Non è ancora primavera

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NON E’ ANCORA PRIMAVERA

Commedia in quattro atti

di EDOARDO ANTON

                                   

PERSONAGGI

ILFRATICELLO - IL CACCIATORE

IL BAMBINO - ERMELLINA

ANSELMO - GIULIA

IL FIGLIO - IL PODESTÀ'

IL SEGRETARIO COMUNALE - LA CONTESSA

L'ISPETTORE DELLE FESTE - LA SUORA

LA MOGLIE DEL PODESTÀ' - MELINA

TRUDE - LINDA

ragazze

la VECCHIA - 2* VECCHIA - 3* VECCHIA

1° VECCHIO - 2° VECCHIO - 3° VECCHIO

ia BEGHINA

3a BEGHINA

ia GUARDIA

2a GUARDIA

UN MENDICANTE CIECO

L'azione sì svolge dall'alba alla notte di una giornata eccezionale, in un bosco, ai limiti del piccolo paese che avete visto tante volte da lontano, passando per la valle.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

È inverno. Un bosco su una collina. I rami spogli. Una casa sporge di qualche metro a sinistra in seconda. Una siepe la divide dalla strada, che sul fondo attraversa, e dal resto del bosco, formando un giardinetto di circa metà della scena. Le prime pallide luci dell'alba. All'alzarsi del sipario non v'è alcuno. Una breve apertura musicale. Poi appare il vecchio fraticello guidato da un bimbo bianco-covestito con due minuscole ali ancor bianche su le spalle.

Il Fraticello                   - Dove siamo?

Il Bambino                    - Vicino all'ultima casa del paese. La chiesa è più su. Vuoi riposarti nonno? Qui c'è un sedile.

Il Fraticello                   - Si, si. Non sono più abituato a camminare per queste strade. Manco di allenamento (Siede). Ma non bisogna lamen­tarsi. Tutto costa fatica, si sa. E tutto è grave. Bisogna pensarci due volte prima di raccogliere una foglia da terra.

Il Bambino                    - Che vuol dire? (Siede ai suoi piedi).

Il Fraticello                   - Non badare a ciò che dico. Parlo tanto per ricordarmi di pensare. La mia vecchia testa se n'è dimenticata da un pezzo. (Pausa) Dio sa come sia difficile dar principio a una cosa! Non so proprio da che parte cominciare. Se potessi esserlo, sarei molto infelice. Vedi un po' che pasticcio! È inutile, tutte le volte che si scende quaggiù non si sa mai che pesci pigliare!

Il Bambino                      - È davvero tanto difficile stare al mondo?

Il Fraticello                      - Quando scenderai sulla terra per restarci, me ne saprai dire qualche cosa.

Il Bambino                      - Ai tuoi tempi forse era diverso... Io invece ho già capito che ci starò benis­simo... Farò il macellaio...

Il Fraticello                      - Con l'educazione che ti abbia­mo dato, c'era da sperare qualche cosa di meglio...

Il Bambino                      - Perché? Ho visto il macellaio che dormiva. Aveva dei bei sogni.

Il Fraticello                      - Tutti sono capaci di avere dei bei sogni quaggiù. Ma non contano. Qui con­ta la realtà. Proprio il contrario che da noi. (Si alza) Andiamo. È tardi.

Il Bambino                      - No. Restiamo ancora un poco...

Il Fraticello                      - A quest'ora dovresti già esse­re a letto. L'aria della notte fa male ai buoni ragazzi.

Il Bambino                      - (che si è avvicinato alla siepe) Non mi importa niente di essere un buon ra­gazzo. Mi piace l'aria della notte e vorrei giocare, vorrei arrampicarmi su gli alberi e da lassù sputare sulla testa alla gente... Ho voglia di rotolarmi per terra, di strappare l'erba e di tirare sassi agli uccelli...

Il Fraticello                      - Misericordia! Ma che cosa ti prende?

Il Bambino                      - Non lo so. Ho il fuoco sotto i piedi...

Il Fraticello                      - Me ne accorgo. (Il Bambino Ha afferrato dei sassi e ha incominciato a lanciarli in tutte le direzioni) Andiamo, sii buono. Finiscila. Bada che ti lascio solo. (Desolato) Macché... Ha il diavolo in corpo. Mi toccherà benedirlo.

Il Cacciatore                    - (che è stato colpito da un sasso, con voce assonnata) Ah! Maledetta la mi­seria! Chi si diverte a lanciar sassi a quest'ora? (Appare dietro alla siepe) Ah, sei tu, figlio di un cane! (Scavalca la siepe e si ac­costa, mentre II Bambino si è rifugiato die­tro le spalle del vecchio) Non hai paura che ti cacci una pallottola nella pancia?

Il Bambino                      - Ah! Ah!

Il Cacciatore                    - Ridi? Adesso ti servo io!

Il Fraticello                      - Lasciatelo stare, signore. Tan­to, sarebbe inutile. Sprechereste le cartucce. Noi non siamo di questa terra...

Il Cacciatore                    - Vagabondi? Tanto meglio. Vi consegnerò alle guardie.

Il Bambino                      - Ah! Ah!

Il Cacciatore                    - Ancora? Fate star zitto quel moccioso, o sarò costretto a rompergli le ossa in vostra presenza.

Il Fraticello                      - Avete ragione, signore. È as­sai impertinente, ma abbiate la bontà di scusarlo. Non vi disturberà più perché noi ce ne andiamo subito... Bisogna che mi gui­di perché sono cieco: veramente soltanto qui... Altrove ci vedo benissimo. Non mi trovo al mio posto... Insomma, è necessario che noi ce ne andiamo al più presto per evitare di essere riconosciuti. Buona notte.

Il Cacciatore                    - Un momento! Questo discorso non mi persuade... Cosa ci fate in questi pa­raggi?

Il Fraticello                      - (con un certo imbarazzo) "Ec­co... Io sono venuto a studiare gli abitanti...

Il Bambino                      - (con aria petulante, da dietro le spalle del vecchio) È un santo e vuol fare un miracolo!

Il Cacciatore                    - (prendendo un'aria grave) Sen­ti! Senti! È vero quel che dice questo ra­gazzo?

Il Fraticello                      - (modesto) Eh, sì, signore. È vero.

Il Cacciatore                    - Voi siete un santo?

Il Fraticello                      - Sì, signore, un'anima santa.

Il Cacciatore                    - (dopo aver brevemente riflettu­to) Allora perché non portate l'aureola? .

Il Fraticello                      - Ma... veramente non ho an­cora ricevuto la nomina.

Il Cacciatore                    - Allora non potete fare dei mi­racoli, caro mio. È severamente proibito.

Il Fraticello                      - (Umile) Si, signore. Lo so. Infatti non mi permetterei mai di fare un miracolo a Roma. Ma qui, in un paese sper­duto, con della gente semplice, la cosa può passare fra me e loro senza che se ne sappia niente nelle alte sfere.

Il Cacciatore                    - Ah, capisco... Contrabbando... Avrai delle noie, vecchio mio... E se ti sco­prono con le mani nel sacco?

Il Fraticello                      - (con fede) Dio non lo permet­terà perché io voglio fare del bene al pros­simo.

Il Cacciatore                    - Già. Naturalmente. Ma ne sei proprio sicuro?

Il Fraticello                      - Era la mia intenzione anche quando ho promesso questo miracolo, giusto cento anni fa.

Il Cacciatore                    - Beh, se è un'intenzione vecchia...

Il Fraticello                      - La cosa è andata così. Ero in punto di morte e i poveretti che mi stavano intorno mi guardavano come se io potessi far piovere su di loro chissà quale grazia. Non ho saputo resistere. E ho promesso un mi­racolo per un secolo dopo nell'anniversario della mia, morte. È oggi... Allora avrei vo­luto dare a tutti la felicità e la pace. Questo, lo riconosco, è stato un peccato d'orgoglio perché se non ci pensa il buon Dio, non può certo pensarci un povero frate di campagna. Ma in quel momento li amavo tanto, i po­veretti, che ho promesso di più di quello che avrei potuto mantenere. Il Signore per que­sto mi ha permesso di tornare: per la buona intenzione.

Il Cacciatore                    - Ah! Ah! Le buone intenzioni! Io ci cammino dall'età della coscienza sulle buone intenzioni!

Il Bambino                      - Andiamo via... Ho paura...

Il Cacciatore                    - È straordinario... Il ragazzino mi ha riconosciuto e tu no. Eppure venivo a trovarti spesso nella tua cella. Per queste cose dovresti vederci, no? È vero che ho cambiato i connotati da allora... Zoppicavo un poco e avevo una magnifica coda... Mo­de del passato... Ora neppure S. Pietro po­trebbe distinguermi da un comune cacciato­re... (Pausa) Non ci siamo ancora? Non c'è proprio nessuna soddisfazione a fare dello stile con voi! Attento! (Il Bambino piange. Il Cacciatore con improvvisa agilità salta dietro II Fraticello e chinandosi all'uno e all'altro orecchio del vecchio, soffia con un ghigno) Non è vero!... Non ci creder»... Non esiste...

Il Fraticello                      - (alzandosi di scatto) . Ah! Vade retro! Ora ti riconosco, birbante! In nome... (Alza la mano come per fare il segno della croce).

Il Cacciatore                    - (quasi gridando) . No! (Poi, ra­gionando) No. Lascia andare, ti prego. A che prò' obbligarmi ad andarmene adesso? Ormai tra noi tutto è finito. E poi siamo qui in incognito. Perché vogliamo farci cat­tivo sangue? Anch'io vorrei parlare una vol­ta tanto a cuore aperto. (Sospira) Non puoi immaginare come sia faticoso il mio mestie­re! Sono stato allettato dal mio primo suc­cesso: quella volta del pomo con Adamo ed Eva! Se avessi potuto prevedere il seguito, ti assicuro che avrei insegnato alla ragazza il sistema per non avere figli...

Il Fraticello                      - Vergognati di parlare cosi da­vanti a un innocente!

Il Cacciatore                    - Hai ragione. Io rispetto sem­pre i ragazzi. Tanto poi crescono. (Al ra­gazzo) Allora, caro, va a giocare. Troverai dei bei nidi da colpire con i sassi. Mi sem­brava nel dormiveglia di averti sentito espri­mere questo nobile desiderio...

Il Fraticello                      - Tutta colpa tua... Eri nelle vicinanze...

Il Cacciatore                    - Siamo d'accordo. Va, va, ca­rino, a giocare. Eccoti il fucile.

Il Fraticello                      - Non voglio che uccida!

Il Cacciatore                    - Non aver paura: è scarico. Io preferisco andare a caccia con il vischio. (Al ragazzo) Vattene pure con la santa bene­dizione. Levati dai piedi, moccioso!

Il Bambino                      - (spaurito) Posso, nonno? (Il Fraticello annuisce. Il Bambino scappa).

Il Cacciatore                    - (sedendo pesantemente ride) Nonno! Ah! Ah! Ti fai chiamare nonno! Per tutta la vita mantengono il voto di castità e poi s'inventano dei nipoti! In fondo siete dei borghesi... Vieni qui... (Lo tira verso la panchina e lo fa sedere). Non ti brucerò la tonaca... Mettiti a sedere... E parliamo un po' come due persone intelligenti.

Il Fraticello                      - Io non sono intelligente e rin­grazio Iddio di avermi fatto tanto stupido.

Il Cacciatore                    - (triste, dopo una pausa) Come t'invidio!

Il Fraticello                      - (si inchina verso di lui con gran­de pietà) Allora perché non ti penti?

Il Cacciatore                    - (si alza di scatto e si pianta da­vanti al frate con atteggiamento teatralmen­te corrucciato) Vecchio! Misura le parole! Rispetta la gerarchia. E non credere perché mi hai visto camuffato da cacciatore che io dimentichi la mia dignità! (Con tono improv­visamente dimesso) Se potessi pentirmi, non avrei certo aspettato il tuo consiglio! (Ri­prendendo come prima) Del resto, la mia mis­sione mi appassiona come a voi la vostra. Io amo la terra come tu ami il cielo. Tu vorresti che gli uomini fossero felici e io mi sforzo di renderli sempre più disgraziati. La terribile bellezza di una faccia solcata dalle lacrime, morsa e corrosa dalla malattia dalla fame, i vostri paffuti cherubini non/se la sognano nemmeno! Io sono dove la gènte geme, si ribella e si abbandona ai suoi/istinti selvaggi, nell'anarchia, nelle guerre, nelle carestie e nelle alluvioni, quando gli uomini e la Natura fanno a chi grida più forte... Là io respiro. Il mio regno è il relativo, il transitorio. Quello che arriva il più presto possibile allo scopo finale della decomposi­zione. Per questo ho dato un grande incre­mento alla macchina che crea e distrugge in un attimo... Io sono un artista! E sai qual'è il mio capolavoro? La faccia di un morto. Dunque non possiamo intenderci. (Il Frati­cello sternuta. Il Cacciatore, con altro to­no) Salute! Ma veniamo al sodo: tu vuoi proprio farlo questo miracolo?

Il Fraticello                      - Si... lo farò...

Il Cacciatore                    - Pensaci bene.

Il Fraticello                      - Ci ho già pensato durante il tuo discorso.

Il Cacciatore                    - Potevi almeno avere la corte­sia di avvertirmi. Avrei risparmiato il fiato.

Il Fraticello                      - Mi piacerebbe combinare qual­che cosa di puro, di ideale, di poetico...

Il Cacciatore                    - Ma, dico! Non ti vergogni a dire certe cose con l'umore che c'è in giro? Sarebbe un miracolo destinato all'insuccesso.

Il Fraticello                      - E allora perché ti scaldi tan­to? Dovresti esserne contento, tu!

Il Cacciatore                    - Non si vive di solo pane. Ti ho già detto che sono un artista. Un cattivo miracolo mi disgusta. Come un cattivo spet­tacolo.

Il Fraticello                      - C'è pur stato qualcuno che ha fatto delle cose belle e puramente ideali.

Il Cacciatore                    - Già, ma erano Shakeaspeare, Goethe, Calderon de la Barca.

Il Fraticello                      - Dio mi guardi dal confrontar­mi a questi signori! Soltanto che se l'allodola pensasse all'usignolo, non aprirebbe il becco. Invece tutte le creature della terra a modo loro possono cantare le lodi del Signore.

Il Cacciatore                    - Purtroppo. Perciò canta anche il tacchino. Dà retta a me. Dal momento che siamo sulla terra, metti le mani suJe belle e grandi passioni della terra. Risana il malato, fa impiccare il cattivo... Insomma, quello che credi purché sia una cosa umana, vera, palpabile. Il tuo miracolo poetico non interesserà nessuno.

Il Fraticello                      - (pensoso) Sì. Lo so. Col genere di storia che vorrei inventare, rischio l'im­popolarità...

Il Cacciatore                    - E ti giochi la canonizzazione...

Il Fraticello                      - Eppure da alcuni segni mi par di capire che la gente è matura per accetta­re le favole dello spirito...

Il Cacciatore                    - Storie! Senza il dolore, il con­flitto, non si fa niente di buono. Io sono il miglior critico per questo genere di cose e so quello che ci vuole...

Il Fraticello                      - Io credo invece che tu sia di­ventato vecchio.

Il Cacciatore                    - Ma sì! Dì addirittura che sa­rebbe ora che mi facessero accademico...

Il Fraticello                      - Non lo sei già?

Il Cacciatore                    - Sicuro. Credi proprio che sia sempre in abito da cacciatore?

Il Fraticello                      - Mi congratulo. Hai fatto pro­prio una bella carriera.

Il Cacciatore                    - E mi appassiona. Vedi? Mi appassiona tanto che vedrò io di dare al tuo miracolo il colpetto necessario a farne forse un'opera d'arte.

Il Fraticello                      - Se mi riuscirà come dico io, non potrai metterci niente di tuo.

Il Cacciatore                    - E sia. Accetto la sfida. A cia­scuno il suo canto. A te le lodi dell'ideale, a me quelle della realtà. Ci rivedremo qui al termine di questa giornata. Addio. (Chia­mando) Ragazzo! Ridammi il fucile. Oggi­giorno il prestigio dell'uomo riposa sulla can­na del suo fucile. Anche se è scarico. (Com­pare Il Bambino) Buona notte (Scompare dietro la casa).

Il Bambino                      - Nonno, chi è quell'uomo?

Il Fraticello                      - Un pessimista.

Il Bambino                      - Non mi piace.

Il Fraticello                      - Dovresti compiangerlo. Pensa che il sole sorge per la più piccola pietra grigia del torrente e non per lui. Ma vieni. Il gallo sta per cantare.

(Vanno via. Per non smentire le parole del Fraticello un grande gallo verde avanza sul tetto della casa e canta il suo saluto mattu­tino. Pausa di buio). (Il cieco comincia a suonare la fisarmonica con ritmo celere. Te­ma del pettegolezzo. Indi la piena luce del mattino avanzato scopre sulla strada le tre Beghine che vengono da destra e che sì fer­mano come streghe nel mezzo della scena-Nere, grifagne, maligne. Rapidissime nel par­lare, nel ritmo della musica, quasi a melologo. Da un albero presso la casa pende un palloncino colorato).

ia Beghina                       - Che brutta messa!

2* Beghina                      - Non ho mai visto tanta gente in chiesa

33 Beghina                      - Quando c'è qualche cosa da ro­dere...

2a Beghina                       - In vista del miracolo...

33 Beghina                      - Già.

2a Beghina                       - Si sa.

13 Beghina                      - Sempre così.

2» Beghina                      - Ma ci vuol altro!

33 Beghina                      - Correre in chiesa all'ultimo mo­mento!

13 Beghina                      - Per fortuna, Nostro Signore... (Inchino e segno di croce con bacio del dito dì tutte e tre insieme),

2» Beghina                      - Sa quel che fa.

33 Beghina                      - Conosce chi frequenta la sua casa.

ia Beghina                       - Riconosce il merito.

3a Beghina                       - E lo premia.

ia Beghina                       - È così.

2a Beghina                      - Però... che sfacciataggine!

ia Beghina                       - Pretenderebbe la grazia questa gente sconosciuta a Nostro Signore! (Inchino e segno di croce insieme come prima).

33 Beghina                      - Questa gente che si è sposata...

2a Beghina                       -Ha fatto dei figli...

ia Beghina                        - Con licenza parlando...

3a Beghina                       - Carica di peccati...

2a Beghina                       - Ora che c'è un premio...

ia Beghina                        - Già! Pretenderebbe!

33 Beghina                      - Un miracolo a gente simile!

ia 2a 33 Beghina              - (insieme) Sarebbe uno scan­dalo! (Fanno due passi poi si raggruppano di nuovo).

13 Beghina                      - Avete visto le autorità?

23 Beghina                      - In prima fila!

33 Beghina                      - Ma chi vogliono ingannare?

ia Beghina                        - Noi no di sicuro.

2a Beghina                       - E sotto ' gli scialli le braccia nude!

33 Beghina                      - Vede sotto gli scialli Nostro Si­gnore! (Si segna e inchina come sopra).

2a Beghina                       - Oh, se vede!

ia Beghina                       - E la figlia del podestà che se n'è andata al Primo Vangelo?

33 Beghina                      - Con quell'aria triste!

2a Beghina                      - Il cuore del giusto è lieto!

33 Beghina                      - E la moglie del farmacista che sorrideva sempre in giro?

ia Beghina                        - In chiesa!

ia 23 33 Beghina             - (insieme) Che vergogna! (/ due vecchietti Anselmo e Giulia escono dalla porta dell'Istituto e vanno sino al can­cello con il passo di chi ozia in un giardino ma è in attesa di qualcuno. Attraverso il cancello o al disopra della siepe avviene il dialogo).

la 2a 33 Beghina              - (insieme con grande sorriso) Buongiorno!

Anselmo                          - Buongiorno.

Giulia                               - Buongiorno.

ia Beghina                       - Bella giornata, eh?

Giulia                               - Si. È vero.

2a Beghina                       - Il giorno del miracolo!

3a Beghina                       - Certo non abbiamo diritto...

2a Beghina                       - Ognuno sa i fatti suoi...

ia Beghina                       - (ansiosa) Ma qual'è il miracolo che sperate per voi?

2a Beghina                       - (ansiosa) Qual'è?

33 Beghina                      - (ansiosa) Eh?

Giulia                               - Ma... nessuno. Non sapremmo pro­prio cosa chiedere al buon Dio. È vero, An­selmo? (Lo prende per mano).

Anselmo                          - Si. Proprio non sapremmo. (Si ri­tirano in dentro e siedono su di una panchina all'estrema sinistra rimanendo immo­bili. Le tre Beghine rimangono senza fiato poi si guardano e dicono insieme).

ra 23 33 Beghina             - (insieme) Che scandalo! (Riprende a tempo la musica del cieco).

ia Beghina                        - Non sanno cosa chiedere!

2a Beghina                       - Questa è un'eresia!

33 Beghina                      - Bella e buona!

ia Beghina                        - Proprio loro, poi!

2a Beghina                       - Dovrebbero intanto chiedere la grazia di un po' di cervello!

ia Beghina                        - Dopo che tutta la loro vita è un peccato!

33 Beghina                      - Peccato d'illusione. Inventarsi un figlio!

ia Beghina                       - Trent'anni d'insulto al Signore! (Si segnano come sopra).

33 Beghina                      - E alla sua Santa volontà!

ia 23 33 Beghina             - (insieme) Che sempre sia lodata!

2a Beghina                       - Hanno offeso la misericordia di Dio.

ia Beghina                        - Ne riferiremo a Don Erminio.

2a Beghina                       - Giusto.

33 Beghina                      - Che tempi!

13 Beghina                      - Che costumi! (Risate di ragazze dal bosco).

2a Beghina                       - Andiamo! Ecco i peccatori...

3 Beghina                        - Dio, abbi pietà di noi tue peco­relle dilette.

ra 23 Beghina                  - Così sia!

                                        - (Il cieco smette la musica. La y Beghina che nel dire la sua ultima battuta aveva al­zato gli occhi verso gli alberi, improvvisa­mente si porta una mano all'occhio per pu­lirlo di qualche cosa che vi è caduto e dice) :

3" Beghina                       - Oh, maledetti! Dappertutto van­no a fare i nidi! (Va tutte e tre da sinistra seguite dal cieco mentre dal bosco si odono le risa e il rumore dei passi e le voci delle ragazze che entrano correndo: Ermellina, Melina, Linda, Tru­ce. Quest'ultima, in testa alle altre, corre dritta ad un albero e alzandosi in punta di, piedi trae da un piccolo cavo un biglietto che subito spiega mentre le altre si chinano a leggere con lei curiosamente).

Linda                               - (leggendo staccato) . Ti aspetto domani sera al solito posto.

Ermellina                         - E basta?

Trude                               - (intascando il biglietto dice con civet­teria) . Il resto... me lo dice a voce.

Ermellina                         - Già. Così domani sera quando torni a casa... sai di tabacco! Come l'altra sera... (Ermellina, Trudee Linda ridono).

Trude                               - (con finta dignità) Che cosa vuoi d-re? Eh?

Ermellina                         - Lo sai benissimo, va!

Trude                               - (con gioia semplice). È  vero, lo so.

Linda                               - Anch'io ho capito.

Melina                             - Dio! Dio! Povera me! Io non ho ca­pito niente.

Linda                               - Sei troppo giovane, tu.

Melina                             - No, ditemelo! Che vuol dire?

Ermellena                        - Sta bene attenta. Trude non fu­ma, è vero?

Melina                             - Eh, lo credo! Mica è un uomo!

Ermellina                         - Brava, Melina. Eppure certe sere sa di tabacco... Capisci?

Melina                             - (Pausa) Dio! Dio! Come sono disgra­ziata! Non capisco!

Linda                               - Ma che ci fai con la testa?

Melina                             - Con la testa? Perché ?

Ermellina                         - Non la confondere, Linda. (A Melina) Bada a me. Hai detto che solo gli uomini fumano.

Melina                             - Io?

Ermellina                         - Adesso, Melina, ti dò degli schiaf­fi. L'hai detto ora tu stessa.

Melina                             - Ah, sì! L'ho detto.

Ermellina                         - Oh! Dunque, se sono gli uomini che fumano e Trude alle volte sa di tabacco, vuol dire... eh?...

(Pausa. Tutte guardano Melina che, a bocca aperta, inespressiva, si sforza invano di ca­pire)

Trude                               - (spavalda) Oca. Vuol dire che un uomo mi bacia. Questo. (Indica il biglietto e lo ripone in tasca).

Melina                             - (stupefatta) Oh!...

Linda                               - Adesso, però, cerca di andarlo a rac­contare !

Melina                             - No, no...

Ermellina                         - È un segreto, capisci?

Melina                             - Morirò, piuttosto che tradirlo.

Trude                               - Forse non ci sarà bisogno che tu muoia. Tra poco, in primavera, lo diremo.

Ermellina                         - Davvero? Siete già d'accordo?

Trude                               - Sì. Me l'ha detto oggi.

Ermellina                         - Racconta.

(Trude guarda perplessa verso la chiesa. Er­mellina, rassicurandola).

Ermellina                         - Sta tranquilla. In questi giorni nessuno bada a noi. Dicci come è andata l'altra sera col tuo cacciatore... (Siedono sull'erba).

Melina                             - Ah! È un cacciatore!

Linda                               - (con disprezzo) Uh! Un cacciatore!

Trude                               - Ma mica lo fa per mestiere. È un signore.

Melina                             - E com'è? Com'è?

Trude                               - Giovane. Alto. Bruno. Forte, Corag­gioso.

Ermellina                         - È così...

Trude                               - Ma tu non puoi averlo mai visto, Er­mellina. Non è di qui. È di Anterselva. Die­tro la montagna.

Ermellina                         - No, forse non l'ho mai visto. Vo­levo dire che un cacciatore che fa l'amore con una ragazza è sempre giovane, alto, bru­no, forte e coraggioso.

Trude                               - Dev'essere vero. Dunque, l'altra sera sono salita su in alto, verso il Dente del Cimone, dove avevamo appuntamento dall'al­tra settimana.

 Melina                            - E ti ha badato! Bellissimo!

Ermellina                         - Quanto sei stupida, Melina! Pri­ma l'avrà salutata come un cavaliere.

Trude                               - Si. Mi ha detto: « Sembri una capra selvatica! » (Ride) Ha detto proprio cosi!

Linda                               - Magnifico!

Trude                               - E sapete io che cosa gli ho risposto? Gli ho risposto: « No, Antonio, non è vero. Perché se ti sembrassi una capra selvatica tu mi spareresti con il tuo fucile! »

Linda                               - Ben detto, per bacco!

Ermellina                         - Tu sì, Trude, che sai far l'amore!

Melina                             - (sospirando, quasi con voce di pianto) Beata te!

Linda                               - Beh! Cos'hai adesso?

Melina                             - Ho che... io rimarrò zitella. È troppo difficile, per me, l'amore! Valle un po' a tro­vare li per lì deverisposte s'mT!

Trude                               - Ma no! Vedrai che piano piano... An­che a me prima sembrava impossibile... Guar­da... fino all'anno scorso.

Linda                               - E poi? Racconta.

Trude                               - E poi mente... Mi ha bacato e mi ha detto... Sì, di sposarci a primavera... e mi ha dato una stretta che... guardate. (Mostra la sballa) Mi ha mezzo rovinata una spalla! (Ride).

Ermellina                         - Sei fortunata, Geltrude!

Trude                               - Oh, non dire così, Ermellina! Anche tu, si sa...

Ermellina                         - (scattando) Che cosa si sa? (Le altre tacciono) Eh! Cosa? Forse perché un ricco bovaro mi ha chiesto io devo essere in­namorata di lui?

Trude                               - Ma Pietro non è un bovaro, Ermellina. E’ un sensale.

Ermellina                         - Peggio.

Trude                               - Però è giovane...

Linda                               - Non è brutto...

Ermellina                         - Ah, non è brutto? E che me ne faccio di uno che « non è neppure brutto »?

Trude                               - È buono

Linda                               - Si dice che ti voglia molto bene...

Ermellina                         - Quando viene a casa, mangia, beve, ride forte e parla di buoi con mio pa­dre... Poi prende una seggiola e si mette accanto a me...

Trude                               - E tu non senti niente?

Ermellina                         - Sì: che la seggiola scricchiola per il suo peso... (Scatto improvviso) Mai! Ca­pite? Mai! preferisco morire... (Pausa) Già; io sono tanto disgraziata che finirò per forza col morire...

Voce di

Giulia                               - Ermellina! (Le ragazze am­mutoliscono).

Ermellina                         - (smarrita) Chi è!

Trude                               - Hai paura degli spiriti, stupida! È la vecchia pazza al di là del muro. Cosa di­cevi? Ah, sì, che finirai col morire...

Melina                             - Oh, non dire così!

Ermellina                         - Voi non potete capire, perché nessuna di voi è così... ecco, è così male­detta come me.

Melina                             - Maledetta? E com'è?

Ermellina                         - Sì. Quando nessuno ci vuol be­ne... nessuno ci capisce... quando non si ar­riva mai a vedere una trota nel lago, men­tre tutti, tutti la vedono... quando si corre incontro alla mamma per abbracciarla e le si dà invece per sbaglio un calcio in una gamba... Quando ci si guarda allo specchio e ci si trova antipatiche... Ecco. Allora vuol dire che si è maledette... che questo mondo non è fatto per noi... Non ci vuole. Capite?

Melina                             - Anch'io non sono mai riuscita a ve­dere una trota, nel lago... Però ho visto un luccio.

Ermellina                         - Ecco. Io nemmeno un luccio. Sa­peste quante volte penso invece di buttarmici io nel lago!

Linda                               - Di notte?

Ermellina                         - No. Di giorno. Di notte mi ver­rebbe troppo freddo. (Pausa) Ho sempre re­sistito. Ho detto « no, aspettiamo domani. Forse cambierà ». Ma ormai non posso più aspettare. Sto diventando vecchia.

Trude                               - Sicché non ti vuoi sposare?

Ermellina                         - No. Dio non può permettere che mi sposino a Pietro! Ma se lo permettesse vorrebbe dire che neppure lui vuol bene a Ermellina... e che non la vuole più vedere sulla faccia della terra insieme alle altre ra­gazze.

Trude                               - Ti ammazzeresti?

Ermellina                         - Sì. Però ho ancora una speranza.

Linda                               - Quale?

Ermellina                         - Non so. Una speranza.

Melina                             - Forse dovrebbe morire Pietro.

Ermellina                         - Forse. Ma accadrà qualche cosa. Alle volte mf pare di esserne sicura. Mi sveglio al mattino e dico « ecco, è oggi ». Oppure vado nel bosco e spio dietro le pian­te pensando « è adesso »... O corro incontro al postino...

Trude                               - C'è qualcuno che ti potrebbe scrivere?

Ermellina                         - No. Ma non sì sa mai... È una cosa nuova che aspetto. E se è nuova non la posso sapere prima...

Trude                               - Mi dispiacerebbe che tu fossi costretta a... sì, a fare quella cosa.

Melina                             - Anche a me, Ermellina. Te lo giuro. (Si bacia le dita in croce) Ma se proprio tu dovessi morire... ti prometto che porterò il lutto.

Ermellina                         - Non m'importa del lutto. Anzi, solo al pensiero che i miei lo porteranno e piangeranno, mi viene rabbia. Sembrerà che io l'abbia fatto per fare una cattiveria. Men­tre Dio sa che io sarò stata costretta a mo­rire. ..

Voce di Giulia                 - Ermellina!

Linda                               - Ancora! Si è. fissata, la vecchia...

Ermellina                         - Perché mi chiama?

Trude                               - Ci ha chiamate tutte, una alla volta.

Ermellina                         - (trasognata) A me no. Mai.

Trude                               - Perché sei troppo giovane. Ma adesso comincia con te. Ti racconterà tutta la sto­ria del figlio che invece non è mai esistito...

Ermellina                         - Li ho visti tante volte tutti e . due. Si tengono per mano come i bambini. Non sembrano matti.

Trude                               - Ma appena parlano del figlio... Ve­drai... Ti ricordi, Linda, quando eri la sua fidanzata?... quell'anello che ti ha regalato Giulia... Che cosa ne hai fatto?

Linda                               - Me l'ha preso mia madre e lo porta nei giorni di festa. C'era sempre qualche cosa da rosicchiare a essere la fidanzata del figlio. Ma adesso... non hanno più niente.

Melina                             - Tu hai avuto sempre un debole per i matrimoni d'interesse.

Trude                               - (indicando Ermellina) Invece lei è disinteressata. È poetica...

Melina                             - Perché non ci vai tu, a parlare con loro? Può darsi che troverai quello che cer­chi. (Ridono).

Linda                               - E Pietro lo lascerai a noi.

Ermellina                         - Magari!

Trude                               - Ipocrita. Tu sei di quelle che sposano per interesse e poi si fanno l'amante.

Ermellina                         - (quasi piangendo) Allora... se pensate così perché state con me?

Linda                               - Stupida! Non te la prendere; è tutta invidia.

Voce di Giulia                 - Ermellina!

Ermellina                         - Vado a vedere che cosa vuole. (Suono di campanella).

Trude                               - Troppo tardi! Ormai escono tutti gli altri dal refettorio. Vieni con noi. (Si av­viano a destra).

Melina                             - Non da questa parte! Arrivano i pezzi grossi. Guarda... Tua madre e gli al­tri... Salvati Ermellina.

(Le ragazze sciamano via ridendo. A sinistra i tre vecchi e le tre vecchie si raggruppano intorno alla Suora uscendo dalla casa in giardino).

La Suora                          - Mi raccomando: state attenti. Quando vi domanderà che cosa mangiate...

I Vecchi e le Vecchie      - (in coro) Carne!

La Suora                          - Bene. Carne in abbondanza. E alla domenica il dolce. Mi raccomando alle donne di non raccontare le vecchie storie di fami­glia che non interessano nessuno. Già, non ce ne sarà il tempo. Presto, al lavoro,

i" Vecchio                        - (arrancando al suo posto) Una volta quando venivano le Autorità bisogna­va far finta di riposare. Adesso si deve far finta di lavorare. Mah! Tutto cambia! (Entrano da destra il Podestà seguito dall’ispettore delle feste, dal Segretario co­munale, dalla Moglie).

II Segretario                    - (indicando il lampioncino ap­peso al tetto) . Questo è ufficialmente il limite dei tripudi comunali. Dico ufficial­mente perché , nonostante il fatto che le lampade elettriche e i palloncini colorati ab­biano qui termine, purtroppo la gente r;de e canta anche al di là di questa zona.

L'Ispettore                       - Mi dispiace, signor Segretario comunale, ma nella m:a qualità di Ispettore delle feste, non posso che congratularmi dell'incremento spontaneo della coscienza festi­va provinciale.

Il Podestà                        - (intervenendo) È più che giusto, signor Ispettore, che voi la pensiate così, data la vostra carica. È il vostro dovere... (Ride).

Il Segretario                     - Dal momento che parlate di dovere, ebbene allora lasciatemi dire che anche le musiche, i mortaretti, le girandole e le illuminazioni speciali, dovrebbero essere accolte come un dovere dalle popolazioni. E non come occasioni per dare libero sfogo a un'allegria sempre ingiustificata nella vita umana.

La moglie del Podestà     - Adalberto, forse il signor Ispettore desidererà bere qualche cosa, prima di far colazione. (La Suora sbircia dal cancello. Intona un canto battendo il tempo con le mani. Voci bianche e tremanti la seguono). Canto: Sia lode a Te, o Signore, che ci hai dato la gioia e la fé. Ci nutrica la pace e l'amore, nell'attesa di unirci con Te.

L'Ispettore                       - No, grazie, signora. Contraria­mente ad altre cariche pubbliche, la mia ha bisogno di una rigidissima sobrietà. Altri­menti io lascerei ogni giorno in una nuova festa brandelli del mio fegato. Chi è che si lamenta così?

Il Podestà                        - Sono i ricoverati che esprimono il loro giubilo per la vostra visita. Sono stati avvertiti da me...

L'Ispettore                       - Andiamo subito. È straziante... (// Podestà suona al cancello. Il canto cessa. La Suora apre. I Vecchi continuano macchinalmente il loro lavoro come mario­nette).

La Suora                          - (lasciando passare le tre Autorità) Benvenuti! Noi non eravamo preparati. Ve­dete, stanno lavorando. Cantano sempre quando lavorano. (Pausa) Volete che rico­mincino?

L'Ispettore                       - No, grazie. Sarà per un'altra volta. Vorrei soltanto dare un'occhiata da fuori per vedere come si può illuminare per la festa.

La Suora                          - (delusa) Come volete...

(Accompagna verso la casa il Podestà, /'Ispettore, il Segretario comunale e la moglie del Podestà. / Vecchi rimangono verso il proscenio, mentre le Autorità guar­dano in su, tetto e finestre).

io Vecchio                       - Ecco uno che non ha paura di infischiarsene di noi. Meglio così. Almeno ci lasceranno tranquilli. Sono tutto sudato... Una volta potevo lavorare delle giornate in­tere...

2° Vecchio                       - Il tempo passa.

3° Vecchio                       - Ci hai messo ottanta anni a fare questa bella scoperta.

(Ora la Suora si stacca dalle Autorità e viene verso i Vecchi).

io Vecchio                       - (indicando Giulia e Anselmo) Hai visto? Hai visto i principi del sangue... Non si muovono loro! Sono qui come in un albergo.

La

Suora                               - (guardandoli con diffidenza) Non vi annoiate, sempre così soli?

Anselmo                          - Noi non siamo mai soli, Suora madre.

La Suora                          - Ah, già... dimenticavo.

(Il Podestà da lontano accenna ad Anselmo e Giulia, parlottando piano «^'Ispettore, che guarda anch'egli incuriosito).

L'Ispettore                       - (venendo con gli altri verso i Vecchi) Bene, bene. Illumineremo dal tetto.

Il Podestà                        - (sottovoce) Sono quelli. La loro pazzia è che credono di avere un figlio. Per pietà li abbiamo messi qui all'ospizio. (Allu­dendo ad Anselmo e Giulia) Suora, chia­mateli voi.

La

Suora                               - Sì, signor Podestà. Giulia! Ansel­mo! Avvicinatevi, il signor Ispettore vuol conoscervi.

L'Ispettore                       - (distratto) Ecco. Ecco... Voi vi chiamate Giulia e voi Anselmo...

Anselmo                          - E volete che sia il contrario?

L'Ispettore                       - (si guarda intorno contrariato) Naturalmente... E vi trovate bene, qui?

Giulia                               - Sissignore. Qui o un altro posto è lo stesso.

ia Vecchia                        - Qui ci troviamo tutti bene...

i° Vecchio                        - Mangiamo sempre carne...

Il Podestà                        - (per aiutare /'Ispettore che non sa cosa dire, rivolto ad Anselmo e Giulia) E vostro figlio dov'è? (/ Vecchi e le Vec­chie sogghignano).

Giulia                               - È partito.

L'Ispettore                       - Per sempre?

Giulia                               - Che discorsi! Credete che saremmo ancora vivi se fosse partito per sempre?

La Suora                          - Parlate rispettosamente.

Anselmo                          - Sissignore. Scusatela. No, non è partito per sempre. Ritornerà, oggi o do­mani.

L'Ispettore                       - Ma che razza di figlio è se vi lascia finire in un ospizio?

Anselmo                          - Che razza di figlio?... Voi non lo conoscete, signore, non potete accusarlo. Luì non sa che noi siamo qui. Non gli abbiamo scritto niente per non rattristarlo.

L'Ispettore                       - Già capisco... Del resto, verrà oggi o domani, non è vero?

Anselmo                          - Sissignore.

L'Ispettore                       - Allora tanti auguri, e buona for­tuna per voi e per lui.

(Saluti. La Suora accompagna al cancello i visitatori che se ne vanno da dove sono ve­nuti).

La Suora                          - Bravi! Avete risposto benissimo... Bice deve aver fatto molta fatica a tenere la lingua a posto. Ma sono contenta. (Anselmo e Giulia si avvicinano timida­mente).

Anselmo                          - Possiamo uscire un poco, Suora madre?

La Suora                          - (fredda) No. Avete tutto il giar­dino per passeggiare. (Rientra in casa).

i» Vecchia                       - Si sono fatti prendere in giro ab­bastanza, per oggi. Qua con noi, cari i miei principi. (Dà una piccola spinta a Giulia che barcolla).

Anselmo                          - Lasciatela tranquilla o vi rompo la testa.

io Vecchio                       - Almeno noi ce l'abbiamo, la te­sta! (Tutti ridono).

2a Vecchia                       - Bravo, Cecco... Spiritoso...

33 Vecchia                      - Sta zitta, civetta.

io Vecchio                       - Per colpa loro passiamo tutti per pazzi.

ia Vecchia                        - Ma loro non sono matti. Hanno inventato un bel sistema per campare alle spalle del Comune. Io avrei chiamato il fi­glio a mantenerli.

2a Vecchia                       - Avrei voluto vederli crepare di fame.

Giulia                               - Se nostro figlio avesse saputo che eravamo andati in miseria sarebbe venuto subito.

3a Vecchia                       - Voi non gli avete scritto per non rattristarlo, non è vero?

Giulia                               - Anselmo, perché hai detto quella bu­gia, sai bene che non abbiamo l'indirizzo.

3a Vecchia                       - Non t'illudere, Giulia, anche se tu avessi avuto l'indirizzo non sarebbe venu­to. Io ho fatto dieci figli. Figli veri, di carne ed ossa, non come il tuo... Eppure, eccomi qua. E ti assicuro che gli ultimi soldi li ho spesi per mandarli a chiamare. Non verranno neppure per accompagnarmi al cimitero. In questo, tutti i figli si assomigliano.

Giulia                               - Il mio no! Il mio no!

2° Vecchio                       - Ebbene, chiamatelo!

ia Vecchia                        - Se vi prendiamo in giro, se vi mettiamo le mani addosso, non avete che a chiamarlo.

Anselmo                          - Quando verrà gli racconteremo quello che ci avete fatto!

i° Vecchio                        - Tutto, mi raccomando.

2a Vecchia                       - I chiodi nella minestra.

20 Vecchio                       - La lucertola sotto il cuscino.

Giulia                               - Si, sì, e allora sentirete...

10 Vecchio                      - Uh, che paura!

2a Vecchia                       - Ci ammazzerà tutti! (Tutti i Vecchi sono addosso alla coppia, che cerca dì difendersi. Anselmo difende Giulia).

Anselmo                          - Lasciatela respirare! Andatevene! (/ Vecchi girano intorno a loro in una spe­cie di ballo grottesco sempre più stretto).

 10 Vecchio                     - Aspetta! Aspetta!

3a Vecchia                       - Campa cavallo!

3° Vecchio                       - Poveri pazzi!

20 Vecchio                       - Poveri scemi!

ia Vecchia                        - Oggi 0 domani!

2a Vecchia                       - Oggi o domani!

Giulia                               - Finitela! Mi gira la testa! Anselmo! Aiutami...

Ermellina                         - (che è entrata e ha seguito la scena dal cancello, si precipita come una furia in mezzo ai Vecchi) Basta! Non avete ver­gogna? Via di qua! Via di qua!

Anselmo                          - (smarrito) Noi non abbiamo fatto niente di male. Ci tormentano sempre.

Ermellina                         - Lo so... Riposatevi...

ia Vecchia                        - (ritirandosi con gli altri) Signo­rina...

Ermellina                         - Che signorina! Lo dirò a mio pa­dre. Vi farò cacciare tutti quanti. Via di qua! (/ sei Vecchi via nella casa, Ermel­lina, ai due vecchietti) Sono peggio dei bam­bini. Ma non s'impara niente a diventare vecchi? (A Giulia) Come state?

Giulia                               - Meglio... è passato. Grazie, signorina.

Ermellina                         - Non sapete il mio nome? (La Vecchia tace) Eppure poco fa mi avete chia­mato. Vi ho sentito. Avete chiamato: Er­mellina!

Anselmo                          - Adesso ha soggezione. Per questo finge di essersi dimenticata.

Ermellina                         - Che volevate da me?

Giulia                               - N:ente. Mi fa piacere chiamare un bel nome. E anche tu sei bela.

Ermellina                         - Non me ne sono mai accorta.

Giulia                               - Vuoi sedere qua in mezzo a noi?

Ermellina                         - (siede) Ecco...

Anselmo                          - Anche tu credi che siamo?... (Fa un piccolo gesto) ... Come dice quella gente?

Ermellina                         - No.

Giulia                               - Non importa... Ci credi anche tu. (Ride).

Ermellina                         - Perché ridete?

Giulia                               - Vedrai se siamo pazzi. Vedrai... An­che lui... (Indica Anselmo) ... da principio non ci credeva...

Anselmo                          - Si capisce!... Abbiamo aspettato tanti anni questo figlio inutilmente. Abbia­mo alzato per lui una "bella casa sulla col­lina. Adesso è diventata vecchia anche lei, ma allora...! E noi due soli. Sempre soli... Quando... finalmente...

Giulia                               - Sì, finalmente...

Ermellina                         - Non dovete pensare sempre a questo... Vi fa male... Io so di tanta gente che ha perduto una persona cara. Ebbene... per un po' di tempo piangevano... poi non ci pensavano più.

Giulia                               - Forse perché quella persona era morta.

Ermellina                         - E non potrebbe essere...

Giulia                               - (di scatto) No. Lo sentirei.

Anselmo                          - Lei sente sempre quando lui è in pena... Quando è malato e quando guari­sce... Sempre.

Ermellina                         - (stordita) E come può sentirlo da tanto lontano?

Anselmo                          - (alza le spalle) Lontano...

Giulia                               - E' facile... E' come avere dentro una vecchia cicatrice che ora diventa rossa... e fa male... E allora vuol dire che lui è in pericolo. E ora è chiara e neanche si sente... e vuol dire che sta bene ed è contento. A tutte le madri succede.

Anselmo                          - E poi... noi abbiamo i segni.

Giulia                               - Quando le cose si mettono a girarti intorno inquiete...

Ermellina                         - (nervosa) Spiegatemi... Mi fa pau­ra... E mi piace... Però stasera non avrò il coraggio di spegnere il lume prima di ad­dormentarmi. (Risatina nervosa).

Anselmo                          - (umiliato, offeso, ma grave, solenne) . Sta zitta, Giulia. Lei non capisce. È di quelle che vedono gli alberi, le nuvole, i sas­si... e credono che sia tutto lì... Che non ci sia niente altro, dietro. (Secco) Lo vedi quell'albero?

Ermellina                         - (diffidente, senza più sorriso) Si...

Anselmo                          - Stamattina era tutto acceso...

Ermellina                         - Sarà stata l'aurora.

Anselmo                          - (grave) Tu dici così perché sei una ragazza stupida. (Ermellina lo guarda, tra offesa e sbalordita) Sì, sì... sei una ragazza stupida, anche se sei la figlia del Podestà. (Riprende) L'albero voleva avvertirci di qualche cosa di bello... E vero, Giulia?

Giulia                               - (lieta) È vero.

Ermellina                         - (alza la testa con sforzo) Io... non ci credo.

Anselmo                          - E allora, che cosa ci stai a fare, qui? Perché non te ne vai? (Ermellina non si muove

Giulia                              - (dolce) Lo vedi? Ermellina non è una ragazza stupida. È che adesso si vergo­gna di pensare come noi, perché ha sentito come la gente ci prende in giro. Bisogna ca­pirla. Tu vuoi capire gli alberi e non le ragazze? No, Ermellina non è una ragazza stu­pida. (Ragionevole) E poi, certo, di giorno è difficile non essere stupidi.

Ermellina                         - È vero. Anch'io, di notte... SI, di notte spalanco gli occhi nel buio e mi metto ad ascoltare.

Giulia                               - E non senti niente?

Ermellina                         - Le cose sono furbe...

Giulia                               - È proprio così!

Ermellina                         - Trattengono il respiro... Sono là Ma a me non vogliono dir niente.

Giulia                               - Forse se tu non avessi paura esse ti verrebbero incontro. Prova...

Ermellina                         - A voi, com'è successo?

Giulia                               - Così... quando aspettavo il bambino. Un giorno stavo a] sole con  le mani così. (Prende l'atteggiamento della donna incinta) E ho sentito battere il mio cuore. E un altro piccolo battere ha risposto. Poi tanti altri intorno... Da tutte le parti... Da tutte. E ai miei piedi la terra anche, con un suono basso, profondo come un tuono. Facevano tanto chiasso che non ho potuto più distin­guere il mio cuore dagli altri... (Pausa) Ca­pisci? Non c'è stata più differenza, da quel momento.

Ermellina                         - E’ meraviglioso... Anch'io vorrei provarlo.

Anselmo                          - Aspetta. Quando sarai innamorata forse lo proverai.

Ermellina                         - Ho paura che non sarò mai inna­morata.

Giulia                               - (sorride) E possibile una cosa simile?

Ermellina                         - Così vogliono i miei genitori. Vo­gliono sposarmi con un uomo che io non posso soffrire.

Giulia                               - Peccato. (Pausa) Allora... Niente?

Ermellina                         - Niente? Che cosa volete dire?

Giulia                               - Se devi sposarti... È inutile... Se avessi potuto aspettare, chissà... (Pausa) Sai perché è partito?

Ermellina                         - No.

Giulia                               - Per una donna. Era fidanzato con una fanciulla come te, ma lei ha preferito sposare un uomo ricco.

Ermellina                         -  Io non avrei fatto così.

Giulia                               - Lei era debole. I bei vestiti... gli anelli... Sai com'è... Nostro figlio non sa che farsene del denaro...

Ermellina                         - Parlatemi di lui

Anselmo                          - (ride) Adesso vuoi, eh! L'avevo su­bito capito che eri venuta per questo...

Giulia                               - Non c'è niente da dire. È un uomo straordinario.

Ermellina                         - Perché? Che cosa fa di straor­dinario?

Anselmo                          - Niente. È straordinario senza far niente. Del resto... Lo vedrai. Che peccato, Ermellina, che tu sia fidanzata...

Ermellina                         - Non dite così! Mi fa male!...

Giulia                               - Perché non lo aspetti?

Ermellina                         - (come riassumendo il senso della loro scena, riassettandosi la veste e alzan­dosi) Perché sono giovane e... avrei trop­po da aspettare...

Giulia                               - Ascolta... Non senti?... Qualcuno che cammina fuori sulle foglie secche...

Ermellina                         - E il vento! (Pausa) Non avete freddo qua fuori? Il sole non riscalda abba­stanza. Rientrate. Io devo andare.

Giulia                               - Aspetta ancora un poco.

Ermellina                         - Che cosa volete che aspetti?

Giulia                               - Non senti di nuovo dei passi dietro al muro?... C'è qualcuno, là. (Lentamente passa un uomo davanti al cancello. È vestito come un vagabondo con la maglia chiusa fino al collo e la giacca sulle spalle. Il vian­dante si ferma e guarda attraverso il cancello) Ah! Anselmo, guarda! (Il Vecchio si volta e rimane sbalordito a bocca aperta)

Ermellina                         - (guarda ora luna or l'altro tre­mando in un crescente terrore) Che cosa c'è? Perché fate cosi? Chi è quell'uomo? (L'uomo spinge adagio il cancello) Non en­trate. Non fatelo entrare! Ho paura... (Giulia si precipita incontro allo sconosciuto allargando le braccia

Giulia                              - (piangendo) Figlio... Figlio mio! (Egli la guarda un momento poi la stringe sul cuore).

Anselmo                          - Sono diventato tanto vecchio che non mi riconosci?

Ermellina                         - (al colmo dell'emozione) Chi è? Chi è, quest'uomo!...

Anselmo                          - E imi Nostro figlio. Non ti avevo detto che sarebbe ritornato?...

Ermellina                         - (smarrita) È vero... L'avevate detto... È vero!... (Rimane ancora un istante come senza fiato a guardare il giovanotto, poi si mette a correre verso il paese gridan­do) Il miracolo! Il miracolo! Suonate le cam­pane! Il miracolo!

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto. Luce meridia­na. Nell'Istituto tutte le finestre sono chiuse. Dopo un poco si sente un passo affrettato. Ap­pare il Podestà, più rosso del consueto, che si avvicina al cancello e suona nervosamente il campanello. La Suora, cautamente, esce e va ad aprire. I due si guardano in silenzio.

Podestà                            - Che cosa significa questo scandalo?

Suora                               - Potrei domandarlo a voi, con tutti il rispetto.

Pdoestà                            - Con tutto il rispetto?

Suora                               - Si, se mi fosse permesso.

Podestà                            - Vi prego, non diciamo parole inu­tili. Che cosa volete domandarmi?

Suora                               - Veramente siete voi che volevate sa­pere qualche cosa... Ma infine... perché vo­stra figlia ha fatto suonare le campane?

Podestà                            - Non le ha « fatte suonare ». È en­trata come un bolide in sagrestia, così mi hanno detto, si è infilata nel campanile e ha tirato le corde. Delle campane normali non si sarebbero mosse; ma per economia di bron­zo le nostre sono così leggere che il vento basterebbe a farle suonare. Inoltre mia figlia dice che le è venuta una forza «sovrumana».

Suora                               - La signorina vostra figlia ha una gran­de fantasia...

Podestà                            - (compiaciuto) Oh, si. Per questo, nessuno la vince. Scrive anche dei racconti, delle novelle... Non so bene. Io non li ho mai letti perché ho altro per la testa, ma la sua maestra dice che sono straordinari. Può dar­si che diventi una scrittrice...

Suora                               - Ma intanto...

Podestà                            - Intanto ha messo sossopra il paese. Stavamo per sederci a tavola... Non vi dico poi come abbiamo mangiato. Io sono corso in chiesa. E ho trovato il parroco che aveva testé arrischiato la vita, perché , capirete, era a colazione quando sono suonate le cam­pane. Egli si mette a tavola dopo l'ultima messa. Per questo è la più breve di tutto il servizio. Dunque, era al secondo piatto e ha fatto giusto in tempo a inghiottire per tra­verso un pezzo di pollo, e pare, con tutto l'osso. Una cosa terribile. Ha dovuto chia­mare il dottore, il quale era in casa del far­macista. Veramente il farmacista era in far­macia. In casa c'era sua moglie... Sola.

Suora                               - Eh, capisco...

Podestà                            - Tutti hanno capito, Suora Madre. Una serie di guai. E proprio oggi che ci te­nevo a dimostrare che il paese è bene am­ministrato... Beata voi che avete fatto voto di castità... A voi non possono capitare tutte queste cose.

Suora                               - Come vedete, ci sono sempre i figli degli altri.

Podestà                            - (un po' offeso) . Beh non bisogna esa­gerare. Il mondo non può finire per questo. E poi, ecco il punto. Qualche cosa di auten­tico ci deve essere. Mia figlia non ha mai fatto così.

Suora                               - Voi non l'avete vista?

Podestà                            - Un momento mentre correva. Mi ha detto tutto senza fermarsi. Ho capito poco... Suora               - Giulia e Anselmo hanno trovato il figlio.

Podestà                            - E’ impossibile. Non è mai esistito.

Suora                               - Sarebbe appunto questo « il miraco­lo »...

Podestà                            - Mio Dio, è facile provare che essi sono sempre stati pazzi.

Suora                               - Non so se sarà poi tanto facile. Voi sapete che sono stati ricoverati qui per mo­tivi molto confusi. Pare che facesse gola a qualcuno la loro proprietà...

Podestà                            - (preoccupato) Brutto affare! Brutto affare !

Suora                               - E se verranno dalla città avvocati e dottori avremo tutti da perdere qualche cosa...

Podestà                            - Che cosa volete dire? Io non ho niente da perdere.

Suora                               - Non rosse altro che il vostro tempo prezioso per il bene del paese, signor Pode­stà, e la reputazione di vostra figlia... Si, nessuno sposa volentieri una ragazza che può mettersi a suonare le campane da un mo­mento all'altro... È come avere vicino una sonnambula.

Podestà                            - Troppo giusto... Troppo giusto. (Dopo una breve riflessione) Mandateli qui tutti e tre... No... Aspettate... Non vorrei compromettermi... Piuttosto, fate venire qui il più vecchio dei vostri ricoverati.

Suora                               - Posso pregarvi di non dirgli niente... Sì... del miracolo... I vecchi si spaventano subito... E la loro emozione si manifesta in un modo... poco piacevole, ve lo assicuro. Stanotte qui non si dormirà di certo?

Podestà                            - E i tre fenomeni dove li avete messi?

Suora                               - Nella nostra chiesetta. Da un pezzo non vi si celebra più messa. Da quando ce n'è un'altra che promette miracoli, sul monte. (Via).

Podestà                            - (tra sé) Ah, ecco perché si agita tanto.

(Entra Salvatore. Il i° Vecchio accompa­gnato dalla suora).

Suora                               - Eccolo, signor Podestà.

Podestà                            - Bravo... Bravo. (Salvatore cerca di baciargli la mano) No, no, niente cerimonie, vecchio mio. Gli uomini sono tutti fratelli.

i° Vecchio                        - Volete scherzare, Eccellenza?

Suora                               - Il signor Podestà vuole una informa­zione da voi.

io Vecchio                       - (spaventato) Io non so niente! Non ho fatto niente!

Podestà                            - Sarà meglio che ci lasciate soli. (La Suora via) Dunque Salvatore, ditemi un po' da quanto tempo siete entrato nell'ospizio.

i« Vecchio                       - Da dieci anni, eccellenza.

Podestà                            - E come vi ci trovate?

io Vecchio                       - Eh, eh! Se dovessi dire la veri­tà... (Sì guarda intorno) Non augurerei a vostra Eccellenza di trovarsi al mio posto.

Podestà                            - E perché? Avete detto poco fa all'Ispettore che vi si tratta con tutti i riguar­di. Avete mentito?

io Vecchio                       - Eh, come si dice, bisogna pur vivere Eccellenza!...

Podestà                            - Ho capito... Faremo delle indagini.

io Vecchio                       - Sarebbe meglio che intanto ci mandaste qualche pollo, Eccellenza. Magari uno per me solo.

Podestà                            - La solidarietà umana non è il vostro forte. Va bene. Provvederemo! Ma ditemi un po'; voi conoscete bene Giulia e Anselmo.

io Vecchio                       - Sissignore... Da quando sono nati si può dire….

Podestà                            - E come sono?

i° Vecchio                        - Matti.

Podestà                            - (allegro) Ah, si?... Sono proprio matti?

i° Vecchio                        - Eh, altra! Voi, come Podestà do­vreste saperlo... Quando io sono tornato in paese mi hanno raccontata la faccenda della nascita del bambino. C'era da crepar dal ridere... Figuratevi che la madre si alzava di notte per dare il latte al figlio che non c'era...

Podestà                            - Voi non eravate qui a quell'epoca?

io Vecchio                       - No, signore. Io sono stato più di 30 anni a lavorare fuori. Sono tornato ap­pena in tempo per essere cacciato qua den­tro...

Podestà                            - E chi vi ha raccontata la storia?

io Vecchio                       - Aspettate... Per primo me l'ha raccontata Giovanni, credo... Mi pare. Ma io ho perduto la memoria...

Podestà                            - E dov'è adesso questo Giovanni?

io Vecchio                       - È morto.

Podestà                            - Ma chi aveva particolari precisi?

10 Vecchio                      - Mah! Forse il dottore che ha visitato Giulia allora. Ma è partito 20 an­ni fa.

Podestà                            - Ma per Diana, non saranno tutti morti o partiti!

io Vecchio                       - Certo, Eccellenza, ma è passato tanto tempo... (La Suora entra).

Podestà                            - Basta, ho capito. Andate.

10 Vecchio                      - Sissignore (Rimane fermo).

Podestà                            - Suora!

Suora                               - (Gridando. Si accorge di lei) Da questo non si riesce a capire nien­te. Mandatemi subito quei tre. Subito! (La Suora fa rientrare Salvatore e dice) :

Suora                               - Ve li ho già preparati.

(Rientra nell'Istituto. Dopo un momento ne escono i due Vecchi in mezzo a loro il Figlio. Egli ha un'aria tranquilla e ironica. I Vec­chi sono raggianti).

Podestà                            - Voi, sareste il miracolo?

Anselmo                          - Non c'è nessun miracolo. È sem­plicemente il nostro ragazzo che è tornato.

Podestà                            - Siete modesto. Del resto, si, io non so come dire, se siete quello che credono alcuni... dovreste fare una certa impressio­ne. Invece più vi guardo e più vi trovo uguale a tutti gli altri mortali.

Giulia                               - (offesa) A prima vista, forse, ma se osservate bene, Eccellenza... Quando era pic­colo io guardavo sempre gli altri bambini e, per esempio, non ne ho mai visto uno che avesse delle orecchie come le sue.

Podestà                            - (sbalordito) Le sue orecchie! Come sono le sue orecchie?

Giulia                               - (sicura) Meravigliose...

Podestà                            - (guarda) Può darsi che qualcuno più sensibile di me sia del vostro parere. Ma voi capite che non bastano le orecchie per provare la sua discesa dal cielo...

Giulia                               - Cosa vuol dire?

Anselmo                          - (premuroso) È chiaro. Il signor Po­destà vuol dire che tutti i figli vengono dal cielo.

Giulia                               - Oh, Eccellenza, voi non siete una donna e per questo potete pensare così. Ma io vi assicuro che i figli vengono dalla madre.

Podestà                            - Sicché, quest'uomo con i suoi occhi e la sua bocca e le sue « meravigliose orec­chie » è venuto da voi?

Giulia                               - Sissignore.

Podestà                            - Proprio da voi?

Anselmo                          - Non da lei sola... se permettete.

Podestà                            - Siete pronto a sostenerlo?

Anselmo                          - Eh, mi pare! Cosa volete insinuare?

Podestà                            - Ma allora tutto si spiegherebbe! Tutto rientra nella normalità; non è più il caso di parlare di prodigi e di grazie piovute dal cielo. Voi mi togliete una grande secca­tura. Capirete, nella mia carriera non mi era mai capitato un caso simile, e io non sono preparato. (Al figlio) Voi, specialmente, po­trete aiutarmi. (Sottovoce) A loro non si dà retta. Ma se voi spiegherete... farete capire...

(Il figlio tace. Il Podestà, preoccupato, agli altri due) Ma sa parlare?...

Anselmo                          - E come avrebbe potuto girare il mondo?

Podestà                            - Appunto; appunto. (Pausa) Si po­trebbe trovare anche qualche testimonio che fosse disposto a dire di avervi visto bambino. Con un po' di danaro che cosa non si farebbe dire alla gente? (Conciliante) Siamo d'accordo?

Figlio                               - No. Preferisco il miracolo.

Podestà                            - (sbalordito) Eh? Perché ?

Figlio                               - È più dignitoso.

Podestà                            - Ah, si? Io vi offrivo il ramoscello d'ulivo. Voi lo rifiutate... Peggio per voi... Tra poco verrà qui della gente, molta gen­te... E per essere lasciato in pace dovrete confessare...

Anselmo                          - Confessare che cosa? Nostro figlio non è un delinquente.

Podestà                            - E con questo? Se credete che ci si difenda soltanto dai delinquenti... Anzi quel­li sono meno pericolosi, cari miei. Sconvol­gere la tranquillità della gente, mettere ziz­zania nelle famiglie, far suonare le campane nel momento in cui i fedeli si mettono a tavola, senza parlare dei perturbamenti mo­rali che la cosa porterà nella coscienza di noi tutti, questo, caro giovanotto, si può chiamare veramente un attentato alla salute pubblica...

Figlio                               - (alzando un dito a indicare il cielo) Prendetevela con il responsabile.

Podestà                            - È così?... Siete deciso?...

Figlio                               - Non posso fare altrimenti. (A questo punto dalla strada giungono le voci acute delle Beghine. Quelle del Segretario e dell'Ispettore e sopra tutte la voce esultante di Ermellina).

Ermellina                         - Ora vedrete... È qui!... (Irrom­pendo accaldata, spettinata e felice) Ecco­lo!... E’  lui...

ia Beghina                       - È anche un bel ragazzo.

2a Beghina                       - Non essere frivola. È peccato. :

ia Beghina                       - Iddio mi perdoni!

Podestà                            - (al Segretario) Caro amico, vi 1 aspettavo. Ecco del pane per i vostri denti.Voi siete maestro per i cavilli, cercate di scoprire la verità.

Segretario                        - Sarà .per me un piacere. (Ai Vec­chi) Questo è dunque il figlio che aspetta­vate. (Al giovane) Quando siete arrivato?

Anselmo                          - Adesso.

Segretario                        - Ah! Viaggio buono?

Figlio                               - Lungo.

Segretario                        - E... da dove, se è lecito?

Figlio                               - Da molto lontano.

Segretario                        - La precisione vi spaventa a quan­to pare...

Anselmo                          - (commosso) È partito da qui 20 anni fa, signor Segretario. Aveva giusto 25 anni! Pensate! Adesso averlo qui... Non sembra vero...

Segretario                        - E adesso avrebbe 45 anni? Vo­lete prendermi in giro?...

Figlio                               - Li porto bene. Ecco tutto.

Segretario                        - Ah, si? E allora se non vi di­spiace, fuori i vostri documenti.

Figlio                               - Quali documenti?

Segretario                        - Quelli che provino la vostra iden­tità...

Figlio                               - Non ne ho.

Segretario                        - (trionfante) Ah! Si potrebbe già farvi arrestare!

Giulia                               - Perché? Cosa ha fatto di male?

Anselmo                          - Ma nostro figlio è nato qui e tutti sanno...

Segretario                        - Che cosa? Che cosa? È proprio questo il punto! Nei registri del comune vo­stro figlio non c'è.

Anselmo                          - Sarà... Sarà un errore.

Giulia                               - E che importa, poi? Lui è qui. Voi tutti lo potete vedere.

Segretario                        - Nessuno lo può vedere. Questo individuo non esìste.

Giulia                               - Ma siete matto?

Segretario                        - Perché un uomo esista che cosa credete che occorra?

Giulia                               - Oh bella, che nasca!

Segretario                        - No. Occorre che sia iscritto nei registri del comune, che si trasformi in un cittadino. Ecco: è questo. Ci mancherebbe j altro! È finita la razza degli uomini! Oggi 2 non esistono che cittadini! (Al Figlio) Siete 1 iscritto all'anagrafe? Avete la licenza elemen­tare? Avete il certificato di battesimo? Ave­te prestato il servizio militare? No? Pagate le tasse? Nemmeno. Che volete di più? Come cittadino e come Segretario Comunale nego la vostra esistenza. (Con gesto largo) Per quanto vi guardi, né io né la società vi vediamo.

Podestà                            - Andiamo. Cosa rispondete?

Ermellina                         - Ma lui non può rispondere! Come siete strani! Che cosa volete che sappia lui delle nostre leggi?

Segretario                        - (gridando) Non si fanno eccezioni per nessuno! La legge è uguale per tutti.

Ermellina                         - Per noi. Ma non per lui... (Gli si avvicina di più e lo guarda).

Podestà                            - Compatitela. È  una bambina. Non sa quello che dice. E poi il sole deve averle dato alla testa.

v Beghina                        - (ironica) Già! Il sole...

33 Beghina                      - Di questa stagione.

Ermellina                         - È incredibile. Non vogliono ve­dere. Loro ci stanno bene in questo buco. A sguazzare nei loro interessi... Il posto. Il da­naro! I registri tutto il giorno. Seppelliti. Senza mai alzare la testa a guardare il cielo. Ma io no, io no.

Podestà                            - Ermellina, ti proibisco di dire anco­ra una parola.

Ermellina                         - No papà. In qualunque altro mo­mento ti avrei ubbidito, ma oggi non posso ascoltare nessuno. Oggi è una gran giornata. Una gran giornata! (Guarda gli altri) E nes­suno s'inginocchia! Nessuno ringrazia Iddio di averci dato un segno della sua bontà.

33 Beghina                      - Veramente, non era questo il se­gno che aspettavamo.

Ermellina                         - Chi volete che si occupi di quel­lo che aspettate voi? Vi conosco: tutti sono delusi adesso perché è toccato a loro che non avevano chiesto niente. Che cosa volete far­ci? Si vede che solo i pazzi sono simpatici a Dio.

Podestà                            - (furioso) Ma tu che c'entri?

Ermellina                         - (confusa) Niente... Ma io vedo tutto così chiaro... così semplice...

Giulia                               - Finalmente!

Ermellina                         - E vorrei che tutti lo vedessero come me. Niente altro. (Ermellina e il Fi­glio si guardano).

Ispettore                          - (dolcemente) Per vederlo, bisogne­rebbe avere gli occhi pieni di lacrime: come i vostri, signorina.

ia Beghina                       - Questa è opera del demonio!

2a Beghina                      - Il giovanotto ha stregato la ra­gazza.

ia Beghina                       - Dio ci salvi!

33 Beghina                      - Misericordia!

Ispettore                          - Io vorrei dire una parola...

Podestà                            - Magari ci venisse una luce...

Ispettore                          - Veramente, in questo caso sembra che la luce ci venga dall'alto. Scusate se mi servo di una immagine poetica.

Podestà                            - (con rassegnazione) Ahimè, appro­priata. Eccellenza, appropriata..

Ispettore                          - Cerchiamo di ragionare. Intanto, dov'è il parroco?

2a Beghina                      - Si è ritirato in chiesa a dire le preghiere.

ia Beghina                        - Le preghiere per gli ossessi.

33 Beghina                      - Prima ha dovuto scrivere al Ve­scovo.

Ispettore                          - Già. Già. Non vuole compromet­tersi. Eppure, se è miracolo, è lui che deve giudicare.

Segretario                        - (preoccupato) Signori! Signori, vi prego! Non divaghiamo con interpretazioni .fantastiche. Qui si dicono parole che... non vorrei neppure ripetere. Mentre si tratta di un simulatore e di due alienati...

Ispettore                          - Tutti e due con la stessa demen­za? È molto strano...

Segretario                        - Non per loro. Non per loro. Voi non sapete la forza di quella piccola vecchia dall'aria dimessa... Ha dominato il marito per tutta la vita. L'ha ridotto uno straccio senza volontà e senza pensiero...

ia Beghina                        - Si, si è vero!

2a Beghina                       - Mia madre, anima santa; lo di­ceva sempre che gli aveva fatto la fattura!

Segretario                        - Sentite la voce del popolo? È la verità. E allora a poco a poco gli ha messo quel chiodo nella testa; « Il figlio... il fi­glio... » la suggestione continua... Pensate, non si sono mai separati neppure per una ora...

Ispettore                          - Doveva essere una gran bella donna!

Anselmo                          - Vi prego, questo non vi riguarda (Le Beghine ridono).

Segretario                        - Vedete? Egli non si accorge nem­meno di essere ridicolo con la sua gelosia a quell'età... È innamorato ancora. Mi pare che non occorra altro per provare la sua pazzia...

ia Beghina                        - E la sua scostumatezza!

2a Beghina                       - Lei è una strega!

ia Beghina                        - Una donna che dà scandalo!

3a Beghina                       - Dio ci guardi!

Podestà                            - (ansioso di concludere) Forse è così. Voi cosa ne dite Eccellenza?

Ispettore                          - Per me è un miracolo.

Podestà                            - (stupefatto) . Dite sul serio?

Ispettore                          - Perfettamente.

Segretario                        - Io non capisco più niente, signor Ispettore! Quando voi, un uomo come voi... Non potete sostenere che questo vagabondo con le scarpe rotte ci sia stato inviato dal cielo.

Ispettore                          - Perché vi fermate ai particolari in­significanti? Che cosa importano le scarpe rotte e l'aspetto di vagabondo? L'importante è stabilire se un uomo può o no essere in­viato dal cielo. Se io credo a un miracolo, mi sarà facile poi cambiargli le scarpe.

Segretario                        - Ma nessun particolare è insigni­ficante. Mai! Anzi i particolari servono alla mente per arrampicarsi oserei dire sino alla vetta dell'universale... Se io considero quel­le scarpe, la mia ragione si rifiuta di creder­le un prodotto celeste. Anzi, la loro espres­sione, mi narra una lunga storia terrestre; di questa nostra dura terra, signori!

Ispettore                          - È che voi, signor Segretario, mai prima d'ora avete visto un miracolo!

Segretario                        - Infatti, e voi?

Ispettore                          - Neanch'io... Ma... Ho dell'imma­ginazione!

Segretario                        - Per me è una mistificazione. Vera e propria circunvenzione d'incapaci.

Ispettore                          - Io posso anche non discutere su questa vostra opinione. Ma discuto sull'op­portunità di questa opinione.

Podestà                            - Eccellenza! Siate chiaro almeno voi, per carità!

Ispettore                          - Voglio dire: che ci guadagnate voi tutti a restringere questo avvenimento nella banalità di un fatto di cronaca?

Segretario                        - Ma, per amore della verità, noi...

ia Beghina                        - (alle altre due) Amore di che?

2a e 3a Beghina                - Ah! Ah! (Sguardo torvo del Segretario).

Podestà                            - Silenzio, perbacco.

Ispettore                          - Mentre, se... anche con i dovuti accorgimenti, voi mi capite... si valorizzasse l’interpretazione miracolastica...

Segretario                        - Volevo ben dire che non potevate crederci.

Ispettore                          - (non raccogliendo) Dunque, dice­vo, se si valorizzasse l'interpretazione miracolistica... Eh, come Ispettore delle Feste, ; vi posso dire che grandi vantaggi potrebbero derivarne al vostro paese, alla provincia e alla stessa Nazione... Ma pensate a una pub­blicità ben fatta... Giornali... manifesti... propaganda-radio... Che successo per la Di­rezione Generale delle Feste! Pensate alla ricchezza e alla notorietà per questo paese!

Segretario                        - E al ridicolo quando la Chiesa impedirà questa farsa... :

Ispettore                          - Perché? Un santo giovai sempre!..

Il Dottore                        - (entrando) Certo. Più che un dot­tore. Sono venuto appunto a dire al signor Podestà che, in seguito agli incidenti di que­sta mattina, sono costretto a dare le mie di­missioni. (Le Beghine ridono e ammiccano tra loro).

Podestà                            - (Disperato sotto il nuovo colpo) Non è possibile, dottore. L'ospedale non si può chiudere.

Dottore                            - (con disprezzo) L'ospedale! Mi pare eccessivo chiamarlo così! Due stanze oscure e male odoranti... Anzi, Vi annunzio la vi­sita della contessa che credo abbia proprio qualche cosa da dirvi a proposito dell'ospe­dale.

Podestà                            - (premuroso) Vuol parlare con me? (Le Beghine corrono a guardar fuori dal recinto).

 ia Beghina                       - È vero.

2a Beghina                      - E’ vero.

 3a Beghina                      - Viene la signora contessa!

2a Beghina                       - A piedi!

3a Beghina                       - Per questa salita!

1. Beghina                       - Vuol morire... Così debole come è...

2a Beghina                       - Domani don Erminio dovrà dar­le l'olio santo.

3. Beghina                       - Non sembra neanche tanto malata...

3a Beghina                       - Zitta. Eccola.

(Entra in scena e si dirige al cancello la signora Contessa, seguita da un domestico che regge la borsa e un plaid a colori vivaci. È vestita di bianco, cappello con aigrette ve­letta bianca. È letteralmente coperta di gio­ielli come la Madonna di Pompei. Le si fa intorno un deferente silenzio. Le Beghine Si scostano per lasciarla passare).

3. Beghina                       - Quale onore.

ia Beghina                        - Che fortuna.

2a Beghina                       - La nostra benefattrice...

Podestà                            - Oh, signora Contessa, voi siete ve­nuta fin qui...

Contessa                          - Lasciamo da parte i convenevoli, per carità... La mia visita non è ufficiale. Dov'è Giulia? La mia cara Giulia?

Podestà                            - (premuroso) Eccola, signora contessa.

Contessa                          - Lasciate che io l'abbracci. In que­sto momento non ci sono differenze di casta! Qui ci sono soltanto due madri.

Segretario                        - (molto deferente) Veramente, la maternità della signora contessa... è stata assai più normale.

Contessa                          - Niente è stato mai normale per me, egregio Segretario. La normalità è per la povera gente.

Ispettore                          - Sembra che oggi non abbiate for­tuna.

Contessa                          - Giulia cara, tu permetti che io guardi il tuo ragazzo? Oh, non è affatto cambiato da quando era bambino...

Anselmo                          - Veramente, è molto cresciuto da allora...

Contessa                          - A me fa piacere vederlo così. Mi ricordo di avervi tenuto tante volte sulle gi­nocchia quando eravate piccolo, piccolo...

Podestà                            - Oh, signora, non vorrete dare a questo giovanotto un tale vanto...

Segretario                        - (sbalordito) Ma la signora Con­tessa vorrà scherzare...

Contessa                          - Nelle mie condizioni di salute sa­rebbe difficile scherzare.

Segretario                        - Non capisco...

Contessa                          - (dopo una pausa) Davvero? Cer­cherò di spiegarmi. Dal paese sono salite fino a me delle strane voci... Ho sentito parlare di miracolo... Di grazia ottenuta... E sono salita quassù, oltre che per rallegrami con Giulia, per guardare in faccia i miei nemici. (Punta gli occhi addosso al Segretario).

Segretario                        - Ma io non c'entro...

Contessa                          - Voi c'entrate sempre quando c'è qualche porcheria. Si, parlo proprio per voi.

Segretario                        - (balbettando) Io sono sbalordito... Non so a che cosa attribuire... Io ho avuto sempre la più grande devozione per la vo­stra casa...

Contessa                          - Naturalmente. Quando si tratta di sedere alla mia tavola o di vendermi a caro prezzo la terra che avevate comprato quasi per niente approfittando della miseria dei contadini. (Alzando la voce) Ma non cre­diate che non abbia sempre letto l'invidia nei vostri occhi per ì miei damaschi, i miei candelabri d'oro, e soprattutto per la cassa­forte nell'angolo della mia stanza. Soltanto vi consolava il pensiero che malgrado la mia ricchezza, niente poteva salvarsi da questa mia malattia, dalla sofferenza, e tra poco, dalla morte. Ah, per essere così perfidi bi­sogna aver ricevuto dei benefizi fin dall'in­fanzia! Ecco, perché adesso per paura che toccasse a me la grazia di guarire, per paura che io dovessi vivere ancora un poco, vi siete agitato per creare qui questa commedia del miracolo che doveva togliere a me ogni speranza...

Segretario                        - È un'infamia...

Contessa                          - Ma non sarà così... Io sono pronta a testimoniare che quel figlio è sempre esi­stito. E chi sosterrà il contrario si ricordi di non bussare mai più alla mia porta. Sia­mo intesi?

Podestà                            - Ma io sono del vostro parere, esat­tamente del vostro parere. Qui non c'è nes­sun miracolo! Non c'è ancora nessun mi­racolo.

Contessa                          - Grazie, signor Podestà. (Piccola pausa) Del resto io conosco la vita del santo. Ho letto la sua storia perché sono sempre stata devota, tutti lo sanno, e inoltre la biblioteca è la stanza più calda della casa e io sono costretta a passarci molte ore. Ora, io dico: la chiesa ha sempre vissuto della mia beneficenza. L'ospedale anche. E i po­veri del paese da chi hanno avuto le co­perte, la legna e il pranzo due volte la set­timana?

Podestà                            - Da voi, signora contessa. Io lo farò insegnare nella scuola.

Contessa                          - (con certa minaccia) Ebbene, il santo era un uomo di buon senso e non pos­so credere che voglia spogliare la chiesa, l'ospedale e togliere ai poveri la possibilità di non morire di fame e di freddo...

Podestà                            - Ah, perché voi vorreste?...

Contessa                          - Ah, per questo... Io sono stata sem­pre buona, generosa, ho cercato di sollevare le miserie, e ho potuto sopportare l'ingrati­tudine della gente del destino. Se non si può fare altrimenti. Ma se c'è una via di uscita, se c'è una grazia, dev'essere per me. Ne ho diritto, me la sono meritata con una vita di sacrifici e di rinunce. Se io dovessi accorgermi che non esiste giustizia in nessun luogo... Oh, allora per quel poco che mi rimane da vivere vorrei rifarmi del tempo perduto... E se ne accorgerebbe il paese per il primo... Siete tutti avvertiti... Andiamo, dottore. (Esce seguita dal domestico e dal dottore).

2a Beghina                       - La povera cara signora ha ra­gione! Così malata...

3a Beghina                       - È stata sempre una vera catto­lica!

ia Beghina                        - Anche oggi aveva fatto dire una messa a sua intenzione...

2a Beghina                       - Trenta lire.

ia Beghina                        - E poi... Come se non si sapesse chi ha messo l'occhio sul terreno di quei po­veracci... (Alludono al Segretario. L'Ispet­tore segue).

Podestà                            - E noi che cosa possiamo fare? Si­gnore Iddio, che cosa possiamo fare se le cose vogliono andare in questo modo?

Ispettore                          - Non preoccupatevi. Tutto sta a mettersi d'accordo fra noi...

Podestà                            - Se bastasse. (È apparsa alla porta la Suora) E voi che cosa fate muta e mi­nacciosa sulla soglia? Tenete in serbo una cattiva notizia? Sono pronto a tutto: par­late.

Suora                               - Oggi, il signor Podestà è incontenta­bile... È soltanto una modesta proposta...

Podestà                            - Sentiamo..

Suora                               - Mandate a casa loro quella gente.

Podestà                            - E a che servirebbe?

Suora                               - Intanto a evitare nuovi guai e nel caso a lavarcene le mani...

Segretario                        - Io mi oppongo. Non è legale!

Podestà                            - Non ho chiesto il vostro parere... (Ai vecchietti) Avete sentito?

Anselmo                          - Sissignore. Ma veramente abbiamo capito poco...

Segretario                        - E’ naturale.

Podestà                            - Potete tornare a casa con vostra moglie e con., sì, insomma con lui. Sarete contento?

Anselmo                          - Sissignore. Ma noi staremmo bene dappertutto. Anche qui. Ma se ce ne date il permesso, ce ne andiamo volentieri...

Figlio                               - Peccato! Cominciavo a divertirmi.

Ermellina                         - Ma è una catapecchia abbando­nata. Moriranno di freddo e di fame.

ia Beghina                        - La felicità riscalda!

2a Beghina                       - E il pane della grazia fortifica!

Ermellina                         - E li lasciate attraversare il paese in questo momento?

Figlio                               - E non ci sono io?

Ermellina                         - Anch'io li accompagno.

Podestà                            - No. Tu resta qui. (La prende per un braccio e le dà una spinta) E non muo­verti...

Giulia                               - (passando) Ci rivedremo, Ermellina?

Ermellina                         - (sicura) Certo, ci rivedremo presto. (passano nel gran silenzio e  si allontanano')

Podestà                            - (fa un gesto disperato) Cose dell'al­tro mondo.

Ispettore                          - Veramente... Molto interessante dal mio punto di vista. Informerò le autorità competenti affinché vogliano condurre le in­dagini con spirito di comprensione.

Podestà                            - Vi prego, signor Ispettore, vi prego. Voi guardate le cose dal di fuori, ma io, non vorrei che questo paese... Mia figlia... Suora chiudetela in una stanza... o in chiesa... Ma mi raccomando: lontana dal campanile.

Segretario                        - Che cosa avete voluto intendere con « lo spirito di comprensione?».

Ispettore                          - Ma è così chiaro; volevo dire se­condo i nostri interessi.

Segretario                        - E cioè?...

Ispettore                          - La valorizzazione del miracolo... per il bene comune.

Segretario                        - (livido) Soltanto per il bene co­mune, signor Ispettore?...

Ispettore                          - E il mio naturalmente. Ah, io ho il coraggio delle mie intenzioni. (A tutti) Sissignori. Io aspiro alla promozione. Lo ri­conosco. E spero di guadagnarmela. Ma an­che voi abbiate il coraggio di confessare che avete intrigato da tempo per togliere senza sforzo e senza rischio a quei poveri vecchi la loro proprietà e adesso vi battete unica­mente per non perdere il vostro affare...

Segretario                        - Non è vero! È una disgraziata combinazione! Sì, lo ammetto: può sem­brare interesse personale, ma vi proverò il contrario... a costo di perdere il mio posto, io sosterrò il mio punto di vista fino alla fine. Con tutta l'anima, con tutto il mio sangue io odio le eccezioni, odio i privilegi, odio la libertà. Siamo tutti uguali! Nessun individuo deve alzarsi sugli altri. Perciò niente geni, niente santi e sopratutto niente miracoli.

Ispettore                          - Naturalmente. Però voi non siete un politico, caro segretario. Potreste forse essere un tribuno perché sapete dare una certa impressione di buona fede e avete l'ir­ruenza di chi ha poche idee. Ma non un uomo politico, perché non avete la perce­zione di come si possa cogliere l'eccezionale e abilmente imbrigliarlo perché serva ai fini dello Stato.

Segretario                        - Ecco! Come questo miracolo che dovrebbe fruttarvi una promozione.

Ispettore                          - E che dovrebbe farvi perdere un terreno !

Podestà                            - Signore! Signori! Qui non si fanno questioni personali.

Segretario                        - Voi siete un ambizioso.

Ispettore                          - E voi non capite niente!

i* Beghina                       - Che spettacolo!

2a Beghina                       - E noi siamo guidati da questa gente !

Podestà                            - Dove va a finire la nostra autorità? Queste discussioni si fanno a porte chiuse!

Ispettore                          - Una volta! Una volta si facevano a porte chiuse, ma da molto tempo la gente che odia le eccezioni ha invitato la massa a entrare nei tribunali a partecipare al go­verno, a trinciare spudoratamente giudizi sulle cose sacre e profane. Eccone il risul­tato: che tutti siamo costretti a spogliarci sulla pubblica piazza. (Le Beghine fanno piccoli gesti di orrore) Con grande diverti­mento degli sfaccendati e delle vecchie zi­telle. (Le Beghine si ricompongono offese) E nessuno vuol capire che un uomo può es­sere grande anche se non ha la camicia di bucato !

Podestà                            - Scusate, signor Ispettore! Questo non c'entra!

Ispettore                          - Già, è vero. Questo non c'entra. Qui siamo tutti senza macchia. Torniamo dunque al vostro indisciplinato dipendente il quale ha creduto di offendermi chiaman­domi ambizioso. Tenetevelo bene in mente, caro mio, l'ambizione ha dato al mondo le massime glorie. Il cammino degli uomini, il progresso della civiltà dipendono dall'ambi­zione dei pochi i quali pagano caro il privi­legio di condurre il branco... Voi non po­treste resistere neppure una settimana alla fatica delle riviste, dei banchetti, all'odore della folla, e alla balordaggine dei discorsi celebrativi...

Segretario                        - Non ci tengo...

 Ispettore                         - Cose che si dicono...

Segretario                        - Perché voi vi illudete di essere fra quei pochi?

Ispettore                          - Sì, per ora è una illusione, ma farò di tutto perché si traduca in realtà...

Segretario                        - Con ogni mezzo, non è vero?

Ispettore                          - Si capisce: secondo le buone tra­dizioni.

Segretario                        - Approfittando della disgrazia de­gli amici, della moglie dei superiori, del buon raccolto e dei miracoli veri o falsi che siano...

Ispettore                          - Proprio così. Qualunque cosa pur di far carriera... E il bello sarà che se ci riuscirò, voi sarete il primo a chiedermi un biglietto di raccomandazione...

Segretario                        - Preferisco finire in un ospizio.

Podestà                            - Ma insomma signor Segretario! Io vi ordino...

Segretario                        - Nulla, signor Podestà. Da questo momento avete le mie dimissioni dalla ca­rica.

Podestà                            - Anche voi!

Segretario                        - Come vostro dipendente non po­tei muovermi. Ma come cittadino qualun­que mi batterò con tutte le mie forze con­tro la prevaricazione dei potenti, la poesia delle ragazze innamorate, e le allucinazioni delle coppie sterili. Arrivederci, (Esce di­gnitoso).

ia Beghina                       - Santa Lucia, patrona della vi­sta, ti ringraziamo.

2a Beghina                       - Si, ti ringraziamo per quello che ci fai vedere.

y Beghina                        - Così sia! (Silenzio).

Podestà                            - Avete sentito? È sempre stato un uomo tranquillo e sottomesso. Io non capi­sco; è impazzito anche lui...

Ispettore                          - (pensoso) Siamo tutti un po' paz­zi oggi. Dev'essere nell'aria... Quando suc­cedono dei fatti... dei fatti che smentiscono l'ordine naturale delle cose... Finché si cam­mina sul terreno solido ciascuno riesce a conservare il contegno che si è prefisso. Ma se d'improvviso ci si spalanca un abisso sot­to i piedi, addio maschera e dignità! È che gli uomini non sono fatti per volare, signor Podestà, ma per camminare modestamente sulla terra ferma... Almeno gli uomini come noi. A proposito; devo telegrafare ai gior­nali. Bisogna che mi sbrighi. Voi rimanete?

Podestà                            - Sì, ancora un momento...

Ispettore                          - Allora ci rivedremo in paese. Per­messo. (Via).

i1 Beghina                        - Anche noi.

2a Beghina                       - Anche noi.

3a Beghina                       - Ce ne andiamo.

2a Beghina                       - Per oggi ne abbiamo viste ab­bastanza.

ia Beghina                        - Corriamo a raccontare tutto.

2a Beghina                       - A tutto il paese.

3a Beghina                       - Lo scandalo.

2a Beghina                       - Sì, lo scandalo

ia Beghina                        - Di due vecchi rimbambiti.

3a Beghina                       - Di una ragazza isterica

2a Beghina                       - Innamorata di un bellimbusto.

3a Beghina                       - Che vuole sposarla.

ia Beghina                        - Per i suoi denari.

2a Beghina                       - E fare un ricatto.

i* Beghina                       - Al Podestà! (Si avviano a bal­letto ed escono).

Suora                               - Bella giornata, non è vero?...

Podestà                            - (distrutto) . Se ci si mettono anche i santi a complicarci la vita...

ATTO TERZO

// crepuscolo. La metà della scena è occupata da una povera casa di contadini « tetto basso, in abbandono evidente. La metà sinistra è bo­sco. Alberi invernali contorti. Un giovane pe­sco, presso la casa, è isolato, quasi nel centro della scena, e mostra i suoi esili rami nudi. La casa è aperta in sezione. Sì vede una canterai col camino spento, a destra in prima, in se­conda una porticina. Pochi mobili corrosi dal tempo e dalla polvere. La finestra, in fondo, mal chiusa da assi chiodate. Dai vetri rotti soffia il vento della sera. Nel fondo un'altra porticina che dà sul resto della casa. A sini­stra, a filo della sezione, la porta d'ingresso. Da per tutto ragnatele. Rumore dì voci irate e fischi da lungi. Fuori della porta d'ingresso il Figlio schioda l'asse che la chiude. Dietro di lui sono Anselmo e Giulia che ogni tanto guardano verso il viottolo al di là del quale nascono le voci e i fischi. Il Figlio spinge la porta che poco dopo si apre. Giulia e Anselmo lo seguono.

Anselmo                          - Ecco la tua casa. La riconosci?

Figlio                               - (come scusandosi) È quasi notte...

Giulia                               - E poi non è facile, ridotta così... Io stessa, non la ritrovo più...

Anselmo                          - Tu ci. aiuterai a rimetterla in piedi.

Giulia                               - Figliolo mio, avrei voluto farti tro­vare questa stanza piena di fiori con un bel fuoco acceso. Quasi tutte le notti ho sognato che tu entravi da quella porta e prima an­cora di abbracciarmi dicevi: Dio, che bella accoglienza mi hai preparato, mamma! Mi sembra di essere un re nella sua reggia. In­fatti tutto era splendido. Sulla tavola erano una grande torta, le candele accese e tante bottiglie... Non abbiamo potuto, perché ... vedi, è difficile lottare con la gente quando si è soli...

Anselmo                          - Non ci pensare, mamma. Ormai tutto è finito. (Di nuovo si odono i fischi in lontananza).

Figlio                               - Li sentite?

Giulia                               - Io sono vecchia eppure in tanti anni non sono riuscita a capire che cosa voglia la gente. Prima ci tormentavano perché dice­vano che eravamo pazzi. Adesso ci insultano, gettano sassi perché si sono accorti che non era vero. Perché ce l'hanno tanto con noi? Non abbiamo mai fatto male a nes­suno. (Pausa) Da dove viene questo freddo?

Anselmo                          - Il vetro è rotto e la porta è piena di fessure.

Figlio                               - L'aggiusteremo. E accenderemo il fuoco. Adesso ci sono io. (Egli si inginocchia dinanzi al camino per togliere la cenere).

Anselmo                          - Questo sì! Ah! Ah! Adesso c'è lui! (A Giulia) Sei contenta eh, tu!

Giulia                               - (crolla il capo e sì asciuga una lagri­ma) Contenta? Lasciami stare.

Anselmo                          - Oh, questa è bella! Non hai mai pianto in tutti questi anni che era via... E piangi adesso?

Giulia                               - Sicuro. Quando era via che cosa po­teva succedere se non che tornasse? Ma ora che è tornato, oh, no! Ora può accadere che riparta!...

Figlio                               - Bisognerà cercare la legna. Vado, vado io. (Si avvia verso la porticina a destra).

Giulia                               - Vuoi già lasciarci?

Figlio                               - Per un momento, per un momento solo.

Giulia                               - No. Non di là... Non ti ricordi più? Di là si esce sul Sentiero dei Contrabban­dieri. Tra le rocce a picco. È pericoloso quando è buio...

Figlio                               - Non mi può accadere niente di ma­le... non aver paura... (La guarda, esita, poi dice dolcemente) ...Mamma... (via dalla porticina).

Giulia                               - (rimane un momento estatica).

Anselmo                          - È già buio e se tu ogni momento ti metti a piangere come faremo a cercare in questa vecchia casa quello che ci occorre per passare la notte?

Giulia                               - Non mi sentivo chiamare così da tan­to tempo... Hai guardato i suoi occhi?

Anselmo                          - Sì. Sono come i tuoi la prima volta che ti ho visto. Ma, se non cerchiamo un po' d'olio per il lume, dovrai rimanere senza vederli fino all'alba.

Giulia                               - Subito.

Anselmo                          - (avviandosi con lei) Giulia, tutti i giorni io nascondevo qualche cosa per quando fosse tornato. Ormai non ci sarà  che polvere... Ma forse qualche bottiglia può darsi che ci sia rimasta... Sai... per fargli festa...

Giulia                               - A digiuno gli farà male.

Anselmo                          - Tu credi sempre che sia un bam­bino. È un uomo adesso, cara mia. Un uomo che conosce il mondo.

Giulia                               - Povero ragazzo!

Anselmo                          - Una donna non può capire... An­che io, quando ero giovane, avrei potuto an­dare a vedere che cosa c'è di là della mon­tagna...

Giulia                               - Non ci sei andato quando eri bam­bino?

Anselmo                          - Erano altri tempi! E poi che cosa vuoi che capisca un ragazzo? Se non ti aves­si conosciuta, certo sarei andato anch'io per il mondo.

Giulia                               - E adesso ti dispiace di non averlo fatto? È la prima volta che rimpiangi qual­che cosa vicino a me... O forse non me l'hai mai detto...

Anselmo                          - Non offenderti Giulia. Ti giuro che non, ci ho mai pensato. Mi è venuto in mente adesso, guardando la faccia di nostro figlio.

Giulia                               - Perché? Tu non hai niente da invi­diargli.

Anselmo                          - Ah, Giulia, Giulia! Non ti vergogni di farmi diventare rosso alla mia età?

Giulia                               - Alla tua età? Noi siamo ancora gio­vani perché siamo invecchiati insieme.

Anselmo                          - (soddisfatto) Già. Hai ragione. Tu sei la più furba donna della terra, Giulia!

Giulia                               - Io?

Anselmo                          - (avvicinandosi con lei alla porta di de­stra) Hai sempre fatto cosi. Perché in fon­do sei gelosa. Dammi la mano, se no in­ciamperai per la scala della cantina... Vedrai come le ho nascoste bene.

Giulia                               - Sì, sono in una nicchia del muro vi­cino alla porta. Basta alzare due mattoni.

Anselmo                          - Oh, lo sapevi! E perché non me l'hai detto?

Giulia                               - Ho pensato che ti avrebbe fatto pia­cere avere un segreto tutto per te...

Anselmo                          - (ride) Vieni. Speriamo che i topi e le autorità comunali ci abbiano lasciato qualche cosa... (Via dal fondo). (Il Figlio entra. Ha sulle braccia rami e fa­scine che depone nel camino. Fruga in tasca).

Figlio                               - Per fortuna, mi rimangono i fiammi­feri. (Accende con una carta il'fuoco) Ah! Ero gelato... (Ermellina attraversa il bo­sco. Bussa leggermente alla porta. Egli va ad aprire) Voi...

Ermellina                         - Sì... sono scappata... Posso en­trare?...

Figlio                               - Certo. Se volete sedervi vicino al fuoco...

Ermellina                         - Grazie. (Pausa)

Figlio                               - Come avete fatto a scappare?

Ermellina                         - È stato facile. Nessuno bada a me. Nell'Ospizio c'è la rivolta. È una cosa magnifica. Se la prendono col santo... Sì... col frate... Sono buffi... Gridano. Non ca­pisco perché affannarsi tanto per così poco tempo.

Figlio                               - Poco tempo?

Ermellina                         - Sì, voglio dire; anche se avessero avuto loro la grazia... per quel poco che hanno ancora da vivere! (Alza le spalle).

Figlio                               - E Giulia e Anselmo allora? Anche loro sono vecchi...

Ermellina                         - Già, è vero, non ci'pensavo. Ma io non credo che sia successo per Giulia e Anselmo... tutto questo. In fondo anche pri­ma vivevano con voi. Non c'è gran che di cambiato per... per loro.

Figlio                               - E per chi dunque?

Ermellina                         - (imbarazzata) Eh! Chi sa... (Ten­de le mani al fuoco).

Figlio                               - Perché tremate?

Ermellina                         - Non so

Figlio                               - (serio) Fareste meglio a tornare a ca­sa... Vi cercheranno laggiù. Eeellina        - Io sono venuta a trovare i miei amici. Sono sicura che Ioto non avranno il coraggio di mandarmi via con questo fred­do, al buio.

Figlio                               - Che cosa ne sapete? Io credo che sa­ranno molto imbarazzati di trovarvi qui. Si festeggia il mio ritorno. Avete capito?

Ermellina                         - Sì... e per questo sono venuta.

Figlio                               - E non avete paura di essere indi­screta?

Ermellina                         - Se è così me ne vado...

Figlio                               - Non ho detto che sia così. Vi ho chie­sto come mai siete sicura che... i miei... (Con una lieve intenzione ironica) ...saranno contenti di vedervi qui, stasera.

Ermellina                         - Noi eravamo d'accordo prima che voi passaste davanti al cancello. È difficile a capire. Ma, insomma, io ero invitata...

Figlio                               - Oh, allora, accomodatevi, signorina...

Ermellina                         - Vi dispiacerebbe tanto chiamar­mi Ermellina.

Figlio                               - Affatto.

Ermellina                         - Come si sta bene, qui.

Figlio                               - Davvero? Avete guardato al soffitto le ragnatele?

Ermellina                         - Io vedo dei bellissimi veli.

Figlio                               - E non sentite il vento che entra dalla finestra con i vetri rotti?

Ermellina                         - Finalmente una casa dove si re­spira! Mi sento... come se fosse casa mia!

Figlio                               - Le stranezze dei ricchi! Eppure voi avete una vera casa e una « vera » famiglia.

Ermellina                         - Il male è che io non ho scelto né quella casa né quella famiglia. Le ho tro­vate così nascendo. Forse è stato uno sba­glio e per questo sono una cattiva figlia. A casa mia tutto, è seduto. Non so come dirvelo meglio... Mio padre, mia madre, io stessa, i nostri pensieri, i sentimenti... Là siamo tutti « seduti ». Mi capite?

Figlio                               - (assorto) Sì.

Ermellina                         - (felice) Sono contenta. (Pausa) A casa mia... la sera, quando si parla, le parole scivolano per terra e poi saltano sulle ginocchia pigramente... Come vecchi gatti... Oh la noia di pensare che ieri era così, e sarà così domani. Poter spalancare una fi­nestra...

Figlio                               - E sentire la tentazione di lasciarsi ca­dere da quella finestra...

Ermellina                         - (emozionata) Siete voi... Oh, io ero sicura che c'era qualcuno in qualche po­sto che lo sapeva. E anche quando ero sulla riva del lago... e pensavo a... finirla... Voi lo sapevate. Chi ve lo diceva?

Figlio                               - Quanti anni avete?

Ermellina                         - Diciassette.

Figlio                               - Ecco: è questo.

Ermellina                         - Che cosa è questo?

Figlio                               - È questo che vi rende così diversa dagli altri.

Ermellina                         - Tutti hanno avuto diciassette anni.

Figlio                               - Non è vero. C'è della gente che non li ha mai avuti e altri che se ne sono dimen­ticati subito, per poter vivere in pace. (Guar­da Eemellina che è inespressiva a bocca aperta) A che cosa pensate?

Ermellina                         - Oh, scusate.. Io sono tanto fe­lice di essere qui... di udire la vostra voce... che mi sono dimenticata di stare attenta... non dovete offendervi... Vedete... Oggi... non so. Oggi...

Figlio                               - (sorridendo) ...È una gran giornata... L'avete già detto.

Ermellina                         - Ah, sì. (Lo guarda quindi abbas­sa gli occhi) Dovevo dire una giornata di­versa.

Figlio                               - No. È meglio una « gran giornata ». È un'altra cosa. Una giornata diversa può essere, non so... quando piove, e voi cam­minate su la strada e un'automobile si avvi­cina... e voi non fate in tempo a scansarla. Oppure quando avete finito i vostri soldi e avete chiesto da mangiare in tante case e vi hanno sempre chiuso la porta in faccia. O il giorno che avete scoperto la donna che amate fra le braccia di un altro... Tutte que­ste, certo, sono giornate diverse. Possono anche essere parecchie nella vita di un uo­mo... Ma una sola è una gran giornata...

Ermellina                         - Quella del miracolo!

Figlio                               - (animandosi) Sì, quando una donna come voi entra in una povera casa e vi dice sorridendo: « Questa è la mia casa »...

Ermellina                         - È tanto facile...

Figlio                               - Dirlo!

Ermellina                         - Io non sono niente... Una po­vera ragazza stupida. Perché dovrebbe ca­pitare a me... proprio a me questa fortuna...

Figlio                               - Quale fortuna?

Ermellina                         - Quella di rimanere qui per sem­pre. ..

Figlio                               - Con un uomo che avete visto oggi per la prima volta?

Ermellina                         - Non è vero... Io... Ma no. Non si possono dire certe cose... Se ancora non ci diamo del tu...

Figlio                               - Sei tu che devi cominciare...

Ermellina                         - Allora non guardarmi. (Egli si volge) Io... io ti ho baciato.

Figlio                               - Posso guardarti?

Ermellina                         - No! Per carità! Sì, ti ho baciato. Ti aspettavo la notte in giardino... (Esitan­do) Ti parlavo... d'amore...

Figlio                               - (te si avvicina prendendole le mani) Ermellina, finora'tu hai parlato d'amore ai fantasmi. Ma io... io sono un uomo... Non si può scherzare così... e poi magari dimen­ticarsene... Tu non vuoi farmi del male, vero?

Ermellina                         - (perplessa) Davvero tu potresti soffrire per me?

Figlio                               - (guardandola fissa) Ho paura di sì.

Ermellina                         - (abbassa il capo) Non l'avrei mai creduto.

Figlio                               - Sei delusa?

Ermellina                         - No, ma non dirmelo più. Prefe­risco pensare che niente possa toccarti, nem­meno io.

Figlio                               - (alzandosi bruscamente) Smettila di guardarmi così. Io non sono un personaggio da favola.

Ermellina                         - (delusa) Ah! Perché non vuoi?

Figlio                               - (tristissimo) Perché sotto i tuoi occhi sarei costretto tutti i giorni a compiere pro­digi. Che so... scoprire tesori, liberare dall'incanto principesse stregate... E magari an­dare a caccia di draghi. Una vita faticosa per un povero uomo.

Ermellina                         - (un po' piccata) Non sono cosi stupida. So bene che non occorre farle certe cose. Basta crederci. (I due si avvicinano in una pausa. Starebbero quasi per baciarsi. Ma Anselmo e Giulia entrano dal fondo con bicchieri, bottiglie ed una lampada ad olio accesa).

Anselmo                          - C'era ancora un po' d'olio nella lampada e i bicchieri hanno gli orli sbec­cati, ma le bottiglie sono di vecchio spu­mante. È tutto quello che abbiamo tro­vato... Ah, c'è anche Ermellina...

Ermellina                         - L'avevo promesso...

Giulia                               - Solo per questo?

Anselmo                          - Aiutateci ragazzi. Giulia è stanca. (A Ermellina) Ora tocca a te. (Ermellina mette la lampada sul camino, mentre il Figlio stappa la bottiglia e Anselmo e Giu­lia gli parlano sottovoce) Non è meglio delle altre? Sì, delle altre fidanzate...

Figlio                               - Di tutte.

Giulia                               - Io lo sapevo, sai, che non ti sarebbe bastato trovare noi vecchi, per restare sem­pre. (Rumore del turacciolo che salta. Ermellina si accosta). Figlio . Alla salute di questa strana famiglia!

Ermellina                         - Così dovrebbero essere tutte... Loro sono stati felici.

Figlio                               - Dopo il secondo bicchiere sarò di­sposto a credere che anche noi lo saremo. Vieni qui, Ermellina. (/ due giovani si pon­gono dinanzi ai due vecchi) Noi siamo da­vanti a uno specchio e ci vediamo come sa­remo fra tanti anni. Guardaci bene. Quelle rughe intorno agli occhi fitte come l'alfa­beto cinese, vogliono dire che li abbiamo chiusi dicendo: buona notte caro, per mi­gliaia di sere. E sai perché i solchi sono più profondi degli angoli della tua bocca? Perché tu hai sorriso di più delle mie debo­lezze. ..

Ermellina                         - In compenso tu hai più rughe sulla fronte...

Figlio                               - Sono le mie responsabilità di uomo. E le preoccupazioni che mi hai dato quando sei uscita sbattendo la porta, quando hai avuto il raffreddore, quando un signore di passaggio si è voltato a guardarti.

Anselmo                          - È proprio così, Giulia? Ti ricordi?

Figlio                               - (socchiudendo gli occhi per meglio ve­derli) E vedi come ci assomigliano? Non era cosi in principio... Guarda come le no­stre labbra sono sottili e quasi un poco ri­piegate in dentro? Tu credi che sia per qual­che dente di meno? Errore! È perché par­liamo poco: da tanti anni non ne abbiamo più bisogno per capirci...

Ermellina                         - Ah, come è bello essere vecchi!

Figlio                               - Ma anche essere giovani quando si ha tutto questo da vivere... (Beve) Se si po­tesse dirlo a tutta la gente che si od'a e si ammazza...

Anselmo                          - Non ti ascolterebbero figlio mio.

Ermellina                         - Noi lo diremo a tutti che quello che importa è volersi bene.

Figlio                               - Ci metteranno in prigione. E non ne vale la pena... Ma è un triste spettacolo... un triste spettacolo... (Beve),

Anselmo                          - Che vuoi fare? Bisogna rassegnarsi.

Figlio                               - (alto) No, non voglio rassegnarmi! La rassegnazione è il grande male. Se la gente non s'adattasse alla vita com'è, e decidesse di essere tutta se stessa fino in fondo o... di morire! La vita per non venire abbandonata dagli uomini, si rassegnerebbe, lei, ad essere degna di loro.

Anselmo                          - Perché vuoi pensare agli altri? Da che mondo è mondo è sempre andata male cosi e ci sarà una ragione che noi non pos­siamo sapere...

Figlio                               - La ragione? Se ne sentono tante a viaggiare... Un vagabondo mi diceva di sa­perla.

Ermellina                         - (ride incredula e divertita).

Figlio                               - (quasi sfidandola) Sì, un vagabondo amico mio. Era un tipo buffo. Viveva ru­bando le galline. Sai come si fa? Con un sacco. È semplice. Si ruba e si scappa. Quan­do gli era andata bene si ubriacava e rac­contava una storia, sempre la stessa. (Si ac­corge che Ermellina lo guarda a bocca aper­ta) Chissà cosa ti aspetti Ermellina! (Beve, sì guarda intorno) Niente... niente... Adesso sto bene... e non voglio pensarci.

Ermellina                         - Se ti rattrista...

Giulia                               - Lo vedi... è stanco... gli occhi gli si chiudono...

Figlio                               - Non è vero. Non sono stanco. Ecco la storia, se ci tenente... Questo amico mio mi raccontava che una volta erano andati in tre a rubare. Lui e due altri. Il conta­dino li sorprese e uno di loro si prese una fu­cilata alle spalle mentre scappava. Lascia andare il sacco e cadde sulla strada con le braccia aperte. Gli altri credevano che fosse solo ferito e invece era morto. Guarda, come se fosse là... Una croce nera sulla strada. E ai lati l'ombra dei due ladri... E allora l'amico mio vide, vide che sulle mani e sui piedi del morto, si formavano delle piaghe. Capisci? Forate da parte a parte. « Io ho visto — diceva — e gli occhi gli ridevano. L'altro mio compagno non ha visto niente, lui. Ha pensato a raccogliere la refurtiva e a mettersi in salvo... stupido! Ma io ho vi­sto. E da allora non ho più paura di niente. Io so chi c'è dentro di me, anche se rubo le galline. Ma nessuno lo sa. Ecco perché tutto va male ». Cosi, diceva, capisci?

Ermellina                         - (con disprezzo) Se era ubriaco...

Figlio                               - (scattando) Certo. Perché pensava che anche in tutti i poveri, in tutti i colpevoli, in tutti i ladri di galline può esserci nascosto un Dio. Era ubriaco, non è vero? Hai ra­gione Ermellina. Queste sono storie da va­gabondi e non adatte per le orecchie di una signorina bene educata che va a messa tutte le domeniche...

Ermellina                         - Tu... proprio tu, parli così?

Giulia                               - (sommessa) Devi scusarlo. Un po' di vino basta quando si è digiuni...

Figlio                               - Io, io parlo così... E perché no? Io non posso soffrire la gente che va a battersi il petto e con questo crede di aver messo l'anima in pace... E del resto perché non dovrebbe crederlo? Chi ci aiuta veramente a capire che c'è dentro di noi, e che vuol dire questo affannarsi e poi morire? Perché? Mangiare e divertirsi, comode case e belle automobili. Ma è possibile che tutto si ri­duca a questo? Ah! Ermellina! Ho fatto un grande sogno! Un grande sogno! Che questo vecchio mondo imputridito crolli e ne sorga un altro giovane e innocente dove la sola ricchezza dell'uomo sia nella sua co­scienza...

Anselmo                          - Mi piacerebbe vedere un mondo simile.

Figlio                               - Voi ci siete già... Ma noi, che siamo giovani lo vedremo, Ermellina. E chissà che io non possa gettare un piccolo seme in mezzo agli altri. Bisogna incominciare da qui... Da quella gente che grida e getta sassi contro quella porta... il Segretario, la Con­tessa, l'Ispettore, il Podestà... Io trasfor­merò questo paese. Darò la libertà a tutti. Perché non dovrebbe riuscirmi?... Basta an­dare da loro con amore e ragionare. Gli uomini sono buoni...

Giulia                               - (con pietà) Sì caro... andrai... ma domani...

Figlio                               - No, subito. Io voglio che questa casa risplenda, faccia luce in tutti i dintorni, si veda al di là della montagna, fino alla valle e ancora più lontano...

Ermellina                         - Così ti sei già allontanato da me. Non hai più bisogno di nessuno. Che cosa può fare una piccola donna per questi gran­di sogni?

Figlio                               - Crederci, Ermellina. Tu non sai che cosa vuol dire sapere che c'è una persona dalla tua parte Una, quando tutto ti è contrario, che ti è fedele, che non ride delle tue sconfitte e davanti alla quale tu ti senti il più bello, il più intelligente, il più grande degli uomini. Ermellina, se tu mi credi io ti dovrò tutto... tutto... ricordalo bene... (Due Guardie escono dal bosco dietro la casa e bussano alla porta).

Ermellina                         - Caro. Io non potrò mai dubitare di te. (Si bussa ancora).

Giulia                               - Chi è?

Ermellina                         - Forse vengono a cercarmi...

Figlio                               - (forte) Spingete la porta. Non è chiusa. (Entrano le due Guardie).

ia Guardia                        - Scusate, ma abbiamo visto la luce...

Anselmo                          - Che cosa volete?

ia Guardia                        - Non ha chiesto ricovero qui un tipo che voleva nascondersi?

Anselmo                          - No, signore. Anche noi siamo en­trati poco fa.

i» Guardia                       - (al Figlio) Chi è quell'uomo?

Anselmo                          - Nostro figlio, e quella è la sua fi­danzata.

ia Guardia                        - Scusate. Allora dovremo ripren­dere la strada. S'è alzato un vento che ta­glia la faccia. Accidenti ai ladri! (La Guar­dia fa un piccolo cenno al Figlio che lì ac­compagna alla porta. Ora, a bassa voce e rapidamente la Guardia dice al Figlio) Man­dateli via. C'è qualcuno che deve parlarvi da solo.

Figlio                               - Da solo?

i» Guardia                       - Sarà meglio per voi. È qua fuori. (Accenna alla porticina a destra) È salito con noi dal Sentiero dei Contrabban­dieri. Aspetta.

Ermellina                         - (che segue da lontano con inquie­tudine il parlottare della Guardia e del Fi­glio, dice) È successo qualche cosa in paese?

I» Guardia                       - No. A qualche chilometro di qui, dei vagabondi hanno svaligiato una fatto­ria. È tutto il giorno che perlustriamo i din­torni. Qualcuno è già al fresco, ma uno ha le gambe lunghe e ancora non l'abbiamo scovato. Sarà per domani... Adesso siamo stanchi morti. (Ermellina fissa il Figlio con espressione mutata).

Anselmo                          - Se volete sedervi qui vicino al fuoco...

i» Guardia                       - Non vogliamo disturbare. C'è una specie di portico d:etro la casa, potrem­mo riposarci lì? All'alba ce ne andremo...

Anselmo                          - Come volete.

ia Guardia                        - Grazie. Buona notte. (Via sem­pre da sinistra girando dietro la casa. Pausa).

Giulia                               - Poveri diavoli, moriranno di freddo.

Figlio                               - E anche quel disgraziato che scappa.

Giulia                               - Anche lui. (Pausa, silenzio).

Anselmo                          - Mi è parso dì vedere di là una vec­chia coperta del cavallo.

Giulia                               - Potremmo metterla davanti alla fi­nestra. Perché non entri il vento...

Anselmo                          - Fuori nel portico si deve gelare. Quelli stanno peggio di noi, vecchia mia. E non sono neppure contenti. (Piccola pausa) Ti ricordi dove l'ho vista?

Giulia                               - Mi pare di sì, di ricordarmi... Vieni con me... (Via tutti e due in fondo. Il Fi­glio rimane pensoso, Ermellina segue i suoi movimenti. Silenzio. Egli sì versa an­cora da bere),

Ermellina                         - (con voce fredda) Non mi piace che tu beva.

Figlio                               - (la guarda stupito) Hai ragione... Scusa. Poi dico delle sciocchezze. (Distratto) Chi sa dove si sarà nascosto quel delin­quente... (Pausa) Di che stavamo parlando?

Ermellina                         - Non so. Hai le mani graffiate.

Figlio                               - Sì. Nel saltare una siepe sono sci­volato...

Ermellina                         - È strano.

Figlio                               - (stupito) Che un uomo possa scivolare e cadere? Perché ?

Ermellina                         - (abbassa il capo) Il fuoco sta per spegnersi. Perché non aggiungi un po' di legna?

(Anselmo e Giulia entrano con una vec­chia coperta).

Anselmo                          - L'abbiamo trovata... Vuoi por­tarla tu a quella gente? (Il Figlio prende la coperta e si avvia lentamente).

Ermellina                         - (che avrà seguito con crescente an­sia a un tratto ha uno scattò e sì precipita verso di luì per strappargli la coperta gri­dando) No! Non voglio! Non voglio che tu vada!... (Si guardano a lungo mentre cala il sipario.

ATTO QUARTO

La stessa scena dell'atto precedente. Fuori della casa, nel bosco, i rami nudi degli al­beri sono illuminati verso le cime dal chia­rore ancora vago della luna che sta per sorgere. Nella casa illuminata dal fuoco del camino e dal vacillante lucignolo, il Figlio lascia entrare il Segretario, avvolto in un mantello, dalla porticina a destra).

Figlio                               - Che cosa volete ancora da me?

Segretario                        - Non vi meraviglia che io sia ve­nuto a quest'ora da voi?

Figlio                               - No.

Segretario                        - (guardandosi intorno sospettoso) Nessuno... ci ascolta?

Figlio                               - Ciascuno di loro (Accenna alla stanza dì là) ha i suoi pensieri.

Segretario                        - Lo dicevo per voi.

Figlio                               - Non ho paura...

Segretario                        - Bene, meglio così... Allora posso parlare a cuore aperto.

Figlio                               - (con disprezzo) Voi...

Segretario                        - Cosa credete, che io... Oggi sono stato villano, cattivo. Scusatemi. Ma c'era tanta gente che guardava.

Figlio                               - Non ho tempo da perdere. Ditemi che cosa volete.

Segretario                        - Pregarvi di andar via di qua.

Figlio                               - No.

Segretario                        - Ascoltatemi...

Figlio                               - No... È successa una cosa straordina­ria, meravigliosa, per tutti. Lasciamo da parte la mia discesa dal cielo. Questo riguar­da me... Ma non è cosa meravigliosa che due poveri diavoli abbiano creato dal niente con la pura forza del pensiero un uomo di carne ed ossa, capace persino di riconoscerli? L'idea, che crea la realtà. Capite che cosa vuol dire per tutti? Questo si, non io con le mie scarpe rotte, questo è una rivelazione che viene dal cielo!

Segretario                        - Proprio per questo io vi prego... vi supplico di andarvene...

Figlio                               - È possibile che per i vostri miserabili interessi...

Segretario                        - Ah, voi credete, che io per il ter­reno... per la casa... No... Ma per restare nel mio cantuccio in pace fino alla morte...

Figlio                               - E io che cosa vi tolgo?

Segretario                        - Tutto. Tutto quello per cui ho vissuto fino ad oggi. Se è così come voi dite, che è l'idea che crea la realtà, io devo restituire il mal tolto, coprirmi il capo di cenere, e far penitenza. Eh, si perché voi non penserete che uno sia tanto imbecille da rinunziare a questa vostra grande verità, per conservare un po' di terra e un muc-chietto di quattrini, che infine dovrà lasciare lo stesso! Poi, non si tratta neanche di sce­gliere, se i miracoli si fabbricano... qui, qui sulla terra, con la propria volontà, la pro­pria virtù... Voi volete dire questo, no?

Figlio                               - Si.

Segretario                        - E chi non ha questa virtù?

Figlio                               - Tutti l'hanno. Nascosta nel cuore.

Segretario                        - Chi? Quella gente? La Contessa, il Podestà? L'Ispettore? Io?... Guardatemi in faccia, caro giovanotto. Guardate le mie spalle curve... Queste mani... Abitudini. Con­venzioni, la miseria, il lavoro, la famiglia, la paura della gente... Tutte queste cose, sono passate e ripassate come l'acqua del mare e hanno scavato queste rughe che vedete. E dentro non ne parliamo. Polvere. Segatura. (Quasi gridando) Ma cosa volete fare di noi? Voi dovete lasciarci campare! Siamo tutti così. Avete capito?

Figlio                               - Pure basta che uno, si salvi...

Segretario                        - Nessuno! Nessuno!

Figlio                               - Vedremo. Ermellina! Ermellina! Vieni!

Ermellina                         - (entrando dal fondo smarrita) Voi siete qui per me... per spiarmi e riferire ai miei genitori...

Segretario                        - (superiore) Per voi? No, no.

Figlio                               - Questo signore è venuto qui per sa­pere la verità; e noi dobbiamo dirgliela!

Ermellina                         - (trepidante) La verità...

Figlio                               - Oh, non aver paura... La verità dei fatti. La miserabile verità che noi abbiamo superata. Hai detto poco fa che non potrai mai dubitare di me?

Ermellina                         - È così.

Figlio                               - Ne sei sicura?

Ermellina                         - (esitando) Ne sono s'cura,

Figlio                               - Allora, ascolta. Io non sono quello che tu forse sognavi. Io sono un uomo... un povero uomo come tutti gli altri!

Ermellina                         - Non è vero! Non è vero!

Figlio                               -  Si. Ecco qua i documenti. Guarda, guarda. Io non ho paura, signor Segretario. Tutto in regola. Bisogna avere le carte in regola quando si cammina di notte, per le strade maestre.

Segretario                        - Un vagabondo! Forse un ladro!

Ermellina                         - Tu...

Figlio                               - Che cosa deve fare un disgraziato quando è solo dalla nascita? Del resto non me ne lamento. Almeno non si odia nei ge­nitori l'origine dei propri difetti...

Segretario                        - Vergognatevi.

Figlio                               - Io? Lasciamo andare. Ho fatto ogni sorta di mestieri. Ho vissuto. Ho patito. E ho visto tante cose brutte intorno a me... Tante da sentire il bisogno dì appiccicarmi al " primo albero della strada... Ma ad un tratto, stamattina, ecco il mio miracolo. Ermellina. Mi sveglio all'alba e mi sento come... se na­scessi in quel momento. O meglio ancora... Non mi riesce di ritrovare il mio corno come se un ladro passando lo avesse rubato mentre dormivo... I miei ricordi, ì miei dubbi, le mie delusioni, e insieme tutto quello che ero abituato a considerare me stesso... spa­rito lasciandomi leggero e felice. Libero di entrare e uscire dalle cose — un albero, un animale o una nuvola — come un ago che passa e ripassa in un tessuto prezioso e trasparente...

Segretario                        - Ma che cosa vuol dire. Queste sono parole...

Figlio                               - Certo, come si fa a dirle certe cose. Ma vi assicuro che io sentivo le cicatrici dell'ascia sui vecchi tronchi, il tormento del­la strada ghiacciata quando ci passano sopra le ruote e i viandanti lasciano l'orma delle loro grosse scarpe... Ed ero responsabile di tutto... Amavo le cose come se le avessi fatte io con i miei pensieri e i miei peccati... e dovessi salvarle a qualunque costo... Ma co­me? Così sono passato davanti al cancello e Giulia mi ha riconosciuto.

Il Segretario                     - Una pazza...

Ermellina                         - Tu mi hai ingannata... Hai ap­profittato di noi...

Il Segretario                     - Sì, sì! È così!

Il Figlio                            - Oh, Ermellina... Se io ti dico che sono veramente il figlio di Giulia e Ansel­mo, perché li ho riconosciuti dopo averli cercati per tutta la vita, come loro hanno riconosciuto me, che cosa importa che sia il miracolo o il caso. Spesso è la stessa cosa. (Supplichevole) perché vuoi credere alla verità meschina dei fatti piuttosto che a quella dello spirito?...

Ermellina                         - lo sono una donna e non un angelo (grave silenzio).

Il Segretario                     - (trionfante) La signorina ha già risposto.

Il Figlio                            - Vattene... povera ragazza...

Il Segretario                     - (in fretta) Sì, sì... io accom­pagnerò la signorina. La mia parola di genti­luomo che nessuno saprà mai dove ha pas­sato la sera... E così, tutto ritornerà in or­dine. Come prima...

Il Figlio                            - Andate via...

Il Segretario                     - Naturalmente anche voi ve ne andrete, subito.

Il Figlio                            - Nessuno può scacciarmi di qua. Solo loro mi restano e non li abbandonerò nelle vostre mani...

Il Segretario                     - Sentite, giovanotto. Domani verrà qui il medico e dichiarerà che quei due sono dementi e devono essere ricoverati.

Ermellina                         - No, questo... non dovete farlo...

Il Figlio                            - Non serve. Troppo tardi,

Ermel­lina                         - (Al Segretario, freddo, tranquillo) E poi?...

Il Segretario                     - E poi voi sarete arrestato.

Il Figlio                            - Ah, sì? E sotto quale accusa?...

Il Segretario                     - È facile trovarla... Ecco, siete voi, quel ladro che stanno cercando (ride).

Il Figlio                            - Bisognerà provarlo.

Il Segretario                     - Le prove si trovano.

Ermellina                         - Vi prego... vi prego, andiamo via!

Il Segretario                     - (con malvagità) Le prove si trovano sempre... dipende da chi le cerca. Sarà un bello spettacolo per loro, vedervi in mezzo alle guardie.

Ermellina                         - No... Questo no...

Il Segretario                     - E poi sarete accusato per false generalità a pubblico ufficiale... eh!... Ce n'è... ce n'è per voi... E sarà divertente trascinarli al processo quei due cari vecchiet­ti perché vedano con chi avevano a che fare. Sarà molto divertente... (Si frega le mani soddisfatto) Chissà... Forse riacquiste­ranno la ragione...

Il Figlio                            - (con uno scatto improvviso, pren­dendolo per il petto) Dio! Io non volevo .toccarlo! Io avevo paura di toccarlo! (Lo scuote. Il Segretario continua a sorridere).

Ermellina                         - Dio mio, aiutami!... (pausa) È colpa mia... (pausa) È colpa mia...

Il Figlio                            - Via., via di qua... (Il Figlio spinge II Segretario soffocato, ansante, fuo­ri dalla porticina che dà su le rocce. Ermel­lina rimane immobile con gli occhi fissi sul­la porta aperta. Si ode un grido soffocato. Silenzio). (Il Figlio rientra, fuori di sé. Chiude la porta e vi si appoggia ansante con le spalle).

Ermellina                         - Cosa hai fatto?...

Il Figlio                            - Sì...

Ermellina                         - (pausa) Che sarà di te?

Il Figlio                            - Va a vedere di là... Certo si sono svegliati... hanno sentito... (Ermellina esce e subito rientra).

Ermellina                         - No. (Poi cpìa attraverso le assi della finestre e dice) Dormono tutti come se fossero morti...

Il Figlio                            - Io volevo il bene di tutti... Non hanno voluto... Ermellina, adesso dove so­no?... dove mi avete portato?... Io non vo­levo questo. L'ho solo spinto fuori... Per non vederlo più... per lo schifo... Sorride­va... come se lo avesse saputo... È scivolato su le rocce... è caduto di sotto... Laggiù... Ho qui il rumore della testa che batte sulle pietre... (staccando intenso) L'ha fatto appo­sta per legarmi una catena al piede. Lo sapeva che ero un uomo libero! Nessuno. Nes­suno deve riuscire... L'aveva detto... quella carogna.

Ermellina                         - Abbi pietà di lui...

Il Figlio                            - I morti restano cattivi come erano in vita.

Ermellina                         - Vattene... bisogna mettersi in salvo.

Il Figlio                            - Non mi importa più (siede stan­camente). Ci hanno ingannati, Ermellina. Senza pietà.

Ermellina                         - (pausa) E a me, cosa rimane? Io non sarò più quella che ero... Le cam­pane, il miracolo, il figlio che non è mai esistito, tutto questo può essere una favola da bambini. Ma io non sono più una bambi­na. Io sono vera e ti amo. Avrei voluto che tu fossi l'uomo che avevo sognato... Ma se tu sei diverso, se sei un disgraziato e mi renderai infelice, peggio per me. Non ti ho scelto io. Adesso lo so. Non ho potuto fare a meno di volerti bene   - (pausa). Vengo con te.

Il Figlio                            - Che cosa vuoi fare? Mi vuoi re­dimere?

Ermellina                         - No. Ti amo così come sei. Ades­so, bisogna pensare a salvarsi. (Con deci­sione) Per prima cosa ce ne andremo da qui. Subito. Le guardie dormono. Nessuno ci ve­drà. Attraverseremo il bosco, conosco bene i luoghi. E domattina prenderemo il treno prima che si pensi a cercarci.

Il Figlio                            - E poi?

Ermellina                         - E poi ancora più lontano. Sem­pre più lontano. Dove vorrai.

Il Figlio                            - Nei fienili? Nelle tane? A chiedere l'elemosina?

Ermellina                         - Dove vorrai.

Il Figlio                            - Non è possibile, Ermellina. Tornerò a riprenderti quando avrò trovato un rifugio sicuro.

Ermellina                         - Non è vero. Se te ne vai, non tornerai più.

Il Figlio                            - Te lo giuro.

Ermellina                         - Sei un uomo; giurerai il falso.

Il Figlio                            - Ermellina, non posso portarti con me. Tu non sai che cosa voglia dire sentirsi inseguiti come belve. Patire la fame. Aver freddo e non potersi coprire. La miseria, Ermellina, la miseria che, in due, è peggio di tutto.

Ermellina                         - lo so dove mio padre tiene il de­naro. Adesso andrò a casa... (con un sorriso) ...e ruberò quel denaro.

Il Figlio                            - E tu saresti capace di fare una cosa simile per me?

Ermellina                         - Se tu hai fatto del male, anch'io devo farne per non lasciarti solo a portare i rimorsi. Ma... Non dicamo parole inutili... È tardi. Aspettami qui. (Si avvia, poi tor­nando indietro, timidamente) Non vuoi dar­mi un bacio?

Il Figlio                            - Sì. (Sì baciano) Grazie, Ermellina.

Ermellina                         - Capisci anche tu, che non potre­sti vivere senza di me?

Il Figlio                            - Sì... Ti aspetto... Anima mia (Er­mellina esce di corsa. Leggera scompare dietro la casa. Egli, inquieto, passeggia. Va una volta a spiare attraverso la torta e poi attraverso le assi che mal chiudono la fi­nestra).

Giulia                               - (entrando) Mi hai chiamato?

Il Figlto                           - (come ridestandosi trasognato) Si... forse... Devo proprio averti chiamato. (Ri­prende a passeggiare),

Giulia                               - Sei sempre lo stesso... Anche quando eri bambino facevi così. Mi chiamavi e poi non sapevi che cosa mi volevi chiedere.

Il Figlio                            - Mamma! No! Questa notte lo sa­prei! Avrei da domandarti tante cose... Vor­rei che tu mi narrassi ora per ora la mia infanzia... Le mie prime parole. I miei gio­chi... I miei sogni...

Giulia                               - (ride) Dicevi: « Quando sarò grande vorrò essere un Re ». Oh, potrei parlare di te, con te, sino al momento di chiudere gli occhi... E mi dispiace d'avere poco tempo, ormai...

Il Figlio                            - (cupo) Mamma, non puoi immagi­nare come io sia infelice. Devo partire.

Giulia                               - (quasi trattenendo il respiro) Oh, io lo sentivo...

Anselmo                          - (entrando) Giulia, perché te ne sei andata mentre dormivo? Lo sai che me ne accorgo subito e mi sveglio... Ma che c'è?

Giulia                               - Il nostro ragazzo vuol partire...

Anselmo                          - Di già? (Pausa) E quando?...

Il Figlio                            - Stanotte, subito.

Anselmo                          - Allora perché sei venuto?... Solo per darci questo dolore... Di vederti andar via di nuovo...

Il Figlio                            - Perdonatemi. Non è colpa mia. Non è proprio colpa mia.

Anselmo                          - Vuoi già lasciarci... Ma questa volta, figlio mio, non ci ritroverai al tuo ri­torno. Non puoi aspettare ancora a salu­tarci? (sorridendo) Sarà per poco, vedrai...

Giulia                               - No, Anselmo. Non è lui che deve sa­crificarsi. Se non può rimanere... Ebbene che vada. E noi dobbiamo riuscire ancora ad aspettarlo. Come prima. Sempre. Cercheremo ancora di indovinare dov'è. E con chi vive. E che cosa fa. (Al figlio) Certo, noi non siamo istruiti come te, e può darsi che le strade, la gente, i paesi non siano quelli. Anzi, siano sempre gli stessi, inventati da noi... Ma quello che importa è che là ti ri­troviamo.

Anselmo                          - (rassegnato, riprendendosi) Sì, è giusto così. Non badare a quello che ho det­to. Ti aspetteremo. (I due vecchietti si prendono per mano come due bambini).

Il Figlio                            - (come scoprendo qualche cosa di nuovo) È così. E' così che bisogna riuscite a vivere. (Con ricerca affannosa) Ho ancora bisogno di voi... (siede ira loro alla tavola) Mamma, prima dicevi che da bambino vo­levo diventare un Re...

Giulia                               - (dolce) Sì, caro.

Il Figlio                            - (eccitatissimo) Ebbene, io ho co­nosciuto uno che veramente voleva diven­tare un Re. E tanto fece, tanto camminò e patì, che un giorno s'accorse d'essere entrato nella sua reggia e d'essere finalmente un Re.

Giulia                               - (ad Anselmo allusiva) Vedi? Te lo avevo detto...

Il Figlio                            - Subito egli elesse la sua sposa. Fra tutte era le più bella e la più nobile... Ma nei recarsi con il suo corteo incontro a lei per dirle: « Ecco, tu sei la regina », scivolò, cadde e si macchiò nel fango della strada. Può accadere a tutti, ma non a un re. In­fatti egli subito volle abdicare e si condan­nò ali esilio.

Anselmo                          - Ma... e la sposa?

Il Figlio                            - Qui è il punto... Doveva dirle: « Avrei voluto che tu fossi la regina, ma ora sarai soltanto la mia povera compagna d'esi­lio ». Oppure doveva dirle: « Tu, sei no­bile e bella, sei la fidanzata del Re. E sarai per sempre la fidanzata del Re, perché io me ne vado , solo, in esilio? (rimane teso in aspettativa della risposta). Pensateci, è mol­to importante.

Giulia                               - Dici che era molto nobile?

Il Figlio                            - Sì.

Anselmo                          - È proprio molto bella?

Il Figlio                            - Sì.

Giulia                               - (pensa un momento) Se era molto no­bile e molto bella meritava di rimanere per sempre la fidanzata del re.

Anselmo                          - Sì. Non c'è da discutere.

Il Figlio                            - (come liberato da un peso) Grazie. Non mi aspettavo di meno da voi.

Anselmo                          - E lui. Il re, cosa decise?

Il Figlio                            - (triste) . Per un momento fu ten­tato di portarsela via... Era così cara... e bella! Ma... poi se ne andò, solo, con la tri­stezza d'essere soltanto un uomo.

Giulia                               - Era un vero re.

Il Figlio                            - (alto, intenso, metallico) Io non sono di quelli che se ne vanno dalla reggia per la scala di servizio e con i candelabri d'oro nelle tasche. Me ne vado con qualche cosa di meno e qualche cosa di più di quan­do sono venuto... Quella del vero re è una gran carriera, ma senza consolazioni! Gli al­tri uomini se sbagliano possono cavarsela con poco. Vi pare? Ma un re no. Perché

                                        - (profondo) la sua moneta più piccola è la vita, (alzandosi) È ora ch'io vada. (Con uno scatto improvviso va a spiare attraverso le assi che sbarrano la finestra. Anche i vec­chietti sì alzano).

Giulia                               - Ricordati di essere buono e forte co­me noi ti abbiamo fatto.

Il Figlio                            - Vi sarò fedele. E dite a Ermellina. (S'interrompe e appoggia la fronte alle assi della finestra).

Anselmo                          - Le diremo che tornerai presto.

Il Figlio                            - No. Ditele che in questo momento io comincio veramente ad amarla per il suo bene e non per il mio. Ditele che io mi sono visto nei suoi occhi così come avrei voluto essere. Non è stato che un attimo ma ne porterò la nostalgia con me per tutta la vita...

Giulia                               - (con infinita pietà) Soffri molto, fi­glio mio...

Il Figlio                            - Sì. Molto, Finché l'ultima assurda speranza, non so di che, forse di essere fe­lice in un modo qualunque non si decida a morire... Anch'io, come tutti gli altri...

Giulia                               - (con voce improvvisamente severa e grave) Tu non hai mai assomigliato a nes­suno. Se hai deciso, bisogna che ci lasci. Va' figliolo mio adorato, e che Dio ti benedica. (Fanno per seguirlo).

Il Figlio                            - No. Rimanete lì accanto al nostro focolare. Perché io possa ricordarvi così. Per sempre. Addio. E vi ringrazio di avermi dato la vita. (Via mentre i vecchi rimango­no presso il focolare, conchiusi. Il Figlio gira dietro la casa ove s'immagina il portico).

La voce del Figlio           - (che sveglia le guardie) Su, su, ragazzi... C'è del lavoro per voi.

Voce della prima Guardia             - (nel sonno) Eh? chi va là? (succede una pausa di silenzio du­rante la quale i due vecchietti si guardano, si alzano e, prendendosi per mano, vanno ' alla porta, la socchiudono e spiano fuori, nel bosco, già più illuminato dalla luna).

Giulia                               - Dov'è? Non lo vedo... (Il Figlio da dietro la casa compare in mezzo alle Guardie e si avvia attraversando la scena, rigidamen­te, senza voltarsi).

Anselmo                          - Eccolo. Ma perché va via con le guardie?

Giulia                               - Non hai capito, prima? Quando par­lava del re? Era lui! È venuto in incognito. Ma lui può comandare su tutti. Anche sulle guardie.

(Il Figlio e le Guardie scompaiono lungo il viottolo. I due vecchietti chiudono la porta e si avviano ai loro posti ai lati del camino il cui fuoco è languente. Ermellina, con in mano un fazzoletto su cui  capi sono legali in guisa da formare un minuscolo involto, giunge di corsa da dietro la casa e s'arresta guardando nella direzione nella quale II Fi­glio e le Guardie sono un istante prima scomparsi. Ella vacilla. Alza le braccia come a fermarli, poi scivola in ginocchio in un lungo pianto. Nella casa il lucignolo si spe­gne di colpo e anche il camino, cancellando le due ombre immobili. Una nuvola vela la luna, poi che anche il bosco si oscura. Sola voce umana, misera e implorante, quel pian­to fra le cose e i personaggi ormai definiti. Sul pianto si insinua la risata lunga e acuta della musica. A poco a poco la piena luce lunare torna e più dì prima a risplendere sul bosco. Nella casa, traverso una fessura della finestra, un raggio di luna illwiwna i due vecchietti immobili presso il camino. Il Fraticello e II Bambino sono avviliti in disparte. Il Cacciatore è in mezzo sod­disfatto).

Cacciatore                       - E cosi, finisce la storia di un miracolo...

Fraticello                         - Oh, perché hai voluto rovinare tutto. Era così bello vederli felici...

Cacciatore                       - Si, devo riconoscere che anch'io ho avuto un attimo di ritegno nell'intrecciare con la trama gentile della tua storia, il cupo disegno della mia. Ma se ti lasciavo fare, avrei avuto delle grosse noie. Quel ra­gazzo aveva il temperamento per diventare uno di quegli uomini pericolosi ed esaltati che in un lampo sconvolgono tutti i miei progetti  (Ride) Certo, non per vantarmi, ma il segretario che gli è morto fra le mani è stata una trovata geniale.

Bambino                          - Nonno, che ne sarà di Ermellina?

Cacciatore                       - Non domandarlo a lui. Ormai sono tutti in mano mia. Quasi tutti. Er­mellina piangerà ancora per qualche tempo. Poi, la farò sposare al ricco bovaro che, del resto, la tratterà benissimo. Avrà dei figli e ingrasserà. Ottimo rimedio per gua­rire dal misticismo.

Bambino                          - Preferirei che sì gettasse nel lago.

Cacciatore                       - Non posso permetterlo. È una cosa che non si usa più. E inoltre è proi­bito dalla legge. II ragazzo... eh, il ragazzo mi darà del filo da torcere. Quello ha tro­vato la via giusta. La via segreta. Ma, già, ' tu cosa ne sai di certe cose...

Fraticello                         - L'avevo svegliato puro e leggero come un bambino...

Cacciatore                       - E io gli ho messo il giusto carico addosso. Ne ho fatto un uomo, caro mo. Peccato che alla fine si sia messo in testa di pagare... (Sospira) Purtroppo, si è avviato per una strada che sfugge a me e a te. Ma quando sarà uscito di prigione vedrò di pro­curargli un posto di comando, e allora non sarà facile che mi sfugga...

Bambino                          - Nonno, non restiamo più qui. Co­me è brutta la terra.

Cacciatore                       - Eh, si. Questa notte è poco acco­gliente davvero. Fa un freddo del diavolo. Vedo avvicinarsi certi nuvoloni. Tra poco comincerà a nevicare           - (Il Cacciatore si allon­tana e il Fraticello si appoggia all'albero). Credo che non farai a tempo ad arrivare alla chiesa senza bagnarti il capo venerando... Perbacco! Già nevica; e c'è la luna.

Fraticello                         - Che strana neve tenera e profu­mata...

Bambino                          - Nonno! Nonno... Alza la testa! È straordinario. Sembra primavera... (Il pesco in mezzo alla scena è improvvisamente fiorito).

Cacciatore                       - Che c'è? (Guardando anche lui) Davvero, che pensiero gentile! Per farti omaggio, dimentico della stagione l'albero è fiorito. Ecco salva la tua reputazione. E anch'io non ho niente in contrario a questo genere di miracoli. Non servono a niente. E sono molto decorativi. Domani tutto il paese esulterà... Ma si... E anch'io... An­ch'io.

Fraticello                         - Caro, gentile albero, ti ringrazio di avermi un po' riconciliato con la terra...

Cacciatore                       - Non illuderti è un caso sporadico di entusiasmo giovanile. È stato piantato da pochi anni. Col tempo crescerà e imparerà ad essere più prudente... E poi se ne può trar­re anche una morale. C'è della gente che ama pazzamente i simboli. E ha ragione, sono comodi, danno elevate sensazioni e si lasciano metter da parte quando cominciano a dar fastidio. Dunque, dicevo, se ne può trarre una bella moraluccia...

Fraticello                         - Preferisco rischiare di bagnarmi, piuttosto che ascoltare i tuoi discorsi.

Cacciatore                       - Come vuoi. Ci rivedremo presto? Avrò ancora l'onore di ospitarti in questo basso luogo?

Fraticello                         - Spero mai più. A meno che...

Cacciatore                       - (preoccupato) A meno che...

Fraticello                         - A meno che la primavera... la primavera dell'anima non sia più un mira­colo per gli uomini.

Cacciatore                       - (ridendo) Ah, ah, la primavera eterna! Allora posso dormire i miei sonni tranquilli. Buona notte.

FINE