Non colpevole

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“NON COLPEVOLE”


processo ad un nazista modello

di

Angelo Callipo


PERSONAGGI

Adolf Eichmann    di circa settant'anni

Procuratore Generale    di circa cinquant'anni

Hanna Arendt   di circa cinquantacinque anni

Testimone Uomo  di circa quarant'anni

Testimone Donna di circa trent'anni

ALCUNE INDICAZIONI

L'azione si svolge in un'aula di tribunale, verosimilmente quella che fu allestita a Gerusalemme nel 1961 per celebrare il processo contro Adolf Eichmann.

In primo piano a sinistra il banco del Procuratore Generale.

Al centro è la sedia dell'imputato e dietro di lui, spinte verso il fondo, le sedie dei due testimoni.

A destra una piccola scrivania, in posizione sopraelevata rispetto al resto dello spazio, dove Hanna Arendt batterà a macchina.

Il pubblico in sala assiste, chiaramente, al processo e non alla sua rappresentazione.

Lo spazio scenico non deve avere la pretesa di riprodurre fedelmente le fattezze di un'aula giudiziaria, si tratta piuttosto di uno spazio che suggerisce, uno spazio, cioè, in grado di dilatarsi e comprendere altri spazi in sé: la scrivania dove siede Hanna Arendt è evidentemente sia la sua postazione da inviata del New Yorker al processo sia il suo luogo di lavoro, ovvero la stanza dove riordina il materiale e gli appunti; la scena dei due ebrei e del nazista si svolge all'interno di una sinagoga e non certo nell’aula stessa del tribunale; le testimonianze dell'uomo e della donna non devono essere immaginate necessariamente alla sbarra dei testimoni, ma esse sono da intendersi come frammenti di esperienze personali che vengono rivissute e rielaborate, per cui come tali andrebbero rappresentate.

Sarà cura del regista e di chi metterà in scena il testo trovare le soluzioni più idonee a rendere percepibile questa alterità di luoghi. Cambi luci e/o interventi musicali sono solo delle possibilità in tale direzione, ma si tratta, è chiaro, di suggerimenti e in questo modo vanno intesi.

Procuratore Generale indossa la toga d’ordinanza, ha inmano una cartella in cui sono contenutifogli che di tanto in tanto, nel corso stesso del dibattimento, consulta. E’ nervoso, conscio del compito che si è assunto e del fatto che per la prima volta, dopo Norimberga, il popolo ebraico, o meglio lo Stato di Israele, sta processando un nazista. Sente su di sé tutto il peso di quel che accade, anche perché nel profondo del proprio animo avverte una stonatura giuridica: lo Stato di Israele che accusa Eichmann non era ancora stato fondato al tempo dei fatti contestati in aula, dunque sul piano strettamente formale non autorizzato a mettere sotto processo l’imputato. Tuttavia, egli sa che questo processo, più che all’uomo Eichmann, è rivolto ad un intero periodo della storia contemporanea e soprattutto, a differenza di Norimberga, qui a giudicare non sono i vincitori di una guerra, bensì le vittime dell’olocausto. E quando le vittime sono chiamate a giudicare i propri carnefici l’esito non può che essere scontato. Di tutto questo il Procuratore Generale è perfettamente consapevole.


Hanna Arendt veste un completo anni ’60, con gonna e giacca. Segue il dibattimento conattenzione, batte a macchina o prende appunti. Le sue parole sono, per lo più, una rilettura di quanto scritto o appuntato, sono riflessioni, note al margine. Il tono è sempre pacato, non si sente direttamente coinvolta come il Procuratore Generale, preferisce osservare dall’esterno, da quella posizione privilegiata offertale dal suo essere giornalista. I suoi interventi non sono quelli della vittima inferocita, piuttosto interpretano una coscienza generale.

I Testimoni vestono abiti borghesi, non sono particolarmente dimessi, ma allo stesso tempo non esibiscono nessun tipo di ricchezza o opulenza. Il loro contegno e gli abiti che indossano sono dignitosamente puliti e in ordine. Essi non sono veri testimoni contro Eichmann, le loro dichiarazioni non hanno niente a che vedere con l’attività dell’imputato, con l’ufficio che egli dirigeva e con gli ordini che traduceva in pratica. Sono testimonianze a tutto tondo, assolute pur nella loro specificità, sono testimonianze che avremmo potuto ascoltare da un qualsiasi sopravvissuto e che potrebbero indurre a pensare: che c’entrano loro con Eichmann? C’entrano, in effetti, c’entrano. Essi testimoniano l’atrocità della barbarie nazista, ma, proprio perché non fanno mai il nome di Eichmann, insinuano il dubbio che davvero la responsabilità dell’imputato potrebbe essere insignificante. La loro presenza, più che sul piano concettuale, è necessaria sul piano drammaturgico: serve a far nascere il dubbio, serve a porre la domanda sulla reale colpevolezza di Eichmann. Egli si dichiara, infatti, non colpevole e le testimonianze che ascoltiamo sembrano provare che egli non avesse nessun collegamento con i massacri e la terribile vita nei campi di concentramento. Ma è solo il legame causale che genera la colpevolezza? Non è altrettanto vero che si può essere ritenuti responsabili del tutto, pur avendo partecipato solo ad una parte di quel tutto?

Eichmann appare dimesso, chiuso nel suo abito buono della domenica, che è però un abito comunea quello di tanti altri. Un abito anonimo, quasi a suggerire un generale anonimato che aleggia intorno alla sua persona. Siede composto e rivolge la parola al Procuratore Generale sempre con gran deferenza, addirittura si alza prima di rispondere e, solo quando ha terminato di parlare, si risiede. Stringe tra le mani una cartella piena di fogli del tutto simile a quella del Procuratore Generale: le due cartelle sono il filo rosso che li lega. Lo stesso filo, le due estremità opposte. Tra quei fogli Eichmann ha racchiuso la sua verità, in essi cerca l'appiglio per ogni risposta, soprattutto quando ha necessità di riferire dati o circostanze che richiedano la massima precisione. Per questo motivo li consulta in continuazione, al contrario del Procuratore Generale che lo fa di tanto in tanto. Un altro movimento che lo caratterizza è il continuo togliersi gli occhiali per pulirli: la pulizia delle lenti potrebbe sembrare un diversivo cui l'imputato ricorre nei momenti di maggiore tensione del processo, in realtà è un gesto meccanico che non tradisce nessuna intenzione, nessuno sforzo. E’ la meccanicità che ha governato ogni suo atto, la stessa meccanicità che lo ha reso obbediente al di là di ogni immaginazione.


I SCENA

Ad apertura di sipario Eichmann è in piedi al centro dell'aula. E' solo. Le sedie dietro di lui sono vuote, così come il banco del Procuratore e la scrivania di Hanna Arendt.

EICHMANN

Tengo a dichiarare che considero lo sterminio degli ebrei uno dei crimini più orrendi della storia dell’umanità, già allora lo consideravo un atto mostruoso, ma ero legato al mio giuramento di obbedienza e dovevo occuparmi nel mio settore dell’organizzazione dei trasporti. Il mio lavoro si svolgeva dietro una scrivania e non ho mai avuto a che fare con lo sterminio fisico, facevo il mio dovere obbedendo agli ordini, quindi non mi sento responsabile, nel profondo di me stesso… e ancora una volta lo voglio ripetere, non sono colpevole…

II SCENA

Entra il Procuratore Generale che va al banco, contemporaneamente prendono posto anche i due testimoni, seduti alle spalle di Eichmann, e Hanna Arendt che, alla sua scrivania, comincia a battere a macchina. Per tutte le scene successive, dove non espressamente specificato, Hanna Arendt continuerà a battere a macchina, seguendo il dibattito che si tiene sotto i suoi occhi.

PROCURATORE GENERALE

Signori, l’uomo che è qui davanti a noi è l’assassino di un popolo, un nemico del genere umano. E’ nato uomo ma ha vissuto come una belva della giungla. Ha commesso crimini orrendi per i quali non merita più di essere chiamato uomo, perché sono crimini che non hanno nulla di umano, perché sono crimini che superano il limite che separa l’uomo dalla bestia. Chiedo a questa Corte di tener presente che egli agì sempre, nel commettere i suoi crimini, con entusiasmo, con piena soddisfazione e con passione. Fino alla fine! E’ per ciò che io vi domando di condannare a morte quest’uomo.

HANNAH ARENDT

(smette di battere e legge da ciò che ha scritto) Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell’11 maggio 1960, trasportato in Israele nove giorni dopo, in aereo, e tradotto dinanzi al Tribunale di Gerusalemme l’11 aprile 1961, doveva rispondere di quindici imputazioni, avendo commesso, in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista. La legge contro i nazisti e i collaboratori dei nazisti, in base alla quale fu giudicato, prevede che “una persona che abbia commesso uno di questi crimini è passibile di pena di morte”. Richiesto su ciascun capo di imputazione se si considerasse colpevole, Eichmann rispose…

EICHMANN

… nicht schuldig…

HANNAH ARENDT

…non colpevole!

Mentre Eichmann si siede, tutti gli altri intonano sommessamente una litania.

Se deve avvenire avverrà

Avverrà forse per errore

Forse già sta avvenendo


Forse già è avvenuto

Se deve avvenire avverrà

Avverrà forse per errore

Forse già sta avvenendo

Forse già è avvenuto

Che cos’è che cresce senza pioggia

Che cos’è che brucia senza fine

Che cos’è che desidero

Cosa esiste senza lacrime

Una pietra cresce senza pioggia

Un amore arde senza fine

Solo un cuore può davvero

Desiderio senza lacrime

Quando viene la primavera

Èper noi ancora autunno Da quella strada non si torna Non è tempo, non ancora Quando viene la primavera

Èper noi ancora autunno Da quella strada non si torna Non è tempo, non ancora Non è tempo, non ancora Non è tempo, non ancora

III SCENA

PROCURATORE GENERALE

Signor Eichmann, quando entrò a far parte delle SS?

EICHMANN

Nell’aprile del 1932 mi iscrissi al partito nazionalsocialista e all’inizio dell’anno successivo entrai a far parte delle SS.

PROCURATORE GENERALE

Dunque a partire dal 1933 lei diventa membro delle SS, quale era stata la sua occupazione prima di quella data?

EICHMANN

Ero commesso viaggiatore nei territori dell’Austria settentrionale per conto della compagnia petrolifera Vacuum.

PROCURATORE GENERALE

E perché lasciò il suo lavoro, signor Eichmann?

EICHMANN

Non lo lasciai di mia spontanea volontà. Fui licenziato.

PROCURATORE GENERALE

Come mai? Si era reso forse colpevole di qualche mancanza?


EICHMANN

Niente affatto! I miei superiori non ebbero mai alcun motivo di lamentela nei mie confronti.

PROCURATORE GENERALE

Lei, dunque, era un impiegato modello, come poi divenne un nazista modello…

EICHMANN

Obbedire agli ordini dei propri superiori è una condizione alla quale bisogna adeguarsi. Da civile lavoravo per la Vacuum e ai loro dirigenti dovevo dar conto, durante la guerra ero un soldato e non avevo alcun potere. Ho fatto sempre e solo tutto ciò che mi hanno ordinato di fare.

PROCURATORE GENERALE

Ritorniamo al 1933… lei fu licenziato…

EICHMANN

Perché nella primavera di quell’anno l’azienda subì una grave crisi economica e fu necessario operare un taglio dei dipendenti. Gli scapoli erano i primi a perdere il posto ed io a quel tempo non ero ancora sposato.

PROCURATORE GENERALE

Dunque, se capisco bene, lei entra nelle SS proprio nel momento in cui perde il suo lavoro di commesso viaggiatore per conto della compagnia petrolifera Vacuum.

EICHMANN

Esatto. Mi sembrava una buona occasione.

PROCURATORE GENERALE

Vuol dire che lei è entrato nelle SS perché offrivano una buona sistemazione e magari una buona prospettiva di carriera? (pausa, poi incalzando) Senza nessuna adesione ideale? Senza nessun entusiasmo da parte sua?

EICHMANN

Le cose andarono così… un buon amico di famiglia, Ernst Kaltenbrunnenr…

PROCURATORE GENERALE

Un buon amico di famiglia? Quello che sarebbe diventato successivamente il capo della Gestapo? E’ incredibile come lei riesca a definirlo un buon amico di famiglia! Prosegua, prosegua pure…

EICHMANN

Fu proprio lui, Ernst Kaltenbrunner, a propormi di entrare nelle SS. Era un momento molto difficile per me. Avevo perduto il lavoro, ero fidanzato con Veronika e volevamo sposarci quanto prima, ero passato improvvisamente da una vita, certo non agiata, ma con le sue comodità, a dover fare i conti con la miseria incombente. Così quando lui avanzò la proposta, io dissi a me stesso Perché no?. E queste parole furono anche la risposta che gli diedi.

HANNAH ARENDT

(smettendo di battere a macchina e rileggendo quello che ha appena scritto) Questa fu la sua risposta… allora come adesso… perché no?... Con queste semplici parole Adolf Eichmann accettò di entrare nel più spietato corpo militare che sia mai esistito, accettò di condividere il lavoro di morte che Hitler andava pianificando e che gli uomini delle SS eseguivano freddamente e cinicamente… perché no?… ho sempre più netta la sensazione che il male non richieda sempre, anzi quasi mai, un’adesione totale e incondizionata, un semplice perché no? può essere sufficiente,


rispondere al male che ti chiede di accomodarti tra le sue braccia con un’altra domanda, perché no?,

èsolo un modo per avvicinarsi ad esso silenziosamente, in punta di piedi, senza clamore, rinunciando ad allontanarsi e a correre via. Perché scappare dal male che si delinea davanti ai nostri occhi, anche quando non siamo ancora in grado di riconoscerlo appieno, può fare molto, molto più rumore di quando gli si va dritti incontro. E in questo ci assomigliamo tutti.

PROCURATORE GENERALE

Dunque lei vuol farci credere questo? E cosa provava allora di fronte ai discorsi farneticanti dei suoi colleghi, di fronte allo sterminio di milioni di esseri umani che le SS portavano a termine? Cosa provava in cuor suo? Lo dica, lo dica a questa Corte!

EICHMANN

A quell’epoca le cose andavano così… io… io ero solo un uomo del mio tempo…

IV SCENA

HANNAH ARENDT

(smette di battere a macchina, si alza e scruta il pubblico davanti sé, la sua è una riflessione ad alta voce ) Osservo Eichmann, ma contemporaneamente osservo le poltrone riservate al pubblico eai giornalisti, la gente rumoreggia spesso e il Presidente della Corte deve richiedere il silenzio in continuazione, qualcuno alza la voce e lo chiama macellaio, allora intervengono le guardie del tribunale a trascinarlo fuori. In alcuni casi la confusione è tale che non riesco a comprendere bene le parole dell’imputato e del suo accusatore. Siamo tutti consapevoli del profondo senso di disperazione che ci attanaglia. Gridare frasi offensive all’indirizzo di Eichmann è solo il segno più evidente di questa disperazione. Il Presidente della Corte deve con pazienza alternare parole severe ad atteggiamenti più comprensivi, ha già minacciato più volte di sospendere il processo per le continue intemperanze del pubblico, ma ha anche invitato gentilmente coloro che non ce la fanno, ad abbandonare l’aula. Il racconto dei testimoni, la loro commozione nel ricordare le atrocità viste e subite, il terrore che ancora oggi si legge nei loro occhi mi fa pensare che davvero quel che è successo sia un punto di non ritorno, che il fondo sia stato toccato e che più in basso di così non si possa andare. Poi, guardo di nuovo Eichmann. Quest’uomo ha un’apparenza mite e dimessa, il vestito buono e la cravatta intonata, pulisce con cura, direi, eccessiva i suoi occhiali, si alza rispettosamente davanti alla Corte ogni volta che gli viene rivolta una domanda, fruga di continuo tra le sue carte, tra i mille documenti della sua vita, mettendo sempre poi tutto in perfetto ordine. Lo guardo e capisco che il male, quello con la emme maiuscola, può essere di una banalità sconcertante. Le grandi belve come Hitler, Himmler, Goebbels sarebbero state impotenti senza uomini come Eichmann, esecutori fedeli e ciechi degli ordini ricevuti. La normalità di Eichmann mi sembra molto più terrificante di tutte le atrocità commesse. (riprende a battere a macchina e a seguire il processo)

V SCENA

PROCURATORE GENERALE

Una volta entrato nelle SS, lei viene assegnato alla IV sezione, quella diretta da Muller, e in breve prende la direzione dell’ufficio B-4 di quella stessa sezione, è esatto?

EICHMANN

Sì, assolutamente esatto.

PROCURATORE GENERALE

Nel marzo del 1938, appena dopo che l’Austria era stata annessa con le armi al Terzo Reich, fu inviato a Vienna per organizzare l’emigrazione forzata degli ebrei di quel paese. E’ esatto?


EICHMANN

Sì, è esatto.

PROCURATORE GENERALE

Lei conferma che in pratica il suo lavoro in Austria, già prima dell’inizio della guerra, consisteva nell’espellere gli ebrei?

EICHMANN

Si trattava di una… (si sforza di trovare le parole giuste) emigrazione controllata, pianificata.

PROCURATORE GENERALE

Ma è altrettanto esatto che si trattava di un’emigrazione forzata, vale a dire che gli ebrei non potevano sottrarsi, non potevano decidere diversamente.

EICHMANN

(cercando di convincere il Procuratore) Emigrazione forzata voleva dire emigrazione accelerata.

PROCURATORE GENERALE

Dunque, era solo una questione di tempi? Rendere cioè questa emigrazione il più veloce possibile?

EICHMANN

Certo.

PROCURATORE GENERALE

Ma in questa emigrazione forzata, signor Eichmann, gli ebrei perdevano tutto, non potevano portare nulla con loro. E’ esatto anche questo?

EICHMANN

È esatto, ma non è stata colpa mia.

PROCURATORE GENERALE

In tutti i casi, gli ebrei non sono mai riusciti a recuperare un solo centesimo, è così?

EICHMANN

E’ spiacevole, ma non per colpa mia.

PROCURATORE GENERALE

Per una volta, signor Eichmann, può provare a rispondere senza ripetere in continuazione che non è stata colpa sua? Le colpe dei suoi superiori sono ben note al mondo intero. Qui, in quest’aula, si giudicano le sue colpe, non quelle degli altri. Adesso le farò un’altra domanda. L’ufficio che lei dirigeva aveva il compito di organizzare queste emigrazioni forzate, lei era agli occhi dei suoi superiori un… qualificato specialista in questo campo?

EICHMANN

Evidentemente sì. E’ l’unica ragione per cui fui assegnato a quell’ufficio. (cercando di spiegare) L’emigrazione è una questione estremamente complicata e bisogna conoscerla molto bene per ottenere i migliori risultati.

PROCURATORE GENERALE

Risultati, certo, lei ne ha avuti. In un anno e mezzo l’Austria fu ripulita da circa centocinquantamila persone, pressappoco il sessanta per cento della popolazione ebraica, mi sembra un risultato che


solo uno specialista avrebbe potuto ottenere.

EICHMANN

Sì, avevo acquisito una certa esperienza in materia.

PROCURATORE GENERALE

Si spieghi meglio...

EICHMANN

Io conoscevo allora tutti i regolamenti dei paesi d’immigrazione, tutte le somme di denaro che dovevano essere dichiarate, tutti i dettagli tecnici relativi ai passaporti. Per questa ragione potevo essere tranquillamente considerato uno specialista.

PROCURATORE GENERALE

(con ironia) Un vero specialista, signor Eichmann. Lei aveva creato una vera e propria catena di montaggio. Da un lato si infilava un ebreo che possedeva ancora qualcosa, una fabbrica, un negozio, un conto in banca, poi passava da uno sportello all’altro, da un ufficio all’altro, per sbucare alla fine del percorso senza più un soldo, senza più nessun diritto, solamente con un passaporto in cui si dice: ”Devi lasciare il paese, entro quindici giorni, altrimenti finirai in un campo di concentramento”. Era questa dunque la sua specialità?

EICHMANN

Prima del mio arrivo un ebreo poteva aspettare anche intere settimane prima di ottenere il passaporto. La mia idea fu quella di riunire tutti gli uffici necessari alle pratiche in un unico edificio e così tutto poteva avvenire in tempi brevissimi.

PROCURATORE GENERALE

Sta dicendo che lei ha agito per aiutarli?

EICHMANN

Ho sempre pensato che gli ebrei dovessero avere una terra tutta loro, ho cercato di contribuire alla creazione di un luogo in cui essi avrebbero potuto vivere la loro vita.

PROCURATORE GENERALE

(con ironia sempre crescente) Certo, è proprio così!

EICHMANN

Insisto su questo punto. Si trattava, come ho già detto, di una emigrazione controllata e pianificata. Mi rammarico che questo principio non sia stato mantenuto durante tutta la guerra. Ho cercato di far passare le mie idee, le mie proposte, ma una volta iniziata la guerra le cose sono andate diversamente e io dovevo solo obbedire.

PROCURATORE GENERALE

Poveretto! Non c’era nulla che andasse come voleva lei!

HANNAH ARENDT

(smette di battere e legge ciò che ha scritto) Il 23 giugno 1941 Hitler attaccò l’Unione Sovietica e all’incirca un paio di mesi dopo Eichmann fu convocato a Berlino da Heydrich, suo diretto superiore e capo degli Einsatzgruppen che già da tempo si occupavano dello sterminio degli ebrei. Heydrich gli fece un breve discorsetto sulla necessità di trovare in tempi brevi una soluzione complessiva della questione ebraica nelle zone di influenza della Germania, poi in modo diretto e


senza giri di parole gli disse:”Eichmann, il fuhrer ha ordinato lo sterminio fisico degli ebrei”.

VI SCENA

Il testimone uomo si alza dal suo posto e avanza in proscenio. Dà le spalle all’imputato e si rivolge direttamente al pubblico. E’ il momento della sua deposizione. E’ un uomo di circa quarant’anni. Descrive gli avvenimenti mantenendo un atteggiamento pacato, solo in pochi passaggi è sopraffatto dalla crudeltà dei ricordi. Nella domanda finale sembra voler chiamare in causa Eichmann stesso.

TESTIMONE UOMO

Io… io ero insieme a mio padre, mia madre e i miei fratelli. Il più grande aveva ventidue anni, il più piccolo solo cinque. Io ne avevo compiuti venti. Non molto tempo prima. D’altronde, che importanza può avere? A chi può interessare, qui, adesso, sapere quanto prima? Io so con certezza che ne avevo venti. Da quel momento il tempo si è fermato, come se avessi ancora quegli stessi venti anni. Mi si sono cuciti addosso. Io e i miei fratelli cercavamo di marciare tutti insieme, restando il più possibile uniti alla mamma e al papà e seguendo il percorso che ci indicavano quelli delle SS. Poi io fui trascinato lontano e messo insieme ad un altro gruppo di giovani, tutti tra i venticinque e i trent’anni. Della mia famiglia non ho più rivisto nessuno e oggi posso dire con certezza di essere stato l’unico a sopravvivere. Per molto tempo ho aspettato, sicuro che li avrei visti comparire all’improvviso e saremmo tornati alla vita di prima, poi la mia sicurezza è diventata speranza. Una speranza via via più flebile, consumata dagli anni. Alla fine, quella speranza alla quale mi ero attaccato si è trasformata in rassegnazione, solo rassegnazione. E’ così per tutti. Per tutti quelli che sono tornati e hanno dovuto maledire il momento in cui si sono salvati. Ero in quel gruppo di giovani, ci dissero di cominciare a scavare delle fosse. Ad un tratto vediamo arrivare due auto, scendono ufficiali di alto grado delle SS, sei o sette, non ricordo più. Parlano con i nostri comandanti e con quelli che ci sorvegliano. Noi non potevamo capire cosa si stessero dicendo, erano troppo lontani, ma indicavano le fosse, questo sì, questo riuscivamo a vederlo. Nello stesso momento arrivano dei camion, hanno una scritta sul fianco Soccorso invernale tedesco, almeno così dicono quelli che tra noi conoscono il tedesco. Scesero più di mille persone, forse anche mille e cinquecento. No, non posso esserne sicuro. Non posso esserne sicuro per niente. Cavolo, non ci avevano certo portato fin lì per farci contare tutti quelli che passavano! Non potevo saperlo allora e, in ogni caso, non potrei ricordarmene adesso. Non eravamo lì per contare, ma per scavare. Scavare fosse. Questo ci dissero di fare. A quelli scesi dai camion, invece, le SS li fecero spogliare e sistemare in fila completamente nudi. Poi li fecero avvicinare fino al bordo delle fosse che avevamo appena scavato, a gruppi di trecento o quattrocento persone e lì, davanti ai nostri occhi, cominciarono a scaricargli addosso pistole e fucili. Le SS sparavano nel mucchio, cosicché molti erano solo feriti, cadevano nelle fosse, ma non erano morti. Ci dissero di iniziare a riempire lo stesso le fosse. Ci guardammo negli occhi, lì sotto c’erano persone che ancora respiravano, come avremmo potuto seppellirle vive? Questo, però, non lo disse nessuno. Nessuno. Era bastato guardarci solo un attimo per capire che avremmo fatto esattamente quello che volevano da noi. Nessuno si rifiutò e io, io con queste mie mani ho sotterrato persone ancora vive, alcuni avevano ancora la forza di chiedere aiuto, ma nessuno di noi poteva fermarsi. L’unica cosa che ho potuto fare per loro è stato piangere. Sì, piangere, solo questo. Gettavo la terra sui corpi e piangevo, cercando al tempo stesso di nascondere le lacrime per non essere visto da quelli delle SS, piangevo per la rabbia, per la paura, per il disgusto, piangevo perché era l’unica cosa che potessi fare. Intanto arrivano altri camion e mentre noi siamo ancora lì, con le pale tra le mani, cominciano a scaricare calce viva sui corpi. Corpi che ancora si muovono. Fino a qualche attimo prima quei corpi erano stati uomini e donne in carne e ossa, avevano mariti, mogli, figli, avevano una casa in cui tornare, destini da costruire, speranze da non tradire. Le SS erano lì, proprio dietro di noi, alcuni di loro erano quasi isterici, al limite di un esaurimento nervoso, altri invece ridevano, altri ancora fotografavano la scena, i più uccidevano. Erano tutti ebrei, in gran parte di origine ungherese, quelli che caddero nelle fosse. Chi pagherà, chi pagherà per tutto questo?


Finita la deposizione, il testimone ritorna al suo posto, mentre il Procuratore generale ricomincia l’interrogatorio.

VII SCENA

PROCURATORE GENERALE

Vorrei sapere quali erano precisamente i compiti dell’ufficio B4 del quale lei era a capo.

EICHMANN

Quando Himmler diede l’ordine di iniziare le deportazioni degli ebrei verso la Polonia, accaddero parecchi inconvenienti. Il mio ufficio aveva il compito di rimettere le cose in ordine. Io avevo l’incarico di controllare i problemi tecnici dei trasporti perché i tempi e i contingenti venissero rispettati. Per questo motivo mi recai a Berlino dove venne centralizzata tutta l’organizzazione dei trasporti. Potrei dire che l’intera operazione delle deportazioni era un problema tecnico.

PROCURATORE GENERALE

Un problema tecnico? Quelli erano convogli della morte, finalizzati allo sterminio!

EICHMANN

Io non potevo saperlo.

Il Procuratore Generale ha tra le mani alcuni timbri e con questi si avvicina ad Eichmann.

PROCURATORE GENERALE

Signor Eichmann, lei sa cosa sono questi? (mostrando in maniera provocatoria i timbri) Sono timbri usati ad Auschwitz per contrassegnare le schede dei deportati con codici numerici.

Il Procuratore Generale consegna a tutti, tranne ad Eichmann, un timbro, l’ultimo lo tiene per sé. Gli attori cominciano a battere con i timbri sulle proprie braccia, marchiandosi con violenza e disperazione, e senza seguire un ordine prestabilito, almeno in apparenza, recitano le battute. Il ritmo delle battute cresce in modo parossistico fino a quando tutti, stremati, cadranno per terra, lasciando scivolare il proprio timbro dalle mani. Eichmann osserverà impassibile tutta la scena, come se nulla di tutto questo lo riguardasse.

TUTTI (tranne Eichmann)

IV/B4a ebreo dalla Francia, dal Belgio e dall’Olanda IV/B4a 2093/42 G/3913 ebreo dalla Germania IV/B4a 2927/42 G/11148 ebreo dalla Grecia

IV/B4a 301342 G/1310 ebreo dalla Croazia, dalla Romania, dall’Ungheria e dall’Italia IV/B4a 2093/42 G/39 ebreo dal Governatorato Generale della Polonia

Il primo a rialzarsi è il Procuratore Generale, raccoglie i timbri e si avvicina di nuovo all’imputato, mostrandoglieli ancora una volta.

PROCURATORE GENERALE

Sono tutti contrassegnati dalla sezione IV ufficio B4, cioè il suo ufficio. Mi era sembrato di capire che lei e il suo ufficio non vi occupaste di ebrei, ma solo di trasporti.

EICHMANN

E’ esatto. Problemi tecnici di trasporti, orari e cose di questo genere.


PROCURATORE GENERALE

Ma lei sa che questi deportati erano sottoposti a sofferenze terribili?

EICHMANN

Io so che fino al momento in cui mi affidarono la direzione della sezione, l’ho già detto, regnavano una confusione e un disordine estremo. Le persone restavano anche otto giorni chiuse nei vagoni. Per quanto ne so, dopo il mio arrivo, questo non è mai più accaduto. Può essere che ci siano state delle inadeguatezze e degli errori, ma noi facevamo del nostro meglio per evitare cose di questo genere. Una volta organizzata la deportazione e stabilita la destinazione bisognava inviare un telex per verificare la capacità di accoglienza. Si fissava quindi il numero dei deportati e poi il mio ufficio stabiliva gli orari.

PROCURATORE GENERALE

Una di quelle che lei chiama destinazioni era Auschwitz. Questo nome le è forse sconosciuto? Eppure lei sa bene che cos’era Auschwitz, dal momento che si è recato lì più volte.

EICHMANN

Sì, ma non ho mai assistito a scene spiacevoli. Andavo ad Auschwitz periodicamente, ma solo per discutere con Hoss, il comandante del campo, le capacità di assorbimento del campo stesso. In pratica quanti convogli alla settimana si potevano inviare.

PROCURATORE GENERALE

E questi convogli quanti uomini potevano trasportare? Dai documenti risulta che su treni che non potevano contenere più di settecento persone venivano caricati anche mille ebrei.

EICHMANN

Il numero di settecento era a quei tempi una cifra normale, dato il numero dei vagoni, ma questo numero riguardava i trasporti militari. Nel caso di trasporti militari ogni soldato portava con sé i suoi bagagli, mentre qui, in questa situazione particolare, i bagagli erano sistemati in vagoni merci supplementari messi a disposizione ed agganciati al treno. Le persone che dovevano partire non potevano portare con sé i loro bagagli, perché essi venivano aggiunti alle merci. La capacità dei vagoni poté così passare, secondo un calcolo del Ministero dei Trasporti, da settecento a mille viaggiatori.

PROCURATORE GENERALE

Prego i signori della Corte di portare massima attenzione al fatto che il signor Eichmann, ovvero il tenente colonnello Eichmann, una volta per tutte, responsabile dei treni che ogni giorno partivano alla volta di Treblinka, Sobibor, Auschwitz con migliaia di persone destinate alle camere a gas e ai forni crematori, definisce le vittime delle deportazioni e dello sterminio viaggiatori. Lei crede davvero, tenente colonnello Eichmann, che se qualcuno di quei viaggiatori non fosse stato caricato con la forza sui vagoni, sarebbe davvero salito di sua spontanea volontà? Magari per farsi un giro tra le baracche di Auschwitz come fossero state le strade di Parigi? E i bambini? I bambini che lei personalmente e il suo ufficio provvedevate a far salire sui treni della morte, anche quelli erano viaggiatori? Molti di loro venivano separati, già al momento della partenza, dai genitori che nonavrebbero mai più rivisto, molti di loro non gli hanno potuto dire neanche arrivederci…

VIII SCENA

Come se si lasciassero andare ad una triste giaculatoria, i due testimoni presentano la loro deposizione al Procuratore Generale sulla condizione dei bambini nei campi. Si alternano davanti al suo banco e in bilico tra il timore di parlare davanti ad Eichmann e la voglia di liberarsi da un fardello insopportabile, sottovoce e frettolosamente rilasciano la loro testimonianza. Vengono


tuttavia interrotti dagli scoppi d’ira di Eichmann, il cui tono di voce riesce ancora ad intimorirli, nonostante sia lui ormai l’imputato. Dal canto suo, il Procuratore Generale ascolta, dolorosamente colpito, il racconto. Le battute dei testimoni sono volutamente lasciate libere e senza indicazioni di appartenenza. D’altronde, anche nel modo di essere pronunciate dovrebbero apparire il più possibile anonime, quasi delle soffiate, fatte però con riluttanza e senza assunzione di responsabilità. La differenza, infatti, tra queste battute e gli altri interventi dei due testimoni è che qui si raccontano cose viste, ma non direttamente sofferte sulla propria pelle. E questa, in un dolore così immenso come quello dell’olocausto, appare una differenza assolutamente non trascurabile.

TESTIMONI

Ai bambini veniva ordinato di scendere molto in fretta…

Erano tutti totalmente disorientati e sconvolti…

Anche cinquanta, sessanta, ottanta bambini alla volta…

I più grandi tenevano per mano i più piccoli…

EICHMANN

Per avere sempre chiara la situazione, il numero dei deportati deve essere rappresentato su un grafico appeso al muro del mio ufficio!

Da questo momento fino all’ultima battuta di Eichmann prima dell’intervento della testimone donna, le parole dell’imputato si faranno sempre più esasperate, salirà la collera e la frustrazione, tipiche di chi si ritiene incompreso, mentre ritiene di aver impartito ordini chiarissimi. L’esasperazione lo porterà, cosa mai accaduta dall’inizio del processo, ad alzarsi dalla sedia senza averne avuto il permesso e contravvenendo così all’assoluto rispetto per le forme che ha sempre caratterizzato la sua vita come la sua condotta in tribunale. L’ultima battuta avrà la connotazione del totale parossismo.

TESTIMONI

Venivano portati in stanze dove non c’era nulla, solo pagliericci a terra, disgustosi e pieni di cimici…

Nel campo venivano svegliati alle cinque del mattino, molti non riuscivano a scendere nel cortile…

Le guardie entravano nelle stanze, prendevano in braccio i bambini che si dimenavano e urlavano…

EICHMANN

Bisogna effettuare un rapporto mensile sul numero delle persone deportate e sulla loro destinazione!

TESTIMONI

Una volta arrivò una donna con il suo bambino, spogliandosi sputò in faccia ad una guardia…

Le strapparono il bambino, lo presero per i piedi e gli fracassarono la testa contro un albero…

Poi lo gettarono nel fuoco, la madre invece l’appesero per i piedi…

EICHMANN

I treni devono circolare con cadenza regolare, altrimenti si torna alla confusione che c’era prima!


TESTIMONI

Una volta si gelava per il freddo, il Kapò ebbe pietà e ci disse:”Fa freddo fuori, riscaldate i bambini nelle camere a gas, lì ormai non c’è più nessuno”.

Mentre tiravamo fuori le persone dai carri nacque un bambino, gli avvolsi intorno qualche indumento e lo deposi vicino alla madre, la guardia si avventò contro con il bastone…

Cosa fai con questa cacata? Gridò. Diede un calcio al bambino e lo fece volare per dieci metri…

Poi ordinò: “Porta via di qui quella merda”. Il bambino era morto…

EICHMANN

I treni circolano da Versavia a Treblinka, da Radom a Treblinka, da Cracovia a Belzec, da Lvov a Belzec!

TESTIMONI

Quella volta arrivò un carico di bambini, ne saltò giù uno con una mela in mano…

L’SS si diresse verso il bambino, lo afferrò per i piedi e gli sbatté con violenza la testa contro la baracca…

Poi raccolse la mela, ordinò ad un deportato di pulire li muro sporco di sangue e se ne andò mangiando quella stessa mela…

EICHMANN

Un treno al giorno da Radom a Treblinka, uno da Cracovia a Belzec, uno al giorno da Lvov a Belzec, uno da Radom a Sobibor, uno dalla stazione nord di Lublino per Belzec, uno dalla stazione centrale di Lublino per Sobibor, Lublino Sobibor, Radom Sobibor, Cracovia Belzec…

Eichmann continua ripetendo ossessivamente gli stessi nomi delle stesse stazioni e delle stesse città, fino a quando, al colmo del parossismo, non riuscirà più ad andare avanti e il fiato gli si spegnerà in gola. A quel punto tornerà alla sedia da imputato, sfinito per il suo stesso sforzo, consapevole di non essere riuscito a spiegare pienamente le sue ragioni. I testimoni, Hanna Arendt, perfino lo stesso Procuratore Generale che hanno ascoltato, anzi subito, le sue ultime parole, adesso lo guardano attoniti e spaventati insieme. Con coraggio, allora, la testimone donna prende la decisione di raccontare la sua storia, sicura di dare inizio ad un nuovo capo d’accusa. A differenza del testimone uomo, che era avanzato fino ad un’ipotetica sbarra dei testimoni, rivolgendosi così al pubblico, sicuro che la propria testimonianza avesse soprattutto un valore collettivo, la donna trascina la sua sedia fino all’altezza di Eichmann e siede vicino a lui, quasi gli sussurra all’orecchio le parole, facendo della propria testimonianza qualcosa di più intimo e privato, ma non per questo meno duro e sconvolgente. Il suo tono è secco, tagliente, un’accusa diretta e senza appello.

IX SCENA

TESTIMONE DONNA

Mia madre aveva paura. Le retate diventavano ogni giorno più frequenti e supplicava mio padre che non bisognava dormire nell’appartamento dove eravamo dichiarati. Ma lui non voleva sentire ragioni. Perché mai dovremmo nasconderci? Siamo ebrei, mica ladri e assassini. Per lui sarebbe stato come rinnegare il proprio essere ebrei. Nonostante ciò, mia madre era riuscita a prendere in affitto una stanzetta dall’altra parte della città e ogni sera portava me e la mia sorellina a dormire lì. Mio padre invece restava nel nostro appartamento. Una sera però, stanca di litigare, mia madre non


ci portò via e rimanemmo tutti insieme. Verso le sei del mattino sono arrivati i tedeschi. Una scena terribile. Prima di caricarci un tedesco colpisce più volte mia madre, così, senza nessuna ragione precisa, mia madre non batte ciglio, io avevo sei anni ma ho ancora tutto molto chiaro davanti agli occhi. Poi i ricordi si susseguono rapidi. Siamo sul treno verso la deportazione, a metà strada ci separano, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra. Mio padre ci dice addio. Questa scena mi

èinsopportabile. Quella fu la separazione definitiva, io non potevo saperlo. Lui non è più tornato. E io? Perché io sono tornata? Non lo capisco ancora. E’ sicuramente un caso che io sia ancora viva, ma è per me una situazione davvero scomoda. Quando dicono di me che sono una sopravvissuta provo ancora vergogna, allora penso che se mi sono salvata lo devo a mia madre. Un merito, una colpa? E’ lei che mi ha salvato, perché non ci siamo, non ci hanno, mai separate. Nell’agosto del

1944 arriviamo a Buchenwald, ma le SS lì non controllano già più la situazione, allora ci rimettono su un vagone piombato e arriviamo a Bergen – Belsen. Un viaggio da incubo, eravamo moltissimi, non si respirava, non c’era spazio per sedersi, bisognava stare in piedi, chi si accasciava a terra dopo un po’ era già morto. Mia madre era riuscita a conservare delle briciole di pane, mia sorella ed io ce le disputavamo selvaggiamente, avevamo fame. Mia sorella. Già, mia sorella. Lei era molto carina e a Bergen Belsen mia madre la mandava alle cucine a chiedere un po’ di zuppa in più. Quando lei si ammalò, mia madre voleva che ci andassi io al suo posto. Io mi rifiuto, mia madre mi supplica, nulla da fare, per me è impossibile. Avevo sei anni, capivo tutto. Mia madre invece sembrava non capire nulla, non rendersi conto di nulla, continuava a ripeterci che presto saremmo tornati a casa, che bisognava avere soltanto un po’ di pazienza. Era come quando mi cucì per la prima volta la stella gialla sul cappotto, mi disse: “Devi essere contenta piccola mia, sai quanti bambini la vorrebbero e non la possono avere?” Per un po’ ci ho creduto, ma quando all’asilo gli altri bambini e gli insegnanti mi prendevano in giro proprio per quella stella gialla mi sono resa conto che mia madre non voleva capire. Appena ho saputo leggere ho chiesto soltanto libri sulla deportazione, solo questo mi interessava. A dieci anni sapevo tutto sull’argomento. Era una reazione, nient’altro. Mi dispiace solo di essere stata troppo piccola al tempo di quei fatti. Ho subito, non potevo fare altro, non ho mai potuto agire. E come me gli altri. Tutti noi abbiamo semplicemente accettato il nostro destino di ebrei. Tutto qui, tutto qui. C’è forse qualcosa di straordinario in tutto questo?

X SCENA

L’aula di tribunale diventa una sinagoga o, meglio, suggerisce lo spazio di una sinagoga. Pochi oggetti, il rotolo della torah, un candelabro con le candele accese, e qualche abito di scena, nulla di più. Il Procuratore generale assumerà le fattezze del Rabbino, il testimone uomo quelle di Ytzhak, Eichmann si vestirà dei segni con cui più comunemente siamo abituati a riconoscere un ufficiale nazista: stivali, pastrano con mostrine delle ss, berretto da ufficiale, guanti, uno scudiscio, una pistola. Eichmann si trasforma così nell’icona del nazista per antonomasia, non solo per ciò che indossa, ma anche per come adesso si muove e per il tono della voce, sprezzante, che assume. Hanna Arend e la testimone donna restano al loro posto.

YTZHAK

Rabbino, i vagoni sono tornati. Sono vuoti e aspettano di essere riempiti. Quanti ne prenderanno questa volta?

RABBINO

Calmati Ytzhak, siamo nella casa del Signore e nulla ci può accadere. Piuttosto, bisogna fare in modo che tutti corrano qui alla sinagoga. Tutti. O almeno quanti più è possibile. Qui non oseranno entrare, vedrai.

YTZHAK

Ma è troppo tardi! Le strade sono bloccate, hanno già cominciato a sparare e ho visto con i miei occhi un uomo penzolare ad un albero.


RABBINO

Dov’è la tua famiglia Ytzhak? Dove sono i tuoi figli? Cerca di portare almeno loro qui, qui staranno al sicuro ti dico. Non devono rimanere in casa. Vai, presto. Evita di attraversare la piazza, scegli strade secondarie e sbrigati, il Signore non abbandona il suo popolo.

Ytzhak fa per uscire ma si imbatte nel nazista che è appena entrato.

NAZISTA

Così questa sarebbe la vostra sinagoga? Spero di essere arrivato in tempo per una visita.

Ytzhak è sorpreso e spaventato, ma trova la forza di rispondere e soprattutto tenta di spingere fuori l’ufficiale, evitando che si accorga della presenza del Rabbino.

YTZHAK

La sinagoga è vuota e io stavo per l’appunto chiudendo prima di andare via.

NAZISTA

Andare via? E dove? Non mia sembra che gli ebrei abbiano il permesso di lasciare il ghetto. O forse dobbiamo aspettarci una fuga di massa? Torna dentro, prima che perda definitivamente la pazienza (lo colpisce con lo scudiscio, Ytzhak geme per il dolore, il Rabbino accorre per aiutarlo, svelando così la sua presenza, il nazista lo guarda con finta ingenuità). Ma che bella sorpresa, tu dovrestiessere il Rabbino, giusto? (il Rabbino annuisce con un movimento del capo) Dunque, abbiamo il Rabbino in persona, non c’è che dire, oggi dev’essere proprio il mio giorno fortunato. (rivolto a Itzhak) Ma non avevi detto che la sinagoga era vuota? Allora è proprio vero che di voi non ci si puòfidare (colpisce di nuovo più volte Ytzhak con lo scudiscio).

RABBINO

(cercando di intervenire) No!

NAZISTA

(allontanando il Rabbino violentemente) Non ti azzardare a toccarmi sporco ebreo. (comincia a guardarsi intorno e in particolare viene attirato dalle candele accese) Ma che vedo? Chi le haaccese queste? (all’indirizzo del Rabbino) Tu? Già, devi essere stato proprio tu. Dimmi, allora, è forse per accendere tutte queste belle candeline che non sei ancora fuori di qui? Lo sai, vero, che era stato dato l’ordine di presentarsi alle dieci in strada per farsi registrare e poi essere caricati sui vagoni? Lo sai non è vero? (il Rabbino annuisce, il nazista ride) Sarò comprensivo, ti aiuterò io a spegnerle (prende le candele e le spegne tutte, tranne una, sputandoci sopra, poi continua a guardarsi intorno) E qui? Cosa abbiamo qui? (indica la Torah)

RABBINO

Quello è il rotolo della Torah…

NAZISTA

Sì, devo averne già sentito parlare. Quanta carta sprecata! Non sarebbe più utile portarla nelle latrine dove manca quella necessaria? (ride con scherno)

RABBINO

La Torah è la parola di Dio, nessuno può permettersi di insultarla in questo modo.

NAZISTA

Ma allora non vuoi proprio capire come stanno le cose? (lo colpisce con lo scudiscio ripetutamente


fino a farlo cadere per terra) Sulla tua legge e sul tuo Dio io ci sputo sopra (sputa sul rotolo della Torah), e anche su di te (lo afferra per i capelli, lo trascina davanti a sé e lo costringe a mettersi in ginocchio), apri la bocca! (il Rabbino è bloccato dal terrore, Itzhak intanto, anche lui a terra, guarda la scena con altrettanto paura) Ti ho detto apri la bocca! (il Rabbino questa volta esegue e apre la bocca, il nazista cerca con gli occhi Itzhak e si rivolge a lui) Tu! Sputaci dentro! (Ytzhak resta immobile) Mi hai sentito? (estrae la pistola)

YTZHAK

Non posso…

NAZISTA

(agitando furiosamente con una mano la pistola, mentre con l’altra mano continua a tenere il Rabbino per i capelli) Sputa!

YTZHAK

Ma è il nostro Rabbino, non posso fare questo al nostro Rabbino…

RABBINO

Su, sputami in bocca, fai presto, stupido che non sei altro.

NAZISTA

(con aria divertita) Hai sentito, no? Te lo sta chiedendo il tuo Rabbino!

YTZHAK

(con la voce rotta dal pianto e mettendosi anche lui in ginocchio) Signore, ma come faccio a sputare, è… è il nostro Rabbino!

NAZISTA

Sputa! Non lo ripeterò un’altra volta!

RABBINO

Sputa! Non vedi che sta per spararti?

Ytzhak rimane fermo senza sapere che cosa fare, il nazista gli spara. Itzhak si porta una mano alla spalla destra e cade a terra. Rantola, è ferito, ma non è morto.

RABBINO

(gridando) Ytzhak….

NAZISTA

(rivolto a Itzhak) Guarda, guarda bene e impara, merda di un ebreo, guarda come si fa (con le mani allarga il più possibile la bocca del Rabbino, ci sputa dentro e poi gliela richiude, spingendolo via) Butta giù (osserva il Rabbino deglutire, poi si avvicina ad Itzhak ) Vedi, lui obbedisce (spara di nuovo ad Ytzhak, questa volta ad un piede) E ora fuori, fuori tutti e due! Alla sinagoga ci penso io.

Il Rabbino si avvicina a Itzhak dolorante, lo fa alzare e lo sorregge. Con molta difficoltà si trascinano fuori dalla sinagoga, il nazista li guarda per un po’ divertito, poi rivolge la sua attenzione a quell’unica candela rimasta accesa. Si avvicina, la prende e con la fiamma dà fuoco alla Torah, poi, non contento, a furia di calci e colpi di scudiscio rovescia sedie e oggetti. D’improvviso, si ferma, come se non riconoscesse più il significato dei suoi gesti. Si guarda


intorno, quello che vede è di nuovo l’aula di tribunale, ma è un’aula che porta in sé i segni della sinagoga distrutta: il candelabro con le candele è a terra, la torah ridotta ad un cumulo di cenere, le sedie sono state rovesciate dalla furia distruttrice dell’ufficiale nazista, che lui stesso ha contribuito ad interpretare, altri paramenti sono sparsi in più punti. Il Rabbino rientra e torna ad essere il Procuratore Generale, Ytzhak riveste nuovamente i panni del testimone. Tutto avviene nello sbigottimento e nel silenzio generale. Eichmann, infine, si strappa la svastica dal pastrano e getta via pistola e scudiscio, come se non gli fossero mai appartenuti. Poi riprende posto alla sua sedia di imputato.

XI SCENA

EICHMANN

Io non ho mai ucciso nessuno, non ho mai partecipato a nessun rastrellamento, non ho mai torto un capello ad un solo ebreo.

PROCURATORE GENERALE

Lei sapeva bene che cosa accadeva a tutti quelli che ebbero la sfortuna di salire su uno dei suoi treni! Signor Eichmann lei partecipò in prima persona anche alla conferenza di Berlino, meglio nota come conferenza di Wannsee, durante la quale furono discussi i metodi per portare a termine la soluzione finale, ovvero lo sterminio conclusivo degli ebrei. A quella conferenza si discusse dei metodi per uccidere, si ricorda di questo?

EICHMANN

Io, io non ricordo i particolari…

PROCURATORE GENERALE

Sei milioni di persone mandati nelle camere a gas o eliminate in mille altri modi e lei non ricorda i particolari?

EICHMANN

Io dovevo redigere il verbale, non potevo prestare attenzione a tutto quello che dicevano!

PROCURATORE GENERALE

E dunque lei ha totalmente dimenticato ciò che fu detto in quell’occasione riguardo un argomento così importante?

EICHMANN

Questo non è il punto più importante!

PROCURATORE GENERALE

(interrompendolo violentemente) Vuole dire che i metodi per uccidere sono un argomento di nessuna importanza?

EICHMANN

Non capisce, non potevo stare lì ad ascoltare. Io dovevo redigere il verbale. Era questo il mio compito. (dopo una lunga pausa) Tuttavia, la stanza non era così grande e qualche parola mi è arrivata. Si parlò di esecuzioni, certo, di eliminazioni e di sterminio.

PROCURATORE GENERALE

Lei ammette dunque di essere stato complice dell’assassinio di milioni di ebrei?


EICHMANN

Dal punto di vista giuridico…

PROCURATORE GENERALE

(ancora una volta interrompendolo con decisione) La mia non è una domanda giuridica! In coscienza, si ritiene colpevole di complicità nell’assassinio di milioni di ebrei, sì o no?

EICHMANN

(non risponde subito, pulisce per l’ennesima volta gli occhiali, sistema i fogli della cartellina che ha tra le mani) Dal momento che viene chiesto di dare una risposta chiara…

HANNAH ARENDT

(toglie dalla macchina da scrivere l’ultimo foglio e legge) “… tengo a dichiarare che considero lo sterminio degli ebrei uno dei crimini più orrendi della storia dell’umanità. Già allora lo consideravo un atto mostruoso, ma ero legato al mio giuramento di obbedienza e dovevo occuparmi nel mio settore dell’organizzazione dei trasporti. Il mio lavoro si svolgeva dietro una scrivania e non ho mai avuto a che fare con lo sterminio fisico. Facevo il mio dovere obbedendo agli ordini, quindi non mi sento responsabile, nel profondo di me stesso. E ancora una volta lo voglio ripetere, non sono colpevole.”

I due testimoni, che sono rimasti seduti a seguire l’ultima parte dell’interrogatorio, si alzano e si avvicinano ad Eichmann. Sono alle sue spalle. Eseguono movimenti precisi, come di chi ha una lunga esperienza in proposito. Sono i gesti di consumati secondini. Uno di loro lo tiene fermo, l’altro gli gira i polsi dietro la schiena per ammanettarlo. Poi gli si mettono al fianco destro e sinistro, si girano, sono tutti e tre di spalle al pubblico. Rimanendo di spalle al pubblico lo portano via uscendo dal centro della scena.

XII SCENA

HANNAH ARENDT

Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità, bevve una mezza bottiglia di vino rosso e rifiutò l’assistenza del pastore protestante che si era offerto di leggergli la Bibbia. Pochi istanti prima dell’esecuzione affermò di non credere ad una vita dopo la morte e gridò per l’ultima volta viva la Germania, fu come se in quegli ultimi minuti egli avesse ripercorso la lezione che quel suo lungoviaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato, la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male…

BUIO