Nemici dell’amore

Stampa questo copione

NEMICI DELL’AMORE

Commedia in tre atti

diENZO DUSE

                                   

PERSONAGGI

NICOLA

ABICO

BER­NARDO

IL SIGNORE GIO­VANE

IL SIGNORE VEC­CHIO

KRAUSS

IL RA­GAZZO

MONICA

AGNE­SE

ZOE

LA MADRE

Oggi.

Commedia formattata da

Nella silenziosa piana che prelude all'Appennino mo­denese. Ampia stan­za con una vasta a-pertura nel fondo, attraverso la quale si profilano in lon­tananza le catene dei primi monti. Indi­spensabili: un diva­no, un pianoforte, un cavalletto da pit­tore, un grande tavolo con sopra carte, giornali, qua­dretti, fotografie, alla rinfusa. Le pareti sono quasi nude; qualche quadretto isolato rompe l'austera e massiccia secchezza della costruzione.

(All'alzarsi della tela Agnese è seduta con sulle gi­nocchia un cestino, intenta a sbucciar piselli. Ha tren­t’anni, ma assai più ne dimostra. Un vestitino nero le fascia l'asciutto corpo già stanco; porta il grembiule. Arico e pure seduto, legge un libro. Occhi grandi e nerissimi appuntati su di un piccolo viso pallido ir­regolare e sfatto. Capelli radi. Collo incassato fra le gracili spalle. Nicola, bell'uomo, tutto scatti collerici e improvvisi pentimenti. Un fascio di nervi. Dal piano­forte, cui è appoggiato, trae con una mano qualche accordo mentre guarda fuori).

Nicola                           - (dopo qualche attimo, volgendosi di scatto e portandosi alla tavola centrale) Dev'essere molto in­teressante quel libro, se in mezz'ora non hai trovato il tempo di dire una parola.

Arico                             - Dici a me?

Nicola                           - A te, caro, a te.

Arico                             - (chiudendo il libro, remissivo) Se mi dai un argomento parlerò.

Nicola                           - Come si fa con gli ammalati? No. Grazie!

Arico                             - Ti domando scusa, ma...

Nicola                           - (sedendo al piano e strappando un rabbioso accordo) Ho la mente lucida, io.

Arico                             - Non l'abbiamo mai messo in dubbio, nev-vero signora Agnese?

Nicola                           - Intanto parla per conto tuo. (Si alza). .

Arico                             - Come vuoi.

 Nicola                          - (dopo una pausa, con altro tono) Di chi è quel libro?

Arico                             - Di un poeta morto giovanissimo di tisi.

Nicola                           - Che idea!

Arico                             - La morte?

Nicola                           - La tua! Leggere un poeta morto di tisi!

Arico                             - Hai delle prevenzioni?

Nicola                           - Mi rattristano le tue malinconie. Cosa leggi?

Arico                             - Un brano stupendo. Vuoi sentire?

Nicola                           - (strappandogli il libro) Da' qua. Tu non sai leggere. Pagina?

Arico                             - C'è il segno.

Nicola                           - (che lo ha trovato) «La Gloria»?

Arico                             - « La Gloria ».

Nicola                           - (leggendo) « Un branco di leopardi correva giù a salti e a capriole lungo la riva di un torrente sotto il plenilunio. Videro una iena. " Ehi amica " le gridarono "passano cento cavalli stanotte per la strada carovaniera. Li manda il Sultano alla Mecca. Devono essere carne fine! Son pochi gli uomini della scorta. Pranzo sicuro!, di quelli che capitano di rado! Vieni con noi ". " Tante grazie, ma non posso " rispose la jena avviandosi in fretta per la strada. "Perché ?", le gridarono i leopardi. " Debbo andare al cimitero " ri­spose quella, sorridendo di lontano. Una volta, ve ne ricordate amici miei?, eravamo un branco, ubriachi di giovinezza e di speranze; scendevamo anche noi giù per un torrente sotto un plenilunio sereno. Incontram­mo la Gloria. La invitammo a cena con noi. E ci rispose come quella jena ». (Pausa lunga; poi, con violenza, chiude il libro, lo scaraventa sulla tavola e s'avvia alla uscita di destra).

Agnese                          - (con un filo di voce) Nicola!...

Nicola                           - (fermandosi) Eh?

Agnese                          - ...Nulla; scusa.

Nicola                           - Meglio così (ed esce).

Agnese                          - (dopo una pausa; lenta) I  - DB' malato.

Arico                             - E' pazzo.

Agnese                          - Bisogna aver pazienza.

Arico                             - Pazienza! Per forza! Che cosa ci posso fare, io? Sono l'ospite per le quattro chiacchiere. Mi si in­vita per la cena, per la partita a scopa o per la passeggiata. Ma poi? Oh, vi assicuro che vedervi soffrire... (e tenta di baciarle una mano che Agnese subito ritira)

Agnese                          - Quando saremo partiti dimenticherete.

Arico                             - E’ proprio vero, dunque?

Agnese                          - Anche un mese fa diceva che ce ne sa­remmo andati.

Arico                             - (dopo una pausa, con sicurezza) Non si muo­verà.

Agnese                          - Credete che non possa?

Arico                             - E' inchiodato qui da troppi ricordi.

Agnese                          - ...La piccola Zoe?

Arico                             - (abbassa il capo, silenzioso).

Agnese                          - (si comprime il petto, dolorosamente).

Arico                             - (sconsolato) Come vi sentite sua!

Agnese                          - E' vero! E' vero! Malgrado tutto! (Con sincerità) Oh, s'io potessi veramente intenderlo! Com­prendere ciò ch'egli vuole da me!

Arico                             - Ma lo sa, forse, lui, come vi vuole e che cosa vuole? Io so che vi ha sposata da cinque anni e che non vi ha dato una sola ora di tranquillità. So ch'era professore all'Accademia e che s'è ritirato per libera­mente lavorare; che malgrado nessuno si occupi di lui, continua a scriver libri; che dipinge e che non vende. Ora...

Agnese                          - Oh, non dite! Potremmo essere noi a non comprenderlo. Non sapete, non sapete! A volte c'è in lui un'ansia!... Egli ha proibito a me, sua moglie, di entrare in questa stanza mentre lavora. Ebbene: talvolta, nonostante il suo divieto, entro lo stesso. Lo guardo in quel suo inquieto travaglio. Tento, cerco d'avvicinarmi al suo cuore... tento d'indovinare... Mi smarrisco! La mia mente corre alla sua vestaglia ch'è sporca e biso­gnerebbe lavarla, a quelle carte, a quei quadretti buttati alla rinfusa su quel tavolo e bisognerebbe riordinarli!

Arico                             - Ciò nondimeno concludete che siete voi la disgrazia sua e non lui la vostra?!

Agnese                          - Non so. Certo non è vero che amare sia il miglior modo per comprendere. Io l'amo; e non ;:o comprenderò mai!

Arico                             - Vi ha stregata!

Agnese                          - Forse.

La voce di Zoe              - Maestro, maestro.

La voce di

Nicola                           - Oh, Zoe, Zoe, Zoe; entra per il cancello.

La voce di Zoe              - In casa?!

La voce di Nicola         - In casa, in casa.

Nicola                           - (appare da destra, allegro «fun1'allegrezza in-fantile).

Zoe                                - (appare da sinistra; è una contadinella: vestitino rosso, calze e sciarpa neri; porta con sé due pacchetti) Buongiorno, maestro. (Ad Agnese e ad Arico) Buon­giorno.

Nicola                           - Oh, Zoe! Ti sei divertita? Come stai? Siedi, siedi.

Zoe                                - (sedendo) Ho corso tanto.

Nicola                           - Arrivata ora?

Zoe                                - Con l'ultima corriera.

Nicola                           - Sarai stanca.

Zoe                                - Temevo v'impazientiste.

Nicola                           - Oh, che dici? E Modena, la mia Modena, sempre bella? Parla dunque, racconta.

Zoe                                - (guarda Agnese che tenta di uscire senz'essere vista).

Arico                             - (è alla finestra).

Nicola                           - (s'accorge della manovra della moglie; ha uno scatto e un gesto di dispetto, e, mentre Agnese sta per varcare la soglia, rivolto a Zoe) Vattene, va via; va via!

Zoe                                - (alzandosi) Maestro...

Nicola                           - Va via... (Si ode l’eco di un colpo di fu­cile) Va a chiamare quel vecchio imbecille che si ostina a sparare alle nuvole. Almeno quello, con le sue amene storie, non darà sui nervi. ,(E ritto, tremante, aspetta che Zoe se ne vada. Agnese frattanto e uscita).

Zoe                                - ...Vi avevo portato...

Nicola                           - Dopo, dopo. (Zoe esce da sinistra).

Arico                             - (dopo una pausa lunga s'avvicina a Nicola) Poco fa mi disse tremando : « Perché non riesco a com­prenderlo?! ». Non ha colpa se t'irrita. Non farle più del male.

Nicola                           - Agnese non ha fiducia in me; quindi non è in me.

Arico                             - (non riuscendo a dominarsi) Ma tu, tu sei in lei. Tu non sai come maledica la natura che m'ha fatto così.

Nicola                           - ((calmo) Mi odi, Arico...

Arico                             - No.

Nicola ,                         - ...mi odi! E questo sentimento non è de­gno di te.

Arico                             - Non ti odio. Ti chiedo: Perché se non puoi sopportare la sua presenza non la lasci e te ne vai? Tu non sei certo uomo da tener fede al giuramento del ma­trimonio solo per far piacere alla legge o per rispetto alla morale. Dunque?

Nicola                           - Ho capito? E’ della chiarezza che tu vuoi. Bada; non ne verrai a capo di nulla. In ogni modo, eccotela. Tu ti sei chiesto : Perché non se ne va? E' così? .

Arico                             - Sì: perché non te ne vai?

Nicola                           - Bravo. Invece avrei preferito che l'interro­gazione te la fosti rivolta in questi termini: Perché non può andarsene?

Arico                             - Cosa dici?

Nicola                           - Incredibile, mio caro; e pietoso: la viltà del mio smisurato egoismo mi impedisce di uscire dal raggio nel quale io avverto il calore delle sue atten­zioni, della sua sollecita presenza, anche se per i fatti dello spirito ci sia fra me e lei così grande e desolante lontananza. Vedi: noi siamo uniti da una necessità della quale, forse, né io né lei possiamo darci una ragione. Che cosa c'è alla radice di questo vincolo? L'amore? No. Un senso di reciproca pietà? Neanche. U triste ricordo di un bimbo che non c'è più? Ma i morti, mio caro, contano ancor meno dei vivi...

Arico                             - Tutti tormenti inutili...

Nicola                           - Ma non capisci?...

Arico                             - Io so che da due anni sono testimonio di una vita d'inferno...

Nicola                           - ...che facciamo vivere anche a te... lo so...

Arico                             - (irritato) ...Lascia stare me. Cosa c'entro?

Nicola                           - Sicuro che c'entri. Non saresti qui. Non ti occuperesti dei fatti miei...

Arico                             - (ironico) ...né dei suoi!...

Nicola                           - ...né dei suoi, naturalmente! Perché è lei, lei, che giustifichi. Sempre lei! Allora sai cosa ti dico? Se è vero che sono pazzo, non è accertato ancora ch era furioso; al manicomio, quindi, non ci vado; e rimango qui, a scrivere, a dipingere, a suonare, a fare il diavolo che voglio. E siccome i pazzi sono degli amma­lati, e gli ammalati vanno curati e rispettati, io esigo, almeno in casa mia, il rispetto alla mia follia. E «e tu ti secchi puoi andartene, che qui, io, non ti costringo a rimanere.

Zoe                                - (dal di fuori) E' permesso?

Nicola                           - Avanti, avanti Bernardo!

Bernardo                       - (entrando sorretto da Zoe) La piccala è venuta a prendermi.

Nicola                           - Gliel'ho detto io.

Bernardo                       - Onoratissimo. Che cosa mi comanda il maestro?

Nicola                           - Non chiamarmi maestro, Bernardo! Qual­cuno potrebbe sorridere !

Bernardo                       - Avete sempre voglia di scherzare. (A Zoe che gli ha preso il fucile e l'ha deposto presso la porta) Il fucile? Il fucile?

Zoe                                - Eccolo (e lo indica).

Bernardo                       - Non si sa mai! Una negligenza è possi­bile, e quando un guaio è combinato me lo portano via.

Nicola                           - (ridendo) Caspita! A che prezzo le lasceresti, dunque, quelle due vecchie canne?!

Bernardo                       - Della vita, della vita!

Agnese                          - (entra, va al tavolo centrale e comincia a spolverare i libri e i quadretti).

Nicola                           - (continuando, ad Arico) Hai inteso? Della vita. Eh! La presa al laccio! Uno ha nel sangue una donna e non può liberarsene. Un altro ha...

Arico                             - La pazzia.

Nicola                           - ... sissignore! anche la pazzia! per certe creature meraviglioso dono d'Iddio... Lui ha un vec­chio fucile: nel sangue, nella carne, nel cervello; e non può staccarsene se non a patto di morire: perché è la necessità della sua vita!

Bernardo                       - (prendendogli una mano, commosso) Proprio così; proprio così.

Nicola                           - (dopo aver guardato Arico, come per dirgli: « Senti, se il vecchio mi capisce? », continua) Dun­que, Bernardo, dimmi: nei trent'anni che sei rimasto sulle Alpi quanti camosci hai ucciso?

Bernardo                       - Chi può dirlo! Centinaia. Tre in un sol giorno, una volta, presso il ghiacciaio dell'Antelao.

Nicola                           - L'Antelao?

Bernardo                       - Lo conoscete?

Nicola                           - (come in sogno) Ho un ricordo incancella­bile dell'Antelao. Proprio nel cuore del Cadore! Di pri­mavera fui lassù. La luce rimbalzava in lamine d'ar­gento sul ghiaccio. In due eravamo. Ad un tratto la guida, serrandomi forte il polso, disse: zitto. E si piegò su se stesso. Io, non comprendendo, mi curvai, mi guardai attorno sbigottito; quando, improvviso, mi rag­giunse un fremito d'ali...

Bernardo                       - (con gli occhi luminosi, quasi gridando) Un'aquila!?...

Nicola                           - ... un'aquila, Bernardo, a pochi metri da noi. Bella, maestosa, regale! Nel suo volo dritto passò, s'al­lontanò, disparve nel sole. Ce l'ho ancora negli occhi! (Pausa). Bernardo: hai mai pensato a un'aquila che soffra di vertigini?

 Bernardo                      - Non ci ho pensato mai.

Nicola                           - Io sì; e questo pensiero ha dato le vertigini a me.

Bernardo                       - (cupo e sconsolato) Non me lo perdonerò mai di non aver atteso la morte lassù, sui miei ghiacci...

Nicola                           - (battendogli una mano sulla spalla) Sei un grande cuore, Bernardo!

Bernardo                       - Debole! Debole! Ma solo la pietà per la figlia mi vinse: lo giuro... Rimasta senza madre...

Nicola                           - Ritorneremo a far buona caccia. (Ad Agne­se) Gli hai preparato qualche cosa?

Agnese                          - E' già pronta in cucina.

Bernardo                       - Lor signori si vogliono sempre distur­bare...

Nicola                           - Silenzio là. Dimmi piuttosto: quando po­serai per un ritratto col fucile?

Bernardo                       - Io? Ma salterebbe fuori uno sgorbio.

Nicola                           - Grazie per la fiducia!

Bernardo                       - Oh, non intendevo offendere! (Indicando Zoe) Questa, vedete, è una figliola da pittura! Il fucile, Zoe, il fucile... (In questo momento, dal di fuori, si ode)

Una voce                       - Si può? Si può?

Nicola                           - Chi è? Avanti. (Si apre l'uscio e appare Monica, elegantissima, tutta vestita di bianco, ombrel­lino in mano. Si ferma sulla soglia).

Monica                          - Disturbo? Buongiorno. (Pausa). Il profes­sore siete voi? (E indica Nicola). Ma che fatica per ar­rivare fin qui! Un dedalo di stradicciole; polvere d'accecare; e poi un'afa... Questa stanza è un refrigerio. Non s'avverte la caldura, qui.

Nicola                           - Ma, signora...

Monica                          - Vi spiego subito, professore. Vogliate scu­sarmi questa singolare apparizione; ma sono stanca... molto.

Nicola                           - (indicandole una sedia) Prego.

Monica                          - Grazie, no. Ah, ora che vedo la scena... (Ride) Proprio come nelle vecchie commedie. Ecco una famiglia raccolta nell'intimità con degli amici; ed ecco il personaggio a sorpresa. Chi è? Che cosa viene a fare? Che cosa vorrà? Sono una donna, professore, che avete già conosciuta; vengo per vedervi, e voglio, se me lo permettete, parlarvi. Quindici anni fa, al Liceo di Mo­dena...

Nicola                           - (con slancio, ricordando) Monica!

Monica                          - Monica, tout-court! Bravo professore! Sono contenta che mi abbiate riconosciuta.

Nicola                           - Monica!...

Monica                          - Posso, dunque, stringervi la mano?

Nicola                           - Certo.

Monica                          - Tutt'e due? Così? Come l'ultima volta che ci siamo visti? Il nostro addio; ve ne ricordate? (Poi, indicando Agnese) Vostra moglie?...

Nicola                           - Domando scusa. (Presenta) Agnese, mia moglie; Monica...

Monica                          - (ad Agnese) ...sua amica.

Nicola                           - Monica, e basta?

Monica                          - E' più cameratesco.

Nicola                           - Così sia.

Monica                          - (stringendo la mano ad Arico) Un pa­rente ?

Nicola                           - Arico Suster, possidente; Bernardo, un cac­ciatore di camosci a riposo; la piccola Zoe.

Monica                          - Tutti amici?

Nicola                           - Schietti.

Monica                          - Ah, lasciate che i miei polmoni respirino a pieno! E scusatemi se me la faccio da padrona. L'a­bitudine del comando mi circola sempre nel sangue, come al Liceo. Ve ne ricordate? Nessuno mi poteva sop­portare. Odiosa a tutti per la mia superbia, dicevano, e per la mania di dominio. Odiosa a tutti... tranne a voi.

Nicola                           - Ero l'unico a non ronzarvi d'attorno (e ride).

Monica                          - Eravate l'unico, forse, a volermi un po' di bene.

Nicola                           - Da che cosa l'arguivate? Non ne abbiamo mai parlato di codesto bene.

Monica                          - Dai vostri rispetti in rima.

Nicola                           - E' vero! Ora ricordo! Pensa, Agnese! A sedici anni ho fatto anche dei versi!

Monica                          - E adesso?

Nicola                           - Adesso la poesia ha preso un'altra strada.

Monica                          - Perché vi manca l'ispiratrice?

Nicola                           - Oh! L'ispiratrice la si cerca a vent'anni, quando si crede di avere tante cose da dire e invece si sta sognando il più bel sogno del nostro troppo lungo sonno terreno.

Monica                          - Pure a me avete detto...

Nicola                           - Che cosa?

Monica                          - Che mi amavate.

Nicola                           - Io v'ho detto che vi amavo? E' buffa!

Monica                          - L'avete scritto: « Io t'adoro perfida creatura in cor crudele e nel cervello impura... ». Come dichiarazione non c'era male, no? (Sì dicendo, leva da una piccola borsa un foglietto che mostra a Nicola).

Nicola                           - Quel foglietto nascosto nel dizionario greco il giorno prima che lasciaste la scuola?

Monica                          - Quel foglietto!

Nicola                           - Conservato?

Monica                          - Ho la fissazione che mi debba portar for­tuna. (Pausa, piccola lo prende poiché Monica glielo porge, e lo guarda).

Acnese                          - (dominandosi, improvvisa) Bernardo, se volete venire in cucina...

Bernardo                       - (svegliandosi dal suo stupore) Domando scusa; Zoe, aratami.

Arico ;                           - Un traccio anche a me, qua, così (e si avviano).

Nicola                           - Agnese: tu puoi rimanere, se vuoi.

Agnese                          - Grazie. Ho anch'io i miei ospiti. Con per­messo (ed esce da sinistra seguendo immediatamente gli altri tre, mentre Nicola, dopo averla ascoltata, dà in una scrollata di spalle e si rivolge a Monica).

Monica                          - (dopo un silenzio) Sono stata crudele, im­prudente o villana?

Nicola                           - Lasciate che vi guardi.

Monica                          - Perché ?

Nicola                           - Guardo la mia giovinezza, qui, viva, davanti a me!

Monica                          - Avete già perduto la giovinezza, Nicola!

 

Nicola                           - E voi?

Monica                          - Ho tentato d'essere felice.

Nicola                           - E' stato un atto di coraggio. E ci siete riuscita?

Monica                          - (lo guarda ambigua, sorridendo con ama­rezza).

Nicola                           - Che cosa volete da me, Monica? Che cosa siete venuta a fare? Parlate liberamente. Già mi sento un poco vostro amico, sapete?

Monica                          - (con altro tono: disinvolta) Sono venuta a suggellare un patto d'amicizia ira noi.

Nicola                           - Non capisco.

Monica                          - Sono venuta a porgervi, se volete accettarlo, il mio aiuto.

Nicola                           - Il vostro aiuto?

Monica                          - Vi sembra strano?

Nicola •                         - Mi sembra... di continuare a non compren­dere. Che cosa intendete dire?

Monica                          - (dopo una breve pausa, sedendo) Da un mese abito a 'due chilometri da questa casa: nella fat­toria del vecchio duca austriaco, come usano chiamarlo. Voi passate sotto le mie finestre ogni mattina per la vostra passeggiata. Una volta nel prato a sinistra, siete venuto cinque giorni consecutivi, per dipingere.

Nicola                           - E' vero, è vero!

Monica                          - Ho i tre libri che avete stampato : « L'este­tica nella lirica di San Tommaso », la « Religiosità nell'arte », un manualetto sulla pittura. Del primo non ho capito nulla. Nel secondo ho trovato bagliori, fremiti, entusiasmi. Mai lettura m'aveva dato simili sensazioni. A Bologna ho comperato due vostri quadri: due pae­saggi alpini. Sono nella mia stanza da letto. Mentre li acquistavo un gruppo di artisti s'è fermato ad ammirarli. Uno disse: «Ha un grande ingegno questo mascalzone ». E un altro: «Grande? Ma quello li, vi liquiderà tutti».

Nicola                           - 'Così hanno detto? Veramente? E poi? Dite. Dite (Egli è vinto da una vera gioia infantile).

Monica                          - Sono venuta in questi luoghi per non veder nessuno; per vivere in completa tranquillità. Sapete, già, come sono! M'aveva presa la nausea, lassù. E allora, via; qui; sola! La vostra esistenza di misantropo mi ha incuriosita. Ho ricordato... Mi sono interessata di voi. Ieri mi si richiamava a Vienna. Ho fatto rispondere che sono indisposta. (Oggi vengo a offrirvi tutto il mio aiuto. Ho amici a Vienna che hanno influenza nel campo artistico. Io stessa posso far molto. Accettate? Non avete che da dire una sola parola. Vi dò tutto il tempo che volete per riflettere.

Nicola                           - Perdonate, Monica, ma l'offerta che mi fate...

Monica                          - Ebbene?

Nicola i                         - Sì... Tutto ciò non è chiaro.

Monica                          - Eppure vi ho parlato schiettamente.

Nicola                           - Siete pronta, allora, a rispondere a una mia domanda, altrettanto schiettamente?

Monica                          - Dite.

Nicola                           - In cambio, se io... accetto, che cosa preten­dete da me?

Monica                          - Volete proprio che ve lo dica?

Nicola i                         - Ma sì.

Monica                          - Non vi metterete in allarme?

Nicola                           - Avanti.

Monica                          - Desidererei... (lenta) che diventaste il mio amante.

Nicola                           - Ah! (Pausa).

Monica -                        - Vorreste prima sapere se ho marito ? E degli amanti? Molti? (Ride).

Nicola                           - Rieccovi quella 'di una volta! Rispuntate!

Monica                          - No, no; un momento. Una volta, a quell'età, non avevo amanti. Dimostravo solo buona di­sposizione per l'avvenire. E non ho tradito le promesse.

Nicola                           - Parole!

Monica                          - Il mio linguaggio vi disarma?

Nicola                           - M'irrita. Perché non vi si addice.

Monica                          - Se non mi conoscete!

Nicola                           - (sedendo e scrutandola) Ma dove siete stata tutti questi anni? Che avete fatto?

Monica                          - Mi sono lasciata prendere.

Nicola                           - Ed ora... volete prendere?

Monica                          - La parola è grossa.

Nicola                           - E io sarei la vittima designata? Suvvia, non scherziamo più. Non scherziamo più.

Monica                          - (dopo una pausa, lenta) E allora domando perdono... e addio.

Nicola                           - Ah, no. Siete di quelle che arrivano ad ogni costo dove vogliono arrivare! Vi conosco. Quali complicazioni andate immaginando?

Monica                          - Complicazioni! Ciò che volevo dirvi ve l'ho detto! Se volete, aspetto una risposta.

Nicola                           - Ma come si può rispondere a proposte simili?

Monica                          - Si tratta, dunque, da parte mia, di un errore di forma? piccolo uomo borghese?

Nicola                           - Monica...

Monica                          - Adesso siete voi che non vi «piegate. (Sinuosa) Badate, Nicola; non c'è che una sola canea per cui possiate dire: no. (Lentamente; senza guar­darlo) Che "vostra moglie...

Nicola                           - (secco) Mia moglie in tutto ciò non c'entra.

Monica                          - (breve pausa) Siete un marito perfetto!

Nicola                           - Più: assai più.

Monica                          - Ah! In una parola, la signora Agnese per voi rappresenta...

Nicola                           - ...non rappresenta: ella è la madre del mio bambino morto.

Monica                          - Scusate. Non -sapevo.

Nicola                           - (dopo una pausa) Vedete che avete avuto dei pessimi informatori? Ma ora che conoscete anche questo particolare, ora, sì, dovete dirmi qualche cosa della vostra esistenza. Avete marito? No?

/Monica                         - (scrutandolo) (Crédete davvero che non siamo fatti l'ima per l'altro?

Nicola                           - Chissà!

Monica                          - Mentre vostra moglie...

Nicola                           - Una donna fatta per abbellirmi la casa e tenermi pulito, come Idice lei.

Monica                          - Un fenomeno.

Nicola                           - Raro. Preziosamente raro.

Monica                          - Per l'uomo?

Nicola                           - Naturalmente.

Monica                          - E per l'artista?

Nicola                           - Io non sono un artista.

 Monica                         - Perché avete abbandonato tutto., allora? Perché siete venuto qui?

Nicola                           - Per essere solo. II contatto della folla mi urta. Gente che s'azzuffa e si deruba. Ladri e bruti.

Monica                          - |Non seguite davvero le massime del Van­gelo cui sì spesso vi richiamate nei vostri scritti.

Nicola                           - Che cosa dice il Vangelo?

Monica                          - Ama il prossimo tuo come te stesso.

Nicola                           - Impresa difficile! Io l'odio per quello che è; l'amo per quello che dovrebbe essere,

Monica                          - Poeta,dunque!

Nicola                           - Pazzo, dicono : ma credo che un po' pazzi siamo tutti !

Monica                          - ilo no.

Nicola                           - Perché voi no?

Monica                          - Perché non ho nessun problema spirituale da risolvere; perché credo nella mia buona stella, e perché non conosco l'incertezza del dubbio.

Nicola                           - Fortunata voi! A me, invece, è proprio il dubbio che mi fa vedere tutta la miseria delle mie pre­sunzioni e mi stronca. Anche davanti a una verità, anche davanti ad un miracolo, un assordante fuoco di fila di «perché » che non mi lascia in pace. Perché ? Perché ? Ah, la vita è bella solo quando si crede!

Monica                          - (breve pausa) E voi, alla vostra età, non credete più? (Nicola si stringe nelle spalle). E' triste. (Pausa). (E quella Zoe che cosa è?

Nicola                           - La chiamo romanticamente: mia Fenice.

Monica                          - La conoscete da molto tempo?

Nicola                           - Da un anno. (Animandosi a poco a poco) Un giorno di giugno stavo seduto sulla riva del tor­rente qui presso. Era il tramonto; e guardavo il disco infiammato scendere all'orizzonte. Ad un tratto una bimba sbucò non so di dove e si mise a correre lungo l'argine, dritta, lanciata contro il sole. Spinto da non so quale forza, con 'gli occhi chiusi perché la visione non mi sfuggisse, mi misi a correre anch'io gridando: piccola, piccola, piccola! La fanciulla deve aver udito la /mia voce se subito s'è voltata e m'è venuta incontro. Riaperti gli occhi me la son vista...

Zoe                                - (entrando) Mi avete chiamata?

(Nicola                          - (come se rivivesse la scena all’improvvisa apparizione)...così, come ora; con codesta faccia sbigottita. L'ho presa per un braccio così, te ne ricordi, di'?

Zoe                                - (sbigottita) Sì, sì

Nicola                           - ...me la son tirata d'appresso e: come ti chiami, piccola?

Zoe                                - (tremando) Zoe.

Nicola                           - Da dove vieni?

Zoe                                - Dalla cucina.

Nicola                           - (lasciandola, irato) Sei una sciocca! Vat­tene.

Zoe                                - Non capisco.

Nicola                           - E allora vattene, vattene! - (Zoe esce).

Monica                          - (scoppiando in una grande risata) Siete davvero singolare!

Nicola                           - Non posso tollerare gli sciocchi    - (e cam­mina nervosissimo).

Monica                          - Ma non potete neanche pretendere che quella povera contadina, per assecondare le vostre osalgaèliche, ricordi e rifaccia, così, all'improvviso, «ena del vostro primo incontro! E' stata vostra nella piccola?

Nicola                           - Cosa dite?

Monica                          - E' una domanda che non dovevo faro?

Nicola                           - ...Una bimba! (E poiché Monica continua a guardarlo) Ma che cosa pensate?

Monica                          - Che mi piacete... moltissimo...

Nicola                           - (che non si aspettava una risposta simile) E poi?

Monica                          - Molte altre cose, ma ve le dirò col tempo,

Nicola                           - Avete, dunque, dei progetti?

Monica                          - Uno solo. Rimanervi vicina. Se qui o altrove, scegliete.

Nicola                           - Ma sì. Questo vostro spavaldo ardire m'incuriosisce.

Monica                          - Una sfida?

Nicola                           - No. Una proposta.

Monica                          - Accettata.

Nicola                           - Badate che l'impresa è difficile.

Monica                          - Da parte mia?

Nicola                           - Naturalmente.

Monica >                       - Si tratterebbe?

Nicola                           - Di sedurmi. Poiché il vostro scopo non è quello di aiutare e di lanciare l'artista, ma di avere l'artista: eccomi qui: seducetemi.

Monica                          - Solo questo, volete?

Nicola                           - Non gridate vittoria avanti tempo.

Monica                          - Patto fatto?

Nicola                           - Mi piace quest'audacia.

Monica                          - Mi conosco. (Tendendogli le mani che Ni­cola le stringe) Patto fatto?

Nicola                           - Fatto.

Monica                          - E il campo di battaglia?

Nicola                           - Qui... la vostra fattoria...

Monica                          - E si comincia?

Nicola                           - Anche subito, se volete.

•Monica                        - Allora fra un'ora inizio le ostilità?

Nicola                           - Fra un'ora.

Monica                          - Arrivederci e buona fortuna, povero ne-co delle donne!

Nicola                           - Arrivederci e buona fortuna, nemica del­l'amore... Vi accompagno fino al cancello. (Escono. Non appena sono scomparsi si vede la faccia di Zoe spun-tare al di là della grande finestra a vetri. Evidentemente la piccola stava spiando).

Agnese                          - (che subito, tremante, è apparsa sulla soglia di sinistra e ha visto Zoe) Zoe, Zoe, Zoe...

Zoe                                - (premurosa entrando) Signora Agnese...

Agnese                          - (come risvegliandosi, dura) Che vuoi? Che vuoi?

Zoe                                - E' la prima volta che mi chiamate per nome... Sono tanto contenta! (Alza gli occhi come in atto di ringraziamento; e, mentre Agnese ricade a sedere fa­cendo cenno alla piccola di non avvicinarlesi, cala la tela). .

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena.

(Monica, seduta presso U pianoforte con una sciarpa attorno al collo e le gambe a cavalcioni, fuma una sigaretta. Nicola, in piedi sul palchetto, dà qualche tocco alla tela. Krauss, monocolo, un fiore all’occhiello, ghette bianche, cappello e bastone in mano, lo ascolta).

Nicola                           - No, signore: la verità è un'altra. L'arte è una cosa seria. Riferite dunque, a quel mercante, che non dipingo a cottimo. Io dipingo, o scrivo, quando l'estro me lo impone, e non imbriglio la mia fantasia a questa piuttosto che a quella scuola e, tanto meno, al gusto del pubblico; anche se mi vengono offerte somme favolose. Perciò: rifiuto.

Krauss i                         - Rifiutate?

Nicola                           - Rifiuto.

Krauss                           - Non c'è che dire. Mi avete dato una le­zione.

Nicola                           - Scusate, ma era proprio nelle mie inten­zioni.

Krauss                           - Una lezione artistica...

Nicola                           - ...e di vita.

Krauss                           - Non direi. Intender la vita vuol dire essere pratici.

Nicola                           - Per voi.

Krauss                           - Volete dire che siete un'eccezione?

Nicola                           - Se l'umanità avesse inteso il reale valore della vita, avrebbe risolto il problema del dare e dell'avere fra spirito e materia.

Krauss                           - ((interrompendolo) Io non m'intendo di queste cose, signore. Vi siete divertito a punzecchiarmi e avete avuto torto. In fondo io non sono che un semplice messaggero...

Nicola                           - Perciò non vi ho trattato malamente quando mi avete proposto l'affare.

Krauss                           - (ridendo) Vi ringrazio della particolare attenzione.

Nicola                           - - Ed io vi prego di scusarmi se talvolta, nell'espressione, sono stato un po' acerbo. Ma perché pos­siate meglio giustificare e perdonare il mio contegno una cosa voglio dirvi. (Ripone il pennello e gli si avvi­cina: lentamente) Prego.

Monica                          - ((lasciando la posa) Grazie.

Nicola                           - Un giorno chiesi ad un amico il suo pen­siero sul rapporto fra l'arte e l'artista. Rispose con una frase abusata ma esatta: «L'arte sta all'artista come la madre al suo bambino ».

Krauss                           - Ebbene?

Nicola                           - Ebbene: io ho pensato, allora, con tristezza a tutti i bambini che nascono morti. E' così, signore (e accenna ai quadri; ai libri): Bimbi morti appena vista la luce. Forme fuggevoli d'arte composte da parvenze d'uomini (e indica se stesso). Se voi voleste.-

Krauss                           - (interrompendolo) Siete troppo triste, signore. Ed io ho fatto già troppo tardi.

Nicola                           - (seccato per l’interruzione) Allora addio. Ma se avrete occasione di passare da queste parti non entrate più.

Krauss                           - Neanche per porgervi i miei omaggi, di ammiratore?

Nicola                           - Se proprio ci tenete, fermatevi sulla soglia, levatevi il cappello, e gettate un fiore. Così (toglie il fiore dall'occhiello della giacca di Krauss e lo getta). Sarà il più .bell'omaggio.

Krauss                           - Siete singolare! Come si trattasse di un morto ? !

Nicola                           - L'avete detto. Un morto. Immaginate che questo sia un sepolcro e che sulla lastra stia scritto: « Sofferse per amare e amò per soffrire. Per se stesso fu tutto e nulla; per gli uomini una cosa inutile; per le donne una delusione ». Addio. (A Monica) Interrom­piamo per un momento. Forse sono un poco stanco. (Ritorna ad ammirare il suo quadro senza più occu­parsi di Krauss che si inchina a lui, a Monica ed esce).

Monica                          - (dopo una pausa attacca al pianoforte la « Polacca » di Chopin. Nicola siede. Ascolta. Dopo qualche battuta ella s'arresta) Avete rifiutato una scrittura di cinquecento lire al giorno. Si può sapere che cosa volete?

Nicola                           - Niente.

Monica                          - No!

Nicola                           - Niente!

Monica                          - 0 troppo. Uno che non chiede mai nulla dà l'impressione di esigere tutto.

Nicola                           - Io no.

Monica                          - Voi... Voi giocate con le parole e con i sen­timenti, 'con l'idea di irretirmi, 'di piegarmi a non so quale capriccio.

Nicola                           - Chi ve l'ha detto?

Monica                          - Il vostro atteggiamento! Ed invece in ogni parola, in ogni gesto, si scorge il coraggio di uno che rilancia senza aver il gioco nelle carte, per intimidire l'avversario; ma in verità la mano trema e l'occhio chiede al giocatore che sta di fronte di non essere spietato.

Nicola                           - Vi sembra che io stia per perdere?

Monica                          - E' possibile!

Nicola                           - Voi, intanto, state per perdere la calma.

Monica                          - Mi divertite!

Nicola                           - Anche me diverte questa piccola schermaglia ! (Pausa). Perché avete fatto venire qui quel mercante di pitture dozzinali? Non ditemi che siete stato voi a ingaggiarlo!

Monica                          - Credevo di rendervi un servizio.

Nicola                           - Avete armi da fanciulli per combattere con me!

Monica                          - Può darsi che le mie spade di latta si spun­tino contro di voi, ma una piccola scalfittura rimane ad ogni puntata.

Nicola                           - Illusa.

Monica                          - Perché ? Credete di essere invincibile?

Nicola                           - Chissà!

Monica                          - Chissà... Chissà... ma, intanto, un desi­derio più acuto, una smania di sapere chi sono, che cosa voglio, che cosa c'è in me, vi ha preso; e non vi lascia. E io mi diverto a vedervi lì, insofferente, pronto sempre a scrutarmi, a studiarmi, e incapace d'in­dovinare.

Nicola                           - (con calma) Ma io so già chi siete, che cosa siete.

 Monica                         - Sentiamo.

Nicola                           - Prima di tutto siete bella...

Monica                          - No, questo non è vero.

Nicola                           - ...siete bella e come ogni bellezza volete conservare il vostro segreto.

Monica                          - Un segreto che non vi dà pace?

Nicola                           - Che adoro!

Monica                          - Volete che parli? Che dica?...

Nicola                           - No. Prima di tutto non mi direste la verità. E poi è sempre pericoloso rompere gli incanti.

Monica                          - (seccata suo malgrado) Non vivete mai della realtà, voi.

Nicola                           - Vivo delle verità che mi costruisco.

Monica                          - Ma vi sono pure gli altri.

Nicola                           - E che gli altri si creino le loro verità... come tentate di far voi da quindici giorni, senza tut­tavia riuscirvi...

Monica                          - Io?... Io?... (Non sapendo cosa dire, scop­pia a ridere).

Nicola                           - Debbo francamente dirvi ciò che penso?

Monica                          - Dite.

Nicola                           - Nella vana ricerca di costruirvi ed apparirmi d'attimo in attimo diversa da quella che realmente siete, balzate fuori nettamente viva: voi.

Monica                          - (ridendo) Questa è buffa! E come sono? Cosa sono?

Nicola                           - Un'anima semplice. Non so ancora bene per quali ragioni, una febbre improvvisa vi ha invaso e ancora vi possiede. Avevate bisogno di un bersaglio da colpire. Siete venuta qui e avete scelto me. Colpite pure! Quando non avrete più munizioni, cioè false vibrazioni, ve ne andrete, semplicemente, come siete venuta.

Monica                          - Chissà!

Nicola                           - (dopo una pausa) Sono scontento del mio lavoro oggi. Volete che riprendiamo il primo ritratto?

Monica                          - Non sono vestita.

Nicola                           - Vestitevi. Mi sento in vena. Il primo è degno di un ultimo tentativo.

Monica                          - Ho l'abito sopra.

Nicola                           - Ve lo mando a prendere, o vado io.

Monica                          - Grazie, salgo io. (Pausa). Ma è seccante, qui...

Nicola                           - Perché ? In questo momento siete la mo­della che muta d'abito in casa del ritrattista. E poi non è la prima volta.

Monica                          - Come volete (e s'avvia alla seconda porta di sinistra proprio nel momento in cui sulla prima porta, sempre di sinistra, appare Arico. I due si guar­dano. Monica scompare. Un silenzio).

Nicola                           - (che si accorge solo ora della sua presenza; allegro) Come va, tutore?!

Arico                             - E' salita!?

Nicola                           - E’ salita.

Arico                             - Per mutarsi d'abito?

Nicola                           - Cos'hai da dirmi?

Arico                             - Molte cose.

Nicola                           - Inutili?

Arico                             - Decisive.

Nicola                           - Una predica! Dovevo aspettarmela! Da dieci giorni mi giri d'attorno senza osare...

Aureo                            - Per pudore suo, mio e anche tuo.

Nicola                           - Ti ringrazio del pensiero. Ma ti avverto che non ho tempo da perdere.

Arico                             - Sei in vena?

Nicola                           - Sono in vena.

Arico                             - Di combinare altre sciocchezze?

Nicola                           - (annoiato) Arico!... Quando assumi il tono del pedagogo mi diventi cordialmente antipatico.

Arico                             - Vuoi che la finiamo allora?

Nicola                           - Iddio volesse!

Arico                             - Ascolta, Nicola, quella donna deve andarsene: al più presto.

Nicola                           - E poi?

Arico                             - E poi... devi tornare a tua moglie. Io... scom­parirò...

Nicola                           - Soddisfatto di aver ricondotto all'ovile la pecorella smarrita e di aver...

Arico                             - (con forza battendo un pugno sul tavolo) Hai torto di scherzare.

Nicola                           - (ridendo) E tu hai torto di prendere sul serio certe malinconie. Ma non hai proprio altro da fare che occuparti dei fatti miei? Diciamoci addio, Arico; così, da buoni amici. Ma perché ti sei buttato come un peso morto nella mia vita? Ma credi proprio che la vita sia stata generosa con me? Una tiranna, è stata. E tu mi rimproveri quella donna che mi è venuta incontro come un'ora di serenità anche se non la desidero, anche se il suo corpo lascia freddi i miei sensi! Ma credi tu che io l'accolga nella mia casa per farne la mia amante? Ah; evidentemente, carissimo, non hai una rispettabile opi­nione del tuo amico.

Arico                             - Tu scherzi sempre, Nicola; e a sproposito stavolta...

Nicola                           - Ma no.

Arico                             - Scherzi e hai torto: perché non so che cosa faresti domani se tua moglie venisse a dirti : « Sta bene. Quella donna non è, forse non sarà mai la tua amante; ma dal momento che ti è necessaria, io me ne vado: con Arico ». Vedi che cambi subito d'umore?

Nicola                           - (dopo un breve silenzio, scrutandolo) Vado accorgendomi che sei di troppo in casa mia. Non perché dubiti di Agnese, no. Ma perché hai il linguaggio ta­gliente e perfido.

Arico                             - Mi temi, dunque!

Nicola                           - (Se rimani temo che tu finisca per mettere la ' zizzania qui /dentro.

Arico                             - E allora, prima che ti porti via tua moglie, deciditi a cacciare quell'altra. Bada: la natura m'ha fatto male, ma m'ha dato un cuore. Io l'amo tua moglie; non l'ho nascosto mai; né a te né a lei. Ella ha per me una pietà sconfinata. E tu sai che la pietà vince talvolta, nel confronto, anche l'amore. Potrei forse trionfare. Ora ti dico: ella è tua; tua più che mai... (Lento sinuoso, ma con dolore) Ma la frenesia con cui in questi giorni sei       - (ritornato a lei; questo improvviso risveglio... d'amore per lei, non lo comprende... la fa smarrire... sgomentare... le dà un senso di... schifo.

Nicola                           - (che ha sbarrato tanto adocchi, prendendolo di petto) ...Arico.

Arico                             - (rifacendo Agnese) M'ha detto : « Tutto preso com'è da quella donna è tornato a me, capite; per celarmi il palese inganno. Che orrore! Che orrore!». Così m'ha detto; ed è, per Dio, un orrore di -cui non ti credevo capace!

Nicola i                         - Ti ha detto questo!?

Arico                             - Non ne poteva più. (S'è liberata.

Nicola                           - Ma come le è stato possibile immaginare... mentre io...

Arico                             - L'insulto ha temuto...

Nicola                           - Osi pensare ancora che sia vero?

Arico                             - Non solo io purtroppo.

Nicola                           - E' una pazza gelosia che ti dà alla testa!

Arico                             - Geloso, sì: geloso. Ma non di te. Geloso di quel demonio; anch'io come tua moglie. (Allude ad Agnese con disperazione). E non posso placare la sua angoscia, non te la posso rubare. (Supplichevole) Torna a lei.

Nicola                           - (a voce alta, sulla soglia, dopo aver aperto l'uscio verso Vesterno) Signora: avete impiegato trop­po tempo a vestirvi.

La voce di Monica        - Sono pronta.

Nicola                           - E’ inutile. L'estro se n'è andato. Rivesti­tevi.

La voce di Monica        - Siete matto ?

Nicola                           - Scusatemi   - (e richiude la porta. Ad Arico) Dov'è Agnese?

Arico                             - In cucina.

Nicola                           - Sa che tu hai parlato con me?

Arico                             - Non lo sospetta.

Nicola                           - Bada che dopo un definitivo colloquio tu non potrai mettere più piede in casa mia.

Arico                             - Ma...

Nicola                           - Nè ma, ne se...

Arico                             - Debbo chiamarla? (In questo momento si bussa alla porta di destra).

Nicola                           - Aspetta. Chi è? Avanti. (Entrano un signore giovane ed un signore vecchio: elegantissimi; in grigio Pur non essendo equipaggiati da automobilisti s'indo-vina che hanno fatto un lungo viaggio in macchina. Parlano italiano con accento lievemente tedesco).

Il Signore giovane         - E' questa l'abitazione del pro­fessor Nicola...

Nicola                           - ili professore sono io.

Il Signore giovane         - (presentando il signore vecchio) Il duca Stuelik...

Nicola                           - (ha un moto subito represso).

Il Signore giovine         - ...di Vienna, lo, il conte Mailoff di Odessa.

Nicola                           - ...Prego, accomodatevi... (Ad Arico) Vattene. E non una parola. (Arico esce). Prego accomodatevi...

Il Signore giovane         - Grazie (e rimangono in piedi. Quindi dopo un breve silenzio). Quando ho pronunciato il nome del duca avete avuto un moto di sorpresa. Credo di averlo esattamente interpretato.

Nicola                           - Non capisco...

Il Signore vecchio         - Capirete. (Al signore giovane) Parlate voi, amico mio. Mi sento affaticato.

Il Signore giovane i       - Come volete. (Una pausa). La duchessa Monica è qui?

Nicola                           - E' qui.

Il Signore giovane         - 'Dovete scusarci se abbiamo avuto l'ardire di venirvi ad importunare. Alla fattoria ci dissero, infatti, che la duchessa era da voi... per un ritratto in costume. (Guarda la tela) Esattissimo; e bel­lissimo. (Anche il signore vecchio si avvicina e ammira compiaciuto il dipinto). Il duca ha pensato 'di non mandare a chiamare la duchessa ma di venire egli stesso, desideroso com'è di riabbracciarla, e curioso di ammi­rare l'opera d'arte.

Il Signore vecchio         - La quale è stupenda.

Nicola                           - (si inchina) ...La duchessa è in quella stanza; sta mutandosi d'abito... Doveva posare... Se vogliono...

Il Signore giovane         - Prego. Verrà. (Un silenzio im­pacciato). Vedete, duca, come sono i sacrari di questi grandi maestri? Quattro mura, un paio di cavalietti...

Il Signore vecchio         - (ridendo) ...e dell'ingegno. Quello solo conta. E voi, amico mio, pessimo dilettante di musica, non ne avete. (In questo momento si ode la voce di Monica).

Monica                          - Eccomi!

Il Signore giovane         - Eccola.

Il Signore vecchio         - Mettiamoci qui (accenna la grande tela). Voglio farle una sorpresa. (A Nicola) Per­mettete? (e con il signore giovane si cela dietro il dipinto).

Monica                          - (entra avvolgendosi la sciarpa intorno al collo) Che cosa vi ha preso? Ah! questi capricci proprio non li comprendo!... Che faccia avete! Fatevi un po' vedere. Che cosa è accaduto?... Parlate.

Il Signore vecchio         - (comparendo) Sono accaduto io.

Monica                          - (con un piccolo grido, subito soffocato) Voi!

Il Signore vecchio         - Siete contenta di vedermi? Non correte ad abbracciarmi, mia piccola gattina?

Monica                          - (fremente) Ma io non vi conosco. Chi siete? Che cosa volete da me?

Il Signore vecchio         - Non mi conoscete? (Ride).

Il Signore giovane         - Quest'è carina. (Ride).

Monica                          - Non vi conosco. Non vi conosco! (A Ni­cola) Mandateli via subito; che non li veda più (e si abbandona su di una poltrona con la testa fra le braccia, posata sul tavolo).

Il Signore vecchio         - Mailoff! Ella non è guarita! Uno dei soliti attacchi.

Il Signore giovane         - (avvicinandosi a Monica) Una emozione troppo violenta, duca. Forse abbiamo fatto male, così improvvisamente...

Nicola                           - Io credo che facciamo male, signori, a rima­nere in questo equivoco.

Il Signore giovane         - Equivoco?

Nicola                           - La signora afferma di non conoscervi.

Il Signore vecchio         - (agitandosi) Essa è in errore!

Il Signore giovane         - (alludendo a Monica) Il suo stesso eccitamento...

Il Signore vecchio         - ...è una chiara dimostrazione che ci conosce.

Il Signore giovane         - Davvero, duchessa, io non com­prendo...

Monica                          - (balzando in piedi; ferita) Ah, proprio voi, voi! E' stata vostra l'idea di venirmi a tormentare anche qui, a farmi impazzire! Ve l'ho scritto, riscritto. Non azzardatevi; potrei commettere una follia! Avete voluto vedermi lo stesso. E sia. Lo amo... lo amo... (allude a Nicola).

Il Signore vecchio         - (con forza) Monica!

Nicola                           - Signora!

Monica                          - ...lo amo. Vi basta? Vi basta? Ora potete andarvene; non chiedo, non voglio nulla, nulla...

Nicola                           - Signora, calmatevi.

Il Signore giovane         - Ecco. Il maestro dice esatta­mente: calmatevi. Con la calma si riesce a tutto; anche a comprenderci.

Nicola                           - Perdonate, ma credo che voi signori dob­biate una spiegazione.

Monica                          - (si sarà accostata, frattanto, alla tavola ed ora è lì tutta vibrante, con lo sguardo smarrito, e le mani che smaniano).

Il Signore vecchio         - (furente) A voi?

Il Signore giovane         - (seccatissimo) Ci siamo presen­tati prima, e non vedo...

Il Signore vecchio         - (secco) Lo scopo della visita, amico mio. Parlate voi (e cammina nervosamente).

Il Signore giovane         - Come volete. (Un breve silen­zio). Con tutte le vostre stranezze d'artista e, soprattutto, con la vostra vicinanza, voi, egregio professore, stale turbando il cervello della duchessa.

Nicola                           - Io?

Monica                          - (fra i denti) State zitti...

Il Signore giovane         - La duchessa, di una sensibilità acuta ma fragile, è sofferente.

Monica                          - (c. s.) State zitti...

Il Signore giovane         - E' assente da Vienna da qualche mese. II duca, suo marito, è venuto a prenderla.

Monica                          - (scattando) State zitto, state zitto! (Con una smorfia amara, forzando il riso) Mio marito! Mio marito è venuto a riprendermi! Avete inteso? Vuol con­durmi con sé perché teme della mia salute e perché ha paura... di essere tradito! E non sa, non sospetta nemmeno...

Il Signore vecchio         - (con forza) V'impongo di tacere.

Monica                          - ...di essere venuto a riprendermi con uno dei miei amanti!

Il Signore giovane         - (sobbalzando; al duca) Non è vero. Io vi prego, duca...

Monica                          - ...di crederci, di crederci!

Il Signore vecchio         - |E' una furia scatenata; fatela tacere (e si abbandona su una sedia).

Monica                          - Perché ? Perché ? Non è meglio che sappia tutto anche tu? Non hai avuto altra colpa che quella di volermi sposare. Sei sempre stato gentile con me, e premuroso, e buono.' Ma non potevi essere che un com­pagno di passeggio e di chiacchiere. Ed io giovane, ardente...

Il Signore vecchio         - Non dovevate accondiscendere al mercato!

Monica                          - Mercato. Sì: giusto. Per salvare mio padre dalla rovina. Ma voi lo sapevate che non vi amavo!

Il Signore vecchio         - Non è detto per questo che dovevate tradirmi.

Monica                          - Bisognava evitare, allora, di farmi vivere nel vostro inferno. (Come a se stessa) Tutta una contami­nazione!       - (Staccato; con forza) Bestie siamo, bestie! La frenesia del sudiciume si attacca addosso come il vischio. (A Nicola) Intendi, ora? Intendi finalmente che cosa sono io? ((Cambiando tono, al signore giovane, con fermezza) ET per causa tua. Tua! Un giorno il cuore in tempesta mi si era placato. I nervi rilassati m'avevano concesso un benessere sconosciuto. (A Nicola) Con lui      - (e indica il signore giovane al quale ora si rivolge)... con te, mi si era annunciata una luminosa salvezza. Il miracolo! (A Nicola e al signore vecchio) Madre! Madre! Una creaturina mia! Tutto un mondo nuovo che si spalanca davanti. La vita! (Cupa, angosciata) Ma no!... Il marito è vecchio e scoppierebbe lo scandalo. E allora? Scap­pare? Non vogliono, non me lo permettono. Lotto a sangue, per difendere il mio sangue! (Accennando il signore vecchio) Lui è assente da mesi. M'inchiodano su di un letto. Con la complicità di un chirurgo stra­ziano queste mie povere carni, mi dilaniano l'anima... (Al signore giovane) Strappata, me l'avete, strappata! (E i singulti le soffocano le parole: ella cade sul divano) Assassini...

Il Signore vecchio         - (dopo una lunghissima pausa si alza e le sì avvicina con voce pacata e commossa) Io sapevo ciò, /Monica. Ma a quale scopo parlare? Pen­savo: meglio abbia per me della pietà che dello schifo, poiché io vi avrei cacciata. Dalle vostre lettere avevo ben capito che qui avevate trovato l'amore, l'amore vero. E per la prima volta! In un primo tempo, quando... lui (e indica il signore giovane) propose di venirvi a ri­prendere, rifiutai. Pensavo: Poco tempo ancora mi sepa­ra dalla tomba. E' inumano strappare una creatura giovane al suo destino! Il conte insistè. Allora, sulla soglia della morte, m'ha preso un indicibile desiderio di vedere il vero sorriso dell'amore. Ecco perché sono venuto. E questo sorriso, anche nella disperazione che v'annienta, io l'ho visto, Monica! E sono contento! Non vi dico nulla. Decidete voi; fate ciò che il cuore vi detta e, in ogni modo, perdonatemi.

Monica                          - (a Nicola, alzando la testa; in un soffio) Dei passi. Che nessuno entri, vi supplico. (Nicola, come risvegliandosi, sta un attimo indeciso poi esce).

Il Signore giovane         - (mutando improvvisamente aspetto e tonalità di voce: con chiarezza di linguaggio ita­liano) Benissimo! Meravigliosa!

Il Signore vecchio         - (come il signore giovane) Spero che sarete contenta di me.

Il Signore giovane         - Avete avuto degli accenti da grande attrice!

Il Signore vecchio         - E quell'aggiunta che avete fatto !

Il Signore giovane         - Quella del bambino?...

Il Sicnore vecchio         - ...a nostra insaputa!

Il Signore giovane         - Non abituato a recitare a sog­getto, quasi mi perdevo.

Il Signore vecchio         - E' stata davvero un'idea genialissima.

Il Signore giovane         - (rifacendola) « M'inchiodano in un letto, con la complicità di un chirurgo mi stra­ziano »...

Monica                          - (balzando in piedi) Tacete, tacete; e anda­tevene.

 Il Signore giovane e il Signore vecchio        - (sorpresissimi) Signora!

Monica                          - (come trasfigurata) Non ho inventato nulla. Andatevene.

Il Signore vecchio         - Ma che dice!?...

Monica                          - (statuaria: con le mani nei capelli, in un soffio) Era la verità... Andatevene, andatevene...

Il Signore giovane         - E... va bene. i(Pausa). Ma... e il nostro... onorario... Siamo comici disoccupati.

Monica                          - (con gli occhi fissi nel vuoto; come un automa) Ci vedremo, come v'ho detto... Ora anda­tevene; lasciatemi sola. (/ due escono. Un breve silenzio; poi, mentre sulla soglia appare Nicola, ella mormora) Tutto vero, tutto vero...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Un angolo esterno della fattoria, con visibile L’ultima parte della grande finestra a vetri. Una bassa folta siepe in fondo, con un piccolo varco al centro, delimita l'area di una raccolta aia. Più oltre un filare di alberi, più oltre la campagna, più oltre la montagna. Pomeriggio inoltrato.

Nicola                           - (seduto presso la siepe di fondo a sinistra, sta disegnando su un taccuino. Il ragazzo è al centro della scena, seduto a terra, con le gambe incrociate. Si tratta di un pezzente, ma dai lineamenti fini e dal par­lare elegante. Giunge di lontano un canto di contadine) Puoi anche parlare se ti fa piacere.

Il Ragazzo                     - Grazie. Riesce?

Nicola                           - Che cosa?

Il Ragazzo                     - Il disegno... il bozzetto...

Nicola                           - Riesce.

Il Ragazzo                     - Meglio di ieri?

Nicola                           - Meglio        - (e, alzandosi, strappa la carta e la getta via).

Il Racazzo                     - (dopo una pausa) Sei sempre così nervoso ?

Nicola                           - (avvicinandoglisi e mettendogli una mano sotto il mento per potere meglio considerarlo) Quanti anni hai?

Il Ragazzo                     - Pochi.

Nicola                           - Anch'io ho avuto vent'anni.

Il Racazzo                     - Eh, capisco.

Nicola                           - (allontanandosi) No.

Il Ragazzo                     - Ti ho detto che capisco.

Nicola                           - Con questa sfacciata sicurezza non sembri davvero figlio di queste terre! Dove sei nato!?

Il Ragazzo                     - Chi lo sa! Sono nato: ecco l'importante: il resto non interessa.

Nicola                           - Ah! Se la pensi così!

Il Ragazzo                     - No. Non penso.

Nicola                           - Per vivere dovrai pur fare un mestiere!

Il Ragazzo                     - Ah no. Io non ho mai lavorato.

Nicola                           - E come campi, allora?

Il Ragazzo                     - Domando alloggio e vitto; racconto una storia che mi capita in mente lì per lì; suono; diverto insomma. E passo. Ecco.

Nicola                           - E poi?

Il Ragazzo                     - Me ne vado per qualche viottolo di campagna e suono il mio oboe |(e sì dicendo estrae lo strumento da una tasca interna della giacca).

Nicola                           - (dopo una pausa) Tu non hai mai lavorato...

Il Ragazzo                     - Ho molto sognato; e sogno.

Nicola                           - E' un gran bel mestiere.

Il Ragazzo                     - Più difficile di quanto tu supponga.

Nicola                           - Lo so. A me hanno proibito di sognare!

Il Ragazzo                     - Sono scappato di casa per essere libero. A quindici anni. E i miei erano ricchi, sai! Mi credono morto. Ho altri fratelli. Mio padre e mia madre pos­sono consolarsi. Ma dimmi: chi t'ha proibito di sognare?

Nicola                           - Le donne.

Il Ragazzo                     - Oh, brutto affare, quelle! Io non le conosco, ma la loro vicinanza m'ispira particolare avver­sione. Talvolta le colgo a volo per qualche strada soli­taria. E allora... tu mi capisci. Ma poi: via! E chi s'è visto, s'è visto!

Nicola                           - C'è dell'istinto in te: dovevi lavorare.

Il Ragazzo                     - ^ Perché ?

Nicola                           - Per creare.

Il Ragazzo                     - E' stato creato il mondo. Non basta? (Si « udito frattanto un tintinnio di sonagliere. Un cavallo avanza e si arresta poco lontano dalla fattoria. Nicola, inquieto, non ha inteso le ultime parole del ragazzo e si porta verso il fondo a sinistra chiamando Bernardo. Questi appare subito e, senza rispondere attraversa la scena, scompare da destra. Il cavallo si rimette in moto, si allontana. Poco prima che Bernardo riappaia, Nicola lo raggiunge e ritorna con due lettere, seguito dal vecchio. Una lunga pausa).

Nicola                           - (dopo aver rigirato fra le mani le lettere le consegna a Bernardo) Apri e leggi.

Bernardo                       - Io?

Nicola                           - In ordine di data.

Bernardo                       - Questa è dell'altro ieri.

Nicola                           - Avanti.

Bernardo                       - (al ragazzo) Te ne ,vuoi andare sì o no?

Il Ragazzo                     - Ma sì. La solita storia! (Esce annoiato).

Bernardo                       - (leggendo) « No so quante lettere ti ho scritto. A che scopo fartele giungere? Le ho distrutte. E' una settimana che non ti sono più vicina. Per gli zii è stato un dolore. Non pensiamoci. Soprattutto : non pen­siamoci. Agnese »,

Nicola                           - Nient'altro?

Bernardo                       - Nient'altro.

Nicola                           - L'altra.

Bernardo                       - (leggendo) « Perché , perché ti ricordo sempre, Nicola? Perché ti ho già perdonato? Agnese ».

Nicola                           - (prende i foglietti fra le mani, li considera lungamente, si abbandona su una sedia).

Bernardo                       - Partite davvero?

Nicola                           - Se ti ho detto di preparare il bagaglio!

Bernardo                       - Domani?

Nicola                           - Questa sera se mi è possibile. (Alzandosi) Ah, via, via, via.

 Bernardo                      - Andate a Reggio? A riprendere la si­gnora?

Nicola                           - Me ne vado. Ti lascio qui, custode, padrone. Non ti basta?

Bernardo                       - (prorompendo suo malgrado) Partite con quell'altra !

Nicola                           - Parto con chi voglio. (Dopo una pausa, più calmo, gli si avvicina, e quasi pentito del gesto violento, mettendogli una mano sulla spalla) Del resto se debba ritornare o no non dipende da me. Fra un'ora tutto sarà deciso. Sua madre mi ha chiesto un colloquio.

Bernardo                       - Sua madre?

Nicola                           - Sì. (A Zoe che entra di corsa) Ebbene?

Zoe                                - Viene subito.

Nicola                           - (a Bernardo) Senti? Un'ora forse è anche di troppo. (A Zoe) Tornatene a casa. (A Bernardo) Mi vuoi lasciare? (A Zoe) Accompagnalo tu. (Il vecchio e la piccola escono) Grazie.

La Madre                      - (apparendo da destra, vestita di nero, avanza lentamente) Vi ringrazio, professore, di avermi ricevuta; e vi prego di scusare...

Nicola                           - Nessun ringraziamento, signora, e nessuna scusa, solo temevo...

La Madre                      - (con ansietà) Avete ragione, dunque, di poter temere...

Nicola                           - Nulla. Gli è che...

La Madre                      - Che? Non abbiate reticenze.

Nicola                           - Sedete, prego.

La Madre                      - (sedendosi) Grazie. Sono arrivata sta­mattina e già sento mancarmi le forze.

Nicola                           - Bisogna che ritroviate tutta la vostra calma.

La Madre                      - Ho creduto dapprima ad una disgrazia. Che so: un ribaltamento d'auto, un accidente di caccia, una malattia... Il telegramma diceva: «Vieni subito. Ti aspetto. Monica ». Sono accorsa. Che fu? Che avvenne? Voi sapete. Ditemi.

Nicola                           - Prima di parlare, signora, vorrei chiedervi...

La Madre                      - M'interrogate?

Nicola                           - Capirete: la questione è delicata.

La Madre                      - Si tratta di mia figlia; la questione dev'essere chiara.

Nicola                           - Non intendevo, signora, di schivare la vo­stra domanda. Navigo anch'io nel buio.

La Madre                      - Esponete i fatti; come sono. Tenteremo di trarne una conclusione. Sì; comprendo a che cosa allu­dete... un certo pudore... (Eliminatelo : siate preciso e con­ciso. Prima di tutto, sapevate che io abito a Torino?

Nicola                           - No.

La Madre                      - Ignoravate anche la mia esistenza?

Nicola                           - Sì.

La Madre                      - Sapete, almeno, che Monica ha marito?

Nicola                           - Il duca Stuelik. Settantanni.

La Madre                      - Non per colpa sua.

Nicola                           - So anche questo.

La Madre                      - Un disastro finanziario di suo padre. Un uomo di una volontà ferrea. Un dominatore. Ma un esaltato. Molto più tardi ha compreso l'errore... S'è ucciso.

Nicola                           - Signora...

La Madre                      - Lasciatemi dire. Io, rimasta sola, senza aiuti! Continuo a lavorare da sarta. Guardate le mie dita: per sfamarmi! Ho cinquant’anni. Quanti ne dimostro? Si resiste non si sa come a certi urti tremendi! Oh, signore! Rapita, strappata di casa, la mia figliola, da gente stra­niera. Portata a Berlino, a Dresda, a Vienna: cinque anni senza vederla! La fede, solo la fede di ritrovarmela un giorno fra le braccia, la ernia bimba, tutta per me, non m'ha fatto impazzire. Ora l'ho ritrovata. Dovete ridar­mela.

Nicola                           - Io?

La Madre                      - Voi!

Nicola                           - Non la vedo da cinque giorni. A tutte le mie insistenze di dirle almeno una parola, m'ha fatto rispondere negativamente. S'è chiusa nella sua stanza alla fattoria. E non riceve nessuno. Avete potuto consta­tare. !Che fa? E perché ha mandato a chiamar voi? Che pensa? Tutti interrogativi, signora, ai quali non so ri­spondere. (A stento dominandosi) Se voi non foste giunta quest'oggi... avrei forzato...

La Madre                      - (alzandosi) Io non so se in questo mo­mento debba vedere in voi il carnefice di mia figlia o il salvatore.

Nicola                           - Che dite?

La Madre                      - Voi ne siete...

Nicola                           - (dopo una pausa) 'Non possiamo parlare tra noi. L'avevo previsto. Una barriera di convenzioni, di pudori legittimi e comprensibili, ci divide.

La Madre I                    - Vi chiedo scusa (e siede con pena). E' necessario intenderci. Dite.

Nicola                           - Tutto?

La Madre                      - Tutto.

Nicola                           - Comprendo a chi volete alludere: a mia moglie.

La Madre                      - Anche se assente è tuttavia presente. Non bisogna dimenticarla.

Nicola                           - Non bisogna?

La Madre                      - Nell'interesse comune.

Nicola                           - Se m'è andata or sono dieci giorni.

La Madre                      - L'ho saputo.

Nicola                           - Stimava incompatibile la sua presenza qui, con la presenza di Monica.

La Madre                      - Mentre voi?...

Nicola                           - Signora...

La Madre                      - Avete uno strano modo d'intendere la vita.

Nicola                           - Forse. Perciò è meglio cercare di chiarire la situazione che tentare un    - (processo al mio modo d'agire.

La Madre                      - Siete sbrigativo.

Nicola                           - ; Prendevo la vita come veniva. Non ho cer­cato mai di forzarne né di deviarne gli avvenimenti. Mi ero ritirato in quest'angolo silenzioso e selvatico per la­sciarmi vivere. Almeno qui, la vita doveva accettarmi com'ero; senza imposizioni, senza patteggiamenti e, so­prattutto, senza commenti. Mi ha irretito a suo capriccio? Ora, a mio vantaggio, da quest'irretimento voglio sbro­gliarmi.

La Madre                      - Parlate bene, signore. Ma quando si ap­plicano certe teorie...

Nicola                           - Vi ripeto che, fino ad oggi, non ho cercato mai di piegare nessuna volontà alla mia volontà.

La Madre                      - (con forza) Quella di mia figlia.

Nicola                           - No, signora. Vostra «figlia è capitata qui due mesi or sono. Mi ha lanciato una sfida. L'ho accettata.

La Madre                      - Era lo scherzo di una bimba bizzarra.

 

Nicola                           - Sapete, dunque?...

La Madre                      - Monica aveva incominciato a dirmi... poi s'è chiusa in un mutismo esasperante.

Nicola                           - Anche se solo vi ha accennato, vi sarete convinta che uno scherzo non dura dei mesi. Ogni energia era assopita in me. Vostra figlia ha invaso il mio recinto. Ho tentato ricacciarla. |S'è ostinata a rimanermi vicino, sconvolgendo tutto un programma di vita. La sua vici­nanza ha riacceso in me la fede. Ho lavorato come un selvaggio. Ora, nella condizione in cui ci troviamo, dopo quello che è avvenuto tra di noi, essa non può più sfug­girmi. (Scomparire vorrebbe dire stroncarmi. Ed io non voglio. L'amo, è mia. Questo deve sapere; questo bisogna riferirle.

La Madre                      - [Vi ho ascoltato, signore, perché vi credo in un momento di esaltazione, e perché speravo mi ri­velaste qualche cosa sulla desolazione della mia povera creatura. Invece non avete parlato che di voi...

Nicola                           - E che cosa potevo dire?

La Madre                      - Avreste potuto tentare...

Nicola                           - Se non la vedo da cinque giorni!

La Madre                      - Avvertite tuttavia che vuol sfuggirvi. Perché le avete fatto del male?

Nicola                           - Io? Ma io credo, signora...

Monica                          - (che è apparsa durante l'ultima battuta della madre, è rimasta oltre la siepe) Credi?

Nicola i                         - Monica...

La Madre                      - Figliola...

Monica                          - Sta zitta, mamma ; non ti muovere. (A Nicola, avanzando, lentamente) Che cosa credi?... Avanti. Con­tinua. Ah, non c'è che dire. Li hai esposti chiarissima­mente ;i tuoi sentimenti. Ma hai portato la mamma, po­veretta, su per le nuvole. Sono giunta in tempo. Vi ri­porto alla realtà.

Nicola f                         - Non comprendo.

Monica                          - Vuoi, 'Nicola, rispondere ad una mia do­manda ?

Nicola                           - Sei venuta per interrogare? Interroga.

Monica i                        - Sei certo di non aver commesso nessuna colpa verso di me?

Nicola                           - Che intendi? Io so che ti amo.

Monica                          - No, tu non mi hai mai amato. (A un gesto di Nicola) Mai. Non puoi amare perché non puoi appar­tenere ad altri se non che a te stesso. Sei soltanto un calcolatore; freddo, implacabile. Rubi alle anime che ti si offrono, involontariamente sai, ciò che ti può venire per la tua... arte. Ma amare per amare, tu, no.

Nicola                           - Che dici? Non è vero! Non è vero! (Egli è sorpreso e impaurito dalla rivelazione fatta da Monica).

La Madre                      - Che dici, figliola?

Monica                          - La verità, mamma! Nella mia solitudine ho molto riflettuto in questi giorni.

Nicola                           - E che conclusioni hai tratte?

Monica;                         - Una sola. Bisogna non vederci più.

Nicola                           - Ma... e la ragione? La causa?

Monica                          - Te l'ho detto.

Nicola                           - Vedendoti giungere io avevo creduto...

Monica                          - Solo domani, quando sarai calmo, apprez­zerai la mia decisione.

Nicola                           - (agitandosi) Ma tutto ciò è insensato, in­giusto!

Montica                         - Ingiusto?

Nicola                           - Sì. Io avevo dei doveri e li ho dimenticati: per te. 'A queste ragioni, opponi le tue.

Monica                          - No, no, no, no. Che doveri? Che responsa­bilità ? Tu non hai dimenticato nulla. Hai avuto una donna che ti ha dato un figlio. 11 figlio è morto. Il ricordo di un pugno di cenere in un sepolcreto t'ha fatto tolle-rare un'unione in questa casa. Poi, la donna ti ha la­sciato; non tu l'hai abbandonata per me. L'hai guardata allontanarsi, standotene alla finestra come se il caso non ti riguardasse.

Nicola                           - Poiché tu eri, poiché sei la mia nuova vita !

Monica ,                        - Perché illuderti, Nicola?

Nicola                           - Illudermi?

Monica i                        - Tu l'hai lasciata andare, quella donna, perché le regole del .vivere non ti appartengono. E' la verità. La vita la vivi ,a tuo talento; attraverso il colore su di una tela, attraverso un accordo sul pianoforte. Mai col sangue, mai con la carne, mai con gli affetti. Guarda: sono certa che se fosse crollata quella 'casa e dentro ci fossimo stati io e mia madre e tua moglie e tu ne avessi sentito il 'fragore, non ti saresti mosso. ;E non per mal­vagità: no. Sono certa che il tuo primo impulso d'uomo sarebbe stato quello di accorrere. Ma sono certa che un altro istinto, quello dell'artefice, t'avrebbe trattenuto. Avresti forse detto a te stesso: Vediamo un po' che cosa posso ricavare da codesta sventura.

Nicola                           - (torcendosi) Ma no, no...

Monica                          - Ma se perfino dal racconto della mia più grande sciagura, quel giorno, hai saputo trar profitto! Te l'avevo ricostruita lì, in quella tua casa, la mia sventura, per far gioco al mio gioco, per vincerti colla pietà, sì, ma anche per liberarmi dallo spasimo che mi tor­ceva. Soffrivo e gioivo di poter finalmente sfogare il mio odio contro i carnefici miei, raffigurati da quei comici! (Con tristezza) Invece di muoverti a pietà ti darò il modo di mettermi in vendita presso i librai a dieci lire la copia! Io, che ti amavo... '

Nicola                           - Ah, come ti vendichi, come ti vendichi! (E siede).

La Madre                      - Figliola, non ti capisco...

Monica                          - (andandole vicino, e mettendosele dietro con le mani sulle esili spalle) E che importa, se posso avvicinarmi a te, finalmente, mamma! Sai a che cosa ho pensato in queste notti? Alla nostra vecchia casa diroc­cata, lassù, in Val d'Aosta. (Vi si andava nei mesi d'e­ state. All'ombra dei pini mi tenevi come ora, così. Tu lavoravi, io giocavo. Mi dicevi; non giocare sempre, piccola. Impara ad agucchiare. Diventerai grande, sarai mamma anche tu... (Con angoscia sostenuta) Invece: no, no, no... '

La Madre                      - Che hai, figliola? Che hai? Che t'hanno fatto?

Monica                          - Nulla. Non dovevi venir qui. Nulla... nulla...

La Madre                      - Mi fai paura.

Monica                          - Perché ?

La Madre                      - Partiamo, Monica!

Monica                          - Partiamo, sì.

La Madre                      - E sole, sai; finalmente sole!

Monica                          - Sole, sì! Ma ora va. Attendimi alla fat­toria. Prepara ogni cosa. Ti raggiungo subito. Va! Va!

                                      - (La madre esce. Un attimo. Poi Nicola si avvicina a Monica, la ghermisce e la bacia disperatamente. Monica tenta dapprima reagire, poi si /abbandona, come cosa morta, fra le braccia di Nicola, che finalmente la lascia e, barcollando, si allontana e siede).

Monica                          - (dopo una pausa, si passa di striscio un brac­cio sulla bocca: con amarezza) /   - Non così, non così...

Nicola                           - Mi fai impazzire...

Monica                          - Io non ho nessun rimprovero da farmi, Nicola, né ti accuso. No. Se vuoi diamo la colpa al caso di averci posto in una simile situazione. Non ci bistic­ceremo per attribuirci delle responsabilità e ci sarà più facile trovare la via d'intenderci.

Nicola                           - (alzandosi di scatto) Concludendo, brutal­mente, giudichi, dunque, anche meno di un'avventura questo desiderio di te che mi hai dato.

Monica                          - Avventura? E sia! Noi dobbiamo conclu­dere questa nostra con un augurio per entrambi.

Nicola \                         - Parole, parole...

Monica                          - Perché ? Tu mi amasti come fonte di la­voro; ed io della vita sentii allora fiorire in me, per la prima volta, il senso vivo e vero. Il giorno che nacque in te, per me, il senso della riconoscenza, il giorno che sentisti la necessità di ripagarmi del bene che ti davo, ti 'rivelasti un uomo come un altro: meschino... come quelli che m'hanno posseduta per la sola bramosia del possesso. Ecco la nostra triste verità.

-

Nicola                           - Parole; ancora parole. Di triste non c'è che una sola cosa.

Monica                          - Quale?

Nicola                           - Che la predica della morale mi venga proprio da te.

Monica                          - (ferita, scattando) Ah!, non c'è davvero maggior distruttore di un costruttore! E che vorresti? Che domani, .guarito di questa smania che t'ha preso di me, accettassi di vivere qui, com'è vissuta qui fino a ieri tua moglie? Sopportata? Avvilita? Ah, mai, mai, mai! Tu vuoi il mio corpo, Nicola! Io volevo la tua ani­ma! (E la tua anima non la trovo più. Fra noi è impos­sibile un'intesa.

Nicola                           - E allora, vattene, vattene subito.

Monica                          - Finalmente! '

Nicola                           - Fa ch'io non ti veda più.

Monica                          - Se vuoi. Ma prima una cosa debbo dirti.

Nicola                           - Non voglio udir nulla.

Monica                          - Ho scritto a tua moglie di ritornare. Che?

Nicola

Monica                          - - 'Poiché lascio il campo libero!

Nicola                           - A che mira tutto ciò? A che mira?

Monica                          - Ho distrutto la tua casa. Ti aiuto a rico­struirla.

Nicola                           - Tu? Davvero mi domando se la situazione può essere più grottesca.

Monica                          - Non essere ironico, Nicola.

Nicola                           - Dal dramma siamo scesi alla farsa!

Monica                          - Non essere ironico!

Nicola                           - E perché ?

Monica                          - Perché ... . (Con altro tono dopo una pausa e dopo ,esserglisi avvicinata) Perché , tua moglie, qui, ti darà un figlio... ((e attende, in agguato, come Ni­ cola accoglie la rivelazione. Nicola non fa un gesto, ma la commozione in lui è palese. Si irrigidisce. Un riso stridulo, convulso, affiora allora, nella spasmodica at­tesa, sulle labbra di Monica. Poi una risata pazza scop­pia in bocca alla donna e si tramuta gradatamente in disperata angoscia). Così la tua casa si ricostruisce. E la ricostruttrice vera ne sarà stata la tua donna! Ah, l'avrei giurato: il figlio ti richiama alla terra; t'inchioda alla terra. (Terribile) Ma bada: le creature nate da me po­tevano essere eterne: tuo figlio no. Le anime che na­scevano nel tuo cervello per virtù mia, scomparendo, io le uccido per sempre. E' il mio trionfo, sì. Tua moglie prima di andarsene si è avventata su me come una belva per annientarmi con la sua maternità. Non posso ritor­cere contro di lei il male che mi ha fatto? Mi avvento su te. E godo nel vederti ricacciato nella casa ricostruita, come un .piccolo uomo senza più volontà e col cervello spento; perché il figlio con una lacrima o con un sor­ riso sarà la sola forza capace di distruggere la tua crudele ambizione. Credimi, Nicola! In questa avventura non c'è che un vincitore: tuo figlio. Ebbene: vuoi ch'io, prima d'andarmene, brindi a lui? Vuoi che brindiamo insieme a questa tua casa che risorge? Vuoi?

Nicola                           - (finalmente si volge a guardarla, le si avvi­cina e, prendendola per un braccio, seccamente) E se ti dicessi: rinunziò a tutto, saprò amarti come tu vuoi; vengo con te... Che faresti?

Monica                          - (gettandogli le braccia al collo) Con me? Con me?

Nicola                           - (si libera dalla stretta e si allontana) Hai visto? E' bastata una sola parola per dimostrarti che in questa nostra avventura, una sola sconfitta vale: la tua. E allora forse, domani, brinderò io con questi ultimi fantasmi che mi hai regalati, Monica; povera Monica... (Scompare lentamente a sinistra. Nel cielo l'ultimo ri­verbero del tramonto. In brevi attimi scende sulla casa l'ombra).

Il Ragazzo                     - (appare a sinistra, si avvicina a Monica che è sulla banchina) Che hai? Che t'hanno fatto?

Monica                          - (come risvegliandosi) Nulla. Il sole è tra­montato.

Il Ragazzo                     - (facendo spallucce) Domattina rinasce; dall'altra parte e disegna mezz'arco all’ingiù da sinistra a destra. Poi siede sulla banchina; si avvicina l'oboe alle labbra e inizia « il mattino » di Grieg. Monica si rialza a stento, e, mentre si accendono laggiù sulla montagna i primi lumi della sera, esce lentamente e penosamente da destra. E cala la tela).

FINE