempre pensato che un derviscio - uno vero - non volesse far cavar niente da se stesso.

DERVISCIO: Per il profeta! Allora non sarò un vero derviscio. Ma quando si è costretti...

NATHAN:      Costretto? Un derviscio? Nessun uomo è costretto, e un derviscio lo è? Costretto a che?

DERVISCIO: A soddisfare una preghiera giusta, che riconosce buona; a questo egli è costretto.

NATHAN:      Per il nostro Dio! Tu dici il vero. - Lascia che io t'abbracci, uomo. - Mi sei ancora amico?

DERVISCIO: E non chiedete prima chi sono adesso?

NATHAN:      Chiunque tu sia!

DERVISCIO: Se fossi un grande uomo di Stato, non potrei come amico mettervi in imbarazzo?

NATHAN:      Se il tuo cuore è rimasto derviscio, a lui mi affido. L'uomo di Stato è solo il tuo vestito.

DERVISCIO: Anch'esso va onorato. - Allora? Indovinate! - Alla vostra corte cosa sarei?

NATHAN:      Solo un derviscio. O forse anche - un cuoco.

DERVISCIO: Ma davvero! Da voi perderei l'arte. - Un cuoco! Perché non cantiniere? - Ammettetelo, il Saladino mi conosce meglio. - Sono il suo tesoriere.

NATHAN:      Proprio tu?

DERVISCIO: Intendiamoci: del piccolo tesoro - il grande lo amministra ancora il padre - del tesoro di casa.

NATHAN:      Ed è una grande casa.

DERVISCIO: Più di quanto pensiate; perché è la casa di ogni mendicante.

NATHAN:      Ma egli odia tanto i mendicanti...

DERVISCIO: Che si è proposto di estirparli tutti, - dovesse ridursi a mendicante in questa impresa.

NATHAN:      Bravo! - Era il mio pensiero.

DERVISCIO: E lo è già, mio malgrado. - Il suo tesoro tutte le sere è vuoto più del vuoto. Per quanto alta entri la marea al mattino, da un pezzo a mezzodì si è prosciugata...

NATHAN:      Perché in gran parte la inghiottono canali che è impossibile sia colmare, sia ostruire.

DERVISCIO: Appunto.

NATHAN:      Lo so, lo so.

DERVISCIO: È un guaio quando i prìncipi sono come avvoltoi fra le carogne. Ma quando sono come le carogne fra gli avvoltoi è dieci volte peggio.

NATHAN:      No, derviscio, no davvero!

DERVISCIO: È facile parlare! - Su, quanto mi date? Il mio posto lo cedo a voi.

NATHAN:      Quanto ti rende?

DERVISCIO: A me? Non molto. Ma a voi renderà certo una fortuna. Se - come al solito - c'è bassa marea nel tesoro, aprite voi le cateratte, e fissate gli interessi che volete.

NATHAN:      E l'interesse sugli interessi?

DERVISCIO: Certo!

NATHAN:      Così il mio capitale sarà tutto interessi.

DERVISCIO: Non vi attira? - Allora dite addio alla nostra amicizia. In verità, contavo molto su di voi.

NATHAN:      Davvero? Come mai?

DERVISCIO: Per aiutarmi a far fronte con onore all'ufficio e avere sempre cassa aperta presso di voi. - Scuotete il capo?

5


NATHAN:      Vediamo di capirci bene. Qui bisogna distinguere. - Tu? Perché no? Per tutto ciò che posso Al-Hafi il derviscio è sempre il benvenuto. - Ma Al-Hafi defterdar del Saladino, a lui...

DERVISCIO: Lo immaginavo. Voi siete sempre buono quanto accorto, e accorto quanto saggio. - Siate paziente! I due aspetti che ora distinguete in me saranno presto separati. - Guardate quest'abito che ho avuto dal sultano: prima che sia logoro e ridotto agli stracci che coprono i dervisci, starà a Gerusalemme appeso a un chiodo, e io sul Gange con i miei maestri, leggero e scalzo sulla sabbia ardente.

NATHAN:      Più simile a te stesso.

DERVISCIO: A giocare a scacchi.

NATHAN:      Tuo massimo piacere.

DERVISCIO: Lo sapete che cosa mi ha sedotto? Non dover mendicare? Poter giocare al ricco fra i pezzenti? Trasformare il più ricco dei pezzenti, d'un colpo, nel più povero dei ricchi?

NATHAN:      Questo di certo no.

DERVISCIO: Una cosa più sciocca! Per la prima volta, mi sentii lusingato: dalla follia benigna del sultano -

NATHAN:      Follia?

DERVISCIO: «Solo un mendicante» disse, «capisce i mendicanti, e ha imparato a fare l'elemosina con garbo. Quanto era freddo il tuo predecessore, quanto era brusco! Donava con disprezzo, se donava. E prima si informava brutalmente sul bisognoso; e non si accontentava della miseria, pretendeva di conoscerne le cause, e in base a quelle soppesava spilorcio l'elemosina. Al-Hafi non farà mai così! In lui la carità del Saladino non sembrerà un'offesa! Al-Hafi non sarà come un canale ingombro, che fa uscire torbida e schiumosa l'acqua limpida e calma che riceve. Al-Hafi pensa e sente come me» - L'uccellatore suonava così dolce, che l'allocco gli cadde nella rete. - Pazzo che sono! Pazzo di un pazzo!

NATHAN:      Adagio, derviscio, adagio!

DERVISCIO: Non è forse pazzia opprimere gli uomini a migliaia, affamarli, spogliarli, massacrarli, e, presi a uno a uno, atteggiarsi a filantropo? Non è forse pazzia scimmiottar la clemenza dell'Altissimo, che cade senza scelta sui buoni e sui malvagi, sui campi e sui deserti, col sole e con la pioggia, senza avere le mani sempre colme dell'Altissimo? Non è forse pazzia...

NATHAN:      Basta adesso, finiscila!

DERVISCIO: Permettete soltanto che vi parli anche della mia pazzia. - Non è forse pazzia sentire, dopo tutto, il lato buono in simili pazzie, e a causa di questo lato buono prendere parte a questa sua pazzia? Non è così?

NATHAN:      Al-Hafi, torna presto nel tuo deserto, perché fra gli uomini potresti disimparare, temo, a essere uomo.

DERVISCIO: Sì, lo temo anch'io. Addio!

NATHAN:      Che fretta! - Aspetta un po', Al-Hafi. Il deserto non scappa. - Aspetta un po'! Ma guarda se mi sente! - Ehi, Al-Hafi! - È già lontano. Peccato. Avrei voluto domandargli qualcosa del nostro templare. Magari lo conosce.

Scena IV

Daja si avvicina in fretta. Nathan.

DAJA:              Nathan, Nathan!

NATHAN:      Ebbene? Che succede?

DAJA:             Si è mostrato di nuovo! Si è mostrato di nuovo!

NATHAN:      Chi, Daja, chi?

DAJA:             Lui! Lui!

NATHAN:      Lui? - Lui non era mai scomparso! - Ma per voi è lui soltanto il vostro lui. - E non dovrebbe. Nemmeno se

fosse un angelo davvero.

DAJA:             Va su e giù di nuovo tra le palme; e ogni tanto se ne stacca un dattero.

NATHAN:      E lo mangia? - Come un templare?

DAJA:             Perché mi tormentate? - L'occhio ansioso di Recha lo scorse tra le fitte palme, e non l'ha più lasciato. Lei vi

prega, vi scongiura di raggiungerlo subito. Dalla finestra lei vi farà cenno se si avvicina o se ne va lontano.

Correte!

NATHAN:      Così, appena sceso dal cammello? - Non è creanza. - Vai, corri da lui, digli che sono ritornato. Quel

brav'uomo, vedrai, solo per via della mia assenza non è voluto entrare in casa mia; non verrà malvolentieri

se lo invita il padre stesso. Vai, digli che lo prego con tutto il cuore...

DAJA:             È inutile. Da voi non verrà. - Non va in casa di un ebreo.

NATHAN:        Allora vai almeno a trattenerlo; o a seguirlo con gli occhi, se non altro. - Adesso vai, ti verrò dietro subito.

Nathan entra, Daja esce di corsa.

Scena V

Una radura con palme, fra le quali il templare cammina avanti e indietro. Un frate lo segue a una certa distanza, da una parte, come se esitasse ad attaccare discorso.

6


TEMPLARE: È un pezzo che mi sta seguendo. - Vedi, come si guarda le mani. - Buon fratello, posso chiamarvi padre,

non è vero?

FRATE:           Solo fratello – frate laico; per servirvi.

TEMPLARE: Sì, buon frate; vorrei aver qualcosa - ma, per Dio, non ho niente -

FRATE:           Fa lo stesso, grazie di cuore. Iddio vi renda mille volte quel che mi avreste dato. La volontà, non l'obolo fa

il dono. - E poi non sono stato mandato per la questua da vostra signoria.

TEMPLARE: Siete stato mandato?

FRATE:           Sì, dal convento.

TEMPLARE: Dove poco fa speravo di ricevere il parco rancio del pellegrino?

FRATE:           Non c'era posto ai tavoli; ma adesso vogliate ritornare con me.

TEMPLARE: A che scopo? È vero che da un po' non mangio carne; ma non fa niente, sono maturi i datteri.

FRATE:           Il signore si guardi da quei frutti. Mangiarne troppi non fa bene, pesano sulla milza e danno la malinconia.

TEMPLARE: E se io amassi la malinconia? - Ma non sarà per questo avvertimento che vi hanno mandato?

FRATE:           Oh, no. - Io devo solo informarmi su di voi, tastarvi un po' il polso.

TEMPLARE: E lo dite voi stesso?

FRATE:           Perché no?

TEMPLARE: (Un

FRATE:           molto scaltro!). - Il convento ne ha molti come voi?

FRATE:           Non so. Io devo obbedire, signor mio.

TEMPLARE: E obbedite senza sottilizzare troppo?

FRATE:           Se no, signore, non sarebbe obbedire.

TEMPLARE:    (L'ingenuità ha sempre l'ultima parola). - E potete confidarmi allora chi vorrebbe conoscermi più da

vicino? Giurerei che non siete voi.

FRATE:           Per me sarebbe giusto? E opportuno?

TEMPLARE: Questa curiosità per chi è dunque giusta e opportuna?

FRATE:           Per il patriarca, devo credere. - Perché è lui che mi ha mandato.

TEMPLARE: Il patriarca? La croce rossa sul mantello bianco non la conosce?

FRATE:           La conosco anch'io.

TEMPLARE: Dunque, fratello? - Io sono un Templare: prigioniero. - Aggiungo; preso a Tebnin, la fortezza che, prima

dello scadere della tregua, avremmo voluto prendere d'assalto, per aggredire subito Sidone. - Fra venti

prigionieri io sono il solo graziato dal sultano. Il patriarca adesso sa quanto gli occorre; - e anche di più.

FRATE:           Difficilmente più di quanto già non sappia. - Vorrebbe anche sapere come mai Saladino ha graziato

soltanto voi.

TEMPLARE: Forse che io lo so? - Nudo il collo, stavo aspettando il colpo in ginocchio sul mio mantello, quando il Saladino mi guarda fisso, balza vicino a me, fa un cenno. Vengo alzato, slegato; vorrei dirgli grazie; vedo che ha le lacrime agli occhi; tace; anch'io; lui se ne va, io resto. - La chiave dell'enigma la trovi il patriarca.

FRATE:           Egli ha concluso che Dio vi salvò per consacrarvi a grandissime imprese.

TEMPLARE: Grandissime davvero! Salvare dalle fiamme una fanciulla ebrea, scortare in cima al Sinai pellegrini curiosi,

e via dicendo.

FRATE:           Le imprese poi verranno. - Per adesso non c'è male. - Forse per il signore il patriarca ha in serbo cose

molto più importanti.

TEMPLARE: Lo credete, fratello? - E vi ha già fatto capire qualche cosa?

FRATE:           Oh, sì. Dovrei soltanto sondare vostra signoria, verificare se è l'uomo adatto.

TEMPLARE: E sondatemi, dunque! (Vorrei vedere come lo fa). - Allora?

FRATE:           La via più breve è dire chiaro e tondo alla signoria vostra il desiderio del patriarca.

TEMPLARE: Certo.

FRATE:           Egli vorrebbe che recapitaste una letterina.

TEMPLARE:   Io? Non sono un portalettere. - Sono queste le gesta ben più gloriose che strappare al fuoco fanciulle

ebree?

FRATE:           Sicuro. Perché - dice il patriarca - da quella letterina dipendono le sorti della cristianità. In cielo Dio

ricompenserà con una gran corona - dice il patriarca - il recapito di quella letterina. E di quella corona -

dice il patriarca - nessuno è più degno del signore.

TEMPLARE: Di me?

FRATE:           Nessuno è più adatto a guadagnare quella corona - dice il patriarca - di vostra signoria.

TEMPLARE: Di me?

FRATE:           Qui siete libero; potete guardarvi intorno dappertutto; sapete come si assale e come si difende una città;

potete - dice il patriarca - valutare meglio di ogni altro forza e difetti del secondo muro, il muro interno

eretto dal sultano, e descriverlo - dice il patriarca - ai soldati di Dio.

TEMPLARE: Buon frate, dovrei saperne di più su questa letterina.

FRATE:           Ecco - io di questo non so molto. So però che è diretta a re Filippo. Il patriarca... mi meraviglio spesso

come un sant'uomo, che vive tutto in cielo, possa degnarsi di esser così esperto anche delle cose di questo

mondo. Dev'essere un'improba fatica.

TEMPLARE: Insomma, il patriarca?

FRATE:           Sa per certo esattamente dove, come, quando, da quale parte attaccherà il sultano, se la guerra divamperà

di nuovo violenta.

7


TEMPLARE: Sa tutto questo?


FRATE:


E volentieri lo farebbe sapere a re Filippo, affinché egli possa valutare quanto è grande il pericolo, e se occorre ripristinare, costi quel che costi, la tregua d'armi con il Saladino, che il vostro ordine tanto audacemente ha già rotto.


TEMPLARE:  E bravo il patriarca! - Il galantuomo non vuole che io sia un corriere qualunque - ma una spia. - Dite al


FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:

TEMPLARE:

FRATE:


vostro patriarca, buon fratello, che, per quanto mi poteste sondare, non è cosa per me. - Io debbo, ditegli,

considerarmi sempre prigioniero; e il solo mestiere dei templari è andare all'attacco con la spada, non

spiare.

Era quel che pensavo. - E non ce l'ho con vostra signoria. - Ma adesso viene il meglio. - Il patriarca ha da

poco scoperto il nome e il luogo in cui sorge, nel Libano, la rocca che custodisce le somme sterminate con

cui l'accorto padre del sultano paga le truppe e fa fronte alle spese della guerra. Per vie poco battute il

Saladino si reca alla fortezza di tanto in tanto, con esigua scorta. - Cominciate a capire?

Niente affatto.

Catturare il Saladino e poi fargli la festa sarebbe facilissimo. - Voi rabbrividite? - Alcuni maroniti timorati

di Dio, se guidati da un uomo di coraggio, si sono già offerti di tentare questa prodezza.

E l'uomo di coraggio secondo il patriarca dovrei essere proprio io?

Egli ritiene che da Tolemaide possa venire un aiuto efficacissimo anche da re Filippo.

A me, fratello? A me? Non avete inteso proprio adesso della riconoscenza che mi lega al Saladino?

L'ho inteso, certo.

E dunque?

Sì - dice il patriarca - questo è vero: ma Dio e l'Ordine...

Non fanno differenza. Non possono chiedermi un'infamia.

No di certo. Ma - dice il patriarca - c'è un'infamia davanti all'uomo e non davanti a Dio.

Io che debbo la vita al Saladino lo ucciderei a tradimento?

È orribile. - Ma - pensa il patriarca - Saladino è un nemico della cristianità, e non ha alcun diritto alla

vostra amicizia.

Amicizia? Soltanto per non essere un ribaldo? Un ribaldo e un ingrato?

È proprio vero. - Ma - pensa il patriarca - non c'è obbligo di gratitudine davanti all'uomo, e a Dio, se il

bene ricevuto non fu per amor nostro. E si mormora - dice il patriarca - che il Saladino vi graziò soltanto


perché nel vostro viso o nell'aspetto credette di vedere un che di suo fratello...

TEMPLARE: Anche questo sa il patriarca! E allora? Ah, se fosse certo! Ah, Saladino! Potrebbe la natura avere impresso anche un solo tratto, in me, di tuo fratello, senza lasciarne traccia nel mio animo? E questa traccia potrei


FRATE:


soffocarla per compiacere a un patriarca? - No, natura, tu non menti così. Iddio non contraddice se stesso in

ciò che fa. - Andate, fratello, andate! - Non destate la mia collera!

Me ne vado, e molto più contento di quando sono venuto. Perdonatemi. Noi frati dobbiamo obbedire ai

superiori


Scena VI

Il templare. Daja, che da un po' lo stava osservando da lontano, gli si avvicina.

DAJA:             Il frate non l'ha lasciato, a quanto sembra, di buon umore. - Ma devo provare a fare l'ambasciata.


TEMPLARE: Magnifico! - Il proverbio

ha torto a dire che le donne e i frati  sono i due artigli del demonio?  Oggi mi

getta dall'uno all'altro.

DAJA:

Che cosa vedo? - Voi, nobile cavaliere? -

Grazie a Dio mille volte! - E dove siete stato  per tutto questo

tempo? - Siete stato forse

ammalato?

TEMPLARE: No.

DAJA:

Sano, allora?

TEMPLARE: Sì.

DAJA:

Noi eravamo molto preoccupate per voi.

TEMPLARE: Davvero?

DAJA:

Siete stato via?

TEMPLARE: Indovinato!

DAJA:

E siete tornato oggi?

TEMPLARE: Ieri.

DAJA:

Anche il padre di Recha è giunto oggi. Adesso Recha può sperare?

TEMPLARE: Cosa?

DAJA:

Ciò di cui vi fece pregare così spesso.

Anche suo padre vi prega di recarvi  subito da lui. Viene da

Babilonia, con venti cammelli pieni zeppi

di tutto ciò che di più prezioso offrono - gemme, nobili spezie,

stoffe - l'India, la Persia, la Siria, la Cina addirittura.

TEMPLARE: Io non compero niente.

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DAJA:             Il suo popolo lo onora come un principe.  E tuttavia - spesso questo mi ha stupito -  lo chiama Nathan il

Saggio e non Nathan il Ricco.

TEMPLARE: Forse per il suo popolo saggio e ricco sono la stessa cosa.

DAJA:             Soprattutto il Buono dovrebbero chiamarlo. Non potete immaginare come è buono. Quando seppe quanto

videve Recha, in quel momento per voi avrebbe fatto, vi avrebbe dato qualunque cosa! TEMPLARE: Oh!

DAJA:

Provate, e vedrete.

TEMPLARE: Per vedere come passa presto un momento?

DAJA:

Se non fosse così buono, mi sarei adattata a vivere da lui per tanto tempo? Credete che non senta il mio

valore  di cristiana? Non mi fu predetto in culla

che avrei seguito il mio sposo in Palestina  solo per

diventare istitutrice

di una fanciulla ebrea. Il

mio diletto sposo   era un nobile

fante dell'esercito

dell'imperatore Federico.

TEMPLARE: Che, svizzero di nascita, ebbe l'onore e il privilegio di annegare in un fiume con la sua

imperiale maestà.

- Donna! Quante volte

me l'avete già raccontato?

Non smetterete mai di perseguitarmi?

DAJA:

Perseguitarvi! Buon Dio!

TEMPLARE: Sì, perseguitarmi. Una volta per tutte; non voglio più vedervi né sentirvi. Non voglio che mi rammentiate continuamente un gesto che io feci senza riflettere; e che, se ci rifletto, è un enigma anche per me stesso. E non vorrei rimpiangerlo. Badate, sarà colpa vostra se in un caso simile sarò meno rapido ad agire, se prima m'informerò - e lascerò bruciare quel che brucia.

DAJA:             Dio non voglia!

TEMPLARE: Almeno da oggi in avanti fatemi il piacere di non conoscermi. Ve ne prego. E toglietemi di torno il padre. Un ebreo è un ebreo, io sono un rozzo svevo. Da un pezzo ormai il viso della fanciulla non l'ho più in mente, se mai l'ho avuto.

DAJA:             Ma lei ha in mente il vostro.

TEMPLARE: E questo che vuol dire?

DAJA:             Chi sa? L'uomo non è sempre ciò che sembra.

TEMPLARE: Ma di rado è migliore. (Si avvia.)

DAJA:             Aspettate! Perché correte via?

TEMPLARE: Donna, non rendetemi odiose le palme fra cui amo vagare.

DAJA:             Vai pure, orso tedesco, va'! - Eppure non devo perdere le tracce della belva.     Lo segue da lontano.

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ATTO II

Scena I

Il palazzo del sultano. Saladino e Sittah giocano a scacchi.

SITTAH:         Dove sei, Saladino? Oggi come giochi?

SALADINO: Male? Non l'avrei detto.

SITTAH:         Bene per me, se mai. Ritira quella mossa.

SALADINO: Perché?

SITTAH:         Scopri il cavallo.

SALADINO: È vero. Così allora!

SITTAH:         Così è scacco doppio.

SALADINO: Vero anche questo. - Allora scacco!

SITTAH:         A che ti serve? Io mi difendo, e tu sei al punto di prima.

SALADINO: Da questa trappola, a quanto vedo, non si esce senza scotto. E sia! Prendi il cavallo.

SITTAH:         Non lo voglio. Vado avanti.

SALADINO: Non mi regali niente. Tu tieni alla manovra, più che al cavallo.

SITTAH:         Può essere.

SALADINO: Tuttavia non fare i conti senza l'oste. Guarda! Non avevi pensato a questa mossa?

SITTAH:         No di certo. Potevo pensare che tu fossi così stanco della tua regina?

SALADINO: Della mia regina?

SITTAH:         Ho già capito che oggi vincerò i miei mille dinari e non un soldo in più.

SALADINO: Che vuoi dire?

SITTAH:         E lo domandi! - Perché fai di tutto per perdere a ogni costo. - E questo non mi conviene. A parte che

giocare in questo modo è poco divertente, con te non guadagno sempre assai di più quando perdo? Non mi

hai sempre regalato per consolarmi il doppio della posta, ogni volta che ho perso una partita?

SALADINO: Ma guarda! Quando perdevi allora, sorellina, eri tu che perdevi a bella posta?

SITTAH:         Per lo meno, mio caro fratellino, se io non ho imparato a giocar meglio, la colpa è della tua munificenza.

SALADINO: Dimentichiamo il gioco. Su, falla finita!

SITTAH:         Ah sì? Allora, scacco! Scacco doppio.

SALADINO: Già; non avevo previsto quello scacco di scoperta, che mi porta via anche la regina.

SITTAH:         Forse c'è un rimedio; fa' vedere.

SALADINO: No, no; prendi la regina. Con questo pezzo non ho mai fortuna.

SITTAH:         Solo con questo pezzo?

SALADINO: Prendila! - Che importa? Adesso è di nuovo tutto quanto protetto.

SITTAH:         Troppo bene mio fratello mi ha insegnato a trattare le regine con cortesia. (Non la tocca.)

SALADINO: Che tu la prenda o no, io non l'ho più.

SITTAH:         A quale scopo prenderla? Scacco! - Scacco!

SALADINO: Avanti!

SITTAH:         Scacco! - Scacco! - Scacco!

SALADINO: E matto!

SITTAH:         Non del tutto; puoi ancora parare col cavallo; o come preferisci. Ma è inutile.

SALADINO: Giustissimo. - Hai vinto, e Al-Hafi pagherà. - Fatelo subito chiamare. - Non avevi torto, Sittah, non pensavo del tutto al gioco, ero distratto. E poi, chi ci dà sempre queste pietre lisce, che non ricordano, non indicano niente? Sto forse giocando con l'imam? - Ma che dico? Chi perde cerca scuse. Non sono state le

pietre informi, Sittah, ma la tua arte, il tuo occhio rapido e sicuro a farmi perdere...

SITTAH:         Così vuoi soltanto addolcirti la disfatta. Eri solo distratto; e più di me.

SALADINO: Di te? E tu perché lo eri?

SITTAH:         Non a causa della tua distrazione. - Oh, Saladino, quando giocheremo di nuovo con impegno?

SALADINO: In compenso giochiamo con passione. - Ah, pensi alla ripresa della guerra? - E sia! - Non ho sguainato io

per primo; avrei prolungato la tregua volentieri; e avrei dato anche volentieri un buon marito alla mia

Sittah. Certo il fratello di Riccardo deve esserlo, se è suo fratello.

SITTAH:         Purché solo tu possa lodare sempre il tuo Riccardo.

SALADINO: Se poi nostro fratello Melek avesse sposato sua sorella, quale famiglia ne sarebbe uscita! Tra le prime del

mondo, la migliore. - Vedi che sono prodigo di lodi anche a me. Mi ritengo degno dei miei amici. - Quali

uomini avremmo generato!

SITTAH:         Ma io non risi subito del tuo bel sogno? Tu non conosci i cristiani, e non vuoi conoscerli. Il loro orgoglio è

essere cristiani e non uomini. Anche ciò che per merito del loro fondatore rende umana quella superstizione

non è amato da loro perché è umano, ma perché Cristo lo insegnò e lo fece. - Buon per loro che fosse così

buono. Buon per loro che possano imitare a occhi chiusi le sue virtù. - Ma quali virtù? - Non le virtù ma il

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nome deve essere diffuso in ogni parte, deve oltraggiare e oscurare i nomi di tutti i buoni. Il nome, solo il nome sta loro a cuore.

SALADINO: Vuoi dire; perché esigere altrimenti che anche voi, tu e Melek, adottaste il nome di cristiani, per amare

come sposi due cristiani?

SITTAH:         Sì! Come se solo nei cristiani, come cristiani, esistesse l'amore che Dio infuse nell'uomo e nella donna.

SALADINO: A ben altre miserie credono i cristiani, per non credere a queste che tu dici. Eppure sbagli. - La colpa è dei templari, non dei cristiani; come templari, non come cristiani. Solo per colpa loro la cosa è andata a monte.

A nessun costo vogliono lasciare Acri, che Riccardo doveva dare a Melek come dote di sua sorella. Così per non trovarsi a mal partito come cavalieri, fanno i monaci ottusi. E, giudicando che di sorpresa un buon colpo di mano possa riuscire, neppure lo scadere della tregua hanno atteso. - Allegria! Continuate, signori, continuate così! - Per me va bene! - Se tutto il resto andasse come dovrebbe. SITTAH: Come? Quale altra ragione può turbarti? Farti perdere la calma?

SALADINO: La ragione per cui l'ho sempre persa. - Sono stato in Libano da nostro padre, oppresso come sempre dalle

preoccupazioni...

SITTAH:         Oh, mi dispiace.

SALADINO: Non ce la fa; intoppi dappertutto; manca ora qui, ora là...

SITTAH:         Quali intoppi? Cosa manca?

SALADINO: Cosa, se non ciò che detesto nominare? Ciò che mi sembra superfluo se ne ho e indispensabile quando non ne ho? - Ma Al-Hafi dov'è? Non è andato nessuno a chiamarlo? - I meschini, i maledetti soldi! - Al-Hafi, arrivi a tempo.

Scena II

Il derviscio Al-Hafi, Saladino e Sittah.

AL-HAFI:      Certamente sono arrivati i soldi dall'Egitto. Purché sian molti.

SALADINO: Ne sai qualcosa?

AL-HAFI:      Io? Io no. Suppongo che dovrò prenderli qui in consegna.

SALADINO: Paga a Sittah mille denari! (Va avanti e indietro, assorto nei suoi pensieri.)

AL-HAFI:      Paga! Altro che consegna. Bene! Come gruzzolo è meno del niente. - A Sittah? - Di nuovo a Sittah? -

Avete perso a scacchi un'altra volta? - Ah, la partita è ancora qua.

SITTAH:        E mi concederai la mia vincita?

AL-HAFI:      (osservando la partita) Concedervela? Se - ma lo sapete.

SITTAH:        (facendogli un cenno) Al-Hafi, sst!

AL-HAFI:      (sempre intento alla partita) Prima guadagnatevela.

SITTAH:        Al-Hafi, sst!

AL-HAFI:      (a Sittah) I vostri erano i bianchi? Date scacco?

SITTAH:        Per fortuna lui non ha sentito.

AL-HAFI:      Adesso tocca a lui?

SITTAH:        (avvicinandosi) Su, dimmi che posso prelevare i miei soldi.

AL-HAFI:      (senza staccarsi dalla partita) Certamente; prelevarli come tutte le altre volte.

SITTAH:        Sei matto? Cosa dici?

AL-HAFI:      Il gioco è ancora aperto. Non avete ancora perso, Saladino.

SALADINO: (ascoltandolo appena) Ma sì che ho perso. Paga!

AL-HAFI:      Paga! Paga! Ma qui c'è la regina.

SALADINO: (come sopra) No, non vale. Non è più in gioco.

SITTAH:        Dimmi, insomma, che posso ritirare il mio denaro.

AL-HAFI:      (sempre assorto nella partita) Si capisce, come sempre. - E tuttavia, anche se la regina è fuori gioco, non

per questo è matto.

SALADINO: (si avvicina e rovescia i pezzi) Sì che lo è; voglio che lo sia.

AL-HAFI:      Ah, è così! - Il gioco come la vincita. Come si è vinto, così si paga.

SALADINO: (a Sittah) Cosa sta dicendo?

SITTAH:        (facendo ogni tanto dei cenni a Al-Hafi) Tu lo conosci. Gli piace impuntarsi, farsi pregare; è anche un po'

invidioso. -

SALADINO: Non di te! Non di mia sorella! - Cosa sento, Al-Hafi? Tu invidioso?

AL-HAFI:      Può darsi. - Mi piacerebbe avere il suo cervello; ed essere altrettanto buono.

SITTAH:        Tuttavia poi ha sempre pagato puntualmente. Anche oggi pagherà. Lascialo stare! - Vai pure, Al-Hafi, vai!

Manderò poi a prendere il denaro.

AL-HAFI:      No, non ci sto più a recitare la commedia. Prima o poi dovrà pur saperlo.

SALADINO: Chi? Cosa?

SITTAH:        Al-Hafi! È così che prometti? È così che mantieni la tua parola?

AL-HAFI:      Non credevo di andare tanto avanti.

SALADINO: Posso sapere, insomma?

SITTAH:        Tieni il segreto, Al-Hafi; te ne prego.

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SALADINO: È straordinario! Cosa avrà da chiedere con tanta solennità, tanto calore, Sittah a un estraneo, a un derviscio,

e non a me, a suo fratello? Al-Hafi, ora te lo ordino. - Parla, derviscio!

SITTAH:        Fratello, non dare a questa inezia maggior peso di quello che le spetta. Più volte, come sai, ti ho vinto a

scacchi la stessa somma. E poiché il denaro adesso non mi serve, e nelle casse di Al-Hafi invece non

abbonda, ho lasciato le poste dove stavano. Ma non ti preoccupare. Non intendo regalartele, fratello, né

donarle a Al-Hafi o alla cassa.

AL-HAFI:      Sì, come se fosse solo questo!

SITTAH:        Più o meno. - Qualche altra somma che mi avevi dato è rimasta nelle tue casse; solo da poche lune, non di

più.

AL-HAFI:      Non è ancora tutto.

SALADINO: Non ancora? - Insomma, vuoi parlare?

AL-HAFI:      Da quando aspettiamo le somme dall'Egitto, lei...

SITTAH:        (a Saladino: ) Ma perché lo ascolti?

AL-HAFI:      Non soltanto non ha preso niente...

SALADINO: Buona fanciulla! - Per di più ci ha messo del suo, vero?

AL-HAFI:      Ha mantenuto tutta la corte; lei sola ha sostenuto le vostre spese.

SALADINO: Ah! Questa è mia sorella! (La abbraccia.)

SITTAH:        Chi se non tu, fratello, mi ha arricchito tanto da poterlo fare?

AL-HAFI:      Per farla poi ritornare più povera di prima, come se stesso.

SALADINO: Io povero? Suo fratello povero? Ho avuto mai di più? Ho avuto mai di meno? Una veste, una spada, un

cavallo - e un solo Dio! Che mi serve di più? Potrebbero mancarmi? Eppure, Al-Hafi, potrei rimproverarti. SITTAH: Non lo fare, fratello. Potessi anche alleviare i crucci a nostro padre!

SALADINO: Ah, di colpo uccidi la mia gioia di nuovo! - A me non manca nulla, e nulla può mancare. Ma a lui manca, e in lui a tutti noi. - Ditemi, dunque, che cosa devo fare? - Forse dall'Egitto non verrà nulla per un pezzo. Come mai, lo sa Iddio. Laggiù, pure, è tutto calmo. - A diminuire le spese, a risparmiare mi adatto volentieri, se io solo ne sono colpito e nessun altro ne soffre. - Ma a che serve? Una veste, una spada, un cavallo devo averli. Né al mio Dio posso sottrarre nulla. Si accontenta già di così poco; del mio cuore. - Era sull'avanzo della tua cassa, Al-Hafi, era su quello che contavo.

AL-HAFI:      Avanzo? - Dite invece che mi avreste fatto impalare, o almeno strangolare, se mi aveste colto in avanzo.

Avrei rischiato meno con un peculato.

SALADINO: Ad ogni modo, cosa facciamo? - E poi tu non potevi prendere a prestito da altri, prima che da Sittah?

SITTAH:        Credi che di questo privilegio mi sarei lasciata defraudare? E voglio conservarlo. Non sono poi ancora del

tutto a secco.

SALADINO: Solo non del tutto! Ci mancherebbe! - Al-Hafi, datti subito da fare! Incassa da chi puoi e come puoi.

Chiedi, prometti. - Ma non chiedere prestiti a coloro che io ho fatto ricchi. Ad essi sarebbe richiedere il

donato. Vai dai più avari; saranno i più disposti. Sanno bene che nelle mie mani l'usura ingrasserà i loro

denari.

AL-HAFI:      Non ne conosco.

SITTAH:        Ah, mi viene in mente di aver udito che il tuo amico, Al-Hafi, è ritornato.

AL-HAFI:      (confuso) Amico? Quale amico? Chi sarebbe?

SITTAH:        L'ebreo che lodi tanto.

AL-HAFI:      Io lodare un ebreo?

SITTAH:        Al quale Dio - ricordo esattamente le parole che ne dicesti allora - al quale Dio diede fra tutti i beni della

terra il più piccolo e il più grande a piene mani. -

AL-HAFI:      Dissi questo? - E che cosa volevo dire?

SITTAH:        La ricchezza; il più piccolo. La saggezza: il più grande.

AL-HAFI:      Di un ebreo? Io avrei detto questo di un ebreo?

SITTAH:        Non hai forse detto questo del tuo Nathan?

AL-HAFI:      Ah, di Nathan! Di lui! - Non ci pensavo affatto. - Sul serio? È ritornato a casa, finalmente? Allora forse le

cose non gli vanno tanto male. - È vero: il Saggio lo chiamava il popolo. E anche il Ricco.

SITTAH:        E lo chiama il Ricco più che mai. Tutta la città racconta delle cose di pregio e dei tesori che ha portato con

sé.

AL-HAFI:      Se è di nuovo il Ricco, sarà di nuovo anche il Saggio di certo.

SITTAH:        Se andassi da lui, Hafi? Che ne pensi?

AL-HAFI:      Per fare che? - Per ottenere credito? - Allora non lo conoscete. - Lui far credito! - La sua saggezza è che

non fa mai credito.

SITTAH:        Eppure tu allora me ne avevi fatto un quadro assai diverso.

AL-HAFI:      Se proprio deve, vi presterà merci. Ma denaro? Denaro mai. - È un ebreo, del resto, come ce ne sono pochi.

È intelligente, sa come si vive, gioca bene a scacchi. Eppure si distingue nel male non meno che nel bene

da tutti gli altri ebrei. - No, su di lui, davvero, non contateci. - Coi poveri è generoso quanto

SALADINO: . Dà, se non altrettanto, con la sua stessa gioia, senza mettersi in mostra. Ebreo, cristiano, musulmano e parsi per lui sono tutt'uno.

SITTAH:        E un uomo simile...

SALADINO: Possibile che non abbia mai sentito parlare di quest'uomo?

SITTAH:        ... non vorrebbe prestare a

SALADINO: ? A

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SALADINO: , che ne ha bisogno solo per gli altri e non per sé?

AL-HAFI:      Qui vedete di nuovo l'ebreo, il volgarissimo ebreo. - Credetemi! - È geloso, è invidioso della vostra

generosità! Ogni «Dio lo rimeriti» che si dice al mondo lo vorrebbe solo per sé. Non presta mai appunto

per poter donare sempre. La sua legge gli comanda carità, non compiacenza; per questo la sua stessa carità

fa di lui l'uomo meno compiacente che ci sia. Da qualche tempo, è vero, i nostri rapporti sono un po' più

tesi; ma non dovete credere per questo che io non lo tratti con giustizia. È ottimo in tutto; solo nel dare a

credito non vale niente, proprio niente. Vado subito a bussare ad altre porte... In questo istante mi sono

ricordato che conosco un moro ricco e avaro. - Corro da lui.

SITTAH:        Perché tanta fretta?

SALADINO: Lascialo andare!

Scena III

Sittah e Saladino

SITTAH:        Corre come se volesse sfuggirmi a ogni costo. Che significa? - Si è davvero ingannato su quell'uomo, o non desidera piuttosto ingannare noi due?

SALADINO: A me lo chiedi? So a mala pena di chi si è parlato; del vostro ebreo, di questo vostro NATHAN: sento oggi

per la prima volta.

SITTAH:        È mai possibile che tu non sappia di un uomo che, si dice, scoprì le tombe di Salomone e Davide, e con una

potente formula magica ne aperse i sigilli? È da esse che di tanto in tanto trarrebbe le ricchezze sconfinate

che solo una simile fonte può fornire.

SALADINO: Se trae le sue ricchezze dalle tombe, non saranno di certo né di Davide, né di Salomone. Solo degli stolti vi

giacciono.

SITTAH:        O dei malvagi. - E poi la fonte delle sue ricchezze è assai più generosa, più inesauribile di una tomba piena

di tesori.

SALADINO: È un mercante, a quanto ho udito.

SITTAH:        I suoi cammelli percorrono ogni pista, ogni deserto, le sue navi approdano in tutti i porti. Al-Hafi me lo

disse allora; aggiungendo con trasporto che il suo amico spendeva nobilmente e con larghezza quanto non

stimava indegno guadagnare con solerzia e intelligenza; che il suo spirito era senza pregiudizi, e il suo

cuore aperto a ogni virtù, capace di capire ogni bellezza.

SALADINO: Eppure adesso Al-Hafi ne ha parlato in modo ambiguo, freddo.

SITTAH:        Non freddo; imbarazzato. Come se giudicasse un rischio dirne bene, ma non volesse biasimarlo a torto. - O

forse è vero che neppure il migliore del suo popolo vince del tutto l'animo del suo popolo? E che davvero

Al-Hafi per questo aspetto deve vergognarsi del suo amico? - Ma sia come sia. - Quell'ebreo, che sia più o

sia meno di un ebreo, è ricco, e per noi basta.

SALADINO: Non vorrai strappargli ciò che è suo con la violenza, sorella!

SITTAH:        Cosa intendi per violenza? Ferro e fuoco? No, coi deboli non serve la violenza, basta la loro debolezza. -

Adesso vieni con me nel mio harem, ad ascoltare il canto di una schiava da me comprata ieri. Intanto forse

maturerò un'idea che ho su questo Nathan. - Vieni.

Scena IV

Davanti alla casa di Nathan, nel punto più vicino alle palme. Escono Recha e Nathan. Poi giunge Daja.


RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:

NATHAN:

RECHA:


Quanto avete indugiato, padre mio. Ormai sarà impossibile raggiungerlo.

Via, via; se non qui fra le palme, in qualche posto lo raggiungeremo. - Ma calmati. - Guarda! Non è Daja:

che viene verso di noi?

Di certo l'avrà perso di vista.

No, vedrai, no.

Altrimenti verrebbe più in fretta.

:Forse non ci ha ancora visti...

Ecco, ci ha visti.

:E raddoppia il passo. Guarda! - Calmati dunque. Calmati!

E vorreste una figlia che fosse calma in un momento simile? Indifferente al benefattore a cui deve la vita? -

Una vita che le è cara solo perché la deve a voi.

:Non ti vorrei diversa da come sei; neppure se sapessi che ben altro si desta nel tuo cuore.

Che cosa, padre?

:Lo chiedi a me? Con tanta timidezza? Qualunque cosa si agiti in te, è natura e innocenza. Non ti

preoccupare; per questo io non mi preoccupo. Ma promettimi che quando il tuo cuore ti parlerà più chiaro,

non mi nasconderai nessuno dei suoi desideri.

Tremo solo all'idea di potervi nascondere il mio cuore.


13


NATHAN:

DAJA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

NATHAN:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

NATHAN:

DAJA:

RECHA:


:Non parliamone più. Siamo d'accordo una volta per tutte. - Ecco qua

Dunque?

Passeggia tra le palme, e fra un momento spunterà dietro quel muro. - Eccolo, guardate!

Ah! Sembra indeciso sulla via da prendere, andrà avanti o indietro, a destra o a sinistra?

No, no, farà ancora più volte il giro del convento; poi dovrà passare qui davanti. - Scommettiamo?

È vero. - Gli hai parlato? Oggi com'è?

Come sempre.

Badate solo che non vi veda qui. Andate un po' più indietro. Anzi, rientrate in casa.

Solo uno sguardo ancora. - Ah! La siepe me lo sottrae.

Venite! Vostro padre ha ragione. Se vi vede, c'è rischio che si volti sui due piedi.

Ah, la siepe!

E se ne sbucasse all'improvviso, vi vedrebbe per forza. Su, rientrate, presto!

: Venite! Conosco una finestra da cui potremo scorgerli.

Davvero? (Recha e Daja entrano in casa).


Scena V

Nathan e subito dopo il templare.

NATHAN:      Quell'uomo strano quasi mi intimidisce. La sua rude virtù mi fa esitare. Che un uomo possa tanto imbarazzare un altro uomo! - Ah, eccolo. - Per Dio! Un giovane che sembra un uomo fatto. Mi piace quello sguardo buono e fiero, quel passo teso. La scorza sarà amara, il frutto no. - Dove ho visto un uomo simile?

-Perdonate, nobile franco...

TEMPLARE: Cosa?

NATHAN:   Consentitemi...

TEMPLARE: Che cosa, ebreo?

NATHAN:   L'ardire di rivolgervi una parola.

TEMPLARE: Posso forse impedirlo? Ma sbrigatevi.

NATHAN:   Non affrettate il passo così superbo e sprezzante davanti a un uomo che avete legato a voi per sempre.

TEMPLARE: E in che modo? - Ah, capisco. Siete...

NATHAN:   Mi chiamo Nathan; sono il padre della ragazza che generosamente salvaste dalle fiamme; e vengo...

TEMPLARE: A ringraziarmi? Risparmiatevelo. Per quella piccolezza ho già dovuto sopportare troppi ringraziamenti. - Non mi dovete nulla. Non sapevo che la ragazza fosse vostra figlia. Accorrere in aiuto di chiunque sia veduto in pericolo è dovere di ogni

TEMPLARE: . Inoltre in quel momento la vita mi pesava. Volentieri approfittai dell'opportunità di metterla in gioco contro un'altra vita; una qualunque - e fosse pure solo la vita di un'ebrea.

NATHAN: Grande! Grande, e orribile! - Ma si può capire perché. Per fuggire l'ammirazione la grandezza modesta si rifugia nell'orrore. - Ebbene, se disprezza tanto il tributo dell'ammirazione, quale tributo essa disprezzerà di meno? - Cavaliere, se qui non foste un forestiero e un prigioniero, nelle mie domande sarei meno sfacciato. Ordinate; in che posso servirvi?

TEMPLARE: In nulla.

NATHAN:   Sono un uomo ricco.

TEMPLARE: Per me l'ebreo più ricco non fu mai il migliore.

NATHAN:   È un buon motivo per non sfruttare la cosa migliore che possiede, cioè la sua ricchezza?

TEMPLARE: Sta bene, non mi opporrò del tutto; per amore del mio mantello. Quando sarà logoro, e non terranno più né toppe né rammendi, verrò a chiedervi in prestito la stoffa o il denaro per un mantello nuovo. - Non fate quella faccia scura! Per ora non correte rischi; non è ancora a quel punto. Lo vedete, è in buono stato. Solo questo lembo ha una brutta macchia; è strinato. Si è fatta quando attraversai le fiamme con vostra figlia.

NATHAN (afferrando il lembo del mantello e guardandolo fisso) È strano che una simile macchia, una crudele bruciatura, parli assai meglio per quest'uomo della sua bocca. Vorrei baciarla, ora - questa macchia. - Scusate! - Non volevo.

TEMPLARE: Cosa?

NATHAN:   Vi è caduta una lacrima.

TEMPLARE: Poco male. Si è bagnato altre volte. (Questo ebreo incomincia a confondermi).

NATHAN:   Vorreste essere così buono da mandare il mantello a mia figlia?

TEMPLARE: Perché mai?

NATHAN:   Perché possa baciare questa macchia. Poiché abbracciarvi lei stessa le ginocchia deve desiderarlo invano.

TEMPLARE: Ebbene, ebreo - Nathan vi chiamate? - Ebbene, Nathan - Avete parole così - così efficaci - e penetranti - sono confuso - ecco - sarei...

NATHAN:   Mascheratevi pure come volete, io vi riconoscerò. Voi foste troppo buono, troppo onesto per essere cortese.

-Una fanciulla troppo sentimentale; una messaggera troppo ben disposta; ed il padre lontano. - Vi preoccupaste del suo buon nome, evitaste di metterla alla prova per non vincerla. Anche di questo vi ringrazio -

TEMPLARE: Devo ammetterlo, conoscete i doveri di un Templare

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NATHAN:      Solo un Templare? E solo per dovere? Solo perché lo impongono le regole dell'Ordine? So come si comporta un uomo buono; e so che ogni paese ne possiede.

TEMPLARE: Però con delle differenze.

NATHAN:      Certo: di colore, di vesti e di fattezze.

TEMPLARE: Ma di buoni ce n'è di più, o di meno.

NATHAN:      Una differenza che non va lontano. All'uomo grande occorre ovunque spazio; molti alberi piantati troppo fitti si spezzano i rami. Di mediocri invece, come noi, ce n'è dappertutto. Basta che uno non disprezzi l'altro; basta che il nodo tolleri il vicino; basta che il ramoscello non pretenda di essere l'unico venuto giù dal cielo.

TEMPLARE: Ben detto! - Ma conoscete il popolo che disprezzò per primo gli altri? Quale, Nathan, fu quello che per primo si proclamò popolo eletto? E se io non potessi non dico non odiare, ma non disprezzare questo popolo a causa della sua superbia? La superbia, passata al cristiano e al musulmano, che solo il proprio Dio sia il vero Dio. - Vi sorprende che un cristiano, un

TEMPLARE: parli così! Eppure quando e dove la pia follia di avere il Dio migliore, e di imporlo per questo al mondo intero, ha mai mostrato un volto più feroce di quello che adesso mostra qui? Se dagli occhi non cadono le bende qui, adesso... Ma chi vuole esser cieco lo sia! - Dimenticate quel che ho detto, e lasciatemi. (Fa per allontanarsi.)

NATHAN:      Al contrario. Vi starò vicino più che mai. - Venite, dobbiamo essere amici. - Disprezzate il mio popolo, se volete. Né voi né io abbiamo scelto il nostro popolo. Noi siamo il nostro popolo? Cosa vuol dire popolo? I cristiani e gli ebrei sono cristiani o ebrei prima che uomini? Ah, se in voi trovassi un altro uomo al quale è sufficiente chiamarsi uomo!

TEMPLARE: Sì, per Dio! Eccolo, Nathan! Eccolo! - La vostra mano! - Mi vergogno se prima vi ho misconosciuto.

NATHAN:      Io ne sono fiero. Solo ciò che è volgare di rado si misconosce.

TEMPLARE: E ciò che è raro difficilmente si dimentica. - Sì, Nathan: dobbiamo diventare amici.

NATHAN:      Già lo siamo. - Quale gioia sarà per la mia Recha! - Giorni lieti si aprono al mio sguardo in lontananza. - Conoscetela soltanto.

TEMPLARE: Non vedo l'ora. - Ma chi si precipita fuori da casa vostra? Non è la sua Daja?

NATHAN:      Sì. Così spaventata?

TEMPLARE: Che sia successo qualcosa alla nostra Recha?

Scena VI

I precedenti. Daja arriva di corsa.


DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

TEMPLARE:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:


Nathan! Nathan!

Ebbene?

Perdonate, nobile cavaliere, devo interrompervi.

Che c'è dunque?

Che c'è?

Il sultano vi cerca. Il sultano vuole parlarvi. Dio! Il sultano!

A me? Il sultano? Vorrà vedere quello che ho portato con me di nuovo. Rispondi che dei pacchi quasi

nessuno è stato ancora aperto.

Non vuol vedere nulla, vuol parlarvi personalmente, subito; al più presto.

Andrò da lui allora. - Rientra adesso.

Non arrabbiatevi, illustre cavaliere - Dio, siamo così in ansia! Che vorrà il sultano?

Si vedrà. Ma adesso vai.


Scena VII

Nathan e il templare.

TEMPLARE: Voi non lo conoscete ancora? - Di persona intendo.

NATHAN:     Il Saladino? Non ancora. Non l'ho mai evitato né cercato. La fama ne parlava troppo bene, ho preferito crederle piuttosto che vedere. Ma adesso - se è così - egli risparmiandovi la vita...

TEMPLARE: Sì, è così. La vita che io vivo è dono suo.

NATHAN:     E donandola a voi a me ha donato due, tre vite. Questo cambia tutto fra me e lui; questo ha creato d'un tratto un legame che mi vincola a servirlo per sempre. Non vedo l'ora di sapere cosa vorrà ordinarmi; adesso sono pronto a fare ogni cosa per lui, e pronto a confessargli che è per causa vostra che lo sono.

TEMPLARE: Né io stesso ho potuto ringraziarlo, benché l'abbia incontrato più volte per la strada. L'impressione che gli feci allora venne e sparì altrettanto fulminea. Chissà se addirittura si ricorda di me. Ma dovrà ricordarsene almeno una volta, per decidere del tutto il mio destino. Non basta che io viva grazie ad un suo comando e con la sua volontà; da lui devo sapere secondo quale volontà ho da vivere

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NATHAN:      È vero; e tanto più voglio affrettarmi. - Forse il colloquio mi darà occasione di parlare di voi. - Adesso, perdonatemi - vado di corsa - quando vi vedremo in casa nostra?

TEMPLARE: Quando potrò.

NATHAN:      Quando vorrete.

TEMPLARE: Oggi stesso.

NATHAN:      Il vostro nome, vi prego?

TEMPLARE: Il mio nome era - è Curd von Stauffen. - Curd.

NATHAN:      Von Stauffen? - Stauffen?

TEMPLARE: Perché questo nome vi colpisce?

NATHAN:      Von Stauffen? - Una famiglia da cui molti certo...

TEMPLARE: Sì, molti Stauffen vennero e sono già sepolti qui. Anche mio zio - mio padre voglio dire - Ma perché il vostro sguardo mi scruta sempre più attentamente?

NATHAN:      Nulla, nulla! Come potrei stancarmi di guardarvi?

TEMPLARE: Allora vi lascerò per primo. Chi indaga trova spesso più di quanto desidera; e io lo temo, Nathan. Lasciate


NATHAN


al tempo, non alla curiosità, di svelarci l'un l'altro a poco a poco. (Si allontana.)

(lo segue stupito con lo sguardo) «Chi indaga trova spesso più di quanto desidera» È come se mi avesse

letto nel pensiero. - Anche a me, infatti, potrebbe capitare. - Non solo ha la statura ed il passo di Wolf; ha

anche la sua voce. Così Wolf gettava indietro il capo, appoggiava sul braccio la sua spada e sfiorava le

ciglia con la mano, quasi a nascondere il fuoco dello sguardo. - Come a volte un'immagine sepolta può

dormire dentro di noi, finché una parola, un suono non la desta. - Von Stauffen! - Sì, Filnek e Stauffen. -

Presto ne saprò di più; molto presto. Prima, però, dal Saladino. - È Daja, là, che mi ascolta? - Daja, vieni

qui.


Scena VIII

Daja e Nathan


NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:


Che c'è? Lo so, quel che vi sta a cuore è ben altro da ciò che il Saladino vuole da me.

Non la disapprovate. Quando cominciaste a parlargli con più confidenza, il messo del sultano ci fece

lasciare la finestra.

E tu dille soltanto che lo può aspettare da un momento all'altro.

È vero?

Daja, posso fidarmi di te? Sii prudente, te ne prego. E non te ne pentirai. Vedrai che neppure la tua

coscienza ci rimetterà. Non guastare nulla dei miei progetti. Nei tuoi racconti e nelle tue domande sii

discreta, riservata...

Che bisogno c'è di ricordarmelo? - Vado; e anche voi andate! Ecco un secondo messo del sultano; Al-Hafi,

il derviscio. (Esce.)


Scena IX

Nathan e Al-Hafi.


AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:

AL-HAFI:

NATHAN:


Aha! Volevo appunto riparlarvi.

Quanta fretta! Che cosa vuole dunque da me?

Chi?

Saladino. - Arrivo, arrivo.

Dove? Dal Saladino?

Non è lui che ti manda?

Me? No. Vi ha forse già cercato?

Certamente.

Ah, di bene in meglio.

Quale meglio?

Che... Ma non è colpa mia. Dio sa che non ne ho colpa. - Che cosa non ho detto di voi, quante bugie, per

evitarvelo!

Evitarmi che cosa? Che succede?

Che adesso siete voi il defterdar. Vi compatisco. Ma non starò certo qui a vedere. Me ne vado, e subito.

Voi sapete già dove e per quale via. - Se sulla mia strada posso servirvi, sono ai vostri ordini. Purché non

sia un fardello più ingombrante di quel che può portare un uomo nudo. Ordinate; sto andando.

Aspetta, Al-Hafi, pensa che non so ancora niente. Cosa mi racconti?

Ve le portate dietro subito le borse?

Quali borse?


16


AL-HAFI:       Il denaro che dovrete versare al Saladino!

NATHAN:      Tutto qui?

AL-HAFI:       Dovrei forse assistere a come vi succhierà giorno per giorno fino al midollo? E dovrei assistere allo

sperpero che spilla, spilla, spilla dai granai che non furono mai vuoti per una savia carità, finché persino i

topolini che ci vivono moriranno di fame? - O immaginate che chi ha bisogno del vostro denaro seguirà i

vostri consigli, se non altro? - Lui seguire consigli! - E quando Saladino si lasciò consigliare? - Sentite,

Nathan, quel che mi è successo poco fa.

NATHAN:      Racconta.

AL-HAFI:       Quando vado da lui, ha appena terminato una partita a scacchi con la sorella. Sittah non gioca male. Il

gioco che il sultano credeva e aveva dato per perduto era sulla scacchiera. Do un'occhiata, e vedo che la

partita non è affatto perduta.

NATHAN:      Che scoperta per te!

AL-HAFI:       Infatti per rispondere al suo scacco bastava avvicinare il re al pedone. - Se potessi mostrarvelo!

NATHAN:      Oh, mi fido.

AL-HAFI:       Così dava spazio alla torre: e Sittah avrebbe perso. - Voglio farglielo vedere, lo chiamo. - Ma... pensate!

NATHAN:      Non è del tuo parere?

AL-HAFI:       Non mi ascolta per nulla, e con disprezzo butta tutto per aria.

NATHAN:      È mai possibile?

AL-HAFI:       Dicendo che lui vuole che sia matto. Vuole! È giocare questo?

NATHAN:      Non direi; è giocare col gioco.

AL-HAFI:       E non c'erano mica in gioco spiccioli.

NATHAN:      I soldi vanno e vengono. Questo è il meno. Ma non darti ascolto! Su di un punto così fondamentale non

darti neppure ascolto, né ammirare il tuo occhio di falco! Questo sì, questo grida vendetta, non è vero?

AL-HAFI:       Ma no, ve l'ho detto soltanto per farvi vedere come è fatto. Di lui, insomma, non ne posso più. Corro da

tutti quei sudici mori a domandare chi vuol fargli credito. Io che per me non stesi mai la mano debbo

chiedere prestiti per gli altri. Cercare credito non è molto meglio di mendicare, e prestare a usura non molto

meglio di rubare. Tra i miei parsi, sul Gange, non dovrò più fare né una cosa né l'altra, né esserne

strumento. Solo sul Gange vivono veri uomini. Qui solo voi sareste un uomo degno di vivere sul Gange. -

Volete accompagnarmi? Lasciate a lui tutti i grattacapi che gli tocca risolvere. Altrimenti a poco a poco

rovinerà anche voi. Così la finirebbe una volta per tutte. Vi procuro un delk. Venite! Su, venite!

NATHAN:      Penso che questo, Al-Hafi, potremo farlo in qualsiasi momento. Vorrei pensarci su. Aspetta...

AL-HAFI:       Pensarci su? Qui non c'è niente da pensare.

NATHAN:      Almeno finché io non sia stato dal sultano; quando l'avrò lasciato...

AL-HAFI:       Chi ci pensa cerca ragioni per non potere. Chi non sa risolversi d'un tratto a vivere per sé, vivrà per sempre

schiavo degli altri. - Come preferite. - Addio! Come vi pare. - Quella è la mia via, questa è la vostra.

NATHAN:      Al-Hafi! Non vuoi chiudere i tuoi conti, prima di andare?

AL-HAFI:       Bazzecole! Lo stato della mia cassa non richiede calcoli; per me siete garanti - voi o Sittah. Addio! (Esce.)

NATHAN (seguendolo con lo sguardo) Garantirò per te! - Scontroso, buono, nobile - come chiamarlo? - Il vero mendicante è l'unico, è il solo vero re. (Esce da un'altra parte)

17


ATTO III

Scena I

Nella casa di Nathan. Recha e Daja.


RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:


Quali parole usò mio padre, Daja? «Posso aspettarlo da un momento all'altro?» Suonano - vero? - come se

dovesse comparire subito. - Ma quanti momenti sono già passati! - Eppure, chi pensa ai momenti passati? -

Voglio vivere momento per momento nel futuro. Verrà pur quello che lo porterà.

Maledetta ambasciata del sultano! Se non era per quella, certo Nathan l'avrebbe già condotto qui.

Ma quando quel momento sarà venuto, e il più ardente, il più intimo dei miei desideri sarà esaudito;

allora? - allora?

Allora verrà esaudito, spero, anche il più ardente dei miei desideri.

Che cosa prenderà il suo posto nel mio petto, che non sa più respirare se non per quello solo, per il

desiderio di tutti i desideri? - Nulla? Ah, ho paura...

Il mio desiderio allora prenderà il suo posto, il mio. Il mio desiderio di saperti in Europa, di saperti in mani

degne di te.

Ti sbagli. - Ciò che fa tuo questo desiderio impedisce che possa mai diventare il mio. La tua patria ti attira;

la mia non mi terrebbe qui? L'immagine dei tuoi, non ancora svanita nella tua anima, avrebbe più potere

dei miei in carne e ossa, che vedo, che ascolto e posso toccare?

Chiuditi fin che vuoi! Le vie del cielo sono le vie del cielo. E se il Dio di colui che ti ha salvato, il Dio per

cui combatte, per sua mano volesse ricondurti a quella terra, a quella gente per cui sei nata?

Daja! Che cosa dici di nuovo, cara Daja! Le tue idee sono davvero strane; «Il suo Dio - il Dio per cui

combatte»! A chi appartiene Dio? Strano Dio, che appartiene a un uomo e che ha bisogno si combatta per

lui. - Chi può sapere per quale zolla di terra è nato, se non è la zolla sulla quale è nato? - Se mio padre ti

sentisse! - Cosa ti ha fatto, perché tu mi dipinga la mia felicità sempre lontana da lui? Perché tu unisca così

spesso le erbe soffocanti oppure i fiori della tua terra al seme della ragione, che lui infuse puro nella mia

anima? Lui, cara Daja, non vuole sul mio suolo i tuoi fiori variopinti. - E io stessa, debbo dirtelo, sento che

il mio suolo è consumato, snervato dai tuoi fiori, che pure sono un manto così bello. Sento che il loro

profumo dolce e acre mi stordisce, mi dà le vertigini. - La tua mente vi è più abituata. Non biasimo per

questo i nervi forti che lo sopportano. Ma non fa per me. Già il tuo angelo non mi dette quasi alla testa? -

Mi vergogno ancora di fronte a mio padre della farsa.

Farsa! - Come se solo qui abitasse la ragione! Farsa! Se potessi parlare!

E non puoi? Non ti ho sempre ascoltato docilmente, quando mi raccontavi degli eroi della tua fede? Non

ho sempre ammirato le loro imprese? Non ho sempre pianto le loro sofferenze? Ma la loro fede mi parve

sempre il lato meno eroico. Assai più consolante era sapere che la devozione a Dio non dipende in tutto e


per tutto dalle false idee che noi ne abbiamo. - Cara Daja, quante volte mio padre ce lo disse, e quante volte gli desti ragione; perché adesso da sola demolisci quel che con lui avevi costruito? - Ma questa discussione, cara Daja, non è conveniente, nell'attesa del nostro amico. O forse lo è per me. A me sta molto a cuore che anche lui... Ascolta, Daja! - C'è qualcuno alla porta. Se fosse lui! Ascolta!

Scena II

Recha, Daja e il templare, al quale uno schiavo fuori scena apre la porta dicendo:

[SCHIAVO] Ecco, entrate qui!

RECHA:         (trasalisce, si riprende e fa per gettarsi ai suoi piedi) È lui! - Il mio salvatore, ah!

TEMPLARE: Per evitare questo ho tardato tanto: e ora -

RECHA:         Ai piedi di quest'uomo orgoglioso desidero soltanto ringraziare di nuovo Dio, non l'uomo. L'uomo non

vuole grazie; tanto poco quanto le vuole il secchio, così docile a prestarsi per spegnere le fiamme - che si lasciò riempire e si lasciò vuotare indifferente a tutto: come l'uomo. Anch'egli capitò per caso tra le fiamme; gli caddi più o meno tra le braccia e vi rimasi, come una scintilla caduta sul mantello; e finalmente qualcosa ci gettò fuori dal bracere. - Cosa ci sarà mai da ringraziare? - A ben altre imprese si è sospinti in Europa dal vino. - I templari del resto devono comportarsi così, e riportare, come cani benissimo addestrati, dalle fiamme e dall'acqua, come capita.

TEMPLARE: (che per tutto il tempo fissa Recha sorpreso e imbarazzato) O Daja, Daja, se in momenti di tristezza e di

rabbia ti ho fatto pesare il mio cattivo umore, perché le hai riferito ogni sciocchezza sfuggita alla mia

bocca? È stata una vendetta troppo crudele, Daja! Purché tu voglia d'ora in poi dipingermi meglio ai suoi

occhi.

DAJA:              Non credo, cavaliere, che le piccole spine con cui punsi il suo cuore vi abbiano nuociuto molto presso di

lei.

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RECHA:         Come? Tristezza? E di quella tristezza foste più avaro che della vita?

TEMPLARE:  Buona, cara fanciulla! - La mia anima è contesa dagli occhi e dalle orecchie. - Non era questa, no, non questa la fanciulla che salvai dal fuoco. - Chi, vedendola, non l'avrebbe salvata dalle fiamme? Chi mi

avrebbe atteso? - Ma - il viso sconvolto - lo spavento...

Pausa, durante la quale si perde nella contemplazione di Recha.

RECHA:         Io invece vi trovo proprio uguale. -Recha fa la stessa cosa; poi continua, per strapparlo alla sua

contemplazione. Diteci, cavaliere, dove siete stato così a lungo? - Ma potrei quasi chiedervi: dove siete

adesso?

TEMPLARE: Sono - dove forse non dovrei essere.

RECHA:         E dove siete stato? - Dove forse non avreste dovuto? Questo è male.

TEMPLARE: Sul - sul - come si chiama il monte? Sul Sinai.

RECHA:         Sul Sinai? - Magnifico! Finalmente saprò con sicurezza se è vero che...

TEMPLARE: Se è vero che è possibile vedere il luogo in cui Mosè fu davanti a Dio quando...

RECHA:         No, non questo. Dovunque fosse era davanti a Dio. Su questo so quanto basta. - No, da voi vorrei sapere; è

proprio vero che salire su quel monte è di gran lunga meno faticoso che discenderne? - Perché, vedete, su

tutti quanti i monti su cui sono salita era il contrario. - Ebbene, cavaliere? - Mi voltate le spalle? Non volete

guardarmi?

TEMPLARE: Perché voglio ascoltarvi.

RECHA:        O invece non volete farmi scorgere che sorridete della mia ingenuità? Che sorridete perché non so rivolgervi domande meno futili di questa sul più sacro dei monti?

TEMPLARE: In questo modo mi costringete a guardarvi negli occhi. - Come? Li abbassate? Adesso soffocate voi il sorriso? Ma come potrei leggere su un volto, su un ambiguo volto, ciò che sento, ciò che voi mi dite - - o tacete - così chiaro? - Ah, Recha! Aveva ragione a dirmi: «Conoscetela soltanto!».

RECHA:         Chi ve lo disse? - Di chi?

TEMPLARE: «Conoscetela soltanto!» mi disse vostro padre; e parlava di voi.

DAJA:              Non ve lo dissi anch'io? Non ve lo dissi?

TEMPLARE: Ma dov'è adesso vostro padre? Forse ancora presso il sultano?

RECHA:         Senza dubbio.

TEMPLARE: Ancora? Smemorato che sono! No, difficilmente ci sarà ancora. - Certamente mi aspetta laggiù, nei pressi

del convento. Infatti così eravamo intesi. Permettetemi, vado a prenderlo... Questo è compito mio. Restate, cavaliere. Lo porterò qui subito. DAJA:

TEMPLARE:  No, no! Deve incontrare me, non voi. E poi forse potrebbe... Chi sa?... Forse presso il sultano... Voi non

conoscete il sultano!... Potrebbe trovarsi facilmente nei pasticci. - Credetemi; se non vado io, c'è pericolo...

RECHA:         Come? Quale pericolo?

TEMPLARE: Pericolo per me, per voi, per lui, se non vado di corsa. (Esce.)

Scena III

Rechia e Daja.


RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:

DAJA:

RECHA:


Che significa, Daja? - Perché tanta fretta? - Che avrà in mente? Chi gli corre dietro?

Oh, lasciatelo. Non credo sia cattivo segno.

Segno? Di che?

Di qualche cosa che si muove dentro, che bolle e che non deve traboccare. Lasciatelo. Adesso tocca a voi.

Che cosa tocca a me? Diventi, come lui, incomprensibile.

Potrete molto presto estituirgli tutte le inquietudini che vi ha dato. Non siate tuttavia troppo severa, troppo

vendicativa.

Sai tu sola di cosa stai parlando.

E siete già tornata così calma?

Sì, sono calma, è vero...

Almeno confessate che non vi dispiace che sia inquieto; e che dovete alla sua inquietudine questa calma.

Senza rendermene conto. Ti potrei confessare, tutt'al più, che sono stupita - sono stupita io stessa che nel

mio cuore a una simile tempesta sia seguita di colpo tanta pace. Vederlo da vicino, le sue parole, il suono

della voce mi ha...

Già saziata?

Saziata? No, questo non direi; no - niente affatto -

Solo calmato i morsi della fame.

Forse, se vuoi.

Che c'entro io?

Mi sarà sempre caro; più caro della vita; anche se adesso solo udirne il nome non mi accelera più i battiti

del polso, e se il cuore non batte più rapido e più forte quando penso a lui. - Ma quanto chiacchiero! Vieni,

Daja, torniamo alla finestra che guarda sulle palme.

I morsi della fame non sono del tutto calmati, a quanto pare.

Questa volta vedrò anche le palme, non più soltanto lui.


19


DAJA:

RECHA:


Questa freddezza sarà l'inizio di una nuova febbre.

Fredda? Non sono fredda. Uno sguardo tranquillo per me non è uno sguardo meno lieto.


Scena IV

Una sala d'udienza nel palazzo del Saladino. Saladino e Sittah.

SALADINO: (entrando, rivolto verso la porta ) Fate entrare l'ebreo appena arriva. Sembra che non abbia molta fretta.


SITTHA:

SALADINO:

SITTHA:


Forse era lontano; non l'avranno trovato subito.

Ah, sorella!

Sembra quasi che tu sia in attesa di un duello.


SALADINO: E con armi che non ho imparato a maneggiare. Dovrò fingere, dovrò intimidire, mettere trappole, avanzare


SITTHA:

SALADINO:

SITTHA:

SALADINO:

SITTHA:


sul ghiaccio. Cose che non so fare, che non ho mai imparato a fare. - E tutto questo a quale scopo? -

Procurarmi denaro. Del denaro! Estorcerlo a un ebreo con la paura! A che trucchi meschini son ridotto, per

procurarmi la più meschina delle meschinità!

Le meschinità troppo trascurate si vendicano.

È vero. - Ma se questo ebreo fosse l'uomo buono, l'uomo saggio che allora il derviscio ti descrisse?

Ebbene? Che potrebbe succedere di male? La trappola è rivolta solo all'ebreo avaro, timoroso, vile; non

all'uomo giusto e saggio. L'uomo giusto e saggio è già con noi senza trappole. E tu avrai il piacere di

ascoltare come saprà trarsi d'impaccio un uomo simile, sia che laceri la rete con spavaldo vigore o

preferisca districarsi con accorta prudenza dalle sue maglie; avrai questo piacere in sovrappiù.

Sì, questo è vero. Certo, questa idea mi è gradita.

Ebbene, allora nient'altro può confonderti. Infatti se è un uomo come tanti, se è un ebreo come gli altri, di

fronte a un uomo simile potresti vergognarti di apparire come lui crede che ogni uomo sia? Chi si mostra


migliore, anzi, è ai suoi occhi uno stolto e un vanesio.

SALADINO: Dovrei addirittura agire male perché l'uomo malvagio non pensi male di me?

SITTHA:         Sì, se è agire male usare di ogni cosa secondo la sua specie.

SALADINO: Una mente di donna sa abbellire tutto ciò che ha pensato.

SITTHA:         Abbellire!

SALADINO: Temo solo che il fine stratagemma nella mia goffa mano non si spunti. - Dovrei portarlo a termine come è


SITTHA:


stato ideato, con astuzia e destrezza. - E tuttavia vedremo. Ballerò come potrò; e preferirei ballare peggio,

non meglio.

Non ti sottovalutare! Garantisco per te. Purché tu voglia. - Gli uomini come te vorrebbero convincerci che

con la spada, solo con la spada giunsero così in alto. Il leone si vergogna a cacciare con la volpe: si

vergogna - della volpe, non dell'astuzia.


SALADINO:    E le donne vorrebbero far cadere l'uomo in basso, accanto a sé. - Ma adesso vai! - Credo di sapere la


SITTHA:

SALADINO:

SITTHA:


lezione.

Come? Debbo andarmene?

Non vorrai rimanere?

Se non restare qui - davanti a voi - nella stanza accanto...


SALADINO: Ad ascoltare? No, sorella, se vuoi che tenga duro. - Vai! La cortina fruscia, sta venendo. - E non fermarti là! Controllerò.

Mentre Sittha esce da una porta, Nathan entra dall'altra. Saladino si è seduto.

Scena V

Saladino e Nathan.

SALADINO: Avvicinati, ebreo! - Ancora. - Più vicino. - Non temere.

NATHAN:      Ti tema il tuo nemico.

SALADINO: Ti chiami Nathan?

NATHAN:      Sì.

SALADINO: Nathan il Saggio?

NATHAN:      No.

SALADINO: Certo, non tu; ti chiama così il popolo.

NATHAN:      Il popolo! Può essere.

SALADINO: E credi che disprezzi la voce del popolo? - Da tempo, anzi, volevo conoscere l'uomo che il popolo chiama


NATHAN:

SALADINO:

NATHAN:


il Saggio.

E se lo chiamasse così per burla? Se saggio per il popolo fosse soltanto il furbo, e furbo fosse solo chi sa

capire il suo vantaggio?

Il suo vero vantaggio: questo intendi?

Allora certo l'uomo più egoista sarebbe il più furbo, e furbo e saggio la stessa cosa.


20


SALADINO: Ti sento dimostrare ciò che vuoi smentire. - Tu conosci il vero vantaggio dell'uomo, sconosciuto al popolo.

O almeno hai cercato di conoscerlo, hai riflettuto su di esso; e tanto basta a fare un uomo saggio.

NATHAN:      Ogni uomo crede di essere saggio.

SALADINO: Basta con la modestia! È noioso incontrarla di continuo dove si cerca un'asciutta ragione.     Si alza in piedi


NATHAN:

SALADINO:

NATHAN:


di scatto. Veniamo al punto. Ma sii onesto, ebreo, sii onesto.

Sultano, io ti servirò in modo da conservarmi degno di servirti anche in avvenire.

Servirmi? Come?

Tu avrai il meglio di ogni cosa; e l'avrai al prezzo più basso.


SALADINO:  Di cosa parli? Non delle tue merci? - A contrattare con te ci penserà mia sorella. (Se ascolta, eccola servita!). - Il mercante non mi riguarda affatto.

NATHAN:     Vorrai sapere allora, senza dubbio, ciò che nel mio cammino vidi o seppi del nemico, che a dire il vero torna a muoversi. - Se posso essere franco...

SALADINO: No, neppure di questo mi premeva di parlare con te. Su questo so quanto mi occorre. - In breve...

NATHAN:      Ordina, sultano.

SALADINO: Ciò per cui chiedo il tuo insegnamento è ben altro, ben altro. - Tu che sei così saggio dimmi, una volta per tutte - qual è la fede, qual è per te la legge più convincente di ogni altra?

NATHAN:      Sultano, io sono ebreo.

SALADINO: E io sono musulmano. E fra noi c'è il cristiano. - Ma di queste tre religioni una sola può esser vera. - Un uomo come te non resta immobile dove l'ha messo il caso della nascita: o, se vi resta, lo fa a ragion veduta, per dei motivi, perché ha scelto il meglio. Allora di' anche a me le tue ragioni! Fammi conoscere i motivi sui quali io non ho avuto il tempo di riflettere. Rivelami - s'intende, in confidenza - la scelta nata da quelle ragioni, perché io possa farla mia. - Ma come? Tu esiti? Mi soppesi con lo sguardo? Può essere che io sia il primo sultano che ha un simile capriccio; tuttavia a me non sembra indegno di un sultano. - Non è vero? - Parla dunque! Dimmi! - O vuoi forse un momento per riflettere? E sia, te lo concedo. - (Chi sa se mia sorella è in ascolto... La coglierò sul fatto, e sentirò se ho condotto bene la cosa). - Rifletti, ma rapidamente! Non tarderò a tornare.

Va nella stanza vicina, dove si era recata Sittah.

Scena VI

Nathan solo.

NATHAN:     Hm! - Strano! - Cosa pensarne? - Cosa vuole il sultano? - Ero pronto a dargli del denaro, e vuole - la verità! E la vuole così - così spiccia e sonante - come se fosse una moneta. - E fosse almeno la moneta di un tempo, quella che si pesava! - Ma la moneta nuova, garantita soltanto dal suo conio, che sul banco si può solo contare, non è la verità. La verità si pigia nelle teste come le monete nei sacchi? Chi è l'ebreo qui? Lui o io? - Ma... E se in realtà non cercasse affatto la verità? - Certo, il sospetto che egli possa usare la verità come una trappola è troppo meschino. - Troppo? - Ma per un potente cosa è troppo meschino? - E con che furia mi piombò in casa! Chi viene come amico prima bussa e ascolta. - Devo muovermi con prudenza. - Ma come? - Fare l'ebreo tutto d'un pezzo non va bene. - Fare come se non lo fossi, ancora meno. Se non lo sono, potrebbe domandarmi, perché non sono musulmano? - Ecco! Questo può salvarmi! - Non soltanto i bambini si nutrono di favole. - Sta venendo. Che venga!

Scena VII

Saladino: e Nathan.

SALADINO: (Adesso il campo è libero). - Ritorno forse troppo presto? Il tempo per riflettere è agli sgoccioli, ormai. -

Parla, dunque! Nessuno ci ascolta.

NATHAN:      Che ci ascolti pure il mondo intero.

SALADINO: Fino a tal punto

NATHAN:      è sicuro del fatto suo? Ah, questo chiamo essere saggio! Mai nascondere la verità. Mettere in gioco ogni

cosa per essa. La libertà e la vita, i beni e il sangue.

NATHAN:      Sì. Se è necessario e utile.

SALADINO: D'ora in poi io spero di portare a buon diritto il mio nome di Riformatore del mondo e della legge.

NATHAN:      Un bel nome! Ma, prima di confidarmi interamente, mi consenti, sultano, di narrarti una piccola storia?

SALADINO: Perché no? Io ho sempre amato le storie raccontate bene.

NATHAN:      Raccontare bene non è il mio forte.

SALADINO: Ancora così modesto e orgoglioso? - Avanti, su, racconta!

NATHAN:      Molti anni or sono un uomo, in Oriente, possedeva un anello inestimabile, un caro dono. La sua pietra, un

opale dai cento bei riflessi colorati, ha un potere segreto: rende grato a Dio e agli uomini chiunque la porti

con fiducia. Può stupire se non se lo toglieva mai dal dito, e se dispose in modo che restasse per sempre in

21


casa sua? Egli lasciò l'anello al suo figlio più amato; e lasciò scritto che a sua volta quel figlio lo lasciasse al suo figlio più amato; e che ogni volta il più amato dei figli diventasse, senza tenere conto della nascita ma soltanto per forza dell'anello, il capo e il signore del casato. - Tu mi segui, sultano?

SALADINO: Ti seguo. Vai avanti.

NATHAN:     E l'anello così, di figlio in figlio, giunse alla fine a un padre di tre figli. Tutti e tre gli ubbidivano ugualmente ed egli, non poteva farne a meno, li amava tutti nello stesso modo. Solo di tanto in tanto l'uno o l'altro gli sembrava il più degno dell'anello - quando era con lui solo, e nessun altro divideva l'affetto del suo cuore. Così, con affettuosa debolezza, egli promise l'anello a tutti e tre. Andò avanti così finché poté. - Ma, vicino alla morte, quel buon padre si trova in imbarazzo. Offendere così due figli, fiduciosi nella sua parola, lo rattrista. - Che cosa deve fare? - Egli chiama in segreto un gioielliere, e gli ordina due anelli in tutto uguali al suo; e con lui si raccomanda che non risparmi né soldi né fatica perché siano perfettamente uguali. L'artista ci riesce. Quando glieli porta, nemmeno il padre è in grado di distinguere l'anello vero. Felice, chiama i figli uno per uno, impartisce a tutti e tre la sua benedizione, a tutti e tre dona l'anello - e muore. - Tu mi ascolti, sultano?

SALADINO: (il quale, colpito, aveva girato il viso) Ascolto, ascolto. Ma finisci presto la tua favola. - Ci sei?

NATHAN:     Ho già finito. Quel che segue si capisce da sé. - Morto il padre, ogni figlio si fa avanti con il suo anello, ogni figlio vuol essere il signore del casato. Si litiga, si indaga, si accusa. Invano. Impossibile provare quale sia l'anello vero - ( dopo una pausa, durante la quale egli attende la risposta del sultano) quasi come per noi provare quale sia - la vera fede.

SALADINO: Come? Questa è la tua risposta alla domanda?...

NATHAN:     Valga soltanto a scusarmi, se non oso cercare di distinguere gli anelli che il padre fece fare appunto al fine che fosse impossibile distinguerli.

SALADINO: Gli anelli! - Non burlarti di me! - Le religioni che ti ho nominato si possono distinguere persino nelle vesti, nei cibi, nelle bevande!

NATHAN:     E tuttavia non nei fondamenti. - Non si fondano tutte sulla storia, scritta o tramandata? E la storia solo per fede e per fedeltà dev'essere accettata, non è vero? - E di quale fede e fedeltà dubiteremo meno che di ogni altra? Quella dei nostri avi, sangue del nostro sangue, quella di coloro che dall'infanzia ci diedero prova del loro amore, e che mai ci ingannarono, se l'inganno per noi non era salutare? - Posso io credere ai miei padri meno che tu ai tuoi? O viceversa? - Posso forse pretendere che tu, per non contraddire i miei padri, accusi i tuoi di menzogna? O viceversa? E la stessa cosa vale per i cristiani, non è vero? -

SALADINO: (Per il Dio vivente! Ha ragione. Io devo ammutolire).

NATHAN:     Ma torniamo ai nostri anelli. Come dicevo, i figli si accusarono in giudizio. E ciascuno giurò al giudice di avere ricevuto l'anello dalla mano del padre (ed era vero), e molto tempo prima la promessa dei privilegi concessi dall'anello (ed era vero anche questo). - Il padre, ognuno se ne diceva certo, non poteva averlo ingannato; prima di sospettare questo, diceva, di un padre tanto buono, non poteva che accusare dell'inganno i suoi fratelli, di cui pure era sempre stato pronto a pensare tutto il bene; e si diceva sicuro di scoprire i traditori e pronto a vendicarsi.

SALADINO: E il giudice? - Sono ansioso di ascoltare che cosa farai dire al giudice. Parla!

NATHAN:     Il giudice disse; Portate subito qui vostro padre, o vi scaccerò dal mio cospetto. Pensate che stia qui a risolvere enigmi? O volete restare finché l'anello vero parlerà? - Ma... aspettate! Voi dite che l'anello vero ha il magico potere di rendere amati, grati a Dio e agli uomini. Sia questo a decidere! Gli anelli falsi non potranno. Su, ditemi: chi di voi è il più amato dagli altri due? - Avanti! Voi tacete? L'effetto degli anelli è solo riflessivo, non transitivo? Ciascuno di voi ama solo se stesso? Allora tutti e tre siete truffatori truffati! I vostri anelli sono falsi tutti e tre. Probabilmente l'anello vero si perse, e vostro padre ne fece fare tre per celarne la perdita e per sostituirlo.

SALADINO: Magnifico! Magnifico!

NATHAN:      Se non volete, proseguì il giudice, il mio consiglio e non una sentenza, andatevene! - Ma il mio consiglio è

questo: accettate le cose come stanno. Ognuno ebbe l'anello da suo padre: ognuno sia sicuro che esso è

autentico. - Vostro padre, forse, non era più disposto a tollerare ancora in casa sua la tirannia di un solo

anello. E certo vi amò ugualmente tutti e tre. Non volle, infatti, umiliare due di voi per favorirne uno. -

Orsù! Sforzatevi di imitare il suo amore incorruttibile e senza pregiudizi. Ognuno faccia a gara per

dimostrare alla luce del giorno la virtù della pietra nel suo anello. E aiuti la sua virtù con la dolcezza, con

indomita pazienza e carità, e con profonda devozione a Dio. Quando le virtù degli anelli appariranno nei

nipoti, e nei nipoti dei nipoti, io li invito a tornare in tribunale, fra mille e mille anni. Sul mio seggio

siederà un uomo più saggio di me; e parlerà. Andate! - Così disse quel giudice modesto.

SALADINO: Dio! Dio!

NATHAN:      Saladino, se tu senti di essere quel saggio che il giudice promise...

SALADINO: (precipitandosi verso di lui e afferrandogli la mano, che non lascerà più fino alla fine) Io polvere? Io nulla?

ODio!

NATHAN:   Che fai, sultano?

SALADINO: Nathan, caro Nathan! - I mille e mille anni del tuo giudice non sono ancora passati. - Il suo seggio non è il mio. - Va'! - Ma sii mio amico.

NATHAN:   E

SALADINO: non deve parlarmi di null'altro?

SALADINO: No.

NATHAN:   Nulla?

22


SALADINO: Proprio nulla. - Perché?

NATHAN:      Cercavo l'occasione per rivolgerti una preghiera.

SALADINO: A che serve l'occasione per una preghiera? - Parla!

NATHAN:      Torno da un lungo viaggio, e sono stato pagato dai miei debitori. - Adesso ho troppo denaro liquido. - Il

momento è di nuovo preoccupante - e non saprei dove mettere al sicuro queste somme. - Così ho pensato

che tu, forse - una guerra imminente richiede somme ingenti - potessi in parte utilizzarle.

SALADINO: (guardandolo fisso negli occhi) Nathan! - Non voglio domandare se

AL-HAFI:       è già stato da te; - e neppure indagare se sia un sospetto che ti induce a farmi spontaneamente questa

offerta...

NATHAN:      Un sospetto?

SALADINO: Meritato. - Perdonami! - A che pro negare? Poco mancò - devo confessartelo - che io...

NATHAN:      Che tu mi chiedessi la stessa cosa?

SALADINO: Proprio così.

NATHAN:      In tal caso, sarà un vantaggio per entrambi. - Se non posso mandarti tutto subito, è per via del giovane

templare. Sai chi è. A lui devo pagare innanzitutto una grossa somma.

SALADINO: Un templare? Non vorrai aiutare con le tue ricchezze i miei più acerrimi nemici?

NATHAN:      Parlo del Templare: a cui donasti la vita...

SALADINO: Ah, che cosa mi rammenti! - Di quel giovane mi ero dimenticato completamente. - Lo conosci? - Dov'è?

NATHAN:     Come? Non sai quanta parte della tua clemenza ricadde, attraverso di lui, su di me? Egli rischiò la vita appena ricevuta per salvare mia figlia dalle fiamme.

SALADINO: Ha fatto questo? - L'aveva scritto in volto! L'avrebbe fatto anche mio fratello, al quale assomiglia tanto. - È ancora qui? Portalo da me. - Tante volte ho parlato a mia sorella di quel suo fratello che non ha conosciuto, che non posso non farle vedere il suo ritratto. - Va', portalo qui. - Come da un'azione buona, sia pure nata solo per impulso, discendono tante altre azioni buone! Va', portalo qui. NATHAN (lasciando la mano del Saladino) Subito. E per il resto, siamo intesi. (Esce.)

SALADINO: Ah, perché non ho lasciato che mia sorella ci ascoltasse! - Come narrarle ora tutto questo? Esce dalla parte opposta

Scena VIII

Sotto le palme, nei pressi del convento. Il templare, in attesa di Nathan.

TEMPLARE: (cammina avanti e indietro, in lotta con se stesso; alla fine prorompe) Qui, sfinita, la vittima si ferma. - Adesso basta! Non voglio più sapere che cosa avviene in me; non voglio prevedere cosa succederà. - Sono fuggito invano, e basta. - Ma non potevo fare altro se non fuggire. - Avvenga adesso quel che deve! - Troppo rapido è stato, per schivarlo, il colpo che per tanto tempo avevo cercato di evitare. - Vedere lei, che non volevo vedere a nessun costo, e decidere che i miei occhi non dovranno più lasciarla... Ma che dico? Decidere? Decidere è un proposito, un'azione, e io soffro soltanto. - Vedere lei e sentirmi legato, unito a lei fu tutt'uno. - È tutt'uno. - Vivere diviso da lei mi è inconcepibile; sarebbe la mia morte - e dovunque si viva dopo la morte, sarebbe morire anche laggiù. - Se questo è amore, ebbene, il Templare: ama - il cristiano ama la fanciulla ebrea. - Che male c'è? - In terra santa - e tanto più per questo essa sarà sempre santa per me - ho già deposto molti pregiudizi. E l'Ordine che cosa può pretendere? Il Templare è morto nell'istante in cui cadde in mano al Saladino. La testa che il Saladino: mi ha donato può essere la vecchia? - No, è nuova, e non sa nulla di ciò che imbottiva e legava la vecchia. - Ed è migliore, più adatta al cielo di mio padre. Lo sento. Solo essa ha cominciato a pensare come qui mio padre doveva pensare, se quello che mi dissero di lui non sono favole. - Favole? - Assai plausibili, e mai come adesso che corro il rischio di inciampare proprio dove lui cadde. - Cadde? Preferisco cadere con gli uomini che restare in piedi con i fanciulli. - Il suo esempio mi assicura il suo consenso. E di quale altro consenso mi importa? - Quello di Nathan? - Oh, il suo consenso, anzi il suo incitamento, tanto meno mi mancherà. - Che ebreo! - E come non vuol sembrare null'altro che un ebreo! Eccolo! Viene di corsa, raggiante di gioia. E chi non lo sarebbe, lasciando Saladino? - Ehi! Nathan!

Scena IX

Nathan e il templare.

NATHAN:      Siete voi?

TEMPLARE: Vi siete trattenuto a lungo dal sultano.

NATHAN:      Non molto a lungo. Avevo atteso troppo ad andare da lui. - Sì, Curd; quell'uomo tiene testa alla sua fama.

La fama è solo la sua ombra. - Ma lasciate che vi dica in fretta...

TEMPLARE: Cosa?

23


NATHAN:      Vuole parlarvi; vuole che andiate subito da lui. Venite solo con me a casa, prima devo dare degli ordini


TEMPLARE:

NATHAN:

RECHA:


per lui; dopo andremo insieme.

Non tornerò più in casa vostra, Nathan, prima che...

Dunque ci siete già stato? Avete già parlato con lei? - Ebbene, ditemi:

vi piace?


TEMPLARE: Al di là delle parole! E tuttavia - non la vedrò mai più! Mai! Mai! - Se non mi prometterete qui, ora - che potrò rivederla per sempre.

NATHAN:      Come devo intendere queste parole?

TEMPLARE: (dopo una breve pausa, gettandogli le braccia al collo) Padre mio!

NATHAN:      Giovanotto...

TEMPLARE: (lasciandolo di colpo) Non figlio? - Vi prego, Nathan! -

NATHAN:      Caro giovanotto!

TEMPLARE: Non figlio? - Vi prego, Nathan! - Vi scongiuro per i vincoli primi della natura! - Non anteponete ad essi altri vincoli, venuti dopo! - Vi basti essere uomo! - Non respingetemi! -

NATHAN:      Caro amico...

TEMPLARE: E figlio? Figlio no? - Neppure se nel cuore di vostra figlia ormai la gratitudine avesse aperto la via all'amore? Se l'una e l'altro aspettassero soltanto un vostro cenno per fondersi? - Tacete?

NATHAN:      Mi sorprendete, cavaliere.

TEMPLARE: Io vi sorprendo? - Vi sorprendo, Nathan, con i vostri stessi pensieri? - Nella mia bocca non li riconoscete?


NATHAN:

TEMPLARE:

NATHAN:

TEMPLARE:

NATHAN:

TEMPLARE:

NATHAN:

TEMPLARE:

NATHAN:

TEMPLARE:

NATHAN:


- Vi sorprendo?

Ma prima di sapere a quale ramo degli Stauffen apparteneva vostro padre...

Che cosa dite, Nathan? In un momento simile provate solo curiosità?

Perché, vedete, io conobbi uno Stauffen; il suo nome era Conrad.

Ebbene - se mio padre avesse avuto lo stesso nome?

È vero?

Porto anch'io il nome di mio padre; Curd è Conrad.

Eppure - il mio Conrad non può essere vostro padre: come voi, era un templare; e non si è mai sposato.

E con ciò?

Come?

Potrebbe benissimo essere mio padre.

Voi scherzate.


TEMPLARE: E voi fate troppo sul serio! - Sarei bastardo, o figlio naturale. Lo stampo non è da disprezzare. - Risparmiatemi però la prova dei miei antenati; io vi risparmierò quella dei vostri. Non che io nutra il minimo dubbio sulla vostra genealogia. Dio me ne guardi! Potrete certo risalire passo passo fino ad Abramo; e più su la conosco io stesso, e sono pronto a giurarci.

NATHAN:     Adesso siete amaro. - Me lo merito? - Vi ho forse respinto? - Non voglio solo prendervi in parola sui due piedi. - Tutto qui.

TEMPLARE: Davvero? - Tutto qui? Allora perdonatemi!...

NATHAN:      Venite con me!

TEMPLARE: Dove? - Con voi in casa vostra? - Questo no. - Là si brucia! - Vi aspetto qui. Andate! - Se potrò rivederla, la vedrò quante volte vorrò; altrimenti l'ho vista già anche troppo...

NATHAN:      Farò molto in fretta.

Scena X

Il Templare: e poco dopo Daja.

TEMPLARE: Sì, anche troppo! - Il cervello umano è immensamente grande, eppure a volte d'un tratto è pieno. Basta una minuzia, ed è pieno. - Ma non importa, sia pieno di ciò che vuole. - Su, pazienza! - Presto l'anima assimila ciò che in lei fermenta, si ricrea spazio, tornano la luce e l'ordine. - Amo per la prima volta? - Oppure ciò che io chiamavo amore non lo era? - Ed è amore soltanto ciò che io sento adesso?... DAJA (che


TEMPLARE:

DAJA:


da una parte si è avvicinata di nascosto) Cavaliere!

Chi chiama? - Daja, voi?

Sono venuta di nascosto da lui. Ma là dove siete potrebbe vederci. - Perciò venite qui, più vicino a me,


TEMPLARE:

DAJA:


dietro quest'albero.

Che cosa c'è? Quanta segretezza...

Sì, perché è un segreto che mi porta qui da voi; anzi, un doppio segreto. Uno lo so soltanto io, l'altro lo

sapete soltanto voi. - Se facessimo uno scambio? Confidatemi il vostro e io vi confido il mio.


TEMPLARE: Con piacere. - Se sapessi qual è secondo voi il mio segreto. Ma questo si capirà dal vostro. - Cominciate


DAJA:


per prima.

Guarda un po'! - No, cavaliere; prima voi; io seguirò. - Infatti siate certo che il mio segreto non vi serve a

niente se prima non so il vostro. - Avanti, svelto! - Se sarò io a domandare non farete nessuna confidenza, e

allora il mio segreto resterà mio, e il vostro segreto l'avrete perso. - Povero cavaliere! - E voi uomini

credete di nasconderci un simile segreto?


24


TEMPLARE: Che noi stessi spesso non sappiamo di avere


DAJA:

RECHA:


Sì, può darsi. Allora dovrò essere io per prima così buona da rivelarvelo. - Ditemi: perché di punto in

bianco ve la siete svignata? Perché piantarci in asso in quel modo? - Perché non siete ritornato insieme a

Nathan? - Così poco effetto ha avuto

su di voi? O troppo? - Troppo! Troppo! - Su, fatemi vedere come si dibatte il povero uccellino nella pania!


-In breve: confessatemi subito che l'amate, l'amate alla follia, e vi dico...

TEMPLARE: Alla follia? Davvero: voi ve ne intendete.


DAJA:

TEMPLARE:

TEMPLARE:

DAJA:


Concedetemi l'amore, e la follia la lascio tutta quanta a voi.

Perché è in se stessa una follia? Un

che ama una fanciulla ebrea!...

Sembra davvero senza senso. - Eppure, talvolta in una cosa c'è più senso di quanto sospettiamo: e se il

Redentore ci attirasse a sé per vie che l'uomo saggio da solo non saprebbe mai trovare, sarebbe così

inaudito?


TEMPLARE: Che solennità! - (Se non avesse detto il Redentore ma la Provvidenza, però avrebbe ragione). - Mi rendete


DAJA:


più curioso di quanto io sia di solito.

Oh, questa è la terra dei miracoli!


TEMPLARE:  (- E delle meraviglie. Potrebbe essere diverso? Tutto il mondo si raccoglie qui). - Cara Daja, diamo per


DAJA:


confessato ciò che mi chiedete: che io l'amo; che non posso pensare di vivere senza di lei; che...

È proprio così? - E allora, cavaliere, giuratemi di farla vostra; di salvarla; di salvarla qui ora, e lassù per


TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:


sempre.

E come potrei? - Posso giurare ciò che non è in mio potere?

Sarà in vostro potere. Io ve lo darò, con una parola.

E neppure suo padre sarà contrario?

Eh, il padre, il padre! Dovrà fare buon viso.

Dovrà, Daja? - È forse prigioniero di banditi? - Non dovrà per forza.

Dovrà volerlo allora; e dovrà esserne contento.

Dovrà... contento! - E se vi dicessi, Daja, che io stesso ho cercato di toccare questa corda con lui?

E non ha dato il suo consenso?

Non ha risposto a tono, e questo - mi ha offeso.

Cosa dite? - Gli accennaste anche soltanto l'ombra del vostro desiderio di sposare Recha, e lui non vi ha


TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:


risposto sobbalzando di gioia? Si è mostrato freddo? Si è tirato indietro? Ha fatto difficoltà?

Più o meno.

In questo caso non esiterò un attimo di più - Pausa.

Tuttavia esitate?

In tutto il resto è così buono! - E io gli devo tanto. - Ma non vuole ascoltare! - Lo sa Iddio se mi sanguina

il cuore ad obbligarlo.


TEMPLARE:  Vi prego, Daja, una volta per tutte: liberatemi da questa incertezza. Ma se voi stessa siete incerta se ciò


DAJA:


che state per fare è bene o male, vergognoso o lodevole - tacete! - Io me ne dimenticherò.

Queste parole mi spronano anziché trattenermi. Sappiatelo; Recha non è un'ebrea; Recha - è cristiana.


TEMPLARE:   (freddamente) Congratulazioni! E che parto difficile! Non temete le doglie! - Continuate a popolare il


DAJA:

RECHA:

TEMPLARE:

DAJA:


cielo, non potendo popolare la terra!

Cavaliere, ciò che ho detto merita il vostro scherno? Voi cristiano, voi templare, voi che amate

non siete felice che sia cristiana?

Certo, e soprattutto che sia cristiana per opera vostra.

No! Che avete capito? Così fosse! - Vorrei vedere chi saprebbe convertirla! La sua fortuna è essere da


TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:

TEMPLARE:

DAJA:


sempre ciò che non può più diventare.

Spiegatevi - o andate via!

Recha è cristiana; è nata da cristiani; è battezzata...

(con precipitazione) E Nathan?

Nathan non è suo padre.

Nathan non è suo padre? - Sapete ciò che dite?

La verità, che spesso mi ha fatto piangere lacrime di sangue. - No, non è suo padre...


TEMPLARE: E l'ha educata come se fosse sua figlia? Ha educato presso di sé una figlia di cristiani come un'ebrea?


DAJA:

TEMPLARE:

RECHA:

DAJA:


Proprio così.

E lei non sa della sua nascita? - Da lui

non seppe mai di non essere ebrea, di essere nata cristiana?

Mai!


TEMPLARE: Non educò soltanto la bambina nell'ignoranza? Lasciò nell'ignoranza anche la fanciulla?

DAJA:              Purtroppo!

TEMPLARE: Come? - Nathan, il saggio Nathan, il buon Nathan, avrebbe osato contraffare così la voce della natura? - Deviare lo slancio di un cuore che lasciato a se stesso avrebbe preso tutt'altra via? - Daja, voi mi avete


DAJA:


confidato una cosa - importante - che può avere conseguenze - che mi turba - e ora non saprei che fare. - Datemi tempo. - Andate! Egli ripasserà di qui e potrebbe sorprenderci. E io ne morirei!


TEMPLARE: Adesso non sarei affatto in grado di parlargli. Quando lo incontrerete, ditegli solo che ci ritroveremo presso il sultano.

25


DAJA:       Ma non lasciategli notare nulla di ostile. - Tutto questo deve solo dare l'ultima spinta, solo togliervi ogni scrupolo su Recha. - Ma quando la porterete via con voi in Europa, non mi lascerete qui, vero?

TEMPLARE: Si vedrà. Ma adesso, andate!

26


ATTO IV

Scena I

Nel chiostro del convento. Il frate e poco dopo il templare.

FRATE:

Sì, ha proprio ragione il patriarca! Di tutte le incombenze che mi aveva affidato, ben poco mi è voluto

riuscire. - Ma perché mi affida sempre compiti come questi? - A me non piace fare il sottile, convincere a

parole, mettere il naso dappertutto e avere la mano dappertutto. - Ho lasciato il mondo, per quanto mi

riguarda, per essere invischiato più che mai nel mondo a pro degli altri?

TEMPLARE: (dirigendosi in fretta verso di lui) Buon Frate! Eccovi dunque! È da un pezzo che io vi sto cercando.

FRATE:

Me, signore?

TEMPLARE: Non mi riconoscete?

FRATE:

Certo, certo. Eppure io credevo di non veder mai più il signore, per tutta la vita. Era una grazia che

speravo dal buon Dio. - Il buon Dio sa quanto fu penosa per me quella proposta che io dovetti farvi. Il buon

Dio sa se ho mai desiderato di trovarvi ben disposto; sa quale gioia, quale profonda gioia fu per me che

rifiutaste chiaro e tondo, senza pensarci tanto, ciò che non si addiceva a un cavaliere. - Ma eccovi qui; ha

fatto effetto dopo!

TEMPLARE: Sapete già perché sono venuto? Se non lo so io stesso!

FRATE:            Avete riflettuto, e trovato che in fondo il patriarca non ha poi tutti i torti; soldi e onori la sua proposta può

portarne; e un nemico è un nemico, anche se fosse sette volte il nostro angelo. Su questo avete meditato, e

finalmente venite a offrirvi. - Ah, mio Dio!

TEMPLARE:  Tranquillizzatevi, caro e pio Frateo. Io non vengo per questo, né di questo parlerò al patriarca. A quel proposito io la penso ancora come prima, e non vorrei per nulla al mondo perdere la stima di cui allora mi onorò un uomo così retto, così caro e così pio. - Io vengo soltanto a chiedere consiglio al Patriarca su una

cosa...

FRATE:          Voi al patriarca? Un cavaliere - a un prete? (Si guarda intorno timoroso.)

TEMPLARE: Sì; - è una cosa da preti.

FRATE:            Eppure il prete non chiede mai consiglio al cavaliere, neppure nelle cose da cavalieri.

TEMPLARE: Perché al prete è concesso di sbagliare, privilegio che noi non gli invidiamo. - Certo, se dovessi agire solo

per me, se dovessi rendere conto solo a me, a nulla mi servirebbe il vostro patriarca. Ma certe cose

preferisco farle male per volere altrui anziché bene per volere mio. - E poi la religione, ormai lo vedo, è

anche un partito; e anche chi si crede del tutto imparziale non fa senza saperlo che tenere il sacco al suo

partito. E poiché è così, sarà giusto così.

FRATE:            Su questo preferisco tacere. Non capisco bene.

TEMPLARE:   Eppure... (In fondo, che cosa sto cercando? Una sentenza o un consiglio? Un consiglio o un parere di

dottrina?). - Fratello, vi ringrazio per il buon suggerimento. - Il patriarca? - Siate voi il mio patriarca! È il

cristiano nel patriarca più che il patriarca nel cristiano che voglio interrogare. - La cosa è...

FRATE:            Basta così, signore! È inutile. - Voi sbagliate persona. - Chi sa molto ha molte cure, e io mi sono votato ad

una cura sola. - Oh, bene! Per mia fortuna, eccolo in persona. Restate pure qui. Vi ha già veduto.

Scena II

Il patriarca, che si avvicina con gran pompa su un lato del chiostro, e i precedenti.

TEMPLARE: Preferirei sottrarmi. - Non è proprio il mio tipo! - Un grasso, rosso, affabile prelato. E quale sfarzo!

FRATE:            Dovreste vederlo quando si reca a corte. Adesso viene solo dal letto di un malato.

TEMPLARE: Al paragone, Saladino: dovrebbe vergognarsi!

PATRIARCA (avvicinandosi, chiama il FRATE con un cenno) Vieni qui! - Quello è certo il templare. Cosa vuole?

FRATE:          Non so.

PATRIARCA (avvicinandosi, mentre il FRATE e il seguito si ritirano) Cavaliere! - Molto lieto di conoscere un valoroso giovane. - Davvero, così giovane! - Ma, con l'aiuto di Dio, qualcosa può venirne fuori.

TEMPLARE: Difficilmente più di ciò che sono, reverendo. E forse meno.

PATRIARCA Spero in ogni modo che a onore e gloria della cristianità e della causa di Dio un cavaliere così devoto viva e splenda a lungo. E sarà così di certo, se l'audacia giovanile seguirà di buon grado il maturo consiglio dell'età. - Ma in che posso servirvi?

TEMPLARE: Appunto in ciò che manca alla mia giovinezza: col consiglio.

PATRIARCA Volentieri. - Ma il consiglio va accettato.

TEMPLARE: Ciecamente?

PATRIARCA Chi lo dice? - Nessuno deve lasciare inerte la ragione che Dio gli ha dato - dove la ragione è al suo posto. - Ma lo è dappertutto? - No davvero! - Un esempio: se Dio stesso, per mezzo di uno dei suoi angeli - cioè un ministro della sua parola - si degna di svelarci un mezzo straordinario per accrescere e rendere più saldo il benessere della cristianità e la salute della Chiesa, chi può esaminare con la sua ragione l'arbitrio di colui che ha creato la ragione, e vagliare con le regole meschine di un onore vanitoso la legge eterna della maestà dei cieli? - Ma di questo basta. - Adesso a quale proposito, signore, richiedete il nostro consiglio?

27


TEMPLARE: Supponiamo, padre reverendo, che un ebreo abbia un solo figlio - che anzi sia una figlia - e che la educhi con tutte le sue cure ad ogni bene, che la ami più della sua anima e che ne sia devotamente amato. E che a uno di noi sia riferito che lei non è sua figlia; che l'ebreo la prese, la rubò, la comprò - come volete - da bambina; che si sappia che la fanciulla era figlia di cristiani e battezzata, e che l'ebreo l'avrebbe educata come ebrea, continuando a tenerla come figlia e come ebrea. - Ditemi, padre reverendo, cosa dovremmo fare?

PATRIARCA Orrore! - Ma il signore chiarisca innanzitutto se si tratta di un fatto o di un'ipotesi. Insomma: se il signore si limita a inventare tutto questo, o se è accaduto, e continua ad accadere.

TEMPLARE: Per avere la vostra venerabile opinione non è la stessa cosa?

PATRIARCA Che? - Vedete quanto può errare nelle cose sacre l'orgogliosa ragione umana! - No! Se il caso fosse solo un mero gioco di fantasia, non varrebbe la pena di dedicargli una seria riflessione. Consiglierei al signore di ricorrere al teatro, dove simili pro e contro si possono trattare anche strappando molti applausi. - Se però il signore non si prende gioco di me con una farsa; se il caso fosse un fatto; se si fosse verificato nella nostra diocesi addirittura, o nella nostra cara Gerusalemme, allora...

TEMPLARE: Allora?

PATRIARCA Allora a questo ebreo andrebbe inflitta subito la pena che il diritto del papa e dell'impero hanno sancito per il misfatto, per il sacrilegio.

TEMPLARE: Ah!

PATRIARCA Ecco la pena, in base a quel diritto: l'ebreo che induca all'apostasia un cristiano sarà bruciato vivo sul rogo

-

TEMPLARE: Ah!

PATRIARCA E tanto più l'ebreo che strappa con la violenza al sacro vincolo del battesimo un povero fanciullo! Ciò che si fa a un fanciullo non è sempre violenza? - Voglio dire: eccetto ciò che fa la Chiesa.

TEMPLARE: E se però il bambino, se l'ebreo non ne aveva compassione, era votato a una misera fine?

PATRIARCA E con ciò? L'ebreo sarà bruciato! - Meglio una misera fine qui che essere salvato in questo modo, per dannarsi in eterno. - E poi perché l'ebreo previene i decreti di Dio? Dio se vuole può salvare anche senza di lui.

TEMPLARE: E malgrado l'ebreo, credo, redimere.

PATRIARCA E con ciò? L'ebreo sarà bruciato.

TEMPLARE: Questo mi addolora. Tanto più che, dicono, non educò la ragazza alla sua fede, ma piuttosto a nessuna; e che su Dio non le insegnò né di più né di meno di ciò che basta alla ragione.

PATRIARCA E con ciò? L'ebreo sarà bruciato... Solo per questo meriterebbe di essere bruciato tre volte! - Come? Allevare un bambino senza una fede? - Non insegnare affatto a credere, che è il massimo dovere? È troppo! Mi stupisco che voi stesso, cavaliere...

TEMPLARE: Il resto, padre reverendo, in confessione, se Dio vorrà. (Fa per andarsene.)

PATRIARCA Come? Non volete neppure darmi retta? - Né farmi il nome dell'infame ebreo? - Né portarlo qui? - Ma so ben io che fare! Andrò immediatamente dal sultano. - In base al capitolare che ha giurato,

SALADINO: ci deve protezione: protezione per tutti i diritti, per tutte le dottrine della nostra religione santissima! - E, Dio sia lodato, l'originale è in mano nostra, firmato di suo pugno e col sigillo! - Io gli farò capire facilmente quanto sia pericoloso per lo stato non avere alcuna fede. Ogni vincolo civile viene dissolto e lacerato se si consente all'uomo di non credere. - Che questo sacrilegio...

TEMPLARE: Peccato che io non possa ascoltare il magnifico sermone con più calma! Sono stato chiamato dal Saladino. PATRIARCA Ecco - In tal caso - Certo -

TEMPLARE: Preparerò il sultano a ricevervi, se così piace a vostra signoria.

PATRIARCA Oh, lo so. - Il signore ha avuto grazia da Saladino. - Ricordatemi a lui, vi prego, in buoni termini. - È solo zelo divino quello che mi spinge. Se esagero, lo faccio per Dio. - Vogliate tenerne conto, cavaliere! - E quanto al caso dell'ebreo, signore, era solo un quesito, non è vero? - Cioè -

TEMPLARE: Un quesito. (Si allontana.)

PATRIARCA (Di cui dovrò però cercare di arrivare al fondo. Questo potrebbe essere un incarico per Frate Bonafides). -

Qui, figliolo!    Si allontana parlando con il Frate:

Scena III

Una stanza nel palazzo del Saladino. Alcuni schiavi introducono un gran numero di sacchetti, che vengono allineati sul pavimento. Saladino: e poco dopo Sittah.

SALADINO: (entrando) In verità, non finiscono mai! - Quanti ne mancano?

UNO SCHIAVO Almeno la metà.

SALADINO: Allora portate il resto a Sittah. - E dov'è Al -Hafi? Tocca a lui ritirare subito questa roba. - E se io invece la mandassi a mio padre? Qui mi scivola solo tra le dita. - È vero che alla fine ci si indurisce; d'ora in poi sarà molto difficile cavarmi del denaro. Finché non saranno qui i tributi dell'Egitto, i poveri dovranno cavarsela da soli. - Purché non si interrompano gli oboli al Sepolcro, e i pellegrini cristiani non debbano andar via a mani vuote. E –

SITTAH:        Che vuol dire? Che ci fa quel denaro da me?

28


SALADINO: Ripagati i tuoi crediti; e se avanza qualcosa, mettilo da parte.

SITTAH:        Nathan non è ancora qui con il templare?

SALADINO: Lo sta cercando dappertutto.

SITTAH:         Guarda qui che cosa ho trovato rovistando tra i miei vecchi gioielli. (Gli fa vedere un piccolo ritratto.)

SALADINO: Ah! Mio Fratello! È lui, è lui. - Ahimè, era lui. - Caro, ardito giovane, che così presto ho perduto. Cosa non avrei fatto insieme a te, al tuo fianco! - Sittah, lasciami quel ritratto. Lo conosco: lo diede alla sua Lilla, tua sorella maggiore, che un mattino non voleva lasciarlo andare via dalle sue braccia. Fu l'ultima volta che uscì a cavallo. - Ah, lo lasciai partire solo! - Lilla ne morì di dolore e non mi perdonò mai di averlo lasciato andare solo. - Non tornò più.

SITTAH:         Povero Fratello!

SALADINO: Dobbiamo rassegnarci. - Prima o poi tocca a noi tutti. - Eppure - chi sa? Non è solo la morte che può sviare

dalla meta: un giovane come lui ha molti nemici, e spesso il più forte cede al più debole. - Ma sia come sia.

- Devo confrontare il ritratto con il giovane templare, e scoprire se fu la fantasia a ingannarmi.

SITTAH:        Per questo l'ho portato. Ma dammelo: te lo dirò io. In queste cose è meglio l'occhio di una donna.

SALADINO: (a una guardia appena entrata) Chi è? - Il templare? - Venga avanti!

SITTAH.         Per non disturbarvi e distrarlo con la mia curiosità - (Si siede da una parte su un divano, abbassando il

velo sul viso.)

SALADINO: Va bene. - (E la sua voce come sarà? - La voce di Assad dorme dentro di me, da qualche parte).

Scena IV

Il Templare e Saladino.

TEMPLARE: Sultano, il tuo prigioniero...

SALADINO: Prigioniero? Potrei donare la vita e non donare la libertà?

TEMPLARE: Ciò che a te si addice a me si addice ascoltarlo, non presupporlo. Sultano - ringraziarti, ringraziarti per la mia vita, questo non si addice alla mia condizione, né al mio carattere. - La mia vita è qui, pronta a servirti.

SALADINO: Non usarla solo contro di me! - Due braccia in più al nemico io le potrei concedere. Soltanto concedergli anche un cuore come il tuo mi peserebbe. - Su di te non mi sono ingannato, valoroso giovane. Sei nel corpo e nell'anima il mio Assad. Dove ti sei nascosto, potrei domandarti, per tutto questo tempo? In quale grotta hai dormito? Quale regno incantato o quale buona fata ha conservato intatto questo fiore? Potrei addirittura rammentarti le cose fatte insieme in tanti luoghi. E poi rimproverarti perché un segreto tu me l'hai taciuto, un'avventura tu me l'hai nascosta. - Sì, vedi, potrei fare tutto questo, se vedessi te solo e non me stesso. - Suvvia! Di questo dolce sogno almeno una cosa è vera: nel mio autunno fiorirà un nuovo Assad. - Sei disposto, cavaliere?

TEMPLARE: Tutto ciò che mi viene da te - qualunque cosa sia - era già in me come desiderio.

SALADINO: Proviamo subito. - Rimarresti accanto a me? - Cristiano o musulmano fa lo stesso! Con il mantello bianco o il caffettano, il turbante o il cappuccio, come vuoi. Fa lo stesso. Non ho mai preteso che tutti gli alberi avessero una scorza.

TEMPLARE: O non saresti ciò che sei; l'eroe che vorrebbe curare il giardino di Dio.

SALADINO: Se di me non pensi peggio di così, saremmo già d'accordo per metà?

TEMPLARE: Del tutto!

SALADINO: (porgendogli la mano) Una parola?

TEMPLARE: (stringendola) Un uomo! - Tuo corpo e anima! Ricevi così più di ciò che potevi togliermi.

SALADINO: Troppo guadagno per un giorno solo! - Non è con te?

TEMPLARE: Chi?

SALADINO: Nathan.

TEMPLARE: (gelido) No. Sono venuto solo.

SALADINO: Che azione magnifica la tua! E come è stata saggia la fortuna a usarla per il bene di un uomo come lui!

TEMPLARE: Sì, sì.

SALADINO: Che freddezza! - No, giovanotto! Se Dio per mezzo nostro fa del bene, non bisogna esser freddi. - Né volerlo sembrare, neppure per modestia.

TEMPLARE: Eppure al mondo ogni cosa ha molte facce. - E spesso la mente non riesce a farle andare tutte d'accordo.

SALADINO: E tu tieniti sempre stretto alla migliore, e loda Dio. Lui sa come si accordano. - Però, giovanotto, se fai così il difficile, anch'io dovrò stare bene in guardia davanti a te? Purtroppo sono anch'io una cosa a molte facce, che sovente non sembrano affatto andar d'accordo.

TEMPLARE: Doloroso rimprovero! - Eppure la diffidenza non è un mio difetto -

SALADINO: Dimmi, di chi diffidi? - Di Nathan, si direbbe. Tu diffidi di Nathan? - Perché? Dammi la prima prova della tua fiducia.

TEMPLARE: Io non ho nulla contro Nathan. Biasimo solo me stesso -

SALADINO: Perché?

TEMPLARE: Per aver sognato che un ebreo possa dimenticare di essere ebreo; per averlo sognato a occhi aperti.

SALADINO: Raccontami il tuo sogno.

29


TEMPLARE: Tu sai, sultano, della figlia di Nathan. Quel che ho fatto per lei, l'ho fatto - perché l'ho fatto. Troppo orgoglioso per mietere grazie non seminate, sdegnai, giorno dopo giorno, di rivederla. Il padre era lontano. Egli ritorna, ascolta il fatto, mi cerca, mi ringrazia, vorrebbe che sua figlia mi piacesse, mi parla di speranze, di giorni lieti in lontananza. - Io mi lascio incantare, vado da lui, trovo una fanciulla che... Ah, sultano, che vergogna! -

SALADINO: Vergogna? - Perché una fanciulla ebrea ti ha colpito? Non sarà per questo!

TEMPLARE: Perché il mio precipitoso cuore, fidando nelle amabili chiacchiere del padre, ha opposto così poca resistenza. - Di nuovo, ingenuo, mi gettai nel fuoco. - Fui io a chiedere, e a essere respinto.

SALADINO: Respinto?

TEMPLARE: Oh, il saggio padre non l'ha detto chiaro e tondo. Il saggio padre deve prima informarsi, deve prima riflettere. Come no? Non l'ho forse fatto anch'io? Non mi sono informato, non ho ben riflettuto, quando lei urlava tra le fiamme? - Essere così saggi e riflessivi, per Dio, che bella cosa!

SALADINO: Via, via. Sii meno impaziente con un vecchio. Quanto potrà durare il suo rifiuto? Certamente non pretenderà che tu ti faccia prima ebreo.

TEMPLARE: Chi sa!

SALADINO: Chi sa? - Chi conosce meglio Nathan.

TEMPLARE: La superstizione in cui siamo cresciuti non perde il suo potere su di noi solo perché riconosciuta. - Chi deride le sue catene non è sempre libero.

SALADINO: Matura osservazione. Eppure Nathan...

TEMPLARE: La peggiore delle superstizioni è ritenere la propria la più innocua...

SALADINO: Sì, può essere. Ma Nathan...

TEMPLARE: E affidare solo ad essa la sciocca umanità, finché non si abitui alla luce troppo chiara della verità; solo ad essa...

SALADINO: Sì. Ma Nathan! - Questo non è da lui.

TEMPLARE: Così pensavo anch'io!... Ma se questo modello fra gli uomini fosse invece un volgare ebreo che va in cerca

di bambini cristiani per allevarli come ebrei: - allora?

SALADINO: Chi ne dice questo?

TEMPLARE: La ragazza con cui mi adescava, con la speranza della quale sembrava ripagarmi di un gesto che lui crede

interessato: - quella ragazza - non è sua figlia; è una figlia sperduta di cristiani.

SALADINO: E lui malgrado questo non vorrebbe dartela?

TEMPLARE: (con violenza) Che voglia o che non voglia, è smascherato! Con le sue chiacchiere sulla tolleranza! Ma scatenerò dietro al lupo ebreo in pelliccia di agnello filosofico dei cani che gliela sciuperanno!

SALADINO: (con voce seria) Calmati, cristiano!

TEMPLARE: Calmati, cristiano? - Se l'ebreo fa l'ebreo e se il musulmano fa il musulmano, soltanto il cristiano non potrà?

SALADINO: (ancora più serio) Calmati, cristiano!

TEMPLARE: (calmo) Sento in questa parola tutto il peso del rimprovero di Saladino. Ah, se sapessi come - come avrebbe agito Assad al posto mio!

SALADINO: Oh, non molto meglio. - Probabilmente con la stessa irruenza. - Ma chi ti ha insegnato a conquistarmi con una sola parola, come lui? - Se è tutto come dici, non riesco neppure io a ritrovarmi in Nathan. - Ma è mio amico, ed i miei amici non devono litigare tra di loro. - Lasciati guidare. Sii cauto, non abbandonarlo subito alla canea dei tuoi fanatici. Taci ciò che il tuo clero mi imporrebbe di vendicare su di lui; non essere cristiano in danno dell'ebreo, in danno del musulmano.

TEMPLARE: Era quasi troppo tardi. Ma per la crudeltà del patriarca mi ripugnò essere suo strumento.

SALADINO: Come? Sei andato dal patriarca prima che da me?

TEMPLARE: Nel tumulto dei sentimenti, dell'indecisione! - Perdonami! - Adesso, temo, non vorrai più riconoscere in me nulla del tuo Assad.

SALADINO: Se non proprio questo timore. Credo di sapere da quali vizi nasce la virtù. Continua a coltivare questa, e quelli davanti a me ti nuoceranno poco. - Vai! Cerca Nathan, come lui ti ha cercato, e portalo qui. Devo mettervi d'accordo. - Se ci tieni alla ragazza, non temere: sarà tua. Nathan si pentirà di aver osato allevare una figlia di cristiani senza carne di porco.

Il Templare esce. Sittah si alza dal divano.

Scena V

Saladino e Sittah.

SITTAH:         Straordinario!

SALADINO: Sittah, il mio Assad non dev'essere stato un giovane bello e valoroso?

SITTAH:         Se era così, e se per il ritratto non ha posato il Templare:  al posto suo! - Ma perché hai dimenticato di

interrogarlo sui suoi genitori?

SALADINO: E soprattutto su sua madre, no? Di domandargli se non sia mai stata da queste parti, vero?

SITTAH:         Addirittura!

30


SALADINO: Niente di più probabile! Assad era galante con le graziose nobili cristiane, e così bene accetto che una volta si disse addirittura... Ma di questo non parlo volentieri. - Io l'ho di nuovo, e tanto basta. - Voglio averlo con tutti i suoi difetti, con tutti gli alti e bassi di un cuore troppo tenero. - Oh, Nathan dovrà dargli la ragazza. Non credi?

SITTAH:        Dargliela? Lasciargliela!

SALADINO: Sì. Quale diritto, se non è il padre, ha Nathan su di lei? Solo colui che le salvò la vita subentra nei diritti di

colui che le diede la vita.

SITTAH:         Allora, Saladino, perché non prendi con te la ragazza? Perché non la sottrai al possessore illegittimo?

SALADINO: È necessario?

SITTAH:         Necessario no di certo. - Solo un'affettuosa curiosità mi spinge a consigliartelo. Infatti alcuni uomini mi

rendono impaziente di conoscere subito la ragazza che possono amare.

SALADINO: Allora manda a prenderla.

SITTAH:         Posso farlo, Frate llo?

SALADINO: Ma sii cortese con Nathan. Egli non deve credere che vogliamo separarla da lui con la violenza.

SITTAH:         Non temere.

SALADINO: Intanto io devo cercare dov'è Al-Hafi.

Scena VI

Il cortile della casa di Nathan, aperto da un lato sulle palme, come nella prima scena del primo atto. Una parte delle preziose mercanzie è sparsa tutto intorno, e ad esse si riferiscono i personaggi. Nathan e Daja.


DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:

DAJA:

NATHAN:


Che meraviglia! È tutto così bello! È - come sono solo i vostri doni. Dove hanno ricamato questa veste

d'argento a fregi d'oro? Quanto costa? - Un magnifico abito da sposa, che starebbe bene a una regina.

Perché proprio da sposa?

Oh, certamente voi comprandolo non ci avete pensato. - Eppure, Nathan, dev'essere proprio questo e

nessun altro! - È fatto apposta. Il fondo bianco è simbolo dell'innocenza, e questi fiumi d'oro che vi

scorrono sopra da ogni parte simbolo di ricchezza. Delizioso!

Stai scherzando? Di quale sposa parli, sfoggiando simboli così sapientemente? - Sei tu la sposa?

Io?

E chi?

Io? - Bontà divina!

Chi dunque? Per chi è l'abito di cui mi parli? - È roba tua, di nessun altro.

Mia? - È roba mia? - Non è di Recha?

I regali che ho portato per Recha sono in un altro pacco. Avanti, porta via le tue cianfrusaglie!

Tentatore! No, nemmeno se fossero le cose più preziose del mondo intero. Non le toccherò, se non giurate,

prima, di approfittare di questa occasione unica; il cielo non ve ne manderà mai più una uguale.

Approfittare di che? - Quale occasione?

Non fate finta di niente! - In poche parole: il Templare ama Recha, concedetegliela e finalmente il vostro

peccato, che non posso più tacere, avrà fine. Recha vivrà di nuovo fra cristiani, tornerà ciò che è, sarà ciò

che era stata, e voi, con tutto il bene di cui mai potremo ringraziarvi abbastanza, non avrete ammucchiato

sul vostro capo carboni ardenti.

Il vecchio ritornello? - Suonato solo su una nuova corda, che ho paura sia stonata e fragile.

Perché?

Il Templare: mi andrebbe bene; a lui darei Recha più che a ogni altro al mondo. Tuttavia... Abbi pazienza.

Pazienza? Eccolo il vostro vecchio ritornello! Pazienza!

Solo per pochi giorni ancora!... Guarda! - Chi arriva? Un Frate ? Vai a chiedergli che cosa vuole.

Che cosa può volere?   Va verso di lui per interrogarlo.

Allora dài prima che chieda. - (Se potessi scoprire chi è il templare, senza dirgli la causa della mia

curiosità! Perché se gliela dico, e se il sospetto è infondato, avrei inutilmente tolto di mezzo il padre). -

Cosa vuole?

Vuole parlarvi.

Fallo venire qui; e poi vai.


Scena VII

Nathan e il Frate


NATHAN:

FRATE:

FRATE:

NATHAN:


(E io vorrei restare padre di Recha. - Ma non lo resterei anche senza chiamarmi più così? - Per lei mi

chiamerò padre per sempre, se capirà quanto avrei voluto esserlo). - In che posso servirvi, pio

?

Non gran che. - Sono lieto, signor Nathan, di rivedervi così bene.

Voi mi conoscete?


31


FRATE:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

FRATE:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

FRATE:


E chi non vi conosce? Il vostro nome lo avete scritto sulle mani a molti. E anche sulle mie, da molti anni.

NATHAN (tirando fuori la borsa) Venite, lo rinfrescherò.

No, grazie. Ruberei ai più poveri di me. - Vorrei, se permettete, rinfrescare a voi anche il mio nome.

Infatti posso vantarmi di aver messo in vostra mano qualcosa anch'io; qualcosa che non era da disprezzare.

Perdonatemi! - Io... Ditemi, quanto? - E come penitenza accettate sette volte il suo valore.

Prima sentite come mai soltanto oggi io mi sia ricordato di quel pegno che vi affidai.

Mi affidaste un pegno?

Facevo l'eremita a Quarantana, presso Gerico, non molto tempo fa. Ma dei briganti arabi distrussero la

mia cappelletta e la mia cella, e mi rapirono. Per fortuna riuscii a fuggire, e venni qui dal patriarca, per

pregarlo di trovarmi un altro posto dove servire Dio in solitudine sino alla beata fine dei miei giorni.

Buon

, sono sui carboni ardenti. Siate breve: il pegno a me affidato.

Subito, signor Nathan. - Il patriarca mi promise un eremo sul Tabor, appena fosse vacante, e mi trattenne

qui al convento come

laico; e qui sono tuttora, signor Nathan. Rimpiango il Tabor cento volte al giorno; il patriarca infatti mi fa

fare ogni sorta di cose ripugnanti. Per esempio...

Vi prego, al dunque!

Arrivo. - Qualcuno oggi gli ha messo nell'orecchio che da queste parti c'è un ebreo che alleva una figlia di

cristiani come sua figlia. NATHAN (colpito) Che?

Lasciatemi finire. - Quando il patriarca mi dà il compito di rintracciare il più presto possibile l'ebreo,

furioso per il sacrilegio, che gli pare l'autentico peccato contro lo Spirito Santo, cioè il peccato che per noi

è il peccato dei peccati - benché, Dio sia lodato, non sappiamo poi bene in che consista - la mia mente tutto

a un tratto si desta, e mi ricordo: forse io stesso, molto tempo fa, fui occasione dell'imperdonabile peccato.

- E ora dite: uno scudiero non vi portò diciotto anni fa una bambina di poche settimane?

Come? - Sì - effettivamente...

Ebbene, guardatemi! - Sono io quello scudiero.

Voi?

E il signore da cui l'avevo avuta si chiamava von Filnek - se non sbaglio. - Wolf von Filnek!

È vero!

La madre, infatti, poco prima era morta; e il padre - credo - dovette muovere su Gaza all'improvviso; la

piccina non poteva seguirlo: così la mandò a voi. Non vi trovai a Darun?

Proprio così.

Non sarebbe strano se la memoria mi ingannasse. Ho avuto molti valorosi padroni; e quel signore lo servii

per breve tempo. Cadde presso Ascalona poco tempo dopo. Era un ottimo padrone.

Certo, certo. E quanto, quanto gli devo anch'io! Più volte mi salvò dalla minaccia di una spada.

Bravo! Tanto più sarete stato lieto di tenere presso di voi sua figlia.

Potete immaginarlo.

E dov'è, adesso la ragazza? Non sarà mica morta? - Via, non ditemi che è morta. - Infatti, se nessuno sa

niente della cosa, è tutto a posto.

Tutto?

Fidatevi di me. Vedete, così la penso io; se al bene che vorrei fare si avvicina troppo un grande male,

allora preferisco non fare affatto il bene. Perché il male noi sappiamo benissimo qual è, il bene molto

meno. - È naturale; per educare nel modo migliore la figlia di cristiani, dovevate educarla come una vostra

figlia. - E se l'avete fatto con amore, con fedeltà, la vostra ricompensa dovrà essere questa? Non capisco.

Sarebbe stato, certo, più prudente affidare la cristiana ad altre mani, per farla educare da cristiana; ma in

questo modo non avreste amato la figlia del vostro amico. E a quell'età l'amore, anche l'amore di una fiera,

serve ai bambini più del cristianesimo. Per il cristianesimo c'è tempo. Se la ragazza sotto i vostri occhi

crebbe sana e pia, anche agli occhi di Dio restò quella che era. Il cristianesimo non si fonda tutto

sull'ebraismo? Spesso mi indignai e versai molte lacrime, vedendo come i cristiani possano scordare che

anche nostro Signore era un ebreo.

Voi, buon

, vorrei per difensore, se contro di me dovessero levarsi l'odio e l'ipocrisia - per un'azione - un atto - che

solo voi conoscerete. Ma portatelo nella tomba con voi. La vanità finora non mi spinse a raccontarlo a

nessun altro. Ma a voi lo racconterò: lo racconto soltanto alla pia semplicità; essa sola può capire di quali

vittorie sia capace l'uomo devoto a Dio.

Siete commosso, avete gli occhi pieni di lacrime?


NATHAN:   Mi incontraste con la piccola a Darun. Ma certo non sapete che, pochi giorni prima, a Gath i cristiani sterminarono tutti gli ebrei, con le donne e i bambini, e che fra essi c'erano mia moglie e sette figli pieni di


FRATE:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:


speranze: nella casa di mio

llo tutti, là li avevo portati per nasconderli, morirono bruciati.

Giusto Iddio!

Quando giungeste, per tre giorni e tre notti, nella polvere, avevo pianto al cospetto di Dio. - Pianto? Non

solo. Anche accusato Dio, con rabbia, con furore, e maledetto me stesso e il mondo, e giurato ai cristiani un

odio inestinguibile...

Ah, vi credo!


32


NATHAN:      Ma a poco a poco la ragione tornò. E disse con dolcezza: «Ma Dio esiste! E anche questo fu per suo


FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:

NATHAN:

FRATE:


volere. Metti in pratica ciò che da tanto tempo hai compreso; non sarà più difficile di quanto fu

comprenderlo, purché tu lo voglia. Alzati!» - Mi alzai. E gridai a Dio: «Lo voglio, se tu vuoi che io

voglia!» - Ed ecco voi scendeste da cavallo e mi porgeste la piccola avvolta nel mantello. Ciò che allora

diceste, e io a voi, l'ho scordato. Ricordo solo questo: la presi, la portai con me baciandola, caddi in

ginocchio e singhiozzai: «Mio Dio! Di sette, eccone uno»

Nathan! Nathan! Siete cristiano! - Per Dio! Siete cristiano! Mai uno fu migliore!

Buon per noi. Ciò che mi fa cristiano ai vostri occhi fa voi ebreo ai miei. - Ma su, smettiamo d'intenerirci,

e diamoci da fare. Anche se l'amore per sette figli mi lega a questa fanciulla estranea, e se il pensiero di

perdere con lei per la seconda volta sette figli mi uccide: - ebbene, se la Provvidenza vuole che la

restituisca - obbedirò.

Un perfetto cristiano! - Sì, era questo che esitavo tanto a consigliarvi; e il vostro buon genio lo ha già

fatto.

Purché il primo venuto non pretenda di strapparmela.

Certo.

Chi non ha su di lei un diritto maggiore del mio, lo abbia almeno più antico -

Sicuro.

Un diritto di natura e di sangue.

Così la penso anch'io.

Perciò ditemi, presto, il nome di un

llo, di uno zio, di un cugino, di un parente qualsiasi: non gliela negherò - questa fanciulla educata per

essere ornamento di ogni casa, di ogni religione. - Spero che ne sappiate più di me di quel vostro padrone e

della sua famiglia.

Difficilmente, caro Nathan. - Come avete sentito, fui per breve tempo al suo servizio.

E non sapete almeno di quale famiglia fosse la madre della bambina? - Non era una Stauffen?

Può essere. - Sì, mi pare.

E suo Fratello Conrad von Stauffen? - Un templare?

Se non m'inganno. Ma, aspettate! Adesso ricordo! Di quel beato padrone conservo un libriccino, che gli

tolsi dal petto quando lo seppellimmo ad Ascalona.

Sì?

È un libro di preghiere. Lo chiamiamo breviario. - Questo, pensai, può ancora servire a un cristiano. -

Certo non a me - Io non so leggere -

Fa niente. - Andate avanti!

In quel libretto, al principio e al fondo, il mio padrone segnò di propria mano, da quanto mi ero fatto dire, i


nomi dei parenti suoi e di sua moglie.

NATHAN:      Evviva! Correte, svelto! Portatemi il libretto. Sono pronto a comprarlo a peso d'oro, e a ringraziarvi


FRATE:


all'infinito.

Volentieri. Ma le parole scritte dal padrone sono in arabo. (Esce.)


NATHAN:     Fa lo stesso. Portatelo! - Dio, se potessi conservare la fanciulla, e acquistare al tempo stesso un simile genero! - Ma sarà difficile. - Sia quel che sia! - Chi può essere stato, tuttavia, a riferire al patriarca tutto questo? Devo ricordarmi di domandarlo. - E se fosse stata Daja

Scena VIII

Daja e Nathan.

DAJA (arrivando di corsa, imbarazzata) Pensate, Nathan!

NATHAN:      Che succede?

DAJA:              Che spavento per la povera bambina! Per ordine...

NATHAN:      Del patriarca?

DAJA:              Della principessa Sittah, sorella del sultano...

NATHAN:      Non del patriarca?

DAJA:              No, di Sittah. - Non sentite? - Vengono a prenderla per ordine di Sittah.

NATHAN:      Chi? Recha? - Sittah manda a prenderla? - Comunque, se è Sittah che la manda a prendere, e non il

patriarca...

DAJA:              Perché pensate a lui?

NATHAN:      Ma tu non l'hai sentito di recente? Davvero? Non gli hai detto nulla?

DAJA:              Al patriarca?

NATHAN:      Dove sono i messi?

DAJA:              Laggiù.

NATHAN:      Per prudenza parlerò io con loro. Vieni! - Purché dietro non si nasconda il patriarca. (Esce.)

DAJA:              Io invece - io temo ben altro. L'unica, presunta figlia di un ebreo così ricco non sarebbe un buon partito

anche per un musulmano? - E allora il Templare:  la perde. A meno che io non arrischi anche il secondo

passo, e non riveli chi è anche a lei stessa. - Su, animo! Devo approfittare del primo istante in cui l'avrò da

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sola. E sarà - forse proprio adesso, mentre l'accompagno. In ogni caso un primo accenno per via non guasterà. Sì, sì, ho deciso. Sì, ora o mai più (Segue Nathan.)

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ATTO V

Scena I

La stanza del palazzo di Saladino, nella quale erano stati portati i sacchetti con il denaro, che sono ancora là. Saladino, poi diversi mamelucchi.

SALADINO: (entrando) Il denaro è ancora qui. E nessuno sa trovare il derviscio, che probabilmente se ne sta chissà dove davanti a una scacchiera, dove si scorda anche di se stesso - figurarsi di me. - Pazienza! Cosa c'è?

PRIMO MAMELUCCO Buone nuove, sultano! Gioia a te!... La carovana del Cairo sta arrivando felicemente, con sette anni di tributi del ricco Nilo.

SALADINO: Bravo, Ibrahim! Tu sei davvero un messo benvenuto. - Finalmente! Finalmente! - Ti ringrazio della buona notizia.

PRIMO MAMELUCCO (in attesa) (E allora? - Forza!).

SALADINO: Che cosa aspetti? - Vai pure.

PRIMO MAMELUCCO E niente altro per il benvenuto?

SALADINO: Che altro?

PRIMO MAMELUCCO Per il fausto messaggero nessun regalo? - Io sarei il primo che

SALADINO: ha imparato a ripagare con le parole? - Diventerò famoso! - Il primo con cui fu spilorcio.

SALADINO: Allora prendi uno di questi sacchetti.

PRIMO MAMELUCCO No, ora no, neppure se me li regalassi tutti.

SALADINO: Testardo! - Vieni, prendine due. - Sul serio? Se ne va? Mi vince in nobiltà? - Perché di certo costa più a lui rifiutare che a me dare. - Ibrahim! - Perché mi è venuto in mente di voler essere un altro tutto a un tratto, quando mi resta così poco da vivere? - Se non voglio morire come Saladino, non dovevo vivere come Saladino.

SECONDO MAMELUCCO Sultano...

SALADINO: Se sei venuto a dirmi...

SECONDO MAMELUCCO La carovana dell'Egitto è qui!

SALADINO: Lo so già.

SECONDO MAMELUCCO Arrivo troppo tardi.

SALADINO: Perché troppo tardi? - Per la tua buona volontà prendi uno o due di quei sacchetti.

SECONDO MAMELUCCO Che fa tre.

SALADINO: Sì, visto che sai contare, prenditeli.

SECONDO MAMELUCCO Arriverà anche un terzo messaggero - ammesso che ci riesca.

SALADINO: Come?

SECONDO MAMELUCCO Be', dev'essersi rotto il collo. Non appena noi tre fummo sicuri dell'arrivo del carico, ci lanciammo a spron battuto. Il primo cadde da cavallo; io passai in testa, e ci restai fino in città; ma in città Ibrahim, quel briccone, conosce meglio i vicoli.

SALADINO: E il caduto? E il caduto, amico? - Vagli incontro.

SECONDO MAMELUCCO Certo che lo farò. - E, se non è morto, metà di questi soldi sono suoi. (Esce.)

SALADINO: Ma guarda anche questo che brav'uomo! - Chi ha dei mamelucchi come i miei? Non ho forse il diritto di pensare che sia anche un po' per il mio esempio? - Bando all'idea di abituarli, adesso, a un esempio diverso!...

TERZO MAMELUCCO Sultano,...

SALADINO: Sei tu il caduto?

TERZO MAMELUCCO No, io annuncio che l'emiro Mansor, il capo della carovana, sta smontando da cavallo...

SALADINO: Introducilo subito. - Ma eccolo.

Scena II

L'emiro Mansor e Saladino.

SALADINO: Benvenuto, emiro! Com'è andata? - Mansor, Mansor, ma quanto ci hai fatto aspettare! MANSOR Questa lettera riferisce che il tuo Abulkassem ha dovuto domare una rivolta nella Tebaide prima che potessimo partire. Dopo affrettai la marcia il più possibile.

SALADINO: Ti credo, emiro. - Adesso, buon Mansor, prendi immediatamente, se sei disposto a farlo volentieri, una scorta fresca. Devi proseguire, e portare la maggior parte del denaro in Libano, a mio padre.

MANSOR Lo farò volentieri.

SALADINO: E prenditi una scorta non troppo debole. Le zone intorno al Libano non sono più sicure. L'hai saputo? I templari sono di nuovo in armi. Stai bene in guardia. - Vieni. Dov'è la carovana? Voglio vederla e dare gli ordini.- Dite a Sittah che dopo andrò da lei.

Scena III

Le palme davanti alla casa di Nathan. Il Templare: cammina avanti e indietro.

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TEMPLARE: In casa non voglio entrare. - Presto o tardi si farà pur vedere. - Ah, come venivo notato subito e volentieri prima! - E ora forse mi vieterà persino di farmi vedere troppo spesso davanti a casa sua. - Hm! - Sono davvero suscettibile. - Perché accanirmi tanto contro di lui? - Dopo tutto mi disse che non era un rifiuto. E Saladino si è impegnato a strappare il suo consenso. - Il cristiano sarebbe forse in me più ostinato che in lui l'ebreo? - Chi conosce se stesso? Altrimenti, perché mai non dovrei concedergli il piccolo ratto che ha commesso sostituendosi a un cristiano? - O meglio: non piccolo, con una simile creatura! - Creatura? Ma di chi? - Non dello schiavo che gettò nel deserto della vita il blocco e poi scomparve. Assai più dell'artista che scolpì nel blocco gettato via l'immagine divina che aveva concepito. - Ah, il vero padre di Recha, a dispetto del cristiano che la generò, sarà sempre l'ebreo. - Se penso a lei come a una cristiana qualunque, senza tutto ciò che solo un ebreo come lui poteva darle: - dimmi, cuore, ti piacerebbe ancora? Poco o nulla. Neppure il suo sorriso, se fosse solo un bel guizzare di muscoli, se sorridesse di una cosa indegna del fascino che ha su quella bocca, mi piacerebbe. Ne ho visti prodigare anche di più belli a beneficio di cose sciocche e futili, dagli adulatori, dagli amanti. - Mi hanno forse incantato? Ho forse mai desiderato vivere per sempre alla luce di quel sole? - Non direi. E adesso sarò ingrato all'uomo che le ha dato il suo valore? Come è possibile? - Non merito il biasimo con cui Saladino: mi congedò? È già grave che Saladino: abbia potuto credermi. E come gli sarò parso meschino, spregevole. - E tutto per una ragazza? - Curd, Curd, così non va. Ritorna in te! E se tutte le chiacchiere di Daja fossero solo voci senza prove? - Ecco, sta uscendo dalla casa, finalmente, immerso in un colloquio. - Ah! Con chi! - Con lui? Con il mio Frate? - Ah! Allora di certo sa già tutto. E l'avranno ormai tradito al patriarca. - Ah! Pazzo! Che cosa ho fatto! - È mai possibile che una sola scintilla di passione ci bruci tanta parte del cervello? - E adesso che farai? Decidi in fretta! Lo aspetterò qui, da una parte; il Frate forse se ne andrà.

Scena IV

Nathan e il Frate


NATHAN:

FRATE:


(avvicinandosi) Ancora molte grazie, buon Fratello!

Ed a voi altrettante.


NATHAN:      A me? Da voi? Di che? Della mia ostinazione nell'offrirvi ciò che a voi non serve? - Aveste almeno


FRATE:

NATHAN:

FRATE:


ceduto, senza dimostrarmi con la forza quanto siete più ricco di me.

Questo libro non mi appartiene; apparteneva già a sua figlia; ed è in fondo tutta l'eredità che il padre le ha

lasciato. - Ma lei ha voi, è vero. - Voglia solo Iddio che non dobbiate mai pentirvi di quanto avete fatto per

lei.

Potrei pentirmene? Mai e poi mai, non preoccupatevi.

Ma i patriarchi, e i templari...


NATHAN:      Non potranno mai farmi tanto male da farmi pentire di alcunché: tanto meno di questo. - Ma siete ben


FRATE:


sicuro che sia stato un Templare a istigare il vostro patriarca?

Non può essere stato nessun altro. Un Templare gli parlò poco prima; e ciò che udii seguiva le sue parole.


NATHAN:      Ma a Gerusalemme di templari ora ce n'è uno solo. E questo lo conosco ed è mio amico, è un giovane


FRATE:

NATHAN:

FRATE:


nobile e sincero.

Giustissimo; è proprio lui. - Ma ciò che siamo e ciò che nel mondo siamo costretti a essere non sempre si

accordano.

Purtroppo. - Ma faccia ognuno, chiunque sia, del suo meglio o del suo peggio. Col vostro libro, Fratello,

sfido tutti, e posso andare dritto dal sultano.

Buona fortuna! Io vi lascio qui.


NATHAN:      Ma non l'avete neppure vista! Ritornate presto, e spesso. - Purché oggi il patriarca non sappia ancora


FRATE:

NATHAN:


niente. - Ma che dico? Ditegli anche oggi stesso ciò che volete.

Io no. Addio! (Se ne va.)

Non dimenticateci, Fratello! - Dio, non poter cadere qui in ginocchio, adesso, a cielo aperto! Ecco che il

nodo che tante volte mi fece tremare si è sciolto ora da sé. - Come mi sento leggero, ora che non ho più

nulla al mondo da nascondere, ora che davanti agli uomini posso andare libero come davanti a te, Dio, che

non hai bisogno di giudicare l'uomo dalle opere, che così raramente sono sue.


Scena V

Nathan e il templare, che si avvicina da una parte.

TEMPLARE: Aspettate, Nathan! Vengo con voi.

NATHAN:      Chi chiama? - Siete voi, cavaliere? - E dove siete stato, che non vi abbiamo visto dal sultano?

TEMPLARE: Non ci siamo incontrati. Non abbiatevene a male.

NATHAN:      Io no; ma Saladino...

TEMPLARE: Eravate appena andato via...

NATHAN:      Dunque gli parlaste? Benissimo.

TEMPLARE: Ma egli vuol parlare a noi due insieme.

NATHAN:      Tanto meglio. Venite con me. Stavo recandomi da lui. -

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TEMPLARE: Posso farvi una domanda, Nathan? Chi vi ha lasciato?

NATHAN:      Non lo conoscete?

TEMPLARE: Non era quel buon diavolo del frate, che il patriarca usa volentieri come segugio?

NATHAN:      Può essere. Comunque è al suo servizio.

TEMPLARE: L'idea non è malvagia: l'ingenuità che fa da messaggera alla ribalderia.

NATHAN:      Se è sciocca - non se è pia.

TEMPLARE: Se è pia il patriarca non ci crede.

NATHAN:      Per quel frate garantisco io. Non aiuterà mai il patriarca in azioni indegne.

TEMPLARE: Così per lo meno dà a vedere. - Ma non vi disse nulla di me?

NATHAN:      Di voi? Di voi nulla. - E difficilmente saprà il vostro nome.

TEMPLARE: Già, difficilmente.

NATHAN:      Mi ha parlato, è vero, di un templare: he...

TEMPLARE: Cosa ha detto?

NATHAN:      Una volta per tutte: non poteva riferirsi a voi.

TEMPLARE: Chi sa? Sentiamo un po'.

NATHAN:      Un templare: mi accuserebbe presso il patriarca...

TEMPLARE: Accusarvi? - Questa, con sua licenza - è una menzogna. - Nathan, ascoltatemi! - Non sono uomo capace di mentire. Quel che ho fatto l'ho fatto; non lo nego. Neppure sono uomo da difendere come ben fatto tutto ciò che ha fatto. Perché vergognarmi di un errore, se sono ben deciso a ripararlo? E non so forse quanto può in un uomo un simile proposito? - Nathan, ascoltatemi! - Il templare che secondo il frate vi avrebbe accusato sono io. - E sapete ciò che mi irritò, anzi, mi fece ribollire il sangue? Con tutto il cuore, ingenuo, ero venuto a gettarmi fra le vostre braccia; voi mi accoglieste - così freddo - anzi, così tiepido - che è ancora peggio. Scantonaste, misurando le parole; faceste solo finta di rispondere, con domande campate in aria. Ah, nemmeno ora posso ripensarci, se devo restar calmo. - Nathan, ascoltatemi! - Ero sconvolto, e Daja di soppiatto si avvicinò e mi gettò in faccia il suo segreto, che mi sembrò svelare l'enigma del vostro contegno.

NATHAN:      E come?

TEMPLARE: Ascoltate! - Pensai che non voleste perdere a favore di un cristiano ciò che una volta avevate tolto a un cristiano. Così mi venne in mente di mettervi per bene il coltello alla gola.

NATHAN:      Per bene? - Dove sta qui il bene?

TEMPLARE: Ascoltatemi! - È vero; ho fatto male. - Voi non avete colpa. - Daja, quell'esaltata, non sa che cosa dice - ce l'ha con voi - e cerca di irretirvi in una brutta storia - sì, può essere. - Io non sono che un giovane immaturo, che sogna e oscilla sempre tra due estremi; ora fa troppo, ora fa troppo poco - può essere anche questo. Perdonatemi!

NATHAN:      Se mi prendete da questo lato...

TEMPLARE: Sì, dal patriarca ci sono andato. - Ma non ho fatto il vostro nome. Questa, come ho detto, è una menzogna! Ho raccontato solo il caso in sé, per sapere che cosa ne pensava. - Potevo risparmiarmelo, è vero. - Non lo sapevo già che il patriarca è un furfante? Non potevo chieder conto direttamente a voi? - Dovevo esporre la povera ragazza al pericolo di perdere un padre come voi? - Ma la ribalderia del patriarca, che resta sempre identica a se stessa, mi ha fatto rinsavire per la via più breve. - Infatti, Nathan, ascoltatemi! Anche ammesso che sappia il vostro nome, che può succedere? - Può strapparvi Recha solo se è vostra e di nessun altro. Solo da casa vostra può sottrarla, per chiuderla in convento. - Perciò - datemela! Datela a me, e lasciatelo venire. Ah! Dovrà ben rinunciare a strapparmi la mia donna! - Datemela, presto! - Che sia vostra figlia o non lo sia, che sia cristiana, ebrea o nessuna delle due! Non fa nessuna differenza. Né adesso né mai, in tutta la mia vita, ve lo domanderò. Sia come sia!

NATHAN:      Pensate che per me sia indispensabile nascondere la verità?

TEMPLARE: Sia come sia!

NATHAN:     Eppure io non ho mai negato, né con voi né con altri che avessero diritto di saperlo, che Recha sia cristiana, e mia figlia adottiva. - Se non l'ho svelato ancora a lei, devo giustificarmene solo con lei.

TEMPLARE: Ma non è necessario. - Concedetele di non guardarvi mai con altri occhi, Nathan! - Risparmiatele questa scoperta! - A voi spetta, a voi solo, decidere per lei. Datela a me! Datemela, Nathan, ve ne prego. Io solo

posso - e voglio salvarvela per la seconda volta.

NATHAN:      Potevate. Ora non più. Adesso è troppo tardi.

TEMPLARE: roppo tardi! Perché?

NATHAN:      Grazie al patriarca...

TEMPLARE: Al patriarca? Grazie a lui? Perché? Noi dovremmo esser grati al patriarca? Perché?

NATHAN:      Perché adesso conosciamo i parenti di Recha e sappiamo a quali mani sicure può essere affidata.

TEMPLARE: Lo ringrazi - chi ha da ringraziarlo!

NATHAN:      Da quelle mani ormai dovete averla, non più dalle mie.

TEMPLARE: Povera Recha! Povera Recha, cosa ti cade addosso! Quel che per altri orfani sarebbe una fortuna sarà la tua

sventura. - E dove sono questi parenti, Nathan?

NATHAN:      Dove sono?

TEMPLARE: Chi sono?

NATHAN:      Si è trovato, innanzitutto, un fratello; a lui dovrete chiederla.

TEMPLARE: Un Fratello? E chi è questo Fratello? Un soldato? Un religioso? - Fatemi sapere cosa devo aspettarmi.

NATHAN:      Nessuno dei due, credo - o tutti e due. Non lo conosco ancora bene.

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TEMPLARE: E poi?

NATHAN:      È una brava persona, presso la quale Recha non si troverà affatto male.

TEMPLARE: a è un cristiano! - A volte non so cosa pensare di voi, Nathan. - Non abbiatevene a male. - Fra i cristiani non dovrà fare la parte di cristiana? Dopo aver fatto a lungo la cristiana, non lo diventerà? E le erbacce, alla fine, non soffocheranno il grano schietto seminato da voi? - Non ve ne importa? E, a parte questo, voi, proprio voi dite che dal Fratello non si troverà affatto male?

NATHAN:      Lo penso, e lo spero. - Ma se con lui qualcosa le mancasse, non avrà sempre voi e me? -

TEMPLARE: Oh! Con lui cosa potrà mancarle? Il Frate llino fornirà la sorellina in abbondanza di cibi e di vestiti, di leccornie e di fronzoli. E poi che cosa serve a una sorella? - Ah, naturalmente; anche un marito! - E anche a quello, anche a quello provvederà a suo tempo il Fratellino. Basta cercarlo. E quanto più sarà cristiano, tanto meglio. - Nathan, Nathan! Voi avevate dato forma a un angelo, e adesso gli altri ve lo guasteranno.

NATHAN:      Non è detto. Quell'angelo sarà sempre degno del nostro amore.

TEMPLARE: Non lo dite! Del mio amore non ditelo! Il mio amore non si lascerà rubare nulla, per piccolo che sia. Neppure il nome. - Ma, un momento! -Recha sospetta già ciò che la attende?

NATHAN:      Forse; ma non so da quale fonte.

TEMPLARE: Fa lo stesso; comunque voglio - devo essere il primo a rivelarle ciò che il destino le minaccia. Il mio proposito di non vederla più, di non parlarle finché non la potrò chiamare mia viene a cadere. Corro...

NATHAN:      Fermo! Dove?

TEMPLARE: Da lei. Per vedere se una fanciulla ha l'animo tanto virile da decidere nel solo modo degno di lei.

NATHAN:      E quale?

TEMPLARE: Questo: non fare altre domande, su di voi o suo Fratello -

NATHAN:      E?

TEMPLARE: E seguirmi; - anche se dovesse andare sposa a un musulmano.

NATHAN:      Non la trovereste. È da Sittah, sorella del sultano.

TEMPLARE: Da quando? Perché mai?

NATHAN:      E se volete incontrare anche il Fratello, accompagnatemi.

TEMPLARE: Quale Fratello? Di Sittah o di Recha?

NATHAN:      Entrambi, forse. Venite, ve ne prego.

Lo conduce via

Scena VI

Nell'harem di Sittah. Sittah e Recha in conversazione.


SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

RECHA:

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SITTAH:

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SITTAH:

RECHA:


Che gioia averti qui, cara fanciulla. - E non aver paura, non essere timida. - Su, allegra! Confidati con me.

Principessa...

No, non principessa. Chiamami Sittah - tua amica - tua sorella. Chiamami mamma - potrei quasi esserlo. -

Come sei giovane! E così saggia e buona. E quante cose sai, quante cose devi aver letto.

Letto, io? - Sittah, ti burli della sciocca sorellina? So appena leggere.

Non sai leggere? Bugiarda!

Leggo un po' la scrittura di mio padre. - Credevo che intendessi i libri.

Certo, i libri.

I libri li leggo con difficoltà.

Sul serio?

In tutta serietà. Mio padre non ama la fredda erudizione dei libri, che si imprime nella mente con segni

morti.

Cosa dici! - Eppure, non ha poi tutti i torti. - Insomma, quello che sai...

Lo so dalla sua bocca; e quasi di ogni cosa potrei dirti come, quando, perché me la insegnò.

Così tutto si collega meglio, e tutta l'anima impara in una volta sola.

Certo anche Sittah ha letto poco o niente.

Come? - Non sono fiera del contrario. - Ma perché pensi questo? Parla con franchezza.

Sittah è schietta, è priva di artifici, sempre uguale a se stessa...

E allora?

I libri, dice mio padre, raramente ci lasciano essere così.

Che uomo straordinario è tuo padre!

Non è vero?

Come va sempre diritto al bersaglio.

Non è vero? - E questo padre -

Che hai, cara?

Questo padre -

Dio! Tu piangi?

Questo padre - Ah, non posso tacerlo! Il mio cuore vuole sfogo, sfogo...       Vinta dalle lacrime, si getta ai

piedi di Sittah.

Recha, bambina, che hai?

Questo padre devo - devo perderlo!


38


SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

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SITTAH:

RECHA:

DAJA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:

RECHA:

SITTAH:


Tu? Perderlo? Come? - Stai tranquilla, non sarà mai. - Alzati!

Ma la tua offerta di essere un'amica, una sorella, non può essere vana!

Lo sono, lo sono. - Ma alzati! Altrimenti dovrò chiamare aiuto.

(che, facendosi forza, si alza) Ah, perdonami! - Il dolore mi ha fatto scordare chi sei. Le lacrime, la

disperazione con Sittah sono inutili; soltanto la ragione, fredda e calma, può tutto su di lei. Vince con lei

chi la sa adoperare.

E dunque?

No, un'amica, una sorella non lo permetterà; non permetterà mai che mi venga imposto un altro padre.

Importi un altro padre? Cara, chi può farlo? Chi può solo volerlo?

Chi? La mia buona cattiva Daja può volerlo - e vorrebbe poterlo. - Non conosci la mia buona, la mia

cattiva Daja? Ma che Dio la perdoni - e la rimeriti. Da lei ho avuto tanto bene - e tanto male.

Del male a te? - Allora in lei di buono c'è ben poco.

Al contrario; moltissimo, moltissimo.

Chi è?

Una cristiana che mi accudì quando ero una bambina. E quanto! - Da non crederci, - e non farmi sentire la

mancanza di una madre. - Dio la rimeriti! - Ma quante paure, quanti tormenti mi ha inflitto.

Perché? In che modo?

La poverina, come ho detto, è una cristiana - e deve tormentare per amore. - È una delle sognatrici che

vaneggiano di conoscere la via, l'unica vera via verso Dio.

Ora capisco.

E che si sentono tenute a guidare su quella via chiunque non la segua. - E come potrebbero non farlo? Se

solo quella è la retta via, potrebbero guardare indifferenti i loro amici seguirne una diversa, che va verso

l'eterna dannazione? Solo se si potesse amare e odiare lo stesso uomo nello stesso istante. - Ma non è

questo che adesso mi costringe a dolermi tanto di lei. I suoi sospiri, gli ammonimenti, le preghiere, le

minacce le avrei sopportate ancora a lungo di buon grado. Mi ispiravano pur sempre pensieri buoni e utili.

E chi, in fondo, non si sente lusingato se qualcuno, chiunque sia, ci dà tanto valore da non sopportare il

pensiero di perderci per sempre?

Verissimo.

Però - adesso è troppo! A questo non posso opporre nulla, né riflessione né pazienza, niente!

A che?

A quel che mi ha rivelato poco fa.

Rivelato? Poco fa?

Sì, poco fa. Venendo qui ci avvicinammo ai ruderi di un tempio cristiano. Ed ecco,

si ferma, sembra lottare con se stessa, guarda con gli occhi umidi ora il cielo e ora me. Vieni, dice alla

fine, andiamo, per questo tempio verso la via più dritta! Entra, la seguo e il mio occhio percorre con

ribrezzo rovine vacillanti; poi si ferma di nuovo, e io mi vedo con lei accanto ai gradini sepolti di un

avanzo di altare. Ed ecco, allora Daja mi cade ai piedi singhiozzando, torcendosi le mani...

Buona fanciulla!

Nel nome della dea che laggiù, dice, udì tante preghiere, fece tanti miracoli, con sguardi di sincera

compassione mi scongiura di aver misericordia di me stessa - o di perdonarla almeno se è costretta a

rivelarmi i diritti della sua chiesa su di me.

(Infelice! - Lo immaginavo).

Io sarei nata da cristiani, e battezzata! Non sono figlia di Nathan, lui non è mio padre! - Dio! - Non è mio

padre! - Sittah! Guardami ancora qui, ai tuoi piedi...

Recha! No, alzati! - Viene mio fratello. Alzati!


Scena VII

Saladino e le precedenti.

SALADINO: Cosa succede, Sittah?

SITTAH:        Dio! È fuori di sé.

SALADINO: Chi?

SITTAH:        Lo sai...

SALADINO: La figlia del nostro Nathan? Che cos'ha? SITTAH Ritorna in te, bambina. - Il sultano...

RECHA:         (trascinandosi in ginocchio ai piedi del Saladino, con il capo prostrato al suolo) Non mi alzerò finché -

non guarderò in viso il sultano - non ammirerò nei suoi occhi e sulla sua fronte il riflesso della giustizia

eterna, della bontà eterna, finché...

SALADINO: Alzati!

RECHA:         Finché non mi promette...

SALADINO: Su, prometto... Qualunque cosa sia.

RECHA:         Né più né meno che lasciarmi a mio padre, e me a lui! - Non so ancora chi pretenda - chi possa pretendere

di essere mio padre; e non voglio saperlo. Solo il sangue, solo il sangue fa il padre?

SALADINO: (rialzandola) Ora comprendo. - Chi fu così crudele da insinuare in te, proprio in te un dubbio simile? Ma è del tutto certo? È dimostrato?

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RECHA:         Sì, poiché Daja dice di saperlo dalla mia balia.

SALADINO: La tua balia!

RECHA:         Che morendo sentì il dovere di confidarlo a lei.

SALADINO: Morendo addirittura! - E forse vaneggiando? - E anche se fosse vero? - Appunto; il sangue, solo il sangue,

non basta a fare il padre. Neppure fra le bestie. Dà al massimo il diritto di provare per primi a conquistarsi

questo nome. - Non temere. - Anzi, sai che cosa ti dico? Se due padri ti contenderanno - lasciali entrambi e

prendine un terzo; - prendi me come tuo padre!

SITTAH:        Oh, fallo, fallo!

SALADINO: Sarò un buon padre, un buon padre davvero. - Ma, aspettate! Ho un'idea molto migliore. - In fondo a che ti servono dei padri? E poi, quando moriranno? Meglio cercare per tempo intorno a noi qualcuno che possa vivere altrettanto. Non conosci nessuno... SITTAH Non farla arrossire.

SALADINO: Ma è proprio ciò che voglio. Il rossore fa diventare belle anche le brutte; non renderà le belle ancor più

belle? - Ho chiamato qui tuo padre

NATHAN:      e anche un'altra - anche un'altra persona. Non indovini? - Proprio qui. Sittah, se permetti...

SITTAH:        Fratello!

SALADINO: E davanti a lui arrossisci più che puoi, cara fanciulla!

RECHA:         Arrossire? Davanti a chi?...

SALADINO: Piccola finta ingenua! Allora impallidisci. - Come vuoi, o come puoi. - (Una schiava entra e si avvicina a

Sittah). Sono forse già qui?

SITTAH:        (alla schiava) Va bene, falli entrare. - Sì, fratello.

Scena ultima

Nathan, il Templare: e i precedenti.

SALADINO: Miei buoni, cari amici! - A te, Nathan, a te prima di tutto devo dire che puoi far ritirare quando vuoi il

denaro che mi hai prestato...

NATHAN:      Sultano...

SALADINO: Ora sono io pronto a servirti...

NATHAN:      Sultano...

SALADINO: La carovana è qui, e sono ricco come da molto tempo non lo ero. - Dimmi quanto ti serve per dar vita a una

grande iniziativa; neanche voi, neanche voi mercanti avete mai denaro liquido di troppo.

NATHAN:      Perché per prima cosa queste inezie? - Vedo laggiù degli occhi in lacrime, e asciugarli mi sta molto più a

cuore. (Si avvicina a Recha.) Hai pianto? Che cos'hai? - Sei ancora mia figlia?

RECHA:         Padre mio!...

NATHAN:      Noi ci comprendiamo, e tanto basta. - Sii serena e pronta a tutto. Se il tuo cuore è ancora tuo, né altre

perdite lo minacciano - tuo padre non l'hai perduto.

RECHA:         Nessun'altra perdita.

TEMPLARE: Nessun'altra? - Allora mi sbagliavo. Ciò che noi non temiamo di perdere non l'abbiamo mai creduto nostro, mai desiderato. - Bene. Bene. - Questo, Nathan, cambia tutto. - Saladino, siamo qui per tuo ordine, ma io ti ho indotto in errore. Non darti altra pena.

SALADINO: Che furia di nuovo, giovanotto! - Tutto deve venirti incontro, tutto leggerti nel pensiero?

TEMPLARE: Ma hai visto, hai sentito, sultano!

SALADINO: Come no. - Peccato che del fatto tuo tu non sia più sicuro.

TEMPLARE: Ora lo sono.

SALADINO: Chi si fa forte del bene che ha fatto se lo riprende. Ciò che tu hai salvato non è tua proprietà. Altrimenti il ladro che si getta nel fuoco per rubare sarebbe un eroe quanto te. Andando verso Recha, per condurla vicino al templare. Vieni, cara! Non prenderlo troppo sul serio. Se fosse diverso, meno orgoglioso eardente, non ti avrebbe salvata. Devi compensare una cosa con l'altra. - Su, svergògnalo! Fai tu ciò che toccherebbe a lui. Dichiàrati, confessa che lo ami. Se rifiuta, se non capisce che così tu fai per lui infinitamente di più di quanto lui fece per te... In fondo, cosa ha fatto per te? Ha respirato un po' di fumo. Grande impresa! - Allora non ha nulla di mio

FRATE:          llo Assad. Ne porta la maschera, ma non ne ha il cuore. Vieni, cara... SITTAH Vai, cara, vai! È ancora poco, è niente, per la gratitudine che tu senti.

NATHAN:      Saladino, Sittah, fermi!

SALADINO: Anche tu?

NATHAN:      C'è un altro che deve parlare...

SALADINO: Chi lo nega? - Sì, Nathan, anche il padre adottivo potrà dire la sua. E per primo, se vuoi. - Come vedi so

tutto della cosa.

NATHAN:      Tutto no. - Non parlo di me stesso, Saladino. Ma c'è un'altra persona che ti prego di ascoltare prima di me.

SALADINO: Chi?

NATHAN:      Suo fratello.

SALADINO: Di Recha?

NATHAN:      Sì.

RECHA:         mio fratello? ho un fratello?

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TEMPLARE:  (uscendo di colpo dal suo mutismo risentito e assorto) E dov'è, dov'è questo fratello? Non è ancora qui?

Non dovevo incontrarlo qui?

NATHAN:      Pazienza!

TEMPLARE: (con tono amarissimo) Già le ha dato un falso padre - non troverà per lei anche un fratello?

SALADINO: Mancava solo questo! Cristiano! Un sospetto così infame non sarebbe mai apparso sulle labbra di Assad. - Bravo, continua così!

NATHAN:     Perdonalo! - Io lo perdono volentieri. - Al posto suo, chi sa cosa avremmo pensato alla sua età. (Avvicinandosi amichevolmente al templare). È naturale. - Il sospetto segue alla sfiducia. - Se mi aveste detto subito il vostro vero nome...

TEMPLARE: Come?

NATHAN:      Voi non siete uno Stauffen.

TEMPLARE: E chi sono?

NATHAN:      Non vi chiamate Curd von Stauffen.

TEMPLARE: E come mi chiamo?

NATHAN:      Leu von Filnek.

TEMPLARE: Come?

NATHAN:      Vi sorprende?

TEMPLARE: Direi! E chi lo afferma?

NATHAN:      Io. E posso dirvi anche di più. Ma non vi accuso di aver mentito.

TEMPLARE: No?

NATHAN:      Può darsi, infatti, che abbiate diritto anche a quel nome.

TEMPLARE: Lo credo bene! - (Dio gliel'ha suggerito).

NATHAN:      Infatti vostra madre - era una Stauffen. Suo fratello - lo zio che vi educò in Germania, poiché i genitori,

respinti dal suo clima inospitale, vi affidarono a lui per ritornare qui - si chiamava Curd von Stauffen, e

forse vi adottò come figlio. - È molto tempo che siete arrivato qui con lui? È ancora vivo?

TEMPLARE: Che cosa devo dire? - È vero, Nathan. - È così. Mio zio è morto. Soltanto con gli ultimi rinforzi del nostro

Ordine io sono giunto qui. - Ma - il fratello di Recha cosa c'entra con tutto ciò?

NATHAN:      Vostro padre...

TEMPLARE: Come? Conoscete anche lui?

NATHAN:      Era mio amico.

TEMPLARE: Vostro amico? È possibile...

NATHAN:      Il suo nome era Wolf von Filnek; ma non era un tedesco...

TEMPLARE: Sapete anche questo?

NATHAN:      Sposò solo una tedesca, e seguì per breve tempo vostra madre in Germania...

RECHA:         (fa per andare verso di lui) Ah, Fratello mio!

TEMPLARE: (ritraendosi) Suo fratello!

RECHA:         (si ferma e si volge verso Nathan) Non può essere! Il suo cuore non gli dice nulla. - Siamo degli impostori.

Dio!

SALADINO: (al templare ) Impostori? Lo pensi? Puoi pensarlo? Tu sei un impostore! Volto, voce, passo, tutto in te è contraffatto. Niente è tuo. Non riconoscere questa sorella! Vattene!

TEMPLARE: (avvicinandosi a lui con umiltà) Non fraintendere anche tu questo stupore, sultano. In un frangente in cui non hai mai visto il tuo Assad non disconoscere insieme lui e me. (Andando in fretta verso Nathan.) Mi togliete moltissimo, Nathan, e mi date moltissimo. - Ma no! Mi date di più, infinitamente di più. (Gettando le braccia al collo di Recha) Ah, sorella mia! Sorella mia!

NATHAN:      Blanda von Filnek.

TEMPLARE: Blanda? Blanda? - Non Recha? Non più la vostra Recha? - Dio! La ripudiate, ridandole il suo nome di cristiana. La ripudiate per causa mia, Nathan. Perché farle pagare questo prezzo?

NATHAN:      Come? - Oh, figli, figli miei! - Il fratello di mia figlia non sarà anche mio figlio, se vorrà? Mentre egli si

unisce al loro abbraccio, Saladino: si avvicina alla sorella, sorpreso e agitato.

SALADINO: Sorella, cosa dici?

SITTAH:         Sono commossa...

SALADINO: E io - io temo quasi di abbandonarmi a una commozione anche maggiore. Preparati meglio che puoi.

SITTAH:         Cioè?

SALADINO: Nathan, una parola. Una parola. –

(Mentre Nathan si avvicina, Sittah si unisce ai due fratelli per partecipare alla loro gioia. Nathan e Saladino parlano sottovoce

SALADINO: Ascolta, Ascolta, Nathan. Non dicesti poco fa -

NATHAN:      Cosa?

SALADINO: Che il loro padre non era nato in Germania, non era tedesco? Dov'era nato, allora? Che cos'era?

NATHAN:      Non ha mai voluto confidarmelo. Dalla sua bocca non lo seppi mai.

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SALADINO: Non era un franco? Un occidentale?

NATHAN:      No; e non nascondeva di non esserlo. Parlava di preferenza persiano...

SALADINO: Persiano? Cosa voglio di più? - È lui! Era lui!

NATHAN:      Chi?

SALADINO: Mio fratello! Certamente. Il mio Assad. Certamente!

NATHAN:      Se tu stesso lo credi - ricevine la conferma in questo libro. (Gli porge il breviario)

SALADINO: (aprendolo con impazienza) La sua mano! Riconosco la sua mano!

NATHAN:      Non sanno ancora nulla. E a te solo sta decidere se farglielo sapere.

SALADINO: (sfogliando il libro) Non dovrei riconoscere i figli di mio fratello? I miei nipoti - i miei figli? Non riconoscerli, e lasciarli a te? (Di nuovo a voce alta.) Sono loro, Sittah! Sono loro! Sono i figli di mio - di

tuo fratello! (Corre ad abbracciarli)

SITTAH:         (seguendolo) Che sento! - Ma poteva essere altrimenti? -

SALADINO: (a lTtemplare) Ora, testardo, anche tu dovrai amarmi! (A Recha.) Ciò che avevo offerto, ora lo sono, che tu lo voglia o no.

SITTAH:         Anch'io, anch'io!

SALADINO: (di nuovo al templare) Figlio mio! Mio Assad! Figlio del mio Assad!

TEMPLARE: Io sangue del tuo sangue! - Allora i sogni che cullarono la mia fanciullezza - erano più che sogni. (Cade ai suoi piedi.)

SALADINO: (rialzandolo) Ah, lo scellerato! Ne sapeva qualcosa, ma voleva fare di me il suo assassino. Guai a lui! (Mentre tutti si abbracciano ancora una volta senza parole, cala la tela)

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