Niente da dichiarare

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Niente da dichiarare

Niente da dichiarare?

commedia in tre atti

di Charles-Maurice Hennequin e Pierre Veber

Personaggi

DUPONT

ROBERTO DE TRIVELLIN

LA BAULE

COUZAN

FRONTIGNAC

GONTRANO DES BARBETTES

IL PREMIO ROMA*

UN COMMISSARIO

DUE AGENTI

ZEZE’

MADAME DUPONT

PAULETTE DE TRIVELIN

LISA

ERNESTINA

MARIETTA

A Parigi, ai nostri giorni.

Il primo e il terzo atto in casa Dupont.

Il secondo in casa di Zézé.

*Si chiamano “Premi Roma” i vincitori di un Premio Roma, prestigioso riconoscimento attribuito ad artisti di particolare merito e che consiste in un soggiorno a Roma a spese dello stato francese, col fine di approfondire le proprie ricerche e produrre senza assilli economici un certo numero di opere.


ATTO PRIMO

(Salotto in  casa Dupont. Arredamento di lusso. In fondo, porta d'ingresso. Porta a sinistra, nel «pan coupé» e porta a destra, pure nel «pan coupé»; due altre porte a destra e a sinistra in primo piano. Un camino fra le due porte di destra. A destra, un tavolo; alla destra del tavolo un divano e dall'altro lato una sedia. A sinistra una poltrona, alla destra della poltrona, un puf. Quadri, sedie, poltrone, etc… A destra, accanto alla porta di fondo, il pulsante di un campanello elettrico; a sinistra della porta di destra, in primo piano, un interruttore. Sul  tavolo un vassoio con una caffettiera, delle tazze, una bottiglia di cognac, una zuccheriera, dei bicchierini, etc…)

Scena prima

LISA, poi GONTRANO, poi ERNESTINA

(All’alzarsi del sipario la scena è vuota. Lisa compare a sinistra, in primo piano)

LISA    (Parlando verso le quinte). Sì, mamma, vado a preparare il caffè. (Si dirige al tavolo)

GONTRANO    (Comparendo a sinistra, in primo piano) Sssst! Signorina Lisa.

LISA    Come, signor Gontrano, mi avete seguita?

GONTRANO    Vostra madre non mi ha visto uscire, vostro padre nemmeno... Stanno  discutendo di politica col signor Couzan. E poi, non sono forse il vostro fidanzato?

LISA   Non importa, quando la mamma si accorgerà della vostra assenza...

GONTRANO. E dunque tanto terribile la signora Dupont?

LISA  Oh! Quando mia sorella Paulette era fidanzata col signor de Trivelin, li sorvegliava strettamente; non li lasciava soli un attimo.

GONTRANO. Questo non impediva loro, sono sicuro, di baciarsi in qualche angolino.

LISA. Oh, no! mai!... Paulette era troppo timida, troppo innocente. E pensare che fra un'ora torneranno dal loro viaggio di nozze!

GONTRANO. Siete impaziente di rivedere vostra sorella?

LISA. Sì, e di farle tante domande.

GONTRANO. Domande? E su che cosa?

LISA. Ma su... un sacco di cose... Sul viaggio, visto che anche noi ne dovremo fare uno!  (Viene avanti, a destra.)

GONTRANO. Mi pare giusto! Ancora un mese di attesa! Ah, Lisa! Lisetta mia! (Si avvicina per abbracciarla.)

LISA. Attento, appena mi abbracciate, fate entrare

GONTRANO. Ma no.. (L'abbraccia. Ernestina entra dal fondo)

ERNESTINA. Signorina!... Oh!

LISA (vivacemente, come se Gontrano le stesse togliendo uno spillo) C'è uno spillo che mi punge. Lì, sul collo. L’avete preso?

GONTRANO. Eccolo!

LISA. Grazie, Gontrano.

ERNESTINA (a parte) Uno spillo che la punge. Sì, cammina.

LISA. Che c'è, Ernestina?

ERNESTINA. C'è il signor La Baule, signorina!

LISA. Ah! perdinci!

GONTRANO. Il vecchio fidanzato di vostra sorella?

LISA.  Sì, gli era stata accordata la mano di mia sorella ma Paulette s'è incapricciata di Trivelin... allora il papà si è ripresa la parola, povero signor La Baule.

GONTRANO. E lui continua a frequentare la casa?

LISA. Oh! aveva preso l'abitudine di farci visita due volte alla settimana. Non ha più potuto rinunciarvi... Lo riceviamo per pietà... È tanto noioso... Appena si parla di Paulette, si mette a piangere. Torniamo in sala da pranzo.

ERNESTINA. Faccio venire il signor La Baule?

LISA   (uscendo con Gontrano a sinistra in primo piano). Sì, e fategli compagnia.

Scena seconda

ERNESTINA, LA BAULE.

ERNESTINA (aprendo la porta di fondo). Avanti, signor La Baule.

LA BAULE (entrando con un mazzolino di fiorì in mano). Grazie, Ernestina!

ERNESTINA. Ancora fiori?

LA BAULE (malinconico). Un tempo, ad ogni visita, portavo un mazzolino per colei che era la mia fidanzata; ora continuo a portare fiori. Ho la religione del ricordo, io!

ERNESTINA (che viene un poco avanti a destra). Aspettate Lì. Il signore e la signora Dupont sono a tavola con i loro invitati, il signor Couzan e il signor des Barbettes.

LA BAULE (sedendosi sul puf). Ah! non importa! mangino pure! io non ho più fame!

ERNESTINA.   Avete già pranzato?

LA BAULE. Non ho più fame da quando Paulette mi ha lasciato.

ERNESTINA. Come, non mangiate più?

LA BAULE. Quel tanto che basta per stare in piedi, cinque pasti al giorno, e ogni volta senza appetito. (Intenerendosi e voltandosi verso Ernestina.) Ernestina! Ah! Ernestina!

ERNESTINA. Signor La Baule?

LA BAULE. Si sono comportati malissimo con me!

ERNESTINA. Ma dal momento che la signorina Paulette non vi amava...

LA BAULE. Mi avrebbe amato, a lungo termine... a me, mi si ama sempre a lungo termine...(Estrae il fazzoletto.)

ERNESTINA. Andiamo, signor La Baule, non vi metterete a piangere un'altra volta!

LA BAULE. Non posso farne a meno. Piango dal mattino alla sera. Piango anche di notte, in sogno...

ERNESTINA (intenerendosi). Soffrite?

LA BAULE. No. Ora è uno sport. Piango per il mio piacere!

ERNESTINA. Povero ragazzo!

LA BAULE (vedendo che si apre la porta della sala da pranzo) Ah, hanno finito, i forchettoni!

(Ernestina esce dal fondo. I Dupont e Couzan entrano da sinistra, in primo piano.)

Scena terza

LA BAULE, LA SIGNORA DUPONT, DUPONT, COUZAN.

SIGNORA DUPONT. Ah! è La Baule! Buonasera, La Baule! (Gli passa davanti e si dirige al tavolo, per versare il caffè nelle tazze)

LA BAULE. Buonasera, signora Dupont... Signor Dupont, vi saluto.

DUPONT (stringendogli la mano). Il nostro bravo La Baule. (Presentandolo.) Il signor La Baule! Il mio vecchio amico Couzan!

COUZAN. Piacere, signore!...

LA BAULE. Piacere mio!

DUPONT. Il vecchio fidanzato di Paulette de Trivelin.

LA BAULE. Oh! ve ne scongiuro... Chiamatela Paulette, non de Trivelin. (Piange.) Non de Trivelin.

SIGNORA DUPONT (al marito). Beniamino!

DUPONT. Adelaide?

SIGNORA DUPONT. Non farlo piangere.

LA BAULE. Quando tornano dal viaggio?

SIGNORA DUPONT. Questa sera alle dieci.

LA BAULE (emozionato). Ah! mio Dio!

DUPONT.   Li vedrete!

LA BAULE (piangendo). Ah! mio Dio! mio Dio!

DUPONT. Oh! no! avete pianto abbastanza!

SIGNORA DUPONT (andando a portare una tazza di caffè a Dupont  e a Couzan, che si è seduto sulla poltrona). Se vi fa questo effetto, è meglio che non restiate.

LA BAULE. Quando penso che avete preferito un Trivelin a me.

DUPONT. Sentite, carissimo, lui possiede tutto ciò che voi non possedete.

LA BAULE. Cosa? Che io non possiedo? Io sono ricco come lui.

DUPONT. Non si tratta di questo!

SIGNORA DUPONT. I Trivelin sono una grande famiglia francese.

DUPONT. Alcuni Trivelin sono stati alle Crociate!

LA BAULE. C'erano anche dei La Baule. Erano soldati semplici, questa la differenza.

DUPONT. Mio caro, voi non avete titoli!

LA BAULE. E siete proprio voi a rimproverarmelo, voi, un magistrato repubblicano, figlio di repubblicani, nipote di repubblicani?

DUPONT. Oh! non esageriamo.

LA BAULE. Vostro padre è stato ucciso sulle barricate nel '48.

DUPONT. Per caso.

COUZAN. Era sceso per comprare i giornali della sera.

SIGNORA DUPONT (che è tornata dietro il tavolo). In definitiva, per repubblicani che si possa essere, fa sempre piacere avere per genero un nobile.

LA BAULE (sedendosi sulla sedia presso il tavolo). Dite piuttosto che volevate un gaudente, un frequentatore di circoli.

SIGNORA DUPONT. Proprio così, il signor de Trivelin è l'uomo di tutte le prime teatrali; un uomo che si è divertito molto nella vita, è una garanzia!

LA BAULE. E la garanzia che ricomincerà.

SIGNORA DUPONT. Ma no, le sue le ha già fatte! Sarà un eccellente padre di famiglia... Avremo due nipotini.

DUPONT (seduto sul puf). Uno sarà visconte, l'altro cavaliere.

LA BAULE. Conservate un titolo per il terzo. Che diventerà il terzo?

SIGNORA DUPONT. Vescovo.

LA BAULE. Un vescovo ve l'avrei potuto dare anch'io.

SIGNORA DUPONT (a La Baule). Prendete una tazza di caffè?

LA BAULE (alzandosi). Grazie, barbari genitori, non è il caffè che voglio, è vostra figlia.

DUPONT (alzandosi). Troppo tardi!

LA BAULE. Non importa. Io rimango il fidanzato di Paulette.

SIGNORA DUPONT. Non possiamo impegnarci.

LA BAULE. Scusate! Le avete dato un marito che la farà molto infelice.

DUPONT. Spero di no.

LA BAULE (piangendo). Lo sento! Sarà infelice. E divorzierà.

DUPONT. Oh! vi prego, chiudete il rubinetto!

LA BAULE (alzandosi). E allora cercherete un altro genero. Ebbene! giuratemi che mi terrete presente... giuratelo.

SIGNORA DUPONT (alzandosi). Se vi fa piacere... (Al marito.) Assecondalo, se no mi bagna il pavimento.

DUPONT (alzandosi). D'accordo. Siete il numero due, va bene?

LA BAULE. Grazie! sarò vostro genero, sono sicuro; ora me ne vado... Tornerò per salutare Paulette e conoscere il suo odioso marito.

DUPONT. Lasciate perdere!

LA BAULE. No, oggi non ho pianto abbastanza, ho diritto ancora a tante lacrime. A presto. (Esce dal fondo.)

Scena quarta

GLI STESSI, meno LA BAULE.

SIGNORA DUPONT (dirigendosi verso Couzan che si è alzato). Ebbene? vi è piaciuto questo giovanotto?

COUZAN. A Catinelle, signora, a catinelle!

DUPONT (che si è portato a destra). Il Monsignore si chiamerà Augusto.

COUZAN. Quale Monsignore?

DUPONT. Il nostro ultimo nipote... il vescovo!...

COUZAN.   Già pensi al tuo nipotino?

DUPONT. Sì, il visconte si chiamerà Eriprando!

SIGNORA DUPONT. E il cavaliere Rolando!

ERNESTINA (entrando dal fondo). Signore, c'è un Signore di là che chiede di parlare al Signore!

DUPONT. Una visita a quest'ora! Vi ha detto il nome?

ERNESTNA. Gliel'ho chiesto, mi ha risposto: «Inutile, il signor Dupont non mi conosce». Direi che ha molta fretta.

DUPONT. Un postulante, senz'altro, che viene a chiedere un aiuto.

COUZAN. A meno che non riguardi l'affare di Vincennes, il mandrillo della vedova Tripette.

SIGNORA DUPONT. Il mandrillo della vedova Tripette? E che cos'è?

DUPONT. Un tizio che ha violentato una vecchia salumaia di ottant'anni.

SIGNORA DUPONT. Oh! Che orrore!

COUZAN. Da due giorni sui giornali non si parla d'altro.

DUPONT (a Ernestina). Va bene, fatelo entrare. (A Couzan e alla signora Dupont.) Vediamo un po' chi è!

COUZAN. Ti lasciamo.

SIGNORA DUPONT (a Couzan). Vi mostrerò la camera degli sposi.

COUZAN. Abiteranno qui?

SIGNORA DUPONT. In attesa che mio genero acquisti un palazzo.

(Couzan e la signora Dupont escono a destra, in primo piano, mentre Ernestina fa entrare Frontignac dal fondo.)

Scena quinta

DUPONT, poi FRONTIGNAC, poi ERNESTINA, poi LA SIGNORA DUPONT.

DUPONT (solo, portandosi a sinistra). Un secondo e lo spedisco.

FRONTIGNAC (entrando, con un cappello floscio a larghe tese, tipo messicano, e venendo aranti a destra). Signore, sono lo sconosciuto annunciato prima.

DUPONT. Prego, signore, accomodatevi!

FRONTIGNAC. Non ho tempo. Siete voi il signor Dupont?

DUPONT. In persona... Ma non volete sedervi?

FRONTIGNAC. Non ho tempo... Avete moglie, a quanto sembra.

DUPONT (irritato). Dio mio! spero che non lo sembri troppo.

FRONTIGNAC. Bene. Chiamate vostra moglie!

DUPONT. Avete detto?

FRONTIGNAC. Ho detto: chiamate vostra moglie.

DUPONT. Oh, guarda. E perché?

FRONTIGNAC. Non vi riguarda. (Scorgendo il campanello.) Ah! un campanello! (Va a suonare, accanto alla porta di destra nel "pan coupé».)

DUPONT. Vi prego vivamente di spiegarvi.

FRONTIGNAC (tornando in mezzo alla scena). Non ho tempo.

DUPONT. Ma, Signore.

FRONTIGNAC. Non ho tempo, vi dico... (A Ernestina che entra dal «pan coupé» a destra.) Andate a chiamare la vostra padrona, e di corsa.

DUPONT. Ah! questa poi! Signore!

FROMTIGNAC. Zitto! niente parole inutili.

DUPONT (stupefatto). E inaudito! inaudito!

SIGNORA DUPONT (entrando dalla porta in primo piano). Mi cercavi, amico mio?

FRONTIGNAC (salutando). Signora... (A Dupont.} E’  vostra moglie?

DUPONT. Sì, Signore, sì.

FRONTIGNAC. Non ne avete altre?

SIGNORA DUPONT.  Spero di no.

FRONTIGNAC. Allora, d'accordo. Ho l'onore di salutarvi. (Falsa uscita)

DUPONT. Come, se ne va? Signore! Signore!

FRONTIGNAC (girandosi). Che c'è ancora?

DUPONT. Ve ne andate così?

FRONTIGNAC. Non ho più niente da fare qui.

DUPONT. Scusate, mettete in agitazione la casa, disturbate la signora Dupont e vorreste andarvene cosi senza nemmeno dire come vi chiamate?

FRONTIGNAC. Mi chiamo Frontignac.

DUPONT. Non basta, Signore!

FRONTIGNAC (venendo di nuovo avanti fra Dupont e la moglie). E va bene! volete sentire la storia della mia vita?... Cominciamo! (Guardando l'orologio.} Sono le nove e mezza, ne abbiamo per dodici ore.

DUPONT e SIGNORA DUPONT (gridando). Dodici ore!

FRONTIGNAC. A meno che non preferiate un sunto. (Si siede sulla sedia accanto al tavolo mentre la signora Dupont si siede sul divano e Dupont sul puf.)

DUPONT. Il sunto, Signore, il sunto.

FRONTIGNAC (versandosi del caffè). Bene! sorvolerò sui primi anni, i primi viaggi, le prime avventure, i primi amori, le prime delusioni.

SIGNORA DUPONT. Sì, sì, sorvolate! sorvolate!

FRONTIGNAC. Arriverò dunque all'inizio del mio viaggio a Parigi.

DUPONT. Abitate in provincia?

FKONTIGNAC (mettendo nel corso delle battute successive cinque o sei zollette di zucchero nel caffè). In Algeria! A Biskra, dove tengo un allevamento di cammelli.

DUPONT (furioso}. Ed è per questo che volevate vedere mia moglie?

FRONTIGNAC. Nessuna relazione. Del resto, la signora laggiù non avrebbe alcun valore.

SIGNORA DUPONT (contrariata). Grazie!

FRONTIGNAC (continuando a mettere zucchero nella tazza). Non c'è di che... Vivevo felice...

DUPONT (ironico). Se lo zucchero non basta, ditelo, provvediamo subito.

FKONTIGNAC. No, no, non disturbatevi; ne prendo pochissimo... ho un po' di diabete... (Beve.} Continuo... vivevo felice ai margini del deserto, allorché, cinque anni fa, le necessità del mio commercio mi chiamarono ad Algeri, dove feci la sua conoscenza. Era bella come un uccello del paradiso. Le offrii i1 più cammello del mio branco. Lei preferì la mia mano... gliela accordai e nove mesi dopo...

SIGNORA DUPONT. Eravate padre?

FRONTIGNAC.. No. signora, ero cornuto. Quell'uccello del paradiso era una baldracca.

DUPONT (fra i denti). Ha fatto bene!

FRONTIGNAC. Un giorno, la filibustiera approfittò del fatto che io ero andato a Chetma a portare dei cammelli, per scappare con un Parigino che lei aveva incontrato, sembra, al casino di Risiera, un certo Dupont. (Beve.)

SIGNORA DUPONT. Cosa?

DUPONT. Sta' tranquilla, Adelaide, non sono io. (A Frontignac) Continuate!

FRONTIGNAC (versandosi due bicchierini di cognac e bevendo). Grazie! altri avrebbero pianto... gridato... ecc. Pfff! dopo otto giorni non ci pensavo più. Del resto, il commercio mi assorbiva completamente e prosperava di giorno in giorno; oggi i cammelli non hanno prezzo. Se per caso mi ordinaste cinquecento cammelli per la festa della signora Dupont, sarei nei fastidi per farveli avere.

DUPONT. Io non vi ordino proprio niente.

FRONTIGNAC. Dicevo per dire. (Beve un terzo bicchierino di Cognac.)

SIGNORA DUPONT (ironica). Se non vi piace il cognac, posso offrirvi qualche altra cosa.

FRONTIGNAC. Vi ringrazio, niente alcool.

DUPONT (a parte). Meno male.

FRONTIGNAC. in breve, non mi sarei mai occupato della signora Frontignac se ultimamente a Orano non avessi conosciuto una donna incomparabile! Una testa d'angelo su un collo di cigno, con un corpo di gazzella e una vita di vespa... le offrii il più bel cammello de! mio branco, lei preferì la mia mano.

SIGNORA DUPONT. Ancora?

DUPONT (a mezza voce). Io avrei preferito il cammello.

FRONTIGNAC. Come?

DUPONT. Niente! Niente! Continuate! E interessante. Lei preferì la vostra mano...

FRONTIGNAC. Sì, ma non potevo concedergliela prima di aver divorziato.

DUPONT (alzandosi). Ah! capisco. Andate a trovare tutti i Dupont di Parigi nel tentativo di ritrovare vostra moglie.

FRONTIGNAC (alzatosi anche lui, unitamente alla signora Dupont). E sorprenderla col suo amante. E’ così. Ne ho già visti una ventina. Terrificante, i Dupont che ci sono a Parigi! E nessuno ha l'ascensore.

SIGNORA DUPONT. Vi assicuro, signore, se avessimo saputo...

FRONTIGNAC. Troppo gentile. (A Dupont con amarezza.) Se mia moglie fosse stata un po' generosa, avrebbe scelto un amante dal nome meno comune.

DUPONT. Grazie. (Ironico.) Non ci rimane che augurarvi buona fortuna.

FRONTIGNAC. Oh! la troverò! Sentite, voi non avete fratelli o nipoti?

DUPONT. Me ne dispiace infinitamente. Sono il solo maschio della famiglia.

FRONTIGNAC. Triste famiglia! Bene. (Salutando.) Signora! Signore. (Falsa uscita.)

DUPONT. Servo vostro.

FRONTIGNAC. Ah! dimenticavo. (Dandogli un biglietto da visita che si è tolto di tasca.) Se permettete... Ai vostri ordini.

DUPONT. Ma...

FRONTIGNAC. No, non disturbatevi, conosco la strada. (Esce rapidamente dal fondo.)

SIGNORA DUPONT. Che Cos'è?

DUPONT (leggendo). Prezzo corrente - cammelli a partire da cinquecento franchi. (Strappando il Biglietto.) Che tipo!

SIGNORA DUPONT. Senza inibizioni!

Scena sesta

DUPONT, LA SIGNORA DUPONT, poi COUZAN, poi ERNESTINA.

COUZAN (entrando). Si può entrare?

DUPONT. Sì, sì.

COUZAN   Allora, centrava il mandrillo di Vincennes?

DUPONT    No, era uno squinternato che voleva divorziare dalla moglie per sposare una gazzella dal collo di cigno e vita di cammello.

COUZAN. Eh?

DUPONT (a Ernestina che è entrata dal «pan coupé», a destra, per portare via il caffè e i liquori che stanno sul tavolo). Ah! Ernestina... Hanno portato un quadro per me?

ERNESTINA. No, signore. (Esce durante le successive battute.)

SIGNORA DUPONT. Un quadro. Hai comprato un quadro?

DUPONT. Sì, un'occasione eccezionale e una buona azione... dovrebbero portarlo questa sera o domani.

COUZ.AN. E di chi è questo quadro?

DUPONT. Di Zézé.

SIGNORA DUPONT. Zézé?

COUZAN. Chi è, una pittrice?

DUPONT. Sì, una vecchia signora, molto vecchia, una povera disgraziata priva di mezzi e che deve guadagnarsi il pane. Non ha le mani.

SIGNORA DUPONT. Non ha le mani? E come fa a dipingere?

DUPONT. Con i piedi. Me l'ha raccomandata Béconville, hai presente, il mio collega dell'ottava sezione... Non dire di no a Béconville.

SIGNORA DUPONT. Non importa, avresti potuto chiedermi consiglio... E quanto l'hai pagata quella crosta?

DUPONT. Un'inezia... Quindici franchi con la cornice.

SIGNORA DUPONT. Non è caro, in effetti.

DUPONT. Lo vedrai. Non è male. Lo metterò nella sala del biliardo.

SIGNORA DUPONT (con un grido). La sala del biliardo! Ah, Dio mio!

DUPONT. Ma che ti prende?

SIGNORA DUPONT. Lisa e il suo fidanzato son là da un quarto d'ora, soli... Vado a dare un'occhiata.

DUPONT. Certo, amica mia, vai, vai! (La signora Dupont esce dal pan coupé di sinistra. )

Scena settima

DUPONT, COUZAN.

COUZAN. Dupont Beniamino?

DUPONT Couzan Filippo?

COUZAN  Guardami bene in faccia!

DUPONT (a disagio). Ma...

COUZAN. Zézé non è una vecchia. Zézé le mani ce le ha. Zézé è una deliziosa bionda di ventotto anni.

DUPONT (spaventato). Sta' zitto, disgraziato, sta' zitto!

COUZAN. Per caso forse...

DUPONT. Ebbene! sì.

COUZAN. Tu sei l'amante di Zézé, tu, Beniamino Dupont, presidente della nona sezione?

DUPONT. Da un mese. L'ho conosciuta all'Esposizione delle donne pittrici. Oh, amico mio, che talento! Senti! apri la mano. (Couzan apre la mano.) Metti in questa mano il genio di Michelangelo, l'incanto di Raffaello, la grazia di Latour, aggiungici un pizzico di Murillo, due grammi di Rubens, agita, agita fortemente. Oh! agita più di così... ci siamo?

COUZAN. Sì.

DUPONT. Ecco! hai ottenuto Zézé.

COUZAN. Caspita!

DUPONT. E disinteressata come tutti i grandi artisti.

COUZAN. Mi stai dicendo che ti ama per te stesso?

DITONI. Certo che te lo dico.

COUZAN. Ah! Ah!

DITONI. Oh! puoi ridacchiare fin che vuoi, non cambia nulla. Ti amo, mi diceva ancora ieri, ti amo perché assomigli a un Velasquez.

COUZAN. No?

DUPONT. Sì! vecchio mio, a quanto pare assomiglio a un Velasquez, di schiena soprattutto! Del resto, mi chiama proprio così: Velasquez.

(Si siede sul divano. Anche Couzan vi si siede, a sinistra.)

COUZAN. E non ti chiede soldi?

DUPONT   È un'artista, non una cocotte! “Fra di noi niente questioni di denaro”, mi ha dichiarato... “Ogni mese mi compri un quadro ed ecco tutto!” Gliene ho comprato uno.

COUZAN. E te lo ha venduto per quindici franchi, cornice compresa?

DUPONT. Quindici franchi? Tu scherzi! Quattromila!

COUZAN. Ah! bene! ah! benissimo!

DUPONT. Il prezzo abituale è di cinquemila; me lo ha lasciato per quattromila perché assomiglio a Velasquez.

COUZAN. Mi dispiace per lei! Ma disgraziato, tua moglie si stupirà che tu prenda un quadro tutti i mesi.

DUPONT. Le dirò che sto facendo un affare con i Zézé.

COUZAN. Insomma, fai il mecenate.

DUPPONT (alzandosi e portandosi a sinistra). Sì, vecchio mio, sono un mecenate in formazione.

COUZAN (alzandosi). Magnifico! Senti, Dupont, non voglio farti la morale, ma nella tua situazione... un magistrato….

DUPONT. E allora? Tradisco mia moglie in modo magistrale.

COUZAN. Ah! se la prendi così! Insomma, sei felice?

DUPONT. Al punto che il settimo cielo mi fa l'effetto di un ammezzato.

COUZAN. Fino al giorno in cui verrai a sapere che ti tradisce.

DUPONT (indignato}. Tradirmi, lei?

COUZAN. Dio mio, non vorrei essere sgradevole, ma non mi sembri proprio un Adone.

DUPONT (risentito}. E possibile! ma sembro un Velasquez..; di spalle...

COUZAN. Sì, di spalle..., ma davanti, guardati nello specchio.

DUPONT. Ah! mi stai seccando! Attento, mia moglie! (Si portano a destra. La signora Dupont entra dal «pan coupé» di sinistra)

Scena ottava

GLI STESSI, LA SIGNORA DUPONT

SIGNORA DUPONT (parlando verso le quinte). Rimanete pure, ma fate i bravi. (A Dupont.) Che ore sono, Beniamino?

DUPONT. Quasi le dieci.

COUZAN. Gli sposini non possono tardare molto.

SIGNORA DUPONT (venendo avanti fra Couzan e Dupont). Ah! non vedo l'ora di rivedere mia figlia, di sapere come sono andate le cose.

DUPONT. Non hai vergogna, alla tua età, di avere simili curiosità?

SIGNORA DUPONT. Non è curiosità. Pensa un po', quella povera ragazza, appena uscita dal collegio... era di una tale innocenza...

DUPONT. E vero.

COUZAN. E tuttavia con certi romanzi di oggi...

SIGNORA DUPONT. In fatto di letture, caro Couzan, ho consentito a mia figlia soltanto i libri della bibliotechina rosa, e ancora li selezionavo. E il giorno del suo matrimonio, è partita senza che abbia potuto farle le ultime raccomandazioni.

DUPONT. Niente di male, c'era suo marito per queste cose!

COUZAN. Cara signora, queste cose non s'usano più.

SIGNORA DUPONT. Sì, sì, ma si usavano ai miei tempi.

DUPONT. Come, ti hanno fatto le ultime raccomandazioni, a te?

SIGNORA DUPONT. Certo... ed è stato un bene per te. Senza di esse, non ti avrei lasciato fare tutto quello che hai fatto.

Scena nona

GLI STESSI, LISA, GONTRANO, poi PAULETTE e DE TRIVELIN.

LISA (entrando animatamente dal «pan coupé» di sinistra e seguita da Gontrano). Mamma arrivano, l'omnibus si è fermato davanti alla porta.

SIGNORA DUPONT (vicina allo svenimento}. Mia figlia, la mia bambina!

DUPONT. Il conte e la contessa!

SIGNORA DUPONT. Ah! mio Dio! l'emozione... la gioia! (Perde le forze e cade sopra la sedia accanto al tavolo.)

COUZAN (precipitandosi). Signora, ma che fa?

DUPONT. Adelaide, cerca di essere uomo, per cinque minuti..

SIGNORA DUPONT.   Lo sarò.

(Si alza. Si apre la porta di fondo e compare Paulette seguita da Trivelin. Abito da viaggio, borsetta.)

PAULETTE (gettandosi fra le braccia della madre). Oh! mamma, mamma!

SIGNORA DUPONT. Paulette!

DUPONT. Caro genero!

DE TRIVELIN (stringendogli la mano). Caro signor Dupont!

DUPONT. Signor Dupont! Chiamatemi suocero, no?

DE TRIVELIN. Caro suocero. (A Lisa.) Buonasera, Lisetta!

LISA. Buonasera, Roberto!

DE TRIVELIN. Oh, guarda! des Barbettes... Il signor Couzan.

 (Strette di mano. La signora Dupont è a destra con Paulette.)

DUPONT (alla moglie, sempre abbracciata a Paulette). Senti un po', Adelaide, è tutta tua la contessa? Lasciane un po' anche per gli altri.

PAULETTE. Ah! papà, Caro papa! (Si getta fra le braccia del signor Dupont).

SIGNORA DUPONT (a braccia aperte, a de Trivelin). Adesso tocca  a voi, Roberto; che cosa aspettate?

DE TRIVELIN. Aspettavo che il posto si liberasse, bella mammina! (L'abbraccia.)

PAULETTE (a Lisa, abbracciandola). Buonasera,  cara (Scorgendo Gontrano, e poi Couzan.) Gontrano!... E il padrino! Che bella sorpresa!

DUPONT. E il ritorno com'è andato?

DE TRIVELIN e PAULETTE. Bene! Benissimo!

SIGNORA DUPONT (a Paulette). Vediamo il faccino!... (Paulette va incontro alla signora Dupont.) Sta d'incanto, vero Couzan?

COUZAN. D'incanto.

PAULETTE. Non sono mai stata meglio.

SIGNORA DUPONT (allegramente e dando dei buffetti a Roberto). Roberto, invece, ha l'aria un po' affaticata.

DE TRIVELIN. Vi sembra?

DUPONT. In effetti!

PAULETTE (ingenuamente). Eppure, non si è stancato più di me.

DUPONT (allegramente). E da vedersi! è da vedersi!

SIGNORA DUPONT. E dite un po'. (Interrompendosi.) Lisa, vuoi allontanarti un momento col signor des Barbettes? (Riprendendo.) Dite un po', ragazzi, non c'è niente in arrivo?

PAULETTE. Sì!

SIGNORA DUPONT, DUPONT, COUZAN (animatamente). Ah! (In primo piano, Couzan, Dupont, Paulette, la signora Dupont, de Trivelin. In fondo, a sinistra, Lisa e Centrano.)

PAULETTE. Delle cose comprate a Venezia e che saranno qui fra qualche giorno.

SIGNORA DUPONT. Ma non è di questo che volevo parlare. (Sottovoce a Trivelin, mentre Lisa va a raggiungere la sorella.) Come va Eriprando?

DE TRIVELIN. Eriprando?

SIGNORA DUPONT. Il visconte!

DE TRIVELIN. Quale visconte?

DUPONT. Il mio nipotino, perbacco!

DE TRIVELIN (a disagio). Va bene, grazie... in modo ancora un po' vago, ma insomma...

SIGNORA DUPONT (allegramente). Ma sì, avete ragione... molto meglio farlo a Parigi.

DUPONT (ridendo). A mente riposata.

SIGNORA DUPONT. Vieni, Paulette, ti accompagno in camera tua.

PAULETTE. Si, mamma.

DE TRIVELIN. Vengo anch'io.

SIGNORA DUPONT. No, no, torniamo subito... restate con i signori... devo parlare con mia figlia.

DE TRIVELIN (inquieto). Ma per quale motivo?

SIGNORA DUPONT.(sottovoce). Voglio sapere se l'avete resa felice.

DE TRIVELIN (a parte). Accidenti!

SIGNORA DUPONT.    E allora, Paulette?

PAULETTE.    Eccomi, mamma, eccomi, prendo la borsetta. (Esce a destra in primo piano con la signora Dupont)

LISA (sottovoce a Gontrano). Nessuno ci guarda, andiamo in sala  da pranzo.

GONTRANO. Oh! si! (Spariscono a sinistra, in primo piano.)

Scena decima

DE TRIVELIN, DUPONT, COUZAN

DE TRIVELIN (rimasto accanto alla porta di destra, in primo piano, molto agitato). Accidenti, accidentaccio!

DUPONT.  Ehi, Roberto, ma che succede? Sembrate inquieto, preoccupato.

COUZAN. È vero!

DE TRIVELIN. Ah! Se sapeste!

DUPONT. Come, come? Non avrete, spero, dei rimproveri da fare a Paulette!

DE TRIVELIN.  Rimproveri? a lei? ma Paulette è una deliziai, Paulette è un angelo!

DUPONT. Non siete contento dell'accoglienza?

DE TRIVELIN (protestando). Oh!

DUPONT. TUA suocera va matta per te.

COUZAN. Ed è cosa rara, da quando questa genia imperversa contro l'umanità!

DE TRIVELIN. Va matta per me... per il momento, ma fra poco uscirà da quella camera furibonda, con gli occhi fuori dalla testa... e sa Dio come mi tratterà. Quante ne dovrò sentire, Dio mio! Quante ne  dovrò sentire!

DUPONT. Questa poi! Che intendi dire?

COUZAN. Sono forse di troppo?

DE TRIVELIN.  No, no, caro Couzan, come padrino non siete fatto di troppo.

DUPONT. Ma parlaci, caro, parlaci

DE TRIVELIN. In fretta; la signora Dupont tornerà fra poco, tanto vale farla fuori in un sol colpo.

Scena undicesima

GLI STESSI, LA SIGNORA DUPONT

(Compare a destra, in primo piano, la signora Dupont; è furiosa.)

SIGNORA DUPONT (riuscendo a malapena a contenersi). Signor conte Roberto de Trivelin!

DE TRIVELIN (a Dupont e a Couzan). Ci siamo!

SIGNORA DUPONT. Siete un tristo individuo!

DUPONT. Ah, senti! ma insomma, che succede?

DE TRIVELIN. Ascoltatemi, ascoltatemi prima di giudicare! (Fa cenno agli altri di sedersi. La signora Dupont si siede sul divano, Dupont sul puf e Couzan in poltrona. Trivelin rimane in piedi fra Dupont e il tavolo.) Quando vi ho chiesto la mano di Paulette, io l'adoravo, e l'adoro ancora, ve l'assicuro. Ero uno scapestrato... Voi mi avete costretto a un fidanzamento di sei mesi.

DUPONT. È vero! E non vi lamentavate, potevate vedere la fidanzata tutti i giorni!

DE TRIVELIN. E potete immaginare che cosa furono quei sei mesi per un fidanzato innamorato pazzo, per un fidanzato fedele e per conseguenza affamato, a cui si diceva: «Guardare e non toccare». Direte voi: «Dovevate calmare i morsi della fame al primo ristorante».

SIGNORA DUPONT. Ma niente affatto, io non dico proprio niente di simile.

DE TRIVELIN. Amavo troppo Paulette per ingannarla! Lo dico con orgoglio, forse tradirò mia moglie, ma non ho mai tradito la mia fidanzata. Non vi dico in che stato mi trovavo negli ultimi giorni...

COUZAN. Lo stato abituale di tutti i fidanzati.

DUPONT (allegramente). Ero così anch'io! (Alla signora Dupont) Te lo ricordi?

SIGNORA DUPONT. Non interrompere.

DE TRIVEUN. Arriva il giorno delle nozze! Che giornata! La cerimonia in chiesa, il ricevimento, la gente a cui si stringe meccanicamente la mano, col gesto di chi fa saltare la frittata! Finalmente, alle dieci, io e Paulette ce la battiamo... Ah! che sollievo! basta con le convenzioni, basta con i parenti...

SIGNORA DUPONT. Grazie lo stesso!

DE TRIVELIN. Dovevamo partire dalla gare du Nord, avevamo uno scompartimento riservato... Saliamo, il treno parte. Io prendo la mia Paulette fra le braccia. Tremava, la piccolina... le dico tante cose insensate ma deliziose...

DUPONT. Sì, l'ho fatto anch'io con mia moglie nella stessa circostanza. (Alla signora Dupont.) Ti ricordi?

SIGNORA DUPONT (a Trivelin). Continuate!

DE TRIVELIN. A poco a poco, lei prende fiducia... i nostri discorsi si fanno dolci, poi diventano teneri, quindi più teneri ancora... più appassionati... avevo tuttavia deciso di aspettare e di essere il marito di mia moglie soltanto a Bruxelles... Ma a poco a poco, sentivo che un'altra decisione stava maturando, quella di non aspettare il Belgio e di cogliere il fiore dell'imeneo sul sacro suolo della patria!

DUPONT. Benissimo!

DE TRIVELIN. Ero fuori di me. La poverina ansimava... ansimava per un'emozione sconosciuta... Abbiamo perso la testa e non ci siamo accorti che il treno aveva rallentato e proprio nel momento in cui il mio sogno più bello stava per realizzarsi... si apre la porrà, entra un individuo in divisa e grida «Niente da dichiarare?». Era la dogana. (Cade a sedere sulla sedia.)

DUPONT (ridendo). Ah! una bella seccatura!

DE TRIVELIN. Non ridete! È stato un colpo tremendo. Sbatto fuori quel gabelliere inopportuno. Ma l'incanto si era spezzato! Mi sentivo addosso non so quale svogliatezza, una svogliatezza nervosa. Insomma, quando il treno si è rimesso in moto... io non avevo più nulla da dichiarare!

COUZAN. Oh, perbacco! perbacco! perbacco!

DUPONT. Andiamo... non è possibile!

DE TRIVELIN. E così, vi dico... Mentre cercavo di riprendere, Paulette si era addormentata senza rendersi conto di quel che era successo... Ho rispettato il suo sonno... e lei si è svegliata a Bruxelles, a conclusione di una notte tanto placidamente incominciata.

DUPONT. E il giorno dopo?

DE TRIVELIN.   Il giorno dopo, ahimè, non so come sia successo, ma nel momento psicologico l'immagine di quel doganiere si rifece viva nella mia mente... e... buonanotte sonatori!

DUPONT. Non bisogna pensare ai doganieri!

DE TRIVELIN. Oh, non l'ho fatto apposta, vi prego di crederlo!

DUPONT. E i giorni successivi?

DE TRIVELIN. Avevo perduto ogni fiducia... E lo sapete, in certe circostanze, quando si perde la fiducia si perde tutto! (Alzandosi.) Ho cercato di distrarmi, sono andato in Germania... in Isvizzera... in Italia... e dappertutto, vi dico, dappertutto, a Colonia, a Venezia... a Roma, a Napoli, a Marsiglia, quell'infernale doganiere mi ha perseguitato... tutte le volte, nel momento dell'ultima dichiarazione... sentivo la sua voce beffarda: «Niente da dichiarare?». E ogni volta ricadevo dall'alto della mia esaltazione. (Cade sulla sedia.) Ecco, ora conoscete la triste verità.

DUPONT. E Paulette che dice?

SIGNORA DUPONT. Ma lei non sa nulla di nulla, povera innocente; e poco fa, alle domande che le facevo, mi guardava con gli occhi sbarrati come se le avessi chiesto come si chiamava la nonna di Nabucodonosor.

DUPONT. Accidenti! (A Couzan.) Tu cosa ne pensi?

COUZAN. Penso che se le cose vanno avanti di questo passo, monsignor vescovo non è ancora pronto per entrare in seminario!

DE TRIVEUN (alzandosi). Ah! Quel doganiere! Quella frase! Quella frase!

SIGNORA DUPONT (alzandosi). Ma quando si è così, caspiterina, non ci si sposa, si va in convento.

DUPONT.  Insomma, signor mio, questa situazione può durare in eterno.

SIGNORA DUPONT. Ed io voglio avere dei nipotini, lo voglio!

DUPONT. Tutti lo vogliamo.

DE TRIVELIN. Ed anch'io lo voglio. Lasciate che mi riprenda da questa disgrazia, che è soltanto passeggera.

SIGNORA DUPONT. Vi concedo un mese... Se alla scadenza del mese non avete fatto progressi, vi saluto!

COUZAN (che si è alzato unitamente agli altri}. Cari amici, permettetemi...

SIGNORA DUFONT. Nessuno ha chiesto il vostro parere. Sedetevi!

COUZAN. Va bene! (Va a sedersi in poltrona.)

SIGNORA DUPONT (a Trivelin}. Volete che ve lo dica? Avete portato a mia figlia soltanto i resti del gaudente!

DE TRIVELIN. È falso! arcifalso!

DUPONT. E magari conoscesse il modo di riaccomodare i resti!

DE TRIVELIN (arrabbiandosi). Signor Dupont!

SIGNORA DUPONT (a Dupont). Del resto, quel che accade è anche colpa tua.

DUPONT. Colpa mia?

SIGNORA DUPONT. Se il signore non avesse voluto come genero un nobile, un frequentatore di circoli!

DUPONT. No, scusa! sei tu che volevi vedere tua figlia contessa.

(Discutono faccia a faccia davanti a Trivelin, che maltrattano)

SIGNORA DUPONT (protestando). Io? io?

DUPONT. Certamente! io non volevo... io sono un repubblicano, figlio e nipote di repubblicani, mio nonno è stato ucciso sulle barricate.

SIGNORA DUPONT. Ah! Questa è bella! L’ho sempre detto (indicando Trivelin) quel ragazzo ha un cervello che non mi piace.

DUPONT. No, scusa: sono io che lo dicevo!

SIGNORA DUPONT. Tu? Tu? Beniamino!

DUPONT. Adelaide!

DE TRIVELIN (separandoli). Guardate che sono presente!...

COUZAN. Ascoltate, amici miei, calmatevi... lasciate che vi dica.

SIGNORA DUPONT. Ve l'ho già detto: occupatevi dei fatti vostri.

DUPONT. Siediti!

COUZAN. Bene! Bene! (Va a sedersi in poltrona.)

SIGNORA DUPONT (a Trivelin). Quanto a voi, signore, questo è il mio ultimatum: vi do tre giorni...

DE TRIVELIN. Tre giorni? E per fare che?

SIGNORA DUPONT. Se alla fine dei tre giorni, non siete diventato il marito di vostra moglie, chiediamo il divorzio.

DE TRIVELIN. Il divorzio?

DUPONT. Tre giorni, non una notte di più!

SIGNORA DUPONT. E ottenuto il divorzio, daremo la sua mano a La Baule.

DE TRIVELIN. La Baule? Che significa? La Baule?

DUPONT. Un bravo ragazzo che adora Paulette, e che abbiamo avuto il torto di non preferire a voi.

DE TRIVELIN. Cosa?

DUPONT. Del resto, siamo d'accordo... ha il numero due.

DE TRIVELIN. Il numero due?

(Ernestina compare dal fondo, in primo piano.)

(Disposizione: Couzan, Dupont, la signora Dupont, de Trivelin.)

Scena dodicesima

GLI STESSI, ERNESTINA.

ERNESTINA (a de Trivelin). Signore.

DE TRIVELIN (seccato). Cosa? Che c'è?

ERNESTINA. La signora vorrebbe avere le chiavi.

DE TRIVELIN. Le chiavi? Quali chiavi?

SIGNORA DUPONT (ironica). Le chiavi del baule, perbacco. Forza, occupatevi della casa. Rendetevi utile visto che non potete essere dilettevole!

DE TRIVELIN (mostrando Ernestina, sottovoce). Ah! ve ne prego, non parlate a nessuno di questo fatto! (A Ernestina.) Va bene, vado! (Ernestina torna verso il fondo ed esce; a parte.) Divorziare!... il numero due? Ah! lo vedremo!

(Esce a destra, in primo piano.)

 

Scena tredicesima

GLI STESSI, meno DE TRIVELIN,  poi ERNESTINA,  poi LA BAULE

COUZAN (alzandosi). Povero ragazzo, non è colpa sua.

SIGNORA DUPONT. Ma corbezzoli, non è nemmeno la mia!

DUPONT. E nemmeno la mia!

ERNESTINA (entrando dal fondo e annunciando). Il signor La Baule.

DUPONT. Lui!

SIGNORA DUPONT. Ah! venite, ragazzo mio! venite! (Entra La Baule piangendo. Ernestina esce.)

COUZAN (a parte). La fontana ambulante!

LA BAULE. Vengo a dirvi addio.

DUPONT e SIGNORA DUPONT. Addio?

LA BAULE. Sì... decisamente vivere a Parigi è al di là delle mie forze... Vado a piangere nel Midi: partirò domani mattina.

SIGNORA DUPONT.    No!

LA BAULE. Scusate!... Dopodomani, Montecarlo sarà inondata dalle mie lacrime.

SIGNORA DUPONT. Nemmeno per sogno. .Voi partirete fra tre giorni.

DUPONT. Ammesso che partiate.

LA BAULE. Perché?

SIGNORA DUPONT. Perché in tre giorni possono capitare tante cose... oppure non capita niente.

(Disposizione: Couzan, la signora Dupont, La Baule, Dupont.)

DUPONT. E in questo caso sposate Paulette.

LA BAULE. Cosa? io? sposare Paulette?

DUPONT. Sì, la riprendiamo a Trivelin.

LA BAULE. Ah! ne ero certo! quel miserabile l'ha resa infelice!

SIGNORA DUPONT. No, però non l'ha resa felice!

LA BAULE. C'è qualcosa che mi sfugge!

DUPONT. Sentite!

COUZAN. Non vorrai raccontare al signore...

DUPONT. Ah, non faccio complimenti. (Parla sottovoce all'orecchio di La Baule.)

SIGNORA DUPONT (a Couzan). Ha ragione!

LA BAULE (con un grido). Oh!

DUPONT. Avete capito, adesso?

LA BAULE (con un grido ancora più forte). Oh!

SIGNORA DUPONT. E tutte le volte che vede un doganiere, accade!

LA BAULE. No! Ah! questa è bella! è proprio bella! E questo sarebbe l'uomo di tutte le prime?

DUPONT. Delle prime? ma nemmeno delle prove!

SIGNORA DUPONT. E siccome avete il numero due, se entro tre giorni mia figlia non sarà sua moglie, sarà vostra!

DUPONT. Sarà vostra!

LA BAULE (con emozione). Oh! signora! Io la farò felice, io, e non una sola volta, ma dieci! (Piange.)

DUPONT. Ah! no! ora non dovete piangere più!

LA BAULE (gettandosi nelle braccia di Dupont). È per la gioia, questa volta, per la gioia!

SIGNORA DUPONT. Beh, e io chi sono? Vieni fra le mie braccia, ragazzo mio! (La Baule si getta nelle braccia della signora Dupont, mentre Trivelin entra da destra in primo piano.)

Scena quattordicesima

GLI STESSI, DE TRIVELIN

DE TRIVELIN (a Dupont). Chi è quel signore che sta abbracciando vostra moglie?

DUPONT. Il fidanzato della vostra, signore.

DE TRIVELIN. Prego?

DUPONT. È La Baule.

DE TRIVELIN. Lui! (Va verso La Baule.) Signore, ho un buon consiglio da darvi, ed è che ve ne andiate immediatamente.

LA BAULE. Scusate, signore, non vi conosco.

DE TRIVELIN. Sono il conte de Trivelin!

LA BAULE. Ah! siete voi l'uomo del doganiere!

DE TRIVELIN (fuori di se). Come, gli hanno già raccontato... (a La Baule.) Signore, vi dichiaro...

LA BAULE (ironico). Oh! voi non avete niente da dichiarare!

DUPONT e SIGNORA DUPONT (ridendo e applaudendo). Bravo!

DE TRIVELIN. Ah! uscite!... uscite, signore, o finisce male.

LA BAULE (risentito). Signore!

SIGNORA DUPONT. No, no, non rispondetegli!

DUPONT. Ritornate fra tre giorni.

LA BAULE. Va bene, mi ritiro, non voglio prenderlo per il collo... (Alla signora Dupont, sempre guardando Trivelin con disprezzo.) Arrivederci, suocera.

SIGNORA DUPONT. Arrivederci, genero.

LA BAULE (a Trivelin). Quanto a voi, signore, ci rivedremo prima di quanto pensiate!

DE TRIVELIN (furioso). Signore!

LA BAULE. Signore!

SIGNORA DUPONT (trascinandolo via). Andate, ragazzo, andate.

LA BAULE. Ah! non mi fa paura! (Esce dal fondo, trascinato da Dupont e dalla signora Dupont)

Scena quindicesima

DE TRIVELIN, COUZAN

DE TRIVELIN. E voi cosa ne dite? Oh! che schifosi!... che carogne! La vecchia specialmente! (Siede sulla sedia di sinistra del salotto.)

COUZAN (mentre gli si avvicina). Su, calmatevi!

DE TRIVELIN. Sono un uomo perduto, bruciato!

COUZAN. Ma no! che diamine! Il caso non è affatto disperato; è un caso ben noto, di origine strettamente psicologica! E se vostra suocera fosse un medico!...

DE TRIVELIN (alzandosi). Oh! no... è abbastanza pericolosa cosi! (Va a sedersi sulla poltrona, a sinistra.)

COUZAN (seguendolo). Siete un tipo nervoso, impressionabile, tutto qui. E poi l'inconveniente che vi è capitato è molto frequente... Io stesso che vi sto parlando...

DE TRIVELIN. Cosa, voi?

COUZAN (sedendosi sul puf). Proprio cosi. La povera signora Couzan, - pace all'anima sua - ha conosciuto le gioie coniugali soltanto due mesi dopo le nozze.

DE TRIVELIN. È mai possibile?... E anche lei per colpa di un doganiere?

COUZAN. No, no, a causa di un vitello.

DE TRIVELIN. Un vitello?

COUZAN. Si, dovete sapere che in provincia - la povera signora Couzan, pace all'anima sua, era di Bayeux -. In provincia c'è l'usanza, il giorno delle nozze, di fare agli sposi degli scherzi di cattivo gusto. I testimoni della povera signora Couzan, pace all'anima sua!... pensarono dunque che fosse una trovata spiritosa nascondere nella camera nuziale, dietro un paravento, un vitello.

DE TRIVELIN. No.

COUZAN. Ah! sanno divertirsi in provincia! Sulle prime, io non mi accorsi di nulla, ma nel momento preciso in cui, mi capite...?

DE TRIVELIN. Sì, sì, nel momento in cui, nel caso mio, fece irruzione il doganiere...

COUZAN. Esattamente! il vitello si mise a chiamare la mamma (De Trivella emette una sorta di muggito.) Proprio cosi! te immaginare la mia faccia.

DE TRIVELIN. La immagino! Ed anche la sua!

COUZAN. Furioso, costrinsi quel ruminante a scendere le scale molto più in fretta di come le aveva salite, e volli riprendere la conversazione appena iniziata. Ah! si!... zero al quoto! Muto come un pesce!

DE TRIVELIN. Come me!

COUZAN. L'indomani, stesso mutismo, i giorni successivi pure... (Alzandosi.) Quell'animale mi ossessionava! Stava la davanti a me, chiamando la mamma! Provatevi a cogliere un fiore d'arancio in quelle condizioni!

DE TRIVELIN. Accidenti! E poi?

COUZAN (tornando a sedersi). Le notti si succedettero alle notti. Le settimane alle settimane... come voi, io mi dicevo: sono perduto... bruciato!

DE TRIVELIN. E allora? E allora?

COUZAN. Allora, disperato, andai a consultare un amico medico... gli parlai della paura che mi aveva preso, di avere perduto per sempre l'uso della parola, e lui mi rispose: «Non fare l'idiota, va a trovare Clemenza!».

DE TRIVELIN. Clemenza?

COUZAN. La cocotte di Bayeux. Nelle città piccole ce n'è una sola, o la va o la spacca.

DE TRIVELIN   E voi siete andato a trovare Clemenza?

COUZAN (Alzandosi)    E Clemenza mi restituì l’orgoglio di essere uomo.

DE TRIVELIN (stesso gioco). Ma no...

COUZAN (alzando gli occhi al cielo). È la sola volta che ho tradito la povera signora Couzan, pace all'anima sua, ma l'ho fatto per farla felice.

DE TRIVELIN. Ah! però! e poi... più nessun episodio di afonia?

COUZAN. Mai più! tuttavia...

DE TRIVELIN (inquieto). Come?

COUZAN. Da quel momento, non posso più sopportare la fesa di vitello!

Scena Sedicesima

GLI STESSI, DUPONT, LISA E GONTRANO, poi LA SIGNORA DUPONT

DUPONT (entrando da sinistra, in primo piano, seguito da Gontrano e da Lisa). Sì... sì... È tempo che te vai mio giovane amico!

COUZAN. Scendo con voi, signor de Barbettes

DUPONT. Lisa, vai a dire a tua madre e a tua sorella che i signori se ne vanno.

LISA. Si, papa... (Esce a destra, n primo piano. Couzan e de Trivelin sono tornati verso il fondo e parlano sottovoce durante le battute successive.)

GONTRANO (a Dupont mostrando Lisa) Oh! E’ molto graziosa.

DUPONT. Vero?

GONTRANO. La farò felice!

DUPONT. Ci conto.

GONTRANO. Felice come sua sorella! (Torna verso il fondo in direzione di Couzan.)

DUPONT (fra di se). Sua sorella, povera piccina.., ma ci penso io!... (A voce alta.) Des Barbettes, venite un pò qua... (Sottovoce e con aria gioviale.) Avete un'amante, eh?

GONTRANO (vivacemente). Io? no, lo giuro.

DUPONT (con aria preoccupata). Ah. E a da quanto tempo non ce l'avete?

GONTRANO. Da quando voglio bene alla signorina Lisa, da sei mesi.

DUPONT (a parte). Sei mesi come l'altro. Vuoi vedere che anche l'altro?...

GONTRANO (stupito, a parte). Ma perché mi fa questa domanda?

DUPONT (sottovoce). Des Barbettes, che ne pensate dei doganieri?

GONTRANO (stupefatto). I doganieri? Che sono i nemici dei contrabbandieri.

DUPONT (fra di sé). Già, dei contrabbandieri! (A Gontrano.) Domani mattina venite da me, e non mancate, devo parlarvi.

GONTRANO.  Sì, signor Dupont... (A parte.) Ma che cos'ha?

COUZAN (che durante le battute precedenti ha parlato sottovoce con Trivelin, a costui, sempre a bassa voce). Ve lo ripeto, è un rimedio infallibile!

SIGNORA DUPONT (entrando da destra, in primo piano, seguita da Lisa). Caro Couzan, Paulette vi prega di scusarla, sta cambiandosi.

COUZAN. È scusatissima. Arrivederci, cara signora.

SIGNORA DUPONT. Arrivederci, caro amico. (A des Barbettes) Arrivederci, Gontrano.    

GONTRANO. Posso chiedervi il permesso di baciare la mia fidanzata?

SIGNORA DUPONT. Mio giovane amico, conoscete i miei principi, bacerete la vostra fidanzata quando sarà vostra moglie.

DUPONT. Tuttavia, se ci tenete tanto a baciare una persona di sesso diverso dal vostro, c'è la suocera che non aspetta altro.

GONTRANO. Ma con piacere! (La bacia.)

DUPONT (a Gontrano). Forza, non abbiate paura, premete..

COUZAN (a Lisa). Arrivederci, Lisetta!

LISA. Vi accompagno, signor Couzan.

COUZAN (sottovoce a Trivelin, stringendogli la mano). Infallibile!

DE TRIVELIN. Grazie!

LISA (sottovoce a Gontrano). Ci baceremo in anticamera

(Couzan e Gontrano escono dal fondo, accompagnati da Lisa)

Scena diciassettesima

DE TRIVELIN, DUPONT, LA SIGNORA DUPONT.

SIGNORA DUPONT (che è tornata verso il fondo, a destra, assieme a Dupont). Ora dobbiamo lasciarvi, signor conte de Trivelin

DE TRIVELIN (in tono conciliante). Non so che dirvi, mammina.

SIGNORA DUPONT. Oh! mammina! ne riparleremo fra tre giorni.

DUPONT. Quel che vi rimane da fare lo sapete.

DE TRIVELIN (irritato). Si, signore! lo so, lo so!

DUPONT. Tre giorni!

DE TRIVELIN. Tre giorni, però...

SIGNORA DUPONT. Più di quanti ne ha avuto bisogno il Padreterno per creare l'uomo.

DUPONT. E la donna!

DE TRIVELIN (in tono conciliante). Vi prego.

SIGNORA DUPONT. Buonanotte, signor conte de Trivelin.

DUPONT. Buonanotte, discendente di guerrieri!

SIGNORA DUPONT. Vieni, Beniamino, andiamo a letto. (Sottovoce e abbassando gli occhi.) E diamo il buon esempio!

DUPONT (a parte). Come? eh! no!

Scena diciottesima

DE TRIVELIN, poi PAULETTE.

DE TRIVELIN (solo). Tre giorni! tre! neanche otto, come si fa coi domestici!

PAULETTE (entrando da destra in primo piano, in un civettuolo déshabillé, con le spalle e le braccia nude). Oh, Roberto, che fate qui?

DE TRIVELIN. Oh, cara! cara mogliettina mia! (A parte.) Tre giorni! (A Paulette.) Pensavo a te.

PAULETTE. Ah!

DE TRIVELIN. Vieni a sederti... (La prende per mano e la fa sedere sul puf; fra di sé.) Vediamo un po' se mi riesce! Qui non ci sono doganieri! nessuno mi minaccia!

PAULETTE. E che cosa pensavate di me?

DE TRIVELIN. Pensavate!... Usi il voi?

PAULETTE. È buffo, non mi riesce di dire "tu".

DE TRIVELIN. Ti abituerai!

PAULETTE (alzandosi). Ditemi... no, dimmi... sei arrabbiato con la mamma?

DE TRIVELIN. Ma no! Ma no!

PAULETTE (si porta a destra e va a sedersi sul divano). Ah! è venuta in camera mia e mi ha fatto un sacco di domande.

DE TRIVELIN (fra i denti). Oh! la vecchia carogna!

PAULETTE. Che stai dicendo?

DE TRIVELIN (sedendo sul divano). Niente! Che cosa ti ha chiesto quella santa donna di tua madre?

PAULETTE. Cose strane, non ci capivo niente. Poi mi è sembrato che se la prendesse con te... Forse avete bisticciato.

DE TRIVELIN. Al contrario... tua madre mi adora... figurati, per lei sono un dio!

PAULETTE. Meglio così... Andiamo a letto? (Fa per alzarsi.)

DE TRIVELIN. No, cara Paulette, non ancora. (La fa sedere di nuovo.) Sono così felice di sentirti vicino a me, così tutta mia!

PAULETTE. Anche in viaggio ero tutta vostra!

DE TRIVELIN. Sì, ma avevo tante preoccupazioni, tanti fastidi.

PAULETTE. Ah! avevate sempre paura di perdere il treno.

DE TRIVELIN. Certo! Mentre qui, non ho nessuna paura di perdere il treno. (Le passa un braccio attorno alla vita.) Sei mia moglie! La mia cara mogliettina!

PAULETTE. Lo sono da un mese!

DE TRIVELIN. Non è la stessa cosa... Riprendiamo il discorso dal punto in cui lo abbiamo abbandonato un mese fa...

PAULETTE. In treno.

DE TRIVELIN (alzandosi eccitato). Non parliamo più di treno… Non parliamo più di treno. (Paulette si è alzata.) Ah! Paulette! mia Lélette! (L'abbraccia.)

PAULETTE. Che avete? siete buffo, stasera.

DE TRIVELIN. No, non sono buffo, no, non sono buffo! (La bacia con frenesia.)

PAULETTE. Smettila! Mi fai venire la pelle d'oca!

DE TRIVELIN. E a me quella di gallo! (La bacia.)

PAULETTE. Non mi avete mai baciata in questo modo!

DE TRIVELIN (con fuoco). È vero, è vero.

PAULETTE. Mi sembra di essere cappuccetto rosso azzannato dal lupo.

DE TRIVELIN. Un lupo buono, mia cara, che ti divorerà.

PAULETTE. Nonna, perché mi guardate con occhi tanto accesi?

DE TRIVELIN. E’ per meglio affascinarti, bambina mia.

PAULETTE. Nonna, perché le vostre labbra sono così brucianti?

DE TRIVELIN. E per meglio baciarti, bambina mia.

PAULETTE. Nonna, perché le vostre mani sono così tremanti?

DE TRIVELIN. E per meglio rapirti, bambina mia!

PAULETTE. Roberto! Roberto! (De Trivelin la trascina nella camera e spegne la luce con l'interruttore che sta accanto alla porta. Notte. La scena rimane vuota. Poi sì vede la porta d'ingresso che si apre. Compare La Baule vestito da doganiere. Ha una barba finta e in mano una candela accesa.)

Scena diciannovesima

LA BAULE, poi DE TRIVELIN, nelle quinte.

LA BAULE (solo, dopo essere avanzato fino al centro della scena, e togliendosi la barba finta). Sono io! (Si rimette la barba finta.) Cinque luigi a una guardia di finanza della gare du Nord, per avere la divisa in prestito, due luigi a Ernestina per farmi dare le chiavi di casa, ed eccomi qui... Oh! no, mio caro, non sarai il marito della mia Paulette! Vediamo un po'! la loro camera è da quella parte... (Si dirige verso la porta di destra e guarda dal buco della serratura.) Ah! Dio mio! arrivo in tempo!

(Apre la porta.)

VOCE  DI TRIVELIN (gridando). Ah!

LA BAULE (con voce forte). Niente da dichiarare?

VOCE DI TRIVELIN (stesso gioco). Ah!

(La Baule richiude la porta, soffia sulla candela e fugge dalla porta di fondo. Buio.)

Scena ventesima

DE TRIVELIN, poi PAULETTE, nelle quinte.

DE TRIVELIN (entrando in maniche di camicia). Dov'è? Dov'è? (accende la luce elettrica, va ad aprire la porta di fondo) Nessuno! Nessuno ! (Con comica iracondia.) Ma insomma! ho le allucinazioni, adesso?

PAULETTE. Roberto, vieni?

DE TRIVELIN. Vengo, vengo! Dormi. (A parte.) Due giorni soltanto. (Cade a sedere sul puf).

Fine primo atto


ATTO SECONDO

(Studio da pittore. Arredamento di lusso e un po' «cocotte». Porta d'ingresso sul fondo, nel «pan coupé» di destra. Due porte a sinistra. Sul fondo, grande vetrata da studio. Finestrina praticabile a un solo battente, nel «pan coupé» di sinistra. Sul fondo, accanto alla porta d'ingresso, un piccolo paravento. Sotto la vetrata, un poco a sinistra, un tavolo, sul quale si trova un elmo da guerriero romano. Fra il tavolo e il paravento, un cavalletto con un quadro che rappresenta Mario che medita sulle rovine di Cartagine. Un peplo rosso è appeso sul cavalletto. A sinistra, una sedia a sdraio. Alla destra della sedia un grande cavalletto disposto un po' obliquamente. Sul cavalletto un quadro piccolo e dietro, appoggiata ad esso, una grande tela raffigurante una donna a grandezza naturale e poco vestita. Contro il cavalletto è appoggiata una lancia da guerriero romano. Uno sgabello fra il cavalletto e la sdraio. A destra della scena, un terzo cavalletto, e su di esso un quadro a cui, all'alzarsi del sipario, sta attendendo il Premio Roma, seduto su uno sgabello. A sinistra di questo cavalletto, una sedia; a destra, uno sgabello e sotto una scatola di colori aperta. A sinistra della sedia e davanti ad essa, una specie di sgabellino su cui si sale per posare. Alla destra della porta d'ingresso, un piccolo scaffale. Fra le due porte di sinistra, uno stipo. Numerose tele appoggiate ai muri, ninnoli, mobili ecc.)

Nota importante. In questo atto, gli abiti di Dupont, Trivellin e Frontignac, se non del tutto simili, devono almeno avere una certa somiglianza nel  colore, affinché si possano confondere a prima vista.

Scena prima

ZEZÉ, MARIETTA, IL PREMIO ROMA.

(All’alzarsi del sipario, Zézé è seduta sulla sdraio. Marietta, seduta sopra una sedia bassa, le fa la manicure. Sullo sgabello accanto alla sdraio, lima per unghie, spazzolino ecc. Il Premio Roma sta dipingendo a destra.)

ZÉZÉ. Ti manca molto, Manetta?

MARIETTA. Ho finito, signora.

ZÉZÉ. Senti un po', hai letto i giornali stamattina?

MARIETTA.  Il Piccolo, come sempre.

ZÉZÉ. Niente di nuovo?

MARIETTA. No, cose senza importanza. Massacri di qua, terremoti di là.

ZÉZÉ. E il mistero di Vincennes?... Il mandrillo della vedova Tripette? Non l'hanno ancora preso?

MARIETTA. Figuriamoci! Non Io prenderanno mai; è troppo furbo!

IL PREMIO ROMA (sempre dipingendo). Ad ogni modo, violentare una donna di ottant'anni... Ha avuto un bel coraggio, l'amico!

MARIETTA. Questo è certo.

ZÉZÉ. C'è gente che ha Meritato la medaglia per molto meno!

MARIETTA (alzandosi). Ecco fatto, signora.

ZÉZÉ (alzandosi). Finalmente! sono le due e non sono ancora pronta.

MARIETTA. Oh! il signor Velasquez non viene mai prima delle due e mezzo. (Durante le battute successive, Marietta va a chiudere nello stipo di sinistra la lima per unghie, lo spazzolino ecc., riporta la sedia accanto al mobile e dispone lo sgabello accanto alla sdraio che sta vicino al cavalletto.)

ZÉZÉ. È sempre troppo  presto. Che barba!

IL PREMIO ROMA. Sarà, ma mi è simpatico, quel vecchio magistrato.

ZÉZÉ (spostandosi a destra). Se non lo conosci!

IL PREMO ROMA. Lo conosco per tuo tramite. Mi hai detto che andava matto per questa pittura.

ZÉZÉ. E vero. Mi dice sempre: Zézé, avete nelle mani una fortuna.

IL PREMIO ROMA. Se sapesse che invece non hai mai tenuto in mano un pennello e che hai un vecchio Premio Roma nello studio!

ZÉZÉ (sedendo a sinistra del cavalletto del Premio Roma). È caduto nel tranello.

IL PREMIO ROMA. Come gli altri.

ZÉZÉ (stirandosi). E stata comunque un'idea straordinaria, la mia! Che cosa sarei per la gente senza questa etichetta, dopo che ho lasciato mio marito a Biskra?

IL PREMIO ROMA. Messer Frontignac, mercante di cammelli.

ZÉZÉ. Sarei Zézé la baldracca, e nient'altro. Mentre ora sono un'artista; si parla di me sui giornali, espongo al Salon, sono fuori concorso.

IL PREMIO ROMA. E pensare che quando firmavo i quadri col mio nome, mi offrivano al massimo cinquanta franchi compresa la cornice!

ZÉZÉ (alzandosi). Perché non davi un premio. Io invece do sempre un premio per chi acquista.

IL PREMIO ROMA. Il tuo corpo di etera!

ZÉZÉ. Ed è il premio, che piace agli acquirenti. (Posando il piede destro sullo sgabellino e stirandosi.) E strano, mi sento qualcosa addosso, oggi, sono nervosa.

IL PREMIO ROMA. E la primavera.

ZÉZÉ. La primavera! Hai ragione. Per questo da ieri mi sento

languida e ho un formicolio nelle gambe!

IL PREMIO ROMA. Perbacco! Sta per arrivare Velasquez, puoi festeggiare la primavera assieme a lui!

ZÉZÉ. Festeggiare la primavera assieme a lui? Ah! no, tu non lo permetteresti! non so con chi la festeggerò, ma di una cosa sono certa...

IL PREMIO ROMA.  Che  Velasquez avrà le corna ancora una volta!

ZÉZÉ. L'hai detto! Oggi, caro Premio Roma, ho bisogno amore, fosse pure l'ultimo rimasto. Appena Velasquez arriva, me ne libero per tutto il giorno. (Campanello, nelle quinte.) Un colpo secco! È lui... (A Marietta.) Fallo entrare. (Al Premio Roma che si è alzato.) E tu, gambe!... Passami i pennelli e la tavolozza.

IL PREMIO ROMA. Devo filarmela in cucina?

ZÉZÉ. No, mettiti il peplo e l'elmo.

IL PREMIO ROMA. Bene. (Si mette l'elmo e il peplo, poi     sale sullo sgabellino, dopo aver preso la lancia che sta contro il cavalletto di mezzo.)

ZÉZÉ. Vedrai come faccio presto a liquidare la magistratura. (Siede davanti al cavalletto di destra.)

IL PREMIO ROMA. Che cosa gli racconta ancora? (Si mette in posa di fronte al pubblico, con la mano sinistra un po' sollevata, e la mano destra che tiene la lancia.)

ZÉZÉ. Mah! Coi citrulli c'è solo l'imbarazzo della scelta.

IL PREMIO ROMA (al pubblico). E pensare che sono un Premio Roma!

Scena seconda

GLI STESSI, MARIETTA, poi VELASQUEZ, ovvero DUPONT.

MARIETTA (entrando dal fondo e annunciando). Il signor Velasquez!

DUPONT (entrando con un mazzolino di mughetti in mano) Buongiorno, cara Zézé!

ZÉZÉ (fingendo di dipingere). Buongiorno, Velasquez! (Vedendo i mughetti.) Oh! i mughetti!

DUPONT (galante). I fiori della primavera  (Canticchiando, mentre va a posare i mughetti in un vaso che sta sullo scaffale.) O vago mese di maggio... Vago mese di maggio... (Viene avanti fra il Premio Roma e Zézé.) Già al lavoro?

ZÉZÉ. Da stamani all'alba... Do l'ultimo tocco a questa tela.

DUPONT. Permettete ch'io baci ancora una volta questa mano che è di un principe dell'arte e nello stesso tempo della principessa del mio cuore.

IL PREMIO ROMA (a parte, all'indirizzo di Dupont). Un buon citrullo... un po' avvizzito!

DUPONT (ammirando il quadro). Ammirevole! È ammirevole!

IL PREMIO ROMA (a parte). Ma un citrullo di gusto.

DUPONT. Zézé! cara Zézé! (Si china per abbracciarla.)

ZÉZÉ. Attento! (Gli mostra la tavolozza.)

DUPONT (ridendo). Ah! E’ vero. Attenti alla pittura! (Si gira e appende il cappello alla mano sinistra del Premio Roma. Questi prende il cappello con la destra, Dupont osserva stupito il gioco scenico.) Toh! Allora è vivo! È un essere umano!

ZÉZÉ. Sì, è un vecchio italiano! papa Bellacoscia; non preoccupatevi per lui, non sa una parola di francese.

DUPONT. Ah! quant'è brutto! Deve aver posato per i draghi di Notre Dame.

(Torna verso il fondo e appende il cappello sul cavalletto davanti al quale è seduta Zézé; poi si sposta a destra.)

ZÉZÉ (sottovoce, chinandosi verso il Premio Roma). Povero Premio Roma!

IL PREMIO ROMA (a bassa voce). Comincia a seccarmi.

DUPONT. Senti, Zézé, manda via questo cretino; non vedo l'ora di rimanere solo con te.

ZÉZÉ. Oh, davvero? (A parte.) Ah! no, perdinci! (Si alza e finge di avere uno stordimento.) Ah!

DUPONT. Che avete?

ZÉZÉ. Un malore.

DUPONT (inquieto). Un malore? Venite a sdraiarvi. (La conduce verso la sdraio e si siede a sinistra di Zézé.)

ZÉZÉ. E il decimo da stamattina.

DUPONT. Ma che dite!

ZÉZÉ. Da qualche giorno, ho delle vertigini, sono nervosa.

DUPONT. Ah! mah!

ZÉZÉ. E ho delle voglie.

DUPONT (sospettoso). Ah!

ZÉZÉ. Delle voglie irresistibili!

DUPONT (con emozione). Cielo! Forse che voi... forse che tu...?

ZÉZÉ (gettandosi fra le sue braccia). Credo di sì, amico mio.

IL PREMIO ROMA (a parte,  guardando Dupont). Ah! quant'è bello!

DUPONT (alzandosi, con immensa gioia). Un piccolo Zézé! Ho fatto un piccolo Zézé... (Al Premio Roma.) E quell'idiota di Trivelin che non è nemmeno capace...

IL PREMIO ROMA (assumendo un accento italiano). Che?

DUPONT. Nulla. (A Zézé che si è alzata e che lui fa sedere di nuovo.) Non alzare le braccia, torna giù... e dimmi... hai delle voglie?

ZÉZÉ. Irresistibili.

DUPONT. Bisogna soddisfarle subito, altrimenti il bambino nascerà con dei segni.

ZÉZÉ. E così, nevvero? Ecco, da quando sei arrivato, ne ho una nuova, oh! ma terribile.

DUPONT. E quale?

ZÉZÉ (tenera). Desidero che tu te ne vada!

DUPONT. Eh?

IL PREMIO ROMA (a parte). Ah! bene.

DUPONT (sconcertato). Non potresti avere un'altra voglia?

ZÉZÉ. Se non te ne vai subito, mi sentirò male, sono certa!

DUPONT (agitatissimo, si alza, va a cercare il cappello, ritorna urtando il Premio Roma). No, no, me ne vado... Dove vuoi che vada?

ZÉZÉ. Ad Argenteuil.

DUPONT. Bene, bene, ma a che scopo?

ZÉZÉ. A comprare degli asparagi.

DUPONT. Bene, bene! ma senti: devo proprio andare fin laggiù?

ZÉZÉ (come se avesse un attacco di nervi). Rifiuta! Ah il bambino, il mio povero bambino, nascerà con un marchio!

DUPONT (sgomento). No, no, distenditi... non bisogna... vado.

ZÉZÉ. Prendi quel che c'è di meglio.

DUPONT. Sta' tranquilla... (Allegramente, al Primo Roma.) Ha una voglia di asparagi! E curioso, quando sono nato io, mia madre aveva una voglia di citrulli. (Torna verso il fondo.)

IL PREMIO ROMA (a parte). Un'altra voglia non soddisfatta!

DUPONT (esaltato). Un piccolo Zézé! Ho fatto un piccolo Zézé!

(Esce rapidamente dal fondo.)

Scena terza

ZÉZÉ, IL PREMIO ROMA, poi DUPONT.

ZÉZÉ (alzandosi). Rompete le righe!

IL PREMIO ROMA (scendendo dallo sgabellino). Sei un fenomeno!

ZÉZÉ e IL PREMIO ROMA (cantando). Viva i citrulli! Viva i citrulli! (Abbozzano un passo di danza. Nello stesso momento, ricompare Dupont.)

DUPONT (con un grido). Eh! ballate... con lo Svizzero?

(Zézé e il Premio Roma si arrestano, interdetti.)

ZÉZÉ. Oh! amico mio, è la gioia, la gioia d'essere madre.

DUPONT (sospettoso). Ah! E gridate: viva i citrulli?

ZÉZÉ (animatamente). No, fanciulli; gridavo viva i fanciulli. E  accennavo a una danza.

DUPONT. Ed io che vi consigliavo di non alzare le braccia!

IL PREMIO ROMA. Parlavate di braccia, non di gambe.

DUPONT. E il vecchio "macaroni" che parla la nostra lingua.

ZÉZÉ. La parla, ma non la capisce.

IL PREMO ROMA. Grazie, signor, grazie.

DUPONT (sempre sospettoso). Sì, sì! Sono tornato per chiedervi quanti ne volete.

ZÉZÉ. Un mazzo basta, amico mio, un mazzo solo; ma andate, andate!

DUPONT. Sì, sì... (A parte, tornando verso il fondo.) Ah! vuoi vedere che questi si divertono alle mie spalle? Metteremo in chiaro la cosa! (Esce dal fondo.)

Scena quarta

ZÉZÉ, IL PREMIO ROMA, poi MARIETTA.

IL PREMIO ROMA. Uhm! quello sospetta. (Torna verso il fondo)

ZÉZÉ. Velasquez? Ma no... Crede a tutto ciò che gli dico.

IL PREMIO ROMA (che ha socchiuso la porta di fondo). Questa volta se n'è andato per davvero. (Si toglie l'elmo e il peplo e va a posarli sul fondo, assieme alla lancia.).

ZÉZÉ. Gli faccio vedere la luna a mezzogiorno.

IL PREMIO ROMA. Proprio per questo tornerà. (Durante le battute successive, il Premio Roma toglie il cavalletto di destra lo trasporta sul fondo accanto a quello che c'è già; toglie quindi lo sgabello su cui si era seduto e quello più piccolo sul quale era salito per posare, e posa quest'ultimo dietro il paravento)

ZÉZÉ. Oh! libera! Sono libera!

MARIETTA (entrando da destra, in secondo piano). Signora!

ZÉZÉ. Che c'è, Marietta?

MARIETTA. C'è un signore che aspetta, è arrivato poco fa. Poiché la Signora mi aveva detto che avrebbe mandato via il signor Velasquez... l'ho fatto entrare in sala da pranzo.

ZÉZÉ. Hai fatto bene, Marietta. Gli hai chiesto il nome?

MARIETTA. Sì, ma mi ha risposto che il nome non avrebbe chiarito niente. Viene per i quadri.

ZÉZÉ. Un altro appassionato.

IL PREMIO ROMA. Per avere il premio!

ZÉZÉ (a Marietta). Che tipo è?

MARIETTA. Un tipo elegante.

ZÉZÉ (a Marietta). Bene, fallo entrare qui. Poi vieni in camera mia, devi pettinarmi.

MARIETTA. Bene, signora.

ZÉZÉ (al Premio Roma, che ha terminato di disporre gli oggetti) Tu vai nel bagno a fare un acquerello.

IL PREMIO ROMA. Bene. (Estrae dalla tasca un astuccio da pipa, prende la pipa e se la mette in bocca.)

ZÉZÉ (a Marietta). Ah! digli che sono col sottosegretario di Stato alle belle arti. Funziona sempre.

MARIETTA. Si, Signora. E se torna il signor Velasquez?

ZÉZÉ. Gli dici di tornare domani, che ho una nuova voglia. Toh, la voglia di rivedere mia madre. (Esce a destra, in primo piano.)

MARIETTA. Bene, Signora. (Esce dal fondo.)

IL PREMIO ROMA (fra di sé). No! guarda un po' che cosa mi tocca fare in questa vita d'inferno! Avere un talento da fare impallidire Rubens e far firmare i miei quadri da una baldracca!

(Esce a sinistra, in secondo piano, dopo aver posato l'astuccio sullo stipo.)

Scena quinta

MARIETTA, DE TRIVELIN.

MARIETTA (facendo entrare de Trivelin da destra, in secondo piano). Da questa parte, Signore! La Signora mi ha pregato di riferire al Signore che sta col sottosegretario di Stato alle Belle Arti.

DE TRIVELIN. Accidenti! E da quanti mesi?

MARIETTA. Il Signore non mi ha capito... non è una relazione... La Signora è in conversazione. Una commessa da parte dello Stato.

DE TRIVELIN. Ah! benissimo... (Le da dei soldi.) Prendi un luigi e dille di spicciarsi.

MARIETTA. Il Signore ha fretta?

DE TRIVELIN. Non ne hai idea!

(Marietta esce mentre Trivelin si siede accanto alla sdraio.)

Scena sesta

DE TRIVELIN, poi MARIETTA, poi ZÉZÉ.

DE TRIVELIN (solo). Ah! Quel doganiere!... Quel doganiere!... (Alzandosi.) Anche ieri, come l'altro ieri, nel momento che si sa, la sua ombra mi è apparsa e ho sentito la sua voce di scherno gridare: «Niente da dichiarare?». Ed eccomi giunto all'ultimo giorno. Ho ancora soltanto dieci ore! Se questa sera, a mezzanotte, non ho ritrovato il mio orgoglio di uomo, gli infami Dupont si riprenderanno la mia adorata Paulette! Niente più indugi, dunque, e poiché il sistema di Couzan è infallibile... Buttiamoci!

MARIETTA (comparendo da destra, in primo piano). Signore, la Signora. (Compare Zézé, Marietta esce dal fondo.)

Scena settima

DE TRIVÉLIN, ZÉZÉ, poi MARIETTA.

ZÉZÉ. Scusatemi, signore, se vi ho fatto aspettare, ma dovevo concludere un affare.

DE TRIVELIN. Col sottosegretario di Stato alle Belle Arti, lo so.

ZÉZÉ. Si tratta di un'importante commessa per il museo del Lussemburgo. (Gli fa segno di sedere sullo sgabello e si siede sulla sdraio.)

DE TRIVELIN (dopo avere appeso il cappello sul cavalletto che sta accanto alla sdraio). Signora, io...

ZÉZÉ (cambiando tono). Scusate! ho l'impressione di avervi già conosciuto.

DE TRIVELIN. Sì, Signora, ho avuto l'onore di cenare accanto a voi, sei mesi or sono.

ZÉZÉ (cercando di ricordare). Aspettate un po'.

DE TRIVELIN. Al ballo dell'associazione «Amici dei vecchi Presidenti della Repubblica».

ZÉZÉ. Sì, è così.

DE TRIVELIN. Quella sera siete stata con me di una gentilezza deliziosa. Mi avete detto che assomigliavo un Watteau.

ZÉZÉ. Un Watteau, è vero.

DE TRIVELIN. MI davate dei pizzicotti sul braccio, prendevate degli spicchi d'arancio direttamente dalla mia bocca.

ZÉZÉ (ridendo). In questo mi riconosco.

DE TRIVELIN. Andando via, mi avete detto: mio piccolo Watteau, il giorno in cui ti pungerà vaghezza, non fare complimenti: non ti costerà niente!

ZÉZÉ. In questo mi riconosco meno! Dovevo essere del tutto partita, eh?

DE TRIVÉLIN. Del tutto partita forse no; un po' lontana.

ZÉZÉ (ridendo). E così. E voi avete approfittato dell'invito? Siete venuto?

DE TRIVELIN. No, sono partito per un viaggio.

ZÉZÉ. E per dove?

DE TRIVELIN. Per Coso... Timbuctù.

ZÉZÉ. E lontano?

DE TRIVELIN. Dalla parte opposta dell'acqua.

ZÉZÉ. Come l’Odeon!

DE TRIVELIN. Sì, ma lasciamo stare Timbuctù. Ah! Clemenza! Mia Clemenza!

ZÉZÉ. Quale Clemenza? Sono Zézé.

DE TRIVELIN. E vero, Clemenza è di Couzan.

ZEZE. Couzan?

DE TRIVELIN. Non cercate di capire. Sappiate soltanto che sono venuto col cuore pieno d'amore.

ZÉZÉ. Ma avete pensato a me, laggiù?

DE TRIVÉLIN. Sempre! Mi dicevo: Ah! se Clemenza fosse qui! (Interrompendosi.) Zézé! Zézé! Clemenza è di Couzan. (Riprendendo.) Ah! se Zézé fosse qui, quante cosine le farei, quante carezze!

ZÉZÉ. È carino!

DE TRIVÉLIN. Lei mi restituirebbe l'orgoglio d'essere uomo.

ZEZE. Eh?

DE TRIVELIN. E grazie a lei, non avrei più paura dei doganieri e tanto meno dei vitelli!

ZÉZÉ (alzandosi). Ma cosa dite? Quali doganieri?

DE TRIVÉLIN. No, no, non cercate di capire. Ascoltate, Zézé, vi parlerò chiaro: ho sete d'amore e sono venuto a dirvi: oggi mi punge vaghezza. Siete voi nella stessa disposizione di sei mesi fa?

ZÉZÉ. Ogni promessa è un debito. Zézé ha una sola parola.

DE TRIVELIN. Ah!  Zézé!

ZÉZÉ. E poi, mio piccolo Watteau, arrivi a proposito. È

primavera e anch'io ho sete d'amore.

DE TRIVELIN. Che combinazione!

ZÉZÉ. Non è Velasquez, come puoi pensare, che può fare la felicita di una donna!

DE TRIVELIN. Naturalmente, è morto da tre secoli!

ZÉZÉ. No! non quello.

DE TRIVELIN. Perché, ce n'è un altro?

ZÉZÉ. Ma sì, il mio amante ufficiale. A tutti i collezionisti che vengono qui, appioppo un nome di pittore... per via dei domestici. Velasquez...

DE TRIVELIN (indicando se stesso). Watteau!

ZÉZÉ. Perfettamente!

DE TRIVELIN. Ingegnosissimo.

ZÉZÉ. Si evitano le indiscrezioni, le chiacchiere.

DE TRIVELIN.  La  tranquillità dei padri di famiglia, insomma.

ZÉZÉ. Ecco.

DE TRIVELIN. E allora, se sono Watteau, fammi imbarcare per Citerà.

ZEZE. Un momento. (Con emozione, gettandosi fra le sue braccia) Mi lascerai subito.

DE TRIVELIN. Oh! Sì.

ZÉZÉ. Quando ci rivedremo? Lo sa il cielo!

DE TRIVELIN. Credi che lo sappia? No, che non lo sa; ti giuro che non lo sa.

ZÉZÉ. Devi andartene con un mio ricordo... un ricordo che appenderai sotto la tenda, là, a Timbuctù.

(Va a prendere il quadro che sta sul cavalletto di fondo.)

DE TRIVELIN. Un ricordo?

ZÉZÉ. Prendi questo quadro.

DE TRIVELIN. Pure? No, è troppo, è troppo!

ZÉZÉ. Come ti sembra?

DE TRIVELIN. (Guardando il quadro dall'alto in basso). Magnifico.

ZÉZÉ. Non così! (Gira il quadro).

DE TRIVELIN. Ah! splendido! Una freschezza di sentimento! E come si coglie immediatamente il pensiero del pittore! Che cosa rappresenta?

ZÉZÉ. Non afferri?

DE TRIVELIN. Neanche un po'.

ZÉZÉ. E’ Mario.

DE TRIVELIN. Un marsigliese! Oh, guarda! Che fa su quel mucchio di sassi?

ZÉZÉ. Medita sulle rovine di Cartagine. Lo prendi?

DE TRIVELIN. Con piacere!

ZÉZÉ. Sono duemila.

DE TRIVEUN. Duemila cosa?

ZÉZÉ. Duemila franchi!

DE TRIVELIN. Ah! sono... Corpo di... è pepato.

ZÉZÉ. Eh, insomma, tieni conto che la scena si svolge in Africa. 

DE TRIVEUN. Non hai qualcosa che si svolge al Polo Nord?... Che so, degli orsi bianchi?

ZÉZÉ. No, c'è dell'altro, ma più caro.

DE TRIVELIN (animatamente). Grazie! Prendo quello. (Posa il quadro sul grande cavalletto di mezzo, poi estrae due biglietti dal portafoglio.)

ZÉZÉ. Hai ragione, è la mia cosa migliore.

DE TRIVELIN. Ecco i duemila.

ZÉZÉ. Grazie! Più tardi potrà valere diecimila franchi come un soldo.

DE TRIVELIN (a parte). Come un soldo, si. (Compare Marietta.)

Scena ottava

GLI STESSI, MARIETTA.

MARIETTA (un poco a disagio). Signora.

ZÉZÉ. Che c'è?

MARIETTA (avvicinandosi e a mezza voce). C'è il vecchio amico della signora che vorrebbe dire una cosa alla signora.

ZÉZÉ. Un vecchio amico?

MARIETTA. Il signor Fragonard!

ZÉZÉ. Fragonard! Oh! impossibile in questo momento.

DE TRIVELIN. Assolutamente impossibile!

ZÉZÉ (andando da Trivelin e mettendogli le braccia attorno al collo, sempre rivolgendosi a Marietta). Digli che sono col sottosegretario di Stato alle Belle Arti. Capirà.

MARIETTA. Gliel'ho detto; ma insiste, rifiuta di andarsene.

ZÉZÉ. Come?

MARIETTA. Deve soltanto dire due parole, ma due parole importantissime.

ZÉZÉ. Infine, se sono soltanto due parole... (A de Trivelin, indicandogli il lato sinistro, in primo piano.) Watteau, vai nel salottino rosa, troverai su una sedia il pigiama dell'invitato... Ti raggiungo subito.

DE TRIVELIN. Sì, ma non perderti in chiacchiere.

ZÉZÉ. Sta' tranquillo.

DE TRIVELIN (a parte, uscendo a sinistra). Ma guarda un po' quel che bisogna fare per essere il marito della propria moglie!

ZÉZÉ (a Marietta). Marietta, fai entrare Fragonard.

MARIETTA. Bene, signora. (Esce dal fondo, a destra.)

Scena nona

ZÉZÉ, poi MARIETTA, e LA BAULE.

ZÉZÉ (sola, accennando a Trivelin). Gli ho preso soltanto duemila franchi, perché è tanto carino!

MARIETTA (entrando dal fondo e annunciando). Il signor Fragonard (Fa entrare La Baule, poi esce.)

LA BAULE (entrando). Buongiorno, Zézé!

ZÉZÉ. Oh! mio piccolo Fragonard, che ti succede? Non vuoi andartene?

LA BAULE. Non te la prendere, Zézé! una parola, una parola soltanto: è ancora qui?

ZÉZÉ. Chi?

LA BAULE. La persona che è arrivata mezz'ora fa.

ZÉZÉ. Ma tu lo conosci?... Come lo sai?

LA BAULE. Sono due giorni che lo faccio pedinare!

ZÉZÉ. Due giorni? e perché?

LA BAULE. Per delle ragioni che sarebbe troppo lungo spiegare. Ed ora rispondimi: che cosa viene a fare qui?

ZÉZÉ. Che stupido! A prendere il premio!

LA BAULE (stupefatto). E mai possibile?

ZÉZÉ. E carino, ma mi sembra un po' originale... Mi ha detto cose che non ho ben capito, parla di restituirgli l'orgoglio d'essere uomo, allo scopo di non avere più paura dei doganieri.

LA BAULE (a parte). Ah! ho capito. (A voce alta.) E tu, l'orgoglio, gliel'hai già reso?

ZÉZÉ. Ancora no, ma sta per indossare il pigiama dell'invitato.

LA BAULE (a parte). Respiro. (A voce alta.) Ascolta, Zézé, vuoi guadagnare cinquemila franchi?

ZÉZÉ. Se lo voglio! Lo credo bene.

LA BAULE. Ebbene, sono tuoi, ma a una condizione.

ZÉZÉ. Quale?

LA BAULE. Non devi andare con lui prima di ventiquattro ore.

ZÉZÉ. Oh, guarda!

LA BAULE. E un'idea come un'altra, non cercare di capire.

ZÉZÉ. Ma, vedi...

LA BAULE (interrompendola). Posso arrivare fino... a diecimila.

ZÉZÉ. Diecimila?

LA BAULE. Diecimila.

ZÉZÉ (costernata). Ed io che m'ero messa in mente tante sciocchezze, possibili ed impossibili... E’ la primavera, sai, e sento delle formiche che s'arrampicano, s'arrampicano...

LA BAULE. Fermale, disgraziata, fermale! Toh, voglio arrivare fino a quindicimila.

ZÉZÉ. Quindicimila? Oh! allora peggio per lui!

LA BAULE. Chiuso per ferie!

ZÉZÉ. Chiuso per ferie. Qualche minutaglia, e più niente fino a domani.

LA BAULE. Quando vedrà che gli resisti, vorrà andarsene... Devi impedirgli di partire.

ZÉZÉ. Sta' tranquillo, gli porto via i vestiti. (Suona il campanello elettrico che sta sul fondo, accanto alla vetrata.)

LA BAULE. Benissimo. Ed ora vado a cercare i millecinquecento franchi.

ZÉZÉ (vivacemente). Scusa, quindicimila.

LA BAULE. D'accordo, però, niente sciocchezze, fai la seria.

ZÉZÉ. Ma sì.

LA BAULE (a parte). Sono salvo. (Esce dal fondo.)

Scena decima

ZÉZÉ, poi MARIETTA, poi DE TRTVELIN.

ZÉZÉ. Peccato, però, non festeggiare Santa Primavera. MARIETTA (entrando in secondo piano). La signora ha suonato?

ZÉZÉ. Appena Watteau esce dal salottino, prendi i suoi vestiti e portali in camera tua.

MARIETTA. Sì, signora.

(A sinistra, in primo piatto, compare Trivelin in pigiama.)

DE TRIVELIN. E allora, Zézé, aspetto.

ZÉZÉ. Ah! com'è bellino così! (Marietta esce a sinistra, in primo piano.)

DE TRIVELIN. Vero? Il pigiama dell'invitato mi va come guanto.

ZÉZÉ. È vero.

DE TRIVELIN. Nessuno più di me può far prodigi / Nemmeno il grande lama, / Quando sono, mia bella, in pigi-pigi, / Quando sono in pigiama.

ZÉZÉ. Siete poeta?

(Marietta ricompare a sinistra, in primo piano, con i vestiti di Trivelin, ed esce a sinistra, in secondo piano, senza essere vista da Trivelin.)

DE TRIVELIN. Ogni uomo nasconde nel cuore un cattivo poeta che sonnecchia; sennonché l'amico non trova le parole. Ah! Zézé, l'amore ci aspetta. Vieni! (Vuole trascinarla.)

ZÉZÉ (lanciando un finto grido di dolore). Ah!

DE TRIVELIN. Che c'è?

ZÉZÉ. Il piede mi s'è girato!... Ahi! ahi!

DE TRIVELIN. Accidenti! Appoggiati a me! fino alla porta! (Indica a sinistra, in primo piano.)

ZÉZÉ. Lasciami sedere!

DE TRIVELIN. Ma no, ma no, non è niente.

ZÉZÉ (mettendosi sulla sedia a sdraio). Un momento solo, caro.

DE TRIVELIN. Un momento! Ah! maledetto piede che ci fa perdere tempo prezioso! Qual è? (Si siede accanto a lei.)

ZÉZÉ. Credo che sia questo, caro.

DE TRVELIN. Non siete sicura?

ZÉZÉ. Sì! sì!

DE TRIVELIN. Aspettate, lo massaggio leggermente. (Lo massaggia.)

ZÉZÉ. Così va bene.

DE TRIVELIN (facendo il vocione). Ah! piedaccio! Meriteresti una botta!

ZÉZÉ. Eh! (Fa l'atto di ritirare il piede.)

DE TRIVELIN. Non temete; gli faccio paura, così non ricomincia!

LA BAULE (facendo capolino dalla porta di fondo, a parte, senza essere visto dagli altri). Sul divano? Oh, no! (Scompare.)

DE TRIVELIN. E una delizia, questo piede maldestro! Ah! ma come può fare così male un piede fatto così bene?

ZÉZÉ. Ora va meglio. Grazie! (Si alza e si porta a destra.)

DE TRIVELIN (si alza anche lui e raggiunge Zézé, che prende fra le braccia). Fra un minuto non sentirà più niente, e per guarirlo del tutto lo coprirò di baci, come copro di baci questa mano squisita e questo braccio divinamente tornito! (La bacia.)

ZÉZÉ. Dio! come bacia bene!

DE TRIVELIN. Ah! Zézé! mia Zézé!

ZÉZÉ. Ah! chi ti ha insegnato a baciare così?

DE TRIVELIN. Nessuno! E di nascita! (La bacia di nuovo.)

ZÉZÉ (chiudendo gli occhi). Watteau! Mio piccolo Watteau!

DE TRIVELIN. Hai una pelle divina!

ZÉZÉ (con voce morente). Ah! canaglia! Non ce n'è un altro a Parigi, capace come te di baciare una donna.

DE TRIVELIN (a parte). Se mamma Dupont la sentisse!

ZÉZÉ. Ancora! ancora!

DE TRIVELIN (baciandola). Oh! si, oh! sì!

ZÉZÉ. Oh! com'è bello! Oh! com'è bello!

Scena undicesima

GLI STESSI, LA BAULE.

(La Baule, vestito da cuoca, con un petto enorme, un berretto che lascia intravedere i capelli biondi, una borsa della spesa e un ombrello, è entrato sulle ultime due battute della scena precedente. Esprime gesticolando la propria inquietudine e il proprio furore nel vedere Zézé e de Trivelin abbracciati, poi tossisce con forza. De Trivelin e Zézé si staccano un poco l'uno dall'altra. De Trivelin si porta quindi a sinistra.)

DE TRIVELIN. E questa da dove arriva?

LA BAULE (molto garbato, con accento alsaziano). Sono la cuoca, vengo a prendere gli ordini dalla signora per andare al mercato.

ZÉZÉ (a parte, stupefatta). Ma è Fragonard!

DE TRIVELIN. Che il diavolo se la porti! Ditele che cosa deve prendere e se ne vada!

ZÉZÉ. Sì, amico mio. (Sottovoce, a La Baule.) Ma come, sei tu?

LA BAULE (venuto avanti a destra, sottovoce). Sì, sono io, veglio su di te! Sarebbero queste le minutaglie? Ma disgraziata, venti minuti ancora e si becca tutto il malloppo!

ZÉZÉ (sottovoce). Ah! Hai fatto bene a tornare, ero lì lì…

LA BAULE (stesso gioco). Me ne sono accorto!

ZÉZÉ. Cosa vuoi? È questa maledetta primavera!

LA BAULE (andando verso Trivelin). Pensa ai dindini!

ZÉZÉ. Sì, sì, d'accordo. Gertrude, per me fate quel che pare.

LA BAULE (a Trivelin). E per voi? (Con ira concentrata.) Maiale, citrullo, rapa, coniglio, bietola, oca, salame, zucca, finocchio.

DE TRIVELIN (risentito). Senti un po', madama scemenza, non hai altre cose da offrirmi?

LA BAULE (assumendo un tono gentile). Il signore deve soltanto dirmi il piatto che preferisce.

DE TRIVELIN. E inutile, non rimango a cena.

LA BAULE. Peggio per voi. Sarei stata felice di farmi onore.

ZÉZÉ. Andate, Gertrude, andate!

LA BAULE. Sì, signora. (Facendo una riverenza a Trivelin.) Serva vostra, signore. (Sottovoce a Zézé.) Guarda un po' le cose che mi fai fare!

ZÉZÉ (sottovoce). Sta' tranquillo.

LA BAULE (fra di sé). Ah! no, tranquillo non sono. Vi terrò d'occhio! (Esce vivacemente dal fondo.)

Scena dodicesima

DE TRIVELIN, ZÉZÉ, poi LA BAULE.

DE TRIVELIN. Partita! Ora, Zézé, vieni fra le mie braccia! (Vuole abbracciarla.)

ZÉZÉ. Un momento!

DE TRIVELIN. No, non c'è più un minuto da perdere, le ore mi stanno rincorrendo.

ZÉZÉ. Se mi concedessi così, sui due piedi, che cosa penseresti di me?

DE TRIVELIN. Che sei la mia Clemenza.

ZÉZÉ (risentita). Ancora con questa Clemenza?

DE TRIVELIN (correggendosi rapidamente). La clemenza del cielo! La terra promessa e così ardentemente desiderata... Il faro agognato dal navigante in pericolo... Ecco, è là, brilla! Faro! vieni a inondarmi della tua luce nel salottino rosa! (Vuoi trascinare Zézé.)

ZÉZÉ. Aspetta ventiquattro ore!

DE TRIVELIN (sobbalzando). Ventiquattro ore? ho sentito bene?  Ventiquattro ore? come si può rispondere all'infelice che sta annegando: ti ripesco fra ventiquattro ore? All'infortunato che muore di sete: la prossima settimana ti mando dell’acqua?

ZÉZÉ. Ventiquattro ore è la dilazione minima che ti possa chiedere una donna prima di soccombere.

DE TRIVELIN. Ed è per questo che mi avete fatto indossare il pigiama dell'invitato? Chiedimi il sangue, vita mia, ma non questo, non questo!

ZÉZÉ. Ma che cosa sono poi ventiquattro ore? sono domani.

DE TRIVELIN. A chi lo dici! ma domani è troppo tardi, riparto subito per Timbuctù.

ZÉZÉ. Ebbene, perderai il treno.

DE TRIVELIN. Ma se lo perdo ancora, sono perduto! Domani, la linea  sarà soppressa. (Prendendola fra le braccia.) Via, Zézé, non è serio: abbiamo sete d'amore tutti e due, e la fontana è là. (Indica il salottino.)

ZÉZÉ (difendendosi). La fontana rimane, non si esaurisce per questo.

DE TRIVELIN. Ci sono fontane che non bisogna fare aspettare. Non mi hai appena detto che le formiche si arrampicano?

ZÉZÉ (vivacemente e teneramente). Non dirlo! non dirlo!

DE TRIVELIN. Hanno battuto in ritirata?

ZÉZÉ. Al contrario, cominciano ad avere le vertigini!

DE TRIVELIN. E allora fai come loro. (La bacia.)

ZÉZÉ (sempre più debole). No! no!

DE TRIVELIN. Sì! sì! Non è forse anche oggi primavera?

ZÉZÉ. Taci! Taci!

DE TRIVELIN. E un venerdì, per di più, il giorno di Venere!

ZÉZÉ (vivacemente, sciogliendosi un poco). E oggi il giorno Venere?

DE TRIVELIN. Sì, riceve tutti i venerdì!

ZÉZÉ (sul punto di cedere). La primavera e il giorno di Venere!

DE TRIVELIN (riprendendola fra le braccia e baciandola). L'amore è nell'aria, l'amore è dovunque.

ZÉZÉ (cedendo). È nell'aria, è dovunque.

DE TRIVELIN. E noi rimandiamo a domani?

ZÉZÉ (sciogliendosi con un grido). No, no, hai ragione... perché no, dopotutto?

DE TRIVELIN (trionfante). Andiamo!

ZÉZÉ. Al diavolo i soldi; non sarà mai detto che nel giorno di Venere, Zézé non ha festeggiato Santa Primavera! Vieni! (Esce a sinistra in primo piano.)

DE TRIVELIN. Finalmente!

(Spinge Zézé nella camera di sinistra. Nello stesso momento La Baule compare dalla porta di fondo. E vestito da doganiere come alla fine del primo atto. De Trivelin, nel girarsi per uscire a sinistra, lo scorge, lancia un grido e si ferma stupefatto. La Baule fa qualche passo verso di lui, tendendo la mano.)

DE TRIVELIN (balbettando con comico sbigottimento). L'ombra del do... do... l'ombra del doganiere.

LA BAULE (con voce stentorea come alla fine del primo atto). Niente da dichiarare?

DE TRIVELIN (con comico spavento, portandosi a destra e girando le spalle al pubblico). Sì! Sì... ho capito.

(La Baule, camminando a ritroso, si porta a sinistra, in secondo piano; si ferma a pochi passi dalla porta, senza abbandonare con lo sguardo Trivelin, che trema.)

LA BAULE (stesso gioco di prima). Niente da dichiarare?

DE TRIVELIN. Ah!

(Volge il capo per non vedere La Baule. Questi ne approfitta per scomparire a sinistra, in primo piano.)

Scena tredicesima

DE TRIVELIN, poi ZÉZÉ.

(De Trivelin gira a poco a poco la testa, non vede più La Baule, si  precipita alla porta di sinistra, in secondo piano, l'apre vivacemente, poi la richiude e ritorna in mezzo alla scena.)

DE TRIVELIN (con furore comico). Eccoci qua! Ci risiamo! Le allucinazioni continuano!... Lui, ancora lui! Sempre lui!

ZÉZÉ (entrando da sinistra, in primo piano, svestita, in sottoveste e copribusto). E allora, mio piccolo Watteau?

DE TRIVELIN (come uscendo da un sogno, le braccia penzoloni). Eh? Cosa?

ZÉZÉ. Vieni?

DE TRIVELIN. Dove?

ZÉZÉ (teneramente, indicando con la testa la porta di sinistra, in primo piano). Alla fontana.

DE TRIVELIN. Grazie! (Scuotendo il capo.) Non ho più sete!

ZÉZÉ. Eh?

DE TRIVELIN (a parte). Questa volta, sono perduto! Addio, Paulette, mia Lélette!

ZÉZÉ (avvicinandosi). Ah, senti! Che storia mi stai raccontando?

DE TRIVELIN. Ah! vi assicuro, non ho nessuna voglia di raccontare storie.

ZÉZÉ. Come! poco fa mi baciavi, imploravi il mio amore, mi

parlavi di primavera!

DE TRIVELIN (piagnucolando). Tutto passato!

ZÉZÉ. Ah! così di colpo? (De Trivelin fa segno di sì.) Allora, autunno!

DE TRIVELIN. Molto di più.

ZÉZÉ. Inverno.

DE TRIVELIN. Sotto zero. La Senna è gelata!... Sentite, lasciatemi andare. (Va a prendere il cappello che ha posato sul cavalletto di mezzo, unitamente al quadro che ha comprato e che sta sullo stesso cavalletto. Si mette il cappello e torna verso il fondo. Zézé gli corre dietro e lo fa tornare di forza.)

ZÉZÉ. Figuriamoci! Lasciarti andare così, senza avere festeggiato Santa Primavera!

DE TRIVELIN. Vi ho appena detto...

ZÉZÉ (passandogli un braccio attorno al collo, molto vezzosa). Sta' zitto, stupidone! È soltanto l'emozione, il desiderio... In fondo, è molto lusinghiero per una donna... sì, sì, molto lusinghiero.

DE TRIVELIN. Davvero, non me ne volete? (Stringe Zézé fra le braccia, tenendo dietro di lei il quadro che non ha abbandonato. Durante le battute successive, alza a poco a poco il quadro che ha in mano.)

ZÉZÉ (sempre molto carezzevole e strusciandosi contro di lui). Senti, se ti dico che è lusinghiero... ma sta' tranquillo, cretinetto, c'è una scienza infallibile... Io sono l'estate, l'estate ardente, la canicola che scaccia il gelo e le nevi.

DE TRIVELIN (smarrendosi a poco a poco). Zézé!

ZÉZÉ. Guarda queste labbra avide che ti chiedono baci.

DE TRIVELIN. Sì.

ZÉZÉ. Guarda queste spalle bianche che ti chiedono carezze!

DE TRIVELIN (smarrito). Sì! Sì!

ZÉZÉ. Guarda! guarda!

DE TRIVELIN. Sono tutt'occhi! Sono tutt'occhi!

ZÉZÉ. E dimmi quale inverno potrà resistere al calore di queste braccia?...

DE TRIVELIN. Non ce n'è... Non ce n'è!

ZÉZÉ. E allora è il disgelo!

DE TRIVELIN. Totale.

ZÉZÉ. E la primavera ritorna?

DE TRIVELIN (con gioia). E tornata.

ZÉZÉ (trionfante, sciogliendosi). Ah! Lo sapevo!

DE TRIVELIN. Soltanto, la primavera non è eterna, non vorrei che se la svignasse un'altra volta. Presto, presto. (La trascina verso l'uscita di sinistra, in primo piano. Scompaiono di corsa. Dupont entra dal fondo a destra, seguito da Marietta.)

Scena quattordicesima

DUPONT, MARIETTA.

MARIETTA. Signore, è inutile entrare, la signora non c'è, è andata a trovare sua madre.

DUPONT. E tua sorella!

MARIETTA. No, signore, sua madre soltanto.

DUPONT (va ad aprire la porta di destra, in primo piano a sinistra, poi la richiude). Un'altra voglia!

MARIETTA. SI, signore.

DUPONT. Sua madre, mi pare di vederla! Ha la barba e porta i pantaloni!

MARIETTA. Il signore farebbe meglio a tornare domani.

DUPONT (a parte). Oh! costei bisogna farla cantare. (A voce alta.) Marietta!

MARIETTA. Signor Velasquez?

DUPONT. Ascolta. Di Zézé, ne ho fin sopra i capelli, e tu mi piaci. Vuoi un luigi al mese e un appartamentino in periferia?

MARIETTA (con gioia, battendo le mani). Oh! signor Velasquez!

DUPONT.   Ma  a  una  condizione:   non  mi  devi  nascondere niente.

MARIETTA (slacciandosi il busto). Non è mia abitudine!

DUPONT. No, questo in seguito. (Marietta si riallaccia il busto.) Non nascondermi niente di Zézé.

MARIETTA. Ah! bene!

DUPONT. Le sue voglie?

MARIETTA. Un trucco per liberarsi del signore.

DUPONT. Allora mi tradisce!

MARIETTA. Con gente di ogni età. Le piace il vecchio e il nuovo!

DUPONT. Cornuto! Sono cornuto!

MARIETTA. A strafottere! Quanto alla pittura, non sa nemmeno cos'è un pennello.

DUPONT. No?

MARIETTA. E’ d'accordo con un Premio Roma sul lastrico, che fa i quadri per lei. Quel  tizio che faceva da modello.

DUPONT (camminando rabbiosamente). Il padre Bellacoscia? Ah, corpo di Bacco! Ah! corpo di mille bombe!

MARIETTA (fermandolo). Ma su, non t'arrabbiare tanto, visto che ne hai piene le scatole e ci si mette insieme. (Vorrebbe gettargli le braccia al collo.)

DUPONT (respingendola). Insieme? Noi due? Ah! no, non mi conosci, carina!

MARIETTA. Ah! Era per farmi parlare?

DUPONT. L'hai detto! Ma non finirà qui. (Si dirige alla porta di destra, in primo piano, e l'apre.) Mi piazzo in camera sua. (Scorgendo la tavolozza che sta sullo sgabello rimasto accanto alla porta.) E al primo che vien dentro, gliela spiaccico sul muso! (Scompare a destra, in primo piano.)

Scena quindicesima

MARIETTA, poi DE TRIVELIN.

MARIETTA (sola). Ah! quel vecchio imbroglione me l'ha fatta. Eh! si, credo proprio che dovrò cercarmi un altro posto.

(Torna verso il fondo, ma de Trivelin compare da sinistra, in primo piano; al rumore della porta, Marietta si gira; de Trivelin, col quadro sotto il braccio, ma senza cappello, dopo avere chiuso delicatamente la porta, percorre due volte la ribalta con gioia delirante.)

DE TRIVELIN (a mezza voce). E il momento buono! Si è addormentata... Approfittiamone per filar via.

MARIETTA. Signor Watteau!

DE TRIVELIN (che non sta più in sé dalla gioia). Ah! Marietta! mia cara Marietta!

MARIETTA. Vedo che il signore è soddisfatto!

DE TRIVELIN. Soddisfatto? Tutti i doganieri del mondo possono mettersi contro di me, non li temo più.

MARIETTA. Ah!

DE TRIVELIN. Ho ritrovato la fiducia, ho ritrovato l'orgoglio d'essere uomo, ho ritrovato tutto, tranne i miei vestiti. Dove sono?

MARIETTA (a disagio). Non so, Signore.

DE TRIVELIN. Come, non lo sai? Erano là e non ci sono più! (indica a sinistra in primo piano.)

MARIETTA. Ma Signore...

DE TRIVELIN. Dieci luigi per te se me li porti all'istante.

MARIETTA. Oh! Allora vado a cercarli. (A parte.) Tanto, al punto in cui mi trovo! (Esce a destra, in primo piano.)

Scena sedicesima

DE TRIVELIN, poi LA BAULE, poi LA SIGNORA DUPONT.

DE TRIVELIN (solo, tornando verso il fondo). Ah, Paulette! mia adorata Lélette, prima di mezzanotte sarò tuo marito! (Apre la porta di fondo e la richiude vivacemente.) Accidentaccio! mia suocera con La Baule! Se mi trovano in pigiama, sono fritto! (Si nasconde velocemente dietro il paravento.)

LA BAULE (entrando vivacemente dalla porta d'ingresso, seguito dalla signora Dupont, ch'egli tiene per mano). Venite, signora cara, venite, presto!

SIGNORA DUPONT. Ma caro La Baule, volete dirmi o no dove mi state portando?

LA BAULE. Da una donna allegra.

SIGNORA DUPONT (indignata). Una donna allegra? E per quale motivo?

LA BAULE. Per sorprendere vostro genero.

SIGNORA DUPONT. Mio genero?

LA BAULE. Sì, vostro genero, che sta qui da un'ora.           

DE TRIVELIN (facendo capolino dal paravento, a parte). Canaglia!

SIGNORA DUPONT (passando a sinistra). Inferno e dannazione! Fa l'eunuco a casa sua e corre la cavallina con le ragazze. Dov'è?

LA BAULE. Nella stanza della Signora, non c'è dubbio. (Indica la camera di destra, in primo piano.)

SIGNORA DUPONT. La canna, La Baule! Datemi la vostra canna!

LA BAULE. Con piacere. (Gliela da.)

SIGNORA DUPONT. Grazie! Spezzerò questo bastone sui glutei dell'ultimo Trivelin.

LA BAULE. Ve ne prego!

SIGNORA DUPONT. Ah! sacripante, ecco perché in famiglia sei muto! (Si dirige verso la camera di Zézé.)

LA BAULE (sedendosi sulla sdraio). Posso offrirmi un riposino, credo!

DE TRIVELIN (a parie). Mascalzone!

(Appena la signora Dupont è entrata, si sentono grida terribili nelle quinte.)

LA BAULE (con soddisfazione, indicando il lato destro, in primo piano). Fa caldo, là dentro!

Scena diciassettesima

DE TRIVELIN, LA BAULE, DUPONT, LA SIGNORA DUPONT.

(La porta di destra, in primo piano, si apre violentemente e Dupont compare, col cappello tutto acciaccato. La signora Dupont sta dietro la porta e vuole entrare. Va e viene della porta. Finalmente, Dupont si appoggia col corpo alla porta e impedisce alla signora Dupont di entrare. Durante il gioco scenico, La Baule si è alzato, stupito.)

DUPONT (atterrito). Mia moglie! E mia moglie!

LA BAULE (stupito). Ah! signor Dupont!

DUPONT (stesso gioco). La Baule!

DE TRIVELIN (a parte). Mio suocero!

LA BAULE. Voi, da Zézé!

DUPONT. Ma no, è una mia buona amica!

LA BAULE. Porco cane!

DE TRIVELIN (a parte). È lui Velasquez!

VOCE DELLA SIGNORA DUPONT (nelle quinte). Miserabile! rinnegato!

LA BAULE. Nascondetevi.

DUPONT. Prendete il mio posto e ditele che sono andato via.

LA BAULE. Sbrigatevi. (La Baule si addossa alla porta, al posto dì Dupont)

DUPONT. Dove mi nascondo?

(In affanno, prende il grande quadro che è posato contro cavalletto di mezzo e vi si nasconde dietro, in modo che il quadro sembri essere appoggiato a un cavalletto. Il quadro rappresenta una donna in costume succinto, in grandezza naturale.)

DUPONT (nascosto dietro il quadro). Aprite la porta!

(La Baule apre la porta, compare la signora Dupont, col cappellino di traverso, e da uno schiaffo a La Baule, che lancia un grido: Ah!.)

SIGNORA DUPONT. Non è lui!... Ma dov'è? Dov'è, che lo faccio fuori!

(Si sposta a sinistra seguita da La Baule, poi si gira e si vede la sua guancia destra colorata di rosso, blu, nero, giallo.)

LA BAULE (con un grido di meraviglia nel vedere la faccia della signora Dupont). Ah!

SIGNORA DUPONT. Rispondete!

LA BAULE. È andato via!

SIGNORA DUPONT. Il vigliacco è fuggito, ma non gli servirà. (Torna verso la porta di fondo.)

LA BAULE (che vuole trattenerla). Signora Dupont, ascoltatemi!

SIGNORA DUPONT (respingendolo). Lasciatemi, voi... E grazie lo stesso di avermi portato qui ad acciuffare mio marito!

DUPONT (a parte, mostrando la testa dietro il quadro). Eh!

LA BAULE (volendo trattenerla). Signora Dupont! signora Dupont.

SIGNORA DUPONT (respingendolo). Lasciatemi, vi dico. Ah! Può scappare fin che vuole, non gli servirà. (Esce brandendo i frammenti della canna di La Baule.)

Scena diciottesima

DE TRIVELIN, LA BAULE, DUPONT.

LA BAULE (cadendo seduto sulla sedia di centro). Sono abbrutito!  abbrutito! (Non appena la signora Dupont è uscita, Dupont posa di nuovo il quadro contro il dorso del cavalletto e balza su La Baule, che schiaffeggia. La Baule lancia un grido.)

DUPONT (afferrando La Baule per il colletto della giacca, lo fa alzare di forza e lo scuote con rabbia). Ah! sei tu che hai portato qui mia moglie per farmi sorprendere!

LA BAULE (mezzo strangolato). Signor Dupont!

DUPONT (scuotendolo). Pezzo di mascalzone! Ti faccio la pelle!

LA BAULE. Mi strozzate.

DUPONT. Me ne frego!

LA BAULE. Ma lasciatemi, dunque.

(Riesce a liberarsi. Trivelin, facendo capolino dal paravento, guarda la scena e si sbellica.)

DUPONT. Te lo do io il numero due!

LA BAULE (che riesce a liberarsi). La signora Dupont, l'ho condotta qui per pizzicare Trivelin.

DUPONT. Come, mio genero è qui?

LA BAULE. Si. Come potevo pensare che anche voi eravate l'amante di Zézé?

DUPONT. Questo non toglie che mia moglie mi abbia sorpreso nella sua camera.

LA BAULE (colpito da un'idea). Oh! ditele che siete venuto anche voi per sorprendere Trivelin!

DUPONT. È vero!

LA BAULE. Io le dirò che voi me l'avevate detto.

DUPONT. Salvo! Ti rendo Paulette. Raggiungo mia moglie e torno subito... (Torna verso il fondo seguito da La Baule. Con forza.) Ha osato sospettarmi, avrà le sue! Quanto a mio genero... (Scompare vivacemente dal fondo.)

LA BAULE (con la schiena appoggiata al paravento). Oh! quello, voglio ben vedere che fine ha fatto.

DE TRIVELIN (sporgendosi sopra il paravento e dandogli un solenne schiaffane). Toh!

(La Baule lancia un grido, si gira e vede Trivelin che gli appioppa un altro schiaffo, poi lascia il paravento e viene avanti alla destra di La Baule, che si tiene le guance.)

Scena diciannovesima

DE TRIVELIN, LA BAULE.

LA BAULE (sbalordito). È lui! è lui!

DE TRIVELIN.  Sì, sono io.

LA BAULE (furioso). Il signor de Trivelin!

DE TRIVELIN (continuando). Io, che ho sentito tutto! io, che so tutto!

LA BAULE (a parte). Accidenti!

DE TRIVELIN. Ah! mi hai fatto pedinare! Ah! sei tu che volevi farmi pescare!

LA BAULE. Ebbene! sì, sono io... io che ti detesto, io che ti aborro, io che ho giurato che non saresti mai diventato il marito della mia Paulette!

DE TRIVELIN. È quel che vedremo, ho tempo fino a mezzanotte.

LA BAULE (canzonandolo). Ah! Ah! (Furioso.) Quanto alle sberle, mi renderete ragione.

DE TRIVELIN. Sì, ma prima devo riavere i miei vestiti... Li andrò a cercare io. (Esce a destra, in secondo piano.)

Scena ventesima

LA BAULE, poi MARIETTA.

LA BAULE (solo, sul punto di piangere). Schiaffeggiato dal padre, dalla madre, dal genero, da tutta la famiglia! Ah! Paulette, cara Paulette, quanto bisogna soffrire per averti! (Torna verso il fondo.)

MARIETTA (entrando da sinistra in secondo piano, con i vestiti di Trivelin. Al rumore della porta, La Baule si gira). Ecco i vestiti!

LA BAULE. Quali vestiti?

MARIETTA. Quelli del signore in pigiama.

LA BAULE (vivacemente). Ah! dammeli.

MARIETTA. Ma signore!

LA BAULE. Dammeli, disgraziata, o ti salto addosso. (Le strappa i vestiti di Trivelin.)

MARIETTA (uscendo di corsa, a sinistra). Ma questo è un mandrillo!

LA BAULE (colpito da un'idea). Il mandrillo! (Percuotendo i vestiti che tiene in mano e con rabbia.) Ah! in galera lo faccio mettere, è lui il mandrillo della vedova Tripette! Telefono subito in Questura. Il mandrillo della vedova Tripette! (Fugge dal fondo portando con sé gli abiti di Trivelin.)

Scena ventunesima

MARIETTA, poi DE TRIVELIN.

MARIETTA (sola). E allora! i miei dieci luigi? Devo pure rifarmi!

DE TRIVELIN (entrando da destra in secondo piano; fra di sé). Dove saranno finiti?... (Scorgendo Marietta.) Ah! eccola qui. I miei vestiti?

MARIETTA. Non ce li ho più, signore.

DE TRIVELIN. E chi li ha presi?

MARIETTA. Il signore che ha condotto la vecchia signora.

DE TRIVELIN (furioso). Cosa? E tu glieli hai dati?

MARIETTA. Ma, signore, me li ha presi con la forza. (Tendendo la mano) I dieci luigi?

DE TRIVELIN. Ascolta, ne avrai venticinque se mi procuri un vestito.

MARIETTA. Prima i soldini.

DE TRIVELIN. Come posso? il portafoglio è nella giacca.

MARIETTA. Allora, buonasera. Due volte non me la si fa. (Esce dal fondo.)

Scena ventiduesima

DE TRIVELIN, poi FRONTIGNAC.

DE TRIVELIN (andando alla finestra, che apre). Benissimo! Ah; animale d'un La Baule, me la pagherai. (Guardando dalla finestra.) Eccolo che scappa, attraversa la strada! E non uno  straccio di automobile che lo metta sotto! Come procurarmi un abito! Il tempo passa... Oh! che idea! (Sporgendo dalla finestra e rivolgendosi alle quinte). Ehi là! Psst! Signore!... Ehi! signore!... Sì, sono io che vi parlo.

VOCE DI FRONTIGNAC. Che volete, signore?

DE TRIVELIN. In nome del cielo, venite subito... All'ammezzato, la porta di sinistra.

VOCE DI FRONTIGNAC. E che cosa devo fare?

DE TRIVELIN. Non ve lo posso gridare così dalla finestra, ma è una questione di vita o di morte.

VOCE DI FRONTIGNAC. Va bene, arrivo.

DE TRIVELIN (chiudendo la finestra). Viene!... Mio Dio, grazie! Però una persona che non conosco non acconsentirà che io indossi i suoi vestiti... per quanto possa supplicarlo. Mi ci vorrebbe un'arma, per dare forza alle suppliche. (Scorgendo sullo stipo a sinistra l'astuccio per pipe che il Premio Roma vi aveva lasciato e afferrandolo vivacemente.) Una pistola! (Apre l'astuccio.) No, è un astuccio per pipe. (Vedendo la porta aprirsi e Frontignac che entra.) Va bene, peggio per lui! (Nasconde dietro la schiena l'astuccio per pipe.)

FRONTIGNAC (entrando dal fondo). Sono io, Signore, ho trovato la porta aperta.

DE TRIVELIN (tornando verso il fondo). Entrate, Signore, entrate! (Lo fa passare a sinistra.)

FRONTIGNAC. Che cosa posso fare per voi?

DE TRIVELIN. Spogliatevi in fretta e datemi i vostri abiti.

FRONTIGNAC (stupefatto). Come, è per questo che...

DE TRIVELIN. Signore, sono armato e un delitto non mi spaventa. (Fa vedere rapidamente l'astuccio che ha in mano.)

FRONTIGNAC  (vivacemente, spaventato).   Mettete  via, vi dispiace?

DE TRIVELIN. Volentieri. (Lo nasconde dietro di sé.)

FRONTIGNAC. Signore, questo non è serio.

DE TRIVELIN. Mi hanno rubato gli abiti...

FRONTIGNAC. Ma io non c'entro.

DE TRIVELIN. Uno... due... tre. (Lo prende di mira con l'astuccio.)

FRONTIGNAC (spaventato). Mettete via, mettete via. (Togliendosi i pantaloni.) Ma guarda cosa mi deve capitare!... far salire la gente...

DE TRIVELIN. Sbrigatevi, signore, ho fretta. I pantaloni?

FRONTIGNAC. Eccoli!

DE TRIVELIN. Grazie!

FRONTIGNAC. E insensato! inaudito!

DE TRIVELIN (che ha indossato i pantaloni sopra il pigiama, sempre tenendo in mano l'astuccio). La giacca e il panciotto, ora, presto, presto!

FRONTIGNAC. Ma signore, datemi il tempo.

DE TRIVELIN. Ho soltanto cinque ore e cinquanta minuti.

FRONTIGNAC. Per fare che? (Gli getta la giacca e il panciotto.)

DE TRIVELIN. Non vi riguarda. Dove ve li posso mandare?

FRONTIGNAC. Al Grand Hotel. Mi chiamo Frontignac.

DE TRIVELIN. Bene. Il vostro cappello.

FRONTIGNAC (dandoglielo). Inaudito! stupefacente!

DE TRIVELIN. Grazie. (Mettendogli in mano l'astuccio.) Ecco, questo è per voi.

FRONTIGNAC (lancia un grido di gioia, credendo di avere una pistola). Ah!

DE TRIVELIN (a parte). E ora, filiamo dalla porta di servizio. (Esce vivacemente a destra, in secondo piano.)

FRONTIGNAC. Ah! furfante! me li dovrai rendere, i vestiti! (Aprendo l'astuccio.) E questo cos'è? Un astuccio per pipe! Oh, questa è bella! (Compare Dupont dal fondo.)

Scena ventitreesima

FRONTIGNAC, DUPONT.

DUPONT (scorgendo Frontignac di spalle) A noi due, Trivelin. (Balza su di lui e lo percuote)

FRONTIGNAC. Ah! Aiuto! (Sì volta.)

DUPONT (sbalordito). Il mercante di cammelli in mutande!

FRONTIGNAC (stesso gioco). Il signor Dupont.

DUPONT. Che cosa fate qui, cosi ridotto?

FRONTIGNAC. Mi hanno fatto salire per fregarmi i vestiti.

DUPONT. Figuriamoci! Pensate che io possa bere una panzana del genere? Vi ho scoperto in mutande in casa della mia amante, altro che storie!

FRONTIGNAC. Come? Io sono...

DUPONT. In casa della mia buona amica, sì, Signore la quale mi tradisce con voi come mi ha tradito con altri, poiché io sono cornuto!

FRONTIGNAC. Mi stupirei del contrario; tuttavia io non c’entro per niente.

DUPONT. Andatelo a raccontare a qualcun altro.

FRONTIGNAC (colpito da un'idea). E poi, che ci crediate o no, io me ne infischio, ho ancora 195 Dupont da vedere; datemi i vostri abiti.

DUPONT. Eh?

FRONTIGNAC. Niente parole inutili. Sono armato. (lo prende di mira con l'astuccio.)

DUPONT (al colmo della paura). Mettete via quella roba!

FRONTIGNAC. Con piacere. (Lo nasconde dietro di se) i vostri abiti o vi brucio le cervella.

DUPONT. Ma, Signore...

FRONTIGNAC. Una volta, due volte, tre volte (Gesticola con l'astuccio.)

DUPONT (sgomento). Mettete via, mettete via! (Mentre si toglie i pantaloni.) Ah! che disastro!

FRONTIGNAC. I pantaloni?

DUPONT (lanciandoglieli). Eccoli!

FRONTIGNAC. Grazie. (Li indossa.) Il panciotto, adesso, e la giacca!

DUPONT. Anche quelli?...

FRONTIGNAC. E subito!... altrimenti...

DUPONT (togliendosi la giacca e il panciotto). Se lo leggessi sul giornale, non ci crederei!

FRONTIGNAC. Presto! presto! date.

DUPONT. Tieni! assassino! (Glieli passa.)

FRONTIGNAC (vestendosi). Non avvicinatevi.

DUPONT (brontolando). Mercante di cammelli! Venisse la gobba anche a te!

FRONTIGNAC. Il cappello. (Dupont glielo passa.) Grazie, è un po' stretto ma non importa.

DUPONT (canzonatorio). Avete bisogno d'altro?

FRONTIGNAC (allontanandosi dal tavolo). Per il momento no; vi manderò tutto a casa. In attesa, questo è per voi. (Gli mette in mano l'astuccio.)

DUPONT (credendo di avere una pistola, balza su di lui e lo minaccia). Ah! miserabile! Mi renderai...

FRONTIGNAC (sorridendo). Non agitatevi, è un astuccio per pipe.

DUPONT. Eh?

FRONTIGNAC. L'hanno fatta anche a me poco fa.

DUPONT (furioso). Ah! ma guarda!

FRONTIGNAC. Arrivederci, Dupont! (Si dirige alla porta di destra in primo piano e l'apre.) Ah, non è di qui che si esce.

DUPONT (spingendolo in fretta nella stessa porta). Sì, si, di lì! (Chiudendo la porta a chiave.) Ah! ora è nelle mie mani... La stanza non ha altre uscite... Non mi scappi più!

(Scorge Zézé che compare a sinistra, in primo piano.)

Scena ventiquattresima

DUPONT, ZÉZÉ, poi IL PREMIO ROMA.

ZÉZÉ (fra di se). Ah! ma che fine ha fatto Watteau?

DUPONT (con voce tonante). Signora!

ZÉZÉ (lanciando un grido di sorpresa). Ah! Velasquez in mutande!

DUPONT. Si, Velasquez, che non rivedrete tanto presto.

ZÉZÉ. In effetti, amico mio, vi credevo ad Argenteuil intento

a comprare gli asparagi!

DUPONT (esplodendo). Gli asparagi! Ali! ah! gli asparagi!

IL PREMIO ROMA (entrando da sinistra in secondo piano). Oh, ma  cos'è questo fracasso? (Si ferma, colpito dalla vista dì Dupont)  Ah!

DUPONT (a parte). La bella coscia di contrabbando.

IL PREMIO ROMA. Ne avete preso un mazzo? Dove sta?

DUPONT. Eccolo. (Gli da un calcio.) Il mazzo te lo faccio io.

ZÉZÉ e IL PREMIO ROMA (insieme). Eh?

DUPONT. Infame imbrattatele, al servizio d'una baldracca che non ha mai tenuto in mano un pennello.

ZÉZÉ (a parte). Scoperti gli altarini!

IL PREMIO ROMA (furioso). Che cosa dice? Imbrattatele?

DUPONT. Mi avete preso in giro abbastanza, voi due!

ZÉZÉ. Ah! no, adesso basta. Premio Roma, staccami un po’ questo Velasquez.

IL PREMIO ROMA. Bene. (A Dupont.) Vogliamo tagliare la corda, e in fretta?

DUPONT. Sì, taglio la corda, ma non prima di avere presentato alla signora uno dei numerosi amanti coi quali mi ha tradito. (Va ad aprire la porta della camera dove è rinchiuso Frontignac.) Uscite, cammellaio!

FRONTIGNAC (comparendo). Finalmente!

ZÉZÉ (gettando un grido nel vedere Frontignac). Ah!

FRONTIGNAC (gettando un grido vedendo Zézé). Ah!

ZÉZÉ. Mio marito!

FRONTIGNAC. Mia moglie!

DUPONT (stupefatto). Che cosa dice?

FRONTIGNAC. E l'amante di Dupont!

IL PREMIO ROMA (a parte). Ah! questa è bella!

DUPONT. Sua moglie! è sua moglie!

(Vuole sedersi ma cade con la sedia e fa cadere lo sgabello con la scatola di colori, che stanno accanto a lui.)

FRONTIGNAC. Finalmente, posso divorziare! (Il Premio Roma ride a crepapelle.)

Scena venticinquesima

GLI STESSI, MARIETTA, UN COMMISSARIO, DUE AGENTI.

MARIETTA (entrando). Signora! Signora! C'è il commissario di polizia.

TUTTI. Il commissario?

FRONTIGNAC (allegramente). Arriva a proposito.

MARIETTA. Dice che il mandrillo della vedova Tripette è nascosto qui in mutande.

TUTTI. Eh?

IL COMMISSARIO (entrando, seguito da due agenti). Dove sta? (Scorgendo Dupont.) Ah! eccolo. (Agli agenti.) Prendete  quell'uomo. (Gli agenti lo afferrano.)

DUPONT (urlando). Mi volete lasciare? Sono Dupont, Dupont!...

(Gli agenti portano via Dupont, che si dibatte. Gli altri personaggi si sbellicano dalle risa. Quadro.)

Fine secondo atto


ATTO TERZO

(Stessa scena del primo atto.)

Scena prima

COUZAN, ERNESTINA, poi DES BARBETTES.

COUZAN (entrando dal fondo seguito da Ernestina). Il Signor Dupont, presidente della nona sezione, è in casa?

ERNESTINA. No, Signore... Il Signore è uscito di buon'ora per andare al Palazzo di Giustizia.

COUZAN (a mezza voce, portandosi a destra). Uhm! credo piuttosto il contrario, che sia uscito dal Palazzo di Giustizia per andare alla buon'ora.

ERNESTINA. Prego?

COUZAN. Niente, niente!... Il Signor de Trivelin?

ERNESTINA. Uscito anche lui verso le due.

COUZAN. La Signora Dupont?

ERNESTINA. Il Signor La Baule è venuto a cercarla, dieci minuti fa; sono usciti di corsa. Quanto alla signora contessa, sta leggendo in camera sua.

COUZAN (passando a sinistra). E la signorina Lisa?

ERNESTINA. E andata a lezione di piano.

DES BARBETTES (entrando dal fondo con un quadro senza cornice, avvolto da un giornale). Buongiorno, Signor Couzan.

(Ernestina esce.)

COUZAN. Oh! il giovane des Barbettes... Venite, mi terrete compagnia. Che cosa avete portato?

DES BARBETTES (posando il quadro sul tavolo). Un regalo per mio suocero.

COUZAN. Come si vede che siete fidanzato!

DES BARBETTES. Ah! sarà contento il signor Dupont. Gli ho portato quel che m'aveva chiesto.

COUZAN (indicando il quadro). Questa roba?

DES BARBETTES. No!... L'altro ieri, il giorno in cui gli sposini sono tornati dal viaggio di nozze, il mio futuro suocero mi ha chiesto di portargli la prova che io ero capace di render felice una donna.

COUZAN. Senti! senti! Prende le sue precauzioni.

DES BARBETTES. E poiché gli manifestavo la mia meraviglia, mi ha risposto: Io non voglio che Lisa sia derubata dal marito, come è accaduto a sua sorella.

COUZAN. No, ha spifferato la cosa a tutti!... E voi avete ubbidito all'ingiunzione? (Si siede sul puf.)

DES BARBETTES (indignato). Signor Couzan, io adoro la mia fidanzata, e non la tradirei per nessuna cosa al mondo. COUZAN. E allora?

DES BARBETTES. Beh!... Quando ci si sposa, si può ottenere dal prete un attestato di confessione senza bisogno di confessarsi!... Allora, ieri pomeriggio, sono andato a trovare una di quelle donne la cui missione è di occuparsi della felicità degli uomini.

COUZAN. E lei vi ha rilasciato un certificato?

DES BARBETTES. Sì, di cattiva condotta... (Estraendo una carta dalla tasca.) Eccolo!

COUZAN. Oh! Leggetemelo!

DES BARBETTES (leggendo). «Certifico di avere avuto come amante il Signor Gontrano des Barbettes e che le sue prestazioni sono risultate lodevoli sotto tutti i rispetti... è un fidanzato ideale.»

COUZAN. Niente di meno!

DES BARBETTES (leggendo). «Provarlo vuoi dire assumerlo.»

COUZAN (ridendo). E che cosa vi ha chiesto per questa dichiarazione?

DES BARBETTES. Ecco: essendo anche pittrice, oltre che donna, galante, mi ha semplicemente pregato di comprarle un quadro. (Toglie il giornale che avvolgeva il quadro.)

COUZAN. Ah! guarda! e che cosa rappresenta? (Guardando il quadro che des Barbettes gli presenta.) Un Zézé! E un Zézé!

DES BARBETTES. Ha molto talento?

COUZAN. Sì, al plurale! (A parte.) Almeno servisse a guarire Dupont!

DES BARBETTES. Voglio regalare il quadro a mio suocero, che è, collezionista!... Credo che gli farà piacere.

COUZAN. Ah! potete essere certo! Però, vorrei darvi io stesso un talismano.

DES BARBETTES. Un talismano?

COUZAN. Sì. Voi lo conoscete da poco, il vostro futuro suocero, il mio vecchio amico Dupont.

DES HARBETTES. E un uomo affascinante!

COUZAN. Ha un pessimo carattere, il peggiore possibile.

DES BARBETTES. Ah! bah!...

COUZAN. Ecco, se per caso si arrabbiasse con voi e volesse attaccar briga, avete un mezzo per tappargli la bocca per sempre; dovete soltanto alzare il dito e dirgli questa semplice parola: Velasquez!

DES BARBETTES. Velasquez?

COUZAN. Sì, e adesso venite con me nel suo studio, appenderemo il quadro bene in vista... Quel caro Dupont!

DES BARBETTES. Ma spiegatemi.

COUZAN. È inutile... Forza! andate avanti.

DES BARBETTES. Velasquez? (Esce a sinistra, in secondo piano, portando il quadro.)

COUZAN (solo). Lo sapevo, io, che Zézé era una baldracca.

Scena seconda

COUZAN, PAULETTE.

PAULETTE (entrando da destra, in primo piano, con un libro). Buongiorno, padrino, chiedo scusa se vi ho fatto aspettare. Mi è stato detto ora che eravate qui!

COUZAN  (venendo  avanti).   Buongiorno, tesoro. (La  bacia.) Niente di nuovo da ieri?

PAULETTE. Niente che io sappia, padrino.

COUZAN. Ah! (A parte.) Ancora non è successo!

PAULETTE. Perché mi chiedete questo?

COUZAN. Per niente, tesorino, per niente. Continua pure a leggere; non badare a me... vado a raggiungere des Barbettes nello studio. Preparo una sorpresa a tuo padre.

PAULETTE. Voi cercate sempre di fare dei piaceri alla gente.

COUZAN (uscendo). Cosa vuoi, è nella mia natura! (Esce a sinistra in secondo piano.)

Scena terza

PAULETTE, poi LISA.

PAULETTE. Andiamo avanti. (Si siede sul divano e legge.) «Fanny era già coricata quando Leone entrò nella camera nuziale. Finalmente soli! esclamò avvicinandosi al letto; poi scivolò accanto a Fanny, che era diventata rossa e ansimava... e il grande mistero si compì; il mistero temibile e delizioso... Fanny conobbe l'amore...» (Parlato, pensierosa.) Il grande mistero, temibile e delizioso?

LISA (entrando dal fondo, col coppellino in testa e un rotolo di musica sotto il braccio). Sono io! Toh, sei sola? (Posa il rotolo di musica sul mobile a sinistra della porta di fondo.)

PAULETTE. Sì.

LISA. Gontrano non c'è?

PAULETTE. E nello studio di papa con Couzan.

LISA (andando a sedersi accanto a Paulette, passando alla destra del divano). Oh! se sta con Couzan, può aspettarmi cinque minuti... Finalmente possiamo chiacchierare un po'... Ma sì, sei ritornata da tre giorni, ed è la prima volta che ci troviamo sole un istante.

PAULETTE. Devi dirmi qualcosa, sorellina?

LISA. No, sei tu che devi parlarmi. È arrivato il momento di mantenere la promessa.

PAULETTE. Quale promessa?

LISA. Il giorno prima di sposarti, mi hai promesso che mi avresti raccontato tutto.

PAULETTE. Tutto cosa?

LISA. La tua notte di nozze, no?

PAULETTE. Oh! mia cara, non c'è proprio niente di straordinario!... Ci s'immagina chissà quali cose... e non succede niente!

LISA. Niente? Ma come!

PAULETTE. No, no, mia cara... tutto rimane come prima; soltanto, invece di essere sole a letto, si è in due, tutto qui!

LISA (furiosa, alzandosi). Non è vero! Io so che non è vero!

PAULETTE. Te lo giuro.

LISA. Non sei gentile, no! Del resto, siete tutte così!... Il giorno prima promettete di raccontare tutto; l'indomani, marameo, non riusciamo a cavarvi una parola!

PAULETTE. Ti garantisco, sorellina, che dico la verità.

LISA. Ma andiamo! andiamo! Quando la mia amica Marcella Labroche si è sposata, mi aveva giurato, anche lei, di raccontarmi ogni cosa. Il giorno dopo, sono andata a salutarla di nascosto... Era raggiante... e quando le ho ricordato la promessa si è fatta rossa... oh! tanto rossa... e non ha più voluto dirmi niente, nemmeno lei...

PAULETTE. Perché non c'è niente da dire!

LISA. Già, ma siccome sono più furba di lei, sono riuscita, senza averne l'aria, a strapparle lo stesso qualche frase.

PAULETTE: E che cosa ti ha detto?

LISA. Mi ha detto: mia cara, aspettati qualsiasi cosa e non meravigliarti di niente.

PAULETTE. Questo, ti ha detto?

LISA. E ha aggiunto, abbassando gli occhi: È un grande mistero.

PAULETTE (vivacemente). Un grande mistero! Ha detto un grande mistero?

LISA. Un mistero temibile e delizioso.

PAULETTE. Un mistero temibile e delizioso. Come nel romanzo.

USA. Quale romanzo?

PAULETTE. Un romanzo che la mamma mi aveva proibito di leggere quand'ero ragazza, e che ho preso nella biblioteca.

LISA. Ah! lo vedi che c'è un mistero?

PAULETTE. Ma io non lo conosco; ti giuro che non lo conosco.

LISA. Davvero? E sei sposata da cinque settimane? Tu mi prendi in giro.

PAULETTE. Ti ripeto per l'ultima volta...

LISA. Va bene, va bene! Non vuoi dire nulla nonostante le promesse, e la sera delle mie nozze, davanti a mio marito, starò lì come un'oca.

PAULETTE. Lisa! (Couzan entra da sinistra in secondo piano.)

LISA. No! Lasciami, sono furiosa!

Scena quarta

GLI STESSI. COUZAN.

COUZAN. Che succede? State litigando?

LISA. C'è che mia sorella è l'ultima delle sorelle.

COUZAN. Cosa?

LISA. L'ultima delle ultime, lo ripeto! Questo, c'è! (Esce da sinistra, in primo piano.)

Scena quinta

PAULETTE, COUZAN.

COUZAN. Ah! senti! Ma che cosa è accaduto? Spiegami!

PAULETTE (un poco nervosa). Padrino, mio buon padrino, voi mi volete bene, no?

COUZAN. Ne puoi dubitare, mia cara?

PAULETTE. Siete un uomo vissuto, pieno di esperienza, avete avuto una moglie.

COUZAN. Per vent'anni!

PAULETTE. Bene, allora rispondetemi francamente, senza tergiversare: che cos'è il matrimonio?

COUZAN. Il matrimonio?

PAULETTE. Sì.

COUZAN. Ma... è una bella cerimonia, prima civile, poi religiosa... con un bel pranzo per finire.

PAULETTE. Sì... sì... lo so... Ma dopo il pranzo?

COUZAN. Dopo il pranzo, generalmente, c'è un ballo...

PAULETTE. E dopo il ballo?

COUZAN. Gli sposi tornano a casa.

PAULETTE. E il mistero? C'è un mistero temibile e delizioso.

COUZAN. Accidenti! chi te l'ha detto?

PAULETTE (lanciando un grido e portandosi a sinistra). Allora è vero! Un mistero c'è, ed io non lo conosco.

COUZAN. Paulette, ascoltami.

PAULETTE. No, no, vi siete tradito! Del resto, dopo cinque settimane, anch'io mi chiedevo: non è possibile che il matrimonio consista nel dormire uno accanto all'altro, come due marmotte, ci dev'essere qualcos'altro! Ma allora, ditemi, sono stata derubata, io?

COUZAN. Paulette!

PAULETTE. Ah! ve ne prego, ditemi di che cosa sono stata derubata.

COUZAN. Neanche per sogno!

PAULETTE. Rifiutate di rispondere?

COUZAN (imbarazzatissimo). Non è questo, è che... vedi, ho dimenticato... Sai, è passato tanto tempo!

PAULETTE. Davvero? In questo caso, chiamo la cuoca... è sposata soltanto da tre anni, non può avere dimenticato.

(Vuole tornare verso il fondo.)

COUZAN (fermandola in fretta). No! no! non puoi! Mettere i domestici al corrente, ci mancherebbe!

PAULETTE (venendo avanti e andando a sedersi a sinistra del tavolo). E chiaro che non avete dimenticato. (Piangendo.) Ah! mio Dio! mio Dio! come sono infelice!

Scena sesta

GLI STESSI, LA SIGNORA DUPONT.

SIGNORA DUPONT (entrando dal fondo, col viso ancora sporco di colore). Oh! che giornata!

PAULETTE. Ah! mamma! Se tu sapessi. (Fermandosi.) Oh! ma che cos'hai in faccia?

SIGNORA DUPONT. In faccia?

COUZAN. Sì, avete la faccia dipinta come un pellerossa che va alla guerra.

SIGNORA DUPONT. Ah! ci sono... è stato mio marito con una tavolozza.

COUZAN. Ah! si è divertito.

SIGNORA DUPONT. Ah! poverino! E pensare che l'ho accusato e picchiato. Ma non si tratta di questo!

PAULETTE. Certo che non si tratta di questo. Mamma, preparati a una notizia spaventosa: mio marito non è mio marito ed io non sono sua moglie!

SIGNORA DUPONT. Eh? Chi te l'ha detto?

PAULETTE (decisa). Mia sorella.

SIGNORA DUPONT (soffocando). Tua sorella?

COUZAN (attonito). Ah! Dio mio!

SIGNORA DUPONT. Quella monella ti ha detto questo?

PAULETTE. Sì, mamma, è stata lei ad aprirmi gli occhi.

SIGNORA DUPONT (a parte). Ma se ha letto soltanto i libri della Biblioteca Rosa, e purgata!

PAULETTE. Il Signor de Trivelin non mi ama, non mi ha mai amato.

SIGNORA DUPONT. Oh! quanto a questo, non vale gran che.

COUZAN. Permettete?...

SIGNORA DUPONT. No, caro Couzan, non permetto!... Il Signor de Trivelin è un miserabile che io farò correre, e non più tardi di stasera.

COUZAN (a mezza voce). Sembra un Apache che fa lo scalpo al nemico.

SIGNORA DUPONT. Cosa dite?

COUZAN. Niente, grande capo!

SIGNORA DUPONT. Entro tre mesi, mia figlia avrà il divorzio.

PAULETTE (approvando). Oh! sì!

SIGNORA DUPONT (togliendosi il coppellino, che va a posare sul mobile, a sinistra della porta di fondo). Ed entro l'anno, avrà un altro marito.

PAULETTE (portandosi in mezzo alla scena). Non importa chi sia, basta che mi faccia conoscere il gran mistero.

SIGNORA DUPONT. Sposerai La Baule, abbiamo un impegno.

PAULETTE. D'accordo, non lo amo, ma non importa.

COUZAN. Ma porca miseria! state facendo una sciocchezza irrimediabile! E come padrino ho il diritto... 

SIGNORA DUPONT. Avete il diritto di tacere.

COUZAN (a Paulette). Tuo marito ti adora, parola mia!

SIGNORA DUPONT. Volete dire che ne adora un'altra.

PAULETTE (lanciando un grido). Eh?

SIGNORA DUPONT. Sì, bambina mia... un'altra... In questo momento, anche tuo padre e La Baule stanno raccogliendo contro di lui prove inconfutabili della sua infame condotta.

PAULETTE   (gettandosi  piangendo  nelle braccia  della  madre) Un'altra! Ne amava un'altra!

SIGNORA DUPONT. Su, tesoro, non piangere, quel bandito non è degno di far piangere un angelo come te.

PAULETTE (piangendo). Ah! mamma!

SIGNORA DUPONT. Vai a dire ad Ernestina di andare a comprare dell'acqua ragia.

PAULETTE. Sì, mamma.

SIGNORA DUPONT. E appena arrivano le prove che aspetto vengo a chiamarti in camera tua.

PAULETTE. Sì, mamma! (Uscendo.) Ah! lo odio, adesso, lo odio. (esce a destra, in primo piano.)

Scena settima

COUZAN, LA SIGNORA DUPONT.

COUZAN. Ah! cara signora, che cosa volevate dire con «ne adora un'altra»?

SIGNORA DUPONT. Volevo dire che il Signor conte de Trivelin ha una concubina come Luigi XIV.

COUZAN. Come dite, una che?

SIGNORA DUPONT. Un'amante. Quello lì è muto a casa sua perché si sgola quando è fuori. L'ho fatto seguire, poco fa, ed è andato da una sgualdrina!

COUZAN (con gioia). Siete sicura?

SIGNORA DUPONT. Se vi dico che l'ho fatto seguire.

COUZAN (fregandosi le mani). Finalmente, ci è andato!

SIGNORA DUPONT. Perché, voi lo approvate?

COUZAN. Toh, ce l'ho mandato io!

SIGNORA DUPONT. Come? voi?... Perché, avete una percentuale?

COUZAN. Signora Dupont, io non mangio di quel pane lì. Era il solo mezzo per rendere la parola a quel povero ragazzo!

SIGNORA DUPONT. Mi prendete in giro?

COUZAN. Nemmeno per sogno.

SIGNORA DUPONT. Ma a chi volete darla ad intendere?

Scena ottava

GLI STESSI, ERNESTINA, e LA BAULE.

ERNESTINA (entrando dal fondo e annunciando}. Il Signor La Baule!

SIGNORA DUPONT. Lui! (Compare La Baule. Ernestina esce.) E allora, queste prove?

LA BAULE (posando i vestiti di Trivelin e venendo avanti). Sono qui!

SIGNORA DUPONT. Finalmente!

LA BAULE. Sì, ma ho fatto una fatica!... Ho rischiato la vita per averle... Ho sorpreso vostro genero tutto nudo in casa di lei, e questi nono gli abiti che ho trafugato.

SIGNORA DUPONT (prendendo i vestiti). Bravo!

COUZAN. Bei modi davvero!

SIGNORA DUPONT. Non date retta a questo sprovveduto... La Baule, vi siete fatto un grosso merito presso la vostra futura suocera... (Indica i vestiti.)

LA BAULE. Allora, ho sempre il numero due?

SIGNORA DDPONT. Più che mai! (Posa i vestiti sul tavolo.)

COUZAN. No, scusate! state dimenticando una cosa, e cioè che il Signor de Trivelin ha ancora tempo fino a mezzanotte per dimostrare di essere il marito di sua moglie. Sta per tornare.

LA BAULE. Nessun pericolo. L'ho fatto schiaffare in gattabuia.

COUZAN e SIGNORA DUPONT. Eh?

LA BAULE. L'ho denunciato alla polizia come mandrillo della vedova Tripette!

SIGNORA DUPONT. Bravo!

LA BAULE. E voi conoscete la tempestività della giustizia francese: se lo rilasciano entro un mese, è già molto.

COUZAN (indignato). Come! Avete fatto questo?

LA BAULE. E me ne vanto!

SIGNORA DUPONT. Ah! lo adoro, quel ragazzo! (Lo bacia.} Ed ora, vado a cercare mia figlia, voglio mostrarle quanto è grande la sua disgrazia.

COUZAN. Signora Dupont, ascoltatemi.

SIGNORA DUPONT. Ah, non rompetemi le scatole! (Esce a destra, in primo piano.)

COUZAN. Vi scongiuro! (Esce, inseguendo la signora Dupont.)

LA BAULE (solo). Trivelin è sistemato! Mi prende a schiaffi? ed io gli soffio la moglie. (Colpito da un'idea.) Accidenti! ho dimenticato di portare i fiori! Vado a telefonare a un fioraio perché ne mandi un bel mazzo! Ah! Paulette! Paulette! Come saremo felici, assieme! (Esce a sinistra, in primo piano.)

Scena nona

DE TRIVELIN, Solo.

DE TRIVELIN (entrando e parlando verso le quinte, sempre con gli abiti sopra il pigiama). Finalmente son qui... Ah! Paulette, mia Lélette! Sarò dunque tuo marito! Ti condurrò lontano dalla tua esecrabile famiglia, lascia che mi cambi d'abito... Ah! Sant'Antonio da Padova, tu che fai ritrovare gli oggetti perduti, se tu potessi farmi ritrovare il completo che quella canaglia di La Baule mi ha rubato... (Vedendo gli abiti che sono sul tavolo.) Che cosa vedo? O miracolo! ma sono qui! (Afferra i vestiti.) Grazie, Sant’Antonio. (Rumore di voci nelle quinte.) C'è gente! Andiamo a vestirci di là... (Esce a sinistra, in primo piano.)

Scena decima

FRONTIGNAC, ERNESTINA.

(Compare Frontignac dal fondo, coi vestiti di Dupont sul braccio. Ernestina lo segue.)

ERNESTINA. Vi ripeto ancora una volta, Signore, che il Signore non è rientrato.

FRONTIGNAC. Lo so bene, perbacco, che non è rientrato.

ERNESTINA. Il Signore è al Palazzo di Giustizia.

FRONTIGNAC. Si, buonanotte... Lo sai dov'è il tuo padrone? In guardina!

ERNESTINA. Eh? Arrestano i magistrati adesso?

FRONTIGNAC. È lui il mandrillo della vedova Tripette!

ERNESTINA.  Il signor Dupont?

FRONTIGNAC. Sì, è un noto sporcaccione! Questi che ho portato sono i suoi vestiti. (Li posa sul tavolo, dove stavano quelli di Trivelin.)

ERNESTINA. Il mandrillo era lui! La cosa non mi stupisce. Ha sempre avuto un'aria da vizioso. Figuratevi che...

FRONTIGNAC. No! non ho tempo di figurarmi, vado da un avvocato...

ERNESTINA. Ma, signore, aspettate un istante. (Scompaiono dal fondo.)

Scena undicesima

LA BAULE, poi LA SIGNORA DUPONT, PAULETTE e COUZAN, poi ERNESTINA.

LA BAULE (entrando da sinistra, in primo piano). È fatta! I fiori saranno qui fra un'ora, un bel mazzo da fidanzamento...

SIGNORA DUPONT (entrando, seguita da Paulette e Couzan). Vieni, bambina mia, vieni!

PAULETTE. La Baule ha portato le prove che mio marito mi tradiva? Dove sono?

SIGNORA DUPONT. Eccole. (Prende i vestiti.)

LA BAULE. Prove inconfutabili, gli abiti del Signor de Trivelin...

SIGNORA DUPONT (dando la giacca a Paulette). Che folleggiava tutto nudo da un'etera!

PAULETTE. Oh! miserabile! (Guardando la giacca.) Ma questi non sono i vestiti di Roberto!

COUZAN e LA SIGNORA DUPONT (insieme). Non sono i suoi vestiti?

LA BAULE. Come no! Scusate, li ho presi io stesso da Zézé!

SIGNORA DUPONT. Da Zézé?

LA BAULE. Ho controllato il suo portafoglio... E’ nella tasca.

SIGNORA DUPONT (che ha preso il portafoglio). Eccolo. Oh! guarda si direbbe il... (Aprendo il portafoglio e guardando i biglietti da visita.) «Beniamino Dupont, presidente della nona sezione!... Beniamino Dupont!»

COUZAN, LA SIGNORA DUPONT, LA BAULE. Eh?

COUZAN (a parie). Ah! questa è buona!

SIGNORA DUPONT. Questi sono gli abiti di mio marito.

LA BAULE (a parte, stupefatto). O mamma mia!

SIGNORA DUPONT. Ma allora, era lui che folleggiava tutto nudo dall'etera!

PAULETTE. Mamma! (Couzan, che è accanto a Paulette, la fa tacere.)

LA BAULE (alla signora Dupont). E tuttavia...

SIGNORA DUPONT (furiosa). Ah! buono, voi! ogni volta che devo beccare mio genero, inciampo in mio marito. (Gli getta la giacca in faccia.)

LA BAULE. Vi giuro che non capisco. E una magia.

SIGNORA DUPONT. Ma andiamo! E mi venite a dire che la sgualdrina da cui mi avete portata poco fa si chiama Zézé?

LA BAULE. Sì, è una pittrice...

SIGNORA DUPONT. Quella che dipinge coi piedi?

LA BAULE. Ma no, no, con le mani.

SIGNORA DUPONT. Dunque le mani ce le ha?

LA BAULE. Ce le ha? Ma certo che ce le ha!

SIGNORA DUPONT (con un grido di furore). Ah! ah! E il signor Dupont sosteneva l'altro ieri che era vecchia e inabile!

LA BAULE (a parte). Accidenti!

SIGNORA DUPONT (portandosi a sinistra). Ah! fulmini! Comincio a capire.

LA BAULE. Signora Dupont, ascoltatemi.

SIGNORA DUPONT. È inutile! Ah! credo che oggi a Parigi accadrà qualcosa di tremendo! (Esce dal fondo, portando con sé il cappellino che ha preso sul mobile, accanto alla porta.)

LA BAULE. Signora Dupont!

Scena dodicesima

COUZAN, LA BAULE, PAULETTE.

PAULETTE (a La Baule). Sentite! volete spiegarmi...

LA BAULE (rimettendo la giacca sul tavolo). E una magia, mia piccola Paulette, è una magia. (Lanciando un grido.) Ah! mio Dio!

PAULETTE. Che c'è ancora?

LA BAULE (più forte). Mio Dio! Mio Dio!

PAULETTE. Ma parlate, insomma!

LA BAULE. Ma se chi stava là tutto nudo è vostro padre, allora è lui che hanno arrestato!

PAULETTE. Eh?

COUZAN (a parte, ridendo). Hanno arrestato Dupont!

LA BAULE. Ho fatto mettere in galera mio suocero! Corro subito in Questura. Ho fatto mettere in galera mio suocero! (Esce rapidamente dal fondo.)

Scena tredicesima

PAULETTE, COUZAN, poi DE TRIVELIN.

COUZAN. Ebbene! vedi che avevo ragione. Tuo marito veniva calunniato.

PAULETTE. Per quel che riguarda Zézé, può darsi; ma che ami quella lì oppure un'altra... che importa il nome?

COUZAN. Ma se ti dico...

PAULETTE (interrompendolo). E poi, ve ne prego, padrino, non parlatemi più di questo signore. Io non lo conosco. (Compare Trivelin.) Eccolo!

DE TRJVELIN (entrando da sinistra, in secondo piano, senza vedere Paulette. Ha  indossato i propri abiti).  Toh, c'è Couzan! Buongiorno, Couzan!

COUZAN (andandogli incontro). Caro Trivelin! (Sottovoce.) E allora, il mio sistema?

DE TRIVELIN (sottovoce). Infallibile! Ne rispondo io!

COUZAN (sottovoce). Finalmente! Era ora! (Indicando Paulette.) C'è Paulette. (A voce alta.) Vi lascio, ragazzi, dovete parlare.

DE TRIVELIN. Oh! Sì!

PAULETTE. Parlare? Il signore ed io? Siete in errore, padrino, non abbiamo niente da dirci. (Si porta a destra.)

DE TRIVELIN (venendo avanti, in mezzo alla scena). Niente da dirci?

COUZAN (venendo avanti a sinistra). Paulette!

PAULETTE. O meglio, sì, e vi devo dire questo: «Ho ricevuto informazioni sul conto vostro, signore, e sono stata derubata».

DE TRIVELIN. Ah! quella vecchia carogna di sua madre!

PAULETTE. Perfetto! Non vi mancava che di insultare mia madre!

DE TRIVELIN. Paulette, ti scongiuro...

PAULETTE. Inutile. Domani, faccio domanda di divorzio.

DE TRIVELIN. Divorziare?

PAULETTE. E sposo La Baule.

DE TRIVELIN. Sposare quell'idiota?... Non ditelo nemmeno per scherzo.

PAULETTE. E perché no? Almeno, con lui, non sarò derubata. (Si dirige verso la porta di destra, in primo piano.)

DE TRIVELIN. Paulette! Ascoltami!

PAULETTE. Troppo tardi! Siete disponibile ora?

DE TRIVELIN (con forza). Sì! oh! sì!

PAULETTE. Ebbene! io non lo sono più! (Esce a destra, in primo piano, e chiude a chiave.)

Scena quattordicesima

DE TRIVELIN, COUZAN.

DE TRIVELIN. Ha chiuso a chiave! Ah! satanasso! Non manca proprio niente!

COUZAN. Volete che tenti ancora una volta di farla ragionare?

DE TRIVELIN. A che scopo? Da retta soltanto a sua madre e a suo padre. (Gli viene un'idea.) Oh! suo padre!... Ma si! Soltanto lui può salvarmi! (Tornando verso il fondo e in tono tragico.) Ah! miserabile La Baule, non hai ancora vinto! (Fra di sé.) Ho in mano un'arma: Velasquez!... (Si dirige verso la porta di sinistra, in secondo piano.)

COUZAN. Dove andate?

DE TRIVELIN (drammatico). A giocare la mia ultima carta! (Esce a sinistra, in secondo piano.)

Scena quindicesima

COUZAN,DUPONT.

COUZAN. Povero ragazzo. E finita! Deve far fagotto! (Compare Dupont dal fondo; entra con precauzione, di spalle; è vestito da poliziotto col manganello bianco nel suo fodero. Divisa e berretto troppo larghi.) Oh, la polizia! (Riconoscendo Dupont che si era girato.) Dupont!

DUPONT. Sì!

COUZAN. Travestito!

DUPONT. Taci! Dov'è mia moglie?

COUZAN. Di là.

DUPONT. Oh! amico mio, sono sfinito, distrutto! Se tu sapessi quel che mi capita!....Zézé! Zézé!... aveva marito... (Cade a sedere a sinistra del tavolo.)

COUZAN. No!

DUPONT. E quel porco di suo marito mi sorprende.

COUZAN. Ah! beh!

DUPONT. Non è tutto... mi hanno arrestato in mutande... e sai per chi mi hanno preso?

CQUZAN. Per il mandrillo...

DUPONT. Sì.

COUZAN. Della vedova Tripette.

DUPONT (alzandosi). Come lo sai?

COUZAN. Vai avanti, poi te lo dico.

DUPONT. Bene. Una volta in guardina ho cercato di farmi riconoscere, ho detto: Sono Dupont... Dupont, il noto giudice.

COUZAN. E ti hanno rilasciato?

DUPONT. Ah! come no! C'erano due agenti, là, che avevo fatto metter dentro per abuso di potere... Mi hanno riconosciuto, i compari... ma hanno fatto finta di non conoscermi. Finalmente sono riuscito a scappare, grazie alla divisa che un poliziotto meno feroce degli altri ha voluto prestarmi.

COUZAN. Ah!

DUPONT. Ma non è finita. In piazza dell'Opera, c'era un ingorgo... un marcantonio di brigadiere mi vede col mio coso qui (mostra il manganello bianco) e grida: «Ah! sei tu l'agente nuovo? E questa l'ora di arrivare a prendere servizio? Su, al lavoro, o ti schiaffo dentro».

COUZAN (ridendo). Eri appena uscito.

DUPONT. Così non ho fiatato... Ho ubbidito e per un quarto d'ora, sotto gli occhi del brigadiere, ho diretto il traffico... (Estrae il manganello bianco dal fodero e fa il gesto.)

COUZAN.  Il Presidente della nona sezione!

DUPONT.  SI, io ho manovrato il manganello. Sai, è molto più difficile di quel che sembra. Devi trovare il giusto movimento del polso. (Fa il gesto.) Sono diventato abbastanza bravo. (Rimettendo il manganello nel fodero.) Mi stavo chiedendo come sarebbe finita la storia, quando d'un tratto sento gridare: «al ladro! al ladro!», e mentre il brigadiere gli correva dietro come un matto, me la sono svignata alla chetichella, ed eccomi qui.

COUZAN (ridendo). È la prima volta che un magistrato si salva dalla prigione grazie a un ladro!

DUPONT. Gli farei un monumento! Però, non posso rimanere in questo stato. (Indica la propria divisa.)

COUZAN. Senti! mi fai compassione! Prendi i vestiti che ha portato La Baule. (Indica i vestiti sul tavolo.)

DUPONT. La Baule!

COUZAN. Li ha presi da Zézé credendo che fossero di Trivelin.

DUPONT. E mia moglie li ha visti?

COUZAN. E riconosciuti... Ha fatto una storia!

DUPONT. Oh! sono ben ridotto!

COUZAN. E non è finita! E ancora La Baule che ti ha fatto arrestare, sempre credendo di far fuori tuo genero.

DUPONT. Come! Anche questo lo devo a La Baule?

COUZAN. Sì. E al tuo posto, mi guarderei bene dal fare entrare in famiglia uno squinternato come lui...

DUPONT. Lo puoi dire! Ah! ma pagherà tutto in un colpo solo.

COUZAN. Bravo! Ma intanto vai a cambiarti; tua moglie può entrare da un momento all'altro.

DUPONT. Hai ragione... Vieni a darmi una mano... Oh! sì! me la pagherà! (Esce a destra in secondo piano.)

COUZAN (solo). Mio caro La Baule, sei in croce.

(Esce a destra, in secondo piano, dietro Dupont. Mentre scompare, entra Trivelin portando i vestiti di Frontignac, che indossava all'arrivo. Va a suonare il campanello.)

Scena sedicesima

DE TRIVELIN, ERNESTINA.

DE TRIVELIN (dopo aver suonato va a posare sul tavolo i vestiti di Frontignac). E Dupont non è ancora arrivato.

ERNESTINA (entrando dal fondo). Il signore ha suonato?

DE TRIVELIN (indicando i vestiti sul tavolo). Portate subito questi vestiti al Grand Hotel, dal signor Frontignac!

ERNESTINA. Sì, signore. (De Trivelin esce di nuovo a sinistra.)

Scena diciassettesima

ERNESTINA, poi LA SIGNORA DUPONT.

ERNESTINA (sola, brontolando). Devo apparecchiare la tavola e mi mandano al Grand Hotel... (Prende i vestiti dal tavolo. Nello stesso momento compare la signora Dupont che osserva il gioco scenico.)

SIGNORA DUPONT. Ernestina!

ERNESTINA. Signora?

SIGNORA DUPONT. Chi vi ha dato il permesso di prendere quegli abiti?

ERNESTINA. Ma signora!

SIGNORA DUPONT (troncandole la parola). Rimetteteli sul tavolo e subito.

ERNESTINA. Scusate, ma...

SIGNORA DUPONT. No, non scuso. Fate quel che vi dico e non ribattete.

ERNESTINA. Bene, signora. (Posa di nuovo i vestiti sul tavolo.)

SIGNORA DUPONT. Vi proibisco di toccarli, avete capito? Sono prove a carico del signor Dupont.

ERNESTINA (a parte). II mandrillo!

SIGNORA DUPONT. Il signor Dupont è tornato?

ERNESTINA. Non lo so, Signora!

SIGNORA DUPONT. Andate un po' a vedere nel suo studio.

ERNESTINA (vivacemente). Oh! no, mai, Signora.

SIGNORA DUPONT. Rifiutate di obbedirmi?

ERNESTINA. Restare sola col Signore? Ho troppa paura.

SIGNORA DUPONT. Paura di che?

ERNESTINA. Toh. Di essere violentata!

SIGNORA DUPONT. Eh?

(Da destra, in secondo piano, rientra Dupont che ha indossato i suoi abiti.)

ERNESTINA (vedendo entrare Dupont e lanciando un grido). Ah! eccolo! (Fugge dal fondo, di corsa.)

DUPONT. Ma che cos'ha quella ragazza?

SIGNORA DUPONT. Ha, caro Signore, che certe voci sulle vostre scostumatezze e sulle vostre orge sono sicuramente giunte fino alle sue orecchie.

DUPONT (venendo avanti). Le voci sulle mie scostumatezze e sulle mie orge?

SIGNORA DUPONT. Imputato Dupont Beniamino, mi avete preso in giro poco fa, come mi avete preso in giro l'altro ieri: Zézé non è una vecchia dama incapace, Zézé non dipinge coi piedi! Zézé è la vostra concubina!

DUPONT (indignato). Menzogna! Infamia! Sono innocente! (Si avvicina alla porta a sinistra.)

SIGNORA DUPONT. Tutte le apparenze sono contro di voi!

DUPONT. E con questo? Nella mia lunga carriera di magistrato, ho condannato un sacco di gente sulla base delle apparenze, e so quel che valgono.

SIGNORA DUPONT. Silenzio! Non dispongo soltanto di apparenze, dispongo di prove!

DUPONT. Prove?

SIGNORA DUPONT. Questi abiti. (Va a prendere la giacca sul tavolo.)

DUPONT. Quali abiti?

SIGNORA DUPONT. I vostri, Signore, che La Baule ha preso in casa di quella donna.

DUPONT (prendendo la giacca}. Ma non è mia, questa!

SIGNORA DUPONT. Ah, sì? E il portafoglio?

DUPONT. Il portafoglio?

SIGNORA DUPONT. Sì, che sta nella tasca, anche quello non è vostro? E i biglietti da visita che ci sono dentro: «Beniamino Dupont»?

DUPONT (che ha estratto il portafoglio e sta leggendo i biglietti da visita). «Frontignac, mercante di cammelli!» (Li mostra alla signora Dupont.) Frontignac.

SIGNORA DUPONT (con un grido di sorpresa e prendendo il portafoglio). Eh?

DUPONT (a parte, allegramente). I vestiti di Frontignac!

SIGNORA DUPONT. Oh! perbacco! Non ho mica le traveggole!

DUPONT (restituendole la giacca). Sono queste, le vostre prove?

SIGNORA DUPONT. L'ho visto... coi miei occhi, era il vostro portafoglio. (Torna a posare sul tavolo la giacca e il portafoglio.)

DUPONT. Ah! è così, donna Dupont, vi date al bere adesso? Per una semplice illusione dei vostri sensi abbagliati...

SIGNORA DUPONT (senza ascoltarlo). La Baule ha ragione. C'è della magia qui dentro.

ERNESTINA (entrando da destra, in secondo piano, con l'uniforme da poliziotto e il manganello bianco). Signora!

SIGNORA DUPONT (e Dupont insieme). Che c'è?

ERNESTINA. Sotto il letto della Signora ho trovato questa divisa da poliziotto.

SIGNORA DUPONT. Eh?

DUPONT (a parte). Accidenti!

SIGNORA DUPONT (sbalordita). Una divisa da poliziotto sotto il mio letto?

DUPONT (vivacemente, tornando verso il fondo). Ernestina, lasciate lì  e uscite!

ERNESTINA (spaventata). Sì, Signore. (Posa l'uniforme sulla sedia, a destra del tavolo, e il cinturone a cui è attaccato il fodero col manganello, sul tavolo. A parte, uscendo dal fondo e guardando Dupont.) Che aria lasciva ha!

SIGNORA DUPONT (prendendo il manganello bianco). E c'è anche un manganello bianco...

DUPONT (a parte, con un'idea in mente, e venendo avanti). Oh! aspetta un po'.

SIGNORA DUPONT. Oh, questa! ma come è possibile?...

DUPONT (terribile). Ve lo dirò io, adesso! (Prende il manganello dalle mani della signora Dupont.)

SIGNORA DUPONT. Ah, voi lo sapete?

DUPONT (alzando il manganello e facendola venire avanti con un gesto). Dupont Adelaide, nata La Branche!...

SIGNORA DUPONT (avvicinandosi). Ma che gli prende?

DUPONT (alzando il manganello). Silenzio! (Indignato.) E così, mentre vostro marito, mettendo a repentaglio la sua vita, sorvegliava vostro genero, voi, moglie svergognata, ospitavate in camera vostra un poliziotto nudo?

SIGNORA DUPONT. Io?

DUPONT (alzando il manganello). Silenzio! Mi accusavate di avere una concubina, ed eravate voi ad avere un concubino!

SIGNORA DUPONT. Un concubino? io?

DUPONT. Non negate! il miserabile, sorpreso dal mio arrivo inatteso, non ha avuto il tempo di rivestirsi.

SIGNORA DUPONT. Beniamino, dove vuoi arrivare?

DUPONT. Non voglio arrivare affatto... Trovo la verità per caso, (passando a destra) come facciamo sempre noi magistrati.

SIGNORA DUPONT. Ma andiamo, cerca di essere serio!

DUPONT. E chi è il vostro complice? Un semplice agente del traffico. Nemmeno il questore!

SIGNORA DUPONT (mettendosi a piangere). Mio Dio! mio Dio! credermi capace di una cosa simile!

DUPONT (a parte). Voglio divertirmi.

ERNESTINA (entrando dal fondo). Signore, c'è un agente di polizia che è venuto a riprendere la sua divisa.

DUPONT (a parte). Accidenti.

SIGNORA DUPONT (tornando verso il fondo). Ah! venga, venga, ora lo vedi!

DUPONT (rapidamente tornando verso tifando e ponendosi fra la porta e la signora Dupont). No, non voglio vederlo, lo ucciderei.

SIGNORA DUPONT. Scusami! Ma ci tengo troppo...

DUPONT. Ed io rifiuto. (A Ernestina, indicando l'uniforme) Restituitegli questa roba e dategli cento franchi.

ERNESTINA (prendendo l'uniforme e il manganello). Sì, Signore!

(Esce dal fondo.)

SIGNORA DUPONT. Ah! è così? bene, vado a cercarlo io!

DUPONT (fermandola e facendola passare sul fondo, a destra). Voi, rimanete qui! Vi proibisco di rivedere quell'uomo, piccola viziosa!

SIGNORA DUPONT. Beniamino!

DUPONT (dignitoso). Anch'io perdono alla donna adultera e regalo cento franchi al suo amante! Soltanto, a partire da questa sera, dormiremo in letti separati.

SIGNORA DUPONT. Letti separati?

DUPON (severamente). Ho detto! (A parte.) Comunque, tanto di guadagnato!

SIGNORA DUPONT. Oh! c'è qualcosa di oscuro in tutto questo!

DUPONT. Ed ora, la denominata Dupont se ne va in camera sua e vede di non peccare più!

SIGNORA DUPONT (a parte). Ma voglio andare fino in fondo.

(Esce a destra, in secondo piano.)

Scena diciottesima

DUPONT, poi ERNESTINA, poi FRONTIGNAC.

DUPONT (solo, venendo avanti e allegramente). Ora è addomesticata per il resto dei suoi giorni. (Entra Ernestina dal fondo.)

ERNESTINA. Il signor Frontignac.

DUPONT. Frontignac! Non ci sono! (Sta per svignarsela verso sinistra, in primo piano, quando Frontignac compare sul fondo.)

FRONTIGNAC. Bene. Allora aspetto che torniate.

DUPONT (a parte). Il signor Zézé! (Ernestina esce dal fondo.)

FRONTIGNAC. E così, vi hanno rilasciato, caro mandrillo?

DUPONT (andandogli incontro). Scusate, scusate, ma il mandrillo non sono io.

FRONTIGNAC. Andiamo, andiamo, vecchio buontempone!... Avete bisogno di vecchie pizzicagnole, voi... mia moglie non vi basta.

DUPONT (con amarezza). Ah! ve ne prego!... non mi parlate di quella persona!

FRONTIGNAC. Al contrario, vengo proprio per questo... Su, mettete il cappello e accompagnatemi...

DUPONT. E dove?

FRONTIGNAC. Dal commissario... ho bisogno della vostra deposizione per il mio divorzio.

DUPONT. Permettete!... Io non sono il Dupont che voi cercate... non sono io che ho rapito vostra moglie a Biskra.

FRONTIGNAC. Può darsi, ma voi siete il Dupont che io ho sorpreso in casa di lei a Parigi... e questo mi basta... Voi mi avete fatto becco.

DUPONT. Becco! becco! ma io lo sono più di voi.

FRONTIGNAC. Eh?

DUPONT. Proprio così! Voi siete il marito, voi! che vostra moglie vi tradisca, è del tutto naturale... ma io, Signore, io ero l'amante... (Con amarezza.) E cento volte peggio!

FRONTIGNAC. Ah! questa è buona!... che cosa volete fare, chiedermi un risarcimento?

DUPONT. Ne avrei tutto il diritto. Quando si sposa una farfallina come quella, la si tiene in casa, non la si mette in circolazione.

FRONTIGNAC. Ah! beh! non è la faccia di bronzo che vi manca, a voi magistrati! Allora, venite, sì o no?

DUPONT. Non insistete, vi prego, mi dareste un dispiacere. Arrivederci, Frontignac, tante cose ai vostri cammelli.

FRONTIGNAC. Ancora una volta, rifiutate di venire?

DUPONT. Vi ripeto che non saremo mai d'accordo su questo argomento.

FRONTIGNAC. In questo caso vado a chiamare vostra moglie affinché dirima la controversia. (Torna verso il fondo.)

DUPONT  (fermandolo).  Eh?  niente sciocchezze!  Mi ucciderebbe!

FRONTIGNAC. E allora?

DUPONT. Allora sarei morto! Frontignac, vi prego, ascoltatemi, l'allevamento dei cammelli non può avere distrutto in voi ogni nobile sentimento...

FRONTIGNAC. Uff! Voglio divorziare per sposare la mia buona amica!

DUPONT. Sciocchino! Ti vuoi sposare un'altra volta? Non sei cornuto abbastanza?

FRONTIGNAC. Eh?

DUPONT. Ma lo sarai con la tua seconda moglie ancor più che con la prima. È nella tua natura! Tu hai la natura del cornuto!

FRONTIGNAC. Ah! ora mi seccate! Se rifiutate di venire, chiamo vostra moglie.

DUPONT (fermandolo). Un momento! (Allegramente.) Forse c'è un mezzo per venirne fuori... Quanto valgono i cammelli in questo momento?

FRONTIGNAC. Cinquecento franchi.

DUPONT. Per coppia?

FRONTIGNAC. No, per capo.

DUPONT. Ebbene, se ve ne comprassi dieci, per fine corrente mese?

FRONTIGNAC (con disprezzo). Dieci cammelli! Poh!

DUPONT. Dodici? Diciotto? Ventiquattro?

FRONTIGNAC. Ventiquattro cammelli!... Che senso ha?

DUPONT. Sono due dozzine di cammelli! Ed è molto per un uomo solo.

FRONTIGNAC (esitando). Due dozzine?... no, non accetto.

DUPONT. Ebbene! posso arrivare fino a trenta... pazienza, metterò su una scuderia, non ce ne sono ancora di cammelli! E pago in contanti!

FRONTIGNAC. È allettante!

DUPONT. Trenta cammelli a cinquecento franchi a testa.

FRONTIGNAC. Scusate, seicento.

DUPONT. Avevate detto cinquecento.

FRONTIGNAC. Sono aumentati nel frattempo.

DUPONT (a parte). Che canaglia! (A voce alta.) Facciamo seicento, ma non un soldo di più.

FRONTIGNAC. Ebbene! sia, accetto, ma a una condizione, ed è che troviate qualcuno che vi sostituisca.

DUPONT. Uno che mi sostituisca?

FRONTIGNAC. Diammine!... se voglio divorziare, bisogna pure che mia moglie abbia un complice.

DUPONT. Accidenti! (A parte, mentre gli viene un'idea.) Oh! ma Trivelin... (Va a suonare il campanello.)

FRONTIGNAC. Soltanto, sceglietelo giovane... perché con voi, sarebbe stato un po' umiliante...

DUPONT. Grazie!

ERNESTINA (entrando dal fondo). Il signore ha suonato?

DUPONT. Pregate il signor Trivelin di venire qui; devo parlargli.

ERNESTINA. Bene, signore. (Esce a sinistra, in primo piano.)

DUPONT. Ho quello che fa per voi: mio genero!

FRONTIGNAC. Come? anche vostro genero era l'amante di mia moglie?

DUPONT. Sì, e ne approfitto per metterlo alla porta. Ma non una parola a mio riguardo.

FRONTIGNAC. State tranquillo!... Che famiglia!

DUPONT (come fra di sé, portandosi a destra). Trenta cammelli, che cosa ne faccio adesso?

FRONTIGNAC (andandogli incontro). Non preoccupatevi... ve li riprendo con un piccolo guadagno.

DUPONT. Per me?

FRONTIGNAC. No, per me. Li ricompro al prezzo della pelle.

DUPONT. Quanto?

FRONTIGNAC. Cento soldi al capo.

DUTONT. Eh? me li avete venduti a seicento franchi cinque minuti fa.

FRONTIGNAC. Sì, ma in seguito sono molto diminuiti.

DUPONT (a parte). Ah! canaglia! che canaglia!

FRONTIGNAC. E poi, prendo soltanto la pelle.

DUPONT. Cosa vuole che me ne faccia del resto?

Scena diciannovesima

GLI STESSI, DE TRIVELIN.

DE TRIVELIN (comparendo a sinistra, in secondo piano). Finalmente, siete tornato. (Con un grido, riconoscendo Frontignac.) Ah!

FRONTIGNAC (con un grido). Ah!

DE TRIVELIN (a parte). Il tizio che c'era da Zézé.

FRONTIGNAC. La persona che mi ha preso i vestiti in casa di mia moglie.

DE TRIVELIN. Eh? in casa di sua moglie?

DUPONT (severamente). Sì, signore, in casa di sua moglie! Il vero nome di Zézé è Frontignac.

FRONTIGNAC (allegramente). E suo marito sono io: sgranate gli occhi, nevvero?

DE TRIVELIN (a parte). Accidenti!

DUPONT (con solennità a de Trivelin). Vogliamo considerare la vostra condotta?

FRONTIGNAC. Ah! no, i panni sporchi ve li lavate in famiglia. (A de Trivelin.) Venite con me dal commissario per il divorzio.

DE TRIVELIN. Un momento, vi prego!... Prima vorrei dire due parole al nostro eccellente signor Dupont.

FRONTIGNAC. Va bene, ma fate presto. C'è un telefono?

DE TRIVELIN (indicando a sinistra, in primo piano). Da questa parte.

FRONTIGNAC. Telefono sempre al mio avvocato. (Esce a sinistra in primo piano.)

Scena ventesima

DUPONT, DE TRIVELIN.

DUPONT (a parte, guardando de Trivelin). Cercherai di rabbonirmi, lo so, ma è come se tu confessassi!

DE TRIVELIN (sorridendo). Caro suocero!...

DUPONT. Non sono più vostro suocero.

DE TRIVELIN. Scusate! Ho ancora quattro ore davanti a me per essere il marito di mia moglie.

DUPONT. Oh! gli accordi non valgono più, dopo un comportamento come il vostro! Vi butto fuori!

DE TRIVELIN (sorridendo). Non soltanto non me ne andrò, ma vi concedo dieci minuti, avete capito, dieci minuti, perché mi giustifichiate di fronte al marito di Zézé!

DUPONT. Che cosa state dicendo?

DE TRIVELIN. E non è tutto... vostra figlia vuole divorziare per sposare La Baule.

DUPONT. Sì, ha il numero due.

DETRIVELIN. Ebbene! vi do altri cinque minuti per mettere alla porta questo signore.

DUPONT (canzonando). Ah! Ah!

DE TRIVELIN. Trascorso questo termine...

DUPONT. Ah! no, lasciatemi fare quattro risate. Trascorso questo termine?

DETRIVELIN. Andrò dalla signora Dupont.

DUPONT. Buona idea.

DE TRIVELIN. L'ottima signora Dupont!

DUPONT. Oh! Sì!

DE TRIVELIN. E le dirò una parolina, una sola.

DUPONT. Quale parolina?

DE TRIVELIN (con forza). Velasquez!

DUPONT (sobbalzando). Eh?

DE TRIVELIN. Velasquez! E se mi chiede delle spiegazioni...

DUPONT (a parte). Sa tutto!

DE TRIVELIN (continuando). Le darò qualche notizia inedita su questo pittore spagnolo e sui suoi amori segreti.

DUPONT (rabbonendosi e abbracciandolo). Trivelin, caro amico, ragazzo mio... Non puoi fare questo!

DE TRIVELIN. Si, che lo posso! Ah! voi promuovete le arti fra le donne, non è così?

DUPONT. È un ricatto, allora?

DE TRIVELIN. No, un'intimidazione.

DUPONT. Ascolta, Roberto, mio amatissimo genero, se uno dei due deve sacrificarsi, devi essere tu, credimi... Tu sei ancora giovane, hai un avvenire davanti... Puoi rifarti una vita, mentre io sono ormai al declino.

DE TRIVELIN. Guardatelo, è un amore!

DUPONT. E poi mia moglie mi ucciderebbe. Avresti la mia morte sulla coscienza.

DE TRIVELIN. Su! Su! Su!

DUPONT. Accidenti, che cosa vuoi che dica a Frontignac?

DE TRIVELIN. Quel che vi pare. Sentite, cercate un altro colpevole. Non sono gli amanti che mancano a Zézé.

DUPONT. Adesso lo so, ma non ho nessuno sotto mano.

Scena ventunesima

GLI STESSI, DES BARBETTES.

DES BARBETTES (entrando da sinistra, in primo piano). Sono qui, caro suocero, scusate!

DUPONT (contrariato). Des Barbettes... sono occupato... che volete?

DES BARBETTES (venendo avanti a sinistra). Vi ho portato la dichiarazione che sapete!

DUPONT. La dichiarazione?

DES BARBETTES. Non mi avete chiesto di portarvi le prove che sono in grado di avere un'amante?... affinché Lisa non venga derubata come sua sorella?

DUPONT. Ah! sì!

DE TRIVELIN. Come! hanno raccontato la storia anche a lui?

DES BARBETTES. Eccole!

DUPONT (con un grido). La scrittura di Zézé.

DE TRIVELIN. Zézé!

DES BARBETTES. Sì, è lei che sono andato a trovare; la conoscete?

DUPONT (vivacemente). Di nome.

DE TRIVELIN (a parte). Insomma, tutta la famiglia.

DUPONT (con gioia, leggendo). «Certifico di avere avuto come amante tale Gontrano des Barbettes!...» (Sottovoce a de Trivelin.) Siamo salvi!

DE TRIVELIN (sottovoce). Sì.

DES BARBETTES. Sarete contento, ora.

DUPONT. Contentissimo... soltanto, mio piccolo des Barbettes, voi non avrete mia figlia.

DES BARBETTES. Ma che dite?

DUPONT (severamente). Non darò mai la mia bambina a un donnaiolo che la tradisce mentre sono fidanzati. Non avete vergogna?

DES BARBETTES (stupefatto). Ma siete voi che avete preteso...

DUPONT. Era un tranello per mettere alla prova la vostra fedeltà.

DES BARBETTES. Un tranello?

DE TRIVELIN (a parte). Povero ragazzo!

DES BARBETTES. Signor Dupont... preferisco dirvi tutto: io non ho tradito Lisa... È un certificato compiacente.

DUPONT (incredulo). Figuriamoci! Questa carta dev'essere consegnata all'istante al marito di Zézé, perché Zézé è sposata.

DES BARBETTES. Eh! Voi farete una cosa simile?

DUPONT. Sì, signore.

DES BARBETTES (a parte). Ricorrerò al talismano di Couzan. (A voce alta, alzando il dito, con aria minacciosa.) Fermatevi! No, signore, voi non lo farete!

DUPONT (allegramente). Dovrei sentirmi a disagio?

DES BARBETTES (stesso gioco). Voi non lo farete, perché posso fermarvi con una parola, una sola parola.

DUPONT. E quale sarebbe questa parola?

DES BARBETTES (con forza). Velasquez!

DUPONT (con un grido). Ah!

DE TRIVELIN (a parte). Ah! buona questa!

DUPONT (a parte). Sa tutto anche lui!

DE BARBETTES (stesso tono, ma più forte). Velasquez!

DUPONT. Taci, disgraziato, taci...

DES BARBETTES. Funziona. (A voce alta.) Restituitemi subito quella carta, altrimenti...

DUPONT. Ma...

DES BARBETTES. Velas...

DUPONT (facendolo tacere). Toh, sta zitto. (Gli passa la carta.)

DES BARBETTES. Grazie... dovevo sposare Lisa soltanto fra un mese... la sposerò fra quindici giorni.

DUPONT. Permettete!

DES BARBETTES. Velas...

DUPONT (mettendogli una mano sulla bocca). D'accordo, ma taci!... Ah! che guaio! (A de Trivelin, allegramente.) Sentite, devo tornare a voi.

DE TRIVELIN. Scusate! Velasquez!

DUPONT. Accidenti! (Girandosi verso des Barbettes.) Des Barbettes, ascoltate.

DES BARBETTES. Velasquez!

DUPONT (supplichevole). Amici miei!

DE TRIVELIN e DES BARBETTES (insieme, minacciandolo col dito e uscendo a ritroso). Ve-las-quez!

(De Trivelin e des Barbettes escono a sinistra in secondo piano.)

Scena ventiduesima

DUPONT, poi FRONTIGNAC, poi LA BAULE.

DUPONT. Ah! delinquenti, mi tengono in pugno!

FRONTIGNAC (entrando da sinistra in primo piano). E allora, avete finito di parlare? Come mai vostro genero non c'è?

DUPONT. Ascoltate, Frontignac; venti cammelli in più se rinunciate a divorziare.

FRONTIGNAC. Mai!

DUPONT. Mio genero conosce il mio segreto. Ho dovuto ammetterlo.

FRONTIGNAC. Che famiglia!

DUPONT. Lasciatemi almeno il tempo di trovare qualcun altro, e fra otto giorni…

FRONTIGNAC. Vi concedo cinque minuti, non uno di più.

DUPONT (a parte). Sono perduto!

LA BAULE (entrando dal fondo, e venendo avanti in mezzo alla scena). Oh! caro signor Dupont! finalmente vi trovo... (Salutando Frontignac.) Signore!

DUPONT (furioso). Ah! siete qui, quale altra cantonata avete intenzione di prendere?

LA BAULE. Non tormentatemi! Se sapeste quanto mi dispiace.

DUPONT. E credete che basti? Tutti i fastidi che mi capitano da stamattina, li devo a voi.

LA BAULE (supplicando). Signor Dupont...

DUPONT. Soltanto ieri, avevo ancora un'amante che adoravo...

LA BAULE (vivacemente). Non la dovete rimpiangere, non era degna di voi.

DUPONT. Voi conoscete Zézé?

LA BAULE. Perbacco! Chi non conosce Zézé? Scommetto che il signore... (Indica Frontignac.) che io non conosco... la conosce anche lui.

FRONTIGNAC. Un poco.

LA BAULE. Avete visto?... Ma allora, non sapete che la chiamano «La tosse asinina»?

FRONTIGNAC. La tosse asinina?

DUPONT. E perché?

LA BAULE. Perché tutti l'hanno avuta!

DUPONT. E anche voi... avete tossito assieme a lei?

LA BAULE. Per un anno... Mi chiamava Fragonard... Ho ancora la sua fotografia, che mi sono dimenticato di restituirle.

DUPONT (con gioia). Date qua, date qua! (A voce alta, leggendo.) «Al mio caro La Baule, detto Fragonard, la sua dolce cocottina... Zézé.» (A parte.) Salvo!

FRONTIGNAC. Datemi quella roba!

DUPONT (andando incontro a Frontignac). Con piacere! (Frontignac si mette in tasca la fotografia. )

LA BAULE. Scusate... vi dispiacerebbe restituirmi...

FRONTIGNAC. Dopo il divorzio.

LA BAULE. Il divorzio?

DUPONT. Ah! è vero, non conoscete il signore. (Presentando.) La Baule... Frontignac, mercante di caramelli, e marito di Zézé!

LA BAULE (sbalordito). Il marito di Zézé?

FRONTIGNAC (allegramente). Altrimenti detto, signor «tosse asinina»! (A Dupont.) Mio caro mandrillo, ora siete fuori causa!

LA BAULE. Signore, ascoltatemi...

FRONTIGNAC. E inutile che veniate con me dal commissario, la vostra fotografia mi basta per ottenere il divorzio. Ci vediamo (Esce dal fondo.)

LA BAULE. Ah! questa è bella!... Caro suocero...

DUPONT (indignato). Vostro suocero, io? Mai! Dare mia figlia a un uomo che ha avuto la tosse asinina per un anno!

LA BAULE. Porca miseria!

DUPONT (scorgendo gli abiti di Frontignac sul tavolo). Ah! gli abiti, li ha dimenticati. (Prendendo gli abiti di Frontignac.) Ehi! Frontignac, i vestiti!

(Esce dal fondo; La Baule cade seduto a sinistra del tavolo, e si i mette a piangere.)

Scena ventitreesima

LA BAULE, poi PAULETTE.

LA BAULE. (piangendo). Ah! mio Dio! mio Dio! mio Dio!

PAULETTE (entrando da destra, in primo piano). Ma come! La Baule, ora che mi dovete sposare, continuate a piangere?

LA BAULE. Quel barbaro di vostro padre non mi concede più la vostra mano.

PAULETTE. Perché?

LA BAULE. Perché ho avuto la tosse asinina.

PAULETTE. Come, per questo? Allora, ve la do io, la mia mano.

LA BAULE. Oh, gioia!

PAULETTE. E andate pure a dirglielo, a mio padre!

LA BAULE. Ci vado, Paulette, ci vado. (Esce gridando.) Me la da lei, suocero, me la da lei! (Scompare dal fondo.)

Scena ventiquattresima

PAULETTE, poi DE TRIVELIN, poi LA BAULE.

PAULETTE (sola). Ah! sì, lo sposerò, se non altro per fare un dispetto al Signor de Trivelin.

(Compare de Trivelin, da sinistra, in secondo piano.)

DE TRIVELIN. Sola! Finalmente!

PAULETTE. Ancora voi, Signore? Vi cedo il posto. (Fa un passo verso la propria camera.)

DE TRIVELIN (fermandola). Oh! questa volta, mia cara, prima dovete ascoltarmi.

PAULETTE. Mia cara! Osa ancora chiamarmi mia cara, lui, che non mi ha mai amata.

DE TRIVELIN. Io non ti ho amata? Io? Io?

PAULETTE. Se mi amaste, egregio signore, io quel famoso mistero temibile e delizioso lo conoscerei, conoscerei l'amore.

DE TRIVELIN. Ma tu non sai...

PAULETTE (interrompendolo). A chi lo dite? Sono sposata da più di un mese e ancora non so nulla!

DE TRIVELIN. Non è questo che volevo dire! Tutto dipende, vedi, dall'errore del doganiere...

PAULETTE. Il doganiere? Quale doganiere?

DE TRIVELIN. Quel cafone di doganiere che è entrato nel nostro scompartimento, mentre andavamo a Bruxelles.

PAULETTE. Non capisco il rapporto.

DE TRIVELIN. Tu non lo capisci, ma c'è! Ah! ti assicuro che c'è!

PAULETTE. Quindi, se il giorno prima che ci sposassimo, avessero soppresso la dogana in Belgio, sarei vostra moglie da un mese.

DE TRIVELIN. Proprio così!

PAULETTE. Oh, questa! signore, mi prendete per un'oca, con la vostra storia del doganiere?

DE TRIVELIN. Paulette! Ti supplico! Calmati. So benissimo che dicendoti queste cose, sembro un idiota.

PAULETTE. Ah! lo potete dire! (Si porta a destra.)

DE TRIVELIN (trattenendola davanti al tavolo). Tu non puoi capire. (Abbracciandola.) Ma se io non t'amassi, sarei forse tanto disperato all'idea di perderti?

PAULETTE (che vorrebbe sciogliersi). Lasciatemi, lasciatemi!

DE TRIVELIN. Se non ti adorassi, forse che ti stringerei in questa maniera fra le braccia? (La bacia.)

PAULETTE (con voce fievole). Non vi amo più.

DE TRIVELIN. Andiamo, su!

PAULETTE (sempre con voce fievole). Per niente! per niente!

(Compare La Baule dal fondo.)

LA BAULE (con un grido). Ah!

PAULETTE (a parte, sciogliendosi). La Baule!

DE TRIVELIN. Come! È ancora qui?

LA BAULE (avanzandosi, con molta dignità). Signore, vi proibisco di toccare la signora, anche soltanto con lo sguardo; è la mia fidanzata.

DE TRIVELIN. La fidanzata di questo panzone?

LA BAULE. E la prova che siamo fidanzati è che la bacerò davanti a voi, sotto i vostri occhi.

DE TRIVELIN. Ve lo proibisco!

LA BAULE. Oh! caro!... Guarda! (Bacia Paulette.)

PAULETTE (schiaffeggiandolo). Insolente!

LA BAULE (con un grido). Anche lei!

PAULETTE (gettandosi fra le braccia del marito). Ah! ti adoro!

DE TRIVELIN (trascinandola). Vieni, mia cara!

(La trascina nella camera di destra, in primo piano e chiude la porta a chiave)

LA BAULE (stupefatto). Tutta la famiglia si è data appuntamento sulle mie guance! (Girandosi.) Eh! ma dove vanno? Entrano in camera? ma io non voglio! (Raggiunge la porta e tenta di aprirla) Paulette! Paulette! Non risponde! (Uscendo e ritornando in mezzo alla scena.) Aiuto! Aiuto!

Scena venticinquesima

LA BAULE, DUPONT, COUZAN.

COUZAN (entrando dal fondo, seguito da Dupont). Che succede?

DUPONT. Vi pare il caso di fare tanto baccano?

LA BAULE (con voce strozzata). Paulette è in camera sua.

DUPONT. E allora?

LA BAULE. Chiusa dentro, con suo marito.

COUZAN (a parte). Finalmente!

LA BAULE. Ordinatele di uscire.

DUPONT. Mai!

LA BAULE (indignato e piangendo). Rifiuta!

Scena ventiseiesima

GLI STESSI, LA SIGNORA DUPONT, poi DE TRIVELIN e PAULETTE.

SIGNORA DUPONT (entrando dal fondo col cappellino in testa e una busta in mano). Signor Dupont!

LA BAULE. Ah! signora Dupont, ascoltatemi.

SIGNORA DUPONT. Un momento. (A Dupont.) Sono stata da Zézé.

DUPONT (a parte). Accidenti!

SIGNORA DUPONT. Con cento franchi, la cameriera di quella svergognata mi ha dato i nomi di tutti gli amanti della sua padrona, da quando abita a Parigi. Questo elenco, che non ho ancora visto, voglio leggerlo davanti a voi, per svergognarvi.

(Apre la busta e ne estrae una lunga lista.)

DUPONT (a parte). Sono perduto!

LA BAULE. Signora Dupont!

SIGNORA DUPONT (senza rispondere a La Baule). Ecco i nomi: (Leggendo.) Tiziano, Murillo, Tintoretto, Van Dyck, Fragonard, Velasquez, Watteau!

COUZAN. Quella non è una donna, è il museo del Louvre.

SIGNORA DUPONT. Ma il tuo nome non c'è, e nemmeno quello di Trivelin.

DUPONT (a parte). Salvo!

LA BAULE. Ma insomma, signora, ascoltatemi.

SIGNOR DUPONT. Avete indegnamente calunniato mio marito e mio genero.

LA BAULE. Ma no, ancora una volta, qui si tratta che... Paulette è di là, in camera sua... con suo marito... Si sono chiusi a chiave...

SIGNORA DUPONT (allegramente). Impossibile!

LA BAULE (a cui è venuta un'idea). Oh! che stupido. (Dirigendosi alla porta di destra, in primo piano e urlando.) Niente da dichiarare?... Niente da dichiarare?

DE TRIVELIN (uscendo seguito da Paulette, che ha gli occhi bassi). Certamente, devo dichiarare che sono il marito di mia moglie.

LA BAULE (cadendo a sedere sul divano). Troppo tardi!

SIGNORA DUPONT. Come! Paulette, ma è vero?

PAULETTE (correndo incontro alla signora Dupont e gettandole braccia al collo). Sì, mammina!

DUPONT. Fra le mie braccia, caro genero!

DE TRIVELIN (andando incontro a Dupont). Con piacere, caro' suocero!

COUZAN. Ve lo dicevo, io, che amava soltanto sua moglie.

SIGNORA DUPONT. Per punizione, sarete il padrino del terzo figlio.

DUPONT. Avrai il tuo vescovo!

(In ordine: Couzan, Dupont, de Trivelin, la signora Dupont, Paulette, La Baule)

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