Nel nome del padre

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NEL NOME DEL PADRE

di Luigi Lunari

Personaggi:

ROSEMARY

ALDO

Scene:

Un piccolo appartamento. Potrebbe essere un bilocale in un residence, o uno “studio”. È su due piani. In basso, un locale tuttofare: soggiorno, cucinino, sala da pranzo, con la possibilità di trasformare il divano in un letto. Nel soppalco, aperta e visibile, una camera da letto, o più semplicemente un letto. La porta d’ingresso è di lato ad una delle due estremità della scena. Durante l’azione, la luce potrà evidenziare questo o quello dei settori della scena, anche “trasformandoli” in bello o in brutto, in eleganza o squallore. Ma regista e scenografo sono liberi di inventare una situazione scenica meno banalmente realistica e più suggestiva, sulla strada di una fantasia interpretativa che l'autore del testo riconosce non avere.

La rappresentazione, della durata di un’ora e mezza circa, è prevista senza intervallo. Ove però si volesse interrompere lo spettacolo, una possibilità è quella di concludere un primo tempo a pag. 12, dopo la scena tra i genitori di Aldo e iniziare il secondo tempo facendo un piccolo passo indietro, riprendendo cioè da pag. 11, con l’ingresso del padre di Aldo.

ATTO UNICO

Il pubblico, entrando in sala, trova il sipario già aperto e la scena sommariamente illuminata da luci di servizio o poco più. Alcuni “inservienti” stanno dando gli ultimi tocchi all’ambiente: poiché continuano a lavorare anche quando le luci in sala si attenuano, verrà il dubbio che non si tratti di macchinisti che stanno mettendo a posto la scena, ma di dipendenti del residence che puliscono e riassettano il locale. La sala va a buio e in scena le luci si precisano in un piazzato, pronto per l’azione drammatica. A questa conclusione, come per un segnale, gli inservienti lasciano il lavoro e escono di scena: con sollecitudine, ma senza fretta eccessiva o nervosismo e, particolare curioso, passando per uscite “non realistiche”: scostando un elemento scenico, inserendosi tra quinta e fondale e via dicendo. In un ultimo gesto prima di sgomberare il palcoscenico, un inserviente dà un ultimo tocco: sistema un cuscino, o mette qualcosa nel frigorifero.

La scena è vuota. È notte, ma tra poco comincerà ad albeggiare. Da qualche istante, da poco prima dell’uscita degli inservienti, si sente un rumore strano, da fuori, come un battito cardiaco o il pulsare di un motore: un rumore che cresce, si fa ansioso, incalzante, poi decresce improvvisamente, quando la porta d’ingresso si apre di scatto ed entra una donna. La donna è in preda ad una violenta agitazione. Chiude la porta con forza e vi si appoggia contro, di spalle, ansimando. Ha in mano un minimo bagaglio: una sacca, o uno zaino, o un borsone; che come si appoggia alla porta le cade di mano. Agganciata alla sacca, una vecchia bambola. La donna rimane per qualche istante ferma contro la porta, una mano sul cuore, gli occhi chiusi, respirando forte. Poi, a poco a poco, quasi seguendo il quietarsi del rumore misterioso, anche lei sembra tornare alla normalità. Il rumore cessa. La donna si passa una mano sul viso, ha un respiro profondo di decontrazione, si china stancamente a raccattare il bagaglio caduto, si occupa soprattutto della bambola poi si avanza per la stanza guardandosi in giro e, ogni tanto, lanciando un’occhiata alla porta. Per quanto abbia superato l’acme di agitazione nel quale è entrata nella stanza, è evidentemente nervosa e preoccupata. Posa il bagaglio sul divano, sistema la bambola con cura, si tormenta le mani, è chiaro che sta cercando di imporsi la calma. Improvvisamente, da fuori, di nuovo, un rumore misterioso ma diverso: non è più il martellare di un battito, ma è come un sibilo insinuante e insidioso. Il sibilo varia di altezza e cresce di intensità, come un serpente. La donna prima fissa la porta, poi le volge le spalle e rimane ferma, con gli occhi chiusi, tormentandosi le mani, mordendosi le labbra, in attesa. Il sibilo, raggiunto un massimo, si indebolisce quando la porta si socchiude, lentamente, timidamente. Un uomo si affaccia: guarda dentro, ma non vede la donna. Entra, con estrema cautela. Si guarda in giro, si volta a chiudere con delicatezza la porta e, come la porta si richiude, il sibilo cessa. L’uomo fa qualche passo nella stanza. Ha in mano anch’egli un piccolo bagaglio, una borsa sportiva o una ventiquattr’ore, e sotto il braccio dei libri. Si guarda intorno, cerca un posto dove posare i libri: individua uno scaffale, vorrebbe deporre i libri lì, ma ha l’altra mano occupata dalla borsa, non sa come fare e resta per qualche istante a guardare impacciato ora i libri ora la borsa. La donna, dopo l’ingresso di lui, è rimasta per qualche attimo nell’immobilità spasmodica di prima: poi si è sciolta, ma con fatica, come imponendo a se stessa di farlo. Apre gli occhi, lo osserva, ancora non vista, con un’espressione vuota, un po’ attonita. Improvvisamente, egli ne sente la presenza. Si volta, la vede. Come si chiamano, lo sapremo tra poco. Chi sono, lo scopriremo un po’ più tardi. La loro età non è necessariamente da precisarsi. Secondo un’antica leggenda potrebbero avere trentatré anni. Sulle prime, ciascuno parla la propria lingua, diversa da quella dell’altro ed è evidente che si capiscono più per i gesti che per le parole. Poi, per miracolo, anche teatrale, trovano una lingua comune. Questo pone un problema. Dal momento che i due protagonisti sono, storicamente, italiano lui e americana lei, un allestimento in lingua italiana o in lingua inglese fa sì che una delle due lingue si identifichi con quella dello spettatore. Qui, pertanto, le battute che i due pronunciano nelle loro lingue sono pure invenzioni foniche che poi lasciano il passo all’italiano. In un allestimento in francese o tedesco o altro, di quella invenzione non c’è bisogno: i due si esprimono l’uno in italiano e l’altra in inglese, fino a che il “miracolo” li porta ad adottare la lingua comprensibile allo spettatore.

L’UOMO (gentilmente) - ...Acharàia...

LA DONNA (timidamente, quasi impaurita) - ...Virìtii...

L’UOMO - Baravascia, udùiana ubuto achara?

LA DONNA - Enelinii, enelinii...

L’UOMO - Acha, acha! Udù tachuata kalusc’ta... utu amu uturuach, atakuta, schnuck varaù... (Con il capo, fa cenno a qualcosa, una busta, che spunta dal taschino o dalla tasca della giacca. Evidentemente invita lei a prenderla. Lei si avvicina timorosa, lui la incoraggia) Nu taravo, nu taravu... Utu vachau... Kùtu... (La donna prende la lettera)

LA DONNA - Mirinidiee... Ititi enelinii sciivii sseee?

L’UOMO - Acha, achaùu... Usckù? (Anche la donna trae di tasca una busta, simile a quella dell’uomo, e gliela porge. Lui ha le mani occupate ed è impedito a prenderla)

LA DONNA - Scivibbi ièe?

L’UOMO - Iudà! (La donna apre la lettera che gli stava porgendo e gli mette il foglio davanti agli occhi. Lui legge, sillabando con molta fatica) Ruos... marr... ruh!

LA DONNA (come correggendolo) - Rose... ma... ry!

L’UOMO - Rossse.. mah... rry.. (Riprova) Rose... ma.. ry...

LA DONNA - Rosemary...

L’UOMO - Rosemary! (È giusto. La donna, per la prima volta, sorride, timidamente ancora... come confortata. Poi apre la busta che ha avuto da lui, legge)

LA DONNA - Ahl... dow.

L’UOMO (il suo nome è molto facile) - Aldo!

LA DONNA - Aldo!

ALDO (sorridendo) - Perfetto! (Si guarda intorno, con aria serena, con un grande Aaah! di soddisfazione, annuendo come ad approvare. Forse, con un colpo di tallone ha chiuso la porta che fino a quel momento era rimasta semiaperta. Il “bang” della porta che si chiude è forse il segnale per l’adozione della lingua comune. Lei tace, come imbarazzata o ancora timorosa. Poi, Aldo sembra ricordarsi dei libri che ha sotto il braccio, e accenna con la testa, come ad indicarli) Stavo cercando di sistemare questi libri...

ROSEMARY - Ti aiuto io?

ALDO - Grazie. (Rosemary gli si avvicina, gli sfila i libri di sotto il braccio, li sistema sullo scaffale) No, scusa: quello più grande a sinistra... In ordine di altezza, da sinistra a destra.

ROSEMARY (esegue) - Potevi anche posare la borsa.

ALDO - È vero. (Posa la borsa. Si avvicina ai libri, corregge la posizione di uno che, per questione di millimetri, non è esattamente al suo posto. Contempla soddisfatto) Grazie.

ROSEMARY (dopo una pausa) - Tu sei... (Aldo si volta verso di lei, la guarda come con serietà)

ALDO - Sì. C’è tutto nella lettera... Anche per te... c’è tutto nella lettera... vero? (Senza una parola, Rosemary gli porge la lettera, che già gli aveva fatto vedere) Oh, grazie, non occorre. Caso mai più tardi... con calma. (Pausa. Con cordialità) Dunque... Rosemary, vero?

ROSEMARY - Sì.

ALDO - Io... Aldo.

ROSEMARY - Lo so.

ALDO - Anch’io lo sapevo. Rosemary. (Mette insieme le due lettere) Le mettiamo qui: dietro i libri. Ricordatelo. (La guarda, cercando di guardarla con simpatia) Questi libri... sono pochi. Puoi leggerli, se c’è qualcosa che ti interessa.

ROSEMARY - Ho sempre letto poco, io.

ALDO - Io leggo molto. Ci sono stati dei periodi che non ho fatto altro. Di libri ne ho moltissimi, ma... li ho lasciati indietro. Questi sono i miei preferiti. Però... tutta politica, filosofia...

ROSEMARY - No. Io... politica...

ALDO - ...un'antologia di poesia del novecento...

ROSEMARY (stessa reazione di indifferenza) - No...

ALDO - C’è però anche un libro di filastrocche... (Lo prende, glielo fa vedere, come a porgerglielo) Però... è in russo.

ROSEMARY - In russo?!

ALDO - Sì, in russo. Ti fa ridere?

ROSEMARY - No. Ma tu non sei russo?

ALDO - No... no. Tu invece sei... americana.

ROSEMARY - Sì. (Pausa. Lei appare un po’ imbarazzata. Lui rimette a posto il libro. È più disinvolto, o almeno così sembra. Si volta, si guarda in giro, si stropiccia le mani, come a dimostrarsi a suo agio)

ALDO - Beh... bello. Pulito, simpatico... Sembra anche che sarà una bella giornata... Sta sorgendo il sole...

ROSEMARY - Là in fondo è nuvolo...

ALDO - Eh? Ah sì! Comunque... un bell’appartamentino. Eri qui da molto?

ROSEMARY - No... non lo so... non credo. Appena arrivata anch’io.

ALDO - Hai fatto fatica?

ROSEMARY - No, no: ho trovato quasi subito.

ALDO - Io subito: immediatamente. Come se conoscessi la strada a memoria. (Pausa) Beh... piacere. (Le porge la mano)

ROSEMARY - Credevo che ci fossimo già presentati.

ALDO (di buon grado) - Conosciuti! Non presentati. Perlomeno ufficialmente. Forse ti sembra un po' pignolo.

ROSEMRAY - No, no...

ALDO - Sono molto pignolo. È un mio difetto: anche se, sapendolo, cerco di correggermi. Ma ovviamente non sempre ci riesco. D'altra parte, se ci riuscissi sempre... che senso avrebbe dire che sono pignolo? Non lo sarei, o almeno non lo darei a vedere, e basta. Non ti pare?

ROSEMARY - Eh? Sì.

ALDO - Spero che andremo d'accordo.

ROSEMARY - Certo.

ALDO - Bisognerà trovare... un modus vivendi.

ROSEMARY - Potrei fare un caffè...

ALDO - È un buon inizio! Grazie. Basta che non sia americano anche lui.

ROSEMARY - Cioè?

ALDO - Di quelli lunghi lunghi... tutta acqua.

ROSEMARY - So fare solo quello. Anzi: non sono neanche sicura di saperlo fare. Sarebbe la prima volta. Posso provare.

ALDO - Prova. (Rosemary si avvicina al cucinino, apre degli sportelli, cerca l’occorrente... Aldo siede. Parla e la guarda, cercando di coinvolgerla in una conversazione) L’America… Non sono mai stato in America. Anzi, se devo dire la verità... non sono mai stato in nessuna parte. Però ho letto tanto... E anche tanti libri sull’America. O ambientati in America. E poi l’America la si vede nei film... i giornali ne parlano continuamente... Alla fine... a uno gli sembra di conoscerla, di esserci stato. Conosco la storia dell’America meglio... meglio... della mia vita.

ROSEMARY - Tu invece... lo so...

ALDO (interrompendolo) - Europa. Ma cosa esattamente, “dove” esattamente.. non saprei dirlo neanch'io. (Sorride alla perplessità di lei, e allargando le braccia aggiunge)  Succede! Il vecchio mondo... come il Vecchio Testamento.

ROSEMARY - Però sai il russo.

ALDO - Sono stato in Russia da bambino. So anche il francese, abbastanza bene, un po' di tedesco...

ROSEMARY - Io non sono mai stata da nessuna parte.

ALDO - Neanch’io. Salvo che in Russia. (Pausa) Stavi per domandarmi se sono comunista, vero?

ROSEMARY - Beh, sì...

ALDO - Per gli americani è così: basta nominare la Russia, pensano che sei comunista. Per l’esattezza: l’Unione Sovietica.

ROSEMARY - Comunque non te l’ho chiesto.

ALDO - È vero.

ROSEMARY - Non mi pare che abbia importanza.

ALDO - Sono d’accordo anch’io: non ha importanza. Però...

ROSEMARY - Però... sei comunista.

ALDO - Sì. O meglio: lo erano i miei. Io... bah, direi che non so neanch’io quel che sono. I tuoi invece...

ROSEMARY (seccamente) - Non voglio parlare dei miei.

ALDO - Scusa.

ROSEMARY (come per riparare allo scatto) - Scusa tu. (Correggendo quanto ha detto prima) Non ancora.

ALDO - Non c'è fretta. (Pausa) Posso chiederti... che cosa t’han detto di me?

ROSEMARY - Niente di importante. Forse... Più o meno quello che t’han detto di me.

ALDO - Ti ho deluso, vero? Di’ la verità: quando sono entrato... t’aspettavi qualcosa di diverso. Qualcuno...

ROSEMARY - Non mi aspettavo niente. Credimi. Un po’ curiosa, ecco: ma basta.

ALDO - Io... sono molto timido, sai? Però lo so: e siccome sono intelligente... o diciamo, meglio, siccome ragiono... mi sforzo di uscire dalla mia timidezza. E allora magari esagero in senso opposto. Divento sfacciato, estroverso... Me l’ha detto il dottore.

ROSEMARY - Che dottore?

ALDO - Il dottore. (Lei lo guarda, tacendo. Aldo corregge, non senza fatica) Lo psicologo. (Di nuovo) Lo psichiatra.

ROSEMARY - E perché me lo dici? Avevi detto “il dottore”. A me bastava.

ALDO - Tu, m’hai chiesto “Che dottore?”

ROSEMARY (imbarazzata, come irritata con se stessa) ­ Non dovevi dirmelo. Dovevi dirmi... “un dottore, uno qualsiasi”. Perché me l’hai detto?

ALDO - Non lo so: mi pare giusto. Per darti... una chiave di lettura del mio comportamento. Se dobbiamo conoscerci, tanto vale che ti aiuti a capire. Vuol dire... se qualcosa di me ti pare strano, se mi senti magari molto chiuso, poco disponibile o al contrario un po’ aggressivo, invadente... ecco, puoi tener presente quel che ti ho detto. Sapere che sono un timido, ti serve magari a prendermi dal verso giusto...

ROSEMARY - Zucchero?

ALDO - Uno, grazie. Dobbiamo fare conoscenza, no? Un po’ alla volta... ci diremo tutto.

ROSEMARY - Io non ho voglia di parlare...

ALDO - Ho capito! Le mie confidenze ti seccano perché pensi che possa pretendere le tue confidenze in cambio! Beh, guarda...

ROSEMARY - Com’è il caffè?

ALDO - Buono. Io sono qui per svuotare i miei, di sacchi! Devo liberarmi: se no, lo sai, di qui non ci si muove. E allora tanto vale restare dove si era. (Si alza)

ROSEMARY - Dove vai?

ALDO - Prendo i biscotti. (Apre una credenza, prende una scatola di biscotti)

ROSEMARY - Sapevi che erano lì?

ALDO - No. Ma è abbastanza logico.

ROSEMARY (con diffidenza) - Non è che per caso sei già stato qui?

ALDO - No, te lo giuro. Come potrei esserci stato? Io sono molto logico. E sai perché? Perché io, di mio, sarei un impulsivo. E proprio per dominare i miei impulsi, mi impongo, capisci, mi impongo di essere logico. Questo te lo dico perché...

ROSEMARY - Vuoi un goccio di latte?

ALDO - No, grazie.

ROSEMARY - Io sì. (Aldo la guarda, sulle prime senza capire. Poi sorride)

ALDO - Hai ragione, scusa: sono un cafone. (Va al frigorifero) Latte... frigorifero... (Sorride) Dimenticavo che madame è abituata a farsi servire. Oh, ma non lo dico per rinfacciartelo, sai? È solo come per dire... che so qualcosa di te: chi sei, in che ambiente sei vissuta... In un certo senso... non per forzarti a parlare, per l’amor di dio, ma se per caso anche tu decidi...

ROSEMARY - T’ho detto che non ho voglia di parlare.

ALDO - Parlerò io, allora. “Comincerò” io. Neanch’io ne avrei voglia, sai? Non ho mai parlato molto, in vita mia: neanche da piccolo. Ma siccome non voglio essere un orso, così... mi impongo di parlare... Quand’ero in Russia, a Mosca, da bambino, non c’erano certo frigoriferi: c’era abbastanza freddo in casa, fuori la roba diventava dura come il marmo... Comunque non c’era latte. Non mi chiedi cosa facevo a Mosca? (No, Rosemary non glielo chiede) Te lo dico lo stesso. Mio padre e mia madre erano due rifugiati politici. Avevano combattuto in Spagna, erano stati in prigione, sotto i fascisti, poi, appena potuto, erano scappati. Quando sono nato mio padre era in prigione. L’ho visto quando avevo quattro mesi. Cioè... lui mi ha visto. Io.. avevo quattro mesi. Poi siamo andati a Parigi...

ROSEMARY - Oh, Parigi, davvero? Sai, io ho sempre sognato di andare a Parigi...

ALDO - Dimmi.

ROSEMARY - ...Io, che non avevo mai desideri, che sembrava non m’importasse niente di niente... un desiderio lo avevo, chissà mai perché: andare a Parigi. Mia madre ci andava sempre, ma non mi ha mai portato. Com’è Parigi?

ALDO - Avevo un anno. Non me ne ricordo proprio niente. Te l'ho detto: non sono mai stato in nessuna parte, salvo che in Russia e... a casa.

ROSEMARY - Mia madre tornava da Parigi sempre carica di vestiti, di gioielli... Ogni tanto diceva: vado a Parigi a vestirmi. Partiva... stava via quindici giorni, un mese... Una volta ha comperato anche dei mobili...

ALDO - Non credo che fosse il caso dei miei genitori...

ROSEMARY - Quando tornava a casa, diceva che a casa, per un po’, si sentiva in prigione. Io, da bambina, non capivo bene cosa volesse dire e una volta mi sono messa a piangere.

ALDO - Dopo Parigi siamo andati a Mosca. Lì qualcosa mi ricordo.

ROSEMARY - Mio padre mi ha preso in braccio... (Tace improvvisamente, facendosi seria e scura in volto, come richiudendosi drasticamente in se stessa)

ALDO - E poi? (Rosemary tace, Aldo insiste) Su, e poi...

ROSEMARY - Niente.

ALDO - Non è vero! Va avanti!

ROSEMARY (con molta fatica) - ...e mi ha detto: “Non piangere! Mai! Ricordatelo! In casa nostra non si piange!”

ALDO - Racconta.

ROSEMARY (richiudendosi) - Te l’ho già raccontato.

ALDO - Non è vero.

ROSEMARY - Ma sì... il primo giorno che eravamo qui!

ALDO - Oh, proprio quello. Ma se il primo giorno non hai neanche aperto bocca! Una settimana c’è voluta, perché cominciassi! Su: tuo padre ti ha preso in braccio, e ti ha detto: “Non piangere! Ricordatelo! In casa nostra non si piange!” E poi?

ROSEMARY (richiudendosi) - No.

ALDO (rassegnandosi) - E va bene! (Pausa) Anche mia madre mi diceva di non piangere. Lei però piangeva. Vuoi che ti racconti?

ROSEMARY - No.

ALDO - Tu non i fidi di me, vero? O meglio: non capisci perché sono qui. Non capisci... perché ci hanno messo insieme. Al mio paese c’è un proverbio che dice... (Lo sai che cos’è un proverbio?) Beh, dice: “Dio li fa e poi li appaia”.

ROSEMARY - Che cosa vuol dire?

ALDO - Vuol dire... che certe volte uno vede un uomo e una donna insieme e si chiede cosa c’entrino l’uno con l’altro: gli pare impossibile che vadano d’accordo. Tuo padre e tua madre, per esempio.

ROSEMARY - T’ho detto che non voglio parlare di me! E neanche sentir parlare!

ALDO - Va bene. Comunque, quel che volevo dire, è che ci sono strane cose che nessuno riesce magari a definire... Dei disegni, strani, come se ci fosse qualcuno che dirige, che organizza tutto e che ne sa più di noi. Come a dire... che ci pensa Dio: è lui che li fa, è lui che li mette insieme... Bisogna fidarsi. È un proverbio, ripeto. Non è che io creda in Dio. Come diceva un amico di mio padre: “Grazie a Dio... io sono ateo!” Ma se io e te, o tu e io, meglio, ci troviamo qui, e “dobbiamo” stare qui, e parlare e aiutarci a superare questo momento, a tirar fuori tutto quello che è dentro di noi, per liberarcene, per essere poi leggeri e andarcene... finalmente... e non dover più avere a che fare con niente: presente, ricordi, cose, mio padre e tuo padre... e finalmente avere un po’ di pace e dormire e addormentarsi la sera senza il terrore di dover pensare che domani ci si sveglia... o peggio ancora, senza svegliarsi di notte... la cosa che più mi ha sempre fatto paura… e non capire chi sei: sono io? E dove sono? E perché sono qui solo? Dove sono gli altri? Oppure... quando la stessa cosa mi capitava di giorno, in mezzo a un sacco di gente: era come se mi si aprissero gli occhi e mi girava la testa. Ma non li avevo già gli occhi aperti? E allora questo cosa vuol dire? E tutta questa gente chi è? Che cosa vuole? Pensa, soltanto questo: non aver più bisogno di chiudersi, di tirar giù le saracinesca e di dire “Basta! Non voglio più nessuno tra i piedi! Non guardatemi! Non ci sono! Non ci son più per nessuno! Basta, basta, basta!” (È come preso da un tremito. Rosemary gli si avvicina, preoccupata, affettuosa, abbracciandogli la testa e premendosela contro il seno)

ROSEMARY - Calmati, calmati... ti prego! Per favore! Non devi pensare a queste cose, lo sai. Ogni volta stai male... (Squilla il telefono. Aldo si calma si asciuga gli occhi con un fazzoletto che ha tratto di tasca, si avvicina al telefono)

ALDO - Pronto?… No... no, grazie, non ho bisogno di niente… Sì, siamo qui da parecchio tempo, lo so... Ma non è facile... Per il resto, tutto bene, grazie... Sì, subito. (Senza dir parola, tende il ricevitore a Rosemary. Rosemary si avvicina, gli subentra al telefono. Aldo frattanto fruga nella propria borsa e ne tira fuori un’agenda, che poi consulta, seduto da qualche parte)

ROSEMARY (al telefono, debolmente) - Sì?… Sì, sono arrivata prima io... Oh, faccio fatica... proprio con le parole... No, non voglio parlare... Qualsiasi altra cosa, per piacere! Ma parlare no!… Ecco: forse. (Riappende, lentamente. È molto agitata, sul punto di mettersi a piangere. Aldo l’ha seguita, con partecipazione. Poi lascia il telefono, cerca il proprio bagaglio. Ne tira fuori una grossa busta di plastica a fiorami, la apre, cerca qualcosa, tira fuori una boccetta. Si avvicina al lavandino, prende un bicchiere, vi fa scorrere un dito d’acqua, poi vi versa dalla boccetta alcune gocce, che conta con un movimento delle labbra. Aldo scuote la testa: le parla con bonarietà, sorridendo, come si parlerebbe ad un bambino)

ALDO - Ma cosa fai?

ROSEMARY - Sono le mie gocce!

ALDO - Ma tesoro... a cosa ti servono?

ROSEMARY - Non posso farne senza.

ALDO - Ma perché?

ROSEMARY - Hai ragione, lo so. Ma... è un’abitudine.

ALDO - Ma non ti possono far niente! (La abbraccia) Perché non piangi, piuttosto? Prova a piangere!

ROSEMARY - No! Non piango! (Aldo scuote la testa, sorridendo, con malinconia, come ad un’inguaribile testardaggine di lei)

ALDO - Ancora tuo padre: lo vedi?

ROSEMARY (non raccoglie, e torna alle gocce) - Beh... se non mi possono far niente... non possono neanche farmi male...

ALDO (sorride) ­ Hai ragione anche tu... Va bene: prendile. (Rosemary beve)

ROSEMARY - Vedi? Mi sento già meglio.

ALDO - È l’effetto placebo.

ROSEMARY - Eh?

ALDO - “Placebo”. È latino. È un effetto illusorio: ti danno una pastiglia, o delle gocce, d’acqua fresca, dicendoti che è una medicina, e tu le prendi e ti senti meglio. (Sfoglia l’agenda, poi legge) “Placebo”. Sta attenta: “sostanza farmacologicamente inattiva, somministrata per rinforzare le aspettative del paziente, che si giova di elementi suggestivi e di componenti simboliche connesse al farmaco o alla figura del medico.” Hai capito?

ROSEMARY - La seconda parte no. Che libro è?

ALDO - Non è un libro: è la mia agenda. L’ho scritto qui perché io ho sempre avuto il sospetto che mi abbiano sempre imbottito di cose del genere. E infatti io non ero malato.

ROSEMARY - Però queste sono medicine davvero. E mi fanno effetto eccome.

ALDO (con serietà) - Rosemary: devi smetterla con le medicine! Ti ricordi quel che t’ho detto l’altro giorno, prima di andare a letto? Anche tu devi svuotarti dentro, buttare tutto sulla bilancia, devi sciogliere i nodi, raccontare... Vincere su tutto, sconfiggere il passato, accettarti, e farti vedere! (Con retorica, ma scherzando) Devi alzarti in piedi, affacciarti al balcone e dire: “Signori, eccomi qua: io sono Rosemary...” (Sta per completarne il nome, ma lei lo interrompe)

ROSEMARY - Zitto! Zitto!

ALDO (tornando a sé) - Scusa... Scusami. (Guarda la boccetta delle medicine) Queste sono medicine davvero. Ma a te non possono fare più niente, non lo sai? È questa l’illusione. (Rosemary tace) Anch’io, vedi, sono come te. Ho tirato fuori la mia agenda. È il mio diario... Volevo scrivere, come scrivevo ogni giorno: oggi, giorno tale, del mese tale, dell’anno tale... sono venuto qui, con la mia lettera di raccomandazione in tasca, ho incontrato Rosemary... Questo volevo scrivere. Ma la pagina non c’è! (Apre l’agenda e gliela fa vedere) Non posso scrivere niente. Così come è inutile che tu prenda le tue pillole. Vedi? Non ci sono più le pagine. Si ferma qui: questa è l’ultima pagina...

ROSEMARY - E anche quando l’hai comprata...

ALDO - Me l’hanno regalata.

ROSEMARY - E anche allora... finiva lì?

ALDO - Oh no, c’erano un sacco di pagine! Non finiva più. Ho pensato: qui ce n’ho per tutta l’eternità! Del resto, chi è che non si crede immortale?

ROSEMARY (guardando l’agenda, puntano l’indice sull’ultima pagina) - Dunque... è successo... qui.

ALDO - Sì.

ROSEMARY - Lo stesso giorno mio.

ALDO - No, guarda bene: non è lo stesso giorno. È che quei giorni si assomigliano tutti, probabilmente.

ROSEMARY - Tu cos’è che ti ricordi?

ALDO - Niente. È successo nel sonno. Ricordo solo che alla sera, l’ultimo pensiero, come sempre, è stato... “Oh dio, speriamo, stanotte, di non svegliarmi”. (Sorride) E infatti non mi sono svegliato. (Lunga pausa)

ROSEMARY - Faccio qualcosa da mangiare?

ALDO - Io non ho fame. E poi... non è che la tua cucina sia molto invitante...

ROSEMARY - Lo so. In casa mia facevano tutto le cuoche. Io non so fare niente. So solo aprire scatole.

ALDO - Direi che ormai me ne sono accorto... Dopo non so quanti giorni di Campbell, di Knorr...

ROSEMARY - Mi dispiace…

ALDO - Non preoccuparti: oggi, le scatole le apro io! Tu prepara la tavola. (Si dà da fare. Pausa. Silenzio)

ROSEMARY (esitando) - Io... ero malata. Me ne stavo tutto il giorno a letto, con gli occhi chiusi; se mi mettevano in poltrona, lasciavo fare, ma sempre con gli occhi chiusi. Verso sera, come ogni giorno, ho sentito il dottore che veniva, con le infermiere e tutto il seguito... Ho sentito che diceva, come al solito...

ALDO (annuendo) - “E allora, come andiamo oggi?”

ROSEMARY - “E allora, come andiamo oggi?” E l’infermiera ha risposto... “Non mangia.” E uno del seguito: “Non mangia o non vuol mangiare?” L’infermiera ha detto... “È così già da parecchi giorni.” Il dottore m’ha fatto qualcosa e io sempre con gli occhi chiusi. Poi ha detto, all’infermiera: “Insista, ma senza esagerare. Nessun accanimento...” come ha detto?

ALDO - Terapeutico. Nessun accanimento terapeutico.

ROSEMARY - Sì. Poi ho sentito che se ne andavano. E lui che diceva: “Del resto... anche la famiglia si è raccomandata... o l’ha fatto capire.”

ALDO - Tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli...

ROSEMARY - No, i miei fratelli no. I miei fratelli non c’entrano... E poi... son tutti morti.

ALDO - Tuo padre e tua madre, allora.

ROSEMARY - No, neanche mia madre. Lei non esisteva...

ALDO - Tuo padre!

ROSEMARY - Mio padre... Oh, ma sai che sei diabolico! T’ho detto che non voglio parlare e tu insisti... E poi, perché proprio con te... che non sai niente, non ci hai mai visti, non sai niente di noi, del nostro mondo! Che cosa potresti capire? No, a te non racconterò mai niente! A te, no!

ALDO - Calma, calma. Io... non vi conosco, d’accordo. Però... non sono stupido. E posso anche farmi un’idea delle cose e delle persone.

ROSEMARY - Beh, di sicuro tu non hai un’idea giusta di mio padre. Intanto, bisognerebbe capirlo. Io lo capivo... Vagamente. Lui era grande, bello, forte... Tutto il contrario di come ero io, soprattutto dentro. Lui lottava, se voleva una cosa faceva di tutto per ottenerla, voleva “vincere”, ecco: lui era uno che voleva vincere. Decideva lui per tutto: i miei fratelli dovevano essere dei campioni: nello sport, nella vita... Mai dubitare! Mai mostrare un attimo di debolezza... Mio fratello doveva essere un eroe di guerra. È diventato un eroe di guerra!

ALDO - Tuo fratello quale?

ROSEMARY - Il primo. È morto in Europa. Faceva l’aviatore.

ALDO - “Mio fratello faceva l’aviatore.

Voleva conquistare tante terre,

ed è partito per la guerra.

La terra l’ha conquistata in Spagna,

vicino a Guadalajara:

Un pezzo di terra lungo due metri,

profondo uno e cinquanta.”

È una poesia di Brecht.

ROSEMARY (sorride, ammirata) - Tu sai tutto. Per ogni cosa hai pronto qualcosa da dire. Tu sì, saresti piaciuto a mio padre.

ALDO - Bisogna vedere se tuo padre sarebbe piaciuto a me. Non credo.

ROSEMARY - Se gli fossi piaciuto... ti avrebbe comperato.

ALDO - Eh?

ROSEMARY - Era uno dei suoi modi di vincere. I soldi sono un’arma, diceva: e quell’arma se l’era fatta lui, partendo da zero. Quando qualcosa o qualcuno gli piaceva, diceva... “Quanto?”

ALDO - Sì, non credo che mi sarebbe piaciuto. Comunque, non è vero che io so tutto. Non so niente. Però ho letto molti libri. Soprattutto da piccolo non avevo altro.

ROSEMARY - E tuo padre e tua madre?

ALDO - Certo: erano loro che me li compravano. Mio padre diceva che avevo letto più libri di lui. Ma scherzava. (Pausa) E poi?

ROSEMARY - Poi niente. Mio padre era fatto così. E io... io no. Io non riuscivo bene nello sport e poi... ero sempre l’ultima...

ALDO - L’ultima in che cosa?

ROSEMARY - L’ultima in tutto, a muoversi, a capire, a ridere. I miei fratelli erano tutti come lui: grandi, belli, biondi, sembravano degli attori del cinema. Io...

ALDO - Tu non sei brutta.

ROSEMARY - ...io non ero nessuno. Lui mi voleva molto bene... forse, ma io... me ne rendevo conto: lo imbarazzavo. Forse si vergognava di me. Quando veniva qualcuno, in casa, e lui ci presentava... me, mi trattava sempre come... non so... come... ecco: come se sarebbe stato meglio che non ci fossi. Forse era colpa mia, forse potevo fare di più, deluderlo meno... fare anch’io come facevano i miei fratelli... Mi ricordo che un giorno, ero piccola, stavo aiutando la tata a preparare la tavola... Lui è entrato...

* * *

“IL PADRE DI ROSEMARY” (secco, autoritario) ­ Ma che cosa fai?

“ROSEMARY” (timidamente, impaurita) ­ Aiuto la tata a preparare la tavola...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - E perché rispondi così? Cosa c’è: hai paura? Di me? Non devi aver paura, di nessuno, mai. Che cosa vuol dire aver paura? Hai mai visto me o i tuoi fratelli aver paura di qualcosa?

“ROSEMARY” - Scusa...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - E neanche chiedere scusa devi: mai. Salvo che... per una mossa: per prendere tempo, per fregare meglio l’avversario.

“ROSEMARY” - Sì, papà.

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Lascia stare quella roba. Vieni qui. (Rosemary depone le cose con cui stava preparando la tavola, e si avvicina a suo padre. Il padre le parla sforzandosi a bonarietà e comprensione) Rosemary, vedi... tu non devi “aiutare la tata”. Tu qui sei la padrona, capisci? Sei ancora una bambina, lo so, ma devi abituarti fin da adesso. Tu devi comandare. Noi siamo gente che comanda. Quand’ero piccolo ed ero in Irlanda, li ho visti: quelli che comandano... e quelli che obbediscono. Beh, io sono venuto qui, in America, per essere di quelli che comandano. E così voi. Tutti, in questa casa, siamo di questa razza!

“ROSEMARY” - Ma io...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - “Ma io” che cosa? Devi impegnarti! Come i tuoi fratelli. Sei l’unica che non nuota, che non gioca a tennis...

“ROSEMARY” - Ma io gioco male...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Non dirlo! Se non lo dici tu, che comandi, nessuno lo dirà. Non lo capisci che così facendo resti indietro? Eh? Non lo capisci? Che ti metti da parte, che finisce nell’ombra, che ti escludi? È questo che vuoi? Eh? Vuoi escluderti? (Lentamente, Rosemary ritorna dov’era prima che suo padre la chiamasse) Sta attenta, Rosemary: è tuo padre che te lo dice: io... e tua madre ti vogliamo bene, non c’è bisogno di dirlo. Sei nostra figlia. Ma se non sei all’altezza, se non vuoi essere all’altezza... io non posso transigere e rischiare per te tutto quello che ho costruito nella vita, tutto quello intendo costruire in futuro. Per me, per te, per i tuoi fratelli... Tuo fratello... entrerà in politica, farà una grande carriera, nessun traguardo dev’essergli escluso. Va bene? Te lo giuro: dovesse costarmi la vita. E non possono esserci né ombre né ostacoli su questa strada.

“ROSEMARY” - Sì, papà...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Tutti dobbiamo essere all’altezza. Se intendi escluderti... dillo subito. (Rosemary ha ripreso la preparazione della tavola)

* * *

ROSEMARY - Un giorno m’ha detto: “Se intendi escluderti... dillo subito.” E io non capivo bene... ma non volevo escludermi. Ho provato. Ma tutto mi riusciva difficile. Avrei voluto fare come mia madre, ecco: lei non si occupava di niente. Sempre all’ombra di mio padre: ogni tanto a Parigi... Forse era l’unica cosa che lui sopportava. Un giorno... l’ho sentito che diceva, a mia madre. “Quella bambina... è ritardata.”

ALDO - E lei?

ROSEMARY - Non mi ricordo cos’abbia risposto: niente di speciale.

ALDO - Avrà detto: “Ehi, sì”... oppure “Ma no”. Con lo stesso tono.

ROSEMARY - Non lo so. Ma io, vedi, tutto questo l’ho capito dopo.

ALDO - Lo so: è stato così anche per me.

ROSEMARY - È successo quella sera, dopo che i dottori se ne sono andati. Io non dormivo e non mi sono addormentata. Sono rimasta lì con gli occhi chiusi, aspettando che succedesse... Ed è successo. Prima una voce, poi due, poi un cavallo verde s’è messo a correre tra le nuvole e un contadino con un buffo capello a cilindro tutto sfondato, sdraiato nel cielo, sospeso, suonava un violino. Lo suonava male, come una rana, ma a me piaceva, mi faceva ridere. C’erano anche tanti altri animali... una capra che brucava un grappolo d’uva, un bue attaccato ad un carro, in un’aia, carico di fieno. Poi si sono fatti avanti due sposi, lui vestito di nero, lei di bianco, come in un vecchio film in bianco e nero. Lei aveva in mano un mazzetto di mughetti e quando mi ha visto me l’ha buttato... Io l’ho preso... e... basta... Le voci mi chiamavano per nome... Per un momento ho creduto fossero i miei fratelli, che se ne erano andati prima di me, ma poi no: non erano loro... Mia madre neanche e neanche mio padre, certo! E io non conoscevo nessuno, dopo tanti anni in ospedale... Chi potevano essere? Però sentivo che potevo fidarmi: anzi, che era tanto, tanto tempo che le aspettavo. Erano voci solenni, come di un grande organo dalle canne d’argento, ma dicevano cose semplici, come... “Dai, su, che cosa aspetti? Vieni? Noi andiamo: vieni con noi! Opplà!”

ALDO - Tutto questo hai pensato?

ROSEMARY - In un lampo.

ALDO - E poi?

ROSEMARY - Sono stanca. Non farmi dire troppo.

ALDO - Un po’ alla volta.

ROSEMARY - Non insistere! E poi... non sono arrivata alla fine? (Aldo tace) Eh? Non sono arrivata alla fine?

ALDO (dopo una pausa) - Si può anche cominciare dalla fine. (Con altro tono) Mangiamo qualcosa?

ROSEMARY - Cosa c’è?

ALDO - Tutto. Carne in scatola, spaghetti in scatola, piselli in scatola, macedonia...

ROSEMARY - ...in scatola.

ALDO - Guarda: ho messo tutto in tavola. Io avevo l’abitudine di mangiare guardando la televisione.

ROSEMARY - Dov’è?

ALDO - Non c’è. Ho già guardato. Lo sapevo, sai, che non ci sarebbe stata. Meglio così. Così parliamo.

ROSEMARY - Parli tu. Io non ho più niente da dire.

ALDO - Dimmi solo una cosa. Quando... quando... quando hai seguito quelle voci... è stato anche per te che... ti si è chiarito tutto?

ROSEMARY - Sì.

ALDO - Perché prima... tutto era confuso.

ROSEMARY - Sì.

ALDO - Chiarito tutto... tutto? Come se un velo ti si aprisse davanti...

ROSEMARY - Sì. Come quando il vento scaccia la nebbia.

ALDO - Come quando apri una finestra.

ROSEMARY - Ma neanche tanto: come quando apri gli occhi.

ALDO - Gli occhi del cervello.

ROSEMARY - Sì, hai detto bene: gli occhi del cervello. (Ride)

ALDO - Vedi che tu e io ci capiamo? Tu che avevi paura...

ROSEMARY - Non ho avuto paura.

ALDO - Tu che diffidavi.

ROSEMARY - Beh... non ti conoscevo.

ALDO - Non occorre che ti giustifichi. (Pausa) Ti piace?

ROSEMARY - Sì.

ALDO - Non hai fame.

ROSEMARY - No.

ALDO - Forse anch’io mangio soltanto per abitudine. Guardavo sempre la televisione, mangiando, perché così non dovevo parlare con gli altri. La pensione dove vivevo...

ROSEMARY - Era una pensione?

ALDO - Lo vedi che sei tu che domandi? Okay, non proprio una pensione: un ospedale. Una clinica. Un po’ come il tuo, anche se il tuo era per gente ricca... Oh, non è un’accusa! Mi avevano messo lì quand’era morto mio padre... No: quando mio padre se ne è andato... Ha lasciato mia madre... e si è messo con un’altra. Io... non sapevo dove andare: con lui, abitava a Roma o con lei! Ero già adulto, avrei potuto andarmene anche per i fatti miei, ma... c’erano troppe cose che non sapevo... Non ero attrezzato per la vita, ecco. Sono stato io, sai, a dirglielo al dottore. Mio padre mi aveva portato a Mosca, a farmi visitare: il dottore, un amico suo, uno psicologo, che aveva fatto dieci anni in prigione sotto Stalin, mi aveva visitato, cioè... avevamo parlato. Poi era entrato mio padre e mi avevano detto di aspettare in anticamera. Io ho sentito tutto quel che dicevano: ho un udito eccezionale, io, ma non l’ho mai detto a nessuno. Parlavano in russo, ma io lo capivo. Dicevano tante cose, della mia infanzia, dei miei rapporti con la mamma, col papà, tutte giuste, ma nessuna... esatta. Sai quel che voglio dire? Ad un certo punto, quando stavano parlando di quel che avrei potuto fare in futuro, io sono entrato, e gli ho detto: “Dottore, sa qual è il problema? Io non sono attrezzato per la vita.” Ia nie oborudovanii dlia jizni. Così, gli ho detto. Ia nie oborudovanii dlia jizni.

ROSEMARY - E lui?

ALDO - Lui chi: il dottore?

ROSEMARY - Anche.

ALDO - Il dottore è sembrato colpito. Forse, in una frase, avevo riassunto tutto. Per me era così. Per lui, evidentemente anche.

ROSEMARY - E tuo padre? E tuo padre?

ALDO - Non ha detto niente. Però si è fatto... come dire? Triste. E io ho pensato: te’, così impari! Sai, io sembro un po’ aggressivo, qualche volta. Ma è solo per nascondere la mia timidezza. Io sto bene da solo, come una volta: chiuso in camera mia, a tavola con la televisione... Così, quando dovevo parlare con gli altri, era come se mandassi avanti un altro. E forse faccio così anche con te. Io me ne sto dietro, al sicuro: e mando avanti uno che parla, disinvolto, sicuro di sé... Sono io che recito. E io mi guardo recitare. Io però... non ci sono.

ROSEMARY - Come si dice in russo?

ALDO - Ia nie oborudovanii dlia jizni. Così mi hanno riportato in Italia e mi hanno messo lì. Oh, avrei potuto andare dove volevo: bastava che lo dicessi. Ma a Roma... mio padre era un pezzo grosso, una persona molto importante, si occupava di politica... Io gli avrei dato fastidio. Mia madre... tutta la vita si era occupata di me... e sul momento ho pensato che aveva fatto abbastanza... Ma poi sono andato con lei. Un bel giorno è morta... e io sono andato in clinica. Che per me era la cosa più vicina allo scomparire. E devo dire che sono stato felice, sì, molto felice...

ROSEMARY - Anch’io stavo bene. Avevo tutto. Mi mancava un po’ la mia famiglia. Ma sapevo che gli sarei stato di peso. Poi è morto mio fratello... poi anche l’altro.. Poi è morto mio padre... Quindi non c’era più ragione.

ALDO - No, no, bisogna andare più indietro, più indietro... Io, nella nostra stanza, a Mosca, durante la guerra. Mi sono reso conto dopo di che cos’era Mosca durante la guerra! Dopo... quando è tornata la pace, quando si sono accese le luci e da mangiare c’era tutto quel che si voleva. E soprattutto... lo spazio, il posto: c’era posto e spazio per tutto. A Mosca avevamo una stanza in un albergo: due brande per mio padre e mia madre. Di giorno stavano l’una sopra l’altra e poi in piedi contro il muro. Il divano per me. Un tavolo come questo. Nelle altre stanze c’erano altre famiglie come la mia, di fuorusciti da tutto il mondo. I bambini erano amici miei, ma parlavano tutti una lingua diversa, il russo lo stavamo imparando. Il mio migliore amico era un polacco della mia età: ma un giorno Stalin ha fucilato suo padre e lui è partito anche lui, chissà per dove... Io giocavo poco con gli altri. Preferivo stare a casa, a giocare con un trenino: un trenino di scatole di fiammiferi, che mi aveva fatto mio papà un giorno che era stato con me tutto il giorno. L’unico giorno. C’era poca luce, le giornate duravano poco e non finivano mai... Io avevo freddo...

 * * *

“LA MADRE DI ALDO” - Se hai freddo mettiti il golf.

“ALDO” - Ce l’ho già su il golf, mamma.

“LA MADRE DI ALDO” - Mettiti il paltò.

“ALDO” - Dov’è il papà?

“LA MADRE DI ALDO” - A lavorare, lo sai. (“Aldo” è inginocchiato per terra, le spalle al pubblico, e gioca distrattamente con il trenino)

“ALDO” - Nel libro che ho letto ieri c’era una famiglia dove stavano sempre tutti insieme. Non sempre. Molto. Perché noi no?

“LA MADRE DI ALDO” - Perché c’è la guerra, bambino mio.

“ALDO” - E quando finisce?

“LA MADRE DI ALDO” - Finirà! E allora torneremo in Italia, il papà avrà più tempo, starà con te, giocherà con noi. Il libro che hai letto... quella famiglia... era in tempo di pace. Purtroppo qualche volta succede che non sia così.

“ALDO” - Perché? Raccontami... Spiegami...

“LA MADRE DI ALDO” - C’è poco da spiegare. E poi... tu sei troppo piccolo. Capirai da grande.

“ALDO” - Ma, mamma...

“LA MADRE DI ALDO” - È così, guarda: ci sono dei momenti in cui... per tante ragioni... vanno al potere i cattivi e comandano loro. E allora... chi non è cattivo, chi crede nella bontà, deve nascondersi, lottare, soffrire anche, e far soffrire anche le persone a cui vuol bene..

“ALDO” - E il papà è così?

“LA MADRE DI ALDO” - Sì. Se non lavorasse tanto, vedi, se non si desse da fare come fa, quel giorno... il giorno in cui ritorna la pace e ritorna la giustizia... sarebbe più lontano... o magari correrebbe il rischio di non arrivare mai. È per questo, capisci? Ma il papà ti vuol bene. E un giorno gli possiamo anche dire di non andare a lavorare. Per un giorno: e di stare qui, con te, o di portarti a spasso.

“ALDO” - Sì. Quando.

"LA MADRE DI ALDO" - Non lo so.

"ALDO" - Domani?

"LA MADRE DI ALDO" - Magari, sì. Però non lo so, te l'ho detto: bisogna sentire anche lui.

"ALDO " - Però magari domani ha da fare.

“LA MADRE DI ALDO” - Eh sì, può darsi. E adesso, non è meglio che tu vada a letto? È tardi.

"ALDO" - Può darsi che abbia da fare... ma non come l'altra volta.

"LA MADRE DI ALDO" - L'altra volta quando?

"ALDO" - Quando è andato via: in Francia, in Spagna... ed è stato via due anni. E tu sei andata con lui. E io sono rimasto qui solo.

"LA MADRE DI ALDO" - Siamo tornati, Aldo. Erano brutti momenti. E dovevamo andare. Vieni qui. (Aldo le si avvicina, senza alzarsi, e lei gli prende la testa tra le mani) Non pensarci più. E vai a nanna. (Gli dà un bacio)

“ALDO” - Buonanotte. (“Aldo” si alza, mette via il trenino, si avvia su per la scala che conduce al soppalco. “La madre di Aldo" resta immobile, lo sguardo fisso nel vuoto. Dalla scala, un attimo dopo che vi è scomparso “Aldo”, scende “Il padre di Aldo”. Scende piano, in silenzio)

“IL PADRE DI ALDO” - Dorme.

“LA MADRE DI ALDO” - Ti ha aspettato tutto il giorno.

“IL PADRE DI ALDO” - Mi dispiace.

“LA MADRE DI ALDO” - C’ho del pane... e latte in polvere.

“IL PADRE DI ALDO” - Dammi quello che vuoi. (Pausa)

“LA MADRE DI ALDO” - Sai che cosa penso, qualche volta? Che sarebbe bello addormentarsi... e svegliarsi tra cent’anni.

“IL PADRE DI ALDO” (sorride) - C’ho pensato anch’io. Svegliarsi tra cent’anni e trovare non solo che la guerra è finita, il fascismo morto e sepolto, ma che il mondo si è messo sulla strada giusta: pace, giustizia, libertà, eguaglianza, tutto risolto, tutto sistemato... Sarebbe bello! Ma... mi sentirei un disertore! Se tutti ci addormentassimo per svegliarci tra cent’anni, chi starebbe qui, a lavorare, a lottare perché quel mondo arrivi? Il nostro tempo è questo, amore mio: è qui che bisogna vivere...

“LA MADRE DI ALDO” - Purché non sia lui, a dover pagare, povero figlio!

“IL PADRE DI ALDO” - Cercherò di essergli più vicino.

“LA MADRE DI ALDO” (scuote la testa, sorridendo con tristezza) - Dici sempre così. Anche stasera si è ricordato della Spagna... Ha tirato fuori che per due anni è rimasto solo... Pensa se non fossimo tornati...

“IL PADRE DI ALDO” - Siamo tornati.

“LA MADRE DI ALDO” - Sì, ma pensa se non fossimo tornati...

“IL PADRE DI ALDO” - La sua vita avrebbe preso un’altra svolta. Peggiore? O migliore? Senti: non ho voglia di pensare a come sarebbe andata “se”! È già abbastanza difficile tirare avanti nel mondo com’è, senza dover pensare come sarebbe se non fosse! (Ha inteso la frase quasi come una battuta comica, destinata ad allentare la tensione, ma “La madre di Aldo” sorride appena, come per abitudine o piccola compiacenza)

“LA MADRE DI ALDO” - Le tue solite battute da professore... quando non vuoi parlare di una cosa. (“Il padre di Aldo” accusa. Lunga pausa. Poi, con tono diverso, con forza e dolore improvvisi) Solo una cosa dimmi, se puoi dirmela: per quanto tempo, per quanto tempo ancora dovremo vivere così?

“IL PADRE DI ALDO” - Forse per sempre.

“LA MADRE DI ALDO” (sospira) - Coraggio, allora: andiamo avanti. (Pausa)

* * *

ROSEMARY - Non mangi altro?

ALDO - No, grazie.

ROSEMARY - Anch’io, sai, da piccola, facevo finta di dormire e sentivo quel che dicevano i miei genitori...

ALDO - Non credo che a casa vostra si dormisse tutti in una stanza.

ROSEMARY - No, ma lo stesso. Qualche volta succedeva. O che io sentissi senza che loro se ne accorgessero. O anche, che parlassero pensando che io non capissi... Questo te lo racconto, perché... piace anche a me. Ricordarmelo. Però... quando voglio mi fermo, d’accordo?

ALDO - D’accordo.

ROSEMARY - E tu non insisti.

ALDO - D’accordo.

ROSEMARY - Abitavamo in una grande casa vicino al mare... Io ho sempre avuto case grandissime. Anche dopo, quando mi hanno messa in quell’ospedale... io non stavo nello stesso edificio degli altri; ma in una casa, di due piani, in mezzo al parco, tutta per me. Con la servitù: l’infermiera, la guardarobiera, la dama di compagnia... come se io ne avessi bisogno. Ma mio padre era fatto così: mai avrebbe sopportato che uno dei suoi figli, neanch’io, che pure mi aveva... cancellata, fosse confuso con gli altri. Bastava che non uscissi di lì: ma per il resto potevo avere tutto quel che volevo. Anzi: dovevo avere tutto quel che volevo... anche se io non volevo niente, non avevo bisogno di niente. Nei primi tempi, mi mancavano i miei fratelli e i loro amici... Quand’ero in casa con loro... loro giocavano, ridevano, erano allegri, si facevano gli scherzi, in piscina, sul campo da tennis o quando si mangiava fuori, in giardino... Ma poi, dopo l’operazione... non ho più sentito neanche la loro mancanza.

ALDO - L’operazione?

ROSEMARY - Ho detto l’operazione?

ALDO - ...Mi pare...

ROSEMARY - Non è vero! L’hai detto tu... e hai fatto apposta.

ALDO - Scusa.

ROSEMARY - Mi vien voglia di non dirti più niente. Che cosa stavo dicendo?

ALDO - La tua casa, di quand’eri bambina.

ROSEMARY - C’era sempre il sole. Non ricordo di aver mai avuto freddo, di essere mai stata chiusa in casa, a giocare, con mia madre vicino. Mio padre era sempre lì, non andava mai a lavorare: eravamo molto ricchi. Mi ricordo che una volta ha detto che, quand’era giovane, aveva un’ambizione: lasciare ai suoi figli un milione di dollari ciascuno. E aveva nove figli.

ALDO - Beh, c’è riuscito, no?

ROSEMARY - Anche molto di più. Però, a quel punto non gli bastava. Voleva che i suoi figli fossero primi in tutto, non solo a scuola o al tennis. Primi nella vita. Io non ho potuto, diceva: ma se non ho potuto io ci riuscirà mio figlio.

ALDO - Che sarebbe Joe.

ROSEMARY - Si chiamava Joe, come lui. Joe junior.

ALDO - Joe junior... come a dire: una sua continuazione. È quello che è morto in guerra, vero?

ROSEMARY - Sì, quando è arrivata la notizia, mio padre è stato zitto. Non ha detto niente. Non so neanche se si sia commosso, se dentro di sé abbia pianto. Non credo: perché è stato in silenzio per non so quanto tempo... poi ha detto: “Toccherà a John!”, che era il secondo. “John sarà presidente degli Stati Uniti.”

ALDO - E così hanno ammazzato anche lui.

ROSEMARY (irritata) - Questo non te l’ho detto!

ALDO - Tesoro, questa è storia. Non c’è bisogno che tu me lo dica. E comunque me ne hai già accennato, l’altro giorno, non ti ricordi, che poi ti sei messa a piangere...

ROSEMARY - Smettila! Io ero orgogliosa di John. Era più piccolo di me, di qualche anno. Era grande, bello, forte... come mio padre, come tutti gli altri... eccetto me.

ALDO - Me lo ricordo, sai, quando è arrivata la notizia. Hanno interrotto le trasmissioni in tutto il mondo, suppongo, e l’hanno fatto vedere; la macchina lungo la strada, lui che rovescia indietro la testa, la moglie che lo abbraccia, la macchina che si mette a correre. Poi l’ospedale, lei col vestito macchiato di sangue... E, tu non ci crederai, ma ho pensato: guarda, come mio padre! Perché anche mio padre han tentato di ucciderlo. Era tornata la pace, eravamo tornati in Italia, finalmente era finita la guerra, finito il freddo di Mosca, la paura... e un giorno gli hanno sparato. Non è morto: l’hanno salvato. Ma quando ho sentito alla televisione che avevano ammazzato il presidente degli Stati Uniti, ho pensato: “Ma guarda te, ho pensato, ma perché si è fatto ammazzare? Un conto è mio padre, che non aveva mai avuto niente di niente, che era sempre vissuto come in galera, per quell’ideale che gli cantava dentro, per quel sole che aveva davanti agli occhi... Ma questo qui, perché? Era ricco, aveva tutto, non aveva nessun mondo da cambiare... Ma perché?” Me lo son proprio chiesto.

ROSEMARY - E che cosa ti sei risposto?

ALDO - Niente: la risposta non l’ho trovata. Ho pensato, pensandoli insieme: lui, mio padre.. “Mah,” ho pensato, “chissà se davvero a questo mondo il matto sono io”

ROSEMARY - Tu lo giudichi male, vero, mio padre?

ALDO - Io non giudico nessuno.

ROSEMARY - ...Mentre tuo padre, invece, lo giustifichi!

ALDO - Smettila! Non è quello il problema!

ROSEMARY - Tuo padre aveva un ideale, dici!

ALDO - Sì, questo è vero.

ROSEMARY - Beh, anche mio padre aveva un ideale. Anche lui veniva dal niente, era venuto in America, dall’Irlanda, senza un paio di calzoni di ricambio. Aveva lottato e aveva vinto! E voleva vedere i suoi figli salire ancora più in alto di dove era arrivato lui!

ALDO (aggressivo) - E te?

ROSEMARY (idem) - E te?

ALDO - Lui li ha ammazzati i suoi figli!

ROSEMARY - E te? Che cos’ha fatto tuo padre di te?

ALDO (piano) - Io, forse, non sono stato alla sua altezza... Non sono stato abbastanza forte.

ROSEMARY - Tu non ci credi: ma papà mi voleva bene. Se non altro... come parte della famiglia. Sono io che l’ho deluso. Non è colpa mia: io ero nata così, ma era evidente. E quando si lotta per qualcosa.. me l’ha insegnato lui… non bisogna avere debolezze, verso nessuno. Un giorno l’ho detto, a mia madre. Sono andata da lei, in camera sua, era appena tornata da Parigi... Lei era seduta così, vicino ad un tavolo, pieno di riviste di moda. Le ho detto: mamma, io non sono intelligente. Io sono un po’ stupida. Lo so, lo vedo: con i miei fratelli, con le mie compagne di scuola... io faccio fatica a capire... E mi tiro sempre indietro... Ho paura a far tutto: perché sempre, tutti, sono più bravi di me...

ALDO - E lei?

ROSEMARY - Taci, mi ha detto, c’è qui il papà: non dire niente a lui. Ne parliamo caso mai dopo, io e te. Sta zitta, eccolo!

* * *

“IL PADRE DI ROSEMARY” - John... si presenterà alle elezioni per il governatorato dello Stato. È una tappa necessaria: governatore, poi senatore, poi avanti. Robert, starà di rincalzo. Dovesse succedere a John quello che è successo a Junior... non dobbiamo trovarci impreparati.

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Pensi che possa farcela?

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Eh?

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Ho detto... pensi che ce la farà?

“IL PADRE DI ROSEMARY” (stupito) - Questa è una domanda... È la prima volta che mi chiedi se qualcosa che sto per fare riuscirà o non riuscirà!

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Non parlo di te: parlo di John.

“IL PADRE DI ROSEMARY” - È mio figlio! E comunque… dietro di lui ci sono io. Credi che non sappia fare le cose? Tu pensa a farti vedere un po’ di più in mezzo ai negri, agli ebrei, e a chi diavolo. Spendi pure: beneficienza, crociate, raccolte di fondi... Non badare a spese: fatti vedere... e portati dietro i fotografi! Al resto ci penso io. (Ride) Sai... il governatore uscente, quella vecchia mummia... Ho trovato uno che si chiama come lui: stesso nome, stesso cognome. Un omonimo. Fa il farmacista in città. L’ho fatto candidare alle elezioni. Gli pago io la campagna, manifesti, televisione, tutto. E in più gli do due soldi, si capisce. Al momento del voto... una percentuale di gente che si confonde e vota lui invece dell’altro... c’è di sicuro. Cosa te ne pare?

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Come vuoi tu.

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Mi raccomando: John non sa niente, né di questo né di altro. Lui... deve aver le mani pulite. L’ufficiale pagatore sono io. Non posso fare carriera politica perché ho fatto i soldi col whisky, col contrabbando, con le case dal gioco? Bene, signori moralisti coi guanti bianchi: farà carriera politica mio figlio... con i soldi di papà.

“LA MADRE DI ROSEMARY” - C’è Rosemary di là... ti sente.

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Anche se sente, cosa vuoi che capisca! (Si guarda intorno) No, non c’è: se ne sarà andata. (Sospira, scuote la testa) Bisognerà trovare una soluzione, per quella ragazza. L’altra sera, a cena, in mezzo agli ospiti... l’hai vista? Non parlava, rannicchiata in un angolo... ad un tratto s’è messa a ridere...

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Ha paura...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Paura, paura, che cosa vuol dire paura? Guarda: se tu mi dicessi, un giorno: “E va bene: confesso: non è figlia tua..” Io... io... ecco: un sospiro di sollievo! Per l’amor di Dio, siamo una famiglia per bene... queste cose non si prendono neanche in considerazione! Però... ci vedrei una ragione, una spiegazione... Penserei... ecco perché!

“LA MADRE DI ROSEMARY” - Bisogna aver pazienza.

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Non te ne faccio una colpa: mi hai dato nove figli. E otto vanno bene. Questa... è nata così. Bisogna che in casa nostra, finché c’è in gioco la carriera politica di John... bisogna che la si veda il meno possibile. Tra tutti i tuoi conventi cattolici, non ce n’è uno che possa tenersela?

"LA MADRE DI ROSEMARY" - L’abbiamo già mandata due anni in collegio. Come volevi tu.

"IL PADRE DI ROSEMARY" - Quindi può provare il convento. Magari si trova bene.

"LA MADRE DI ROSEMARY" - Non può passare la vita in convento.

"IL PADRE DI ROSEMARY" - Beh, perché no?

"LA MADRE DI ROSEMARY" - Se credi...

"IL PADRE DI ROSEMARY" - No, hai ragione. È troppo impegnativo: una sorella mezza suora! Per carità! Non bisogna sbilanciarsi.

"LA MADRE DI ROSEMARY" - E allora non so...

"IL PADRE DI ROSEMARY" - Una soluzione ci sarebbe.

"LA MADRE DI ROSEMARY" - E cioè?

"IL PADRE DI ROSEMARY" - Te lo dirò: devo ancora parlare con un dottore che ho conosciuto una volta... Una specie di cura... un intervento... Ci toglierebbe ogni pensiero... E anche lei, tutto sommato, si troverebbe forse meglio... Tu cosa ne dici?

"LA MADRE DI ROSEMARY" - Non ho capito di che cosa si tratta.

"IL PADRE DI ROSEMARY" - Senti, ho mille cose da fare. Non cominciare con le tue domande. Comunque, in poche parole... lobotomia.

"LA MADRE DI ROSEMARY" - Che cos’è?

"IL PADRE DI ROSEMARY" - T’ho appena detto di non far tante domande! Devi solo dire sì o no.

"LA MADRE DI ROSEMARY" - È necessario ch’io lo dica?

"IL PADRE DI ROSEMARY" - No, hai ragione. Me ne occupo io.

* * *

ALDO - (Squilla il telefono. Aldo si avvicina, stacca il ricevitore) Pronto?… Sì, grazie... No, non credo... non abbiamo bisogno di niente, grazie... È un po’ tardi, lo so... Oh, lo so che non c’è fretta, certo... però.. Grazie. (Riappende) Tra poco si farà notte... Ed è quasi Natale... Quando siamo venuti qui... era autunno, ti ricordi? Abbiamo ancora tante cose da dirci..

ROSEMARY - No, non tante.

ALDO - Vieni qui. (Rosemary gli si avvicina) Lascia che ti abbracci.

ROSEMARY - Ti faccio pena per quello che t’ho detto.

ALDO - No. Non più di quanto mi faccia pena io. (La abbraccia, e lei gli si abbandona) Dimmi.

ROSEMARY (ma non ci riesce) - Dimmi ancora qualcosa tu.

ALDO (cerca un tema) - Hai mai fatto all’amore?

ROSEMARY - Oh no!

ALDO - Perché rispondi così?

ROSEMARY - Non mi sono neanche mai sposata!

ALDO - Beh, non è che sia necessario...

ROSEMARY - Figurati! A casa mia eravamo molto... non so come dire... molto rigorosi. Una famiglia cattolica... molto irlandese. Quand’ero bambina e mio padre era ambasciatore a Londra, una volta m’ha portato dall’Irlanda una bambola vestita da suora.

ALDO -Ma tuo padre e i tuoi fratelli...

ROSEMARY - Che cosa?

ALDO - Non sembravano molto “rigorosi”.

ROSEMARY - Erano maschi. È diverso. Mio padre era un bell’uomo, come i miei fratelli. Avevano un sacco di donne, anche donne famose, attrici del cinema...

ALDO - E poi avevano soldi, tempo... Credo che mio padre non abbia mai tradito mia madre. Era povero anche in questo. E poi, forse, non era cattolico.

ROSEMARY - Però lui...

ALDO - Lui cosa?

ROSEMARY - Non avrà mai tradito tua madre, ma...

ALDO - Erano sempre insieme! Anche quand’erano ricercati, o in guerra... Avevano le stesse idee, gli stessi ideali... I tuoi erano una coppia vecchio stile: l’hai detto tu: cattolici, irlandesi, bigotti. Lei a casa a far figli, lui in giro a fare il maschio... Conosco il tipo! È la vecchia famiglia, tradizionale, borghese, maschilista... Quella dei miei era un’unione vera, capisci?

ROSEMARY - Sì, però tuo padre...

ALDO - Mio padre cosa?

ROSEMARY - Non avrà mai tradito tua madre, ma...

ALDO - Ah, ho capito dove vuoi arrivare! Ad un certo punto se n’è trovata un’altra.

ROSEMARY - Se n’è andato e vi ha piantati lì. Mio padre, questo, non l’avrebbe mai fatto.

ALDO - Sì, c’è un po’ di vero in quel che dici. Anche se non è esatto “se n’è andato e vi ha piantati lì”. È stata una decisione molto sofferta.

ROSEMARY - Sofferta da parte di chi?

ALDO - Da parte di tutti: anche da parte del Partito. Perché ridi?

ROSEMARY - Non lo so: mi fa ridere l’idea di un Partito che soffre...

ALDO - Beh, c’è poco da ridere: paese che vai, usanza che trovi. Non era come qui da voi, dove uno può far quel che vuole, basta che non dia scandalo. Per mio padre è stata una decisione molto difficile, ripeto. D’altra parte, io lo capisco: la guerra era finita, finito il periodo della clandestinità, dei pericoli. Lui non era più un ricercato, col nome e i documenti finti: era una personalità di primo piano. Vita completamente cambiata... E quindi... Mia madre aveva... come dire... esaurito il suo compito. Non credo si sarebbe trovata a suo agio, nei salotti... La nuova donna di mio padre, io l’ho conosciuta: elegante, distinta, una cultura fatta non solo di testi politici... Era... come dire.. più giusta, più... “adatta”, ecco. Del resto, mia madre è vissuta benissimo... fino a che non è morta. Con me, in un’altra città... (Non senza una punta di polemica “politica”) Da voi, un divorziato ha chiuso con la carriera politica! O anche solo se passa un week end con l’amante.

ROSEMARY - Non per quello che pensi tu: per una questione di sincerità. Perché chi mente alla moglie, domani può mentire alla nazione.

ALDO (la guarda sorpreso, sorridendo, con ironia, come felicemente sorpreso) - Ah, sentila, però! E poi dici di essere stupida e ignorante...

ROSEMARY - Sono le cose che sentivo dire da mio padre. Lui non ha mai mentito a mia madre: del resto, che avesse tante donne, lo sapevano tutti. Era un uomo affascinante: bello, forte...

ALDO - ...pieno di soldi e con un sacco di tempo libero.. Questo l’abbiamo già detto, lo sappiamo già. Comunque, neanche mio padre ha mai mentito a mia madre. Quando è stato il momento... se n’è andato per la sua strada. Alla luce del sole, senza sotterfugi...

ROSEMARY - E che cosa è meglio? Avere ogni tanto qualche donna, oppure un bel giorno...

ALDO (seccato) - Che cosa importa? Non siamo qui per fare graduatorie! Che cosa importa quel che è meglio o peggio? Mio padre se n’è andato. Punto e a capo. Cose che succedono, nelle migliori famiglie... Eccetto la tua, d’accordo! Comunque, tu smettila di parlar di mio padre, con tutto quello che devi ancora raccontarmi di te! (Si pente del tono sgarbato con cui ha parlato. Le si avvicina. La abbraccia) Scusami. Non volevo esser sgarbato.

ROSEMARY - Non importa.

ALDO - Forse... sono più nervoso di quel che credo. Sono momenti difficili.

ROSEMARY - Lo so, caro. Non preoccuparti.

ALDO - Posso... posso darti un bacio?

ROSEMARY (molto stupita) - Un bacio?! Un bacio come? Un bacio?

ALDO - Un bacio. (La bacia sulle labbra. Un bacio senza passione, solo volontà d’affetto)

ROSEMARY (a cose fatte) - Beh... e perché?

ALDO - Non lo so. Così. Ho pensato a te... A quel che mi hai detto prima... Che non hai mai fatto all’amore...

ROSEMARY - Te l’ho detto: non mi sono mai sposata.

ALDO - Appunto. Quindi... sei vergine.

ROSEMARY - Sì... Credo.

ALDO - Come sarebbe a dire, “credo”?

ROSEMARY (a fatica) - Credo, perché... Anche questo devo raccontarti?

ALDO - Se ti può aiutare... Se vuoi...

ROSEMARY - Sì, certo... Ma tu non devi pensar male di me.

ALDO - Non penso male di te.

ROSEMARY - Una sera, a casa nostra... dopo che c’era stata una grande cena in piedi, con un sacco di gente, tutta gente importante, e me, come al solito, m’avevano lasciata da parte, seduta in un angolo, con i camerieri che ogni momento erano lì a chiedermi “La signorina desidera qualcosa?”, ed erano gli unici a occuparsi di me... C’era anche un’attrice famosa e tutti sapevano che andava a letto con mio padre e c’erano le donne dei miei fratelli... Io ho pensato: adesso me ne vado! Prendo la macchina, vado in giro di notte e il primo uomo che trovo... No, non il primo, a caso: un bell’uomo, giovane, forte, più bello di mio padre e dei miei fratelli... e anche intelligente, perché l’avrei fatto parlare: intelligente, istruito, doveva essere! Ricco o povero non mi interessava! Ma tutto il resto sì... Non devi pensare male di me.

ALDO - Non penso male di te.

ROSEMARY - E l’ho fatto: sono uscita, nessuno se n’è accorto; e comunque, anche se se n’accorgevano... Ho preso la macchina e sono andata in giro... Non c’era nessuno. Era notte. Ho girato un’ora, due ore, non lo so neanch’io. Poi ho visto uno... L’ho fatto salire in macchina, ma ero stanca, stufa, non avevo più le idee chiare in testa, salvo una e quindi... non sono stata neanche tanto lì a guardare se era giovane, bello, intelligente... Era proprio il primo che passava per la strada. L’ho fatto salire in macchina... gli ho detto: “Voglio fare all’amore...” Lui... non so neanche bene quel che è successo... Mi ha messo le mani addosso, m’ha fatto anche male... No voglio che tu pensi male di me!

ALDO - Oddio, non penso male di te!

ROSEMARY - Poi...

ALDO - Poi?

ROSEMARY - Poi ad un certo punto è arrivata una macchina: c’erano su il giardiniere e uno dei gorilla di mio padre. S’erano accorti che me n’ero andata e s’erano tutti mossi a cercarmi... e m’avevano trovato. Mi aspettavo chissà che scenata da mio padre... e invece niente. Però un settimana dopo mi ha portata in clinica! Credo che sia stata come l’ultima goccia... E in fondo lo capisco! Tu non devi pensar male dei miei...

ALDO - Lo so, me l’hai già detto. Però...

ROSEMARY - Eravamo prima di tutto “una famiglia”. Quando m’han portata a casa, uno dei miei fratelli m’ha detto: “Ma non ci hai pensato, se finivamo sui giornali per una cosa del genere?” Se “finivamo”, hai capito? Perché eravamo abituati a considerarci un tutt’uno. Era delle cose che diceva sempre mio padre: “Fossimo nobili, diceva, il nostro motto sarebbe “Uno per tutti, tutti per uno”.

ALDO - Nel tuo caso, non direi proprio..

ROSEMARY - Sì, ma perché ero io che... non so come dire... avevo mancato ai patti. Non ero all’altezza della situazione. Anch’io avrei potuto dire come te... a quel dottore...

ALDO - Ia nie oborudovanii dlia jizni.

ROSEMARY - Così! (Pausa)

ALDO - Io... invece... donne... Non ti scandalizzi? Io andavo a puttane. Che non credo fosse molto diverso da quello che facevano i maschi di casa tua... Solo che le mie... erano proprio... Nessuna grande diva di Hollywood, neanche di Cinecittà! Anch’io uscivo... la sera... E la prima, o la seconda, che trovavo... me ne andavo con lei.

ROSEMARY - E perché?

ALDO - Beh... per i motivi per cui si fanno queste cose. Perché ero giovane, ne avevo voglia e poi... perché non avevo voglia di impegnarmi. Per carità! Magari mi innamoravo...

ROSEMARY - E allora?

ALDO - E allora sarebbe stata tutta un’altra storia: uno si innamora, si sposa, mette al mondo dei figli... Per carità! No, no, no... Mettere al mondo un figlio, in questo mondo, che poi non sai neanche se potrai occupartene... e lui che vien su chissà come, magari sbagliato, come me! No, no, no! Era un mio chiodo fisso: appena sentivo che avevo voglia, magari anche solo di un po’ di affetto, di una mano di donna, due occhi che ti ascoltano, dei capelli da accarezzare... via, via, via, vade retro satana! Una bella puttana, patti chiari e poi ognuno per la sua strada. Sapevo le tariffe di tutte le puttane della mia città. A che cosa serve la Storia, se non si impara? (Pausa)

ROSEMARY - Pensa se una donna si comportasse così.

ALDO - No, no, sei fuori strada. Qui non c’entra l’esser maschio o femmina: questo andrà bene per casa tua. Io non volevo figli, non volevo sentimenti! Per poi magari trascurarli, calpestarli, sentir tutta la vita il rimorso di quel che non si è fatto, non si è potuto fare... Devo già scontare le colpe di mio padre nei miei riguardi... non ho posto, né tempo, né energie per colpe mie nei riguardi di un figlio mio! I figli sono cose da animali, o da incoscienti! Ecco: se uno non sa quello che fa... Bene: allora può anche fare un figlio. Ma se appena appena ragiona...

ROSEMARY - Non agitarti... È passato...

ALDO - Hai ragione: scusami. Ho detto delle brutte cose, lo so. Io qualche volta esagero, in cinismo. Ma sai perché? Perché io, di mio, sarei un sentimentale: però lo so e reagisco. E allora qualche volta cado nell’eccesso opposto. (Si calma, si asciuga il sudore, sorride. Poi, non si sa quanto convinto e convincente) A me piacciono i bambini. E mi sarebbe anche piaciuto avere un figlio...

ROSEMARY - Un figlio! Sai: quella sera...

ALDO - Quale sera?

ROSEMARY - Quella sera che son scappata di casa, in macchina...

ALDO (scherzando) - Ah, la sera che sei andata a puttani.

ROSEMARY - Beh...

ALDO - Ho capito. Quella sera.

ROSEMARY (con intensità) - Un figlio! Oh! Era quello che volevo! Non far l’amore, non un uomo.. Niente di quello che facevano i miei, né mio padre, né mia madre... Un figlio! Un figlio bello, forte, grande, come i miei fratelli! Di più: più bello, più intelligente. Crescerlo dentro di me, poi nascerlo, tirarlo su come le grandi querce del parco... E un giorno... andare da mio padre e dirgli: “Eccolo! È mio! L’ho fatto io! Io! Perché io non voglio escludermi! Questo sarà all’altezza, vedrai! Come Joe, come John, come Robert! Non dovrai tenerlo da parte, nasconderlo, vergognarti di lui! Anzi: a lui... potrai volergli bene, papà... e perdonarmi!” (Piange, per qualche tempo, silenziosamente)

ALDO (ha evitato di lasciarsi coinvolgere) - Poi... quando sono andato in clinica, la situazione, come si suol dire, è radicalmente mutata. Lì non c’era nessun pericolo d’innamorarsi. E, conseguentemente, non c’erano puttane.

ROSEMARY (riprendendosi) - Che cosa avrei dato, per poter andare da mio padre, e dirgli: eccolo, questo è mio figlio. Bello, forte, come i tuoi, più dei tuoi...

ALDO - Ssssst! Non dirlo neanche!

ROSEMARY - Tu non puoi capire!

ALDO - Che cosa ne avrebbe fatto. Eh? “Come Joe, come John, come Robert!” L’hai detto tu? Dove sono, eh, dove sono i tuoi fratelli?

ROSEMARY - E tu dove sei?

ALDO - Che c’entro, io? Io non sono né bello, né forte, né niente! E poi... io non sono colpa di nessuno! E in fondo ho fatto una bellissima vita... tranquilla. Fuori, tutti i casini: io, là dentro, come in un acquario... La differenza tra mio padre e il tuo, è che mio padre rischiava lui, la vita: per gli altri. Quando gli hanno sparato e sono andato a Roma, con mia madre, lui era mezzo morto, certo, ma non mi ha quasi neanche badato: pensava al Partito, all’idea, alla situazione del momento. E ai suoi compagni diceva: “State calmi: non perdete la testa.” Ha detto così anche a me: forse senza neanche riconoscermi: “Sta calmo”, mi ha detto: “non perdere la testa.” Ma io... non avevo nessuna testa da perdere.

ROSEMARY (con un po’ di provocazione) - Mio padre, invece?

ALDO - Tuo padre... mandava i figli, a rischiare.

ROSEMARY - Tu parli di cose che non conosci.

ALDO - Tuo padre mi ricorda Madre Coraggio.

ROSEMARY - Chi?

ALDO - Madre Coraggio. È una commedia... o meglio: è la protagonista di una commedia che ho letto una volta. Di Brecht, sì: quello di prima, quello della poesia. Madre Coraggio aveva un carretto di mercanzie e seguiva non so che esercito, durante la guerra dei trenta o dei cent’anni, non importa. Vendeva, comperava... e per lei la guerra voleva dire lavorare e guadagnare, e così aveva tirato grandi tre figli: due maschi, e una femmina. I due maschi “belli e forti”, la figlia... sordomuta e un po’ deficiente. Era convinta di dovere chissà che cosa alla guerra... E tremava all’idea che scoppiasse la pace... E invece... prima uno, poi l’altro, poi la sordomuta... la guerra le ha portato via tutti i figli.

ROSEMARY - Che cosa c’entra questo con mio padre!

ALDO - Anche lui... chissà se se n’è reso conto: convinto di aver in tasca chissà che cosa: ricchezza, successo, potere... E così i figli, uno dietro l’altro... come Madre Coraggio...

ROSEMARY - Salvo la figlia deficiente.

ALDO - ...ma senza le attenuanti di Madre Coraggio.

ROSEMARY - Tu non capisci come un padre possa avere delle ambizioni per i propri figli!

ALDO - Dio ce ne scampi e liberi, se questi sono i risultati! Meno male che il mio non ne aveva! O almeno... non di quel tipo!

ROSEMARY - I nomi dei miei fratelli sono nella storia del mondo! E io sono orgogliosa di loro. Tu invece...

ALDO - Io non sono in nessuna storia e non c’è nessuno al mondo che sia orgoglioso di me. Giusto! E infatti sono io, ad essere orgoglioso di mio padre!Vedi? Se non ci fosse stato tuo padre... con la sua volontà, con i suoi soldi... tuo fratello non sarebbe mai diventato presidente degli Stati Uniti. Vero. Però lo sarebbe diventato un altro. Per forza! Un presidente ci vuole. C’è scritto nella Costituzione. Ma se mio padre non avesse fatto quello che ha fatto: lottato, sofferto... la causa in cui lui credeva, libertà, fraternità, eguaglianza, si sarebbe imposta... chissà: un anno dopo, un giorno dopo, forse anche solo un’ora dopo! La capisci la differenza?

ROSEMARY - No.

ALDO - Che tuo padre, in fondo, ha sacrificato tre figli, quattro con te...

ROSEMARY - Me lasciami fuori, per piacere.

ALDO - ...per fare lui una cosa che comunque altri avrebbero fatto. Matematico! Mio padre ha forse un po’ trascurato suo figlio, se vuoi, ma per qualcosa che altrimenti gli altri non avrebbero fatto: o per contribuire, comunque, a quel qualcosa.

ROSEMARY - E c’è riuscito?

ALDO - A far cosa?

ROSEMARY - A fare quel mondo che dici tu? Libertà, fraternità... Com’é?

ALDO - Gli ha fatto fare un passo avanti. Piccolo, d’accordo, Piccolissimo. Meglio di niente. Però... ecco dove casca l’asino: se mio padre avesse, diciamo... “vinto”... vinto davvero, in tutto il mondo, per sempre... se il mondo fosse... quello che lui aveva in testa... beh: anche i tuoi fratelli sarebbero ancora vivi! Tuo padre, anche vincendo... spostava soltanto le carte in tavola! Il potere di qui invece che di là...

ROSEMARY - Ho mal di testa. M’hai fatto venire il mal di testa.

ALDO - Scusami! È un mio vizio, quello di parlare troppo. È un’altra di quelle cose che sotto sotto non mi appartengono. Io di mio non sarei molto socievole, anzi: sarei piuttosto sul taciturno. Ma siccome lo so, e so che non va bene, mi sforzo di parlare con gli altri... e qualche volta esagero.

ROSEMARY - C’è qualcosa per il mal di testa?

ALDO - Subito. (Si mette in cerca di una pastiglia, la trova, prende un bicchier d’acqua, e senza farsi vedere getta via la pastiglia. Poi le porge il bicchiere) Comunque, per concludere: in realtà io non mi sono mai sentito sacrificato. E ho fatto una vita... serena. Sono stato con mia madre finché è morta... poi in clinica... in pensione da sempre, senza neanche mai lavorare, perché appunto io... non so fare niente. Poi è morto anche mio padre e io ho pensato... ecco, adesso sono a posto, adesso non ho più niente a cui pensare. Che pace! Che tranquillità!

ROSEMARY - Non avevi parenti, fratelli...

ALDO - Nessuno.

ROSEMARY - E tua sorella?

ALDO - Mia sorella?!

ROSEMARY - Non avevi una sorella, che veniva a trovarti, ogni tanto... (Aldo la fissa con aria al tempo stesso incredula e sarcastica, scuotendo la testa)

ALDO - Eccola! Avrei dovuto aspettarmelo! Voi donne siete speciali! Siete lì, miti, tranquille, come le giovenche di Virgilio, dalle lunate corna... Se appena appena la discussione s’accende vi viene il mal di testa... e poi, tutto ad un tratto, là! La stoccata al vetriolo. (Rosemary abbozza una reazione, che non ferma però Aldo) Come prima: stavamo parlando di tuo padre e delle sue attrici, e tu, come una vespa, zac, a tirar fuori il divorzio dei miei: che non c’entrava niente! Proprio solo per creare difficoltà, per cercare di mettermi a disagio... Io non ho sorelle. (Rosemary tace) Hai capito? Ti ho detto che non ho sorelle! (Rosemary tace) Quella che qualche volta veniva a trovarmi, come qualche altro vecchio compagno del Partito, del resto, non era né figlia di mio padre, né figlia di mia madre. Ergo, dimmi tu perché avrebbe dovuto essere mia sorella! (Rosemary tace. Pausa. Aldo sbuffa, nervosamente, si asciuga il sudore. Non sa cosa fare, non sa dove andare) Io... vado a letto. Buonanotte.

ROSEMARY - Buonanotte. (Aldo si avvia su per le scale. Rosemary lo segue con lo sguardo, poi si alza, va al bagaglio che ha deposto da qualche parte entrando, o che in qualche momento ha messo a posto, prende la bambola e vi si dedica: la pettina, le sistema le vesti, come per un bambino che debba andare a letto. Aldo ridiscende la scala, con aria dimessa, come per una colpa o una sconfitta. Si porta alle spalle di Rosemary. È lei la prima a parlare) Ti chiedo scusa.

ALDO - Non devi chiedermi scusa. Hai ragione tu. Io... mi aggrappo alle parole e le interpreto in senso largo o stretto... a seconda di come mi fa comodo. È un vizio che si prende quando si discute soprattutto con se stessi. Mia sorella... che poi non è mia sorella: questo è vero… è lei che veniva a trovarmi, qualche volta. L’unica, per così dire “parente”. E io... da un lato mi faceva piacere: era la sola persona al mondo, morta mia madre, con la quale sentivo di poter essere quel che ero. Un povero diavolo, un essere umano fuori parte... Provavo addirittura un certo piacere a farmi vedere così, perché mi sembrava in qualche modo di rinfacciarglielo. “Se io sono fatto così, è perché tu sei fatta cosà! È colpa tua! Lo capisci, questo? E allora perché vieni a trovarmi? Stattene a casa tua! Non ho bisogno di niente: l’unica cosa, vorrei sapere che non esisti!” Però non è vero che fosse colpa sua. Questo lo so. Lei, sai chi era? Era la figlia di un operaio, un comunista, morto durante una manifestazione. Erano scesi in piazza e avevano non una, ma mille ragioni. Una folla di operai mette paura, quando si ha la coscienza sporca: e la polizia si è messa a sparare. Sono morti in undici e uno di questi undici era il padre di quella donna, che allora era una bambina. Probabilmente anche gli altri lasciavano dei figli, ma questo non ci interessa. Il fatto è che mio padre, segretario del partito comunista, e sua moglie, l’altra, anche lei pezzo grosso del partito, fanno la bella pensata di fare un bel gesto. Prendono questa bambina, senza neanche averla vista, e l’adottano! Hai capito? Bello, eh? Tuo padre mai l’avrebbe fatto, anche al di là del comunista o non comunista. Ma il mio sì! Avrà pensato: con questa qui, l’altra, non è più l’età di aver figli, un figlio in casa ci vuole, io faccio il bel gesto simbolico, di quelli che vanno sui giornali, e, guarda caso, mi metto un po’ a posto con il Partito, che questa storia della vecchia compagna di tante lotte, piantata là al nord con il figlio mezzo scemo, l’ha accettata sì, ma perdonata proprio non me l’ha mai! Ecco il padre padrone del partito che adotta la figlia dell’umile militante, caduto sotto i colpi dei pluto-clerico-fascisti. Una famiglia ci vuole, no? E così, io, un giorno, apro il giornale... anzi, mi ricordo una cosa: che è stato l’ultimo giornale che ho aperto in vita mia... e mi trovo davanti la famigliola felice. Mio padre, l’altra e la bambina. Che aveva l’età di quand’eravamo a Mosca, anche se di fotografie con me, mio padre e mia madre a Mosca io non ce n’ho e non ne ho mai avute, né a Mosca né in qualsiasi altra parte. Ricordo che ho spanto il caffelatte, dal tremito che mi ha preso. Ed è stata l’unica volta in vita mia che ho dato dello stronzo a mio padre. Avevo lì quel giornale, con la sua faccia sorridente e lei con la bambina per mano.. e gli ho gridato: “Eh no, cazzo! Io non t’ho mai detto niente di niente, né quando c’eri né quando non c’eri! E mi è stata bene la guerra di Spagna, e la Russia di Stalin, e i nomi falsi, e il vivere nascosti, e anche il benservito a mia madre e il fuori-dai-piedi a me! Ma adesso che un po’ di quello che volevi l’hai avuto, che sei a Roma, che il nome e la faccia li sbandieri alla luce del sole, che milioni di persone ti guardano come un dio, il migliore qui e il migliore là, e che anche a quelli dell’altra parte, comunque, gli fai paura e quando cercano di farti fuori gli fai più paura ancora, e se la fan sotto perché tu non muoia... beh, se proprio volevi qualcuno da compensare per quel che aveva perso, qualcuno da portarti in casa perché la casa non ce l’aveva... un orfano, sì, un orfano, al quale dare un padre... beh, diciamoci pure una volta per sempre le cose come stanno: un figlio che il padre non ce l’ha avuto ce l’avevi, stronzo che non sei altro, te e il tuo bel gesto del cazzo!” (Pausa. Rosemary è rimasta immobile, impassibile. Aldo prende il bicchiere d’acqua ancora sul tavolo davanti a Rosemary. Poi si fruga in tasca, ne trae una boccetta, dalla quale fa uscire qualche pillola. Fa per mettere in bocca le pillole, poi le guarda, le getta via, in un cestino o nella pattumiera, poi vi getta anche la boccetta. Poi, con calma, beve l’acqua. Con altro tono) Io di solito non uso il turpiloquio. Sono molto composto nel parlare. Però il turpiloquio esiste, ha una sua precisa funzione: non bisogna abusarne, certo, ma non per motivi, come dire, perbenistici: ma solo perché tra uno che ogni tre parole dice “cazzo!” o uno che intercala di continuo un “vero no?”, o un “tu mi capisci”, l’impressione di monotonia, di mancanza di fantasia espressiva, o anche solo di imprecisione, di approssimazione del linguaggio è la stessa identica precisa. Quindi: ci sono dei casi in cui il turpiloquio esprime esattamente quel che si vuol dire e in quel caso non può essere sostituito da espressioni, magari più composte, più criticamente ortodosse, ma che non... (Un gesto con le dita, come a significare inconsistenza) ...non concludono, non riflettono il pensiero, il sentimento! (Squilla il telefono) Dev’essere per te: io ho finito. (Rosemary si alza, si avvicina al telefono, solleva lentamente il ricevitore. Ascolta... fa cenno di sì con la testa... riappende. Torna al centro della scena, al tavolo o al divano, prende la bambola, se la stringe al petto. Pausa. Aldo aspetta)

ALDO - E allora?

ROSEMARY (tormentandosi) - Domani... Un’altra volta.. Ti prego...

ALDO - T’ho detto che io ho finito! Tocca a te! O dovrò star qui per tutta l’eternità ad aspettare che la signorina...

ROSEMARY - Ti prego, devi aver pazienza... Anche tu hai fatto fatica, non ti ricordi? Te ne sei perfino andato via, sei salito di sopra... me lo ricordo come fossi ieri... e quando sei tornato giù... ho dovuto io chiederti scusa... Altrimenti non saresti mai arrivato fino in fondo...

ALDO (la prende per le braccia, quasi scuotendola) - E allora? Te l’ho detto o non te l’ho detto, tutto quel che dovevo? E adesso tocca a te! Parla! O devo cavarti io le parole di bocca? (La scuote, con rabbia, lei piange, si ribella. Lui l’abbraccia, teneramente, aspettando che si calmi. Poi, non appena lei si è calmata) Su! Rosemary... su... Fallo... fallo per te... Vedrai... (Come suggerendo, a memoria) “A me nessuno mi ha chiesto niente... ”

ROSEMARY (ripete con fatica, presto rinfrancandosi) - A me nessuno mi ha chiesto niente. L’ho saputo poi, che io avrei dovuto firmare una carta: ero maggiorenne, la mia opinione valeva quanto quella degli altri; e poi c’era bisogno del mio consenso, per un’operazione così! È necessario il consenso per renderti sterile, e non per il cervello? Io non so come sia successo. Probabilmente come sempre: mio padre ha pagato. Oh, non badava a spese, lui, per la famiglia! E lì, è vero quel che aveva detto mio fratello. Io lo capisco: non potevamo finire sui giornali. Sono sicura che, se fosse stato il caso, per me mio padre avrebbe sacrificato i miei fratelli. Ma, appunto, non era il caso. Anzi era il caso contrario. Quindi, come sempre:... “Uno per tutti, tutti per uno.” Così, pochi giorni dopo quella sera, m’hanno portato in clinica. Pensandoci, dopo, ho capito che i miei fratelli, mia madre, anche la gente di casa, le cameriere, i gorilla, m’avevano salutato in modo strano: cioè... come al solito, ma come se si sforzassero, di salutarmi come al solito. (Pausa. Rosemary ha un cedimento, come impossibilitata a continuare)

ALDO (incalzando, ma con pazienza) - “In clinica, mi hanno affidato ai dottori...

ROSEMARY - In clinica, mi hanno affidato ai dottori. (Porge la bambola a Aldo) E poi, dopo uno o due giorni per non so quali esami... è arrivato un professore, dall’Australia, credo, o dal Sudafrica... molto gentile, perbene... mi ha fatto un sacco di domande, ma non erano neanche domande, era una chiacchierata... Si informava di me, della mia vita, dei miei pensieri... Poi ha guardato le carte che i medici della clinica gli avevano preparato e... ad un certo punto è arrivato mio padre. A me avevano già fatto un’iniezione. “È solo un calmante”, mi aveva detto il professore: ”lo diamo anche ai bambini.” Mio padre era pallido e la mano con cui m’ha fatto una carezza tremava un poco: me ne sono resa conto dopo, ripensandoci: anzi, forse me ne rendo conto solo adesso. Però era determinato, deciso, come sempre quando decideva qualcosa, soprattutto... se era per il bene della famiglia. Poi si è appartato un poco con il professore, forse pensava che con il sedativo io già non fossi in grado di capire... e gli ha detto...

“IL PADRE DI ROSEMARY” - Mi raccomando, professore. Solo quel tanto che basta... Niente di più di quel che è necessario...

ROSEMARY - “Non si preoccupi: sappiamo il nostro mestiere e ho perfettamente capito il problema.” Così, mi hanno... aperto la testa, come si farebbe con una bambola. Mi toccavano qui e là con una specie di matita... (“L’operazione” si svolge sulla bambola, che Rosemary ora “tiene ferma”) ...e mi chiedevano se sentivo qualcosa e che cosa sentivo. Poi ho sentito la voce del Professore...

“IL PROFESSORE” - Bisturi... Signorina, lei conosce il Padre nostro?

“LA BAMBOLA” - Sì.

“IL PROFESSORE” - Dica il Padre nostro.

“LA BAMBOLA” - “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, così in cielo come in terra... ”

“IL PROFESSORE” - Basta così, grazie.

ROSEMARY - E allora ho sentito, ma senza nessun dolore, qualcosa incidermi dentro... come se mi stessero staccando... non so: una ciste, o un pezzetto di cervello...

“IL PROFESSORE” (come suggerendo) - “Padre nostro... ”

“LA BAMBOLA” - “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà... ”

“IL PROFESSORE” - Basta così, grazie.

ROSEMARY (tenendo la bambola per mano) - ...Un’infermiera mi teneva per mano, mentre il professore tagliava... e la sua voce si faceva più lontana, più difficile da sentire...

“IL PROFESSORE” (come sopra, suggerendo) - “Padre nostro... ” (Ma la bambola stavolta non risponde) Signorina! Il Padre nostro... Provi a dire il Padre nostro...

“LA BAMBOLA” - “Padre nostro che sei nei cieli, sia... sia... benedetto il ventre tuo... e quando ritorni da Parigi... vieni a vedere mio figlio... salutami John... e sia fatta la tua volontà... ora e nell’ora della nostra ultima cena... Ma chi è che ha bruciato le lenzuola?”

“IL PROFESSORE” - Basta così, grazie. (Le mostra una mano) Che cos’è questa?

“LA BAMBOLA” - Una farfalla. (Le mostra la mano aperta su tre dita)

“IL PROFESSORE” - Quanti sono questi?

“LA BAMBOLA” (ride, un po’ sguaiatamente) - Sono tutti morti... non lo vedi, scemo?

“IL PROFESSORE - Basta così. (Con altro tono) È a posto. Suturare e chiudere. Inturbarla e morfina. (Lunga pausa. Rosemary, raccatta la bambola, se la stringe al seno. La pausa è il tempo necessario per allentare ogni tensione, uscire dai “ personaggi” interpretati e dalla scena evocata. Aldo è alla finestra)

ALDO - È un bel tramonto. Ci sono ancora delle nuvole... ma c’è un po’ di vento, e la notte sarà chiara. (Si avvicina a Rosemary) Sei stanca?

ROSEMARY - Sì...

ALDO - Però... ti senti meglio.

ROSEMARY - Sì... Leggera.

ALDO - Libera. Come quel giorno.

ROSEMARY - Come quel giorno.

ALDO - Vuol dire che tra poco possiamo andare. Apriamo la finestra? Senti: come si sente... la primavera che si avvicina. Tra poco i prati si riempiranno di fiori... Poi verrà l’estate...

ROSEMARY - Volevo dirti... che sono stata bene con te.

ALDO - Anch’io.

ROSEMARY - Che cosa succederà?

ALDO - Niente. Che cosa vuoi che succeda? (Aldo siede sul divano) Vieni qui. (Rosemary si inginocchia sul divano accanto ad Aldo, sdraiandosi poi sulle ginocchia di lui) Tra poco sarà buio... e ci addormenteremo, finalmente senza paura.

ROSEMARY - E poi?

ALDO - E poi... poi si possono raccontare tante storie.

ROSEMARY - Me ne racconti qualcuna?

ALDO - (come passando in rassegna nella mente) - Qualcuna... qualcuna... Vediamo un po’. Ecco: tu ed io ci risvegliamo, domani mattina... ci diciamo “Ciao, caro! Ciao, cara! Hai dormito bene? Ti preparo il caffè! No, stamattina sono di corsa, ho un appuntamento alle nove. Copriti bene che fa freddo... Mi raccomando i bambini... Vengo a prenderti alla stazione alle sei... E stasera... ti porto a fare follie!” (Rosemary ride)

ALDO - Oppure... ci mettono in uno scaffale, per qualche secolo o qualche millennio... e un bel giorno, a caso, “rinasciamo”... Io sarò magari uno sportivo, un campione pieno di soldi...

ROSEMARY - Oh, no, non pieno di soldi!

ALDO - Sì, sì, lascia stare. I soldi vanno bene. Tu, sarai povera. Tu sarai una piccola segretaria, però io mi innamorerò di te e ci sposeremo.

ROSEMARY - Una cosa ho imparato da te, anche se non l’ho capita bene. E se ci risvegliassimo nel mondo... che voleva tuo padre?

ALDO - Bah.

ROSEMARY - Ti ricordi? Il giorno che siamo venuti qui tu m’hai detto un proverbio del tuo paese... “Dio li fa... ”

ALDO - “...e poi li appaia.”

ROSEMARY - Dici che è così anche per noi?

ALDO - Può darsi.

ROSEMARY - Non poteva appaiarci un po’ prima?

ALDO - Beh, ci sono dei limiti anche all’onnipotenza. Eravamo effettivamente un po’ distanti, se ci pensi. Trovarci e appaiarci... era davvero un terno al lotto. Siamo qui, insieme adesso: bisogna sapersi accontentare.

ROSEMARY - Non abbiamo mai fatto all’amore.

ALDO - Lo so. Evidentemente non era necessario.

ROSEMARY - In un film sarebbe successo.

ALDO - Eh! Se ci ritroveremo in un film lo faremo.

ROSEMARY - Ho sonno.

ALDO - Dormi.

ROSEMARY (come per un’idea improvvisa) - Senti: mi canti una ninna-nanna?

ALDO - Una ninna-nanna?!

ROSEMARY - Sì, mi piacerebbe.

ALDO - Come quelle che ti cantava la mamma?

ROSEMARY - Le bambinaie, per dir la verità.

ALDO - Ma io... non ne so, di ninne-nanne! Io le bambinaie non le avevo! Aspetta... sì, sì, una volta... non che lo ricordi esattamente... ma mi ricordo che me l’hanno raccontato, da grande. Ero piccolo e non volevo dormire e mio padre mi ha preso in braccio e... così m’hanno raccontato, ha provato a cantarmi una ninna-nanna. Solo che di ninne-nanne non ne sapeva neanche una. E allora... ha cantato... sul ritmo di una ninna-nanna... che è un sei ottavi, se t’interessa... mi ha cantato... beh... mi ha cantato quello che sapeva, pover’uomo anche lui... Mi ha cantato... sì, mi ha cantato l’Internazionale...

ROSEMARY - Che cos’è?

ALDO - Beh, “non è” una ninna-nanna. Le parole... sono tutt’altro: è un grande inno rivoluzionario. Non credo che a casa tua l’abbiano mai...

ROSEMARY - Me la canti?

ALDO - L’internazionale?!

ROSEMARY - La ninna-nanna...

ALDO - Senza le parole, però.

ROSEMARY - Solo la musica. Facendo “mmmm”.

ALDO - Va bene. Mi provo. In sei ottavi. (Rosemary gli si accoccola in braccio. Aldo canta, in sei ottavi, trasformandolo in una ninna-nanna, l’Internazionale, cullando lentamente Rosamery. Canta prima a bocca chiusa. Poi accennando a parole infantili: Ninna-nanna, ninna-ò... Rosemary chiude gli occhi. Il canto prosegue ancora un poco, di nuovo a bocca chiusa, indebolendosi, a mano a mano che anche Aldo è colto dal sonno. Il suono di in violino interviene a raccoglierne la melodia, sorreggendola, e poi sostituendosi alla voce, mentre anche Aldo di addormenta. Il suono del violino continua, purissimo e sicuro, mentre la scena va lentamente a buio)

SIPARIO