No a tutti

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NO A TUTTI

Commedia in due tempi e un epilogo

di ANTONIO CONTI

                                   

PERSONAGGI

RUTH ELLIS

WALTER VARIUS

IL PRESIDENTE DELLA CORTE

IL PUBBLICO MINISTERO

IL DIFENSORE

TOMMASO VARIUS

DOTTOR CORDIAS

GILLIAN

OSCAR

UN INFERMIERE

UNA INFERMIERA

DUE AGENTI, UN CANCELLIERE

E UNO O PIÙ' FOTOGRAFI, CHE NON PARLANO.

Commedia formattata da

PRIMO TEMPO

Aula d'udienza di una Corte di giustizia, in uno Stato nel quale è ancora imperante la pena di morte.

Un piano rialzato, a semicerchio o a trapezio, corre lungo i tre lati della scena, occupando inte­ramente quello di fondo, e in parte quelli late­rali. Sul piano sono: in fondo il banco del Pre­sidente; a sinistra quello del Pubblico Mini­stero; a destra quello del Difensore, di fronte al quale, in basso, è il sedile per gli imputati. Il piano rialzato, a destra e a sinistra, è interrotto per entrate laterali a livello della scena. In luoghi opportuni sono collocati microfoni. L'udienza è all'inizio: il Presidente, il Pubblico Mi­nistero e il Difensore sono ai loro posti. Il Can­celliere, seduto tra il Presidente e il Difensore (o a un tavolino in basso), attende a un apparecchio di registrazione, per il verbale d'udienza. Ruth Ellis è in piedi dinanzi al sedile degli imputati. Due agenti prestano servizio. Ruth (in abito scuro, diritta e col volto legger­mente alzato, ma senza alterigia, non calma ma sicura di sé, risponde con composta fermezza all’interrogatorio).

 Il Presidente                 - Professione?

Ruth                              - Infermiera.

Il Presidente                  - Nubile?

Ruth                              - Sì.

Il Presidente                  - (deterge i suoi occhiali, li controlla contro la luce, se li infila, e dà un'occhiata alle sue carte) Incensurata. (Con gli occhi sulla copertina di un fascicolo, a Ruth) Vi si conte­sta l'accusa di omicidio premeditato e doppia­mente aggravato, per avere, approfittando di cir­costanze inerenti a un pubblico servizio, cioè a quello di infermiera in un ospedale, cagionato la morte di Walter Varius...

Ruth                              - ...già condannato a morte...

Il Presidente                  - (continuando) ...mediante vene­ficio, cioè con iniezione di una sostanza che la vittima riteneva innocua e prescritta a scopo se­dativo. Ammette di aver commesso il fatto?

Ruth                              - Sì.

Il Pubblico Ministero    - Volontariamente?

Ruth                              - Il fatto, sì.

Il Difensore                   - A quale fine?

Ruth                              - Perché Walter Varius non subisse l'ese­cuzione della condanna a morte che gli era stata inflitta da questa stessa Corte.

Il Presidente                  - Escludete quindi di aver provo­cato la di lui morte per errore?

Ruth                              - A sua insaputa, l'ho addormentato per sempre, solo per evitargli il supplizio di dover morire, sveglio, nei modi e con le formalità di legge.

Il Pubblico Ministero    - L'eutanasia è sempre un assassinio.

Il Difensore                   - D'accordo: perché impedisce la morte naturale. Come la impedisce la pena ca­pitale. Qui, dunque, non si tratta di eutanasia, ma di conflitto fra due modi di uccidere.

Il Pubblico Ministero    - Però si dovrebbe pur sempre accertare se nella determinazione dell'imputata siano stati decisivi o almeno influenti altri motivi personali, cioè intimi, di dubbio, di rimorso, di timore per sé...

Il Difensore                   - Ciò non toglierebbe che la vit­tima era un essere da sopprimere, alla cui esecuzione proprio lei avrebbe dovuto assistere, per redigere il verbale di legale decesso.

Il Pubblico Ministero     - Per l'appunto:  legale. E' tutto qui.

Il Difensore                   -  D'accordo.

Il Pubblico Ministero     -  Perciò l'imputata do­vrebbe rispondere alla mia domanda.

Ruth                              -  Motivi intimi, ha detto? di rimorso o di timore? E d'amore no? Io qui devo rispondere delle mie azioni, non dei miei sentimenti.

Il Presidente                  -  Della vostra volontà, sì.

Ruth                              -  Io non ho voluto togliere la sua esisten­za a Walter, che ormai ne era privo e non po­teva più viverla. Ho invece voluto risparmiargli un modo di essere ucciso, di dover lasciare la vita a scadenza fissa, ad un'ora determinata, non circondato da persone chine ad assisterlo con amore nella sua agonia, ma da funzionari co­stretti a nascondere il loro umano turbamento, e anche la loro pietà, per osservare, come diceva il signor avvocato, tutti i commi delle norme prescritte per l'assassinio.

Il Pubblico Ministero     -  La polemica contro la pena di morte riguarda soltanto i giuristi ed i legislatori, in altre sedi, e non noi magistrati messi a questo posto unicamente per applicare la legge, non fatta da noi. E il vostro avvocato, che è stato anche legislatore, può spiegarvelo meglio di me.

Ruth                              -  Non mi importa che la colpa sia dei legislatori.

Il Pubblico Ministero     - (verso il pubblico) E dunque, signori giurati, avremmo di fronte una piccola Antigone.

Ruth                              -  Non so chi sia. E so poco o nulla di quella polemica, di cui dice lei. Ho obbedito a me stessa, ecco tutto; e ho detto di no, assolutamente no a chiunque sia.

Il Pubblico Ministero     -  Bene: obbedito a se stessa. E' questo che interessa.

Ruth                              -  Dunque non c'è bisogno di dir altro per giudicarmi. Il mio processo può finir qui, anche se io devo prendere il posto di Walter.

Il Pubblico Ministero     -  A me, quale rappresen­tante della legge (verso il pubblico) ed ai si­gnori giurati per giudicare come rappresentanti del popolo, è necessario indagare sui moventi, anche più profondi e segreti, che vi hanno deter­minato ad agire come avete agito. Voi dite di aver voluto risparmiare a Varius il supplizio della esecuzione formale della condanna che gli era stata inflitta. Sia pure. Ma perché? Quella condanna fu emessa soprattutto sulla base della vostra deposizione testimoniale, nettamente accusatrice.

Ruth                              - (abbassa il capo) E' vero, purtroppo.

Il Pubblico Ministero     -  Avete deposto la verità?

 Ruth                             - (dopo un silenzio, più col capo che con la voce) Certo.

Il Pubblico Ministero     -  Ne provaste rimorso?

Ruth                              -  Di più: ne ebbi orrore.

Il Presidente                  -  D'aver detto la verità?

Ruth                              -  E' orribile che la legge imponga di de­porre in giudizio quello che può costar la vita a un altro.

Il Pubblico Ministero     -  Non sarebbe esattamen­te il caso vostro.

Ruth                              -  Mi domando, scusi, se proprio lei po­trebbe volgere contro di me l'impulso che ebbi di sottopormi volontariamente, con la mia testimonianza contro Varius, a un obbligo di legge.

Il Pubblico Ministero     -  Ancora la legge! Ma è appunto la legge che vi contesta di aver ucciso Varius non per ribellarvi ad essa bensì per mo­tivi vostri, personali?

Ruth                              -  Lo nego. Lo nego.

Il Pubblico Ministero     -  Vedremo. E vedremo anche se deponeste contro Varius per l'impulso di sottoporvi alla legge o per un altro.

Ruth                              -  Quale?

Il Presidente                  -  Andiamo per ordine. Prima rac­contate i fatti.

Ruth                              -  Della morte di Walter?

Il Presidente                  -  No, tutto, dal principio.

Ruth                              -  Credo di aver già detto quanto basta per farmi giudicare.

Il Difensore                   -  No. Non si ostini. Molte cose de­vono esser precisate.

Il Pubblico Ministero     -  D'accordo: molte cose.

Ruth                              -  Perché devo dire quello che riguarda me sola, che voglio serbare per me?

Il Difensore                   -  Perché anch'io devo fare il mio dovere, qui, fosse pure contro la sua volontà.

Ruth                              - (con uno smorto sorriso) Per legge?

Il Difensore                   -  Sì, ma soprattutto per coscienza.

Ruth                              - (abbassa il capo, con chiusa emozione)  stessa non vorrei affacciarmi a riguardare giù, nel fondo, quello che è passato nell'anima mia, e che io sola ho provato. Un abisso. (Si rialza) E tutto dovrebbe diventare cronaca romanzata, per il  passatempo  di  chi  si  diletta  con  i  giornali.

Pubblico Ministero        -  C'è un interesse supe­riore a tutto questo.

Ruth                              -  La giustizia degli uomini? Se fosse giu­stizia non sarebbe diversa da paese a paese.

Il Presidente                  -  Basta, non siete qui per discutere.

Ruth                              -  Certo, ma io rispondo perché si vuole indagare sui moventi, anche più intimi, della mia determinazione.

Il Pubblico Ministero     -  E anche perché, in un primo momento, avete tentato di far credere che Walter Varius si era procurato la morte da solo.

Ruth                              -  Io non l'ho mai detto.

Il Pubblico Ministero     -  Non l'avete nemmeno negato.

Il Difensore                   - Ma le sarebbe stato facile soste­nere, quanto meno, di aver procurato la morte a Varius col consenso e per volontà di lui, che era all'ospedale proprio per aver già tentato di uccidersi in carcere.

Il Pubblico Ministero    - L'accusata ha cercato di far credere anche questo...

Ruth                              - No, mai...

Il Pubblico Ministero    - ...in un primo momento; poi, irretita nelle sue contraddizioni, si è atteg­giata in una aureola di sublimazione.

Ruth                              - Ho detto sempre la verità, sin dal primo momento.

Il Pubblico Ministero    - Chiedo che su questo punto sia sentito subito il dottor Cordias, direttore del carcere, che fu il primo a incontrare l'imputata dopo il delitto.

Il Difensore                   - Aderisco alla richiesta.

Il Presidente                  - (a un Agente) Il dottor Cordias. (l'Agente esce a destra, e subito introduce il dottor Cordias) Giuri di dire tutta e soltanto la verità.

Cordias                         - Lo giuro.

Il Presidente                  - S'accomodi. (Cordias si siede) Conferma il suo rapporto? Cordias        - Sì.

Il Pubblico Ministero    - Lei ha riferito che la sera precedente il giorno in cui Walter Varius dall'ospedale doveva essere nuovamente tradotto in carcere, ne avvertì l'imputata... Cordias    - Sì.

Il Pubblico Ministero    - Perché?

Cordias                         - Doveva a sua volta avvertirne Varius...

Il Pubblico Ministero    - Comunicandogli che la grazia era stata negata?

Cordias                         - No. Anzi, senza dirgli nemmeno che la sua perdita di memoria potesse essere non creduta. Egli affermava di ritenere di essere imputato di omicidio colposo, per l'incidente auto­mobilistico di cui era rimasta vittima Josephine Ceylon. Sarebbe toccato a me, il mattino seguente, dopo averlo ricondotto dall'ospedale al carcere, ricordargli il processo subito, e farlo rin­chiudere nuovamente nel braccio della morte. In­vece, quando tornai all'ospedale, con la scorta, verso l'alba, Varius era già morto da alcune ore.

Il Pubblico Ministero    - Nella stanza c'era l'im­putata?

Cordias                         - Sì, lei sola. Era in piedi accanto al letto, ferma. Non disse nulla, non si voltò nem­meno. Rimase rigida, e sul principio non rispose alle mie domande. Constatai subito che Walter Varius era privo di vita. Insistetti nel chiedere cos'era avvenuto. Essa mormorò, senza muoversi: « Dorme, come aveva voluto ».

Il Pubblico Ministero    - Si noti : « come aveva voluto ». E poi?

Cordias                         - Alle mie insistenze per sapere come e perché della morte, mi indicò la siringa e una fiala che erano lì, sul tavolo, e disse soltanto: « Ecco, lo stesso veleno della camera a gas ».

Il Pubblico Ministero    - Nient'altro?

Cordias                         - Nient'altro.

Il Pubblico Ministero    - Però lei le chiese se era stato lui stesso, Varius, a volere che gli fosse iniettato il veleno.

Cordias                         - Certo.

Il Pubblico Ministero    - E che cosa le rispose?

Cordias                         - Nulla. Alla fine, dopo molte domande, invece di rispondere, disse soltanto: « Facciano di me quello che vogliono ».

Il Pubblico Ministero    - Dunque volle lasciar cre­dere o supporre di aver acconsentito alla volontà di Varius. Non è così?

Il Difensore                   - Mi oppongo: il teste non può esprimere la sua opinione, qualunque essa sia.

Il Presidente                  - La domanda non è ammessa.

Il Pubblico Ministero    - Per ora non ho altro da chiedere al teste.

Il Presidente                  - D'altronde tutto ciò riguarda.,. (A Cordias) Dott. Cordias, lei può ritirarsi. (Cor­dias esce a destra) ... Tutto ciò riguarda, dicevo, quanto avvenne dopo la constatazione della mor­te di Varius. Ora si tratta, invece, di risalire al­l'origine dei fatti e per informarne (verso il pubblico) i signori giurati, è da ricordare che la im­putata, la quale afferma di aver voluto ribellarsi alla legge...

Ruth                              - C'è chi ha scritto che, dopo tutto, l'ho applicata...

Il Presidente                  - Non ci interessa quello che si dice fuori di qui. Invece è da ricordare, dicevo, che voi foste la principale teste di accusa nel processo a carico dello stesso

Varius                           - (accenna a un grosso fascicolo) accusato di duplice omicidio aggravato. (Mentre il Presidente parla, la luce si restringe fino a concentrarsi su di lui: tutto il resto rimane per alcuni momenti al buio) Il pro­cesso, anzi, si era iniziato contro di lui con una sola imputazione di omicidio volontario, in per­sona di... (dà un'occhiata al fascicolo) della ven­tenne Josephine Ceylon, conosciuta in arte col nome di Malva Swall, investita da un'automobile condotta dal Varius, il quale in un primo mo­mento tentò di scagionarsi adducendo che si trat­tava di un fatto accidentale, dovuto a disgrazia, mentre l'accusa, respingendo l'ipotesi difensiva dell'omicidio colposo, contestava all'imputato quel­la di omicidio doloso, cioè volontario, commesso per l'appunto, con l'apparenza preordinata di un fatto accidentale. Sotto questa imputazione, per l'appunto, fu tratto a giudizio il giovane Walter Varius, il quale all'inizio del processo insistette nella sua versione difensiva. Sin alle prime con­testazioni, per l'appunto, egli rispose... (Sulle ul­time battute del Presidente la luce è tornata a dif­fondersi intorno, fino a riprendere tutta la scena, che riappare come era in precedenza, con il Pubblico Ministero e il Difensore e tutti gli altri ai loro posti: soltanto, al banco degli imputati, invece di Ruth, ora si trova Walter Varius).

Walter                           - (con apparente naturalezza come se non fosse impressionato dall'accusa) Sì, signor pre­sidente, è stata soltanto una disgrazia.

Il Presidente                  - Un momento. Riepiloghiamo i fatti, e anzitutto i precedenti. La giovane Jose­phine Ceylon era o era stata con voi in rap­porti piuttosto intimi; lo ammettete?

Walter                           - Di più: io l'amavo.

Il Pubblico Ministero    - E lei?

Walter                           - Mi corrispondeva.

Il Pubblico Ministero    - Anche negli ultimi tempi?

Walter                           - Sì.

Il Pubblico Ministero    - Ne eravate geloso?

Walter                           - No, perché? Non avevo motivo.

Il Pubblico Ministero    - Eppure qualcuno, che verrà qui a deporre, riferisce che nei giorni pre­cedenti alla morte della Ceylon vi furono fra voi e lei scenate violente. Si dice che lei non intendesse più saperne di voi, e volesse troncare la relazione.

Walter                           - Troncare, no. Sospettava, o credeva, che io la tradissi, che mi fossi lasciato abbindo­lare da un'altra...

Il Pubblico Ministero    - Da chi?

Walter                           - Da una che non conosceva, e con la quale sarei stato visto insieme.

Il Pubblico Ministero    - Ma chi era? domando.

Walter                           - Lei stessa, Malva, voleva sapere il no­me di costei, ma io non potevo dirglielo, come non posso dirlo ora, perché quella donna non esisteva, e si trattava soltanto di chiacchiere, di pettegolezzi... non so... di una invenzione malevola di qualcuno, che per invidia o per altro voleva mettere Malva contro di me. Ma in fondo non c'era motivo di tragedia.

Il Pubblico Ministero    - Eppure essa, la vostra vittima, non voleva più vedervi.

Walter                           - Lei stessa, il giorno prima del fatto, venne a cercarmi, e ci recammo a cena insieme.

Il Pubblico Ministero    - Purtroppo nessuno può riferire quello che vi siete detto nel vostro in­contro in un bar, e durante la cena: lo sapete voi solo.

Walter                           - Se fra noi ci fosse stato un litigio o un contrasto, qualcuno avrebbe dovuto notarlo.

Il Difensore                   - Su questa circostanza sono stati interrogati parecchi avventori e inservienti del bar e del ristorante con esito negativo.

Il Pubblico Ministero    - Ed è proprio questo che anch'io desidero mettere in evidenza. L'ipote­si dell'accusa è, per l'appunto, che l'imputato in quell'incontro, si sia mostrato arrendevole e remissivo, proprio per indurre la Ceylon a re­carsi la notte successiva, dopo la recita, a un ul­timo appuntamento, in un viale a quell'ora de­serto.

Il Difensore                   - Con tutto il rispetto, non mi sembra un'ipotesi, ma una fantasia.

 

Il Pubblico Ministero    - E' quello che vedremo. Intanto chiedo all'imputato se è vero o no che egli, nelle settimane precedenti al fatto, tutte le sere si recava al teatro dove la Ceylon recitava, e l'aspettava nel suo camerino, per uscire insieme.

Walter                           - Tutte le sere no, ma quasi sempre. Andavo a prenderla, per accompagnarla a casa.

Il Pubblico Ministero    - Ma la sera del fatto non ci siete andato.

Walter                           - No. E lei non mi aspettava. Sapeva che ero partito, e che sarei tornato il giorno dopo.

Il Pubblico Ministero    - Va bene. E allora sen­tiamo come, secondo voi, avvenne quella che voi chiamate disgrazia.

Walter                           - Quel giorno ero partito con l'auto­mobile di mio fratello, per recarmi nella nostra vecchia casa di campagna, dove era mio padre, che mi attendeva per... cose nostre...

Il Pubblico Ministero    - Dite pure: per questioni riguardanti i vostri debiti.

Walter                           - Sarei dovuto tornare il giorno dopo. Invece trovai modo di ripartire la sera stessa, sul tardi. Arrivai, al ritorno, poco dopo l'ora in cui il teatro Eden di solito si chiudeva. Pensai che forse avrei potuto essere in tempo, andando forte, per raggiungere Malva lungo la strada che le pia­ceva di percorrere a piedi, così, anche sola, per fare una passeggiata di notte, ritornando a casa. Sul lungo viale, a quell'ora quasi deserto, lanciai la macchina. A un certo punto scartai un po' bruscamente più a destra, per scansare tre per­sone che, come se scherzassero fra loro, si erano improvvisamente sparpagliate. Proprio in quel momento, mentre ancora io cercavo di padroneg­giare la macchina, dall'ombra di una pianta ven­ne fuori, e mi si parò davanti, all'improvviso, una figura di donna. Ebbi appena il tempo di ravvisarla, nella luce, come in un lampo: era lei, Malva. Prima ancora di poter sterzare, l'avevo travolta.

Il Pubblico Ministero    - Infatti la vostra ster­zata, non molto decisa, fu immediatamente successiva all'investimento. E anche la frenata avvenne dopo.

Walter                           - Per forza.

Il Pubblico Ministero    - Ammettete anche voi, come del resto risulta da molte prove, che da un po' di tempo, prima della sua misera fine, la vostra disgraziata amica era particolarmente abbattuta e in uno stato ansioso?

Walter                           - Andava soggetta a crisi di sconforto.

Il Pubblico Ministero    - Ma questa volta la crisi era particolarmente grave.

Walter                           - Se anche fosse, non sarebbe stata una ragione per sbarazzarmene uccidendola.

Il Pubblico Ministero    - (al Presidente) Per ora non ho più domande da fare.

Il Presidente                  - E la difesa?

Il Difensore                   - (si alza) Appena una o due. L'imputato ha già risposto sul punto essenziale: «se  è vero - egli ha detto in sostanza - che la po­vera giovane non voleva più saperne di me, non si può supporre che io abbia voluto sopprimerla, con la messinscena di un evento accidentale, per liberarmene ». Ora, noi siamo qui a contrastare non sui dati obbiettivi della generica, che all'in-circa sono pacifici - l'ora notturna, la velocità, la sterzata e la frenata più o meno pronte o tar­dive, eccetera - ma pretendiamo un risalire da essi, per induzioni, in mancanza di una specifica univoca, che non consenta diverse o divergenti interpretazioni, pretendiamo di scandagliare in profondo nell'animo di questo essere umano, cioè in un mistero, sottoposto a un giudizio umano - necessario, ma sempre umano - e in quanto umano pretendiamo, dico, di cogliere, se c'è stato, un baleno improvviso di volontà omicida... (A un cenno del P. M.) Sì, lo so, Pubblico Mini­stero che, proprio per prevenire questa ovvia po­sizione difensiva, l'accusa contesta all'imputato la premeditazione, o comunque la preordinazione del delitto. Lo so: secondo l'ipotesi accusatoria la vittima sarebbe stata volutamente falciata mentre si trovava in attesa di un appuntamento, del qua­le non sospettava la tragica insidia. Ma se noi dobbiamo giungere a constatare - e lo dobbiamo -che manca una qualsiasi prova, anche indizia­ria - il sospetto non è un indizio - di una preordi­nazione, allora l'imputazione deve essere degra­data all'ipotesi dell'omicidio non premeditato: e in tal caso l'accusa ha il compito di dimostrare che l'imputato, nell'attimo in cui, alla luce dei fari, scorse la donna e la riconobbe, abbia, con un subitaneo trapasso dalla colpa al dolo, conce­pito il delitto, compiendo una manovra fulminea per cagionarlo. Si tratta dunque di stabilire, an­zitutto, se il processo può essere contenuto nei limiti di questa indagine. E in proposito di tale questione, la difesa ritiene che le basti mettere in evidenza due sole circostanze. Nell'automobile condotta dall'imputato la polizia trovò, fra l'altro, un tappeto. Chiedo all'imputato di dirne la pro­venienza e la destinazione.

Walter                           - Era un tappeto di fabbricazione ru­stica, di un tipo che piaceva a Malva, opera di artigiani del villaggio presso il quale è la villa di mio padre. Lo acquistai, quel giorno, appunto per farne un regalo a lei, a Malva...

Il Pubblico Ministero    - ...O per farne un alibi...

Il Difensore                   - (non curandosi dell'interruzione, a Walter) E' vero o no - e del resto potremo provarlo - che lei doveva compiere il viaggio in­sieme con suo fratello, il quale rinunciò soltanto all'ultimo momento?

Walter                           - E' vero. (Dalla platea si leva la voce di Ruth).

La voce di

Ruth                              - Permette, signor Presidente?

Il Presidente                  - (scattando severo) Chi inter­rompe?

Ruth                              - (vestita diversamente da come era all'inizio dell'atto, si fa avanti) Una parola, se posso...

Il Presidente                  - Non può. Anzi, sia condotta fuo­ri e fermata. (Un agente va verso Ruth, per ese­guire l'ordine).

Ruth                              - (a voce alta, andando ancora più avanti) Ho una cosa da svelare, una confidenza di Malva Swall, per illuminare la giustizia. (Rapidamente è salita sul palcoscenico. Alcuni fotografi sbucano da varie parti e la investono con i lampi delle loro macchine).

Il Presidente                  - (batte con la palma di una mano sulle carte, perentorio) Ferma là...

Ruth                              - (avanza ancora) Sono Ellis Ruth...

Il Presidente                  - Via, ho detto...

Ruth                              - (noncurante) ...infermiera dell'Ospedale della Misericordia: ho assistito Malva Swall mo­rente... (Altri, lampi delle macchine).

Il Presidente                  - (all'agente che sta salendo, per rag­giungere Ruth) Un momento. (Energico) Non è così che dovete presentarvi alla giustizia.

Ruth                              - (concitata) Mi scusi... Assistevo laggiù... è stato un impulso... Quando ho sentito quello che si diceva... allora il mio segreto...

Il Presidente                  - Segreto?! Quale?

Ruth                              - La verità, ecco... l'impulso della verità-di quella che so, che non ho detto... Mi faceva paura, l'avevo taciuta, ma adesso...

Il Pubblico Ministero    - (ha consultato rapidamen­te un fascicolo) Lei fu interrogata dalla Po­lizia dopo la morte della Swall...

Ruth                              - Appunto: e non dissi quello che sapevo...

Il Pubblico Ministero    - Signor Presidente, indu­co Ellis Ruth come testimone, già qualificata in atti, e chiedo che sia subito ammessa a deporre.

Il Presidente                  - La difesa ha nulla da eccepire?

Il Difensore                   - La testimone non è stata indotta dall'accusa su una precisa posizione e nei ter­mini prescritti.

Il Pubblico Ministero    - E perciò chiedo che il signor Presidente voglia ammetterla avvalendosi dei suoi poteri discrezionali.

Il Presidente                  - L'istanza del Pubblico Ministero è accolta. (A Ruth) Venga avanti. Giuri di dire tutta e soltanto la verità.

Ruth                              - Lo giuro.

Il Presidente                  - (indica una sedia) Può accomo­darsi.

Ruth                              - Grazie. (Ma non si siede).

Il Presidente                  - (scorrendo una pagina del processo) Ellis Ruth di anni ventotto, infermiera...

Ruth                              - Sì.

Il Presidente                  - Ha rapporti di parentela o di interessi con l'imputato?

Ruth                              - No.

Il Presidente                  - Racconti i fatti che sa.

Ruth                              - (evitando sempre di guardare Walter) Ero di servizio notturno al pronto soccorso... Dopo mezzanotte, verso l'una, fu portata all'ospedale, con un'automobile privata, una ragazza gravemen­te ferita. In un primo momento non la riconobbi. Sembrava già morta. Il medico di guardia con­statò, invece, che aveva ancora un filo di vita...le tagliai le vesti, per scoprire le ferite... spo­gliarla... Era tutto sangue, dalla testa, giù, fino al petto... Il dottore le praticò le cure possibili, stette ancora a lungo nella stanza ad osservarla, poi mi ordinò di rimanere ad assisterla e mi impartì le istruzioni. " Uscendo, trovò lì, vicino alla porta, in attesa nel corridoio, un giovane che già avevo visto al pronto soccorso fra gli altri che, insieme con lui, vi avevano portato la ra­gazza. Lui solo, poi, era venuto fin lì, davanti a quella camera. Mentre dalla soglia spingeva lo sguardo ad osservare la giovane stesa sul letto, domandò al medico se poteva salvarsi... disse di chiamarsi Varius, e che la ragazza da lui inve­stita per disgrazia era l'attrice Malva Swall. L'uscio si rinchiuse e io non sentii più nulla. Al­lora ravvisai la Swall, che avevo visto una volta a teatro, ed in qualche fotografia.

Pubblico Ministero        - E... guardi: il giovane che parlò col medico era l'imputato?

Ruth                              - Sì.

Il Pubblico Ministero    - Continui pure.

Ruth                              - Mi misi lì, seduta accanto al letto, e rimasi a lungo ad osservare quella poveretta. Re­spirava a fatica. Era immobile, con gli occhi chiusi. Ogni tanto le tergevo il sangue che le co­lava da un orecchio. Trascorsero così tre ore. A un certo momento, dopo che le avevo cambiato la borsa del ghiaccio, mentre le tenevo una mano sentii che accennava a stringere la mia. Poi co­minciò a muoversi, a smaniare... aprì leggermente le palpebre... Io la chiamai, accarezzandola. Ebbi l'impressione che mi sentisse... All'ora indicata le feci un'altra iniezione. Essa riaprì gli occhi e mi fissò intensamente, a lungo... Compresi che, con quello sguardo vivo, cercava di farmi capire qual­che cosa... Le chiesi se voleva muoversi, se aveva sete... Le inumidii le labbra... L'assicurai che tutto andava bene, che doveva mettersi tranquilla... Ma essa continuava a fissarmi, e in certi momenti aveva lo sguardo che si dilatava, atterrito, mentre mi stringeva la mano come se si aggrappasse... accennando anche a sollevarsi, tanto che io do­vevo trattenerla, perché il medico aveva prescrit­to l'immobilità. Poi, nell'affanno, cominciò ad emettere dei gemiti, ad articolare parole confuse. Pareva che fosse per urlare di spavento e non potesse... In un soprassalto ebbe un grido : « La macchina ». Capii che riviveva il momento della disgrazia. Riuscii a calmarla un po', cercai di persuaderla che era salva. Si rimise giù, immo­bile. Dopo qualche tempo tornò a fissarmi inten­samente, accennò a voler parlare. Le chiesi cosa volesse, accostai l'orecchio alle sue labbra. Al­lora, con voce velata, affannosa, disse : « Mi ha uccisa ». « Chi? » chiesi io. Mi rispose : « Lui, Wal­ter, lui... ». « Per disgrazia », io dissi. « No - ribattè lei - no, lo ha voluto». « Possibile? Non può essere », le osservai, « sarà stata un'impressione ». Ma lei continuò : « L'ha fatto apposta... Deve aver­lo fatto apposta ». « Deve perché? perché appo­sta? », domandai. Tacque, un momento, poi sog­giunse: « Perché è un assassino, e io sola lo sa­pevo... io sola ». Lì per lì mi venne in mente che delirasse. La esortai a non pensare ad altre cose, a mettersi calma: poi tutto sarebbe passato, co­me un brutto sogno, come la febbre che aveva. « No, non sogno », disse. « Proprio lui, Walter, ha sparato contro un agente che l'inseguiva, e l'ha ucciso lì, sulla strada, ormai è un mese ». Mi ricordai di un fatto che avevo letto nei giornali, avvenuto in una strada del parco, il fatto di quei due agenti che, in motocicletta, di notte, avevano inseguito un'automobile condotta da un giovane rimasto ignoto, che aveva accanto a sé una ra­gazza. Lo sconosciuto, dopo aver fatto cadere uno dei due urtandolo, aveva sparato contro l'altro che era giunto alla sua altezza.

Il Pubblico Ministero    - L'automobile, poi, fu ri­trovata in una strada fuori mano, dall'altra parte della città: e risultò che era stata rubata.

Ruth                              - Anche questo disse la Swall. E confermò alcuni particolari, ne aggiunse altri.

Il Difensore                   - E lei è proprio sicura che non delirasse? che non fosse soggetta, non so, a una suggestione che la induceva a raffigurarsi come partecipe di un fatto che poteva averla impres­sionata?

Ruth                              - No, non credo, perché disse anche che, da quel giorno del delitto, lei voleva troncare tutto col suo amante, non vederlo più, ma che egli non intendeva lasciarla libera, e giungeva per­sino a minacciarla; le era sempre d'attorno per­ché lei, l'unica testimone del suo segreto, non gli sfuggisse e non andasse con altri, nemmeno con le sue amiche della compagnia.

Il Pubblico Ministero    - E quella notte, prima di morire, la Swall non parlò ad altri che a lei?

Ruth                              - No, a nessun altro. Le chiesi se voleva che chiamassi qualcuno. Fece cenno di no. Le domandai anche se voleva che io riferissi ad altri quello che mi aveva confidato: riaprì un ] momento gli occhi, e dopo un po' rispose, con un filo di voce : « Non so ». Furono le sue ultime parole. Di lì a poco si manifestò la crisi, per una emorragia interna. Fu portata in camera opera­toria; ne ritornò che era in agonia. (Un silenzio).

Walter                           - (durante tutto il racconto di Ruth è ri­masto ostentatamente impassibile).

Il Pubblico Ministero    - (si alza) Signor Presi­dente, a questo punto io devo chiedere che il pro­cesso sia rinviato, e gli atti siano rimessi all'Uf­ficio del Pubblico Ministero, per elevare a carico dell'imputato anche i capi di accusa relativi ai delitti ricordati dalla testimone ora sentita nella sua deposizione.

Il Presidente                  - La difesa?

Il Difensore                   - Nulla osserva.

Il Presidente                  - (raccogliendo le carte) Il proces­so è rinviato a nuovo ruolo, con trasmissione de­gli atti al Pubblico Ministero. L'udienza è tolta. (Il Presidente e il P. M. escono. Il Difensore rac­coglie i suoi fascicoli in una borsa di pelle. Ruth rimane un momento indecisa, poi si avvia verso destra, per passare davanti a Walter, senza guar­darlo).

Walter                           - Grazie della sua prodezza, signorina.

Ruth                              - (rigida) Non devo render conto a lei...

Walter                           - Certo: ma io mi ricorderò di lei, non dubiti, me ne ricorderò nella camera a gas, se dovrò andarci, e le manderò l'ultimo saluto, può immaginare quale.

Ruth                              - Ho fatto quello che dovevo...

Walter                           - La sua parte...

Ruth                              - Il mio dovere...

Walter                           - Infatti è un dovere anche uccidere, pur­ché si uccida per conto dello Stato...

Il Difensore                   - (interviene) Be', adesso non...

Walter                           - ...non importa se anche per odio...

Ruth                              - Io odio il male.

Walter                           - E per questo ha compiuto un'opera di bene.

Ruth                              - Ne risponderò solo alla mia coscienza, non a lei.

Il Difensore                   - (a Ruth) La prego: non può ri­maner qui.

Walter                           - In ogni modo, come vede, tutti pos­siamo volere la morte di qualcuno.

Ruth                              - Se lei lo sa, è affar suo: non mi riguarda.

Walter                           - Tutti abbiamo addosso, sempre, mi­liardi di microbi, e un sacchetto di rifiuti, di porcheria, anche lei come me, come le case han­no gli scarichi, le città le fogne. Per i pensieri, gli impulsi... dicono che questo è il subcosciente, dove c'è tutto, e guai rimescolarlo... Non lo sente il tanfo anche lei adesso?

Il Difensore                   - (a Walter) Basta, le dico... (A Ruth, accennandole che deve uscire) E lei, per favore...

Ruth                              - Ma sì: buon giorno, avvocato.

Il Difensore                   - Buon giorno.

Walter                           - (sferzante) Arrivederci. E sonni tran­quilli. (Ruth esce a destra. I due agenti fanno per applicare le manette a Walter).

Il Difensore                   - (a Walter) Domani verrò a col­loquio. Parleremo di tutto. (Da sinistra entra Tommaso Varius, seguito da Oscar e Gillian. Va-rius viene avanti quasi strascinando i piedi, un po' curvo, disfatto).

Walter                           - Papà...

Oscar                             - Ciao.

Varius                           - (verso gli Agenti, porgendo un foglietto) Ho il permesso della Procura Generale. (Gli agenti salutano e ritirano le manette).

Il Difensore                   - Buon giorno.

Varius                           - (stringe la mano al Difensore. Un silenzio) Ho sentito... Tutto ho sentito...

Walter                           - Eravate qui?

Varius                           - E tu? Non hai gridato che non è vero... Che dici, tu?

Walter                           - (chiuso, teso) Cosa vuoi che dica? No, a tutti.

Varius                           - Negherai, dunque...

Walter                           - Negare... è una parola. Chi se l'aspet­tava una tegola simile?

Oscar                             - (fra affettuoso e burbero) Non ricomin­ciare a fare lo scemo, con la tua aria di infischiar­tene di ogni cosa.

Walter                           - Infischiarmene!? Magari: se non ci fosse di mezzo la pelle...

Gillian                           - No, Walter, non così... (A poco a poco la luce si restringe intorno, fino a comprendere in un cerchio i personaggi in scena, escludendo gli agenti, che, trattisi in disparte, rimarranno invisibili).

Varius                           - Ma via! tu non sei, non puoi essere colpevole: io lo so...

Walter                           - Come io so che, se lo fossi, anche tu dovresti condannarmi.

Varius                           - Non voglio pensarlo nemmeno. Avvo­cato, dica lei... vedrà lei ciò che si può fare-Quella testimone che vien fuori così, a distanza di tempo, in modo clamoroso...

Gillian                           - ... teatrale...

Il Difensore                   - Appunto: si tratta, anzitutto, di vagliarne e discuterne l'attendibilità...

Varius                           - Vero? E' quello che penso anch'io. Si è contraddetta, ha deposto il contrario di quello che aveva dichiarato al momento degli accerta­menti... può essere una mitomane...

Il Difensore                   - E poi, quand'anche potesse esse­re ritenuta veritiera, si potrà sempre sostenere - ma di ciò vedremo meglio... esamineremo dai risultati della nuova istruzione - si potrà soste­nere, dicevo, che non è da prendersi alla lettera quanto può aver detto quella poverina... soggetta a choc traumatico, in una pausa della perdita di coscienza...

Varius                           - Vero? Ecco, questo. Ce n'è, insomma, di eccezioni... di tesi...

Il Difensore                   - Oh, certo... Argomenti non ne mancano; anzi...

Walter                           - (smorzando il sarcasmo in uno smorto sorriso) Quasi non manca nulla.

Il Difensore                   - (dà la mano a Walter) A domani, dunque.

Walter                           - Buon giorno.

Varius                           - Posso venire da lei oggi... stasera?

Il Difensore                   - Senz'altro, a qualunque ora.

Varius                           - Grazie. (Stretta di mano) Arrivederla, avvocato.

Il Difensore                   - Ossequi, signor ispettore. (Saluta anche gli altri ed esce a destra).

Varius                           - (a Walter) Anche l'avvocato, hai visto?, sembra abbastanza tranquillo...

Walter                           - Per forza: come un medico con l'am­malato.

Oscar                             - Ma dipende anche da ciò che dice l'am­malato.

Walter                           - (amaro, acre) E' questo che vuoi sa­pere? Prova a immaginarti nei miei panni. Prova. Se io sono innocente, essere preso nell'ingranag­gio è tremendo, e sarà un miracolo cavarsela, an­che col vostro aiuto. Ma se sono colpevole...

Varius                           - No, no, nemmeno dirlo...

Walter                           - (più intenso) ... se fossi colpevole, do­vrei sapere se mi difendereste...

Oscar                             - Che c'entra...

Walter                           - ... ma prima dovreste dirmi voi, sì, voi, dirmi tu, papà: dovrei confessare o no? (Un si­lenzio).

Varius                           - (a voce bassa, affannosa, smarrito) Fi­gliuolo, perché... vorresti mettermi a una prova simile? Non lo so il perché... Io... e tuo fratello, qui, ti siamo vicini... e anche lei, tua cognata... e vogliamo solo... salvarti...

Walter                           - Anche se sono colpevole?

Varius                           - Non c'è nessuno che non meriti di essere difeso: tanto meno un figlio. Ma io son certo, nonostante la tua esistenza sbagliata, che devo soltanto difendere la tua innocenza.

Walter                           - Però, papà... se non lo dico a te, a chi devo dirlo?

Varius                           - (angosciato) Ma cosa?!

Walter                           - Oppure no: senza dirtelo. Tu sei esperto, papà, sei del mestiere, in queste cose hai il fiuto che ti ha reso celebre: di' tu cosa ne penseresti di un indiziato, in un caso come il mio...

Oscar                             - (risentito) Ma è questo il modo di trat­tare papà?... Cosa vuoi da lui?

Walter                           - Niente. Ho soltanto domandato.

Oscar                             - Se ti pare di non averlo fatto soffrire abbastanza...

Walter                           - E vuoi farmi la predica tu, adesso?

Oscar                             - Prediche a te? Ne abbiamo fatto spreco, se sei ridotto a prendertela con chi deve scon­tare le tue scioperataggini e le tue prodezze.

Walter                           - Quanto a scontare, eccomi qui, se mai, a pagare il mio conto.

Oscar                             - Che faresti pagare anche ad altri.

Walter                           - Ed è questo che non mi perdoneresti. Capisci, dunque, che sono solo?

Varius                           - (è andato ad abbattersi, seduto, sulla se­dia dei testimoni, con la faccia fra le mani) Solo?! Perché solo?

Walter                           - Come tutti i colpevoli, papà. Hai sen­tito? Dice che faccio pagare anche voi... Mi pre­senta il conto vostro. Tutti devono avere, da me. Io, niente.

Varius                           - (sempre accasciato su se stesso) Non è questo, non è questo...

Walter                           - Capisco: c'è di mezzo l'onore. Tanto che nessuno ancora mi ha buttato le braccia al collo. Non posso fare nemmeno la parte del figliuol prodigo.

Oscar                             - Infatti, se parli così non lo sei.

Walter                           - Tu sì, però, tu lo sei quello che dovevi essere: il fratello buono, retto, che ha servito il padre, e non vuol saperne dell'altro, e anzi si fa suo giudice.

Oscar                             - Così sei tu a voler giudicare me.

Walter                           - Io?! Io pago, t'ho detto. Sono qui a rispondere di quello che ho fatto. Per rispon­derne dirò la verità. Confesserò. Confesserò tutto, papà.

Varius                           - (angosciato, sempre col volto chino, fra le mani) Taci... taci...

Walter                           - Confesserò. E non mi crederanno. Ma almeno credimi tu, papà. Malva, no. Non so nem­meno io se ho voluto, in quell'attimo, andarle addosso con la macchina... Non lo so. Chi ci ca­pisce di quello che può essere avvenuto in me in quell'attimo? Non so niente. Può essere sì, può essere no. Volontà o disgrazia. O tutt'e due in­sieme. Dentro, nel fondo, c'è un gran buio. Ma l'agente di polizia, sì, l'ho freddato io, pur non volendo la sua morte, quando mi raggiunse di fianco alla macchina. Dunque ho ucciso, e non posso farmene un'aureola.

Oscar                             - Meno male che lo dici.

Walter                           - Dico che non ho l'aureola che hai tu, per i bombardamenti a tappeto sulle città, e le stragi con la squadra aerea che comandavi in guerra...

Oscar                             - E arrivi a questo?

Walter                           - ... come non ho il merito tuo, papà, di aver scoperto tanti colpevoli come me, che tu hai accusato, seduto lì, su quella sedia dei testi­moni dove sei adesso, e che sono stati poi giu­stiziati...

Varius                           - (angosciato, fra i singhiozzi) No, figliuo­lo... non così...

Gillian                           - Walter, perché...?

Oscar                             - Sei forsennato...

Walter                           - (noncurante) E noi abbiamo mangiato di questo pane, abbiamo avuto agiatezze, dignità, un'alta posizione sociale per questo...

Oscar                             - Ed è così che vorresti difenderti...?

Walter                           - Non devo soltanto difendermi, ma sal­varmi: e pur di non andare a fondo...

Oscar                             - Oseresti paragonare...

Walter                           - No. Tu, il figliuol buono, sei in regola. Ti hanno dato ordine di uccidere e hai ucciso. Non importa se hai ucciso i disarmati, gli inno­centi, quelli che non hanno fatto nessun male. Non importa. Era necessario agli altri e a te. Tu, sei a posto. E anche tu, papà. Hai messo la tua grande abilità al servizio della legge, contro i colpevoli, decidendo della loro vita. Hai fatto il tuo dovere. Io no. Io ho ucciso senza compiere un dovere. Sarà che si possono fare le stesse cose, che poi invece sono diverse... Comunque, non è vero, papà? Cosa vuoi che sia : uno più uno meno,..

Varius                           - (sempre chino su se stesso, col pianto in gola) E dentro di te avevi tutto questo...

Oscar                             - L'hai detto: proprio il buio.

Walter                           - Papà, quella notte che la mamma era | agonizzante, corrosa dal cancro, e poi spirò all'alba, io, standole vicino tutta la notte, non riu­scivo a liberarmi dal pensiero fisso che quella era l'ultima notte di un condannato, scoperto e de­nunziato da te, papà, in una delle tue operazioni più brillanti e famose, romanzata dai giornali in pagine intere. Era il giovane Gomez, ricordi? gio­vane come sono io adesso. Tu, Oscar, eri lontano, per i tuoi voli di guerra, e io pensavo che la mamma non ti aveva messo al mondo per questo, lì, in quel letto dove adesso lei si spegneva. Con­tavo le ore, quelle che rimanevano, prima del giorno, anche a Gilberto Gomez, che era nella cella della morte, come se fosse agonizzante an­che lui. Ecco, nella stessa ora c'è chi muore di cancro, e chi per una bomba dall'alto, o nella camera a gas o sulla forca.

Oscar                             - O per una pallottola in faccia.

Walter                           - Certo. Ma il dolore è uno solo.

Varius                           - Motivo di più per non cagionarlo sen­za ragione.

Walter                           - Sarà così.

Oscar                             - E invece, con questi tuoi pensieri, ti sei dato a quella vita che...

Walter                           - E' che poi la mia vita cominciò a mu­tare. Era sempre più difficile credere in qualche cosa. Gillian, tu lo sapevi... lo avevi capito che ti volevo bene. Di', lo sapevi?

Gillian                           - Sì, Walter.

Walter                           - Ma poi tornò lui, mio fratello, esal­tato da tutti per le sue imprese, per il suo co­raggio; così io rimasi più piccolo, uno qualsiasi, insignificante. E ti innamorasti di lui.

Gillian                           - Ma non fu una tragedia. Avevi l'aria di riderne tu stesso.

Walter                           - Cosa dovevo fare? Cercare di infìschiarmene. E perciò bisognava buttare tutto dietro al­le spalle. Voi eravate beati, e io dovevo insce­nare la tragedia? Però, dentro di me, ormai, ve­devo la vita tutta diversa, e gli altri in un altro modo, per il male che sentivo.

Gillian                           - Si può fare il male anche senza vo­lerlo.

Walter                           - Almeno tu lo capisci.

Gillian                           -  E vorrei che tu, adesso... posso dir­telo?, mi considerassi come una sorella, Walter. Potrebbe essere molto di più di quello che avresti voluto da me: di più, per poter essere vicini an­che senza poter stare insieme. Mi capisci?

Walter                           - Forse. Però, ormai...

Gillian                           - Proprio ora, invece.

Walter                           - ...Ormai è tardi per tutti. Non rimane più altro da vivere. E' come se tutto, anche quel­lo che dovrà ancora succedere, fino in fondo... fosse già avvenuto, perché è certo che succederà, è segnato. D'ora in poi io debbo tutto agli altri; tutto: anche me stesso.

Gillian                           - Ma anche noi, Walter, dobbiamo tutti qualche cosa a te. Noi, e anche chi ti giudica. Più o meno siamo tutti debitori verso i colpevoli. Perdona se ti dico così.

Walter                           - Mi sarebbe bastata una parola come questa, per sentire in me di poter essere diverso, un altro... non quello che gli altri giudicheranno.

Gillian                           - Lo sarai, Walter...

Walter                           - Se valesse la pena di non voler mo­rire...

Gillian                           - Lo sarai: te lo dice tua sorella.

Walter                           - Grazie, Gillian. Capisco, adesso, che tu non avresti potuto amare... l'altro, quello che ero, ma puoi volergli bene. (Il cerchio di luce si riallarga, e riappaiono anche i due agenti, uno dei quali depone un giornale sul banco del difensore).

Gillian                           - Verrò a trovarti, Walter. E ormai po­tremo rivederci meglio.

Walter                           - Sì, Gillian.

Oscar                             - (s'accosta a Varius, rimasto sulla sedia, chiuso e chino su se stesso) Vieni, papà, an­diamo. (Varius si risolleva e si alza lentamente).

Walter                           - (prende il giornale e lo tiene penzoloni, dandovi una occhiata: con un acre sorriso) Però : titoli grossi, su tutta la pagina. « L'assas­sino non scoperto da Varius ». « Sensazionale col­po di scena al processo ». E fotografie in grande. (In un grido, con rabbiosa irrisione) Papà, guar­da, un manifesto... Facciamo spettacolo... lo vo­gliono sensazionale... ci hanno dato le parti... per l'incasso al botteghino. (Butta là il foglio: con disperata ribellione) Ma non la farò, la parte, non la farò...

Varius                           - (gli va incontro a braccia aperte, con voce pervasa dall'angoscia) Figliuolo...

Walter                           - (d'impeto lo abbraccia, in un singulto) Mio papà...

SECONDO TEMPO

Camera d'ospedale, inclusa nel semicerchio o trapezio del piano rialzato della scena del pri­mo tempo. Ai lati, quindi, potranno riapparire il banco del Pubblico Ministero e quello del Di­fensore, quando l'azione si sposterà sull'uno e sull'altro. La camera ha una sola entrata, laterale o dal fondo, e una finestra, con davanzale molto alto. Un solo letto e arredi abituali. E' notte. Un infermiere e una infermiera stanno rifacendo il letto e riassestando la camera. Indossano ca­mici bianchi, e l'infermiera reca sul capo la cuf­fia che nasconde i capelli.

L'Infermiera                  - Io, per me, non capisco. Sarà che sono donna. Quello lì doveva essere giustiziato stamattina, fra poco, quando si farà giorno. Lui trova modo, per non aspettare tutta la notte, di buttarsi giù per le scale, perché vuole finirla su­bito, che tanto non c'è più niente da fare: e nos­signori, non lo lasciano morire. Subito si mette in moto mezzo mondo, medico e direttore del carcere, procuratore della Repubblica, Polizia, specialisti e persino il professor Ruiz, per farlo portare all'ospedale, e tentar di tutto per sal­varlo.

L’Infermiere                 - E' che ognuno fa il suo dovere.

L'Infermiera                  - Lo so anch'io, toh! Ma che do­vere è?

L’Infermiere                 - Quello che tocca a ciascuno. A uno quello del testimone. All'accusatore di accu­sare. Al difensore di difendere. Ai giudici di con­dannare o di assolvere. Al carnefice di uccidere. Ai medici di salvare. A ognuno la sua parte, nel suo compartimento.

L'Infermiera                  - Ma anche gli altri, gli estranei: ognuno vuole un po' impadronirsi di un accusato o condannato, entrare nella sua sorte, per deci­dere di disporre della sua vita. E' come se di­ventasse una cosa pubblica.

L’Infermiere                 - Dal momento che non appartiene più a se stesso, tutti vogliono la loro parte. Hai visto i giornali? Titoli così. Chi si opponeva alla grazia e chi la reclamava.

L'Infermiera                  - E adesso, se i medici ce la fa­ranno a salvarlo, figurati! saremo daccapo.

L’Infermiere                 - Anzi, la lotta sarà più accanita.

L’Infermiera                 - (guarda oltre l'uscio) Torna il direttore del carcere.

L’Infermiere                 - Mi sembra un brav'uomo. (Entra il dottor Cordias).

Cordias                         - Siamo a posto?

L’Infermiere                 - Spero di sì, signor direttore. Co­me stanza improvvisata, si capisce, da ufficio che era.

Cordias                         - Per quanto, supposto che l'atto ope­ratorio si risolva favorevolmente, le esigenze del­la sorveglianza, almeno per ora, saranno molto relative, con misure inavvertibili, dissimulate. In seguito, se mai, si vedrà.

L’Infermiere                 - Eh, sì... in seguito... se lo salve­ranno... voglio dire, se lo guariranno...

Cordias                         - Speriamo. (Deviando) Lei sa già che nei prossimi giorni sarà addetto soltanto a que­sta stanza...

L’Infermiere                 - Ho già avuto tutte le istruzioni. (Dal di fuori si sentono la voce di Tommaso Varius, e quella di Gillian).

La voce di Varius         - (concitata) No, no, non ne hanno diritto... nessun diritto... La voce di

Gillian                           - Così no, guarda... La voce di

Varius                           - E nemmeno uno che mi ascolti...

La voce di Gillian         - Aspetta, andiamo là... La voce di

Varius                           - No, mi hanno detto che è qui. La voce di

Gillian                           - E' inutile... La voce di

Varius                           - Voglio sentire... almeno lui...

Cordias                         - (è andato verso l'uscio) Che c'è?

Varius                           - (appare disfatto, affannato, con Gillian che fa l'atto di trattenerlo) Lei, ecco, lei...

Cordias                         - (gli fa cenno d'entrare) Prego, signor ispettore...

Varius                           - Sì, devo dire anche a lei che non ne hanno il diritto...

Gillian                           - (per calmarlo) Papà...

Cordias                         - Diritto...?

 

Varius                           - Sì... Chi ha dato ordine di far operare mio figlio? Chi?

Cordias                         - Chi aveva la responsabilità della sua vita.

Varius                           - Vita? della sua morte, vorrà dire.

Cordias                         - Il procuratore generale mi ha autoriz­zato a farlo portare qui all'ospedale.

Varius                           - Bene: così la pratica è in regola, con i timbri e tutto.

Cordias                         - E proprio lei mi osserva questo?

Varius                           - Certo: sono il padre; non dovevo nem­meno essere interpellato, per mio figlio?

Cordias                         - Io l'ho affidato ai medici.

Varius                           - Di più: ha potuto avere l'intervento, adesso, nel cuore della notte, dal più famoso ope­ratore di chirurgia cranica.

Cordias                         - E lei che può volere di più?

Varius                           - Che si chiedesse almeno il mio con­senso.

Cordias                         - E' il massimo che si può fare per ten­tare di salvarlo.

Varius                           - Salvarlo? Ma non la sente l'ironia bu­rocratica? Salvarlo per farlo uccìdere. Nessuno ha diritto di farlo morire due volte.

Cordias                         - Potrebbe avere la grazia.

Varius                           - No. S'è già visto che non si può con­ceder la grazia al figlio dell'ispettore Varius. Egli non ha diritto di vivere e non ha diritto di ucci­dersi. Tutt'al più, forse, lo lascerebbero al mondo se ora rimanesse infelice, un relitto, non so... cieco o senza capacità di intendere. E' questo che devo augurarmi, io? Che sopravviva così? E' stato lui, lui a volere che nessuno potesse più fargli del male.

Cordias                         - Ma allora che vuole da me? Cosa pre­tende? Che io non faccia il mio dovere?

Varius                           - Ma sì, lo faccia: tanto più che se mio figlio ora non sopravvive, è come una evasione, di cui anche lei sarebbe responsabile.

Gillian                           - (per trattenerlo) No, papà... ti prego...

Cordias                         - Se non dovessi rispettare il suo do­lore, saprei come rispondere...

Varius                           - (si accascia, con le mani sul volto) Ha ragione, mi scusi... Dico cose insensate.

Gillian                           - Non bisogna mai disperare del tutto, papà.

Varius                           - Eh, no! se Walter si risana, in condi­zioni di capire, dovrà vivere una seconda volta la tremenda vigilia che adesso era riuscito a tron­care, rivivere la sua agonia di giorni, per atten­dere quella data, quell'ora già stabilita, come le abbiamo attese noi in questi giorni, mentre fuori la vita continuava come sempre, e stanotte, noi soli, chiusi in casa, senza saper dirci una parola... Alla fine la telefonata... può immaginare... Lì per lì mi sembrò una liberazione... Ma poi...

Gillian                           - (a Cordias) Lei si è trovato lì, in quel momento?

Cordias                         - No, ma sono accorso subito. Mi tro­vavo ancora nel mio ufficio, parlavo col dottor Loden, il medico di turno, che sul tardi era pas­sato da me... per delle istruzioni...

Varius                           - Doveva assistere all'esecuzione?

Cordias                         - Eh, sì.

Varius                           - (un po' concitato) Ma perché conduce­vano mio figlio al piano superiore? Non era già nel braccio della morte?

Cordias                         - Sì, ma... fu una misura consigliata dal­le circostanze...

Varius                           - Forse perché mio figlio trascorresse l'ultima notte in una cella più vicina alla camera a gas?

Cordias                         - No, non per questo...

Varius                           - (eccitato) E perché, dunque? Era forse in preda ad agitazione? Ad una crisi?

Cordias                         - No, anzi: si padroneggiava, come quel­li che vogliono serbare un'aria di sfida. Fu lui stesso a farmi chiedere di essere trasferito in un'altra cella, isolata, per poter trascorrere in pa­ce la sua ultima notte.

Varius                           - In pace? Perché, ancora lo scherni­vano?

Cordias                         - E' quello che non volevo dirle: ma se lei lo sa...

Varius                           - Me lo disse lui stesso, che alcuni dei condannati nello stesso braccio lo schernivano da altre celle perché è mio figlio...

Cordias                         - Uno di costoro, certo sconvolto dal pensiero dell'esecuzione che attende, è quel Ro­nald Marwood, uccisore di un agente...

Varius                           - (col volto fra le mani) Lo so. L'ho scoperto io. Non c'è più nulla che non sia terri­bile, nulla: ed entra dentro, e bisogna portarlo con sé.

Gillian                           - Ma come ha fatto, Walter, a poter sfuggire alla vigilanza?

Cordias                         - E' stato un attimo: lo scortavano due agenti ed aveva le mani legate. Salendo una ram­pa di scale, parlava vivacemente con l'aria di vo­lersi beffare di tutto, persino di se stesso. Giunto in cima, finse di incespicare, diede uno strattone, scattò in alto d'un balzo e rovesciandosi indietro si scagliò giù a capofitto.

Varius                           - (in un gemito) Figlio mio...

Cordias                         - Il dottor Loden, accorso subito con me, constatò che dava ancora segni di vita. In infermeria tentò le cure più urgenti e lo assi­stette per delle ore, giungendo a ritenere che unica speranza poteva essere un intervento chi­rurgico, estremamente arduo, eseguito da un esperto di chirurgia cranica. Il dottor Loden, al­l'università, è assistente del professor Ruiz. Lo chiamò a casa, seppe che era a teatro, riuscì ad avere la comunicazione con lui, gli espose il caso. Il professore accettò di accorrere subito, e chiese che si facesse di tutto per poter trasportare il ferito all'ospedale. Per fortuna potei appianare le difficoltà. Non potevo pensare che lei non avrebbe fatto lo stesso. Invece, ora... (Dalla finestra co­mincia a diffondersi nella stanza la prima luce del giorno).

 

Varius                           - (smarrito, con profonda emozione) Co­sa . vuole che potessi decidere io... in quei mo­menti... Scegliere: come si può? Tutti i pensieri sono assurdi. Provi lei, provi a scegliere nella mia condizione, lei che è sempre umano e vive di continuo accanto alla morte. Iddio ha voluto che nessun essere umano sappia il giorno, l'ora, in cui dovrà morire se non di sua volontà. Ma noi abbiamo trasgredito anche questa legge. Fine a scadenza fissata.

Gillian                           - Io lo sapevo, papà, che Walter non l'avrebbe attesa quella scadenza. Ricordi? « La parte, no ». E nell'ultimo colloquio accennò : « Non andrò al loro appuntamento ». Questo è avvenuto. E adesso, chi sa? Intanto, ecco, comincia a far giorno... Un'altra alba, vedi? nasce anche per lui... (Entra Oscar).

Oscar                             - Papà, ho visto il professore mentre usciva...

Varius                           - (quasi in un grido) Di' lo ha salvato?

Oscar                             - M'ha detto che vi sono delle possibilità...

Varius                           - Te l'ha detto davvero? (Lo abbraccia).

Oscar                             - Sì, papà... Anzi, quasi lo dà per proba­bile...

Varius                           - L'ha salvato, dunque?

Oscar                             - ... tutto dipende dall'andamento di oggi e domani: se non sorgono complicazioni... (Cor­dias esce).

Varius                           - E allora è vero che possiamo ricomin­ciare a sperare...?

Oscar                             - Sì, papà. Il dottor Loden ha detto che l'operazione è stata di una estrema difficoltà, si può dire senza precedenti. Solo un maestro come il professor Ruiz poteva concepirla e condurla fino in fondo. (Entra Ruth Ellis, in camice e cuf­fia: reca un supporto e l'apparecchio per la tra­sfusione di sangue).

Ruth                              - Buon giorno.

Varius                           - (con inquieta sorpresa) Lei qui, signo­rina...?

Ruth                              - Oh, non dubiti: quando suo figlio ripren­derà conoscenza, io non ci sarò. (Mette a posto l'apparecchio). Ero di turno in sala operatoria...

Varius                           - Ha assistito?

Ruth                              - Sì.

Varius                           - (amaro) E ancora una volta ha fatto il suo dovere.

Ruth                              - (senza risentirsi) Semplicemente.

Gillian                           - Quell'apparecchio cos'è?

Ruth                              - Per la trasfusione di sangue.

Gillian                           - Sangue di chi?

Ruth                              - Non si sa. Si prende dall'emoteca. La donazione è anonima. (Cambiando) Ecco, sono qui. (L'infermiere entra traendo una barella a rotelle sulla quale giace un corpo disteso, inanimato, col volto quasi del tutto coperto dal lenzuolo. La barella, seguita dall'infermiera, viene fermata di fianco al letto, sul quale ora si proietta dalla finestra un raggio di sole).

Oscar                             - (solleva un po' il lembo del lenzuolo dal capo di Walter, tutto avvolto dalle bende, che lasciano scoperti solo gli occhi, il naso e la boc­ca) Povero Wava...

Gillian                           - (si preme le labbra col fazzoletto, repri­mendo un singulto) Sembra sereno come non era più da tanto tempo...

Ruth                              - (delicatamente, per invitare i tre ad usci­re) Prego, signori... Mi dispiace, ma...

Varius                           - (si china a baciare Walter, accennando senza toccarlo, ad accarezzargli la fronte e repri­mendo i singhiozzi) Caro, c'è la vita... c'è ancora... (L'infermiere tira una tenda per riparare il letto dal sole).

~ La scena si oscura, fino a rimanere invisibile. Dopo un poco, sul lato sinistro, un cerchio di luce inquadra il banco del difensore, che ap­pare come una scrivania, su cui sono libri, carte sparse, una lampada accesa e il telefono, e alla quale è seduto l'Avvocato, che consulta un libro, traendone appunti. Suona il telefono.

Il Difensore                   - (all'apparecchio) Sì... Ah, è lei, dottor Varius?... Appunto, l'avevo cercata.... Sì, novità abbastanza buone... discrete... Ci son state delle difficoltà da appianare, ma alla fine si è potuto ottenere l'essenziale... Precisamente... per fortuna il professor Ruiz mi ha appoggiato ener­gicamente e ha tenuto fermo... In sostanza per ora rimane sospesa ogni indagine diretta ad ac­certare se suo figlio abbia effettivamente o no perduto la memoria dei fatti per cui fu condan­nato, e del processo, della sentenza, del tentativo di uccidersi... Per l'appunto, si continua a so­spettare una simulazione, e perciò si voleva met­tere suo figlio alla prova... Non so... in modo da controllare la sua reazione... No, anzi: il motivo per cui le prove di controllo sono state riman­date, è che esse, allo stato attuale, potrebbero cagionare una crisi, e pregiudicare le possibilità di guarigione... Sicuro... infatti per ora tutto è diretto e subordinato alla guarigione... Dopo?... Dopo si vedrà... Ci batteremo in tutti i modi per la grazia... Ma certo, con buone speranze... Io scettico?... No, non pensi... Sì, li ho visti i gior­nali... Purtroppo già cominciano la polemica... Eh, lo so, ne diranno chi sa quante, chi prò e chi contro... però alla fine dovrà spuntarla chi ha scelto la parte migliore... Ma sì, stia di buon animo, dottore... Abbiamo ancora tante carte da giuocare... Ecco, confidiamo nella buona volontà richiesta da Dio agli uomini... A domani, sì... Arrivederla... (Posa il ricevitore).

~ La luce si dilegua dal banco del difensore, e ritorna nella camera dell'ospedale, illuminan­dola a giorno. Appare Walter, seduto su una grande sedia a rotelle, con alta spalliera, collo­cato accanto al letto rifatto, sul quale sono po­sati due o tre libri.

Walter ha il capo ancora avvolto dalle bende, che però gli lasciano scoperto tutto il volto; il suo busto è rigido, essendo ingessato; una co­perta gli avvolge le gambe. Sta leggendo una agenda rilegata, nelle cui pagine sono qua e là incollate delle fotografie. Altre fotografie sciolte sono inserite fra i fogli. Entra l'infermiere.

L’Infermiere                 - (gioviale, sorridente) Buon giorno. Come si marcia?

Walter                           - Ma... Così...

L’Infermiere                 - Meglio, meglio: basta un'occhiata.

Walter                           - (sorride pallidamente) Se lo dice lei che sorveglia anche i medici...

L’Infermiere                 - Soltanto dalle distrazioni, benin­teso... (Porge a Walter un termometro) Ecco qua: bollettino meteorologico. Eh, sì, perché la distra­zione di un medico può essere un affare molto più serio della distrazione di quell'incantato di Tom, che ieri, col suo autogol, mi ha fatto man­care un punto nella schedina del pronostico. L'ha visto alla televisione?

Walter                           - (che intanto si è messo il termometro) Sì.

L’Infermiere                 - M'ha soffiato quel punto, là, all'ultimo minuto. E' rimasto come un babbeo. Do­veva farla proprio a me, che ho sempre fatto il tifo per lui.

Walter                           - E perciò lo perdonerà.

L’Infermiere                 - Perdonare?! E' una parola... (In­tanto assesta, riordina, pulisce qua e là nella stanza).

Walter                           - Ma sì, non c'è niente che non possa essere perdonato...

L’Infermiere                 - (lo guarda un momento, quasi fra sé) ... o riparato.

Walter                           - Appunto... (Sorride) Tom riparerà con qualche sua prodezza. Sa che anch'io volevo di­ventare campione di calcio?

L’Infermiere                 - E io no?

Walter                           - L'avevo dimenticato, ma lo ritrovo scritto qui, in questo mio diario, che papà ha ripe­scato e mi ha dato a leggere per farmi ricordare la mia vita di allora, prima dei vent'anni. Tutto un altro mondo... Campione, attore cinematogra­fico, esploratore... persino inventore... volevo diventare... E' andata a finire che son rimasto nes­suno, senza parte.

L’Infermiere                 - Ma no, è rimasto come tutti noi. Non se la prenda. (Entra il dottor Cordias).

Cordias                         - Buon giorno.

L’Infermiere                 - (preso alla sprovvista) Oh, rive­risco signor giudice...

Walter                           - Buon giorno.

Cordias                         - (dà la mano a Walter) Sempre meglio, vero?

Walter                           - Non c'è male.

Cordias                         - (all'infermiere) Senta, mi mandi su­bito la signorina Ruth Ellis, la caposala.

L’Infermiere                 - Subito. (S'avvia).

Walter                           - Il termometro. (Lo porge).

L’Infermiere                 - Ma già! (Torna indietro, batten­dosi la fronte).

Walter                           - Niente: distrazione.

L’Infermiere                 - Per fortuna non sono un medico, (Sull'uscio si ferma ancora) E un'altra cosa di­menticavo: che oggi è il suo compleanno: auguri.

Walter                           - (sorride) Grazie: sono grato dell'inten­zione. (Via l'infermiere).

Cordias                         - II professor Ruiz mi ha detto che tutto procede bene, per lei, e che ormai non si temono più complicazioni...

Walter                           - Speriamo.

Cordias                         - Fra pochi giorni le toglieranno l'inges­satura, per sostituirla con un busto. Così potrà cominciare a muovere qualche passo...

Walter                           - I primi passi, potrei dire...

Cordias                         - (lo osserva) Primi... perché primi?

Walter                           - Così... come per ricominciare la vita, da capo... chi sa poi in che modo. Non è una bella prospettiva, come vede, ma dovrò rasse­gnarmi ad essa, se non altro per gratitudine a chi, come dicono, ha compiuto un miracolo per salvarmi.

Cordias                         - Questo sì, proprio un miracolo. L'in­tervento del professor Ruiz ha suscitato un enor­me interesse, come un fatto che può aprire un nuovo campo nella chirurgia.

Walter                           - Se fosse così, anch'io, almeno una vol­ta sarei stato utile a qualche cosa. Mi aiuterà a vivere il pensiero che l'esperienza fatta su di me, per la mia disgrazia, potrà forse far salvare e ri­dare la vita a qualcuno, chi sa a chi... chi sa in quale parte del mondo...

Cordias                         - (come fra sé, con chiusa emozione) Ridare la vita... E devo io sentirlo dire da lei.

Walter                           - (lo osserva, incerto, come per capire) Da me? Forse io...

Cordias                         - (per deviare) No, niente...

Walter                           - (deciso) Quando sarò interrogato?

Cordias                         - Interrogato!?

Walter                           - Credo. Me lo ha confermato mio pa­dre: nell'incidente automobilistico in cui son ri­masto ferito, è morta Malva Swall, mia amica. Penso che per questa disgrazia mi faranno il processo, e anzi ho creduto che lei... si occupasse di questo.

Cordias                         - Sì, ma... soltanto per delle indagini... per delle formalità, non per il processo... Devo riferire, così... in genere, se le tornasse in mente qualche cosa del fatto...

Walter                           - Cerco di ricordare, domando io stesso come è accaduto, ma la memoria mi rimane vuo­ta. Ricordo solo qualche episodio del mio pas­sato. Come si spiega?

Cordias                         - I medici dicono che, in genere, la perdita della memoria non è completa: riman­gono l'uso della parola, certe nozioni generali... (Entra Ruth Ellis).

Ruth                              - (in camice bianco e cuffia, rimane ferma sull'uscio, come indecisa, dissimulando l'intima emozione) Buon giorno.

Cordias                         - Buon giorno. (Breve sospensione) Ec­co... (Osserva acutamente Walter) Venga, venga, signorina... (Walter si è voltato, non dà segno di una qualsiasi impressione alla vista di Ruth).

Ruth                              - (con un leggero tremito nella voce) Ave­va... bisogno di me?

Cordias                         - (anch'egli domina un turbamento) Sì, ma... ora che ci ripenso, non ho con me degli appunti: forse... forse è meglio che lei venga nel mio ufficio.

Ruth                              - Come vuole. (Sembra voler sfuggire allo sguardo di Walter).

Cordias                         - (a Walter) La conosce?

Walter                           - Non so... Mi sembra di ravvisarla... anche lei, ma...

Cordias                         - Non ricorda di averla vista?

Walter                           - No, non saprei, mi sembra di averla incontrata. (A Ruth) Lei mi conosce?

Ruth                              - La vidi la prima volta quando venne al­l'ospedale.

Walter                           - Con Malva Swall?

Ruth                              - Appunto.

Walter                           - Fu lei ad assisterla?

Ruth                              - Sì.

Walter                           - Le disse qualche cosa?

Ruth                              - (scambia un'occhiata con Cordias) No.

Walter                           - Non riprese affatto conoscenza?

Ruth                              - ...No.

Walter                           - Fu lei, allora, che assistette anche me nei primi giorni, fino a quando non cominciai a riavermi?

Ruth                              - Sì, io.

Walter                           - Mi hanno detto che si è prodigata tanto...

Ruth                              - Seguivo le prescrizioni. (Un silenzio).

Cordias                         - (per andare) Lei rimanga, signorina. Le farò sapere quando potrò vederla.

Ruth                              - (ha capito l'allusione) Va bene. Ma non vorrei...

Cordias                         - No, non pensi... Buon giorno.

Walter                           - Buon giorno.

Ruth                              - Arrivederla. (Cordias esce).

Walter                           - Che c'è, dunque?

Ruth                              - Niente. (Gli accomoda la coperta).

Walter                           - Non capisco... mi vengono in mente tanti perché, di continuo...

Ruth                              - Dipenderà dal suo stato... dalle lesioni che lei ha subito al capo...

Walter                           - E' come la paura di stare al buio.

Ruth                              - Appunto: sono fatti nervosi; questione di tempo ed a poco a poco l'equilibrio tornerà. (Devia) Oh, qui c'è un bottone che minaccia di andarsene...

Walter                           - La sua collega stava per riattaccarlo, ma fu chiamata e lasciò lì l'occorrente.

Ruth                              - (da un piccolo astuccio che è sul comodino prende filo, ago e ditale) Bene. Lo mettiamo a posto... (sorride) con un intervento d'urgenza.

Walter                           - (sorride anche lui) Pronto soccorso.

Ruth                              - E' un caso difficile, ma... tentiamo...

Walter                           - Se no, povero bottone, chi sa dove an­drebbe a finire; forse si perderebbe. (Ridiventa serio, mentre Ruth comincia a cucire) Fosse così semplice tornare a posto.

Ruth                              - Anche quando non sembra semplice, l'im­portante è che non sia impossibile.

Walter                           - (sorride ancora, ma con amarezza, accen­nando al filo con cui Ruth cuce) Bastasse, ec­co... un filo... appena un filo di speranza...

Ruth                              - E perché no? E' accaduto proprio a lei, d'essersi salvato quando c'era appena un piccolo filo di speranza.

Walter                           - Però sono stati gli altri a salvarmi. Adesso, invece, tocca a me rifare tutto da capo.

Ruth                              - Ma non da solo.

Walter                           - In certe cose si rimane soli.

Ruth                              - (mostra di volerne ridere) Addirittura! Così gravi i suoi pensieri?

Walter                           - (quasi è tratto a sorriderne anche lui) Lei non sa, e non può prenderli sul serio.

Ruth                              - Crede?

Walter                           - Ne sorride...

Ruth                              - Non c'è niente di più serio di quello che fa sorridere.

Walter                           - E niente di più comico di quello che si finge di fare sul serio per far piangere.

Ruth                              - Io direi che non si finge mai, nemmeno quando si vuol fingere, perché è proprio un modo di essere se stessi. (Si abbassa a spezzare il filo coi denti).

Walter                           - Come spezza il filo; con un colpo così netto.

Ruth                              - (adombrata) Vorrebbe dire?

Walter                           - Così... ripensavo a quello che si diceva... al filo di speranza, al modo di rimaner soli... Cosa sono io anche per lei? Un malato... uno che stava per andarsene, come questo bottone; rimesso a posto, il filo si stronca, e il legame finisce: do­mani qui ci sarà un altro...

Ruth                              - (turbata) Può essere diverso... Ho molto trepidato per lei nei primi giorni... con che ansia ho atteso di esser certa che il filo non si spez­zasse.

Walter                           - Le sono grato, molto grato d'aver cre­duto che ne valesse la pena. Ma adesso? Non so che altra medicina potrebbe esserci adesso. Mi domando cosa potrò farne di questa vita che tutti, anche lei, mi avete ridato: che cosa potrò farne di me stesso... Io non avevo un avvenire, m'ero chiusa la strada... Se lo domando ai miei, cerca­no di rispondermi che ancora non devo pensarci. A chi, dunque, posso domandarlo qui dentro? Non mi è possibile parlare a nessuno del mio avvenire. Devo solo cercare di rimettere insieme, dentro di me, il mio passato, così, a pezzi, su quello che mi raccontano o che posso ritrovare di me stesso, per ricostruire un po' per volta il mio essere, ma non so se posso arrivare a rico­noscermi.

Ruth                              - Chi può mai davvero riconoscersi, anche se non ha perduto la memoria?

Walter                           - Guardi, ho qui questo diario, di quan­do cominciavo ad esser giovane. Vi sono sogni, aspirazioni, propositi, turbamenti, disinganni, la vita da vivere... quella di uno che voleva tentare, così scriveva, l'avventura del possibile. Vi sono persino dei versi, e anche notazioni curiose, co­me quella che nella casa di campagna la sera in­terrompevo la preghiera per uccidere le zanzare. Poi, a poco a poco, voci raccolte che di tante cose credute dicevano : « non è vero ». E a un certo momento il diario s'arresta. A distanza di tempo c'è l'aggiunta di quest'ultima riga : « Se Dio non esiste, tutto è permesso. Dostoiewskij ». Le altre pagine sono rimaste bianche.

Ruth                              - Era un'altra età, ormai...

Walter                           - Poi, non so... forse ci può esser stato l'inevitabile, o chi sa... .

Ruth                              - (pensosa) L'inevitabile... Perché?

Walter                           - Chi sa, dico, come sono giunto, dentro di me, a concludere il diario con una nota simile...

Ruth                              - Quella nota che nega: Dostoiewskij era un credente.

Walter                           - Le sue parole possono essere accettate anche da chi crede che tutto sia permesso.

Ruth                              - Ma lei ora non lo crede. (Come per sen­tire se ha la febbre, gli accarezza la fronte) Vero? Perché deve credere nella vita.

Walter                           - Che se ne fa di me la vita?

Ruth                              - Basterà che lei cerchi di riprenderla... ecco, da allora, dai giorni ricordati qui (indica il diario), in cui lei, come diceva poco fa, ancora credeva nelle sue aspirazioni, nel possibile. Ci sono tante cose da poter fare. In qualunque con­dizione si può accettare l'impegno di una prova difficile. Se io fossi da tanto, e potessi chiederle delle promesse...

Walter                           - (con un lieve sorriso) Perché no?

Ruth                              - (ride anche lei) Lei ci ride, ma badi che la prendo in parola.

Walter                           - Accettato.

Ruth                              - Bene. Prima di tutto: ha provato a scri­vere?

Walter                           - Ancora no.

Ruth                              - Lo vede? Cominci col misurarsi.

Walter                           - (ride) Dalle aste?

Ruth                              - Se vuole che le tenga la mano...

Walter                           - Così mi induce a fingere di non saper tenere la penna.

Ruth                              - Ossia dovrei essere sua complice.

Walter                           - Sarà invece una maestra molto severa?

Ruth                              - (scherza) Eh, dipenderà... Disciplina, pri­ma di tutto, e ordine.

Walter                           - Posso sapere che classe faccio?

Ruth                              - Lascio la scelta a lei.

Walter                           - Se non so nemmeno quanti anni ho perduto...

Ruth                              - Non conta. Il corso accelerato di fiducia non ha calendario.

Walter                           - E i compiti da svolgere?

Ruth                              - A tema libero. Qui ha ancora queste pa­gine bianche: faccia lei.

Walter                           - Ci può stare il mondo intero, come nei pensieri.

Ruth                              - Ecco, vede? incominci proprio così.

Walter                           - (come fra sé) Il mondo intero, nel quale ognuno esiste.

Ruth                              - Si esiste già, anche nell'avvenire.

Walter                           - Bastasse immaginarlo...

Ruth                              - L'avvenire comincia ogni giorno.

Walter                           - (sorride) Cos'è, il titolo di una can­zone?

Ruth                              - Se lei si sente di comporla glielo regalo. (Entra Varius).

Varius                           - Ciao, Walter.

Walter                           - Oh, papà... Hai tardato.

Varius                           - (dissimula un profondo affanno) Eh, lo so... ma... Buon giorno, signorina.

Ruth                              - Buon giorno signor ispettore.

Varius                           - ...ma ho incontrato il dottor Cordias. Credevo di trovar qui Oscar e Gillian... Son già andati via?

Walter                           - Non si son visti. E' la prima volta, in un giorno di visite... Ma c'è stata la signorina che m'ha tenuto compagnia: piacevole ed interessante.

Varius                           - Il dottor Cordias m'ha detto dell'in­contro...

Walter                           - Sai, mi farà da maestra.

Varius                           - Anche. (Si siede),

Walter                           - Ma ancora non mi ha detto perché, dopo essersi prodigata tanto ad assistermi nei primi giorni, quando ancora ero privo di cono­scenza, poi non si è fatta più vedere.

Ruth                              - Mi hanno assegnata ad altri servizi (En­trano Oscar e Gillian: anch'essi nascondono un turbamento).

Oscar                             - Eccoci qua. Buon dì.

Gillian                           - Addio, Walter.

Walter                           - Ciao.

Ruth                              - Buon giorno.

Oscar                             - (dissimulando la sorpresa) Buon giorno.

Walter                           - Conoscete la signorina...

Oscar                             - Eh, altro...

Gillian                           - Sei qui da molto, papà?

Varius                           - No...

Walter                           - Avete tardato anche voi.

Oscar                             - La macchina non andava...

Ruth                              - (offre una sedia a Gillian) S'accomodi, si­gnora.

Gillian                           - Grazie. (Oscar si siede sul letto).

Walter                           - Ed ecco tutta la famiglia. Novità?

Oscar                             - Ma... così, niente di straordinario...

Walter                           - (a Gillian) E la mia gattina?

Gillian                           - (rivela un po' lo sforzo che fa per celare la sua angoscia) Ah, già... a proposito, sono nati tre gattini.

Walter                           - Ma no? Bisognerà tenerne uno solo crudele, ma necessario. E tu Oscar, hai ancora fatto le prove col nuovo apparecchio?

Oscar                             - Sì, anche ieri.

Walter                           - Porterai anche me a fare un volo? (En­tra l'infermiere).

L’Infermiere                 - Riverisco... mi dispiace, ma... (A Ruth) Signorina, presto, in sala di medicazione.

Ruth                              - Giusto... Scusino. A momenti lo dimen­ticavo...

L’Infermiere                 - (avvia la sedia a rotelle su cui è Walter) Prego...

Walter                           - (ai suoi) Potete aspettarmi qui. (A Ruth) Vero, signorina?

Ruth                              - Credo di sì. Dev'esser questione di poco. (Segue l'infermiere, che spinge la sedia).

Walter                           - E può darsi che, ormai, come il profes­sore mi aveva promesso, io ritorni qui cammi­nando, anche se sorretto. Mi rivedrete in piedi.

 

Varius                           - Sì, caro.

Oscar                             - Ciao. (Walter, l'infermiere e Ruth escono).

Varius                           - (si abbatte su una sedia, con estrema di­sperazione) E invece no, non si salverà, non si salverà... io lo so.

Oscar                             - Papà...

Varius                           - Lo so, ti dico... E lo sai anche tu. Dove siete stati, oggi? Anche voi, come me, a girare dall'uno all'altro, per invocare un appoggio, qual­che aiuto...

Gillian                           - Ci sono delle speranze, papà, c'è chi è disposto ad impegnarsi per noi...

Varius                           - Sì, ma solo a scopo polemico, nella campagna furibonda che s'è scatenata sul corpo del mio figliuolo...

Gillian                           - Non è soltanto questo: c'è anche una adesione umana, che alla fine dovrà prevalere...

Varius                           - No, è inutile illudersi: oggi l'avvocato mi ha fatto leggere la sentenza che rigetta l'istan­za di revisione del processo: è fredda, rigida; non c'è uno spiraglio per la domanda di grazia. Per­ché? perché Walter sono io che l'uccido, io...

Oscar                             - Ma no, papà..

Varius                           - ... Sì, io... io.. (Si abbatte, piangendo).

Gillian                           - (con un profondo singulto) Non devi, no...

Buio di colpo. S'accende la luce sul banco del Pubblico Ministero, che appare come una scrivania di ufficio, con i fascicoli di alcune pra­tiche. Il Pubblico Ministero è seduto al banco, di fronte al quale, in basso, è in piedi Ruth Ellis, ansiosa e tesa.

Il Pubblico Ministero    - (serio, severo) Appunto: proprio stamane, all'alba, ho dovuto io assistere all'esecuzione di Ronald Marwood, anch'egli uc­cisore di un agente della polizia, e scoperto con una operazione di grande abilità, proprio dall'ispet­tore Tommaso Varius. Non è bastata la petizione di centocinquanta deputati per farlo graziare. En­trando nella camera a gas il condannato si è ri­volto a noi: « Salutatemi l'ispettore - ha gridato -e ditegli che quel commediante di suo figlio lo aspetto qui ».

Ruth                              - (ansiosa e implorante) Ma perché il fi­glio? Oggi non è più quello che era; ha tutta una altra vita in sé.

Il Pubblico Ministero    - La legge non ammette un'esistenza di ricambio.

Ruth                              - Come si può giustiziare un essere che adesso è come se fosse un altro, diverso da quel­lo che commise il delitto?

Il Pubblico Ministero    - Questo avviene sempre, più o meno.

Ruth                              - Oppure, ritiene, anche lei, che Walter Varius possa essere un simulatore...

Il Pubblico Ministero    - Non mi interessa: chiun­que sia, si uccide sempre l'uomo, questo scono­sciuto. Un numero.

Ruth                              - E allora perché non mi aiuta?

Il Pubblico Ministero    - La legge non me lo con­sente.

Ruth                              - Mi hanno detto che lei, un tempo, in pubblicazioni e in congressi giuridici, fu avverso alla pena di morte.

Il Pubblico Ministero    - E' vero. E lo sono an­cora, come lo è anche il ministro dell'interno, che ha ricevuto la petizione dei deputati per Ronald Marwood, e ha ritenuto di non potere inoltrarla. Quando entrai in magistratura, la pena capitale non esisteva nel nostro codice; fu introdotta do­po, in seguito a cambiamenti politici, quando da trent'anni ero a questo Ufficio di Procuratore di Stato. Come me, tanti magistrati si videro co­stretti a scegliere fra l'abbandono della carriera e l'applicazione di una legge che ad essi ripu­gnava. Io rimasi. (Amaro) E qui sono quello che si vuole che io sia: un preciso strumento della legge. Nient'altro.

Ruth                              - (disperata) La legge, la legge... ma in nome della legge - Iddio mi perdoni se l'angoscia mi fa bestemmiare - in nome della legge sono stati condannati a morte Cristo, Giovanna d'Arco, Socrate...

Il Pubblico Ministero    - (con intima tensione, guar­dando davanti a sé) Io so, come accusatore, che quando in base alla norma scritta, chiedo la condanna a morire, chiedo anche la condanna dello Stato ad uccidere, essendo impotente a re­dimere.

Ruth                              - Non mi respinga anche lei. Da giorni e giorni non faccio che rivolgermi da ogni parte.

Il Pubblico Ministero    - E' stabilito che il potere di proporre la grazia spetta solo a chi è sopra di me.

Ruth                              - Abbia pietà...

Il Pubblico Ministero    - (si alza, guardando l'oro­logio, in atto di dover andarsene) Non posso nulla, le dico.

Ruth                              - (si irrigidisce: fredda, tagliente, anch'essa in atto di andarsene) E allora... mi scusi se le ho fatto far tardi.

~ La luce si spegne di colpo. Dopo un po' riap­pare gradatamente la camera d'ospedale. C'è solo il dottor Cordias. E' sera.

Cordias seduto, affranto, scuote il capo fra sé, tormentato dai suoi pensieri. Entra l'infermiere).

L’Infermiere                 - La signorina viene subito.

Cordias                         - Grazie. (Un silenzio; mentre l'infer­miere fa per andarsene) Durerà ancora molto lo spettacolo televisivo?

L’Infermiere                 - Non credo: ormai...

Cordias                         - (in atto di congedarlo) Va bene. (L'in­fermiere esce. Cordias rimane curvo su se stesso, frenando una profonda agitazione. Ruth appare sull'uscio, e rimane ferma, in ansia, ad osservare Cordias. Cordias si risolleva, vede Ruth: con angosciosa esitazione) Signorina...

Ruth                              - (mozza un forte respiro: poi mormora, bre­ve) Ho capito.

Cordias                         - Non c'è stato scampo: a una a una tutte le posibilità sono cadute.

Ruth                              - (a mezza voce, intensamente) Terribile. Assassini. (Diversa) E adesso?

Cordias                         - Bisogna dirlo a lui. (Estrae un foglio) E' arrivata la notificazione: devo consegnarglie­la io.

Ruth                              - A lui? Quando?

Cordias                         - Domattina.

Ruth                              - (concitata) Dove?

Cordias                         - In carcere.

Ruth                              - Domattina?

Cordias                         - Sì. Dovrà esser tradotto alle sei.

Ruth                              - Nella cella della morte?

Cordias                         - Appunto.

Ruth                              - Ah, no!

Cordias                         - Impossibile rinviare.

Ruth                              - (con crescente, rabbiosa concitazione) E cosa dice la notificazione?

Cordias                         - Il solito...

Ruth                              - Cioè?

Cordias                         - (elusivo) Così... è in forma di lettera...

Ruth                              - Diretta a lui, a Walter?

Cordias                         - Sicuro.

Ruth                              - E cosa dice...? Avanti...

Cordias                         - Può immaginare...

Ruth                              - (perentoria) Cosa dice?

Cordias                         - Che la domanda di grazia è stata re­spinta...

Ruth                              - Ho capito. E poi?

Cordias                         - E poi...

Ruth                              - Dica.

Cordias                         - ...che la esecuzione è fissata...

Ruth                              - (col respiro mozzo) No!

Cordias                         - ... per il ventidue del mese prossimo.

Ruth                              - (si irrigidisce di colpo: quasi con angoscio­sa ironia, dominandosi) Sì, eh?! C'è tutto. Il} ventidue. (Acre, con un aspro sorriso) Che gior­no è?

Cordias                         - Sabato.

Ruth                              - Week-end per lor signori. Anche la cronaca di una esecuzione, ben colorita, è un passatempo. E lei è venuto qui. Vuol dirglielo stasera, adesso, quando tornerà per coricarsi?

Cordias                         - No.

Ruth                              - Il padre lo sa?

Cordias                         - Sì, ed è lui che mi ha pregato di venire da lei. Bisognerà prepararlo, senza dirgli tutto, perché almeno, domattina, quando verranno gli agenti per la traduzione...

Ruth                              - (si padroneggia) Ho capito.

Cordias                         - ... egli possa...

Ruth                              - Sì, sì, ho capito. (Tesa) Lo farò.

Cordias                         - Gli accennerà, intanto, solo al pro­cesso...

Ruth                              - (rigida, ferma) Non dubiti.

Cordias                         - ... con tutte le cautele...

Ruth                              - Certo. (Tende l'orecchio, e va all'uscio) Si sente il motivo che chiude il programma della televisione.

Cordias                         - (per andarsene) Arrivederla. Sia co­raggiosa.

Ruth                              - Farò del mio meglio.

Cordias                         - Grazie. (Esce).

Ruth                              - (fra sé, a denti stretti) Assassini. (Tutta tesa come in atto di sfida, lo sguardo livido, la voce tagliente) E allora... allora no a tutti. (Si ricompone sentendo entrare l'infermiere). Dov'è Walter?

L’Infermiere                 - (va a riordinare le coperte del letto) Di là: si cambia per coricarsi.

Ruth                              - Gli ha detto che c'era il dottor Cordias?

L’Infermiere                 - No, il dottore mi aveva avvertito di non dirglielo. (Un silenzio) Ho visto che, non so perché, stasera hanno rinforzato la guardia tutt'attorno. C'è qualche cosa di nuovo?

Ruth                              - No, niente. Anzi...

L’Infermiere                 - Le ha detto che potrà salvarsi? An­che oggi son venuti a casa dei giornalisti. E bat­tono sempre lì: se questo poveretto finga o no d'essere smemorato.

Ruth                              - E lei?

L’Infermiere                 - Ho ripetuto che si vedrà quando potranno metterlo alla prova, dicendogli tutto.

Ruth                              - Già, già. (Va per uscire, e sull'uscio s'in­contra con Walter che entra).

Walter                           - (è in pigiama, cammina appoggiandosi un poco a un bastone; scherzosamente) Riverisco, eccellenza caposala.

Ruth                              - Torno fra poco. (Esce).

Walter                           - Abbiamo riso stasera, con le scenette di quel comico che fa il balbuziente...

L'Infermiere                  - Sì, è proprio bravo. (Rientra Ruth).

Ruth                              - (reca una scatola di metallo) Lei può an­dare. Ha fatto tardi stasera. L'aspetteranno a casa.

L’Infermiere                 - Ormai lo sanno.

Walter                           - Per favore, ripassi domattina a chie­dere se sono arrivati quei dischi...

L’Infermiere                 - Non dubiti. Buona notte.

Walter                           - Grazie, arrivederci.

Ruth                              - Arrivederla, Giovanni. (L'infermiere esce).

Walter                           - (a Ruth, prendendole una mano) Cara, che hai?

Ruth                              - Niente, perché?

Walter                           - Così : mi pareva...

Ruth                              - (gli sorride intensamente, carezzandogli i capelli) Cosa posso avere con te?

Walter                           - (sorride anche lui) Quello che ho io, spero.

Ruth                              - Cioè?

Walter                           - L'unico male che m'è rimasto: il mal d'amore.

Ruth                              - (sempre sorridente) Però... Sei un po' an­che in vena poetica, stasera. Forse hai visto alla televisione una storia di passione?

Walter                           - Appassionante, se mai: scalate di roc­ciatori, immersioni nelle profondità marine... Ho sognato di poter anch'io tentare queste imprese...

Ruth                              - Perché no? C'è sempre il possibile, lo sai. (Apre la scatola metallica).

Walter                           - Vedi, dunque, che mi hai ridato la fede anche in queste cose...

Ruth                              - Cosa vuoi che abbia potuto ridarti, io? Erano già in te, dovevi soltanto trovarle, sco­prirle...

Walter                           - Questo amore che è nato così, dopo una sciagura, mentre anch'io rinascevo, vivo per miracolo... con tutta la vita da rifare...

 

Ruth                              - (lo interrompe, fingendo di scherzare) Lo vedi se sei in vena? Proprio stasera...

Walter                           - Se è vero che domani, forse, il profes­sore mi fa uscire.

Ruth                              - Può darsi. (Dalla scatola ha estratto una siringa e una fiala, che apre).

Walter                           - Che fai?

Ruth                              - E' una iniezione. L'ha prescritta il pro­fessore.

Walter                           - Come mai?

Ruth                              - L'ultima, ha detto. Per un controllo.

Walter                           - Non me l'avevi detto.

Ruth                              - Non era importante: ordinaria ammini­strazione d'ospedale.

Walter                           - (sorride) Certo.

Ruth                              - Piuttosto, sei passato stasera nella Cap­pella? (Imbeve un po' l'ovatta con un disinfet­tante).

Walter                           - Certo.

Ruth                              - Guai a te se non è vero.

Walter                           - Sai bene che ti obbedisco sempre.

Ruth                              - E tu sai che te l'ho detto sempre come se te lo dicesse tua madre.

Walter                           - Appunto perché lo so, non manco mai...

Ruth                              - (raccogliendo le sue forze, e dissimulando l'intimo spasimo gli scopre un po' un braccio, ed esegue tutti i gesti necessari per una iniezione en­dovenosa) Perché, sai... bisogna cercare, sem­pre, di sentirsi... come innocenti... E anche per questo, vedi... (infìgge l'ago) nelle cose ci vuole... coraggio... decisione... fino in fondo. Ecco, così... Ci vuole amore, soprattutto. (Si china a baciarlo).

Walter                           - (l'abbraccia) Cara...

Ruth                              - Tu dici di me, che ti ho insegnato a riprendere la vita... Non merito tanto. Ma se tu sapessi quante cose ho imparato da te. (Si ri­solleva).

Walter                           - Lo credi? E allora davvero la nostra vita insieme sarà come possiamo sognarla.

Ruth                              - Sì, amore: un sogno.

Walter                           - Farò qualsiasi lavoro...

Ruth                              - (lo accarezza più volte sulla fronte e sui capelli) Ma poi... non sarà soltanto lavoro, per te e per me... Di', ci pensi? un bel viaggio, non so... in volo, fino in Italia... Ed al ritorno, una casetta con tanta luce... con molti fiori, una bella stanza per noi... (Un silenzio. Lo chiama) Walter... (Walter non risponde: è composto in un sonno profondo) Ecco, così... come dormiremo tutti. (Lo bacia, gli ravvia i capelli, gli accomoda le coperte, gli compone le mani sul petto) Non te­mere, non ti lascerò solo. (Accende un piccolo abat-jour sul tavolino da notte, e spegne le altre luci) Starò con te, così      - (s'inginocchia accanto al letto) fino a domattina, quando verranno gli uo­mini della legge, e dovranno inchinarsi anch'essi... di fronte a te, Walter, che già non potevi più volere il male. Addio, mio Walter, amore mio: Iddio ti benedica. (Ripiega il capo, appoggiando la fronte contro il petto di Walter).

~ Fine del secondo tempo. Breve intervallo per l'epilogo.

Epilogo

La sala d'udienza come all'inizio della prima parte. Il Presidente, il Pubblico Ministero, il Di­fensore, e il personale della Corte sono ai loro posti. Al banco degli imputati è Ruth Ellis.

Ruth                              - (vestita come all'inizio della prima parte) Così lo addormentai, come con una fiaba. Quan­do chiuse gli occhi sorrideva alla visione del no­stro avvenire.

Il Pubblico Ministero    - E confermate che non vi fu reiterazione di atti esecutivi, cioè che l'attuazione del disegno criminoso non avvenne in due momenti, prima con la narcosi, e poi, dopo un intervallo che poteva consentire ancora una riflessione, con la inoculazione del veleno?

Ruth                              - No. Mescolai le due sostanze. Il veleno era già nella siringa, quando vi aggiunsi la fiala di anestetico.

Il Pubblico Ministero    - E quando sorse in voi la determinazione di sopprimere il degente?

Ruth                              - Di salvarlo.

Il Pubblico Ministero    - Sorse lì per lì, oppure maturava in voi da tempo?

Ruth                              - L'idea m'era qualche volta balenata in mente. Ma l'avevo sempre respinta, perché non potevo più ammettere che la condanna di Walter sarebbe ancora stata eseguita.

Il Pubblico Ministero    - Eravate, in voi stessa, assolutamente convinta che egli non simulasse?

Ruth                              - Respingevo sempre questo pensiero.

Il Pubblico Ministero    - Però anch'esso vi tor­nava in mente.

Ruth                              - Tutto può venire in mente, senza voler­lo e senza ragione.

Il Pubblico Ministero    - La ragione c'è sempre, in ogni cosa, e per voi poteva essere un dubbio che non riuscivate a dissipare.

Ruth                              - Erario gli altri che agitavano questo dubbio, anche nei giornali.

Il Pubblico Ministero    - In ogni modo non po­tete completamente escludere di aver temuto che egli, nascondendosi, fingesse anche con voi.

Ruth                              - Temuto io? che anche il suo amore fosse una finzione? (Smarrita) No... no... perché devo rispondere a questo? Basta, la supplico, basta... (Si serra il volto fra le mani, singhiozzando) Che io debba frugare in me, giù, fino a questo punto...

Il Difensore                   - Tutto ciò è fuori del campo giu­ridico. Oppure l'accusa vuol sostenere che la im­putata abbia agito per paura di un inganno?

Il Pubblico Ministero    - Le conclusioni le trar­remo in fondo. Ora si tratta di risalire alle origini del fatto.

Il Difensore                   - La causa del fatto è una sola: il diniego della grazia per Walter Varius.

Il Pubblico Ministero    - Sia pure. La causa, però, non il movente.

Il Difensore                   - Questa volta è tutt'uno. Il mo­vente fu di impedire l'esecuzione della condanna.

Il Pubblico Ministero    - In ciò, se mai, a voler tutto concedere, potrebbe ravvisarsi il fine dell’azione delittuosa, non il movente.

Il Difensore                   - Sottigliezze, sia detto senza of­fesa. Qui siamo di fronte a un fatto profonda­mente umano, che non può non essere contur­bante anche per chi lo disapprova, e noi andiamo invece a ripescare le eleganti distinzioni teoriche dei nostri trattati.

Il Pubblico Ministero    - Del diritto codificato, onorevole.

Il Difensore                   - Ebbene il diritto non consente di elevare a valore di prova, e anche soltanto di indizio, un semplice sospetto. E qui, ora, si pro­fila il tentativo di fondare l'accusa sul sospetto che la imputata abbia avvelenato Walter Varius perché temeva che egli simulasse.

Il Pubblico Ministero    - Ma se la stessa accu­sata ha ammesso, or ora, di aver avuto questo pensiero, e di aver dovuto più volte respingerlo.

Il Difensore                   - Una tentazione respinta non è mai peccato.

Il Pubblico Ministero    - Comunque, scartiamo pure questa ipotesi, almeno per adesso, e ammet­tiamo che Varius non simulasse affatto, e che la imputata, dissipando in sé ogni ombra di dub­bio, riuscisse ad essere assolutamente certa della sincerità e dell'amore di lui. Ammesso tutto que­sto, rimane ancora da accertare perché essa ha ucciso.

Il Difensore                   - Ma allora...

Il Pubblico Ministero    - Lo so. La tesi della di­fesa è già stata chiaramente impostata sin dall'inizio di questo processo: Ruth Ellis, in defi­nitiva, ha ucciso un cadavere, o meglio ha attuato un evento che lo Stato medesimo avrebbe altri­menti e inevitabilmente attuato, sia pure sotto altra forma. Quindi non vi è omicidio volontario in senso giuridico, dal momento che il soggetto passivo...

Il Difensore                   - Oggetto, ormai, non più soggetto di diritto...

Il Pubblico Ministero    - ... soggetto, se non altro in quanto poteva ancora dettare le ultime volontà...

Il Difensore                   - La sua ultima volontà egli l'aveva manifestata, tentando di sopprimersi per non do­ver affrontare l'esecuzione. E questa volontà ha adempiuto Ruth Ellis.

Il Pubblico Ministero    - Eh, no, avvocato: pri­ma di tutto la imputata dev'esser d'accordo con se medesima. Se è vero, come essa afferma, che Walter Varius era completamente cambiato, con una vita rinata nel suo essere, e in lui possibile, noi non possiamo affermare ed esser certi che egli, posto di fronte alla responsabilità dei suoi delitti, avrebbe reagito alla condanna esattamente come quando era soltanto un delinquente. Essa gli ha tolto il diritto di sapere di dover morire, dopo l'innocenza ritrovata. E allora tutto risulta chiaro: la imputata lo ha soppresso - e ora può cogliere pienamente in se stessa la verità - lo ha soppresso non precisamente o non soltanto per sottrarlo alla esecuzione della condanna, ma unicamente o soprattutto per non dover rivelargli che era stata lei, lei sola, come testimone volon­taria, la fonte dell'accusa in base alla quale la condanna fu pronunciata.

Ruth                              - (scossa da un profondo singulto si accascia su se stessa, balbettando) No... no... basta... (Continua a singhiozzare sommessamente).

Il Pubblico Ministero    - Entrambe le ipotesi da me prospettate conducono a questa conclusione. Ruth Ellis deve essersi detta: se egli finge tutto, persino il suo amore verso di me, io lo ridurrò al silenzio, dal momento che deve morire, perché non si sappia che io sono caduta nell'inganno, accecata dal mio amore per lui; se egli è sincero, sono io allora che l'ho ingannato, sia pure infon­dendogli una nuova vita, e poiché deve morire voglio che muoia .senza condannarmi. In ogni caso, adunque, l'accusata ha ucciso per motivi suoi, intimi, che forse soltanto ora, ripeto, essa scopre in fondo al suo animo; ha ucciso per una reazione a ciò che era un male per essa mede­sima, e quindi anche, sì, anche per non dover vedere soffrire, così come avviene nel caso in cui taluno uccide un malato assolutamente inguari­bile, e si giustifica dicendo di aver voluto libe­rarlo dalla sofferenza, mentre la verità è che ha voluto liberare se stessa dal dover assistere a quella sofferenza. Fuori delle due ipotesi ora pro­spettate, si dovrebbe pervenire a una conclusione molto peggiore per l'imputata: e cioè che essa abbia agito per un altro impulso, sebbene incon­scio: cioè che essa abbia soppresso Walter Varius, sotto l'apparenza di una ribellione all'ini­quità della legge, con lo stesso impulso che, in nome dell'ossequio alla legge, l'aveva spinta a presentarsi spontaneamente a rendere contro di lui una testimonianza, anch'essa mortale. Questo impulso, sebbene inconscio, ripeto, pronto ad avvalersi e, perché no? ad approfittare di una ragione plausibile, sarebbe pur sempre, e in ogni caso, un impulso ad uccidere, dissimulato in una giustificazione.

Il Difensore                   - Ma allora questo si potrebbe sup­porre, mostruosamente, anche per i magistrati che condannano.

Il Pubblico Ministero    - I magistrati agiscono co­me soldati.

Il Difensore                   - Sì, ma volontari.

Il Pubblico Ministero    - E potrebbe non essere estranea, a tale impulso, anche se non avvertita, una sorta di fascino della possibilità di uscire dalla esistenza oscura e comune per diventare protagonista di un romanzo di amore e di morte. Infatti Ruth Ellis è oggi l'eroina della cronaca, nelle prime pagine...

Il Difensore                   - (interrompendolo) Le domandi se è vero che ha rifiutato vistose offerte di denaro di giornali in rotocalco, per servizi sulla sua vita e sul suo amore...

Ruth                              - Ne ho avuto ribrezzo.

Il Pubblico Ministero    - Oggi, sì, ne ha avuto ribrezzo: posso ammetterlo. Tuttavia ciò non toglie nulla a quello che ho detto, sulle circo­stanze anteriori al delitto, e sui moventi intimi, soggettivi di esso.

Ruth                              - Ma perché tutti si vogliono impadronire, per portarlo in pubblico, di quello che può essere stato e sarà soltanto in me stessa?

Il Pubblico Ministero    - Perché il delitto è un fatto pubblico, signorina, e interessa tutti.

Ruth                              - Ma il mio delitto son pronta a scontarlo, secondo la legge, qualunque sia la condanna, non m'importa quale. A me basta che non sia delitto la fedeltà, che io serberò, sempre, fin che avrò vita, per l'essere che ho voluto salvare da una sorte infamante. E allora...

Il Presidente                  - Basta. Non vi è più consentito interloquire in questo momento. Prosegua, pro­curatore di Stato.

Il Pubblico Ministero    - Per me, ormai, ho solo da concludere e chiedo che (si volge verso il pub­blico) i signori giudici popolari vogliano dichia­rare l'imputata colpevole di omicidio volontario, doppiamente aggravato, perché commesso con abuso delle mansioni inerenti a un pubblico ser­vizio, e col mezzo insidioso di una sostanza ve­nefica. (Si siede).

Il Presidente                  - Anche il difensore può conclu­dere.

Il Difensore                   - (si alza, rivolto al pubblico) Il rappresentante dell'accusa ha tolto tutto alla im­putata, ha voluto come spogliarla di ogni velo, non le ha concesso nulla: eppure proprio per questo, e non so se senza volerlo, l'ha ridotta a una figu­ra squallidamente umana, a una raffigurazione, mi si perdoni, di noi tutti, di noi stessi. Eh, sì, perché di ognuno di noi, se ci si toglie tutto ciò che nel nostro essere contraddice il male, non rimane che questo: per l'appunto la possibilità del male; cioè gli impulsi di cui parlava ora l'ac­cusatore. Ma vuole lei, procuratore generale, che non vi siano stati e non vi siano nell'anima di questa creatura umana - come in tutte le crea­ture - anche impulsi generosi, fiducia nel bene, magari illusioni? Tutte le contraddizioni sono in noi e attorno a noi. Vi è contraddizione quando il male prende gli aspetti del bene, fino ad in­durre all'eroismo, e persino al martirio, per una causa ingiusta. E' una contraddizione che non si consideri estinta la pena, quando il ravvedimento del colpevole ha estinto la colpa. E' una contrad­dizione che la società non consenta a un con­dannato a morte, in imminente pericolo di vita, di morire, ma usi tutte le risorse umane dell'in­gegno, e della scienza, per risanarlo, non al fine di farlo vivere ma per poi annullarlo in una mor­te infame. E' una contraddizione che lo Stato, nel proibire e reprimere i reati fra cui l'omicidio, attribuisca a se stesso il diritto d'uccidere, come un monopolio, mentre non si attribuisce quello di commettere falsi, truffe e altri delitti. Ed è contraddizione quella sempre presente qui, in quest'aula, fra accusa e difesa, che si fronteg­giano con ragioni tanto più inconciliabili, quanto più appaiono, l'una e l'altra, di forze uguali e contrarie, entrambe fondate sulla logica e accet­tabili. Nella morsa di questa contraddizione e in questa stessa aula fu stretto anche Walter Varius durante il suo processo, quando lei, ec­cellenza, lei avverso per principio alla pena di morte, ma rigido tutore della legge, in una re­quisitoria di tre giorni, sviluppò un'analisi mi­nuziosa, acuta, perspicua, nel rappresentare al rallentatore tutti i gesti e i movimenti dell'im­putato negli attimi - dico negli attimi - in cui erano avvenuti i fatti delle uccisioni dell'agente Nicolson e dell'attrice Malva Swall. Per contro io, fautore, allora, per un errore di cui faccio ammenda, della pena capitale - altra contraddi­zione - inutilmente sostenni con piena e profonda convinzione, tuttora salda in me, la impossibilità di dedurre dalla vivisezione di quegli attimi la certezza della volontà omicida. Fu una competi­zione serrata, appassionata, che aveva per posta la vita di un uomo, e che tenne sospeso per molti giorni un pubblico innumerevole, come una platea immensa di spettatori. Alla fine lei, ec­cellenza, conquistò la vittoria. Lei l'aveva voluta tenacemente, quella vittoria: quindi l'aveva desi­derata. Con ciò non voglio dire che abbia desi­derato anche la morte di Walter Varius. Ma nemmeno Ruth Ellis l'ha desiderata. La morte, signori, era imposta dalla legge. Ma era impo­sto - il processo è tutto qui « anche il modo di uccidere con determinate formalità e prescrizioni.

Il Pubblico Ministero    - Ognuno deve vivere la vita che gli è concessa fino all'ultimo minuto.

Il Difensore                   - E allora nessuno dev'essere uc­ciso, mai.

Il Pubblico Ministero    - Se non per legge.

Il Difensore                   - Ma è pur sempre una legge omi­cida. Lei, eccellenza, ha parlato di impulso ad uccidere. Se dovessimo fare il processo a questo impulso, bisognerebbe domandarsi - come io stes­so mi domando ora dolorosamente - se la soprav­vivenza della pena capitale in molte legislazioni non sia proprio, in fondo, e senza che ciò sia voluto o avvertito, un inconscio appagamento, se mi è consentito dirlo, dell'impulso che ci viene e si tramanda dai primordi dell'umanità, dal pri­mo fratricidio, e che ha sempre insanguinato e insanguina ancora la terra, con guerre, stragi, lotte fratricide, giustificate e anche esaltate in ogni tempo con ragioni nazionali, sociali, persino morali. Da sempre gli artisti, i pensatori, i socio­logi, ripropongono la perpetua domanda dell'uma­nità: che cosa è l'uomo? La legge, invece, lo uccide. Come vede, procuratore di Stato, non può dire che io non sia d'accordo con le sue convin­zioni di giurista.

Il Pubblico Ministero    - Ma non con la legge, da lei voluta.

Il Difensore                   - Anche con la legge: perché se un milite di un plotone di esecuzione, per non attendere gli atroci preparativi della fucilazione

 di un condannato, spara su di lui e lo uccide pochi istanti prima che sia dato l'ordine di far fuoco, non credo che lei sosterrebbe contro il colpevole, anche se avesse agito per risparmiare a se stesso il tormento dell'attesa, l'accusa di omicidio volontario, per di più aggravato.

Il Pubblico Ministero    - La sosterrei, invece.

Il Difensore                   - Eh, no! Se è vero che ogni delitto doloso si identifica con l'evento voluto dal colpevole, qualunque ne sia il movente, bisogna ammettere che sia delitto volere un evento voluto dalla legge. Se mai potrà essere delitto la inosservanza delle prescrizioni dettate per attuare la legge. E perciò si deve concludere che uccidere un condannato a morte non è omicidio volonta­rio, bensì - e non vi sembri aberrante la mia tesi, che invece è umanamente plausibile - bensì è : usurpazione di una funzione pubblica, cioè della funzione di uccidere. Altrimenti, e in tesi subor­dinata, nel caso di questo processo, si tratterebbe di un reato minore, cioè di omicidio del consen­ziente. L'accusa oppone che Walter Varius non i fu consenziente, perché avrebbe potuto esprimere j una diversa volontà, sottomettersi alla esecuzione j della condanna. Ma proprio la legge non ha tenuto conto che egli poteva essere un uomo di- I verso da quello che era stato condannato. Secon­do la legge egli era ancora lo stesso individuo che avrebbe dovuto essere giustiziato il giorno dopo in cui tentò di uccidersi. Egli, cioè, era ricondotto allo stesso momento in cui aveva voluto sopprimersi. E a quel momento lo ha ricon­dotto Ruth Ellis, come se egli, all'ospedale, essendo in definitiva inutile ogni cura tendente a salvarlo dalla morte, non fosse stato salvato. E tenendo soprattutto conto di questo, signori, voi la giudicherete. (Si siede).

Il Presidente                  - Il dibattimento è chiuso. La Corte si ritira. Imputata, avete altro da dire in vostra difesa? (Raccoglie le carte).

Ruth                              - (umilmente, a capo chino) Nulla, eccellen­za. I signori giurati, con una sentenza che sarà fuori di me, e alla quale io mi inchinerò, mi giudicheranno secondo le norme del codice. Io, in me, adesso sì, adesso che posso guardare più in fondo a me stessa, nella povera anima mia, sento che c'è un'altra legge, e devo condannarmi, invocare non la grazia, ma il perdono... Commettiamo un delitto, e il perché dobbiamo cercarlo dopo, non nella legge, ma in noi stessi. Io so, ora, che I opporre il male al male, come con la condanna la morte, o come ho voluto io, o in altri modi, I non può mai essere un bene. (Silenzio).

Il Presidente                  - (si alza, e si rivolge verso il pub­blico) Il verdetto ai signori giurati.

FINE