Noi che restiamo

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NOI CHE RESTIAMO

Commedia in tre atti

di GIOVANNI CENZATO

PERSONAGGI

PROF. AUGUSTO SELVA

DOTTOR ALBERTO CONTI

DOTTOR ITALO DE MARI

CARLO DANI

MONSIGNOR MARIANO SELVA, fratello del prof. Augusto

DOTTOR CLAUDIO ARTENI

DOTTOR FILIPPO ANZANI

DOMENICO, servo di casa Selva

FRANCESCO, maggiordomo di casa Selva

ELENA, figlia del prof. Augusto

MARIA DE ANGELI

MADDALENA GIANNI

CLARETTA, sua figlia

PERFETTA, serva di Monsignor Mariano Selva

Commedia formattata da

 

ATTO PRIMO

La villa del professor Augusto Selva: un gran salone terreno che dà su di un giardino ricchissimo. Architettura fastosa. Archi e colonnati. L’ingresso dal giardino serve da comune, ed è a grandi vetrate. A destra e a sinistra ci sono altre porte. L’ammobiliamento è pure di gran lusso: divani, poltrone, mobili, quadri, statue, lampadari, ecc….

Quando s'alza il sipario la scena è vuota. Sono le sei di sera. Dalla comune, che è aperta sul giardino perché si suppone sia una sera dei pri­mi di giugno, entrano Maddalena e Claretti, madre e figlia. Si guardano attorno un po' stupite, ma avanzano come chi è di casa.

Maddalena                  - È strano... Tutto aperto e non c'è nessuno...

Claretta                       - Anche il cancello sulla strada era aperto...

Maddalena                  - Con la baldoria di oggi la ser­vitù avrà perduta la testa... Be', sediamoci…. Suonato abbiamo suonato... Qualcuno si farà vivo... Tanto sanno bene chi siamo...

Claretta                       - (gironzola un po', più curiosa; getta lo sguardo su di un vassoio d'argento che è su di un tavolo) Mamma! ... Guarda quanti telegrammi!

Maddalena                  - Eh, sfido io!

Claretta                       - M'ha detto l'Erminia che ha te­legrafato anche il Re...

Maddalena                  - (con un certo sprezzo) II Re!.., Sarà stato un suo aiutante, se è per quello!... Ma con tutta la sua scienza, non ha avuto quello che io e tuo padre, poveretto, abbiamo ricevuto il giorno del nostro matrimonio... Un telegram­ma del Papa!... Del Papa, capisci? Che vuol dire più di tutti i Re della terra messi insieme… (Guardando un po' bieca i telegrammi) Quello del Papa, lì, non c'è di sicuro!...

Claretta                       - Però, come medico e come scien­ziato, ce ne son pochi...

Maddalena                  - Chi dice niente per quello? Anzi, non c'è che lui... Ma non ha il timor di Dio... Nessuno ha il timor di Dio, in questa casa... Perché lui ha voluto così, ha preteso così...

Claretta                       - Però sono tanto buoni...

Maddalena                  - Ah, sì... E io spero che lo siano più oggi, data la festa. La signora Elena non mi negherà le mille lire che le ho già chie­sto per i miei derelitti... C'è la fattura dei caloriferi alla Colonia da pagare, e me ne man­cano ancora quattromila... Mille fra la contessa Savoldi e la Torri... Mille me le ha promesse il Comm. Baldi; mille il parroco di Sant'Angelo se le fa dare da donna Alvisi...

Claretta                         - Ancora?...

Maddalena                    - E già! Non muore mai quella secchia! Fa testamenti benefici, mi lascia tren­tamila lire e continua a stare al mondo!... Pa­ghi almeno l'interesse!... (Pausa). Le altre mil­le la signora Elena non me le nega... Me l'ha già detto... E se non prendo una giornata come questa!... L'indomani delle feste si tirano i con­ti e si diventa sempre di cattivo umore... Per questo non me la lascio scappare...

Claretta                         - Ci avrà aspettate al ricevimento, Oggi.

Maddalena                    - Che?! Io? E tu? Con quegli comunicati di medici e di scienziati che c'e­rano? Materialisti e rinnegatori di Dio?... Sei malta?! No... No... Lo sapeva benissimo la si­gnora Elena che non ci venivo... Le ho detto che sarei passata una volta via tutti... (Altro tono) Ma mi pare che adesso siano andati via in troppi... Non si vede proprio nessuno...

Claretta                         - (che intanto ha preso un giornale sul quale si capisce che è pubblicato un ritratto) Guarda, mamma, questo giornale... Il suo ritrailo... Quasi tutta la pagina... Bel vecchio, però..,

Maddalena                    - Ottantacinque anni... Trenta giusti più di me... E che elogi, senti! (Leggendo) « Il tributo del mondo... ».

Maddalena                    - Eh! Del mondo! Figurarsi! I giornalisti esagerano sempre...

Claretta                         - (continuando a leggere) «...del mondo scientifico », dice...

Maddalena                    - Ah! È un altro mondo, al­lora...

Claretta                         - (sempre leggendo) «...al pro­fessor Augusto Selva nel suo ottantesimo com­pleanno... ».

Maddalena                    - Ottantesimo, dice? E gli altri, dove sono?

Claretta                         - Se lo stampano qui...

Maddalena                    - Ma se sori cinque anni, se non sei, che dovevano festeggiargli gli ottanta! Han­no sempre rinviato... Ma il tempo ha cammi­nato.,. È l'unico personaggio della festa che non ha aspettato...

Claretta                         - (leggendo) «...l'apostolo della materia... ».

Maddalena                    - (turbata) Cosa dice? Fa' il pia­cere di non leggere certe stupidaggini!... Metti via! Che quando penso... Basta... Una volta che ho le mille lire... Dio mi vede, e sa che se vengo qui è per i miei derelitti. Non ho partecipato neanche ad un evviva... Tu lo puoi dire... Ve­nir qui con te, poi!... A rischio che qualche dottorino si innamori di te, che sei bella, che sei buona, e ti sposi per mettere al mondo dei figliuoli da far venir su senza battesimo, come i gatti... No... No... (Altro tono) Ma è strano, però... Comincio a impensierirmi... (Si alza, con voce spaventata) Che siano usciti tutti e che vi siano i ladri?!...

Claretta                         - (ridendo) Ma, via, mamma!.

Domenico                     - (è un servo di casa; entra in scena da destra, affannato, e si dirige verso la porta di sinistra, correndo).

Maddalena                    - Oh, Domenico!

Domenico                     - Ah, Signore! Sono loro?.. (Senza fermarsi) Se sapessero!... Se sapessero! Che disgrazia!... (È già uscito a sinistra).

Claretta                         - Cosa ha detto?

Maddalena                    - Dio mio!...

Claretta                         - Ha detto una disgrazia!

Maddalena                    - Ma no!

Domenico                     - (rientra da sinistra, riattraversa la scena ed esce da dove era entrato, sempre af­fannato. Ha in mano un grosso involto).

Maddalena                    - (cercando di richiamarlo, ma in­vano) Domenico! Per carità, che c'è?

Francesco                      - (un maggiordomo, appare sulla porta di destra mentre Domenico vi sta per entrare. Lo trattiene) Ormai non c'è più nul­la da fare...

Domenico                     - (sparisce lo stesso).

Maddalena                    - Oh, Francesco! Ma cosa è suc­cesso?...

Francesco                      - (ravvisando Maddalena e Claretto) Oh, le signore Gianni! Sono loro? Hanno fatto bene a venire!... Pensavo giusto adesso chi si poteva... (Il suo dire è in questo momen­to interrotto dall'entrare di Alberto dalla co­mune. Più che entrare egli precipita in scena).

Francesco                      - (corre verso Alberto, mentre le due donne si ritirano come impaurite) Signor padrone!...

Alberto                          - (gridato) Che c'è, Francesco?

Francesco                      - Il piccino!... Corra!... Corra!...

Alberto                          - (infila la porta di destra, fulminea­mente).

Maddalena                    - Ma, insomma, Francesco!...

Francesco                      - Se sapessero, signore! Sono qui che tremo tutto... Tutto un sudore freddo!... È morto il piccino!...

Maddalena e Claretta   - (insieme) - Giorgino

Maddalena                    - Morto?! E di che?!

Francesco                      - E ancora sua madre non sa nulla!... S'è riusciti solo a trovare il padre... L'ha visto?... (Allude ad Alberto). Adesso chis­sà, povero uomo!

Claretta                         - Ma di che cosa è morto?

Francesco                      - Oggi, nel pomeriggio, dopo che autorità e invitati se n'erano andati, la signora ha dovuto uscire... Aveva una riunione impor­tantissima per non so quale iniziativa di bene­ficenza... Sa che per beneficare...

Maddalena                    - Ditelo a me, caro! Che cuore! Bene, raccontate, presto, per carità...

Francesco                      - Il dottore è andato per le sue visite, anzi per un consulto, e il vecchio pro­fessore è rimasto a casa... L'emozione della giornata... L'età... Si ha un bel essere di ferro come lui, ma...

Maddalena                    - Vi prego... Venite al fatto...

Francesco                      - Si... Ecco... Il professore era qui, seduto su questa poltrona, ed io stavo ser­vendogli la solita pozione. (Indicando un tavo­lino poco discosto con un vassoio) Eccola lì an­cora... L'ha lasciata... Quando entra di corsa Adele, la bonne, gridando: «Per carità! Presto! Il piccolo soffoca!... Muore!...». Io e il pro­fessore corriamo di là... Ah, signora!... Non mi faccia pensare!... Insomma... Gli avevano dato da mangiare per merenda, fra l'altro, una bella uva che avevano portato anche a tavola, alla colazione d'oggi. Di quella fresca, fatta venire non so da dove, in scatola, con gli acini grossi!... E il bambino si divertiva, racconta l'Ade­le, a buttare gli acini in alto e a prenderli con la bocca aperta... Cosa sia accaduto lo sa solo il Signore... Ridendo e saltando, nell'inghiottirli a volo, uno gli è andato per traverso... S'è ficcato qui in gola, mezzo fuori e mezzo dentro, e non c'è stato più verso... L'Adele ha subito cercato di farlo tossire, di battergli la schiena, di voltargli il capo indietro... Lo sa come si fa... Gli ha messo un dito in gola e ha fatto peggio... Il bimbo è diventato rosso rosso, poi nero, ha cominciato a gettare fuori gli occhi, a storcersi... Accorre il professore... Egli ha su­bito cercato... A veder quel vecchio, con le mani tremanti, il volto contratto, a... a... Non so cosa cercasse di fare... So che è corso a pren­dere il bisturi, lo ha tagliato in gola, da fuori, qui, sotto il mento...

Maddalena                    - Ah, Dio mio!... Poveretto!

Francesco                      - Inutile tutto! Pochi minuti ed è morto... Tentativi dopo... Iniezioni, respira­zione artificiale... Io non mi so spiegare... È là… (Piange).

Maddalena                    - (sedendosi su di una poltrona, come chi manchi) Misericordia!... Che disgrazia!...

Claretta                         - Ah, povero angioletto!... E mamma?

Francesco                      - Non sa ancora nulla... S'è man­dato a cercarla... Telefonate... corse, tutto inutile fino a questo momento... E dire che se non la si trova e non la si prepara, può capitare qui da un momento all'altro ignara di tutto!.., Signora... Se lei potesse fermarsi farebbe un'o­pera buona...

Maddalena                    - (sconvolta) Io? Per carità! E come faccio? Sensibile come sono?... E poi… (indica Claretta) con questa povera ragazza... Farla assistere a certe scene... Ah, che sven­tura!... (Altro tono) Francesco, voi siete un brav'uomo... Io lo so... E state qui perché... Oh, Dio!... Perché mangiare bisogna mangia­re... È naturale... Si guarda al cibo e non al piatto... Ma questo, credetemi, proprio in que­sto giorno, è il dito di Dio... È l'ammonimento che viene dall'ai di là... (Facendosi il segno della croce) Basta... So quel che mi dico... (Al­tro tono) Ah! Ma come mi rincresce! Ah, po­vera madre! Poveri genitori! Un bambino così sano... Così bello...

Francesco -                    - Cinque anni... Un fiore...

Maddalena                    - Non parlatemene più, Fran­cesco... Mi sento venire male... E pensare che non l'hanno nemmeno battezzato... Che stra­zio! (Verso Claretta) Andiamo, figliola... An­diamo... Male, ecco, male mi sento... (A Fran­cesco) Vi prego... Non dite nulla che siamo ve­nute qui... Domani poi... Anzi... (Indicando a sinistra) Vi prego... Fateci uscire da via Goito... Facciamo più presto ad andare a casa...

 Francesco                     - Proprio non credono che sareb­be meglio si fermassero?... Confortare quella povera signora...

Maddalena                    - Cosa volete che badi a noi?... C'è suo marito... Suo padre... Ci siete voi di casa... Noi saremmo d'impiccio... Credetelo: in certe circostanze gli estranei fanno peggio... (A Clarette) Andiamo, andiamo, figlia mia... (Si avviano).

Francesco                      - (segue le due donne scrollando il capo un po' contrariato. Le accompagna fuori, da sinistra. Scena vuota per un momento. Poi Francesco rientra nello stesso tempo che dalla comune appare il dottor De Mari, ansante e trafelato) Dottore... L'ha vista?

De Mari                         - Macché! Una disdetta!... M'han­no detto che ha accompagnato la contessa Fiori con la sua macchina, ma si vede che prima di andare a casa saranno andate a prendere una boccata d'aria... Che so io?

Augusto                        - (appare a destra. È affranto, acca­sciato, come inebetito. Il suo aspetto è quello di un uomo superbo e fiero, ma i segni del do­lore hanno in questo momento il sopravvento. Vede De Mari e trasale) L'ha trovata?!... È qui?

De Mari                         - Professore, dicevo adesso a Fran­cesco... Non l'ho trovata...

Augusto                        - (interrompendo) Ma insomma! Ella non può arrivare qui e apprendere di colpo questa tremenda disgrazia... Si tratta di suo fi­glio... Del suo unico figlio!

Francesco                      - Padrone... Se crede che provi ancora io... Ancora col telefono... Oppure an­dando...

Augusto                        - (interrompendolo) È necessario. Corri... Cerca...

Francesco                      - Padrone... Farò l'impossibile... (Via da sinistra).

De Mari                         - (dopo un momento di commozione e di imbarazzo) Maestro... (Fa per tendergli la mano).

Augusto                        - (gli si avvicina, quasi si appoggia a quella mano che gli si tende, e reprimendo appena un singhiozzo si getta nelle braccia di De Mari).

De Mari                         - (anch'egli commosso) Coraggio, maestro... Per carità... Non faccia cosi...

Augusto                        - Ah, De Mari!... (A stento, aiu­tato da De Mari si siede). Io che ho combattuto per sessanta anni i mali dell'umanità, che li ho-vinti mille volte, dovevo lasciarmi rubare quell'esserino, quella piccola creatura, ch'era tutta la mia vita.

De Mari                         - Ma come può essere successa una cosa simile?...

Augusto ...................... - Il bimbo ha inghiottito l’acino d'uva... Esso si è conficcato fortemente, come può logicamente presumersi, perché veniva dal­ l'alto, nella trachea. Quando mi hanno chiamato, l'ho trovato violaceo, con la bocca spa­lancata, gli occhi fuori dall'orbita, la pelle fred­da, il polso debolissimo. Nonostante sforzi ter­ribili e scosse toraciche violente, l'aria non pas­sava più... Si sentiva soltanto il caratteristico rantolo corto, che denuncia i tentativi di inspi­razione... Ho visto lo spettro dell'asfissia, lì, davanti ai miei occhi, minaccioso, fatale... Com­prendo che è questione di minuti, di secondi direi... Introduco subito il dito nel fondo della bocca, all'orifizio superiore della laringe, ove spero che l'acino si sia fermato... È successo molte volte, voi lo sapete, di estrarre così, con un abile giro di mano, un corpo estraneo che ostruisca la gola... Ma questa operazione deve essere il più possibile istantanea. Nel mio caso mi sono accorto subito che l'acino era sceso troppo in giù... Io non avevo ferri adatti, ne c'era tempo di trasportarlo all'ospedale... Biso­gnava allora aprire la trachea, raggiungerlo da fuori, subito, con un bisturi, con una forbice, con un temperino. Dell'aria! E ho vista la ne­cessità dura, impellente, mostruosa di sgozzarlo per salvarlo... Ma quando ho cercato un bisturi, quando l'ho trovato, quando col polso più fer­mo che potevo ho intaccato violentemente quel­la bianca gola da colomba, e il sangue ne è sgorgato, era tardi... Il cuore s'era già fermato... L'asfissia aveva vinto...

De Mari                         - Ah! È terribile!

Augusto                        - Voi capite... Dall'attimo in cui è avvenuta l'ostruzione, fino a quello in cui ho potuto intervenire, cioè fra i primi tentativi dell'Adele, il suo chiamarmi, il correre, il render­mi conto, il cercare, l'operare, ho fatto il cal­colo che saranno passati dodici minuti... Ah! Soprattutto l'Adele tardò. Lei sperava certo che si trattasse di cosa facile... Non immaginavo nemmeno io che si conficcasse così in fondo e con tanta forza... Se quando l'ho visto avessi avuto in mano subito non dico il bisturi, ma una forbice, una lama qualsiasi, un coltello!... Incidere, incidere subito, a qualunque costo, bi­sognava! Avrei strappato con le unghie quella gola, l'avrei scarnificata, squarciata, se avessi avuto gli artigli nelle mani!... Forse si sarebbe salvato... Ma così...

De Mari                         - (dopo un lungo silenzio) E suo padre?

Augusto                        - È di là... Impietrito... Ora sta curando pietosamente quella inutile ferite... Sta ricomponendo quel piccolo volto straziato dagli spasimi, quella cara faccina su cui la morte ha impresso l'orma più ingiusta... Venite a veder­lo... (Si alza e, barcollando, si dirige a destra ed esce).

De Mari                         - (lo segue in silenzio).

Elena                             - (dopo qualche momento di scena vuo­ta, entra accompagnata da Carlo Dani. È donna giovane, di rara avvenenza, elegantissima. Il suo viso ha l'espressione di una felicità ricca di se stessa. Continua un discorso con Dani, e in tono di rimprovero) Adesso basta, eh?... Caro Dani, giudizio!... (Ride e si avanza andando a sedersi su di una poltrona). Ma lo sapete che siete proprio sciocco a farvi delle illusioni?

Dani                              - Che male vi fanno, scusate, le mie illusioni? Esse sono, dopo tutto, il regime vege­tariano dell'amore... Vostro marito, beato lui, può seguire il regime carneo... Io...

Elena                             - (che pur si diverte e lo guarda con una languidezza un po' canzonatoria) Ma basta, ho detto. (Si alza, va a suonare un campanello, poi torna a sprofondarsi in una poltrona). Sono così stanca, oggi, che non ho nemmeno la forza di burlarmi di voi!...

Dani                              - Permettete che io approfitti della de­bolezza del nemico... È una vecchia regola di strategia che continua a trovar credito di suc­cesso...

Elena                             - È strano come voi non vi siate mai accorto quanto io ami mio marito...

Dani                              - Oh! Me ne sono accorto, purtroppo! Lo amo anch'io, del resto... E non sarei mai capace di tradirlo...

Elena                             - E allora?

Dani                              - A me basta che lo tradiate voi...

Elena                             - Ma nemmeno col pensiero...

Dani                              - Fatelo senza pensiero...

Elena                             - Orsù... Adesso cominciate a diven­tare impertinente...

Dani                              - In qualche modo bisogna pur co­minciare...

Elena                             - (a sviare) Avete visto che fascio di telegrammi?

Dani                              - E quelli che arriveranno ancora!... Lo dicevo oggi a Silvini, il presidente del co­mitato promotore delle feste... Se aveste prean-nunciato un po' prima e anche un po' più cla­morosamente questi festeggiamenti, avreste fat­to meglio... Molta gente apprenderà dal reso­conto le feste avvenute e chissà come si dorrà di non aver inviato tempestivamente il proprio segno di adesione, di solidarietà, di gratitudi­ne... Soprattutto di gratitudine, perché vostro padre ha dovunque gente salvata dalla sua va­lentìa e dal suo amore di scienziato.

Elena                             - Papà si è opposto... Egli è rigido e austero con sé e con chiunque.

Dani                              - Ma queste sono feste che si fanno anche per i congiunti... Per dar loro la gioia e l'orgoglio di portare un nome, di avere un legame col festeggiato...

Elena                             - Lasciate lì che, per quello, abbia­mo avuto una tal corvée da stamattina!... Avete visto che il giornale ha pubblicato il ritratto di papà fatto da voi?

Dani                              - Su, l'ho visto.

Elena                             - E’ proprio bello quel quadro, lo hanno elogiato in molti, oggi.

Dani                              - Non credo... Mi è stato riferito quanto ha detto Salerni che pontificava le feste oggi.

Elena                             - Non badateci. Sono le solite invidie artistiche.

Dani                              - Eh, signora mia! Si trattasse solo di invidia!... L'invidia è una specie di forza maggiore in arte... Gli è che si combatte ad armi nascoste e, quel che è peggio, si vince... Si creano dei privilegi, e l'insolenza è diventata la paladina dell'ignoranza. La massoneria, tanto felicemente cacciata dalla vita pubblica, s'e rifugiata nell'arte... Credete a me: occorre una I «Marcia su Roma» anche per l'arte...

Elena                             - Ma via... Non inquietatevi così,, (Ridendo) Meno male che ho trovato il modo I per rimettervi in carreggiata quando fate il monello con me…. (Tutt'altro tono) Sentite... Feti compensarvi delle amarezze artistiche, domani I comincerete il ritratto di Giorgino... (Altro tono) A proposito... (Un po' allarmata) E cosa succede? Ho suonato e non viene nessuno... Non capisco... Le porte aperte... (Si è alzata e giro per il salone nel momento in cui, a destra, ap­pare, sconvolto e sfatto, Alberto).

Alberto                          - (vede Elena e si ferma come impie­trito. Riesce a stento a balbettare il nome di lei e a sostenersi allo stipite).

Elena                             - (atterrita da quella espressione) Al­berto!

Alberto                          - (corre verso lei e quasi le cade addosso reprimendo un singulto) Ah, Elena! Elena!

Elena                             - (con un grido) Dio mio! Cosa è successo? Alberto! Alberto!

Alberto                          - (con uno sforzo violento) Giorgino... sta male...

Elena                             - (tramortita) Giorgino?... Giorginò?... Cos'ha? Cosa è successo?... Parla! (te sembra di leggere in un'occhiata che Alberto lancia a Dani) Perché l'hai guardato così?!... Che c'è? Che c'è?... (Fa per slanciarsi per la porta di destra).

Alberto                          - (riprendendo con uno sforzo il do­minio di se e fermandola) Fermati! (Atte­nuando) Scusa... Sta male... Abbiamo mandato a cercarti... Speravo che ti avessero avvertita...

Elena                             - Dove mandato? Chi? Non so nul­la, io!...

Dani                              - (tentando) Signora, si calmi... (Verso Alberto) Ma che è accaduto?

Elena                             - (cercando di passare) Ma lasciate­melo vedere!... Sono sua madre!...

Alberto                          - (sempre trattenendola) Aspetta!... Un momento!... Ora... riposa... (La parola gli si rompe in un singulto).

Elena                             - (si strappa da lui e va verso la porta. Ma sulla soglia trova Augusto. Si ferma, retro­cede d'un passo, come terrorizzata. Non ha più la forza di avanzare, come se avesse letto quel volto).

Alberto                          - (con voce soffocata, il fazzoletto alla bocca, a Dani) È morto!,..

Dani                              - (barcollando) Eh?!...

Elena                             - (contemporaneamente alle battute pre­cedenti) Papà! Papà!

Augusto                        - (tenta anche lui di trattenerla, ma ella si svincola e sparisce. Alberto, d'un balzo, la insegue).

Augusto                        - (avanzando, con un gesto d'ira) Non siamo nemmeno arrivati a prepararla! Ma è orribile tutto ciò!... (Si accascia sulla pol­trona).

Dani                              - (premuroso, vicino a lui) Maestro...

Augusto                        - (stringe le mani di Dani, poi rima­ne immobile, con la testa nella morsa delle sue mani convulse e febbricitanti).

Francesco                      - (entra dalla comune, circospetto, in punta di piedi, e si avvicina a Dani; sotto­voce) La signora era con lei?

Dani                              - (anche lui sottovoce) Si... È di là... Sa tutto...

Francesco                      - (quasi liberato da un incubo, re­spira).

Dani                              - (sempre sottovoce, a Francesco) Ma cosa è successo?

Francesco                      - Una disgrazia! Soffocato... sof­focato da un acino d'uva...

Dani                              - Senza poter far nulla per salvarlo? Ma come è possibile?

Francesco                      - (indicando Augusto) C'era lui, s'immagini se non ha cercato!...

Dani                              - Ma perché non preparare la signo­ra?... Non avvertire?.... Non...

Francesco                      - Ma se è un'ora che triboliamo per quello! S'è cercato di tutto... Ma quando la fatalità ci si mette non c'è verso... S'è tele­fonato, s'è corso... In due, in tre, in dieci! La maledizione è stata!...

Augusto                        - (si alza).

Dani                              - (mite, rispettoso) Maestro... Se po­tessi esser utile in qualcosa...

Augusto                        - (tendendogli le mani, come conge­dandolo) Grazie... Grazie, Dani... Sono si­tuazioni in cui noi non sappiamo cosa chiedere, e gli amici, anche quelli buoni come lei, non sanno cosa dare... Io spero che l'educazione virile che ho dato a mia figlia e il modo con cui l'ho cresciuta le consentano di essere forte, di superare questo strazio... Oh, ella lo sarà! (Stringendogli la mano) Grazie, Dani...

Dani                              - Se c'è bisogno di me...

Augusto                        - Grazie... C'è già di là anche De Mari...

Dani                              - Come vuole, maestro... (Stringe an­cora la mano ad Augusto e, dopo qualche mo­mento di imbarazzo, esce in punta di piedi, adagio, scambiando un muto saluto con Fran­cesco).

Francesco                      - (piano) Comanda nulla, pro­fessore?

 Augusto                       - (resta immobile senza alzare il ca­po, senza rispondere).

Francesco                      - (esce adagio adagio).

Elena                             - (con la veste in disordine, scomposti i capelli, l'espressione convulsa, piomba in scena).

Augusto                        - (se la trova davanti spettrale, an­sante. Balbettando) Elena...

Elena                             - (la sua voce, la sua espressione rive­lano uno sforzo sovrumano su se stessa. Il do­lore è tale che ella sembra sotto l'incubo di una allucinazione. Le parole le escono compren­sibili, ma rovinando e con una voce che non par più la sua) Babbo... Parla... Dimmi... Sono forte...

Augusto                        - Elena... Tu sei forte...

Elena                             - (implacabile) Voglio sapere... Tut­to... Da te... Parla...

Augusto                        - A che serve?... È una disgrazia... Una tremenda disgrazia... Nessuno la poteva né immaginare né prevedere... Te l'hanno detto?...

Elena                             - Sì... Me l'hanno detto... Soffocato... Me l'hanno detto... Ma io non ho capito bene... Non capisco... Sento che la mia testa... capisci? Sento che... sento che... (Balbetta qualche pa­rola inafferrabile e poi, di scatto, urla) Ma no! Ma no! Ma no! (Si abbatte).

Augusto                        - (tentando) Elena... Ti supplico... Non fare così...

Elena                             - (si alza, corre verso la porta di destra con uno scatto che non par neanche più umano) Me l'hanno rubato! (Grida) Chi? Chi? (Rivolgendosi verso suo padre) Tu! Tu me l'hai rubato!... Tu! Ma come è possibile? Come?

Augusto                        - Elena! Ti prego... Ti scongiuro... Abbi coraggio... Abbi forza... Guarda me... Pensa che se egli era la tua creatura, tu sei la mia, ed egli era, così, due volte figlio della mia carne... Pensa come io vivevo di lui... Al pari di te... Più di te...

Elena                             - (non ha sentite le sue parole; seguiva un altro pensiero) Tu?... Tu?... Ma come? Tutto il mondo oggi si è inchinato al tuo intel­letto, al tuo valore, alla potenza del tuo sapere di scienziato... Tu hai salvato degli estranei, tu hai strappato dalla morte della gente che aveva il corpo guasto, logoro, hai ridato la vita a cen­to, a mille esseri, hai sventato gli agguati più terribili della morte, hai infrante le sue armi insidiose e crudeli, e non sei riuscito a salvar lui? Lui che non era malato?... Che era un fiore? (Si ferma, allucinata. Urla di nuovo) No! Egli non è morto! Egli non può esser morto! Un'ora, due ore fa, era qui con noi che giocava, vispo, allegro, forte, sano... Quale differenza c'è in lui ora? Non so... Non so... È tutto fresco, ancora, tutto candido, tutto bello come prima... Eppure non vive. Non vive... (Ripete adagio, continuamente) Non vive... Non vive... (Pausa. Gridato) Non vive, capisci?... Cos'è, dunque, questa morte? Cos'è questa morte che ha vinto senza combattere? Spiegamelo, almeno... Spie­gamelo!... Voglio saperlo... Se egli è come pri­ma perché non posso dargli il mio respiro e farlo vivere? (Come vaneggiando) Tu non hai saputo fare questo? E allora? Che ti serve la scienza? Perché ti lodano? Perché ti esaltano?

Augusto                        - Figlia mia... Non dire così... Tu comprendi... La natura ha leggi inesorabili... Anche la scienza ha i suoi confini... Le sue umi­liazioni... La vita non è una facoltà nostra...

Elena                             - E di chi, allora? Chi è questo pa­drone crudele? Inumano? Che ruba così? (Ur­lando di nuovo) No! No! Ci deve essere qual­cosa che tu non sai spiegare... Che tu non mi

puoi spiegare

Alberto                          - (entro in questo momento, accompa­gnato da De Mari, e s'appressa a Elena).

Elena                             - (lo vede, lo guarda con occhi strani e gli rivolge aspra la parola impetuosa) E tu? Tu? Anche tu? Anche tu non hai saputo?... Te lo sei lasciato rubare così... Tuo figlio! La mia creatura!... Ma com'è possibile? Io voglio sa­pere!... Voglio sapere!... Devo sapere!... Sono sua madre!... Era mio!... Mio, capisci? Voglio che mi si spieghi perché senza malattia, senza che la sua carne fosse in nessuna parte corrot­ta, quella sua carne, che è poi la mia stessa, non palpita più... Perché? Ma cos'è questa morte? E cos'è questa vita? (Investendo Al­berto che la guarda impietrito) Tu! Tu!

Alberto                          - Elena... Abbi coraggio, abbi for­za... Guarda me...

Elena                             - (come presa da un terribile sospettò) No! Non credo! Non credo a quello che mi avete detto! No! Chi l'ha ferito qui, alla gola? È caduto? S'è fatto male? S'è ferito? Chi me l'ha ucciso? Lo dica lei, De Mari!... Lei lo sa!... Non me lo nasconda!

De Mari                         - Ma come è possibile, signora!...

Elena                             - Sì! Gli hanno fatto del male!... Qualcuno s'è vendicato di te! S'è introdotto stasera... Era tutto aperto qui... Una vendetta su te...

Augusto                        - (tremando di pietà) Su me?...

Elena                             - (convinta, esasperata) Sì! Sì! La tua fama... La tua potenza... La tua ricchezza... Hai dei nemici... C'è della gente che ti odia... E s'è vendicata! Chi? Chi? (In questo momento appare sulla soglia della comune il dottor Clau­dio; è timoroso, trepido e non osa parlare. Ele­na lo scorge, in uno scatto folle lo addita e urla) Lui! Lui! È stato lui! Ah! (Con un grido fa per avventarsi rabbiosamente su Claudio).

Alberto                          - (trattenendola violentemente) Ma cosa dici?!... Elena!...

Elena                             - (urlando) Lui! Lui! (Vien meno e si accascia)

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo. Sono passati circa due mesi. Claudio e Alberto stanno discorrendo.

Claudio                         - Non valeva proprio la pena, dot­tore, che lei si preoccupasse di ciò...

Alberto                          - Non ero preoccupato, ero ramma­ricato. E desideravo dirle questo mio rammari­co... È stata una scena così imprevista e così dolorosa che non la dimenticherò mai... Le dirò anzi che avrei voluto l'indomani stesso cercare di lei... Ma dopo le tristi necessità che seguono a tali disgrazie, io non ho avuto altra cura che mia moglie... Portarla via di qui... Ci sono riu­scito, fortunatamente... Siamo stati via quasi due mesi. Quando siamo tornati ho cercato di lei e mi hanno detto ch'era assente.

Claudio                         - Già, sono stato a Berlino. Sono tornato ieri... Ho saputo che lei mi ha cerca­to, e...

Albebto                         - Ha fatto bene a venire, anzi la ringrazio... Era un mio vivo desiderio presen­tarle le mie scuse...

Claudio                         - Ma per carità!... Cosa vuole? No­nostante la profonda avversione che suo suocero ha per me, io avrei creduto di mancare quel giorno ad un dovere, ad un bisogno direi, a non accorrere qui appena saputo della sciagura... Davanti al dolore bisogna dimenticare tutto... Se Dio vuole, esso è l'unica cosa che rende gli uomini eguali, che li mette ad uno stesso li­vello... (Pausa). Le dirò anche che c'era una ragione che giustificava il mio affanno: la no­tizia s'era deformata per la strada... Non so come... All'ospedale si parlava di ladri, che avevano scalata la villa e assassinati per furto la servitù e il bambino... Qualcosa di « giallo», come si dice oggi... L'idea che anche lei, col­lega, fosse... Presi una macchina e corsi qui... Alberto     - Non c'era tutto questo... Ma ce n'era abbastanza... Comunque lei ha capito be­nissimo che l'accusa di mia moglie...

Claudio                         - È stata una cosa naturalissima... In quelle condizioni, la poveretta, allucinata e ossessionata, cercava l'assassino...

Alberto                          - Il mandante o il mandatario di una vendetta.

Claudio                         - Ed era naturalissimo che lo ve­desse nel nemico di suo padre... O meglio, in colui che i maligni definiscono suo nemico... E invece non lo sono affatto... Ammiro il mae­stro... Dissento dal suo carattere, non dal suo sapere... Combatto le sue teorie o, meglio, ta­lune sue teorie, ma rispetto lo studioso... Oh, ce ne fossero di uomini come lui! Il nostro cor­po, se non la nostra anima, potrebbe vivere tranquillo...

Alberto                          - È vero...

Claudio                         - Collega, me ne vado... (Fa per avviarsi). E la signora, adesso?

Alberto                          - Che vuole? Sono preoccupatissi­mo... Da che siamo tornati, dieci giorni fa, non sono ancora capace di allontanarmi da lei. Giorno e notte... La seguo ovunque... La con­forto in tutti i modi... Avrei bisogno anch'io d'esser aiutato a rialzarmi da questa mazzata, d'esser aiutato a camminare, perché camminare bisogna nella vita, e invece devo dimenticarmi per lei...

Claudio                         - Ah, se Iddio le desse un po' di forza... Ma non è questo che si cerca qui... È vero... (Dopo una breve pausa) Be'... coraggio, dottore, e arrivederla...

Alberto                          - (accompagnandolo) Arrivederci, sì!... Spero che lei vorrà venire ancora da noi...

Claudio                         - La ringrazio moltissimo, ma temo che suo suocero non mi veda volentieri. Ed egli è il padrone di casa...

Alberto                          - Esser padrone dei muri non vuol sempre dire comandare in tutto. Se io glielo dico...

Claudio                         - Io non posso esser che onorato... E anche felice... Grazie.

(/ due s'avviano. Sulla comune si incontrano con Augusto, che entra. Egli guarda sorpreso Claudio che lo inchina senza parlare. Il vec­chio non lo degna che d'una occhiata sprez­zante. Alberto accompagna fuori Claudio, poi rientra quasi subito).

Alberto                          - È un destino che quell'uomo sia continuamente svillaneggiato in questa casa! Due mesi fa quel po' po' di scena, da parte di Elena... Ora tu...

Augusto                        - Con questa differenza... Che se Elena non aveva ragione di trattarlo come ha fatto, io ne ho mille di ragioni.

Alberto                          - Ebbene: non mi garba affatto!

Augusto                        - Me ne duole... Ma non vorrai che io mi inchini a quel falso prete, a quel fan­toccio con la chierica!

Alberto                          - Queste sono frasi, e soprattutto concetti, di altri tempi! Che ti disonorano!

Augusto                        - Cosa? T'ha convertito? (Ride).

Alberto                          - Ah! Ho ben altro io da pensare che a convertirmi!... Non si tratta di teologia... Si tratta di educazione... Il dottor Arteni sarà un clericale, sarà un chierico, ma è una per­sona...

Augusto                        - (interrompendolo) È un uomo che ha capeggiato e che capeggia da dieci anni una lotta vile, bassa, beffarda contro di me, padre di tua moglie, tuo maestro di scienza... Alberto      - (un po' ironico) Lo so... Mi per­metterai di saperlo...

Augusto                        - E allora?

Alberto                          - Allora mi sembra che tu ami troppo poco la scienza per occuparti così tanto degli uomini... (A un moto di lui che gli si rivolta) Non arrabbiarti, ti prego... E non co­minciare a discutere... Fa male a te e a me... C'è di meglio da pensare, purtroppo!... Io ti chiedo solo che quando il dottor Arteni vie­ne qui...

Augusto                        - Perché? Lo rivuoi in casa?...

Alberto                          - Se verrà, se vorrà venire, io lo accetterò volentieri... E ti domando...

Augusto                        - (interrompendolo) È inutile che tu mi domandi cosa vuoi da me... Te lo dico io... Tu vuoi che quando viene lui, me ne vada io... Semplicissimo...

Alberto                          - Non è semplicissimo, ma è però conciliante...

Augusto                        - (violento) Ebbene, se questo suc­cede me ne andrò, ma per sempre!...

Alberto                          - Babbo!... Ricordati che davanti alla nostra sventura egli è stato l'unico che ha saputo dimenticare...

Augusto                        - Ha fatto male. Dimenticare è la virtù degli stupidi... E se ha dimenticato lui non ho dimenticato io... Bisogna sempre essere in due a dimenticare...

Alberto                          - Verrà la morte a cancellarci tutto da questa lavagna! (Si batte la fronte).

Francesco                      - (entra e va presso Augusto) Professore... Il Rettore dell'Università fa dire se potrebbe parlarle al telefono...

Augusto                        - Vengo subito... (Rivolgendosi, ancora irato, ad Alberto) No... Nemmeno la morte a me non cancella qui...

Alberto                          - E va bene... Ma tanto e tanto, allo scuro, nessuno legge...

Augusto                        - Però, lui che dimentica tutto, non ha saputo dimenticare una cosa: tua mo­glie!...

Alberto                          - Papà!... E sei tu che mi metti di queste belle idee?

Augusto                        - Non sono idee... Sono fatti...

Alberto                          - Oh! Pensare a certe cose per Ele­na, dopo quanto ci è accaduto, non è soltanto un'ingiustizia, è una crudeltà!... C'è persino del cattivo gusto...

Augusto                        - Non penso di lei, io! Conosco troppo bene le virtù di mia figlia!... Penso di lui...

Alberto                          - È una vecchia fiaba anche que­sta... Va', papà, va' che ti chiama il Rettore...

                                      - (Augusto esce. Alberto resta un po' pensoso. Un momento di pausa. Poi appare dalla comune Dani).

Dani                              - Disturbo, dottore?

Alberto                          - Ma no, caro Dani... Si accomodi...

Dani                              - Sono venuto a darle la risposta per la villa. Mio fratello e mia cognata quest'anno non v'andranno. Vanno all'estero. Bayreuth, mi pare... O Salisburgo... Non ricordo bene... Comunque la casa resta vuota, vuotissima. Si può passarvi un settembre magnifico... La villa più solitaria del mondo... C'è solo una difficoltà: che mio fratello non vuol sentir parlare di quali trini. Egli - ben a ragione - considera un onore offrir loro la villa.

Alberto                          - Grazie, Dani... Grazie, davvero.,.1 Ma credo che non ne facciamo più nulla.

Dani                              - Ha cambiato idea?

Alberto                          - Sa, era stata, a dire il vero, una idea mia...

Dani                              - Già. Le idee, quando vengono ai ma­riti, sono sempre da scartare...

Alberto                          - Non è quello... È che Elena, ora, non vuol più muoversi...

Dani                              - È impossibile! Lei deve imporsi, dot­tore! Bisogna levarla di qui... Bisogna distrarla!

Alberto                          - Lo dice a me! Bisogna! Bisogna! Forse che io non lo so? Ma lei si è chiusa ades­so, da che siamo tornati, in una ostinatezza scontrosa. Non vuol più ragionare... Non so... Sono anch'io così impressionato di quella poveretta... Sono riuscito ad accompagnarla a Ro­ma, a Napoli, poi a Nizza, Cannes... Non so se lo sa...

Dani                              - Diamine! Non c'ero anch'io?

Alberto                          - (col gesto di chi si rimproveri una smemoratezza) Ah, che sciocco! Ma già!.,. Si ricorda quella sera che s'andò a Capri?...

Dani                              - Eravamo fin riusciti a farla sorride­re... E sono stato io!

Alberto                          - Moltiplicando quasi quel grande amore che io ho per lei, mi pareva d'essere riu­scito, anche con le carezze più affettuose, a ri­darle il respiro... Invece, tornati qui, le venne come una reazione... Le sembrò d'aver com­messo un delitto ad abbandonare la casa, la stanza del piccino, il suo letto, i suoi giocat­toli... S'è inchiodata là per ventiquattr'ore, sen­za parlare, senza piangere... Quando le ho par­lato di passare l'autunno nella villa di suo fra­tello, ha opposto il rifiuto più reciso... Mi ha persino rinfacciato le distrazioni del viaggio e le tenerezze coniugali.

Dani                              - Oh, che fatalità! Io che speravo...

Alberto                          - E io non so più che fare, che pensare... Sono ben più di due mesi che tra­scuro tutto : clientela, studi, scuola, per vivere vicino a lei, per confortarla, per farle non dirò dimenticare, che questo sarebbe un dono in­commensurabile, ma per alleviarle il ricordo, per allentarle questo nodo... Tutto inutile... Io divento un forzato che si trascina ai piedi una catena che la pietà mi ha messo e l'amore ha ribadita. È proprio vero: nella vita i gravami maggiori ci vengono dal sentimento... Ma è mia moglie... Le voglio bene...

Dani                              - Eppure dovrebbe pensare un po' an­che a lei, che sanguina dalla stessa ferita.

Alberto                          - Ah! Guai a farglielo compren­dere!... Il mio dolore non può essere il suo, dice... E lasciamoglielo credere... Ma del resto non parliamone... È così... Sono disgrazie, que­ste, che non finiscono più... Siamo come al pri­mo giorno... Alla prima sera...

Dani                              - Ma non è possibile, però, continuare così... Intervenga come medico, se non può come marito.

Alberto                          - (con un mesto sorriso) Ah, caro amico! Pretendere che un medico creda ai me­dici mi pare un po' troppo!...

Dani                              - E allora?

Alberto                          - Allora lasciamo che il tempo, questo inesausto contagocce delle umane lagri­me, faccia lui...

Francesco                      - (entrando) Signor dottore: c'è di là una signora che vuol parlare con la si­gnora.

Alberto                          - Vuol parlare con la signora e lo dici a me?

Francesco                      - Non so... Non la trovo... Non ho mai vista questa signora... Dice che è una sua compagna di collegio...

Alberto                          - La signora è in giardino... Non la vedi?

Francesco                      - Ah...

Alberto                          - Va'... Annunciagliela... (Con una certa asprezza) Bisogna che non abbiate tanta soggezione di lei... che siate risoluti... La si cerca…. Le si parla... Si dice quello che si ha da dirle..

Francesco                      - Signor padrone...

Alberto                          - Non bisogna cominciare a trattar la gente da matti se si vuole che non lo diven­tino... Animo... Va'... Dille che c'è questa si­gnora... Dille che deve riceverla...

Francesco                      - (s'inchina ed esce).

Alberto                          - Non so chi sia, ma è meglio... Io invoco sempre persone nuove, facce nuove... Tutto può servire a distrarla...

Dani                              - Facce nuove... È giusto... La mia è troppo vecchia... Me ne vado... Ho capito... È un modo per dirmi d'andarmene...

Alberto                          - (abbracciandolo) Caro Dani!... Lei vuol scherzare... Oh! Potessimo scherzare come una volta!...

Dani                              - Eh, torneremo a scherzare!... E poi bisogna reagire contro quell'ostinato compagno di viaggio che è il dolore. (Pausa). Bisognereb­be inventare una specie di cura... Una specie di disinfezione pubblica. Il buon umore... ob­bligatorio!... Una profilassi di Stato... Si ricor­da di quel tal deputato francese che avrebbe voluto proporre una legge che obbligava di scegliere almeno il dieci per cento dei funzio­nari fra gente di buon umore?... Si immagina lei quale sollievo per l'umanità se si comin­ciasse ad avere il dieci per cento degli agenti delle imposte, degli uscieri, degli ufficiali giudiziari, dei magistrati, dei necrofori anche, scel­ti fra gente di spirito? Si immagina un atto di sequestro, un pignoramento, una sentenza stil­lati con arguzie spiritose? Nulla di male... Ma un po' di fresco... Sempre febbre, sempre feb­bre!... Eh, via!...

Alberto                          - (incamminandosi con lui verso de­stra) Caro, vecchio matto!... Venga di qui, a proposito, che voglio farle vedere una cosa assai curiosa... Si ricorda di Parvis? Il profes­sore di matematica che veniva da noi?...

Dani                              - Ah! Il matto? Sì! Sì!... Diamine! Il matto matematico... Già... A furia di precisare nella vita sì diventa sempre matti... La mate­matica è appunto una fissazione... Ebbene?

Alberto                          - Ebbene stia a sentire... (Le altre parole si perdono perché essi escono).

Elena                             - (entra dalla comune accompagnando Maria, che è una signora presso a poco della sua età, ma di aspetto più borghese. Ha una certa timidezza dell' ambiente e mostra di averne un po' anche di Elena) Accomodati, cara...

Maria                             - Grazie... Ma non voglio disturbarti troppo...

Elena                             - Via!... Sei appena venuta... Tanti anni che non ci vedevamo poi!... E sempre di sfuggita... (Posa su di una poltrona un logoro fantoccio che teneva in mano entrando).

Maria                             - Forse saremmo state ancora chissà quanto tempo senza vederci, se io non avessi saputo della tua disgrazia... Sai... ti sapevo ric­ca e felice...

Elena                             - Mia buona amica!... La ricchezza non vai nulla quando non c'è più la felicità... E la felicità è come la salute... Ci accorgiamo quanto valeva allorché la perdiamo...

Maria                             - Ebbene, cara, non parliamo di que­sto... Non sono venuta per rattristarti...

Elena                             - Rattristarmi? Se lo sono sempre... La mia vita è un meccanismo che va avanti senza scopo. L'unica curiosità che mi tiene in vita è quella di domandarmi perché vivo...

Maria                             - Bisogna rendersi una ragione...

Elena                             - Ecco l'impossibile, l'assurdo!...

Maria                             - Eppure bisogna che tu ti sforzi... Hai un marito... Anche per lui bisogna che tu cerchi di essere forte... Sai... Gli uomini non vogliono veder lagrime in casa... Io ti parlo da povera donna che sono... Ma è la verità... An­che gli ignoranti tante volte possono...

Elena                             - (interrompendola con dolcezza) Ma perché ti butti giù così? Sempre il tuo carat­tere! A scuola, mi ricordo, eri la stessa... Se sei ignorante tu, lo sono anch'io... Ci slam pure trovate all'Università, no?

Maria                             - Ma tu ti sei laureata... Io no...

Elena                             - Hai ragione... Per quello che si impara all'Università...

Maria                             - Comunque...

Elena                             - Comunque, mia cara... (Si alza, inquieta, come presa da una specie di crisi in­teriore, cammina). Sono dolori che non cessa­no... Ma cessano... Si prova una cosa dentro qui... Non posso spiegarmi... Tu non puoi com­prendere...

Maria                             - Io? Cara!... Proprio a me lo dici!...

Elena                             - (arrestandosi di colpo e risovvenendo­si) Ah! Ma è vero... (Le corre vicino, premu­rosa) È vero!... Scusa, sai... Non me ne ricor­davo più!... Anche tu, già!... Anche tu!

Maria                             - (con un profondo respiro) E pro­prio all'istessa età del tuo, mi pare... Cinque anni... E quasi come il tuo e forse in un modo ancor più straziante... (Correggendosi) Scusa... Non ci sono differenze di questo genere per le madri... Ma, insomma, fu una tragedia an­che la mia, fulminea... Un fulmine che mi ha accecata...

Elena                             - (come chi cerca e vuol far dire per evitare di mostrare di non ricordare) Già... Ricordo... Fu...

Maria                             - Un'automobile... Eravamo in cam­pagna, alla villa della mamma... Uscì di corsa dal cancello... In due me lo tagliarono, si può dire... (Si copre il volto con le mani. Una lunga pausa).

Elena                             - (le va vicino, amorosa, staccandole le mani dal volto con grande dolcezza) È vero... (L'accarezza trepida). Ma, dimmi, cara... Dim­mi... Come hai fatto tu a vivere? A sopravvi­vere? Perché lo sai che io sento che non posso resistere? Che ogni giorno è sempre peggio? Che mi pare di essere sospinta verso un gran buio, e che non vedo l'ora di arrivarvi? E non so se quel buio si chiami morte o pazzia? Ma sento che ci corro! Come hai fatto a vivere ancora, a respirare ancora, a camminare, a par­lare? Sono passati degli anni, ormai.

Maria                             - Oh! Il tempo per noi madri non conta più... Sì, sono cinque... Ma anche quando ne saranno passati dieci, venti...

Elena                             - Dico bene... E come hai fatto?...

Maria                             - (con semplicità mesta e sorridendo) Cara... Penso che lo rivedrò...

Elena                             - (barcollando) Cosa dici?... Lo ri­vedrai?

Maria                             - Certo.

Elena                             - Ma dove?

Maria                             - Dove?... In Cielo!... I figli non muoiono: vanno avanti...

Elena                             - (con un sorriso deturpa il suo volto: è il sorriso dello scetticismo; ella guarda l'amica) Ma via...

Maria                             - Come via? È una cosa così dolce, così bella, così viva...

Elena                             - Oh, sì!... Fosse vera!... Ma è una fola, poveretta anche te...

Maria                             - (un po' turbata) Mi dimenticavo che tu sei la figlia del professore Augusto Selva... Scusa...

Elena                             - No, cara... Scusa te... (Il suo pen­siero è sconvolto; ella guarda Maria, quasi h scruta, la fruga). Ma non sarà questa tua cre­denza che t'avrà permesso di vivere?

Maria                             - Come no? Cosa vuoi che m'abbia i aiutato? Chi? Gli uomini? Ogni uomo ha il suo dolore: fa finta di occuparsi di quello degli al­tri... Ma è una forma d'ipocrisia educata,., Quando uno dei nostri cari se ne va, il mondo non dà nulla a quelli che restano...

Elena                             - Forse è una comodità per non pian­gere tutta la vita. Ma a volergli bene come glie­ne volevo io...

Maria                             - Cosa dici, Elena? E io non gli vo-j levo bene? Non avevo che lui! E per disgrazia non ne ho avuto più... Né potrò più averne.,, Dio l'ha voluto... Io soffro come il primo gior­no, ma penso che finirà...

Èlena                             - (sempre un po' come sbalordita) -Finirà?

Maria                             - Già... Il giorno che morirò anch'io... Anzi quel giorno ricomincerà...

Elena                             - Maria Ma tu non studiavi filo­sofia?

Maria                             - Sì... Tre anni... Ebbene?

Elena                             - E sei rimasta una donnicciuola?

Maria                             - (offesa, ma senza rancore) Una donnicciuola? Perché mi giudichi così? Se non ti volessi tanto bene direi che lo sei tu a giudi­carmi tale...

Elena                             - No... Scusa... Ma mi sembra una cosa così inverosimile che tu... Il tuo sempli­cismo è da compiangere...

Maria                             - Ma io credo che sei da compiangere più tu... Almeno, a giudicarti da quello che soffri...

Elena                             - Andiamo, Maria... Non voglio offenderli, ti ripeto, ma è ridicolo annullare un dolore reale, crudo, sanguinante come il mio, il tuo anche, il nostro insomma, con una pue­rilità simile!

Maria                             - Mia cara... Noi potremmo star qui uh anno a discutere e non ci comprenderemmo mai... Io vorrei che tu provassi quello che provo io quando penso che egli c'è ancora... E guai a chi mi togliesse tanta certezza: oh, sarebbe bene come uccidermi!... Non è, sai, ch'io abbia delle concezioni topografiche del Paradiso... No... È qualcosa di più alto e per fortuna di più certo... Oh, mia povera Elena! Davvero non so come tu abbia fatto a vivere, e come fai... Io sarei morta...

Elena                             - (le va vicino, sempre più turbata) La certezza hai detto?... E cosa ti dà questa certezza? Chi?

Maria                             - Ma niente... Nessuno…Guai se qualcuno parlasse! Guai se la morte, se l'ai di là, non fossero più un mistero... Per carità!... No... Non è una cosa che si impara, che si in­segna... È un dono... Sì... Lo insegnano... Poi alcuni hanno la sfortuna di dimenticarlo.. Al­tri no. Non si tratta di sapere chi ha ragione... Si tratta di essere felici o no...

Elena                             - E tu senti tanta sicurezza?

Maria                             - Sì...

Elena                             - Di rivederlo? Rivederlo in carne ed ossa?

Maiìia                            - Ma via!... Cosa c'entra la carne e le ossa... Rivederlo... Ecco! Rivederlo!... A una madre non importa la forma, non importa la vista... Una madre è qualcosa di diverso da tutte le altre donne... La madre è l'umanità che continua... Ella deve spingersi come un istinto oltre la vita... Ecco perché non è con­cepibile una madre senza una comunione spi­rituale con Dio... O con una eternità fuori e oltre di noi... Bisogna per forza che ella cre­da... Come potrebbe vivere amputata?...

Elena                             - (o cui queste parole danno un bri­vido) E dunque una cosa così dolce?

Maria                             - Mia cara... È una gran cosa... L'u­nica cosa che possa farci sopportare la vita è il pensiero che essa passi... Se non fosse così sarebbe come un'anticamera inutile... Non sa­prei nemmeno bene spiegarti... Sarebbe come tu mi chiedessi di spiegarti la differenza che c'è fra la luce e il buio... Non si può... Qui è chiaro e là è scuro... Ecco tutto... Io vivo in questa tranquillità... È un distacco... Duro anch'esso... Ma non è la fine... Ti dico: è andato avanti... Mi ha preceduto.

Elena                             - (con una voce diversa) Maria... Maria... Ma... Non ti chiedi mai che potrebbe non essere vero?...

Maria                             - Ma, mia cara, la verità è una fede... Non è una cosa...

Elena                             - (con. voce supplichevole) Maria! Se fosse anche per me... (Trepida) Ma io... (Cam­biando sempre tono) Vieni a trovarmi ancora...

Maria                             - Sì, cara... Verrò... Purché non par­liamo più del tuo dolore... Ne di queste cose...

Elena                             - Perché no, di queste cose?

Maria                             - Perché io sono venuta per confor­tarti ma anche per distrarti... L'amicizia serve nel dolore... Di amici, la felicità ne trova fin che vuole... Se vuoi che venga non parliamone più... Io verrò a prenderti con la mia pariglia... Sai che mio marito mi ha regalato una pari­glia? Che vuoi? Si passa per matti... Ma in auto non ci si va più noi... Proverai che emo­zione... Su... Su...

Elena                             - (è rimasta con gli occhi fissi nel vuoto).

Maria                             - Lasciami andare, cara... Faccio tar­di... (Si alza).

Elena                             - Fermati a pranzo...

Maria                             - Come faccio?... Ho mio marito che m'aspetta... Anzi... a proposito: ho gente a pranzo... Tornerò, le lo prometto...

Augusto                        - (entra parlando a qualcuno nell'in­terno) Portamelo pure qui...

Maria                             - Oh... Tuo padre!... Mi fa sogge­zione...

Elena                             - Ma via... (Ad Augusto) Babbo... la signora Salvi...

Maria                             - I miei rispetti, professore...

Augusto                        - (che stenta a riconoscere Maria) Ah! Buonasera, signora... Oh! Ma quanti anni! Dicono che non va bene lasciar passare tanti anni coi vecchi... Si arrischia di non trovarli più... Invece non si trovano più i piccini. Sarà venuta per quello...

Maria                             - Può credere... Sarei volata assai pri­ma, ma eravamo a Roma, da mio suocero, e non l'abbiamo saputo che tornando...

Augusto                        - Come sta suo suocero? Gli vanno sempre bene le sue polveri per il cuore?

Maria                             - Guadagna molto...

Augusto                        - E allora vanno bene... Al mon­do, se si voglion far quattrini, bisogna saper vendere delle illusioni... L'uomo non cerca che quelle... Chiudergli gli occhi... Ecco il segre­to... Se glieli apri è un disastro... Ti tratta male...

Maria                             - Professore... Lei sa quale stima io abbia di lei... Quanto m'inchini al suo sapere... Ma non sono in grado di discutere con lei...

Augusto                        - Lo so... Lei è una donna sem­plice...

Maria                             - Non abbastanza per non compren­dere che questa definizione è un cortese eufe­mismo...

Augusto                        - Per carità!... Ho voluto farle un elogio...

Maria                             - In ogni caso mi vuol confondere...

Augusto                        - (a Elena, che è rimasta sempre estranea e assorta) E tu Elena?

Elena                             - Lo sai, papà... Lo sai che anche lei ha perduto un bambino dell'età di Giorgino? Quasi come noi... D'improvviso...

Maria                             - Purtroppo!... Per questo posso com­prendere...

Elena                             - (a Maria, decisa) No... Tu non puoi comprendere...

Augusto                        - Perché le dici questo? Nessuno invece meglio di lei che fu madre, può com­prendere una madre...

Elena                             - (dura) No... Perché ella lo rivedrà, comprendi?

Augusto                        - Cosa dici? Ah!... (Con un'om­bra di derisione nell'accento) Ah! Già... È una cosa molto comoda.

Elena                             - (sempre dura, ma con la voce treman­te) Io no... Io non lo rivedrò più!...

Augusto                        - Non v'è ragione, se lo rivede lei, che non lo possa rivedere anche tu...

Maria                             - (un po' sofferente) Professore... Mi scusi... Io devo andarmene... (Verso Elena) Mia cara Elena... Torno domani...

Augusto ...................... - Domani non ci saremo... (A Ele­na) Partirai con me...

Elena                             - Dove? Io non posso muovermi... Non voglio...

Augusto                        - Tu farai quello che voglio io... Sono tuo padre... E sono anche un medico... E tu hai bisogno dell'autorità dell'uno e dell’altro.

Maria                             - (che comincia a intimidirsi) Non far inquietare tuo padre, via... Addio... Sii ragio­nevole... (Verso Augusto) I miei ossequi, professore...

Augusto                        - Tante cose, signora...

Elena                             - (accompagna Maria; più che accompa­gnarla ne è trascinata fuori lentamente. Augu­sto resta solo in scena).

Francesco                      - (entra col vassoio del caffè e serve il caffè).

Augusto                        - (a Francesco, con qualche circospe­zione) Adele t'ha detto nulla?

Francesco                      - Teme che la signora peggiori... È ripiombata in una agitazione, in una smania... Non so...

Augusto                        - Ella la sorveglia sempre?

Francesco                      - Sempre. La notte s'alza appo­sta. Origlia alla camera sua... Raccoglie i suoi lamenti... Sono sempre quelli... Oppure sta del­le ore con lo sguardo fisso... Non avrei mai cre­duto che la signora stentasse in questo modo a farsi una ragione... Infine sono colpi atroci, sì... Ma al mondo bisogna prepararsi a tutto... Sa... A una signora come sua figlia mancano anche le parole per confortarla... La sua educazione...

Augusto                        - Non ti ho domandato degli ap­prezzamenti... Vattene... Ella è qui...

Elena                             - (rientra e va a sedersi su di una pol­trona, guardando sempre lontano. La sua espres­sione non è però dell'allucinata, è della persona che interroga qualcosa che non risponde. Ella rimane a lungo in un tale atteggiamento. Au­gusto la osserva, turbato e addolorato. Ad un tratto ella si alza di scatto e va presso a suo pa­dre parlandogli con concitazione repressa) Hai sentito?... Ella lo rivedrà... Ella sa di ri­vederlo!

Augusto                        - Elena! Mi stupisco che tu ti sia soffermata su questo particolare ridicolo, e che tu m'abbia a momenti trascinato in una sciocca discussione di fronte a quella donnetta... Ci sa­rebbe da ridere se tu non mi facessi pietà...

Elena                             - Sì... Ho bisogno di pietà, io, ma non di quella che intendi darmi tu! La Salvi non è una donnetta... È una donna piena di cultura...

Augusto                        - Non sono i titoli di studio, e non è la scuola, che aprono l'intelligenza. E poi... (alzando il tono come a imporsi) l'educazione che io ti ho data mi dà il diritto di esigere da te non solo una interpretazione virile della vita, ma anche il rispetto alle idee e alle convinzioni di tuo padre...

Elena                             - Che cosa vuoi dire?

Augusto                        - Cosa voglio dire? È chiarissimo, Io ti ho data una educazione della quale sono orgoglioso. L'orgoglio è una prova di carattere, è una delle maggiori sofferenze umane, ma è anche una delle nostre maggiori soddisfazioni, Se c'era un momento nella vita in cui io contavo sulla ricchezza che ti avevo dato, sulla forza che ti avevo instillata, era questo. I dolori si affrontano con la realtà, con la stessa realtà in cui essi si presentano a noi. Non con i sogni.,,

Elena                             - Tu hai educata una figlia, ma non hai pensato che un giorno ella poteva diventar madre...

Augusto                        - Sono io adesso che domando a I cosa vuol dire...

Elena                             - Vuol dire questo: che la maternità è una cosa soprannaturale, che nessun uomo può capire, nemmeno se è colto, istruito, sa­piente e orgoglioso come te... È l'unico reale segno di superiorità che abbiamo noi donne sugli uomini... La bellezza non conta. Passa, e I sempre troppo presto... Ora la maternità è legata al mondo dell'ignoto da un filo di poesia, da una idealità, e dalle poesie e dalla idealità ha bisogno d'essere alimentata. Non si può ridurla a una operazione fisiologica come è per gli uomini... Infine non so... Io non mi so spie­gare... Ma sento dentro di me qualcosa di inesprimibile, qualcosa che non può uscire dalla mia mente perché non ne trova la via, e vi si agita dentro e la sconvolge tutta... Io posso pen­sare che tu, che Alberto, che tutto il mondo ve ne andiate, tutto ciò mi sarebbe d'immenso do­loro... Ma lui no!           - (Gridando) Lui no! Lui non poteva andar via, non doveva andar via, in modo ch'io dovessi dire a me stessa: «Più, più, mai più! Lui è un pezzo di me, non si può portarlo via senza almeno ingannarmi...». Capisci? Ca­pisci, ora?

Augusto                        - Tu avresti preteso allora che io t'avessi insegnato delle sciocche fole... Che io ti avessi allevata alla maniera...

Elena                             - (interrompendolo violentemente) Sì! Tu non dovevi privarmi di questa illusione, di questo inganno, se esso dà dei conforti di questa natura... Per strappare un pezzo di vi­scere ai tuoi malati tu dai loro il cloroformio... Anche l'animo ha bisogno dell'anestesia d'una illusione!... Tu dovevi dirmi quello che tua ma­dre ha insegnato a te, che ha insegnato a tuo fratello, allo zio monsignore...

Augusto                        - Ma mia madre era una povera donna... Mio padre lo stesso. Aveva un nome oscuro... E io l'ho fatto brillare vincendo una lotta interiore che mi ha portato alla luce... Costa più negare che credere...

Elena                             - Ebbene, infine, io non so quali lotte tu abbia vinto... Non so quali trofei tu abbia portato... Non voglio sapere se li meriti o no... Ma so che questi trofei non mi servono. Toccava a me, quando avessi avuto l'età della ra­gione, discernere, discutere, lottare sia pure con me stessa, orientarmi dove meglio credevo... Ma tu non dovevi privarmi di questo beneficio... È una fiaba? E sia pure... Ma serve... Ma Maria ha vissuto con questa fiaba, e per questa fiaba... Credi tu che gli uomini non vivano per le fiabe, e che esse non siano il nostro alimento miglio­re? No! Tu non dovevi inaridire fino a questo punto il mio spirito, renderlo incapace di pen­sare al di là di quel miserabile orizzonte limi­tato per re da due atti ufficiali: l'atto di nascita e Fatto di morte, non dovevi dirmi che la nostra vita è solo quella della carne, di questa nostra carne che porta già in sé fin dalla nascita il germe della morte... Tu non dovevi rubarmi un tesoro con il diritto dell'educazione... Si dice tutto!... Tutto! Hai pur avuto cura di insegnar­mi che l'esistenza era un prodotto fisiologico, non ti sei fatto scrupolo che io sapessi, assai prima del tempo e del necessario, il miserevole intreccio della procreazione... Mi sono affac­ciata alla vita, quando ho cominciato a com­prenderla, con una gelida apatia. Hai devastato un giardino per sostituirvi un deserto... Non si può negare che la luce vi splenda, hai ragione... Ma è deserto...

(Entra in questo momento Alberto che si av­vicina premurosamente ad Elena).

Alberto                          - Che c'è, Elena?... Che hai?... (Interroga Augusto con lo sguardo).

Augusto                        - (lo guarda senza rispondergli).

Alberto                          - (avvicinandosi a lei, trepido) Ma infine?... (Ancora guardando Augusto) È una crisi?...

Elena                             - (verso Alberto) No... Non è una crisi... Non sono pazza... Non lo sono più... Sono rinsavita, anzi, d'un colpo...

Alberto                          - Ah!...

Elena ........................... - Anche tu!... (Con sprezzo) Anche tu! Tu eri un credente... Lo so... E hai rinne­gata la tua fede... Adesso mi ricordo che me lo dissero... Non capivo cosa significasse e quale importanza avesse... Ora lo capisco... Hai rin­negato te stesso per darti alle teorie di mio pa­dre, e diventare qualcosa... E, per esser più si­ curo di diventar qualcosa, per accaparrarti l'av­venire, mi hai sposata... Non t'importava di mettere al mondo degli eretici, dei pezzi di car­ne, degli organi, pur di avere la gloria, la ric­chezza, gli onori... Tu non hai pensato che po­tevi avere un figlio e che questo figlio poteva morire. Non hai pensato che un figlio non deve morire del tutto per una madre, e che se si dà a una donna il dono supremo della maternità bisogna proteggerglielo, bisogna aver pronto il rimedio se un tal dono le vien portato via... Tu no! Tu sei ancora più meschino di mio pa­dre... Mio padre fu un ambizioso, tu un cal­colatore...

 

Alberto                          - Ma Elena, cosa dici?!

Augusto                        - Lasciala parlare... S'è convertita improvvisamente... È un altro sintomo della sua malattia... Bisogna compatirla, compiangerla...

Elena                             - (più violenta) Ah! Tu non trovi al­tro rimedio che compatirmi? Che compianger­mi! Ma sei tu che hai bisogno di compatimento e di compianto! Tu! E lui! (Indica Alberto). No... Io non sono una convertita! Magari lo fossi! Non posso più esserlo... Ma comprendo... Comprendo quello che mi manca... Comprendo d'esser stata trafugata, comprendo il male che mi hai fatto... Guarda... Maria crede.,. Crede a una cosa assurda. Sì... Lo ammetto... Non ha la coscienza di tale convinzione. Ma che m'im­porta? È felice... È felice... Io ho più coscienza di lei, ma è appunto perché ho la coscienza, che sono infelice... La fede si ha senza accor­gersi... Il terribile è accorgersi di non averla! Ora io mi voglio vendicare di questo furto, di questo inganno, di questa miseria in cui m'a­vete cresciuta... Voglio andarmene...

Alberto                          - (interrompendola) Andartene?! Elena, sei pazza!

Elena                             - No... Ti dico che non sono pazza. So quel che mi dico! Mi vendicherò in tutti i modi. Non so quali... Correrò pel mondo, im­pazzirò via di qui, pur di dimenticarmi e di­menticarvi... Cercherò ovunque e sotto altre forme il bene che mi avete tolto... Non so, non so ancora cosa farò... Ma voglio andar via, via, via! Non voglio veder più nessuno di voi! Non voglio... Ho bisogno di lui. Ci deve esser qualcuno che ridarà anche a me il mio figliolo! Vo­glio saperlo... Voglio cercarlo!...

Alberto                          - Ma Elena... Tu dici delle assur­dità... Io ti amo... Tu sai cosa ho vissuto di te e per te... Specialmente ora...

Elena                             - E tardi...

Alberto                          - Tardi? Non è mai tardi per pian­gere... E io, vedi, piango ancora il nostro caro...

Elena                             - Invece io non piango più... Non voglio piangerlo più... e bisogna che non ti veda... Che non vi veda più... Ora comprendo una cosa: non è Iddio che me l'ha rubato... Siete stati voialtri... Ladri! Ah, ladri!...

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Una camera chiara, assolata, linda, nobilmen­te modesta. È il tinello della casa campagnola di monsignor Mariano, in un paese alpestre. Mo­bili d'uso, non poveri, non logori. Una tavola al centro. Una libreria, una scrivania, dei qua­dri sacri. Le finestre sono ampie ed entra da esse la gran magnificenza del sole, e sono coro­nate, fuori, dal verde e dai fiori. Si vuol far strada all'opera di Dio.

Quando s'alza la tela, Perfetta, la vecchia ser­va, sta parlando con qualcuno fuori della finestra, che non si vede. V'è su di una sedia un paio di scarpe alte, da alpino.

Perfetta                         - Non so dire nulla davvero. Mi capirà... Va bene esser di casa, ma tutto non si può ascoltare.

La voce di monsignore - (da destra) Per­fetta, me le dai queste scarpe?...

Perfetta                         - Subito che sono pulite, Monsi­gnore... (Continua a discorrere fuori). Cerche­rò, benedetta donna! Ma lo sapete... Buon uo­mo, grande uomo, ma se si ricorda di essere monsignore, fa stare in riga, a momenti, anche il Papa...

La voce di monsignore           - Infine finirò per incollerirmi... Perfetta!...

Perfetta                         - (sbuffando) Sto finendo... An­cora un colpo di spazzola!... (Si volge fuori e continua a parlare) Ditelo a vostro marito... Che si tranquillizzi!... Arrivederci... Se no s'ar­rabbia sul serio...

La voce di monsignore           - E il cane? Per­fetta!

Perfetta                         - È qui fuori... Ecco le scarpe... (Prende le scarpe e le porta dentro a destra).

La voce di monsignore           - Oh! Il Signore ti benedica... S'è visto il dottore?

Perfetta                         - Mi pare che venga ora... (Rien­tra in scena nel momento che appare alla comune il dottor Filippo, che è vestito alla cac­ciatora, col fucile. Si volge allora verso l'inter­no) È qui!

Filippo                           - Monsignore, buongiorno!

La voce di monsignore           - Dottore mio bello! Come va?

Filippo                           - Benissimo!

La voce di monsignore           - Avete dormito bene? Avete sognato Aristotile, Platone o Sant'Agostino?

Filippo                           - Monsignore: ho sognato che sta­mattina avremmo fatta una buona caccia... Ma se voi mi fate aspettare ancora un po'...

 Monsignore                  - (entra: è vestito coi pantaloni neri corti, da sacerdote col collarino, ma kit una giacca di fustagno scuro, alla cacciatora, e I un cappello a larghe tese. È un bell'uomo sullasettantina, forse più, ma robusto, sano, gioviale, aristocratico) Eccomi... Sono prontissimi» Perfetta?... Il nostro caffè...

Perfetta                         - Subito. (Esce a sinistra).

Monsignore                   - Credevo che la nostra discus­sione di iersera sull'animismo puro di Aristo­tile e sul nisus formativus vi avesse turbato i sonni...

Perfetta                         - (rientra e porta un vassoio col caf­fè. I due si servono e sorseggiano).

Filippo                           - Monsignore: ho dormito perfetta­mente, placidamente... Io, è vero, studio con piacere, ma fino ad un certo punto... C'è nel pensiero umano, spesso, troppo orgoglio di ar­rivare... Questi pensatori finiscono per essere come gli scalatori di rocce, che idealizzano lo sforzo, distruggendo la praticità... Sapete cosa pensavo stamane uscendo di casa e vedendo una sì bella mattina? Che infine noi viviamo troppo poco.,. Non discutevamo, iersera, sulla forma­zione della vita, sul noto e sull'ignoto... Tutte belle ricerche... Interessanti... Teorie astratte,,, Che non servono... La realtà è questa, caro Monsignore: che la vita è troppo corta... Iddio ha fatto uno sbaglio di calcolo...

Monsignore                   - Via... Io non posso permet­termi di fare osservazioni al Signore, ma con­vengo che la vita potrebbe esser un po' più lun­ga... È una constatazione che fanno più volen­tieri i vecchi dei giovani, ma ha qualche fon­damento...

Filippo                           - Pensate, Monsignore! Se si dovesse campar cinquecento anni, per esempio!... Se­condo me la vita dell'uomo dovrebbe durare dai cinquecento ai seicento anni... Lo pensate che felicità poter passare per una contrada e dire: «Qui abitava il Petrarca... Qui, mi ri­cordo, ho visto Napoleone che pranzava... Man­giava lo stracotto coi fagioli, che era tutta la sua passione... ». Era volgarissimo nei cibi, lo sapete... Almeno lo dicono... Ecco un altro van­taggio: la storia non sarebbe più una serie di supposizioni... Siccome l'uomo non vive su que­sto globo, ma fugge, vi sdrucciola su, la storia è fatta di consegne verbali, male espresse e peg­gio capite... Infine, se voi osservate, tutto è più vecchio di noi. Questi alberi che circondano la vostra casa, queste strade, questi mobili, c'era­no prima di voi e ci saranno dopo di voi. E che più largo respiro si avrebbe!... Con tanto tempo disponibile non ci sarebbe bisogno di correre, di far tutto così in fretta... Pensate: alzarsi alla mattina quando si compiono cento anni e dire: « Be', ora è tempo che io mi faccia un'amante»!

Monsignore                   - (va a prendere, senza dir nulla, il fucile facendo fare un balzo comico a Filippo) Orsù, vecchio chiacchierone... Andiamo... Sono quasi le otto... (S'incammina). A propo­sito di vita... Lasciatemi pensare se non ho al­cuno dei miei malati che possa aver bisogno di me... Voi non avete di queste preoccupazioni. Gli ammalati han tutto da guadagnare da un medico lontano...

Filippo                           - Ne ho uno grave... Ormai l'ho messo nelle mani di Dio.

Monsignore                   - È il solito sistema dei medici per scaricarsi la responsabilità... Mettono gli ammalati nelle mani di Dio...

Perfetta                         - (entra da sinistra) Monsignore, c'è un signore sconosciuto che vien qui.

Monsignore                   - Nessuno è sconosciuto per la casa d'un ministro di Dio...

Perfetta                         - Voglio dire che non l'ho mai visto e non è certo del paese... Eccolo...

(Appare rispettosamente sulla soglia il dot­tor Claudio).

Claudio                         - Monsignor Mariano Selva?

Monsignore                   - Sono io, signore... Accomoda­tevi... (Depone il fucile). Non è veramente una accoglienza in carattere per un sacerdote, ma...

Claudio                         - Permette?... Io sono il dottor Claudio Arteni, medico...

Monsignore                   - E due... Eccone un altro. (Presenta Filippo).

Filippo                           - (stringe la mano a Claudio)

 Dottor Anzani.             - (Presentazione reciproca).

Monsignore                   - Ebbene, signore, a che cosa debbo il piacere d'una vostra visita? Da dove venite e di dove siete? Vi prego di accomodarvi.

Claudio                         - Monsignore, io certo disturbo... Mi pare che ella stesse per andare a caccia...

Monsignore                   - È una cosa sconcertante per un sacerdote che la sua fama di cacciatore sia andata più in là di quella di ministro di Dio...

Filippo                           - Il collega ha forse delle cose im­portanti da dire... Io posso andarmene...

Claudio                         - Non c'è nessun segreto, veramen­te... Si tratta, Monsignore, di sua nipote...

Monsignore                   - Di mia nipote?...

Claudio                         - La figlia del professor Selva...

Monsignore                   - Di mio fratello... Ah!

Claudio                         - Comprendo... So che le relazioni fra lei e suo fratello... (Esita).

Monsignore                   - Oh! Io non ho mai cessato di essere suo fratello... E di ricordarlo sempre nel­le mie preghiere...

Claudio                         - Oh! So che ella è una grande anima...

Monsignore                   - Lasciamo andare... Questa de­v'essere una fama del genere di quella che mi fa gran cacciatore... Mio fratello non ha avuto che uno disgrazia: la scienza, invece di renderlo grande, l'ha reso piccino... Il sapere è un po' come certe medicine: a sbagliare a prenderle fanno l'effetto opposto... Ma questo non c'entra ora con mia nipote... Ebbene?

 Claudio                        - Sua nipote è qui... Vuol parlar­le... È venuta da lei...

Monsignore                   - Ma, se non mi sbaglio, mia nipote è sposata...

Claudio                         - Sì, Monsignore... Ma...

Monsignore                   - Si sono separati?

Claudio                         - Ecco...

Filippo                           - Monsignore... Io me ne vado... Scusate, caro collega... Ma comprendo che sono di troppo...

Monsignore                   - Come volete, dottore... Non posso esser giudice... Comunque ci rivedremo dopo...

Filippo                           - A più tardi... Buongiorno... (Egli saluta ed esce).

Monsignore                   - Mi sembrate un po' affanna­to... Volete un caffè?... Qualcosa?...

Claudio                         - La ringrazio, Monsignore... Non giudichi il mio stato d'animo... La cosa che devo raccontarle non ha nulla di tragico... Anzi le farà piacere... Sono un po' emozionato, dirò, dal trovarmi in presenza di una persona che venero ed ammiro come uomo, come medico e come credente...

Monsignore                   - Bontà vostra, dottore... Ma non lisciatemi troppo... Mi mettereste in so­spetto... Avete detto che mia nipote è qui... Dove?

Claudio                         - All'albergo. È arrivata iersera... Anzi, siamo arrivati iersera...

Monsignore                   - Ohi... Ohi... Guardate che sono un uomo e conosco tutte le debolezze e le finzioni del mondo...

Claudio                         - Mi meraviglio, Monsignore...

Monsignore                   - Io non mi meraviglio affatto. Soprattutto dei credenti. È così comoda la reli­gione per aver pietà, e la pietà per confortare le belle donne... Su... Su... Non offendetevi... Guardate che io sono un uomo semplice e dico sempre quello che penso... Non sono un me­dico io...

Claudio                         - Monsignore lo sa che la signora Elena ha perduto un figlio, l'unico bimbo che aveva...

Monsignore                   - Lo so... Il Cielo ci ha gua­dagnato...

Claudio                         - Non era nemmeno battezzato... Lei sa che...

Monsignore                   - So... So... Ma Iddio è sempre più buono degli uomini... Mancherebbe altro!... Dite dunque...

Claudio                         - Monsignore sa come è cresciuta la signora Elena... La perdita di quella crea­turina le ha tolto la pace, non solo, ma quasi la ragione... Ella insomma vuol vedervi perché spera in voi di trovare quel conforto che nes­suno sa darle...

Monsignore                   - In me? Se io avessi un tal potere, tutta questa valle sarebbe piena di gente in attesa di bussare alla mia porta... Via... Chi può aver pensato una cosa simile di me? E, so­prattutto, come può averlo pensato mia nipote con quell'educazione che le hanno data e che non mi ha mai visto?

Claudio                         - Mai visto?

Monsignore                   - Presso a poco... Quanti anni ha mia nipote, ora?

Claudio                         - Credo che tocchi la trentina.

Monsignore                   - Di già?... È vero... Mio fra­tello si sposò tardi... Aveva cinquant'anni qua­si... Sua madre morì nel metterla al mondo... Si capisce... Non poteva crescere che così... Ma non monta... Dunque... cosa volevo dire?... Ah! Io la vidi in collegio... Ella lo frequentava come esterna... Aveva quindici anni... Poi me la mo­strarono a una cerimonia di non so qua! gene­re... C'erano dei principi... Ella era lontana anche materialmente... Non ho la minima idea del come possa essere...

Claudio                         - Monsignore conoscerà una per­sona nuova forse, oggi... Ella è in preda a una crisi...

Monsignore                   - Ah, Dio mio! Una donna in crisi! Essa è ben più deplorevole che una crisi finanziaria...

Claudio                         - Una crisi d'animo, Monsignore...

Monsignore                   - Il che è ancora peggio del peggio... Non scandalizzatevi... Io conosco le donne... Credetemi... Esse sono come i paesag­gi che si conoscono meglio a guardarli da lon­tano... Una crisi d'animo? La poveretta vuol farsi monaca?

Claudio                         - Mi sembra che Monsignore sia piuttosto scettico...

Monsignore                   - Io credo in Dio, mio caro. Non negli uomini e tanto meno nelle donne...

Claudio                         - Eppure le assicuro, Monsignore, che la cosa è assai grave... L'ascolti, la prego...

Monsignore                   - Ma certamente... Andate a prenderla... E sarete tra gli ospiti miei più graditi.

Claudio                         - Subito. (Esce dalla comune).

Monsignore                   - (resta solo qualche istante, pen­sieroso).

Perfetta                         - Monsignore, non esce più sta­mane?

Monsignore                   - Credo di no... Aspetto una mia nipote. (Con dolce sopportazione) Mi si vuol turbare questo riposo... Io non sono il vescovo qui... Lo sanno tutti... Vengo ogni anno in questo povero paese a passare qualche giorno di vacanza... Casa mia... Vita mia... Non ho altro modo e altro tempo di studiare un po', di conversare un po' con Dio... Gli uomini sono così chiacchieroni... Nossignori! Si son ricordati di me e mi son venuti a cercare fin qua...

Perfetta                         - Monsignore, ella ha una felice missione nella vita: consolare gli afflitti.

Monsignore                   - Anche tu! Io li consolo ed in compenso essi mi affliggono..

(Appare in questo momento Alberto).

Alberto                          - Permesso?... (Accorrendo verso Monsignore, rispettoso e trepido ad un tempo) Monsignore... Io sono il vostro umilissimo nipote... Il dottor Alberto Conti, il marito Elena.

Monsignore                   - Ma è la giornata delle meraviglie oggi... Mi si annuncia la moglie e compare il marito... Avanti, figlio mio... Tu cerchi tua moglie? Non c'è qui...

Alberto                          - Non c'è?

Monsignore                   - O, almeno, io non l'ho ancora vista... (A Perfetta) Vattene di là...

Alberto                          - Ma è qui... Ella è venuta da lei zio... Bisogna che lei me la salvi...

Monsignore                   - Io?... Ma che ha, infine, la poveretta?

Alberto                          - Dio mio! Ella è pazza!...

Monsignore                   - Pazza? Ed è per questo chi è venuta qui? L'han presa per un manicomio la mia povera casa?

Alberto                          - No, Monsignore... Ora le spiegherò...

Monsignore                   - Tu sai con chi è venuta?

Alberto                          - Sì... Col dottor Arteni, un mio amico...

Monsignore                   - E perché non con te? Perché non sola? Mi pare che...

Alberto                          - Monsignore... Non c'è nulla da sospettare... Posso assicurarglielo...

Monsignore                   - Sai... I mariti, a saperle certe cose, sono sempre gli ultimi... È una tradizione che dura, mi pare, dai tempi dell'antica Grecia,

Alberto                          - No... No... Elena è fuggita da me non perché vi sia un altro uomo... È fuggita da me, da suo padre, dalla sua casa... Ha perduto la ragione... È malata...

Monsignore                   - È malata con tanti medici dottoroni?...

Alberto                          - Via, Monsignore... Mi perdoni.,. Ella è di buon umore... E...

Monsignore                   - ...e tu vorresti rimproverar­mene, vero? Ma io non sono di buon umore.., Io sono del mio umore... Io ho la fortuna di cambiarlo il meno possibile.

Alberto                          - Ma volevo dirle questo: Elena ha avuto la disgrazia di perdere il suo figlio­letto...

Monsignore                   - Ma è una disgrazia che avete avuto in due, mi pare...

Alberto                          - Voglio dire che lei, donna, non ha potuto superare il dolore con quella forza che sarebbe stata necessaria... Ella è madre, e una madre...

Monsignore                   - Una madre non è un padre... Lo so anch'io, senza esser né l'uno né l'altra...

Alberto                          - Ora, un giorno una sua amica, colpita da una sventura analoga alla sua, e ve­nuta a trovarla, le ha detto, parlandole del suo bambino, che lei lo rivedrà in Cielo...

Monsignore                   - Certamente...

Alberto                          - Una simile congettura, che non le sia mai stata prospettata, è apparsa a Elena come una rivelazione... S'è sdegnata con suo padre che non le aveva data questa pia illusione che, secondo lei, avrebbe mitigato il suo do­lore... Se l'è presa con me... Ha invidiato la credulità dell'amica e ha gridato tutto il suo sdegno... Non so... Lei comprende...

Monsignore                   - Povero ragazzo! Comprendo che tu tratti assai male un tema che non co­nosci. Sei povero e non sai parlar di ricchezza... Tu parli infatti di congettura, di illusione, di credulità... Io so, mio caro, come mio fratello ha cresciuto la sua figliola e mi aspettavo che un giorno egli avesse il castigo che meritava... Non da Dio, che non si occupa con tanta mi­nuzia degli uomini... Noi siamo troppo piccoli perché Egli ci possa vedere, e contare, e distin­guere... Ma da sua figlia gli è venuto questo castigo... Io sapevo che al primo grande dolore ella si sarebbe chiesta se la vita non deve avere una ricchezza anche all'infuori di quella mate­riale, che noi accumuliamo per abbandonare poi, proprio come i contrabbandieri, obbligati a lasciare la merce al confine... È venuto, pur­troppo, quel giorno... Ed io ne soffro più di tutti voialtri... Ma io non voglio discutere... Per carità... Chiedo solo cosa si vuole da me... Che vi dia il raccolto anche se altri non hanno seminato?

Alberto                          - Monsignore... Ella è un medico dell'anima come io lo sono del corpo... Le no­stre ricette sono diverse... Non tocca a me sug­gerirgliele. Me la guarisca!...

Monsignore                   - E cos'è questo tornaconto tuo? L'ami? Non vuoi vivere lontano da lei? Cosa ami di lei? Il corpo? Ed è per quello che la rivuoi? O vuoi ridarle un'anima? Una fede? La vorresti a casa tua convertita? La terresti? E al­lora perché non le hai insegnato prima a cre­dere? Perché non le hai dunque vietato quel terribile strazio?

Alberto                          - Ma io non so cosa ella voglia... So di averla curata con tutto l'amore di cui ero capace... L'ho confortata, sorretta; sono stato con lei affettuoso, amorevole... L'ho distratta in tutti i modi, con viaggi, con carezze... La mia preoccupazione è anche quella di compro­mettere magari una nuova maternità, della qua­le ella non ha ancora il minimo sospetto, il più lontano pensiero, ma della quale io ho la quasi certezza giacché sottoponendola venti giorni fa, a sua insaputa, ad una analisi, mediante un procedimento la cui scoperta si deve a suo fra­tello, Monsignore, ho rilevato i sintomi.

Monsignore                   - (con qualche ironia) Vedo che, ad ogni modo, s'è provveduto a confortare il corpo prima dell'anima... Ah! Ma è vero che in casa di mio fratello non esiste l'anima...

Alberto                          - Monsignore... Generare è seguire l'opera di Dio...

Monsignore                   - Via... Com'è comodo far coin­cidere gli omaggi al Signore col proprio pia­cere... Tuttavia non devo essere io a lamentarmi di ciò. Noi crediamo che esista la morte solo perché questo nostro povero involucro se ne va, ma la vita è una catena che non si spezza, perché è opera dì Dio.

Alberto                          - Monsignore... La realtà è questa: che Elena è fuggita di casa, che non vuol più saperne ne di me né di suo padre, che vuole vivere da sola, non so dove né come, che vuole delle assurdità, che precipita una famiglia, che spezza il cuore di un marito e quello di un padre già provati dal dolore... E tutto ciò perché le manca quella persona autorevole che in questo momento di crisi la riconduca al senno... Ora questa persona non può essere che lei, Monsignore.

Monsignore                   - Va bene... Tutto ciò è nell'ordine logico delle cose... Del resto, quando il medico non ha più nulla da fare si chiama il prete...

Alberto                          - Ella non è il prete, Monsignore... È lo zio...

Monsignore                   - Lo zio prete... (Pausa). Eb­bene, mio caro... Io fra l'altro non l'ho ancora vista... So soltanto che è arrivata iersera... È venuta con un tuo collega.

Alberto                          - Lo so... Il dottor Arteni.

Monsignore                   - Ella sa che tu l'hai seguita?

Alberto                          - No... Affatto... È appunto il dot­tor Arteni che mi ha aiutato a rintracciarla, che mi ha avvisato e che, forse, l'ha spronata a ve­nire da lei... L'Arteni è il capo dei medici cat­tolici...

Monsignore                   - Non credere che ciò aumenti comunque la mia fiducia in lui... Anche i catto­lici sanno peccare... Con probità, ma peccano... Comunque sentirò ciò che ella mi dice, sentirò ciò che ella vorrà. E farò del mio meglio... Il dolore altrui non è per me che una occasione per esercitare della pietà...

Alberto                          - Grazie...

Perfetta                         - (entrando) Monsignore, credo che venga sua nipote...

Alberto                          - (un po' emozionato) Monsigno­re... Se lei volesse lasciarmi un momento con lei...

Monsignore                   - Credi che giovi? Accomodati. Noi non possiamo certo farci concorrenza, nevvero? Io sono per l'anima, tu per il corpo... (Ride). Come vuoi... A più tardi... Io sono di là nel mio studiolo... (Esce a destra).

(Appare alla comune Elena. È un po' ansan­te, ma più serena di quanto si supporrebbe. Ella cerca con gli occhi Monsignore. Scorge invece Alberto e lo guarda a lungo senza muoversi).

Perfetta                         - (esce a sinistra, in silenzio).

Alberto                          - Elena...

Elena                             - Non voglio te, caro... Mi rincresce questo tuo affanno nel cercarmi... Tutto ciò è perfettamente inutile... Ci sono delle distanze che la vicinanza non cancella...

Alberto                          - Elena, sei mia moglie...

Elena                             - Lo so... Questo ha spesso così poca importanza nella vita!... Se è tutto qui l'argo­mento del tuo diritto...

Alberto                          - Non t'occupare dei miei diritti. Occupati prima dei tuoi doveri... Mi permette­rai di impedirti di correre il mondo in questa pazza maniera... Se Arteni non fosse stato quel gentiluomo che è e che io so essere, tu avresti girato il mondo con un amante.

Elena                             - Sì... Puoi proprio ringraziarlo...

Alberto                          - Ma, infine, che bisogni hai? Non c'era nella tua casa un affetto, una premura, un amore, una sopportazione anche...

Elena                             - (calma) Sì... È vero... È giusto... Tutto giusto quello che tu dici... Ma io non voglio più discutere con te... E tanto meno sono venuta qui per trovare te... Cerco un'altra per­sona...

Alberto                          - La quale ti consiglierà, ti ordi­nerà anzi, di venire con me...

Elena                             - Va bene... Io ci verrò... Ma questo non sarà una tua vittoria...

Alberto                          - Ma io non cerco le vittorie... Io cerco te per una mia speranza, per il mio avve­nire, per... per...

Elena                             - Posso ben venire con te... Ma non m'interessa più la tua vita, la tua casa, il tuo amore...

Alberto                          - Ma via... Io so che tu sei venuta qui per chiedere allo zio Monsignore la pace, la speranza... Io lo aiuterò a cercarla, a trovar­la, a donartela...

Elena                             - Tu? Ma tu aiuti gli scienziati ma­terialisti, come mio padre, tu aiuti i vescovi... Sei veramente pieno di iniziative...

Alberto                          - Elena... Non è il momento di farti giuoco di me... Infine io non sono ne uno sciocco né un ignorante..; Questa ribellione con­tro di me è priva di senso comune, di logica, di cuore, di giustizia...

Elena                             - Ebbene io ti prego di andartene... Io non mi ribello, io non ti offendo, io non ti chiedo nulla, né nulla ti dico... Io sono venuta da mio zio... Voglio veder lui, sentir lui... Vo­glio denunciare a lui il male che mio padre e te m'avete fatto...

Alberto                          - Ma tu ti fai vittima di una con­giura che non è mai esistita!

Elena                             - Lo so... Lo so, che se dovessi fare un atto di accusa, stendere una denuncia, non saprei come precisare i fatti... Eppure i colpe­voli siete voi... Ebbene, sì... Mi avete voluta cattiva, mi avete voluta perversa, mi avete vo­luta corrotta...

Alberto                          - Elena!

Elena                             - (con un orgasmo sempre crescente) Sì! Sì! Tu credi a quello che ti ha detto il dottor Arteni? Ebbene, egli ti ha ingannato! Chiedigli dove mi ha trovato! Chiedigli dove sono scesa... Chiedigli se non sono stata sua! Quei digli che cosa ho voluto fare, come ho voluto incrudelire su me, su te, su mio padre, per vendicarmi! Ah! Che gioia, avervi trascinati nel fango! L'avete voluta la barca senza timone, avete voluto cancellare le stelle dal Cielo, è pur venuta la prima burrasca e siete venuti con me contro gli scogli, siete sprofondati con me negli abissi. Ah! Che gioia! Che gioia non aver più nulla da salvare quando nulla ci hanno dato da salvare!... La carne? Forse che la carne si salva? Che vale tenerla privilegiata? Non sarà un giorno nulla questo nostro corpo? Il mio piccino non è già diventato nulla? Tanto che io l'ho cresciuto, tanto che l'ho amato, tanto che ho curato giorno per giorno, ora per ora la sua bellezza, che cosa ha servito? Non esi­ste più! Non è egli una massa di vermi? Non insegni tu che esso è diventato grasso letame? Tu! Tu lo insegni! Tu e mio padre mi avete insegnato questo! E allora che vale? Che bisogno c'è di pudore, di poesia, di amore? Perché vuoi togliere il sole e pretendere che la meridiana segni lo stesso le ore della tua felicità o del tuo piacere? Sì! Sì, è inutile che tu mi guardi così... È vero quello che ti dico... E se non t'avessi trovato qui sarei venuta io a dirtelo.., Bisognava che tu sapessi dove avete lasciato che precipitasse una povera creatura colpita da un dolore, e che non ha trovato conforto al di là di quello retorico e artificiale che possono dare gli uomini...

Alberto                          - Elena!... E tu venivi con questo animo da tuo zio Monsignore?

Elena                             - E che è lo zio Monsignore per te? E che è per mio padre che mi ha insegnato a chiamarlo « frate Cipolla », come il frate del Boccaccio che vendeva per le fiere le penne dell'arcangelo Gabriele, o l'ampolla contenente un po' di suono delle campane di Gerusalemme? Tanto scrupolo ti prende ora? E poi che ti in­teressa di me, ormai? Non sono più nulla di te, e per te. Non voglio esser più nulla.. Quello che cerco tu non puoi darmelo, perché non si può pretendere che il ladro restituisca la refur­tiva facendola passare per un dono...

Alberto                          - Elena! Se fosse vero quello che tu mi dici... (Verso di lei, furente) Bada!... (Fa per prenderla pei polsi) Io potrei scac­ciarti, io potrei trascinarti davanti a dei giudici.

Elena                             - Oh! Che miserabile giudizio sarebbe quello della nostra contesa, redatto dagli uo­mini! Come sei sempre più lontano da me! Io cerco Dio e tu mi porti davanti un giudice di tribunale...

 

Alberto                          - Ma, insomma, questo tuo Dio co­s'è? Cos'è che cerchi? La pace o la ribellione? Il vizio o la virtù? Elena! Ti supplico ancora... Tu mi hai messo la tempesta nel cuore... Se anch'io sono cieco aiutami tu...

Elena                             - Sì... Tu sei più cieco di me... Perché io ho la nostalgia della luce, e tu hai la voluttà del buio!...

(In questo momento appare Monsignore da destra. Si avanza).

Monsignore                   - (interrompendo Alberto) Eb­bene... A me par giunto il momento di ricevere mia nipote... (Ad Alberto) Credo che tu conti­nui a dire delle sciocchezze... È bene che tu sospenda un momento... Va' di là...

Alberto                          - (intimidito, si ritira lentamente, agi­tato e sconvolto).

Elena                             - (appena s'era trovata dinanzi a Monsi­gnore l'ha guardato fissamente, non sapendo se inginocchiarsi. Poi, balbettando un indistinto saluto corre a gettarsi ai piedi di lui, come tra­sognata).

Monsignore                   - (affabile, alzandola e facendola sedere sopra una poltrona) Su... Su... non è questo il modo di venire da uno zio... Dopo tanti anni...

Eiena                             - (con un accento di sincera invocazione) Zio! Insegnatemi a credere! Fate che lo ri­veda anch'io!...

Monsignore                   - Adagio, mia cara... Prima di salire al Cielo camminiamo un momento solo sulla terra... Io, con qualche colpa, lo confesso, sono stato dietro a quella porta ad ascoltare... Infine ero in casa mia... Ma ho peccato lo stes­so... Fa nulla... Qualcuno m'assolverà. Dimmi... È vero quello che hai fatto? Tutto ciò che hai detto a tuo marito? No, vero? Io lo sentivo che non era vero. Non si può cercar Dio a quel modo. Stavo per prorompere, ma poi sentii che non era cosi.

Elena                             - No... Non è vero... Ma ne ho avuto il desiderio, ho provato tutta la volontà e la voluttà di farlo. E come se l'avessi fatto, no? Io vivo come se l'avessi fatto... E sento tutto il rimorso e la gioia di tanta vendetta!...

Monsignore                   - Che parola grossa « vendet­ta»! Per noi uomini che siamo tanto piccoli!... Comunque è meglio che tu non l'abbia fatto... Ed ora parliamo di te... Lasciami guardare... Oh, mia cara... Ho saputo il tuo dolore... E l'ho vissuto... E ho pregato Iddio che ti desse forza di sopportarlo... Egli mi ha esaudito... Tu chiedi aiuto a lui... Egli ti ha già aiutata...

Elena                             - Non è possibile, zio. (Disperata) Io non lo sento questo Dio... E lo desidero... Se egli è cosi buono, perché non mi aiuta?... Voi che lo sentite, ditemi...

Monsignore                   - No, mia cara... Nemmeno io posso comprendere l'incomprensibile... Dio è e deve essere incomprensibile... Solo così viene a noi la sua potenza... Non si può chiamare Dio, non si può volerlo, non si può studiarlo. Credergli è un dono, una commozione. Nulla più di una commozione... È una estasi, è un presentimento, è una gioia... Bisogna meritar­sela... Non si può amarlo per tornaconto, per tranquillità, non si può credergli « ad ogni futura e a quello ancor più grande dell'eternità passata, pensare a tutti gli infiniti che si spa­lancano ai nostri pensieri, agli splendori visibili delle costellazioni, ai pensieri senza nome che vengono dall'ignoto, tutto questo tormento è Dio. Tu sei cresciuta nelle speculazioni astratte, ti hanno spalancato con chiavi false le porte dell'enigma e t'hanno mostrato un buio e t'han­no detto: a Non c'è nulla»... No... Io non pos­so dirti: «C'è la luce»... Ti dico solo: «Da quelle porte non si entra. La fede è una ansietà, una meditazione. Vi sono degli uomini sulla terra che sanno capire perché non si può e non si deve comprendere. Questi sono i prediletti del Signore. Questi sono i veri credenti»... Tu vuoi credere... Figliola mia, è il dolore che in­segna a credere, è il curvarsi su ciò che geme e su ciò che espia... Dio lo ritroverai solo se calmerai il tuo spirito nella rassegnazione. Dio è nei cieli, ma lo vedono solo quelli che sanno chinare il capo...

Elena                             - (come aggrappandosi a lui) Voglio vivere qui, Monsignore... Vicino a voi... Voi mi ridarete la pace...

Monsignore                   - No, mia cara... Tu hai dei doveri verso tuo marito... Tu hai un padre, che t'ha cresciuta, che t'ha educata, che ha fatto per te molto... Non tutto, ma ciò non è sua la colpa... Egli non poteva darti quello che non aveva... Tu hai un destino ancora da com­piere...

Elena                             - Zio... Monsignore... Ditemi qual­cosa di più... Ditemi che esiste Dio... Ditemi che Egli mi ridarà...

Monsignore                   - Mia cara! Guai se noi fossimo certi dell'esistenza di Dio! Non avremmo più il grande conforto di credere! La certezza è una cosa inerte, la fede è un respiro... È ciò che ci fa vivere... Comunque non ti scaccio... Guari­rai un po' alla volta... Anche l'ateismo è una malattia dell'anima... Una sua forma di po­vertà... Sì... Ma a patto di tutto questo tu mi devi promettere una cosa: di tornare prima con tuo marito, di stargli vicino, di volerlo con te...

Elena                             - (come spaurita) No... No...

Monsignore                   - E perché?

Elena                             - Perché anche lui m'ha rubato mio figlio...

Monsignore                   - Ma no... Non siamo noi che possiamo giudicare la colpa o la ragione... Egli ti ama: t'ha seguita... Quel dottore che è ve­nuto con te, da vero amico, l'ha informato. Via... Vuoi che chiami tuo marito?

Elena                             - No... (La sua voce si spegne men­tre sta per ripetere la denegazione: vacilla e cade svenuta).

Monsignore                   - (accor­rendo) Dio mio! Elena! Che è? Che hai? Ti senti male?... Ora bisogna proprio che lo chiami io il medico! Perfetta... corri! (Perfetta entra di corsa). Vedi qui... Prendi qual­cosa... Va'... Chiama quel signore di là... Mio nipote... (Perfetta en­tra a destra). Elena... Su... Su...

Alberto                          - Che è?... Che è?...

Monsignore                   - È sve­nuta... (L'ascolta, poi si alza).

Alberto                          - È nulla... È quello che le dicevo prima, zio... È mam­ma... Sarà mamma...

Monsignore                   - E lo chiami nulla?

Elena                             - (apre gli oc­chi: vede Alberto, tor­na in sé).

Alberto                          - Elena... (L'accarezza) Elena... (Le sussurra una paro­la all'orecchio).

Elena                             - (prende una espressione nuova, co­me ispirata: ansima).

Monsignore                   - Vedi? È lui che ritorna... È ancora tuo figlio... È Dio che te lo rida... Noi crediamo che esista la morte, solo perché questo nostro involucro se ne va, ma la vita è una catena che non si spezza, perché è opera di Dio...

Elena                             - (come illumi­nata, cade in ginocchio ai piedi di Monsignore) Mamma!... Ancora mamma!... Dio! Non so chi Tu sia, ma ti sento!

FINE