Non si sa mai

Stampa questo copione

Le quattro commedie gradevoli

Le quattro commedie gradevoli


(1897)

di George Bernard Shaw

Traduzione dì Paola Ojetti

Introduzione di Paolo Bertinetti

Personaggi

La signora Clandon

Dolly

Filippo

Gloria

Valentino

Crampton

Finch

M'Comas

Il cameriere

Bohun

Jo

La cameriera

Arnoldo Mondadori Editore


Atto primo

Un gabinetto dentistico, in una bella mattinata d'agosto del 1896. È il salotto migliore di un alloggio ammobiliato con terrazza sul mare in una stazione balneare sulla costa dì Torbay nel Devoti. La poltrona del paziente, vicino alla qua­le è la pompa del gas con relativo cilindro, è a metà tra il centro della stanza e uno dei suoi angoli. Se si potesse guar­dare in quella stanza dalla finestra che è di fronte alla pol­trona, si vedrebbe il focolare nel centro della parete di fron­te, con una porta alla sua sinistra, un diploma di chirurgo dentista incorniciato sul caminetto, una poltroncina davanti ai fuoco; nell'angolo di destra, uno sgabello e una panca, con una morsa, degli arnesi, un mortaio e un pestello. Nella parete di sinistra un'ampia finestra che guarda sul mare. Sot­to la finestra, una scrivania con la cartella e l'agenda, e una sedia. Più in là, c'è anche un divano. Il mobile Ho con gli strumenti è a portata di mano. vicino alla poltrona del pa­ziente. I mobili, il tappeto, la carta da parati sono tipici di un salotto della media epoca vittoriana, formalmente vivaci e festosi; non adatti all'uso quotidiano.

In questo momento, la stanza e occupata da due persone. Una di esse è una deliziosa donna in miniatura di appena diciotto anni, la cui minuscola figuretta è vestita con graziosa allegria. È evidente che questa incantevole creaturina non appartiene a quella stanza, e neanche a quel paese: la sua carnagione, per quanto delicatissima, è stata tinta di color biscotto da un sole più caldo del sole inglese. Ha un bicchier d'acqua fra le mani, mentre una nuvola molto passeggera di spartana sopportazione le adombra la bocca piccola e ferma e le sopracciglia stranamente squadrate.

Il dentista, che la sta contemplando con la soddisfazione del fortunato operatore, è un giovanotto di circa trent'anni. Non da l'impressione di essere un gran lavoratore: i mo­di professionali del dentista alle prime armi in cerca di pa­zienti sono nascosti da una cordialità spensierata che tradi­sce il giovane gentiluomo non ancora sistemato e alla cac­cia di avventure divertenti. Ha una certa gravita di porta­mento alla quale le narici dilatate imprimono il marchio della gravita dell'umorista. Ha gli occhi chiari, vivaci, di propor­zione moderata, un po' scettici ma pure un po' avventati; ha una fronte dì prim'ordine, dietro la quale c'è molto spazio; ha naso e mento belli e sdegnosi. Nell'insieme, è un princi­piante notevole e attraente, sul cui avvenire un uomo d'affari potrebbe dedurre una stima abbastanza favorevole.

La signorina (porgendogli il bicchiere). Grazie. (Nonostante la carnagione biscottata non ha d minimo accento stra­niero.)

Il dentista (posando il bicchiere sul bordo del mobiletto con gli strumenti). È stato il mio primo dente.

La signorina (esterrefatta). Il suo primo dente! Non vorrà mica dire che ha iniziato la sua professione da me?

Il dentista. I dentisti debbono pur sempre cominciare da qualcuno.

La signorina. Sì: qualcuno che è in ospedale, non qualcuno che paga.

Il dentista (ridendo). Oh, l'ospedale non conta. Io volevo di­re il mio primo dente nella professione privata. Perché non ha voluto un po' di gas?

La signorina. Perché lei m'ha avvisato che ci volevano cin­que scellini di più.

Il dentista (scandalizzato). Oh, non lo dica. Adesso mi pare di averle fatto male per colpa di cinque scellini.

La signorina (con fredda insolenza). Be', è proprio così. (Si alza.) Ma è naturale. Far male al prossimo è il suo me­stiere. (Egli si diverte a essere trattato in questo modo: ridacchia sottovoce mentre è intento a pulire e a riporre i suoi strumenti. La ragazza si rimette a posto gli abiti con una scrollatina: si guarda attorno con curiosità e va all'ampia finestra.) Ha un bel panorama del mare da que­st'appartamento! Costa molto caro?

Il dentista. Sì.

La signorina. La casa non è mica sua, vero?

Il dentista. No.

La signorina. Appunto. (Girando la sedia che è davanti alla scrivania e osservandola criticamente mentre la fa rotea­re su una gamba.) I suoi mobili non sono molto moder­ni, vero?

Il dentista. Sono del padrone di casa.

La signorina. Anche la poltrona del mal di denti è sua? (Indica la poltrona del dentista.)

Il dentista. No: quella l'ho presa in affitto.

La signorina (denigrandola). Appunto. (Si guarda attorno alla ricerca di ulteriori deduzioni.) Non sta mica qui da molto tempo, vero?

Il dentista. Da sei settimane. C'è altro che desidera sapere?

La signorina (senza raccogliere l'allusione). Ha famiglia?

Il dentista. Non sono ammogliato.

La signorina. Lo credo bene: si vede subito. Intendevo so­relle e madre e cose del genere.

Il dentista. Non nelle adiacenze.

La signorina. Hm! Se sta qui da sei settimane, e il mio dente è stato il primo, la sua clientela non dev'essere molto vasta, vero?

Il dentista. Per ora no. (Chiude il mobiletto, avendo messo-tutto in ordine.)

La signorina. Be', tanti auguri! (Tira fuori il borsellino.) Ha detto che ci volevano cinque scellini, vero?

Il dentista. Cinque scellini.

La signorina (tira fuori uno scudo). Fa pagare cinque scelli­ni per qualsiasi cosa?

Il dentista. Sì.

La signorina. Perché?

Il dentista. È il mio sistema. Io sono quello che suol dirsi un dentista da cinque scellini.

La signorina. Che bello! be', tenga! (Gli porge la moneta.) Una bella moneta da cinque scellini nuova di zecca! il suo primo onorario! Ci faccia un buco con l'arnese che le serve per trapanare i denti; e se lo infili nella catena dell'orologio.

Il dentista. Grazie,

La cameriera (affacciandosi alla porta,) Il fratello della si­gnorina, signore.

Un bell'uomo in miniatura, evidentemente gemello della signorina, entra ansioso, indossa un abito di cashmere colar terra bruciata, la cui giacca elegantemente tastata è rifilata di seta colar marrone, e porta in mano un cap­pello a tuba di colar bruno e dei guanti di colar brucia­to, intonati all'insieme. Ha il delicato colorito biscot­tato della sorella ed è costruito sulla stessa scala mino­re; ma è agile e di muscolatura forte, deciso nei movi­menti, dalla voce sorprendentemente profonda e dal di­scorso tagliente; ha dei modi perfetti e un eccellente stile personale che potrebbe destare l'invidia di un uo­mo due volte più vecchio di lui. La dolcezza e la sicurez­za sono i suoi punti d'onore; e per quanto ciò sia, tutto considerato; soltanto un atteggiamento di presunzione giovanile, l'effetto che provoca sulle persone più anziane è impressionante e sarebbe addirittura intollerabile in un giovane meno simpatico. È la prontezza personi­ficata e ha una domanda pronta appena mette piede nella stanza.

Il giovane signore. Ho fatto in tempo?

La signorina. No; è timo finito.

Il giovane signore. Hai strillato?

La signorina. Oh, sì, spaventosamente. Signor Valentino, questo è mio fratello Pippo; questo è il signor Valentino, nostro nuovo dentista. (Valentino e Pippo si fanno un reciproco inchino, Lei va avanti, tutto d'un fiato.) Sta qui soltanto da sei settimane ed è scapolo la casa non èsua e i mobili sono del padrone di casa ma l'im­pianto professionale è in affitto, m'ha cavato il dente benissimo con un colpo solo e abbiamo fatto grande amicizia.

Filippo. Hai fatto molte domande?

La signorina (come se fosse incapace di una cosa siffatta). Oh no.

Filippo. Mi fa piacere. (A Valentino) Lei è molto gentile a sopportarci, signor Valentino. Il fatto è che siamo ve­nuti in Inghilterra per la prima volta: e nostra madre dice che qua la gente non ci potrà sopportare. Venga a colazione con noi.

Valentino. sbalordito dai salti e dai balzi con cui proce­de la loro conoscenza, ansima, ma non ha il tempo di rispondere perché la conversazione dei gemelli è rapida e ininterrotta.

La signorina. Oh, sì. signor Valentino.

Filippo. Al Marine Hotel: all'una e mezzo.

La signorina. Così potremo dire alla mamma che un rispet­tabile signore inglese ha promesso di far colazione con noi.

Filippo. Non dica altro, signor Valentino: venga.

Valentino. Non dica altro! non ho detto una parola. Posso chiedere con chi ho il piacere di intrattenermi? Mi è assolutamente impossibile far colazione al Marine Hotel con due perfetti sconosciuti.

La signorina (petulante). Oooh! quante arie! Un cliente solo in sei settimane! Che cosa gliene importa a lei?

Filippo (maturo). No, Dolly; la mia conoscenza della na­tura umana conferma il giudizio del signor Valentino. Ha ragione. Lasci che le presenti la signorina Dorotea Clandon, comunemente chiamata Dolly. (Valentino s'in­china verso Dolly che fa un cenno col capo.) Io sono Filippo Clandon. Siamo di Madera, ma perfettamente rispettabili, fin adesso.

Valentino. Clandon! Sono forse parenti di...

Dolly (improvvisamente strilla disperata). Ma sì.

Valentino (stupito). Come dice?

Dolly. Ma sì, ma sì. È finita, Pippo: in Inghilterra sanno tutto di noi. (A Valentino.) Oh, lei non può immagina­re che disperazione sia essere parenti ài una persona ce­lebre, e non essere mai valutati, in nessun posto, per quello che siamo.

Valentino. Mi scusino; il signore a! quale alludevo non è affatto celebre.

Dolly e Filippo (fissandolo). Il signore?!

Valentino, Sì.Stavo per chiederle se lei non era per caso fi­glia del signor Densmore Clandon di Newbury Hall.

Dolly (distratta). No.

Filippo. Ma via. Dolly: come fai a sapere che non lo sei?

Dolly (rallegrata). Ah, dimenticavo. Certo. Forse lo sono.

Valentino. Non lo sa?

Filippo. Neppure lontanamente.

Dolly. Una figlia saggia non...

Filippo (interrompendola). Sss! (Valentino sussulta, nervoso; infatti il suono emesso da Pippo, per quanto istantaneo, somiglia allo strappo dato a un lenzuolo di seta unito al lampeggiare di un fulmine. È il risultato di una lunga pratica nell'arrestare le indiscrezioni di Dolly.) Il fatto è, signor Valentino, che noi siamo figli della celebre si­gnora Lanfrey Clandon. autrice di grande rinomanza... a Madera. Nessuna casa può dirsi arredata senza le sue Opere. Noi siamo venuti in Inghilterra per liberarcene. Si chiamano Trattati del Ventesimo secolo.

Dolly. La Cucina nel Ventesimo secolo.

Filippo. La Fede nel Ventesimo secolo.

Dolly. L'Abbigliamento nel Ventesimo secolo.

Filippo. La Condotta nel Ventesimo secolo.

Dolly. I Bambini nel Ventesimo secolo.

Filippo. I Genitori nel Ventesimo secolo.

Dolly. In brossura, mezzo dollaro.

Filippo. Rilegati in tela per uso familiare, due dollari. Nes­suna famiglia dovrebbe esserne sprovvista. Li legga, signor Valentino: le educheranno le idee.

Dolly. Ma non finché siamo qui noi, per favore.

Filippo. Appunto: noi preferiamo gente che non vuol farsi educare le idee. La nostra stessa mente ha brillantemen­te resistito a tutti gli sforai compiuti dalla nostra mam­ma per educarci le idee.

Valentino (dubbioso). Hm!

Dolly (facendogli eco, interrogativamente). Hm? Pippo, hai sentito? preferisce persone le cui idee sono educate.

Filippo. In questo caso dovremo presentarla all'altro membro della nostra famiglia: la "Donna del Ventesimo secolo": nostra sorella Gloria!

Dolly (ditirambica). Il capolavoro della natura!

Filippo. La figlia della dottrina!

Dolly. L'orgoglio di Madera!

Filippo. Il modello di bellezza!

Dolly (scendendo improvvisamente alla prosa). Frottole! Non ha carnagione.

Valentino (disperato). Posso dire una parola?

Filippo (cortesemente). Ci scusi. Dica pure.

Dolly (molto graziosamente). Mi dispiace tanto.

Valentino (tentando di prenderli paternamente). Bisogna proprio che faccia presente una cosa, a loro giovani si­gnori...

Dolly (sbottando di nuovo). Oh bravo! Questo mi piace! Quanti anni ha?

Filippo. Più di trenta.

Dolly. No, meno,

Filippo (in confidenza). Più.

Dolly (con enfasi). Ventisette.

Filippo (imperturbabile). Trentatré.

Dolly. Frottole.

Filippo (a Valentino). Mi appello a lei, signor Valentino.

Valentino (con rimostranza). Be', veramente.., (Rassegnan­dosi.) Trentuno.

Filippo (a Dolly). Avevi torto.

Dolly. Anche tu.

Filippo (improvvisamente coscienzioso). Dimentichiamo la buona creanza, Dolly.

Dolly (con rimorso). Sì, è giusto.

Filippo (scusandosi). L'abbiamo interrotta, signor Valentino.

Dolly. Lei voleva educarci le idee, se non sbaglio.

Valentino. Il fatto si è che il suo...

Filippo (prevenendolo). Il nostro modo di fare?

Dolly. Il nostro aspetto?

Valentino (implorando misericordia). Oh, mi lascino par­lare.

Dolly. La solita storia. Parliamo troppo.

Filippo. Infatti. Zitti, tutti e due. (Si siede sul bracciolo della poltrona per il paziente.)

Dolly. Mah! (Si siede di fronte alla scrivania, e si chiude le labbra con la punta delle dita.)

Valentino. Grazie. (Prende lo sgabello che è vicino alla pan­ca nell'angolo; la mette tra i due; e vi si siede con aria di giudice. Essi lo ascoltano con estrema gravità. Egli si rivolge anzitutto a Dolly.) E adesso posso chiederle, tanto per cominciare, se lei era mai stata in una stazione balneare inglese? (Dolly scrolla la testa, lentamente e solennemente. Egli si rivolge' a Pippo, che scrolla la testa rapidamente ed espressivamente.) Appunto. Eb­bene, signor Clandon, la nostra conoscenza è stata breve; ma è stata loquace; e io ho intuito quel tanto che basta a convincermi che nessuno di loro due è in grado di capire che cosa sia la vita da condurre in una stazione balneare inglese. Mi credano, non è un fatto di creanza e dì aspetto. Da questo punto di vista, noi godiamo una libertà sconosciuta a Madera. (Dolly scrolla la testa con veemenza.) Oh sì, glielo assicuro. La sorella di Lord de Cresci va in bicicletta con ì pantaloni alla zuava; e la moglie del rettore sostiene una riforma del vestiario ** e porta stivaletti igienici. (Dolly dà un'occhiata furtiva ai propri stivaletti: Valentino la sorprende in quei gesto e soggiunge lesto) No, non parlo dì stivaletti così. (La scarpa di Dolly scompare.) Noi, in Inghilterra non dia­mo molta importanza agli abiti e alla creanza perché, come nazione, non siamo ben vestiti e non abbiamo creanza. Ma... adesso vorranno scusare la mia franchez­za? (Essi annuiscono.) Grazie. Ebbene, in una stazione balneare v'è una sola cosa di cui debbono essere prov­visti prima che qualcuno possa permettersi di farsi vede­re in giro con loro; e questo è un padre, vivo o morto che sia. Posso dedurre che loro hanno omesso questa indispensabile pane della loro attrezzatura sociale? (Es­si confermano quelle parole annuendo malinconicamen­te.) Sono quindi spiacente di dir loro che se hanno in­tenzione di trattenersi qui per qualche tempo, mi sarà impossibile accettare il loro cortese invito a colazione. (Egli si alza con fare conclusivo, e rimette a posto lo sgabello vicino alla panca.)

Filippo (alzandosi con cortesia). Andiamo, Dolly. (Le of­fre il braccio.)

Dolly. Buongiorno. (Vanno insieme verso la porta con asso­luta dignità.)

Valentino (sopraffatto dal rimorso). Oh fermi! fermi! (Si fermano e si voltano, a braccetto!) Loro mi fanno sen­tire che sono un vero villano.

Dolly. Questo riguarda la sua coscienza: non noi.

Valentino (con energia, abbandonando ogni atteggiamento professionale). La mia coscienza! La mia coscienza è stata la mia rovina. Ascoltino. Due volte, prima d'ora, ho iniziato una rispettabile pratica medica in diverse parti d'Inghilterra. In ambedue le occasioni mi sono condotto coscienziosamente e ho detto ai miei pazienti la brutale verità in luogo dì ciò che desideravano farsi dire. Risultato: la rovina. Adesso mi sono messo a far il dentista, il dentista da cinque scellini; e ho messo da parte la coscienza. Questa è la mia ultima probabilità di riuscita. Ho speso fino all'ultima sterlina per impian­tare il gabinetto; e non ho ancora pagato un solo scel­lino di affitto. Mangio e bevo a credito; il mio padrone dì casa è ricco come un ebreo e duro come la pietra; e io ho guadagnato cinque scellini in sei settimane. Se sgarro di un capello dalla retta via della più rigorosa rispettabilità, son rovinato. In siffatte circostanze, cre­dono sìa leale invitarmi a colazione non conoscendo il loro padre?

Dolly. Dopo tutto, il nostro nonno è canonico della Catte­drale di Lincoln.

Valentino (come un naufrago che veda una vela all'orizzon­te). Come? Hanno un nonno?

Dolly. Uno solo.

Valentino. Ma, miei cari e buoni amici, perché mai non me l'hanno detto prima? Un canonico di Lincoln! Questo sistema tutto, naturalmente. Se permettono, vado a cam­biarmi la giacca. (Raggiunge con un balzo la porta e scompare.)

Dolly e Pippo lo seguono con lo sguardo, poi si fissano negli occhi. Mancando loro il pubblico, abbandonano subito il loro stile.

Filippo (buttando via il braccio di Dolly e venendo di ma­lumore verso la porta del paziente). Quel maledetto e fallito strappa-avorio ci fa l'onore di permetterci di sop­portarlo a colazione: forse è il primo pasto vero che rie­sce a fare da mesi. (Dà un calcio alla poltrona come se fosse Valentino,)

Dolly. È schifoso. Pippo, io non tollero più questo fatto. Qua in Inghilterra tutti ti chiedono per prima cosa se hai un padre,

Filippo. Non lo tollero più neanch'io. La mamma ci deve dire chi era.

Dolly. Oppure chi è. Può darsi sia vivo.

Filippo. Spero di no. Nessun uomo vivo mi sarà mai geni­tore.

Dolly. Potrebbe avete un mucchio di quattrini, però.

Filippo. Ne dubito. La mia conoscenza della natura umana mi induce a credere che se avesse un mucchio di quattri­ni non si sarebbe liberato tanto facilmente dalla sua af­fezionata famigliola. Comunque, cerchiamo di prenderla allegramente. Stai tranquilla, è morto.

Va davanti al focolare e si volta con le spalle al caminet­to. Appare la cameriera.

La cameriera. Due signore per lei, signorina. Sua madre e sua sorella, signorina, se non sbaglio.

Entrano la signora Clandon e Gloria. La signora Clandon è una veterana della Vecchia Guardia dei Diritti delle Donne, movimento che ha avuto per Bibbia il trattato di John Stuart Mill sulla Sottomissione della donna. La signora Clandon non sì è mai resa brutta o ridicola, sbandierando giubbetti mascolini, colletti ina­midati e catene d'orologio come alcune delle sue vecchie compagne, che avevano più aggressività che buon gusto; è troppo militante come agnostica per voler essere con­fusa con una quacchera. Si veste quindi come una don­na d'affari pur senza ridursi un uomo, mettendo al ban­do ogni attrazione sessuale e ogni desiderio di attribuire rispetto alla frivola virilità e alla elegante femminilità. Appartiene all'avanguardia del suo periodo (diciamo 1860-1880) con un atteggiamento gelosamente peren­torio di carattere e di intelletto, e mostrando di essere una donna che ha interessi culturali piuttosto che affetti personali appassionatamente sviluppati. Ha voce e modi assolutamente gentili e umani; e si abbandona coscien­ziosamente alle incidentali dimostrazioni di affetto con le quali i suoi figli esternano la stima che hanno per lei; ma le esibizioni di sentimenti personali la mettono segretamente in imbarazzo: in lei la passione è più uma­nitaria che umana; è profondamente sensibile ai proble­mi e ai principi sociali, non alle persone. Si osserva, tut­tavia, che questa assennatezza e questa intensa intimità personale valgono a conservare i suoi rapporti con Glo­ria e Pippo sullo stesso piano che con i figli di un'altra donna qualsiasi, ma sono abbandonate nel caso di Dol­ly. Per quanto ogni parola che essa le rivolge sia ne­cessariamente simile a un rimprovero per qualche in­frazione al decoro, la tenerezza tradita dalla sua voce e inequivocabile; e non è sorprendente che anni di siffatti rimproveri abbiano lasciato Dolly irrimediabilmente vi­ziata.

Gloria che ha da poco superato la ventina, è una don­na assai più imponente di sua madre. È l'incarnazione della più alta e altezzosa intelligenza, e si dibatte con l'impazienza di un carattere focoso e dominatore para­lizzato dall'inesperienza della gioventù e, suo malgrado, disciplinato dal perenne pericolo del ridicolo rappresen­tato dai suoi irriverenti minori. A diversità dalla madre, è tutta passione; e il conflitto della sua passione con il suo caparbio orgoglio e la sua intensa insofferenza sfo­cia in una raggelante freddezza di modi. In una donna brutta, tutto questo sarebbe repellente; ma Gloria è bel­la. La si direbbe una ragazza pericolosa se le passioni morali non fossero rivelate, e rivelate nobilmente, da una bella fronte. Il suo abito a giacca, di taglio maschi­le, di panno colar zafferano scuro, sembra convenzionale se visto di spalle; ma esso scopre di fronte una camicet­ta di seta colar verde-mare che ne distrugge ogni con­venzionalismo e la stacca decisamente, proprio come i gemelli, dall'ordinaria fiumana della elegante umanità balneare.

La signora Clandon fa qualche passo avanti nella stan­za, e si guarda attorno per vedere chi è presente. Gloria, che si studia sempre di non incoraggiare i gemelli tra­dendo un certo interesse per loro, va lentamente verso la finestra e guarda il mare con pensieri lontani. La ca­meriera, anziché ritirarsi, chiude la porta e si ferma da­vanti a lei aspettando.

La signora Clandon. Ebbene, ragazzi? Come va il mal di denti, Dolly? Dolly. Guarito, grazie al cielo. Me lo son fatto cavare. (Si siede su un gradino della poltrona del paziente.)

La signora Clandon si siede davanti alla scrivania.

Filippo (viene avanti con gravita, dai caminetto). E il denti­sta, un professionista di prim'ordine e della migliore po­sizione, viene a colazione con noi.

La signora Clandon (guardando, apprensiva, verso la came­riera). Pippo!

La cameriera. Mi scusi, signora. Sto aspettando il signor Valentino. Ho da fargli un'ambasciata.

Dolly. Da parte di chi?

La signora Clandon (scandalizzata). Dolly!

Dolly si morde le labbra e vi posa sopra la punta delle dita.

La cameriera. Soltanto da parte del padrone di casa, signo­rina.

Valentino, con un abito di serge turchino, il cappello di paglia in mano, torna di ottimo umore e senza fiato per la gran fretta di vestirsi. Gloria si volta dalla finestra e lo studia con raggelante attenzione.

Filippo. Mi permetta di presentarla, signor Valentino. Mia madre. la signora Lanfrey Clandon.

(La signora Clandon fa un breve inchino con la testa, talentino si inchina, molto compreso e molto all'altezza della situazione.)

Mia sorella Gloria. (Gloria si inchina con gelida dignità e si siede sul divano.)

Valentino s'innamora perdutamente a prima vista. Egli, si gingilla nervosamente col cappello e le fa un inchino strisciante.

La signora Clandon. Ho saputo che avremo il piacere di ve­derla a colazione starnarsi, signor Valentino.

Valentino. Grazie.,, sì... se non le dispiace... cioè se avrà la cortesia,,, (Alla cameriera, impaziente.) Che cosa c'è?

La cameriera. Il padrone di casa, signore, desidera parlarle prima che vada fuori,

Valentino. Oh, ditegli che ho quattro pazienti. (I Clandon si guardano sorpresi, salvo Pippo che è imperturbabile.) Se non gli dispiacesse di aspettare due minuti soli, potrei... far una scappata di un attimo giù da lui. (Sfrutta con confidenza la comprensione che essa ha della situazione.) Ditegli che sono occupato ma che desidero vederlo.

La cameriera (rassicurandolo). Sissignore. (Esce.)

La signora Clandon (sul punto di alzarsi). La tratteniamo, ci scusi...

Valentino. Tutt'altro. Tutt'altro. La loro presenza mi sarà di grandissimo aiuto. Il fatto si è che gli debbo sei setti­mane d'affitto; e fino a oggi non ho avuto clienti. 11 mio colloquio col padrone di casa sarà notevolmente facili­tato dall'apparente prosperità dei miei affari.

Dolly (seccata). Oh quant'è noioso sentirle sempre raccon­tare i fatti suoi! E noi dianzi abbiamo fìnto che lei fosse un professionista rispettabile, con una posizione di pri­mo ordine.

La signora Clandon (inorridita). Oh Dolly! Dolly! Ma, ca­ra, perché sei tanto scortese? (A Valentino.) La prego, signor Valentino, scusi questi miei barbari figlioli.

Valentino. Ma certo: mi sono abituato a loro. Sarebbe trop­po ardire, se la pregassi dì aspettare cinque minuti, il tempo di scendere a liberarmi del padron di casa?

Dolly. Ma faccia presto. Abbiamo appetito.

La signora Clandon (con nuovo rimprovero). Dolly, cara!

Valentino (a Dolly). Stia tranquilla. (Alla signora Clandon.) Grazie: farò presto, (Lancia un'occhiata furtiva a Glo­ria, voltandosi per andar via. Lei lo sta guardando molto gravemente- Egli si confonde.) Io... la... la... sì... la ringrazio. (Alla fine riesce a imbroccare la porta e a uscire; ma ha dato uno spettacolo pietoso.)

Filippo, Avete osservato? (Indicando Gloria.) Amore a pri­ma vista. Un altro trofeo per la tua collezione, Gloria. Numero quindici.

La signora Clandon. Silenzio, Pippo, ti prego. Potrebbe aver sentito.

Filippo. Lui no, (Si prepara alla scenata.) E adesso senti, mamma. (Prende lo sgabello che sta davanti alla panca e si siede maestosamente nel centro della stanza, copian­do la recente dimostrazione di Valentino. Dolly, senten­do che la sua posizione sul gradino della poltrona del paziente è inferiore alla dignità dell'occasione, si alza con aria di importanza e di inflessibilità. Va alla finestra e vi rimane voltando le spalle al fondo della scrivania, con le mani dietro a sé, poggiate stilla scrivania stessa. La signora Clandon li guarda, domandandosi che cosa stia per accadere. Gloria si fa attenta. Pippo si irrigidi­sce; posa le nocche simmetricamente sulle ginocchia; ed espone il caso.) Dolly e io abbiamo parlato a lungo della situazione; e io non credo, a giudicare dalla mia cono­scenza della natura umana... noi non crediamo che tu... (parlando a scatti, così da staccare una parola dall'altra) abbia. Valutato. Il fatto...

Dolly (balzando a sedere in fondo alla scrivania). Che noi sia­mo diventati grandi.

La signora Clandon. Davvero? E in che modo vi ho dato mo­tivo di lamentarvi?

Filippo. Ebbene, vi sono alcuni settori riguardo ai quali co­minciamo a sentire che potresti tenerci un po' più nella tua confidenza.

La signora Clandon (alzandosi, mentre tutta la calma dovu­ta alla sua età si trasforma improvvisamente in una stra­na e dura agitazione, dignitosa ma accanita, signorile ma implacabile: i modi della Vecchia Guardia). Pippo: sta' attento. Ricorda quello che t'ho sempre insegnato. Vi sono due generi di vita familiare, Pippo, e, per adesso, la tua esperienza della natura umana si riferisce a uno solo di essi. (Con retorica.) Il genere che tu conosci è fondato sul reciproco rispetto, sul riconoscimento del di­ritto che ogni membro della famiglia ha alla propria indipendenza e intimità (appoggia molto enfaticamente sulla parola "intimità") personali. E poiché è sempre stato per voi motivo di gioia, questo genere vi sembra tanto naturale che non lo valutate. Ma (con mordente acrimonia) v'è un altro genere di vita familiare: una vita in cui i mariti aprono le lettere delle loro mogli e pre­tendono che esse rendano loro conto di ogni centesimo di spesa e di ogni attimo di tempo; in cui le donne fan­no altrettanto coi loro figli; in cui nessuna stanza è pri­vata e nessuna ora è sacra; in cui dovere, obbedienza, affetto, casa, moralità e religione sono odiose tirannidi, e la vita un volgare seguito di castighi, di bugie, di costrizioni e di ribellioni, di gelosie, di sospetto, di recrimi­nazioni... Oh! non ve lo posso descrivere: per vostra fortuna, non ne sapete nulla. (Si siede, ansimante.)

Dolly (refrattaria alla retorica). Vedi I Genitori nel Ventesi­mo secolo, capitolo sulla Libertà e seguenti.

La signora Clandon (toccandole affettuosamente la spalla, raddolcita perfino dalla sua presa in giro). Mia cara Dol­ly: se tu sapessi quanto sono felice che tutto questo sia per te soltanto uno scherzo pur essendo per me una così seria amarezza. (Maggiormente decisa, rivolta a Pippo.) Pippo: io non ti faccio mai domande riguardan­ti la tua vita privata. Non vorrai fare domande a me, vero?

Filippo. Credo sia nostro dovere dirti che la domanda che vo­levamo farti riguarda noi quanto té.

Dolly. E, poi, non può essere bene tenere tante domande im­bottigliate dentro di noi. Tu l'hai fatto, mamma, ma vedi in che modo spaventoso esse scoppiano dentro di me.

La signora Clandon. Vedo che avete una domanda da fare. Fatela.

Dolly e Filippo (cominciano simultaneamente). Chi... (Si fer­mano.)

Filippo. Scusa, Dolly: questa faccenda la conduco in porto io o te?

Dolly. Tu.

Filippo. Allora stai zitta. (Dolly eseguisce, letteralmente.) La domanda è molto semplice. Quando quel cava-avorio...

La signora Clandon (con rimostranza). Pippo!

Filippo. Cavadenti è una brutta parola. L'uomo dell'avorio e dell'oro ci ha chiesto se eravamo figli del signor Dens-more Clandon di Newbury Hall. In osservanza dei pre­cetti esposti nel tuo Trattato sulla Condotta nel Ven­tesimo secolo e delle tue reiterate esortazioni personali a limitare il numero delle bugie superflue che noi pro­nunciamo, abbiamo risposto sinceramente di non sa­perlo.

Dolly. E non lo sappiamo.

Filippo. Zitta! Ne è risultato che quell'architetto gengivario ha avanzato notevoli difficoltà sull'accettatone del no­stro invito a colazione, per quanto io dubiti che da oltre quindici giorni egli si nutra unicamente di pane burro e té. Adesso la mia conoscenza della natura umana mi induce a credere che noi abbiamo avuto un padre, e che tu probabilmente sai chi è stato.

La signora Clandon (riprendendo ad agitarsi). Basta, Pippo. Vostro padre non è niente per voi, o per me. (Con vee­menza.) E tanto basti.

I gemelli sono messi a tacere, ma non soddisfatti. I loro visi si oscurano. Ma Gloria, che ha seguito attentamen­te l'alterco, interviene improvvisamente.

Gloria (venendo avanti). Mamma: noi abbiamo il diritto di saperlo.

La signora Clandon (alzandosi e affrontandola). Gloria! "Noi"! Chi "noi"?

Gloria (con fermezza). Noi tre. (Il suo tono è inequivocabi­le: è la prima volta in cui impegna la sua forza contro quella di sua madre. I gemelli vanno immediatamente dalla parte del nemico.)

La signora Clandon (ferita). Gloria, in bocca a te, la parola "noi" significava, fino a oggi, te e io.

Filippo (alzandosi deciso e rimettendo a posto lo sgabello). Ti facciamo del male: smettiamo. Non credevamo ti sa­rebbe importato. Io non voglio saper nulla.

Dolly (scendendo dalla tavola). Anch'io non voglio saperlo. Oh, non far quella faccia, mamma. (Guarda con rabbia Gloria e butta le braccia al collo della madre.)

La signora Clandon. Grazie, mia cara. Grazie, Pippo. (Si stacca con affetto da Dolly e si rimette a sedere.)

Gloria (inesorabilmente). Abbiamo il diritto di saperlo, mam­ma.

La signora Clandon (indignata). Ah! Insisti.

Gloria. Intendi dire che non lo sapremo mai?

Dolly. Oh, Gloria, basta. E barbaro.

Gloria (con calma, beffarda). A che serve essere deboli? Hai visto, mamma, quel che è accaduto con questo signore. La stessa cosa è accaduta a me.

La signora Clandon                                  Che vuoi dire?

Dolly                            (tutti insieme).      Oh, raccontaci!

Filippo                                                      Che t’è accaduto?

Gloria. Oh, niente di grave. (Si stacca da loro, va lentamente verso la poltroncina che è di fronte al carni-netto e vi si siede quasi voltando loro le spalle. Mentre aspettano an­siosi, essa soggiunge, voltando leggermene la testa su una spalla, con studiata indifferenza.) A bordo del va­pore, il comandante mi ha fatto l'onore di chiedere la mia mano.

Dolly. No: l'ha chiesta a me.

La signora Clandon. Il comandante! Dici sul serio, Gloria? E che cosa gli hai risposto? (Correggendosi.) Scusami: non ho il diritto dì chiedertelo.

Gloria. La risposta è piuttosto ovvia. Una donna che ignora chi sia stato suo padre non può accettare offerte siffatte.

La signora Clandon. Certo non avrai voluto accettarla!

Gloria (voltandosi leggermente e alzando la voce). No: ma se avessi voluto?

Filippo. Hai incontrato la stessa difficoltà, Dolly?

Dolly. No. Io ho accettato.

La signora Clandon     Hai accettato!

Filippo                          (strillando    tutti  insieme) Dolly!

Gloria                           Ma via!

Dolly (ingenuamente). Aveva l'aria tanto stupida!

La signora Clandon. Ma perché hai fatto una cosa simile. Dolly?

Dolly. Per scherzo, forse. M'ha voluto misurare il dito per comprarmi l'anello. Avresti fatto altrettanto.

La signora Clandon. No, Dolly, non l'avrei fatto. Per la veri­tà, il comandante ha chiesto la mano mia; e io gli ho detto di serbare certi scherzi per donne sufficientemente giovani da divertircisi. Evidentemente ha seguito 0 mio consiglio. (Si alza e va verso il focolare.) Gloria: mi di­spiace che tu mi creda debole; ma non posso dirvi quello che desiderate. Siete tutti troppo giovani.

Filippo. È una sorprendente deviazione dai principi del Ven­tesimo secolo.

Dolly (citando). "Rispondete a tutte le domande dei vostri figli, e rispondete sinceramente, appena sono in età da potervele porre." Vedi la Maternità nel Ventesimo se­colo. ..

Filippo. Pagina uno.

Dolly. Capitolo primo. Filippo. Primo capoverso.

La signora Clandon. Miei cari: io non voglio dire che siete troppo giovani per sapere. Voglio dire che siete troppo giovani per entrare nella mia confidenza. Siete dei ra­gazzi molto intelligenti, tutti e tre; ma siete ancora mol­to inesperti e di conseguenza siete talvolta molto poco comprensivi. Vi sono alcune mie esperienze delle quali non amo parlare se non con coloro i quali hanno supe­rato tutto ciò che ho superato io. Mi auguro che non sarete mai in grado di ricevere quelle confidenze.

Filippo. Un altro rimprovero, Dolly!

Dolly. Non siamo comprensivi.

Gloria (si china in avanti, senza alzarsi, e guarda con ansia verso la madre). Mamma: io non volevo essere poco comprensiva.

La signora Clandon (affettuosamente). Lo so, cara. Capisco benissimo!

Gloria (alzandosi). Però mamma...

La signora Clandon (indietreggiando un poco). Sì?

Gloria (caparbia). È assurdo dirci che nostro padre non è niente per noi.

La signora Clandon (provocata a decidersi improvvisamen­te). Ricordate vostro padre?

Gloria (meditabonda, come se il ricordo fosse per lei molto tenero). Non ne sono sicurissima. Ma credo di sì.

La signora Clandon (torva). Non ne sei sicurissima?

Gloria. No.

La signora Clandon (calma e forte). Gloria: se io t'avessi mai picchiata (Gloria indietreggia; Pippo e Dolly sono sgra­devolmente sorpresi: tutti e tre la fissano, con aria di ri­bellione, mentre ella seguita spietata)... picchiata volontariamente, volutamente, con l'intenzione di farti male, con una frusta comprata apposta! credi che te ne ricor­deresti? (Gloria emette un'esclamazione che denota la sua indignata repulsione,) Questo sarebbe stato l'ultimo ri­cordo di tuo padre, se io non ti avessi portata via da lui L'ho tenuto estraneo alla tua vita: tienlo adesso estra­neo alla mia non nominandomelo mai più.

Gloria, rabbrividendo, si copre il viso con le mani fin che, udendo qualcuno sulla porta, non si ricompone. La signora Clandon si siede sul divano. Valentino torna.

Valentino. Spero di non essermi attardato troppo. Quel mio padrone di casa è proprio un vecchietto straordinario.

Dolly (con ansia). Oh, ci dica. Quanto tempo le ha dato per pagare?

La signora Clandon (sgomenta per il modo di fare di sua fi­glia). Dolly, Dolly, Dolly mia! Non devi far domande.

Dolly (a testa bassa). Oh, mi dispiace. Ce lo dirà, vero, si­gnor Valentino?

Valentino. Non vuole mica riscuotere l'affitto. Sì è rotto un dente con una nocciolina del Brasile; e vuole che glielo guardi e poi faccia colazione con lui.

Dolly. Allora lo faccia salire e gli cavi subito quel dente; portiamo a colazione anche lui. Dica alla cameriera che lo vada a chiamare. (Corre al campanello e lo suona vi­gorosamente. Poi, con un dubbio improvviso, si rivolge a Valentino e soggiunge) Suppongo sarà rispettabile... molto rispettabile.

Valentino. Rispettabilissimo. Non come me.

Dolly. Parola d'onore?

La signora Clandon ansima debolmente; ma il suo pote­re di rimprovero è esaurito.

Valentino. Parola d'onore.

Dolly. E allora coraggio, lo faccia salire.

Valentino (guardando dubbioso la signora Clandon). Oso dire che sarebbe felice se... se...

La signora Clandon (alzandosi e guardando l'orologio). Sarò felice di vedere questo signore a colazione, se lei riusci­rà a convincerlo di venire; ma non posso aspettare per vederlo adesso; ho un appuntamento in albergo con un vecchio amico che non vedo da quando ho lasciato l'In­ghilterra diciotto anni fa. Mi vuole scusare?

Valentino., Certo, signora Clandon.

Gloria. Devo venire?

La signora Clandon. No, cara. Voglio esser sola. (Esce, evi­dentemente ancora molto turbata.)

Valentino le apre la porta e la segue.

Filippo (con intenzione, a Dolly). Hmhm! Dolly (con intenzione, a Pippo). Ahah!

La cameriera risponde al campanello.

Dolly. Fate salire quel vecchio signore.

La cameriera (perplessa). Prego, signorina?

Dolly. Il vecchio signore col mal di denti.

Filippo. Il padrone di casa.

La cameriera. Il signor Crampton, signore?

Filippo. Si chiama Crampton?

Dolly (a Filippo). Crampi... Crampton, è un uomo reumatico, no?

Filippo. Forse avrà dei calcoli.

Dolly. Fate salire il signor Crarnpoli.

La cameriera (uscendo).  Il signor Crampton, signorina.

Dolly (ripetendolo a se stessa, come una lezione). Crampton, Crampton, Crampton, Crampton, Crampton. (Si siede diligente alla scrivania.) Bisogna che impari bene quel nome, se no Dio solo sa come finirò per chiamarlo.

Gloria. Pippo: puoi credere una cosa orrenda come quella su nostro padre? quella che ci ha detto la mamma.

Filippo. Oh, c'è tanta gente così. Il vecchio Chamico frusta­va sua moglie e le sue figliole con una frusta da car­rettiere.

Dolly (con disprezzo). Sì, era un portoghese!

Filippo. Quando gli uomini sono dei bruti, c'è molto in co­mune tra la varietà portoghese e Ja varietà inglese, cara Dolly. Abbi fiducia nella mia conoscenza della natura umana. (Riprende la sua posizione di fronte al caminet­to con aria di uomo anziano e responsabile.)

Gloria (con rabbioso rimorso). Non credo che faremo più il nostro vecchio gioco di indovinare come sarebbe stato nostro padre. Dolly: ti dispiace per tuo padre? il padre con un mucchio di quattrini?

Dolly. Oh via! non pensi a tuo padre? al vecchio signore malinconico dal tenero cuore dolente? Mi pare che sia crepato con una certa violenza.

Filippo. Non si può più dubitare che il governatore sia una superstizione ben esplosa. (Si ode Valentino che parla con qualcuno fuori dalla porta.) Attenti! eccolo.

Gloria (nervosa). Chi?

Dolly. Calcoloni.

Filippo. Zitta! Attenzione! (Assumono un atteggiamento di perfetta educazione. Pippo soggiunge, sottovoce, a Glo­ria) Se può andar bene per la colazione, faccio un cenno a Dolly; e se lei lo fa a te, invitalo tranquillamente.

Valentino torna col suo padrone di casa. Il signor Fergus Crampton è un uomo di circa sessant’anni, con la bocca atrocemente ostinata, stizzita e avida e la voce dogma­tica. Egli non denota affatto l'intenzione di mettere alle strette qualcuno o di essere commercialmente diffiden­te; è ben vestito e lo si potrebbe, quasi con la certezza di non sbagliare, classificare un fiorente proprietario di una manifattura ereditata da una vecchia famiglia appar­tenente alla aristocrazia del commercio. La sua giacca turchina scura non è della solita foggia che va di moda. Non è esattamente una giacca da comandante di lungo corso; ma è tagliata in quel modo, a doppio petto e con dei grossi bottoni e degli ampi risvolti. È una giacca più adatta a un cantiere che a un ufficio commerciale. Ha una forte simpatia per Valentino che non dà alcun peso a quella innata malagrazia e lo tratta con un'uma­nità poco rispettosa della quale egli gli è segretamente grato.

Valentino. Posso presentare? Questo è il signor Cramp­ton: la signorina Dorotea Ciancioli, il signor Filippo Clandon, la signorina Clandon. (Crampton, seccato, sa­luta tutti con un inchino. Tutti gli altri si inchinano.) Si sieda, signor Crampton.

Dolly (indicando la poltrona del paziente). Quella è la pol­trona più comoda, signor Cai... Crampton.

Crampton. Grazie; ma non crede che questa signorina... (In­dica Gloria che è vicina alla poltrona.)

Gloria. Grazie, signor Crampton: stiamo andando via.

Valentino (spingendolo verso la poltrona con allegra autori­tà). Si sieda, si sieda. Lei è stanco.

Crampton. Be', forse, siccome sono di gran lunga il più vec chio dei presenti, posso... (Conclude la battuta sedendosi un po' reumaticamente nella poltrona. Nel frattempo Pippo, avendolo studiato criticamente mentre attraver­sava la stanza, fa un cenno a Dolly; e questa fa un cen­no a Gloria.)

Gloria. Signor Crampton: a quanto ci risulta noi togliamo al signor Valentino il piacere dì far colazione con lei, por­tandolo via con noi. Mia madre sarebbe veramente mol­to lieta se anche lei volesse venire.

Crampton (con riconoscenza, dopo averli guardati & fondo per un momento). Grazie. Verrò con piacere.

Gloria             Noi la ringraziamo tanto... e...

Dolly          (educatamente mormorano)   Tanto felice che... che lei...

Filippo           È veramente un piacere, creda... averla...

La conversazione languisce. Gloria e Dolly si guardano; poi guardano Valentino e Pippo. Valentino e Pippo, poco adeguati all'occasione, guardano lontano dalle due ragazze ma si guardano fra loro e rimangono tanto scon­certati perché il loro sguardo s'è incontrato che voltano lo sguardo dall'altra parte, così che incontrano gli occhi di Gloria e Dolly. Indi, cogliendo lo sguardo prima del­l'uno e poi dell'altro, finiscono tutti per non guardar più a niente e per non saper più che pesci pigliare. Cramp­ton li guarda, aspettando che comincino. Il silenzio di­venta intollerabile.

Dolly (all'improvviso, per dare l'avvio). Quanti anni ha, si­gnor Crampton?

Gloria (in fretta). Dobbiamo proprio andar via, signor Valen­tino. Dunque è inteso che ci troviamo all'una e mezzo. (Va verso la porta. Pippo va con lei. Valentino si ritira verso il campanello.)

Valentino. All'una e mezzo. (Suona il campanello.) Grazie tante. (Segue Gloria e Pippo fino alla porta ed esce con loro)

Dolly (che nel frattempo è andata furtivamente vicino a Crampton). Si faccia dare il gas. Costa cinque scellini di più: ma ne vale la pena.

Crampton (divertito). Va bene. (Guardandola con curiosità.) Dunque vuoi sapere quanti anni ho, vero? Ne ho cin­quantasette.

Dolly (convinta). Li dimostra.

Crampton (torvo). Credo proprio di sì.

Dolly. Che ha da guardarmi fisso? C'è qualcosa che non va? (Si tocca il cappello per sentire se è a posto.)

Crampton. Somiglia a qualcuno.

Dolly. A chi?

Crampton. Be', somiglia stranamente a mia madre.

Dolly (incredula). A sua madre!!! È proprio sicuro che non pensava a sua figlia?

Crampton (subito rabbuiandosi per l'odio). Sì: sono proprio sicuro che non pensavo a mia figlia.

Dolly (compiangendolo). Molto mal di denti, eh?

Crampton. No, no, affatto. È stata una fitta nella memoria, signorina Clandon, non nel dente malato.

Dolly. Se lo faccia cavate. "Strappa dalla memoria il radicato dolor". Col gas, cinque scellini di più.

Crampton (con rancore). No, non un dolore. Un torto che m'è stato fatto una volta; ecco tutto. Io non dimentico i torti; e non li voglio dimenticare, (I suoi lineamenti si compongono in un'espressione di implacabile cipiglio.)

Dolly (lo guarda criticamente). Non credo che ci piacerà molto vederle ruminare i torti ricevuti.

Filippo (che è entrato nella stanza non osservato e si è messo furtivamente dietro a lei). Mia sorella non dice per of­fendere, signor Crampton; ma è indiscreta. Adesso Dol­ly: fuori! (La accompagna verso la porta.)

Dolly (con tono sommesso ma perfettamente udibile). Dice che ha soltanto cinquantasette anni e pensa che io sia l'immagine di sua madre e odia sua figlia e... (È inter­rotta dal ritorno di Valentino.)

Valentino. La signorina Clandon è andata avanti.

Filippo. Non dimentichi l'una e mezzo.

Dolly. E si rammenti di lasciare al signor Crampton i denti per mangiare. (Escono.)

Valentino va al mobiletto degli strumenti, e lo apre.

Crampton. Che ragazzina viziata, signor Valentino! È uno dei vostri prodotti moderni. Quando avevo l'età sua, la buona creanza me l'insegnava il ricordo fresco di molti scapaccioni.

Valentino (prende in mano lo specchio e una sonda) E la sorella che effetto le ha fatto?

Crampton. Le piace di più, vero?

Valentino (rapsodico). Mi ha fatto l'effetto di una... (Si controlla e soggiunge, prosaicamente) Comunque, que­sto non c'entra. (Riprende il tono professionale.) Apra, per favore. (Crampton apre la bocca. Valentino vi ficca dentro lo specchietto e osserva i denti.) Hm! lo ha pro­prio spezzato. Che peccato rovinare una così bella den­tatura! Perché ci rompe le noci? (Ritira lo specchietto e viene avanti per conversare col cliente.)

Crampton. Io ci ho sempre rotto le noci: se no, che ci stan­no a fare? (Dogmatico.) Il vero modo di tener bene i denti è di adoperarli molto per spezzare ossa e noci, e di lavarli tutti i giorni col sapone; sapone giallo comune.

Valentino. Col sapone! Perché col sapone?

Crampton. Ho cominciato ad adoperarlo da bambino perché mi ci hanno costretto; e da allora in poi l'ho adoperato sempre. E in vita mia non ho mai avuto mal di denti.

Valentino. Non le sembra che abbia un saporaccio?

Crampton. Ho trovato che tante cose che mi facevano bene avevano un saporaccio. Ma mi è stato insegnato ad adattarmici, e mi ci sono adattato. Adesso ci sono abituato: infatti, quando il sapone è veramente buono quel sapo­re mi piace.

Valentino (torcendo la bocca suo malgrado). Mi sembra che lei sia stato educato con molta cura, signor Crampton.

Crampton (torvo). Comunque, non sono stato viziato.

Valentino (sorridendo quasi sotto i baffi). Ne è proprio sicuro?

Crampton (con asprezza). Che vuol dire?

Valentino. Be', ha degli ottimi denti, lo ammetto. Ma ne ho visti degli altrettanto buoni in bocche abituate a una comodità molto maggiore. (Va al mobiletto e cambia lo strumento.)

Crampton. Non è l'effetto sui denti, quello che conta; è l'ef­fetto sul carattere.

Valentino (calmo). Ah, il carattere! Capisco. (Ricomincia l'operazione.)  Un  po'  più  aperta, per favore.  Hm!

Ma perché morde tanto forte? ha spezzato il dente più di quanto abbia spezzato la nocciolina del Brasile. Biso­gnerà toglierlo: non c'è modo dì salvarlo. (Ritira lo stru­mento e torna vicino alla poltrona per conversare.) Non si spaventi: non sentirà niente. Le darò un po' di gas.

Crampton. Robaccia, buonuomo: non voglio il suo gas. Via, via! Ai tempi miei si insegnava a sopportare ì dolori ne­cessari.

Valentino. Oh, se le piace sentir male, benissimo. Le farò tutto il male che vuole, senza alcun compenso supple­mentare per il benefico effetto che ne trarrà il suo ca­rattere.

Crampton (alzandosi e fulminandolo con lo sguardo). Giova­notto: lei mi deve sei settimane d'affitto.

Valentino. Lo so.

Crampton. Mi può pagare?

Valentino. No.

Crampton (soddisfatto del proprio vantaggio). Me lo figu­ravo. (Si rimette a sedere.) Quando crede che mi potrà pagare se sa soltanto prendersi gioco dei suoi pazienti?

Valentino. Ma. caro signore, non tutti i miei pazienti si sono formati il carattere sul sapone da bucato.

Crampton (afferrandolo improvvisamente per un braccio mentre si volta per frugare nel mobiletlo degli strumen­ti). Tanto peggio per loro! Io le assicuro che lei non capisce il mio carattere. Se potessi far a meno di tutti i miei denti, glieli lascerei strappare uno dopo l'altro per dimostrarle che cosa sa sopportare un uomo indurito a dovere quando è risoluto a sopportarlo. (Annuisce a Valentino per sottolineare la propria dichiarazione, e lo la­scia andare.)

Valentino (che non si scompone nel suo incauto scherzo). E lei vuoi essere ancora più indurito, vero?

Crampton. Sì.

Valentino (va verso il campanello). Per me, lei è già abba­stanza duro, come padrone di casa. (Crampton riceve quest'allusione con un grugnito di cattivo umore. Valentino suona il campanello e osserva, bonariamente ed incidentalmente, mentre e spetta che rispondano alla scampanellata.)  Perché  non   s'è  mai   sposato,  signor Crampton? Una moglie e dei figli le avrebbero tolto un po' di durezza.

Crampton (con inaspettata ferocia). Che cosa diavolo gliene importa, a lei?

La cameriera appare sulla porta.

Valentino (cortesemente). Un po' d'acqua calda, per favore, (Essa si ritira; Valentino torna al mobiletto, per nulla scomposto dalla villania di Crampton e prosegue la con­versazione mentre sceglie una tenaglia e la tiene a por­tata di mano con un tovagliolino e un bicchiere.) Lei m'ha chiesto che cosa diavolo me ne importava. Be', ho una mezza intenzione di prender moglie io.

Crampton (ironico e brontolone). Ma certo, signore, ma certo. Quando un giovanotto è arrivato all'ultimo cente­simo, ed è a solo ventiquattro ore dal momento in cui il padrone dì casa gli sequestrerà i mobili, sì sposa. L'ho osservato altre volte. Bravo, si sposi; e sia infelice.

Valentino. Oh via! che cosa ne sa, lei?

Crampton. Io non sono scapolo.

Valentino. Allora esiste una signora Crampton?

Crampton (storce la bocca con una punta di risentimento). Sì: maledetta!

Valentino (impassibile). Hm! E forse anche padre, oltre che marito, signor Crampton? 

Crampton. Tre figli.

Valentino (cortesemente). Maledetti? eh?

Crampton (geloso). Nossignore: i figli sono miei quanto suoi.

La cameriera porta un bricco d'acqua calda.

Valentino. Grazie. (La cameriera gli porge il bricco ed esce. Egli lo porta al mobiletto e continua con lo stesso tono indifferente.) Mi piacerebbe molto conoscere la sua fa­miglia, signor Crampton. (Versa un po' d'acqua calda nel bicchiere.)

Crampton. Mi dispiace di non potergliela presentare, signore. Ho il piacere di dirle che non so dove sia e che non m'importa dì saperlo purché non mi venga tra i piedi.

(Valentino, con una piccola alzata di sopracciglio e di spalle lascia cadere la tenaglia nell'acqua calda.) E inu­tile che lei mi scaldi quell'arnese. Non ho paura dell'ac­ciaio freddo. (Valentino si china per sistemare la pompa del gas e il cilindro relativo vicino alla poltrona.) Che cos'è quell'arnese pesante?

Valentino. Oh, non si preoccupi. Serve a me per posarci un piede e aver la posizione necessaria a dar una bella tirata. (Crampton, suo malgrado, sembra preoccupato. Valentino si raddrizza e mette bicchiere e tenaglia a por­tata di mano mentre seguita a chiacchierare con provo­cante indifferenza.) E così, signor Crampton, lei mi consiglia di non sposarmi? (Posa il piede sulla leva che serve ad alzare e ad abbassare la poltrona.)

Crampton (irritabile). Le consiglio di cavarmi il dente e di smetterla di ricordarmi mia moglie. Andiamo, buonuomo. (Afferra i braccioli della poltrona e si prepara.)

Valentino. Quanto scommette che io le cavo il dente senza farle sentir nulla?

Crampton. Le sue sei settimane d'affitto, giovanotto. Ma badi bene a non gabbarmi.

Valentino (balzando sulla scommessa e alzando vigorosa­mente la poltrona). Fatto! È pronto?

Crampton, sbalordito dalla improvvisa ascesa, ha la­sciato andare i braccioli che teneva stretti, incrocia le braccia; e sì mette tutto impettito in attesa del peggio. Valentino lascia improvvisamente cadere lo schienale della poltrona a angolo ottuso.

Crampton (aggrappandosi ai braccioli della poltrona mentre cade all'indietro). Stia attento, buonuomo! sono proprio nelle sue mani, in questa mal...

Valentino (lo zittisce abilmente con il bavaglio e afferra la bocchetta della macchina del gas). E adesso lo sarà an­che di più.

Posa con forza la bocchetta sulla bocca e sul naso di Crampton, appoggiandosi sul petto di lui finché la sua testa e le sue spalle siano ben aderenti alla poltrona. Crampton emette un suono inarticolato dentro la bocchetta e cerca di posare le mani su Valentino che suppo­ne si trovi di ironie a lui. Dopo un attimo le sue braccia si agitano senza scopo, indi si afflosciano e cadono. È assolutamente insensibile. Valentino sposta rapidamente la bocchetta; afferra lestamente la tenaglia che è nel bicchiere; e...


Atto secondo

Sulla terrazza del Marine Hotel, È una piattaforma quadrata, pavimentata a lastroni, abbagliante nella luce del sole e chiusa dalla parte del mare da un parapetto. Il capo-came­riere, intento a disporre tovaglioli su una tavola apparecchia­ta per la colazione di mezzogiorno, volta le spalle al mare e ha l'albergo alla sua destra; alla sua sinistra, nell'angolo più vicino al mare, una rampa dì scale scende verso la spiaggia-Quando guarda dì fronte a sé nella parte anteriore della terrazza vede, un poco alla sua sinistra, un signore di media età seduto su una sedia di ferro di fronte a un tavolinetto di ferro sul quale è posata una coppa dì zucchero a quadretti, intento a leggere un giornale ultra-conservatore, sotto un om­brello aperto a difesa dal sole che, in agosto e a meno di un'ora dopo mezzogiorno, sta arrostendo le sue protese cavi­glie. Sulla terrazza, dalla parte dell'albergo, v'è una panchina da giardino del solito tipo da mare. L'accesso all'albergo, per gli ospiti; è nel centro della facciata. Più vicina al parapetto, si nasconde l'entrata di servizio, mascherata da un piccolo portico di legno, a graticcio. La tavola, attorno alla quale lavora il cameriere, è lunga, messa in mezzo alla terrazza con cinque coperti e le relative seggiole, due per parte e una dal lato dell'albergo. Contro al parapetto è pronta un'altra ta­vola che serve da buffet.

Il cameriere è, a suo modo, una persona notevole. Un vec­chio morbido e liscio come la seta, coi capelli bianchi e l'a­spetto delicato, ma così bonario e soddisfatto che, a confronto con la sua incoraggiante presenza, l'ambizione è biasimevole come una volgarità e l'immaginazione sembra un tradimento alla completezza e all'interesse stragrandi della realtà. Ha una certa espressione, propria degli uomini preminenti nella loro categoria ì quali, mentre sono coscienti della vanità del suc­cesso, sono inattaccabili dall'invidia.

Il signore, seduto al tavolino di ferro, non è vestito da mare. Indossa redingote e guanti adatti a Londra; ha la tuba sul tavolinetto, vicino alla zuccheriera. L'eccellente condizio­ne e la qualità di quegli indumenti e gli occhiali con la stan­ghetta d'oro attraverso i quali sta leggendo testimoniano la sua rispettabilità. Ha circa cinquant'anni, e raso e ha i capelli a spazzola; ha gli angoli della bocca volti all'in giù voluta-mente, come se sospettasse il loro desiderio di voltarsi all'insu e fosse deciso a non lasciar far loro quello che vogliono. Ha l'espressione del viso risolutamente aperta, come se, anche in questo caso, avesse deciso in gioventù di essere sin­cero, magnanimo e incorruttibile ma non fosse mai riuscito a far sì che quell'abitudine mentale diventasse automatica e involontaria. Eppure, egli non è affatto ridicolo. Nulla in lui denota stupidità o difetto di volontà: anzi, egli sarebbe con­sideralo ovunque, a prima vista, uomo di capacità professio­nale e di responsabilità superiori alla inedia. Proprio adesso sta godendo la stagione e il mare così intensamente da non potersi spazientire; ma ha esaurito tutte le notizie contenute nel giornale e si è alla fine ridotto agli annunci economici i quali, però, non sono sufficientemente succulenti da indurlo a perseverare in quella lettura.

Il signore (sbadiglia e lascia andare il giornale come fosse un cattivo impiego). Cameriere!

Il cameriere. Sissignore? (Viene verso lui).

Il signore. Siete proprio sicuro che la signora Clandon torna prima di colazione?

Il cameriere. Sicurissimo, signore. La aspetta all'una meno un quarto, signore. (Il signore, subito placato dalla voce del cameriere, lo guarda con un sorrisetto pigro. È una voce calma, gentilmente melodiosa che rivela un interes­se umano pur nelle più comuni osservazioni; egli parla con la più dolce proprietà di linguaggio, senza sbagliare né confondere gli accenti, né commettere altre volgarità. Prosegue, guardando l'orologio.) Non ci siamo, signore, vero? Le 12.43, signore. Ha ancora da aspettare due minuti soli, signore. Bella mattinata, signore!

Il signore. Sì: molto fresca, dopo Londra.

Il cameriere. Sissignore: lo dicono tutti i nostri clienti, signo­re. Molto gentile, la famiglia della signora Clandon, signore.

Il signore. Vi piacciono, vero?

Il cameriere. Sissignore. Hanno una certa libertà di modi che è molto piacente, signore, molto piacente davvero: spe­cialmente la signorina e il giovane signore.

Il signore. La signorina Dorotea e il signor Filippo, sup­pongo.

II cameriere. Sissignore. La signorina, quando da un ordine o mi rivolge la parola, dice sempre: "Rammentatevi, Gu­glielmo, che noi siamo venuti in questo albergo per voi, perché abbiamo sentito dire che voi siete un cameriere perfetto". Il giovane signore mi dice che gli ricordo tanto suo padre (a questo il signore sussulta) e che sì aspetta io agisca come tale. (Con un'intonazione grade­vole e gaia.) Oh, tanto piacevoli, signore, sono persone tanto piacevoli e affabili davvero!

Il signore. Voi come suo padre! (Ride a quell'idea.)

Il cameriere. Oh, signore, non bisogna prendere, sul serio quello che dicono. Certo, signore, se fosse vero anche la signorina avrebbe visto quella somiglianza, signore.

Il signore. E l'ha vista?

Il cameriere. Nossignore. Diceva che somigliavo al busto di Shakespeare che è nella chiesa di Stratford, signore. È per questo che mi chiama Guglielmo, signore. Il mio ve­ro nome è Walter, signore. (Si volta per tornare alla ta­vola, e vede che la signora Clandon sta salendo dalla spiaggia alla terrazza.) Ecco la signora Clandon, signore. (Alla signora Clandon, con tono non invadente, ma con­fidenziale.) C'è quel signore per lei, signora.

La signora Clandon. Avremo altri due signori a colazione, Guglielmo.

Il cameriere. Va bene, signora. Grazie, signora, (Si ritira nel­l'albergo.)

La signora Clandon viene avanti, cercando il suo ospite, ma passa vicino al signore, senza mostrare dì ricono­scerlo.

Il signore (la guarda con curiosità, facendo capolino da sotto l'ombrello). Non mi riconosce?

La signora Clandon (incredula, lo guarda fisso). Lei è Finch M'Comas?

M'Comas. Non lo indovina? (Chiude l'ombrello; lo mette da parte; e si pianta, allegramente, con le mani sui fianchi, pronto per l'ispezione.)

La signora Clandon. Credo sia vero. (Gli dà la mano. La stretta che ne segue indica che si tratta di due amici i quali si rivedono dopo una lunga separazione.) E la barba dov'è?

M'Comas (umoristicamente solenne). Si servirebbe, lei, di un legale con la barba?

La signora Clandon (indicando la tuba che è sul tavolino). È il suo cappello?

M'Comas. Si servirebbe, lei, di un legale col sombrero?

La signora Clandon. In questi diciotto anni ho sempre pensa­to a lei con la barba e col sombrero. (Si siede sulla pan­china da giardino. M’Comas si rimette sulla sua sedia.) Va ancora alle riunioni della Società dialettica?

M'Comas (con gravita). Non frequento riunioni, adesso.

La signora Clandon. Finch: capisco quel che è accaduto. Lei è diventato rispettabile.

M'Comas. E lei no?

La signora Clandon. Neanche un po'.

M'Comas. Ancora fedele alle nostre vecchie opinioni?

La signora Clandon. Più convinta che mai.

M'Comas. Perbacco! Ed è ancora pronta a pronunciare di­scorsi in pubblico, nonostante il suo sesso (la signora Clandon annuisce): a insistere sui diritti che la donna sposata ha alla proprietà separata (annuisce di nuovo); a sostenere il punto di vista di Darwin sull'origine della specie e il saggio sulla Libertà di John Stuart Mill (an­nuisce); a leggere Huxley, Tyndall e George Eliot (an­nuisce tre volte): a pretendere lauree universitarie, car­riere professionali e diritto di voto per le donne come per gli uomini?

La signora Clandon (risoluta). Sì: non sono andata indietro di un ette; e ho educato Gloria affinché riprenda il mio lavoro al punto in cui lo lascerò. È per questo che sono tornata in Inghilterra. Ho sentito di non aver diritto a seppellirla viva a Madera: la mia Sant'Elena, Finch. Suppongo die sarà subissata di improperi, come lo sono stata io; ma vi è preparata.

M'Comas, Subissata d'improperii Ma, mia buona signora, al giorno d'oggi non c'è nessun pregiudizio che le impe­disca di sposare un arcivescovo, Lei mi ha rimproverato, dianzi, d'esser diventato rispettabile. Ha avuto torto: io sono sempre più attaccato alle nostre vecchie opinioni. Non vado in chiesa; non fingo d'andarci. Mi professo per quello che sono: un radicale filosofico sostenitore della libertà e dei diritti dell'individuo, come mi ha inse­gnato il mio maestro Herbert Spencer. Mi subissano d'improperi? No: mi compiangono, come un vecchio re­trogrado. Sono al di fuori di tutto perché mi sono rifiu­tato di piegare il ginocchio di fronte al socialismo.

La signora Clandon (scandalizzata). Il socialismo!

M'Comas. Sì: il socialismo. È in questo che la signorina Glo­ria affonderà fin sopra agli occhi prima che sia trascorso un mese, se lei la lascerà libera in questo paese.

La signora Clandon (con enfasi). Ma io posso provarle che il socialismo è un sofisma.

M'Comas (commosso). È per provare questo, signora Clandon, che io ho perduto tutti i miei giovani discepoli. Badi a quello che fa: la lasci andare per la sua strada. (Con una certa amarezza.) Noi siamo all'antica: il mon­do crede di averci lasciati indietro. V'è un solo luogo in tutta l'Inghilterra in cui le sue opinioni potrebbero an­cora essere considerate evolute.

La signora Clandon (non convinta, con scherno). La Chiesa, forse?

M'Camas. No: il teatro. Adesso al lavoro! Perché mi ha fatto venire fin qui?

La signora Clandon. Be', in parte perché volevo vederla...

M'Comas (con bonaria ironia). Grazie.

La signora Clandon. ...e in parte perché desidero che lei spie­ghi tatto ai ragazzi. Non sanno nulla: e adesso che siamo tornati in Inghilterra è impossibile lasciarli più a lungo nell'ignoranza. (Agitata.) Finch: io non riesco a dir loro nulla. Io...

È interrotta dai gemelli e da Gloria. Dolly viene di corsa su dalla spiaggia, inseguita da Pippo il quale unisce una spaventosa rapidità a una calmissima compostezza di portamento che gli fa perdere la gara perché Dolly arriva da sua madre per prima e quasi rovescia la pan­china da giardino per l'irruenza del suo  abbraccio.

Dolly (col fiato mozzo). Tutto bene, mamma. Il dentista vie­ne; e si porta dietro il vecchietto.

La signora Clandon. Dolly, cara: non vedi il signor M'Comas?

M'Comas si alza, sorridendo.

Dolly (rabbuiandosi nella più evidente e poco lusinghiera delusione). Questo! E dove sono i boccoli fluenti?

Filippo (assecondandola con calore). Dov'è la barba? dov'è il mantello? dov'è il poetico aspetto?

Dolly. Oh, signor M'Comas, lei si è sciupato. Perché non ha aspettato che l'avessimo veduta noi?

M'Comas (sconcertato, ma raccogliendo (ulto il suo spirito per far fronte all'emergenza). Perché un legale non può star diciotto anni senza farsi tagliare i capelli.

Gloria (dall'altra parte di M'Comas). Come va, signor M'Co­mas? (Egli si volta; essa gli prende una mano e gliela strìnge guardandolo bene negli occhi, con espressione franca.) Siamo felici di conoscerla, finalmente.

M'Comas. La signorina Gloria, suppongo? (Gloria sorride assentendo; poi gli lascia andare la mano dopo un'ulte­riore stretta; e si ritira dietro la panchina da giardino, chinandosi su quello schienale, vicino alla signora Clan-don.) E questo giovane signore?

Filippo. Sono stato battezzato in una giornata d'umore rela­tivamente prosaico. Mi chiamo...

Dolly (completa la sua frase, declamando). ..."Norval. Sulle alte colline di Scozia..."

Filippo (declamando con gravità). "...mio padre nutre il suo gregge, amante frugale..."

La signora Clandon (con rimostranza). Cari, cari figlioli: non dite stupidaggini. Tutto è così nuovo per loro, qua, che sono d'un umore indomabile. Credono che tutti gli inglesi che incontrano siano uno scherzo.

Dolly. Be', è proprio così: non è colpa nostra.

Filippo. La mia conoscenza della natura umana è piuttosto lata, signor M'Comas; ma ritengo impossibile prendere sul serio gli abitanti di quest'isola.

M'Comas. Suppongo, signore, che lei sia il signorino Filippo (gli porge la mano).

Filippo (prendendo la mano di M'Comas e guardandolo so­lennemente). Io ero il signorino Filippo; lo sono stato per molti anni; proprio come lei era una volta il signo­rino Finch. (Da alla mano una sola stretta e la lascia cadere; poi si volta dall'altra parte ed esclama medita­bondo) Com'è strano guardar indietro verso la propria adolescenza!

Dolly (alla signora Clandon). Hai offerto da bere a Finch?

ha signora Clandon (con rimprovero). Ma, cara: il signor M'Comas fa colazione con noi.

Dolly. Hai ordinato per sette? Non dimenticare il vecchio signore.

La signora Clandon. Non l'ho dimenticato, cara, Come si chiama?

Dolly. Calcoloni. Sarà qui all'una e mezzo. (A M'Comas.) E noi siamo come lei ci immaginava?

La signora Clandon (seria: perfino un po' perentoria). Dolly: il signor M'Comas ha una cosa molto seria da dirvi. Figlioli: ho pregato il mio vecchio amico di rispondere alla domanda che mi avete posta questa mattina. Egli è amico di vostro padre quanto mio; e vi narrerà le vi­cende della mia vita coniugale in modo più equo di co­me potrei narrarvele io. Gloria; sei soddisfatta?

Gloria (grave e attenta). II signor M'Comas è molto gentile.

M'Comas (nervoso). Tutt'altro, mia cara signorina, tutt'al-tro. Debbo aggiungere che è stato piuttosto improvviso. Non ero preparato a... a...

Dolly (sospettosa). Oh, non vogliamo niente di preparato.

Filippo (esortandolo). Ci dica la verità.

Dolly (enfatica). Nuda e cruda.

M'Comas (stuzzicato). Spero avranno intenzione di prendere seriamente ciò che ho da dire.

Filippo (con profonda gravita). Spero ne varrà la pena, si­gnor M'Comas. La mia conoscenza della natura umana mi insegna a non aspettarmi molto.

La signora Clandon (con rimprovero). Pippo...

Filippo. Sì, mamma: va bene. La prego di scusarci, signor

M'Comas: non badi a quello che diciamo noi.

Dolly (conciliante). Noi non vogliamo offendere.

Filippo. Zitte, tutte e due.

Dolly tiene un dito davanti alle labbra perché non le si aprano. M'Comas prende una sedia dalla tavola da pranzo; la mette tra il tavolinetto e la panchina da giar­dino, avendo così Dolly alla sua destra e Pippo alla sua sinistra; vi sì piazza con l'atteggiamento di chi deve fare una lunga comunicazione. I Clandon lo osservano in attesa.

M'Comas. Ehm! Vostro padre...

Dolly. Quanti anni ha?

Filippo. Sss!

La signora Clandon (con dolcezza). Dolly cara, non interrom­piamo il signor M'Comas.

M'Comas (con enfasi). Grazie, signora Clandon. Grazie. (A Dolly.) Suo padre ha cinquantasette anni.

Dolly (balzando su, stupita ed eccitata). Cinquantasette an­ni !!! E dove vive?

La signora Clandon (con rimprovero). Dolly! Dolly!

M'Comas (fermandola). Lasci che risponda io, signora Clandon. La risposta la stupirà notevolmente. Vive in que­sta stessa città.

La signora Clandon si alza, profondamente arrabbiata, ma si rimette a sedere, ammutolita: Gloria la osserva, perplessa.

Dolly (con convinzione). Lo sapevo. Pippo. Calcoloni è nostro padre!

M'Comas. Calcoloni!

Dolly. Ah, Crampoloni, o quello che è. Ha detto che somi-gliavo a sua madre. Ho capito subito che intendeva dire sua figlia.

Filippo (molto seriamente). Signor M'Comas: desidero ave­re la massima considerazione dei suoi sentimenti; ma badi che se lei tirerà il lungo braccio della coincidenza fino al punto di dirmi che il signor Crampton di questa  città è mio padre, io mi rifiuterò di dar credito, sia pure per un momento, alla sua informazione.

M'Comas. E perché, se è lecito?

Filippo. Perché ho veduto questo signore; ed egli è assolu­tamente inadatto a essere padre mio, o padre di Dolly, o padre di Gloria, o marito di mia madre.

M'Comas. Oh, davvero! Ebbene, signore, lasci le dica che, le piaccia o no, egli è padre suo, e padre delle sue sorel­le, e marito della signora Clandon. Ecco! Che cos'ha da replicare?

Dolly (piagnucolando). Non occorre si arrabbi tanto. Crampton non è padre suo.

Filippo: Signor M'Comas: la sua condotta è spietata. Lei tro­va una famiglia che gode l'indescrivibile pace e libertà di essere orfana. Non abbiamo mai veduto il viso di un parente: mai udito un richiamo se non quello dell'amici­zia liberamente scelta. E adesso lei desidera affibbiarci la più intima parentela con un uomo che noi non conosciamo...

Dolly (con veemenza). Un orrendo vecchiaccio! (Con rim­provero.) E lei ha cominciato a parlare come se avesse da offrirci un padre delizioso.

M'Comas (con rabbia). Come fa a sapere che non è delizio­so? E che diritto ha lei a scegliersi il padre che vuole? (Alzando la voce.) Permette le dica, signorina Clandon, che lei è troppo giovane per...

Dolly (interrompendolo all'improvviso, ansiosa). Basta: di­menticavo! Ha denaro?

M'Comas. Ha moltissimo denaro.

Dolly (raggiante). Oh, che cos'ho sempre detto, io, Pippo?

Filippo. Dolly: forse siamo stati troppo frettolosi nella con­danna di questo vecchio. Vada avanti, signor M'Comas.

M'Comas. Non andrò avanti, signore. Sono troppo offeso, troppo indignato per andar avanti.

La signora Clandon (lottando col proprio temperamento). Finch: si rende conto di quello che sta accadendo? Ca­pisce che i miei figlioli hanno invitato quell'uomo a co­lazione, e che egli sarà qui a momenti?

M'Comas (assolutamente sconvolto). Come? Dice sul serio? debbo crederci? è...

Filippo (intenso). Calma, Finch. Ci rifletta sopra lentamente e attentamente. Sta venendo: venendo a colazione.

Gloria. A chi di noi spetta dirgli la verità? Ci avete pensato?

La signora Clandon. Gloriar andiamo in albergo. Potrebbe arrivate da un momento all'altro.

Gloria (con orgoglio). Stai ferma, mamma. Io non mi muovo. Non dobbiamo scappare.

La signora Clandon. Ma, cara, non possiamo sederci a cola­zione così come siamo. Torneremo. Non facciamo brava­te. (Gloria trasalisce è va in albergo senza dir una paro­la.) Vieni, Dolly. (Mentre varca la porta dell'albergo, incrocia il cameriere che esce con un vassoio coperto di piatti, eccetera, per i due coperti supplementari.)

Il cameriere. I signori sono venuti, signora?

La signora Clandon. Devono venirne ancora due, grazie. Sa­ranno qui tra un minuto. (Entra nell'albergo.)

Il cameriere porta il vassoio alla tavola da servizio.

Filippo. Ho un'idea. Signor M'Comas: questa comunicazione dovrebbe essere data, non è vero?, da un uomo di tatto infinito.

M'Comas. Ci vorrà tatto, certamente.

Filippo. Bene! Dolly; a chi hai riconosciuto molto tatto, proprio stamattina?

Dolly (afferra l'idea, estasiata). Oh, sì, lo credo bene! Filippo L'uomo che ci vuole! (Chiamando.) Guglielmo! Il cameriere. Vengo, signore.

M'Comas  (inorridito).  Il cameriere!  Fermo!  fermo!  Non posso permetterlo. Non...

Il cameriere (presentandosi tra Pippo e M'Comas). Comandi, signore.

M'Comas assume un colorito grigio come la pietra: il suo sguardo è immobile e privo dì qualsiasi espressione. Si siede stupefatto.

Filippo. Guglielmo: ricordi che t'ho chiesto di considerarmi tuo figlio? Il cameriere (con rispettosa indulgenza). Sissignore. Come desidera, signore.

Filippo. Guglielmo: proprio all'inizio della tua carriera di padre per me, è apparso in scena un rivale.

Il cameriere. Il suo vero padre, signore? Be', c'era da aspet­tarselo, prima o poi, signore, non le pare? (Rivolgendosi con un sorriso felice a M'Comas.) È lei, signore?

M'Comas (scosso dall'indignazione). Certo no. I miei figli sanno come condursi.

Filippo. No, Guglielmo: questo signore ha rischiato per un pelo di essere mio padre: ha fatto la corte a mia madre, ma gliel'ha fatta invano.

M'Comas (oltraggiato). Insomma, questa è...

Filippo, Sss! Di conseguenza non è che il nostro legale. Co­nosci tu un certo Crampton, in questa città?

Il cameriere. Crampton il Guercio, signore, quello dell'Al­bergo Bieco, vero?

Filippo. Non lo so. Finch: possiede un locale 'pubblico?

M'Comas (alzandosi, scandalizzato). No, no, no. Suo padre, signore, è un notissimo armatore, costruttore di panfili, uomo molto autorevole in questa città.

Il cameriere (colpito). Oh! mi perdoni, signore, la prego. Figlio del signor Crampton! Davvero, signore?

Filippo. Il signor Crampton viene a colazione da noi.

Il cameriere (titubante). Sissignore. (Diplomaticamente.) Non fa abitualmente colazione con. la famiglia, vero, signore?

Filippo (con precisione). Guglielmo: egli non sa che noi siamo la sua famiglia. Non ci vede da diciotto anni. Non ci riconoscerà. (Per dare maggiore enfasi alla comunica­zione, Pippo va con un balzo a sedersi sul tavolinetto di ferro, e guarda il cameriere tenendo le labbra strette e le gambe penzoloni.)

Dolly. Guglielmo, vogliamo che siate voi a dargli la notizia.

Il cameriere. Ma credo che indovinerà vedendo sua madre, signorina.

Le gambe di Pippo si immobilizzano. Egli contempla il cameriere, rapito:

Dolly (abbagliata). Non ci avevo pensato.

Filippo. Nemmeno io. (Scende dal tavolinetto e si volta a guardare M'Comas con aria di rimprovero.) E nemme­no lei.

Dolly. Eppure è avvocato!

Filippo. Finch: la sua incompetenza professionale è spaven­tosa. Guglielmo: la tua sagacia ci ha svergognati tutti.

Dolly. Siete proprio come Shakespeare, Guglielmo,

Il cameriere. Tutt'altro, signore. Prego, signorina. Molto lu­singato, creda, signore. (Torna modestamente alla tavola della colazione e apparecchia per i due ospiti supplemen­tari, mettendo un coperto in fondo vicino ai gradini e l'altro al terzo posto che era rimasto vacante, oltre la balaustra.)

Filippo (afferra bruscamente il braccio di M'Camas e lo tra­scina verso l'albergo). Finch, venga a lavarsi le mani.

M'Comas. Signor Clandon, sono veramente offeso e seccato...

Filippo (interrompendolo). Si abituerà a noi. Vieni, Dolly. (M'Comas si libera da lui e si dirige maestosamente nel­l'albergo. Pippo lo segue impassibile e composto.)

Dolly (voltandosi un attimo verso i gradini, mentre li segue). In gamba, Guglielmo. Saranno fuochi d'artificio.

Il cameriere. Giusto, signorina. Si fidi di me, signorina. (Dolly entra in albergo.)

Valentino sale allegramente i gradini della spiaggia, se­guito da Crampton, imbronciato. V(dentino ha in mano un bastone da passeggio. Crampton, sia perché è vec­chio e infreddolito, sia perché ha idea di smorzare la poca eleganza della sua giacca alla marinara, indossa un leggero soprabito. Si ferma alla sedia lasciata da M'Co­mas nel centro della terrazza, e si fa forza appoggiandosi per un momento alla spalliera di essa.

Crampton. Quei gradini mi fanno girare la testa. (Si passa una mano sulla fronte.) Non mi sono ancora rimesso da quel gas infernale.

Va alla seggiolina di ferro, così da potersi appoggiare coi gomiti al tavolinetto e star seduto appoggiando la testa. Si riprende subito e comincia a sbottonarsi il soprabito. Nel frattempo, Valentino si rivolge al cameriere.

Valentino. Cameriere!

Il cameriere (venendo avanti, tra i due). Comandi, signore.

Valentino. La signora Lanfrey Clandon.

Il cameriere (con un dolce sorriso di benvenuto). Sissignore. La aspettavamo, signore. Questa è la sua tavola, signore. La signora Clandon scende subito, signore. La signorina e il signore stavano appunto parlando del suo amico, signore.

Valentino. Davvero!

Il cameriere (dolce e melodioso). Sissignore. Sono tanto alle­gri, signore. In vena di facezie, come suo! dirsi, signo­re. (Lesto, a Crampton, che sì è alzato per sfilarsi il so­prabito.) Mi perdoni, signore; se mì permette. (Aiutan­dolo a sfilarsi il soprabito e prendendoglielo.) Grazie, signore. (Crampton si rimette a sedere; e il cameriere riprende la melodia interrotta.) L'ultima del giovane signore è che lei sia suo padre, signore.

Crampton. Eh?

Il cameriere. Una facezia, signore, la sua facezia preferita, signore. Ieri, suo padre dovevo essere io. Oggi, appena ha saputo che veniva lei, signore, ha cercato di darmi da intendere che suo padre era lei: il genitore da lungo tempo smarrito! Non la vede da diciotto anni, così ha detto.

Crampton (sussulta). Diciotto anni!

Il cameriere. Sissignore. (Con garbata malizia.) Ma io ero pronto ai suoi scherzi, signore. Gli ho visto nascere quell'idea nella testa mentre stava qui, in piedi, a pensa­re un nuovo giochetto da farmi. Sissignore: è fatto così, signore: molto divertente, molto alla mano e affabile, signore. (Cambia nuovamente intonazione per dire a Valentino, che sta posando la mazza nell'angolo della panchina da giardino.) Permette, signore? (Prende la mazza di Valentino.) Grazie, signore. (Valentino sì av­vicina lentamente alla tavola della colazione e guarda la lista delle vivande. Il cameriere torna da Crampton e riprende il suo canto.) Anche il signor avvocato è stato al gioco, per quanto fosse, signore, per così dire, piut­tosto in confidenza col giovane signore. Sissignore, glielo assicuro, signore. Lei non può immaginare di che cosa è capace un rispettabile signor professionista di Londra quando viene in gita, e si lascia prendere dall'aria di mare, signore.

Crampton. Ah, c'è un avvocato con loro, eh?

Il cameriere. Il legale di famiglia, signore; sissignore. Si chiama M'Comas, signore. (Va verso l'ingresso dell'al­bergo col soprabito e il bastone, felicemente ignaro del­l'effetto esplosìvo che quel nome ha prodotto su Crampton.)

Crampton (alzandosi, furibondo e preoccupatissìmo). M'Co­mas! (Chiama Valentino.) Valentino! (Di nuovo, furio­so.) Valentino!!! (Valentino si volta.) Questo è un pia­no prestabilito, una congiura. Questa è la mia famiglia! sono i miei figlioli! la mia infernale moglie!

Valentino (freddamente). Davvero! Che interessante incon­tro! (Riprende a studiare la lista delle vivande.)

Crampton. Incontro! Non con me. Io non ci sto. (Chiama il cameriere.) Datemi il soprabito.

Il cameriere. Sissignore. (Torna; appoggia la mazza di Valentino, attentamente, alla tavola della colazione; indi scrol­la delicatamente il soprabito e lo porge a Crampton per­ché se lo metta.) Forse, signore, ho commesso un'ingiu­stizia verso il giovane signore, non è vero, signore?

Crampton. Rrrh! (Si ferma sul punto dì infilare le braccia nelle maniche, e si volta verso Valentino, con un improv­viso sospetto.) Valentino: c'è di mezzo lei. È stato lei a fare questo complotto. Lei...

Valentino (deciso). Ma via! (Lascia cadere la lista delle vi­vande e fa il giro della tavola per guardare con indiffe­renza oltre il parapetto.)

Crampton (con rabbia). Che cos...

M'Comas, seguito da Pippo e da Dolly, esce dall'albergo, ma indietreggia vedendo Crampton.

Il cameriere (interrompe dolcemente Crampton). Calma, si­gnore. Stanno, venendo, signore. (Prende la mazza di Valentino e si dirige verso l'albergo, buttandosi il soprabi­to su un braccio.)

M'Comas lascia cadere decisamente all'ingiù gli angoli della bocca e va verso Crampton, che si tira indietro e lo guarda ferocemente, tenendo le mani dietro la schie­na. M'Comas, con la fronte sempre più aperta, lo af­fronta con tutta la maestà di una coscienza immacolata.

Il cameriere (da parte, mentre passa vicino a Pippo, diretto verso l'uscita). Gliel'ho detto, signore.

Filippo. Incomparabile Guglielmo! (Va avanti, verso la ta­vola.)

Dolly (da parte, al cameriere.) Come l'ha presa?

Il cameriere (da parte, a lei). Dapprima stupito, signorina; ma rassegnato; molto rassegnato davvero, signorina. (Porta nell'albergo la mazza e il soprabito.)

M'Comas (dopo aver fissato Crampton, sconcertato). Eccola qua, signor Crampton.

Crampton. Sì, eccomi qua: preso in trappola: in una vile trappola. Sono imiei figli, quelli?

Filippo (con gelida cortesia). È nostro padre, questo, signor M'Comas?

M'Comas (deciso). È lui.

Dolly (convenzionale). Lieta di rivederla. (Fa oziosamente il giro della tavola, scambiando, nel frattempo, una smor­fia con Valentino.)

Filippo. Mi permetto di compiere il mio primo dovere di an­fitrione ordinando il vino che lei predilige. (Prende sulla tavola la lista dei vini. La sua cortese premura e la disin­volta indifferenza di Dolly lasciano Crampton sul piede di una casuale conoscenza fatta quella mattina dal denti­sta. Il padre ne ha coscienza con un dolore così acuto e penetrante che trema da capo a piedi; la fronte gli si im­perla di sudore; fissa ammutolito suo figlio il quale, avendo il senso preciso della propria durezza, ne gode in­tensamente lo spirito e l'abilità e procede gradevolmen­te.) Finch: per lei un vecchio porto molto secco, adatto a un rispettabile avvocato di famiglia, vero?

M'Comas (con fermezza). Soltanto dell'Apollinaris. Niente che riscaldi. (Va avanti fino al fianco della terrazza, co­me un uomo che si allontani dalla tentazione.)

Filippo. Valentino...?

Valentino. La birra è considerata volgare?

Filippo. Probabilmente. Ne ordineremo qualcuna. (Rivolgen­dosi a Crampton con allegra cortesia.) E adesso, signor Crampton, che cosa possiamo fare per lei?

Crampton. Che vuoi dire, ragazzo?

Filippo. Ragazzo! (Molto solennemente.) Chi ha colpa se io sono un ragazzo?

Crampton gli strappa bruscamente di mano la lista dei vini e finge irresolutamente di leggerla. Filippo lo ab­bandona a se stesso con perfetta cortesia.

Dolly (guardando da dietro la spalla destra dì Crampton). Il whisky sta alla penultima pagina.

Crampton. Lasciami stare, piccola.

Dolly. Piccola! No, no: mi chiami pure Dolly se vuole: ma non mi deve chiamate piccola. (Infila il braccio sotto quello di Pippo; e i due si fermano, in piedi, a guardare Crampton come se fosse un eccentrico sconosciuto.)

Crampton (asciugandosi la fronte per rabbia e angoscia, ma pur sollevato da quel loro giocare con lui). M'Comas, avremo... ah-ah!... una colazione molto divertente.

M'Comas (risolutamente bonario). Non c'è alcun motivo per­ché non lo sia.

Filippo. Il viso di Finch è già una festa.

La signora Clandon e Gloria escono dall'albergo. La signora Clandon viene avanti, con coraggiosa sicurezza di sé e marcata dignità di modi. Si ferma davanti ai gra­dini per rivolgersi a Valentino che è sulla sua strada. Anche Gloria si ferma, e guarda Crampton con una certa repulsione.

La signora Clandon. Lieta di rivederla, signor Valentino. (Egli sorride. Ella prosegue e affronta Crampton, decisa a rivolgerglisi con la massima compostezza; ma l'aspetto di lui la scuote. Si ferma improvvisamente e dice, ansio­sa, con una punta di rimorso.) Fergus: sei molto cam­biato.

Crampton (torvo). Lo credo. In diciotto anni si cambia.

La signora Clandon (turbata). Non... non volevo dir questo. Spero che la tua salute sia buona.

Crampton. Grazie. No: non è la salute. È la felicità: questo è il cambiamento al quale alludevi, se non sbaglio. (Sbottando a un tratto.) Guardi lei, M'Comas! Guardi lei; e (con un mezzo sorriso e un mezzo singhiozzo) guardi me!

Filippo. Sss! (Indica l'ingresso dell'albergo, sulla porta del quale è apparso il cameriere) Calma in presenza di Gu­glielmo !

Dolly (toccando il braccio di Crampton, per avvertirlo). Ahem!

Il cameriere va alta tavola di servizio e fa un cenno ver­so l'ingresso della cucina, dal quale esce un giovane ca­meriere coi piatti della minestra, e un cuoco col grembiu­le e il berrettone bianco, con la zuppiera. Il giovane ca­meriere rimane e serve; il cuoco esce, e riappare di tan­to in tanto, portando le diverse pietanze. Egli fa le par­ti, ma non serve. Il cameriere viene al fondo della tavola della colazione, vicino ai gradini.

La signora Clandon (mentre si raccolgono attorno alla tavo­la). Credo che vi siate già conosciuti tutti oggi. Ah no: mi scusino. (Presentando.) Il signor Valentino: il signor M'Comas. (Va in fondo alla tavola, vicino all'albergo.) Fergus: vuoi stare a capo tavola, per favore?

Crampton. Ah-ah! (Con amarezza.) Il capotavola!

Il cameriere (scostando la sedia per farlo sedere, con inoffen­sivo incoraggiamento). A questo capo, signore. (Cramp­ton cede, e prende posto.) Grazie, signore.

La signora Clandon. Signor Valentino: vuoi mettersi da quel­la parte (indica il lato vicino al parapetto) con Gloria? (Valentino e Gloria vanno ai loro posti, Gloria vicina a Crampton e Valentino vicino alla signora Clandon) Finch: bisogna che la metta da questa parte, tra Dolly e Pippo. Sì protegga come meglio può.

I tre occupano il lato rimasto libero, Dolly vicina alla madre, Pippo vicino al padre. La minestra è servita.

Il cameriere (a Crampton). Brodo o legumi, signore?

Crampton (alla signora Clandon). Nessuno chiede la benedi­zione, in questa famiglia?

Filippo (intervenendo, con arguzia). Prima decidiamo ciò che stiamo per ricevere. Guglielmo!

Il cameriere. Comandi, signore. (Scivola lentamente attorno alla tavola fino al gomito sinistro di Pippo. Strada fa­cendo sussurra al giovane cameriere.) Legumi.

Filippo. Due birre piccole per i ragazzi, come sempre, Gu­glielmo; e una grande per questo signore (indica Valentino).  Un Apollinaris grande per il signor M'Comas.

Il cameriere. Sissignore.

Dolly. Ci metta un dito di whisky, Finch.

M'Comas (scandalizzato). No. No, grazie.

Filippo. Per mia madre e per la signorina Gloria, il numero 413, come prima; e... (si volta interrogativamente verso Crampton). Eh?

Crampton (arcigno, sul punto di rispondere offensivamente). Io...

Il cameriere (interviene mellifluo). Subito, signore. Noi cono­sciamo bene i gusti del signor Crampton, signore. (En­tra nell'albergo.)

Filippo (guardando con gravita il padre). Lei frequenta i bar. Pessima abitudine!

Il cuoco, seguito da un cameriere con i piatti caldi, por­ta il pesce dalla cucina alla tavola di servizio, e comin­cia a fare le parti.

Crampton, Vedo che hai imparato la lezione da tua madre.

La signora Clandon. Pippo: vuoi per favore ricordarti che i tuoi scherzi sono suscettibili di irritare le persone che non sono abituate a noi, e che oggi tuo padre è nostro ospite?

Crampton (con amarezza). Sì: ospite a capo della mia tavola.

Portano via i piatti della minestra.

Dolly (comprensiva). È imbarazzante, veto? Lo è altrettanto per noi, sa?

Filippo. Sss! Dolly: siamo tutti e due privi di tatto. (A Crampton.) Non vogliamo offendere, signor Crampton; ma non siamo ancora ben ferrati sul sistema paterno. (Il cameriere torna dall'albergo portando da bere.) Gugliel­mo: vieni a ristorare la nostra bonomia.

Il cameriere (allegramente). Sissignore. Certo, signore. Una birra piccola, per lei, signore. (A Crampton.) Whisky irlandese con selz, signore. (A M'Comas.) Apollinaris, signore. (A Dolly.) Una birra piccola, signorina. (Alla signora Clandon, versandole il vino.) 413, signora. (A Valentino.) Una birra grande per lei, signore. (A Glo­ria,) 413, signorina.

Dolly (bevendo). Alla famiglia!

Filippo (bevendo). La famiglia e il focolare!

Servono il pesce.

M'Comas. Andiamo avanti molto piacevolmente, dopo tutto.

Dolly (critica). Dopo tutto! Dopo tutto che cosa, Finch?

Crampton (sarcastico). Vuoi dire che andate avanti molto piacevolmente nonostante la presenza di vostro padre. Ho interpretato bene il suo pensiero, signor M'Comas?

M'Comas (sconcertato). No, no. Ho detto "dopo tutto" sol­tanto per arrotondare la frase. Io... non... non... già...

Il cameriere (con tatto). Turbot, signore?

M'Comas (profondamente grato per l'interruzione). Grazie, cameriere: grazie.

Il cameriere (sottovoce). Prego, signore. (Torna alla tavola di servizio.)

Crampton (a Pippo). Hai già pensato a sceglierti una pro­fessione?

Filippo. È un argomento per il quale sto tenendo gli occhi molto aperti. Guglielmo!

// cameriere. Comandi, signore.

Filippo. Quanto tempo credi che impiegherei per imparare a essere un cameriere veramente in gamba?

Il cameriere. Non si impara, signore. Dipende dal carattere, signore. (In confidenza, a Valentino, che si guarda attor­no cercando qualcosa.) Pane per la signora, signore? Su­bito, signore. (Serve il pane a Gloria, e riprende, con l'intonazione precedente) Pochi sono coloro che ci na­scono, signore.

Filippo. Tuo figlio non ha avuto questo dono, vero?

Il cameriere. Nossignore: oh sì, signore. (A Gloria, abbassan­do nuovamente la voce.) Ancora un po' di pesce, signo­rina? non credo sia opportuno l'arrosto a metà giornata.

Gloria. No, grazie.

Portano via i piatti del pesce e servono la pietanza suc­cessiva.

Dolly. Anche vostro figlio è cameriere, Guglielmo?

Il cameriere (servendo il pollo a Gloria), Oh no, signorina; è troppo impetuoso. È alla sbarra.

M'Comas (paternalistico). Garzone di un ristorante?

Il cameriere (con una punta di malinconia, come ricordando una delusione addolcita dal tempo). No, signore: all'al­tra sbarra. La sua professione, signore. Laureato in leg­ge, signore.

M'Comas. Oh, mi scusi, la prego.

Il cameriere. Per carità, signore, È un equivoco molto natu­rale, creda, signore. Ho spesso desiderato fosse garzone in un ristorante, signore. Me ne sarei tolto il peso molto prima, signore. (Da parte, a Valentino che è di nuovo alla ricerca di qualcosa.) Il sale è vicino al suo gomito, signore. (Riprendendo.) Sissignore: ho dovuto mante­nerlo fino a trentasette anni, signore. Ma adesso fa molto bene, signore: mi da molte soddisfazioni, davve­ro, signore. Niente meno di cinquanta ghinee, signore.

M'Comas. Ecco ia democrazia, Crampton! La democrazia moderna!

Il cameriere (calmo). Nossignore, non democrazia: educazio­ne, signore. Lauree, signore. Interno a Cambridge, signo­re. E al Sidney Sussex College, signore. (Dolly lo tira per una manica e gli sussurra qualcosa, mentre egli si china verso lei.) Con ginger, signorina? Subito signorina. (A M'Comas.) È stata una gran fortuna per lui, signore: non ha mai avuto disposizione per un lavoro vero, signo­re, (Va nell'albergo, lasciando la compagnia piuttosto sopraffatta dall'autorità di suo figlio.)

Valentino. Chi di noi oserà mai dare un ordine a quell'uo­mo?

Dolly. Spero non sarà seccato che lo abbia mandato a pren­dermi un'altra birra.

Crampton (immusonito). Finché fa il servitore ha il dovere di servire. Se lo aveste trattato come s'ha da trattare un cameriere, sarebbe stato zitto.

Dolly. Che perdita sarebbe stata! Forse ci darà una presen­tazione per suo figlio e potremo entrare nella società londinese.

Il cameriere riappare con la birra per Dolly.

Crampton (brontolando con disprezzo). La società londine­se! La società londinese! Tu non sei adatta per nessuna società, piccola.

Dolly (perdendo la pazienza). Insomma, signor Crampton, se lei crede...

Il cameriere (con dolcezza, al suo fianco)- La birra, signori­na, col ginger.

Dolly (sconcertata, ritrova il suo buon umore dopo un lungo respiro e dice con dolcezza). Grazie, caro Guglielmo. Siete arrivato proprio in tempo. (Beve.)

M'Comas. Se mi permette di cambiar argomento, posso chie­derle, signorina Clandon, qual è la religione ufficiale di Madera?

Gloria. Suppongo sia la religione portoghese. Non me ne sono mai informata.

Dolly. In Quaresima i servitori vengono a inginocchiarsi dì fronte a noi per confessare tutte le cose che hanno tatto; e bisogna fingere di perdonarli. Lo fanno anche in In­ghilterra, Guglielmo?

Il cameriere. Di solito no, signorina. Forse lo fanno in qual­che regione; ma non ne ho mai avuto notizia, signorina. (Coglie lo sguardo della signora Clandon, mentre il gio­vane cameriere le offre l'insalata.) Lei la preferisce non condita, signora: sissignora, ne ho messa un poco da par­te per lei. (Al giovane collega, facendogli cenno di servi­re Gloria.) Da questa parte, Jo. (Prende una porzione Speciale di insalata che è sulla tavola di servizio e la mette vicino al piatto della signora Clandon. Così facen­do si accorge che Dolly sta torcendo la bocca.) Una fo-gìiolìna di crescione, signorina, caduta dentro per errore. (Le porta via l'insalata) Grazie, signorina. (Al camerie­re giovane, ammonendolo di servire nuovamente Dolly.) Jo. (Riprendendo.) Per lo più sono membri della Chie­sa anglicana, signorina.

Dolly. Membri della Chiesa anglicana? Quanto costa iscri­versi?

Crampton (alzandosi violentemente in mezzo alla costerna­zione generale). Vede come sono stati educati i miei fi­gli, M'Comas. Lo vede: ha sentito anche lei. Chiamo tutti a testimoni... (Non riesce ad articolare le parole e sta per sferrare un pugno sulla tavola quando il came­riere gli porta via, saggiamente, il piatto.)

La signora Clandon (con fermezza). Siediti, Fergus. Non v'è alcun motivo per questo sfogo. Devi ricordare che Dolly, qua, è proprio come una straniera. Ti prego, siediti.

Crampton (si sottomette, a malincuore). Dubito che sia be­ne io rimanga qui a sopportare tutto questo. Ne dubito.

Il cameriere. Formaggio, signore? o preferisce ' un semi­freddo?

Crampton (sconcertato). Come? Ah! Formaggio, formaggio.

Dolly. Portate una scatola di sigarette, Guglielmo.

Il cameriere. È pronta, signorina. (Prende una scatola di si­garette che è sulla tavola di servizio e la posa davanti a Dolly, che ne sceglie una e si prepara a fumarla. Egli torna, allora, alla tavola di servizio per prendere ì fiam­miferi.)

Crampton (fissa Dolly, esterrefatto). Fumi?

Dolly (spazientita). Insomma. signor Crampton, le sto pro­prio guastando la colazione. Vado a fumare la mia siga­retta sulla spiaggia. (Lascia la tavola, all'improvviso, con petulanza, e va ai gradini. Il cameriere accende un fiam­mifero e le accende con destrezza la sigaretta.) Grazie, caro Guglielmo. (Sparisce giù per i gradini.)

Crampton (furibondo). Margherita: richiama quella ragazza. Richiamala, ho detto.

M'Comas (cercando di metter pace). Via, Crampton: non le dia peso. È il ritratto di suo padre: spiccicato.

La signora Clandon (con profondo risentimento). Spero di no, Finch. (Si alza, tutti fanno il gesto di alzarsi.) Signor Valentino:  vuoi scusarmi? Temo che Dolly sia stata colpita e turbata da quello che è accaduto. Bisogna che vada a raggiungerla.

Crampton. Per schierarsi con lei contro me, vero?

La signora Clandon (ignorandolo). Gloria, vuoi prendere il mio posto mentre sono via? (Va ai gradini e scende giù alla spiaggia.)

L'espressione di Crampton riflette amaro odio. Tutti lo osservano imbarazzati e in silenzio, sentendo che quel­l'incidente è molto doloroso. Il cameriere spinge il giovane assistente dentro l'albergo, dall'ingresso dì cucina, lasciando che la compagnia se la sbrighi da sola,

Crampton (buttandosi di nuovo a sedere). Questa sarebbe una madre, M'Comas! Una madre!

Gloria (con fermezza). Sì: un'ottima madre.

Crampton. E un pessimo padre? È questa che vuoi dire, vero?

Valentino (alzandosi, indignato, e rivolgendosi a Gloria). Signorina Clarndon: io non...

Crampton (rivolgendosi a lui). Signor Valentino, quella ra­gazza si chiama Crampton, non Clandon. Desidera unirsi a lei per insultarmi?

Valentino (ignorandolo). Sono veramente disperato, signori­na Clandon. È tutta colpa mia: sono stato io a condurlo qui: sono responsabile di lui. E mi vergogno di lui,

Crampton. Che vuol dire?

Gloria (alzandosi freddamente). Non è accaduto niente di grave, signor Valentino. Siamo stati tutti un po' puerili, purtroppo. La nostra riunione è stata un fallimento: in­terrompiamola e non ci pensiamo più. (Scansa la propria sedia e si dirige verso i gradini, soggiungendo, con un certo disprezzo, mentre passa davanti a Crampton.) Buongiorno, papà.

Scende i gradini con indifferenza fredda e disgustata. Tutti la seguono con lo sguardo, e quindi non notano il ritorno del cameriere che esce dall'albergo, carico del soprabito di Crampton, del bastone da passeggio dì Valentino, di un paio di scialli e parasoli e di qualche sga­bello pieghevole che egli deposita sulla panchina.

Crampton (a se stesso, fissando in direzione di Gloria con un'espressione d'orrore). Papà! Papà!! (Batte il pugno violentemente sulla tavola) Adesso...

Il cameriere (porgendogli il soprabito). Questo è suo, signo­re, se non sbaglio, signore. (Crampton lo fulmina con lo sguardo; poi gli strappa bruscamente il soprabito dalle mani e viene giù sulla terrazza verso la panchina da giar­dino, lottando col soprabito nel rabbioso sforzo di in­dossarlo. M'Comas si alza e va a soccorrerlo: poi prende il cappello e l'ombrello che aveva lasciati sul tavolinetto di ferro e si dirige verso i gradini. Nel frattempo, il ca­meriere, dopo aver ringraziato Crampton con impassibi­le dolcezza per avergli tolto il soprabito di mano, racco­glie gli altri articoli e porge i parasoli a Pippo.) Per ri­parare le signore, scusi, signore. Il mare da un bruno riflesso, oggi, signore: fa molto male alla carnagione, signore. Gli sgabelli li porto giù io, signore.

Filippo. Tu sei vecchio, papà Guglielmo; ma sei il più pre­vidente degli uomini. No: tienti i parasoli e dai a me gli sgabelli. (Li prende.)

Il cameriere (con lusinghiera riconoscenza). Grazie, signore.

Filippo. Finch: dividiamoci la fatica. (Gliene dà un paio.) Andiamo. (Vanno giù insieme per ì gradini.)

Valentino (al cameriere). Lasci anche a me qualcosa da por­tar giù. Uno di questi. (Offre di prendere un parasole.)

Il cameriere (discreto). Questo è della signorina più giovane. (Valentino lo lascia andare.) Grazie, signore. Se per­mette, signore, credo farebbe meglio a prendere questo. (Posa il carico sulla sedia di Crampton e toghe dalla tasca interna della falda della marsina un volume con il fazzoletto di una signora messo tra le pagine come se­gnalibro.) Lo sta leggendo la signorina maggiore. (Valentino lo prende ansiosamente.) Grazie, signore. La Sottomissione della Donna, vede, signore. (Riprende il carico.) È una lettura più greve di quella che lei o io sceglieremmo per il mare, signore. (Scende i gradini.)

Valentino (mene piuttosto agitato da Crampton). Insomma, Crampton: non ha vergogna dì se stesso?

Crampton (battagliero). Vergogna di me stesso! E perché mai?

Valentino. Per essersi condotto come un orso. Che cosa pen­serà sua figlia di me che l'ho condotta qui?

Crampton. Non m'interesso affatto a quello che mia figlia pensa di lei.

Valentino. No, lei pensava a se stesso. Lei è un perfetto egoista.

Crampton (straziato). Le ho detto quello che sono-, un padre: un padre defraudato dei suoi figlioli. Che cuore ha que­sta generazione? Devo venire qua, dopo tutti questi an­ni? a vedere per la prima volta come sono i miei figli! a udire la loro voce! a condurre tutta la scena come un qualsiasi ospite mondano; capitando a colazione; essen­do il signor Crampton? II signor Crampton! Che diritto hanno di parlarmi in quel modo? Sono il loro padre: lo negano, forse? Sono un uomo, coi sentimenti di un'uma­nità comune a loro e a me: non debbo avere diritti, o pretese? In tutti questi anni, chi ho avuto attorno a me? Servi, commessi, conoscenze d'affari. Ho goduto il loro rispetto: finanche, la loro gentilezza. Crede che uno di loro mi avrebbe parlato come mi parlava quella ragazza? Crede che uno di loro avrebbe riso di me come rideva tutto il tempo quel ragazzo? (Frenetico.) I miei figlioli! Signor Crampton! I miei...

Valentino. Ma via, ma via! sono ragazzi. Lei l'ha chiamata papà.

Crampton. Sì: "buongiorno, papà". Buongiorno! Oh sì; è ar­rivata ai miei sentimenti: con una pugnalata!

Valentino (prendendo questa battuta molto in mala parte). Adesso mi ascolti, Crampton: la lasci stare: non è vero che l'ha trattata male. Dianzi, a colazione, è stato molto peggio per me che per lei.

Crampton. Per lei?

Valentino (con crescente impeto). Sì: per me. Io le stavo se­duto accanto; e non le ho mai detto niente: non m'è venuta in testa una sola parola da dirle. E lei non ne ha detta neanche una a me.

Crampton. E allora?

Valentino. E allora? E allora??? (Affrontandolo molto seria­mente e parlando sempre più in fretta.) Crampton: lo sa che cosa m'è accaduto oggi? Non crederà, vero?, che io abbia l'abitudine di fare ai miei clienti lo scherzetto che ho fatto a lei.

Crampton. Spero di no.

Valentino. Glielo spiego dicendo che sono completamente pazzo, o meglio che non sono mai stato più assennato di oggi. Sono capace di qualsiasi cosa: alla fine sono diven­tato adulto: sono un Uomo; ed è sua figlia che ha fatto di me un uomo.

Crampton (incredulo). È innamorato di mia figlia?

Valentino (le parole gli escono ora di bocca in modo addirit­tura torrenziale). Amore! Bazzecole: è qualcosa di molto più insù e di più in là dell'amore. È la vita, è la fede, è la forza, la certezza, il paradiso...

Crampton (interrompendolo con acre disprezzo). Frottole, buonuomo! Con che cosa la vuoi mantenere una moglie? Lei non la può sposare.

Valentino. Chi vuole sposarla? Io le bacerò le mani; io m'in­ginocchierò ai suoi piedi; io vivrò per lei; io morirò per lei; e questo mi basterà. Guardi il suo libro! Guardi! (Egli bacia il fazzoletto.) Se lei mi offrisse tutto il suo denaro per questo pretesto di scendere sulla spiaggia e di parlarle, io le riderei in faccia. (Egli si precipita vo­lando giù per ì gradini, piombando proprio fra le brac­cia del cameriere che sta salendo dalla spiaggia. I due evitano di cadere aggrappandosi forte l'uno all'altro per la vita e facendo una piroetta.)

Il cameriere (con delicatezza). Piano, signore, piano!

Valentino (scandalizzato della propria violenza). Oh, scusa­temi.

Il cameriere. Prego, signore, prego. È molto naturale, signo­re, creda, signore, alla sua età. La signora m'ha mandato a prendere il libro, signore. Posso prendermi la libertà di pregarla di farglielo avere subito, signore?

Valentino. Con piacere. E se mi permettete di offrirvi il gua­dagno di sei settimane d'un professionista... (Gli offre la moneta di cinque scellini avuta da Dolly.)

Il cameriere (come se quella somma fosse al di là delle sue più alte speranze). Grazie, signore: obbligatisstmo. (Valentino si lancia già per le scale.) È un giovane signore molto esuberante, signore: molto virile e deciso.

Crampton (brontolando il suo biasimo). Vuol far camera in fretta, a quel che vedo. Ma io lo so a che cosa ammonta­no le sue sei settimane di guadagno. ( At tra versa la ter­razza fino al tavolinetto di ferro e si siede.)

Il cameriere (con filosofia). Be', signore, non si sa mai. Nella vita, signore, ho sempre seguito questa massima, se mi permette di dire così, signore. (Mettendo delicatamente da parte il filosofo per far posto al cameriere.) Forse non s'è accorto che non aveva ancora toccato il suo whisky, signore, quando la compagnia s'è sciolta. (Prende il bic­chiere che è sulla tavola della colazione e lo posa sul ta­volinetto davanti a Crampton.) Sissignore, non si sa mai. Mio figlio, ecco, signore! chi l'avrebbe mai detto che sa­rebbe andato tanto in su da mettersi in toga, signore? Eppure, oggi, signore, niente meno di cinquanta ghinee. Che lezione, signore!

Crampton. Be', spero vi sìa grato e riconosca tutto quello che vi deve, come dovrebbero fare tutti i figli.

Il cameriere. Andiamo molto d'accordo, molto bene davvero, signore, se si considera la differenza delle nostre condi­zioni. (Crampton sta per prendere un sorso.) Una zol­letta di zucchero, signore, toglie lo sciapo dal selz senza addolcire apprezzabilmente il whisky, signore. Permetta, signore. (Lascia cadere una zolletta di zucchera nel bic­chiere.) Ma, come gli dico sempre, dove sta la differenza, dopo tutto? Se mi devo mettere la marsina per far vede­re quello che sono, signore, lui si deve mettere la parruc­ca per far vedere quello che è. Se il mio reddito sta per la maggior parte nelle mance, e si deve fìngere che non le piglio, be', il suo reddito sta nelle parcelle; e a quant'ho capito si usa dire che non ìe riscuote! Se gli piace la società, e la sua professione lo porta a contatto con tutti i ceti, la mia fa altrettanto, signore. Se va poco d'accordo con un avvocato patrocinatore avere per padre un cameriere, signore, non va mica tanto d'accordo con un cameriere avere per figlio un avvocato: molte perso­ne la ritengono una cosa tutt'altro che normale, signo­re, mi creda, signore. Comanda qualcos'altro, signore?

Crampton. No, grazie. (Con amara umiltà.) Suppongo non ci sia niente in contrario che rimanga seduto qui per un pochino: non credo di disturbare la compagnia che sta lì sulla spiaggia.

Il cameriere (commosso). Molto gentile da parte sua, signo­re, dire cosi, come se non fosse un complimento e un onore per noi, signor Crampton, molto gentile davvero. Più lei si sente in famiglia, qua, signore, meglio è per noi.

Crampton (con pungente ironia). In famiglia!

Il cameriere (riflessivo). Be', sì, signore: è un punto di vista come un altro, signore. Io dico sempre che il gran van­taggio dell'albergo è che ci si può trovare rifugio dalla vita di famiglia, signore.

Crampton. Oggi, forse questo vantaggio m'è sfuggito.

Il cameriere. Infatti, signore; infatti. Che vuole! Accade sempre quel che non ci si aspetta, vero? (Scrolla la te­sta.) Non si sa mai, signore: non si sa mai. (Entra nel­l'albergo.)

Crampton (ha gli occhi quasi spenti mentre china sulle mani il volto tirato e malinconico). Famiglia! Famiglia!!

(Ode il passo di qualcuno che s'avvicina e subito si raddrizza, impettito. E Gloria che è venuta su per i gradini, da so­la, con il parasole e il libro in mano. Egli la guarda con aria di sfida, mentre la brutale caparbietà della bocca e la dolorosa espressione dello sguardo si contraddicono in modo patetico. La ragazza viene fino all'angolo della panchina da giardino e rimane in piedi, voltando le spalle che appoggia dio schienale e guardando in giù, verso lui, come per meditare sulla sua debolezza: troppo curiosa di lui per essere fredda ma supremamente indif­ferente alla loro parentela. Egli la saluta con un grugni­to). Be'?

Glona. Le voglio parlare un momento.

Crampton (la guarda fisso). Davvero? Mi stupisce. Incontri tuo padre dopo diciotto anni; e hai proprio desiderio di parlargli un momento! È commovente, vero?

Gloria. È proprio questo che mi sembra così assurdo, così gratuito. Che cosa crede che noi si possa provare per lei? o fare per lei? Che cosa vuole? Perché è meno gen­tile con noi di quanto lo siano gli altri? Evidentemente lei non ci vuole molto bene: perché dovrebbe volerce­ne? Ma certo possiamo incontrarci senza bisticciare.

Crampton (mentre una spaventosa nuvola grigia gli adombra il viso.) Ti rendi conto che sono tuo padre?

Gloria. Certamente.

Crampton. Sai che cosa mi devi come figlia?

Gloria. Per esempio...?

Crampton (alzandosi come per combattere un mostro). Per esempio! Per esempio!! Per esempio, dovere, affetto, ri­spetto, obbedienza...

Gloria (abbandonando il suo atteggiamento indifferente e svenevole e affrontandolo con prontezza e con orgoglio). Io obbedisco soltanto al mio senso di giustizia. Io non rispetto niente che non sia nobile. Questo è il mio do­vere. (Soggiunge, con minore fermezza) Quanto all'affetto, esso sfugge al mio controllo. Io non sono sicura di sapere bene che cosa significa affetto. (Si volta dal­l'altra parte, con evidente disgusto per quel lato del­l'argomento, e va alla tavola della colazione a prender­si una sedia comoda, dopo aver posato libro e parasole.)

Crampton (seguendola con gli occhi). Intendi veramente quello che dici?

Gloria (voltandosi a guardarlo, subito, con severità). Scusi: questa non è una domanda eciucata. Io le sto parlando sul serio, e pretendo che lei mi prenda sul serio. (Prende una delle sedie della colazione; la stacca dalla tavola e la volta; indi sì siede, un po' stancamente, dicendo) Non può proprio discutere quest'argomento con freddezza e raziocinio?

Crampton. Con freddezza e raziocinio! No, non posso. Lo hai capito? Non posso.

Gloria (enfatica). No, questo non lo posso capire. Io non ho comprensione per chi...

Crampton (contraendosi nervosamente). Basta! Non dire al­tro: non sai quello che fai. Vuoi farmi impazzire? (Glo­ria aggrotta la fronte, trovando questa petulanza insop­portabile. Egli soggiunge in fretta.) No; non sono in col­lera: davvero, non lo sono affatto. Aspetta, aspetta: dammi il tempo di pensare. (Si ferma, in piedi, per un momento, sgranando e strizzando la fronte e le mani, al colmo della perplessità; prende la sedia che è a capota-vola e si siede, vicino a lei, con un commovente sforzo di essere gentile e paziente.) Adesso credo di esserci ar­rivato. Per lo meno, ci proverò.

Gloria (con fermezza). Lo vede? Tutto si chiarisce quando si è decisi a trovare una soluzione.

Crampton (con improvviso terrore). No: non crederlo. Io voglio che tu senta: è la sola cosa che possa aiutarci. Ascolta! Hai mai... ma prima... ho dimenticato. Che nome hai? Voglio dire, qual è il tuo nomignolo? Non credo che possano chiamarti Sofronia.

Gloria (con sbalordito disgusto). Sofronia! Il mio nome è Gloria. Tutti mi chiamano così.

Crampton (con una nuova ondata di malumore). Il tuo no­me è Sofronia, ragazza: tu hai preso il nome di tua zia Sofronia, mia sorella: ti ha dato la prima Bibbia che hai posseduto, col tuo nome scritto sopra.

Gloria. Vuol dire che mia madre mi ha messo un altro nome.

Crampton (con rabbia). Non aveva alcun diritto di far que­sto. Non lo permetterò.

Gloria. E lei non aveva alcun diritto di darmi il nome di sua sorella. Non la conosco nemmeno.

Crampton. Dici delle sciocchezze. C'è un limite a ciò che pos­so sopportare. Questo non lo ammetto. Hai capito?

Gloria (alzandosi, ammonitrice). È deciso a bisticciare?

Crampton (terrorizzatot difendendosi). No, no: siediti. Siedi­ti, vuoi? (Gloria lo guarda, tenendolo in sospeso. Egli costringe se stesso a pronunciare un nome odioso.) Glo­ria. (Gloria sottolinea la propria soddisfazione stringen­do leggermente le labbra, e si siede.) Ecco! come vedi, io voglio soltanto dimostrarti che sono tuo padre, mia... mia cara figliola. (Quella carezza è così lamentosamente inetta che Gloria sorride suo malgrado e si rassegna a un po' d'indulgenza.) Ascolta bene. Io voglio chiederti questo. Non ti rammenti affatto di me? Eri piccola pic­cola quando mi sei stata tolta; ma osservavi bene tutto. Non rammenti una persona che amavi) o (timidamente) che per lo meno, ti piaceva in modo puerile? Via! una persona che ti lasciava stare nel suo studio a vedere quelle che tu credevi fossero le sue navi-balocco? (Egli la guarda ansiosamente in faccia, in attesa di una qualsiasi risposta, e prosegue con meno speranza e maggior in­sistenza.) Una persona che, quando stavi lì, ti lasciava fare quello che volevi e non ti diceva mai una parola, se non per ordinarti di star seduta e di non parlare? Una persona che era ciò che nessun altro era per te... che era tuo padre?

Gloria (impassibile). Se mi descrive queste cose è certo che fra poco m'immaginerò di ricordarle. Ma in verità non ricordo nulla.

Crampton (senza speranza). Tua madre non t'ha mai detto niente di me?

Gloria. Non m'ha mai pronunciato il suo nome. (Egli grugni­sce involontariamente. Gloria lo guarda con un certo di­sprezzo, e prosegue) Salvo una volta: e allora m'ha ri­cordato una cosa che avevo dimenticato.

Crampton (alzando gli occhi con speranza). Che cos'era?

Gloria (senza misericordia). La frusta che aveva comperato per picchiarmi.

Crampton (digrignando i denti). Ah! Tirar fuori questo con­tro di me! Per staccarti da me! Quando non avresti mai avuto bisogno di saperlo. (Col fiato corto, disperato, di­grignando i denti.) Maledetta!

Gloria (balzando in piedi). Scellerato! (Con intensa enfasi.) Scellerato!! Come osa maledire mia madre!

Crampton.. Zitta; o te ne pentirai. Io sono tuo padre.

Gloria. Come odio quel nome! E come amo il nome di ma­dre! È meglio che se ne vada.

Crampton. Sto... sto soffocando. Mi vuoi ammazzare. Un,.. io.., (La voce gli si strozza in gola. Sta per avere una crisi.)

Gloria (va alla balaustra, con fredda e improvvisa prontezza di spirito, e chiama verso la spiaggia). Signor Valentino!

Valentino (rispondendo dal basso). Sì.

Gloria. Venga qua un momento, per favore. Il signor Cramp­ton la vuole. (Torna alla tavola e versa un bicchier d'ac­qua,)

Crampton (ritrovando la favella). No: lasciami stare. Non lo voglio. Sto bene, adesso. Non voglio né il suo aiuto né il  tuo. (Si alza, facendosi forza.) Come hai detto tu, è meglio che me ne vada. (Si mette il cappello.) È questa la tua ultima parola?

Gloria. Lo spero.

Crampton la guarda per un attimo, caparbio; annuisce, torvo, come se fosse d'accordo; e va in albergo. Gloria lo guarda con altrettanta fermezza fino a che è sparito; indi, con un gesto di sollievo, si volta verso Valentino che arriva di corsa su per i gradini.

Valentino (ansimando). Che cos'è accaduto? (Si guarda at­torno.) Dov'è Crampton?

Gloria. Se n'è andato. (Il volto di Valentino s'illumina di gioia, di paura, di malizia improvvisa mentre si rende conto di essere solo con Gloria la quale continua, con indifferenza) Credevo si sentisse male; ma s'è ripreso. Non ha voluto aspettarla. Mi scusi. (Va a prendere il libro e il parasole.)

Valentino. Tanto meglio. Dopo un poco, mi da sui. nervi. (Fingendo di distrarsi.) Com'è possibile che quell'uomo abbia avuto una figlia tanto bella!

Gloria (lì per lì rimane sconcertata; poi gli risponde con di­sprezzo cortese ma intenzionale). Mi sembra che questo sia un tentativo a ciò che suoi dirsi una frase a effetto. Mi lasci subito dire, signor Valentino, che le frasi a ef­fetto formano una conversazione molto nauseante. La prego, siamo amici, se amici abbiamo da essere, in modo assennato e salubre. Io non ho alcuna intenzione di spo­sarmi; e, a meno che lei si accontenti di accettare questo stato di cose, è molto meglio che non coltiviamo la no­stra reciproca conoscenza.

Valentino (prudente). Capisco. Posso farle una sola doman­da? La sua avversione è un'avversione al matrimonio come istituzione o semplicemente un'avversione a spo­sare personalmente me?

Gloria. Io non la conosco abbastanza bene, signor Valentino, per aver un'opinione qualsiasi in merito alle sue perso­nali qualità. (Si stacca da lui con infinita indifferenza, e si siede a leggere il suo libro sulla panchina da giardino.) Io non credo che le attuali condizioni del matrimonio siano tali da poter essere accettate da una donna che abbia rispetto di se stessa.

Valentino (cambia istantaneamente il tono e passa a cordiale sincerità, come se egli accettasse francamente le sue con­dizioni e fosse felice .e rassicurato per quei principi). Oh, be', allora questo è un ottimo punto d'intesa fra noi. Io sono assolutamente d'accordo con lei: le condi­zioni sono molto sleali. (Si toglie il cappello e lo butta allegramente sul tavolinetto di ferro.) No: io voglio sol­tanto liberarmi da tutto quest'assurdo. (Si siede vicino a lei, con tanta naturalezza che essa non si sogna neanche di opporsi, e prosegue, entusiasta) Non crede sia orri­bile che un uomo e una donna non abbiano quasi il tempo dì conoscersi sen2a che gli altri suppongano in loro dei progetti di questo genere? Come se non esi­stessero altri interessi! o altri argomenti di conversazione! Come se le donne non fossero capaci di qualcosa di meglio!

Gloria (interessata). Adesso sì che comincia a discorrere con umanità e buon senso, signor Valentino.

Valentino (con gli occhi che brillano per il successo della sua insidia di cacciatore). Certo! due persone intelli­genti come noi! Non è gradevole, in questo stupido mondo schiacciato dalie convenzioni, poter incontrare qualcuno sullo stesso piano? qualcuno che abbia una mente illuminata e spregiudicata?

Gloria (sincera). Spero di incontrare molte persone così in Inghilterra.

Valentino (dubbioso). Hm! Qua c'è molta gente: quasi qua­ranta milioni dì abitanti. Ma non sono tutti tisici mem­bri delle classi elevate e istruite, come gli abitanti di Madera.

Gloria (immersa in pieno nell'argomento). Oh, tutti sono così stupidi e pieni di pregiudizi a Madera: creature de­boli e sentimentali. Odio la debolezza; e odio il senti­mentalismo.

Valentino. È per questo che lei suscita tanta ispirazione.

Gloria (con una risatina). Io suscito ispirazione?

Valentino. Sì. La forza è contagiosa.

Gloria. La debolezza lo è, io lo so.

Valentino (convinto). Lei è forte. Sa che lei, questa mattina, ha trasformato il mondo in cui vivevo? Io ero angoscia­to, pensavo al mio affitto non pagato, ero spaventato per il futuro. Quando è entrata lei, sono rimasto abba­gliato. (La fronte di lei si rannuvola leggermente. Va avanti, rapidamente.) È stato stupido, lo so; ma è certo, è verissimo che mi è accaduto qualcosa. Lo spieghi come vuole, ma il sangue mi s'è... (esita, cercando di pensare a una parola sufficientemente priva di passione) ...ossige­nato: "avevo i muscoli test; la mente chiara; il coraggio desto. È strano, vero? se si tien conto che io non sono affatto un sentimentale.

Gloria (a disagio, alzandosi). Torniamo sulla spiaggia.

Valentino (fosco, alzando gli occhi per guardarla). Come! la prova anche lei?

Gloria. Che cosa?

Valentino. La paura.

Gloria. La paura!

Valentino. Come se stesse per accadere qualcosa. M'è venuta all'improvviso, un attimo prima che lei proponesse di correre giù dagli altri.

Gloria (sbalordita). È strano: molto strano! Ho avuto lo stes­so presentimento.

Valentino (solennemente). È straordinario! (Alzandosi.) Be', vogliamo scappar via?

Gloria. Scappar via! Oh no: sarebbe puerile. (Si rimette a sedere. Egli riprendo il suo posto vicino a lei e l'osserva con gravita e comprensione. Lei e pensierosa e un po' turbata quando soggiunge) Chissà qual è la spiegazione scientifica di quei capricci che di tanto in tanto vengono a stuzzicarci?

Valentino. Già, chissà? È una strana sensazione che disarma: non è vero?

Gloria (ribellandosi contro quella parola). Che disarma?

Valentino. Sì, disarma. Come se la Natura, dopo averci per­messo dì appartenete a noi stessi e dì fare ciò che rite­nevamo giusto e ragionevole durante tutti questi anni, alzasse improvvisamente la sua grande mano per affer­rarci - noi due bambini - per la collottola e impiegarci, nostro malgrado, nel raggiungimento di un suo scopo preciso, a modo suo.

Gloria. Non è piuttosto immaginoso?

Valentino (con un nuovo e stupefacente passaggio a un'into­nazione di assoluta spensieratezza). Non lo so. Non m'importa. (Sbottando in un rimprovero*) Oh, signori­na Clandon, signorina Clandon: come ha potuto?

Gloria. Che cos'ho fatto?

Valentino. Mi ha buttato addosso quest'incantesimo. Io cerco onestamente di essere assennato e scientifico e tutto ciò che desidera io sia. Ma... ma però... oh, non vede che cos'ha messo in moto nella mia fantasia?

Gloria. Spero non sarà così sciocco... così volgare... da dire amore.

Valentino. No, no, no, no. Non amore: noi siamo superiori a questo. Chiamiamola chimica. Non può negare che esista la cosiddetta azione chimica o affinità chimica o combi­nazione chimica: la più irresistibile di tutte le forze naturali. Ebbene, lei mi attira in modo irresistibile. Chimi­camente.

Gloria (con disprezzo). Sciocchezze!

Valentino. Certo che sono sciocchezze, stupidina. (Gloria in­dietreggia, offesa e stupita.) Sì, stupidina: questo è un fatto scientifico, non c'è che dire. Lei è una sputasenten-ze: una sputasentenze femminile: ecco che cos'è. (Al­zandosi.) E adesso suppongo che io sarò liquidato per sempre. (Va al tavolinetto di ferro e prende il cappello.)

Gloria (con calma studiata; si siede come una professoressa in posa dal fotografo). Ciò dimostra che lei conosce assai poco il mio vero temperamento. Io non mi sono mini­mamente offesa. (Egli sì ferma e posa nuovamente il cappello.) Io sono sempre pronta, signor Valentino, a lasciare che i miei amici mi dicano i miei difetti anche quando si sbagliano sul mio conto in modo assurdo co­me s'è sbagliato lei. Io ho molti difetti - difetti, assai seri - di carattere e di temperamento; ma se v'è una cosa che proprio non sono, è ciòche chiama una sputasentenze. (Stringe bene le labbra e lo guarda fisso, con aria di sfida, sedendosi più compostamente che mai.)

Valentino (torna a mettersi in fondo alla panchina da giardi­no per poterla affrontare con maggiore enfasi). Oh, sì, altro che. Me lo dice la ragione: me lo dice la cono­scenza: me lo dice l'esperienza.

. Gloria. Mi perdoni se le ricordo che la sua ragione, la sua conoscenza e la sua esperienza non sono infallibili. Per lo meno, spero che non lo siano.

Valentino. Ma debbo credere a loro. A meno che lei desideri io creda ai miei occhi, al mio cuore, ai miei istinti, alla mia immaginazione, tutte cose che mi dicono le più mo­struose bugie sul suo conto.

Gloria (cominciando ad abbandonare la sua compostezza). Bugie!

Valentino (ostinato). Sì, bugie. (Si siede nuovamente vicino a lei.) Pretende forse che io la creda la più bella donna del mondo?

Gloria. Questo è ridicolo, e piuttosto personale.

Valentino. Lo so bene che è ridicolo. Però, è questo che di­cono i miei occhi. (Gloria fa un cenno di sprezzante pro­testa.) No: non la sto lusingando. Le dico che non ci credo. (Gloria si vergogna di accorgersi che neanche questo le fa molto piacere.) Crede che se dovesse stac­carsi con disgusto dalia mia debolezza, io mi metterei seduto qui, a piangere come un bambino?

Gloria (cominciando a sentire che deve parlare brevemente e scandendo le parole per evitare che le tremi la voce). Perché dovrebbe piangere, se è lecito?

Valentino. Certo che non piangerei; non sono tanto cretino. Eppure il cuore mi dice che dovrei piangere: quello sciocco del mio cuore. Ma io discuterò col mio cuore finché lo avrò ricondotto alla ragione. Se l'amassi mille volte, io mi obbligherei a guardare ben in faccia ia ve­rità. Dopo tutto, è facile avere giudizio: i fatti sono i fatti. Questo luogo che cos'è? non è il paradiso: è il Marine Hotel. Che cos'è il tempo? non è l'eternità: sono circa le due e mezzo del pomeriggio. Che cosa sono io? un dentista; un dentista da cinque scellini!

Gloria. E io sono una sputasentenze femminile.

Valentino (appassionatamente). No, no: è troppo: bisogna mi rimanga almeno un'illusione: l'illusione di lei. La amo. (Si volta verso lei come se l'impulso di toccarla fosse irrefrenabile: Gloria si alza e rimane in guardia, furibonda. Egli balza in piedi con impazienza e fa un passo indietro.) Oh, che sciocco sono! che imbecille! Lei non capisce: tanto varrebbe che parlassi ai ciottoli della spiaggia. (Si allontana, scoraggiato.)

Gloria (rassicurata dal suo ritiro, e con un lieve rimorso). Mi dispiace. Non volevo mancare di comprensione, si­gnor Valentino: ma che cosa posso dirle?

Valentino (avvicinandosi nuovamente a lei, e avendo sosti­tuito i suoi modi spensierati con un avvicinante rispetto cavalieresco). Lei non può dir niente, signorina Clandon. Le chiedo perdono; è stata colpa mia, o piuttosto è stata colpa della mia poca fortuna. Vede: è tutto dipe­so dalla simpatia naturale che lei prova per me. (Gloria sta per parlare: egli la ferma, con deprecazione.) Oh, lo so che non deve dirmi se prova simpatia per me o no; ma...

Gloria (nuovamente armata dei suoi principi). Non debbo! Perché no? Io sono una donna libera: perché non dovrei dirglielo?

Valentino (supplichevole e terrorizzato, indietreggiando). Non lo dica. Ho paura di sentirglielo dire.

Gloria (non più beffarda). Lei non deve aver paura. Io credo che lei sia sentimentale, e un per sciocco: ma ho simpa­tia per lei.

Valentino (crollando sulla sedia pia vicina, come schiacciato). Allora è tutto finito. (È il ritratto della disperazione.)

Gloria (confusa, avvicinandosi a lui). Ma perché?

Valentino. Perché la simpatia non è sufficiente. Adesso che ci penso seriamente, non so se lei m'è simpatica o no.

Gloria (abbassando lo sguardo per osservarlo con perplessa preoccupazione). Mi dispiace.

Valentino (straziato dalla passione repressa). Oh, non mi compianga. La sua voce mi dilania il cuore. Mi lasci sta­re, Gloria. Lei pesca nel profondo del mio essere, mi turba, mi fa rimescolare tutto. Non ho forza per lottare contro questo. Non posso dirle...

Gloria (crollando all'improvviso). Oh, smetta di dirmi quel­lo che prova: non lo sopporto.

Valentino (balza in piedi, trionfante, e la sua voce disperata è adesso robusta, argentina, esultante). Oh, è arrivato finalmente: il mio momento di coraggio, (Egli le afferra le mani: Gloria lo guarda terrorizzata.) Il nostro mo­mento di coraggio! (Egli la attira verso sé: la bacia for­te, con impeto; poi ride come un fanciullo.) Adesso è finita. Gloria. Non c'è più niente da fare: siamo inna­morati. (Gloria riesce a emettere soltanto un respiro af­fannoso.) Ma che drago sci stata! E che odiosa paura ho avuta!

Voce di Filippo (che chiama dalla spiaggia). Valentino!

Valentino. Addio. Perdonami. (Egli le bacia in fretta le ma­ni, e corre alle scale dove incontra la signora Clandon che sale.)

Gloria, smarrita, riesce solo a seguirlo con lo sguardo imbambolato.

La signora Clandon. I ragazzi la vogliono, signor Valentino. (Si guarda ansiosamente attorno.) Se n'è andato?

Valentino (confuso). Chi? (Ricordando.) Ah, Crampton. Se n'è andato da un pezzo, signora Clandon. (Corre alle­gramente giù per i gradini.)

Gloria (cadendo a sedere sulla panchina). Mamma!

La signora Clandon (correndole vicino, preoccupata). Che cosa c'è, cara?

Gloria (rimproverandola, supplichevole, fin dal profondo del cuore). Perché non m'hai educata a dovere?

La signora Clandon (sbalordita). Figliola mia: ho fatto del mio meglio.

Gloria. Oh. non m'hai insegnato nulla: nulla.

La signora Clandon. Ma che cos'hai?

Gloria (con l'espressione più intensa). Soltanto vergogna! vergogna!! vergogna!!! (Arrossendo in modo intollera­bile, si copre il viso con le mani e si volta per non essere veduta da sua madre.)


Atto terzo

Il salotto dei Clandon in albergo. È un costoso appartamento al pianterreno: con una porta-finestra che conduce ai giardini. Nel centro della stanza, un grosso tavolone,, circondato da seggiole e coperto da una tovaglia marrone sulla quale sono in bella mostra ricche guide alberghiere e orari ferroviari. Un ospite che entrasse dalla porta-finestra e venisse verso questo tavolone centrale avrebbe il caminetto alla sua sinistra e una scrivania contro la parete alla sua destra, vicino alla porta che è ancora più avanti. Egli potrebbe, se il proprio gusto glielo consigliasse, ammirare le pareti con decorazioni di Lincrusta Walton color prugna e lacca bronzea, a riquadri e cornici; le consoles d'ormolu negli angoli: i vasi sui piede-stalli a pilastri dì marmo venato con basi di legno nero ver­niciato, uno a ogni lato della finestra; lo stipo ornamentale vicino al vaso dal lato più prossimo al caminetto, il cui scom­partimento centrale è chiuso da uno sportello intarsiato e i cui spigoli sono smussati da pannelli ricurvi di vetro che proteg­gono piccole mensole sulle quali sono posti ordinare cacci blu e bianchi; la tavolina da tè in bambù, con le ribalte pie­ghevoli, nello spazio corrispondente dall'altra parte della finestra; le Stampe da Burton a Stacy Marks; l'ottomana di cuoio in fila con- la porta ma dall'altra parte della stanza; le due comode poltrone dello stesso tipo, sul tappeto del ca­minetto; e, alla fine, voltandosi e guardando insù, la canna di ottone massiccio fissata sopra la finestra per sostenere un paio di tende di reps marrone coi bordi ricamati color verde-bottiglia, È, nell'insieme, una stanza ben arredata e atta a lusingare il gusto aristocratico del suo occupante e a conso­larlo della sterlina richiestagli per ogni giorno di uso. La signora Clandon è seduta alla scrivania e corregge delle bozze. Gloria è in piedi davanti dia finestra e guarda fuori, sognante e tormentata.

L'orologio che è sul caminetto suona le cinque con un tin­tinnio rauco perché il campanello è incapace di far udire la sua voce fuori dal cenotafio di marmo nero in cui è rinchiuso.

La signora Clandon. Le cinque! Non credo si debba aspettare ancora i ragazzi. Prenderanno certamente il tè altrove.

Gloria (con stanchezza). Devo suonare?

La signora Clandon. Sì, cara. (Gloria va ai caminetto e suo­na.) Grazie al Ciclo, queste bozze sono pronte!

Gloria (cammina distratta attraverso la stanza e va dietro la poltroncina della madre.) Che bozze sono?

La signora Clandon. La nuova edizione delle Donne nel Ven­tesimo secolo.

Gloria (con un sorriso amaro). Manca un capitolo.

La signora Clandon (cominciando a frugare tra le bozze). Ah, si? Oh no, certamente no.

Gloria. Voglio dire che ne hai ancora uno da scrivere. Forse

lo  scriverò io per te... quando ne conoscerò la fine. (Tor­na alla finestra.)

La signora Clandon. Gloria! Quanti enigmi!

Gloria. Oh no. Un solo enigma.

La signora Clandon (perplessa e piuttosto turbata, dopo aver­la guardata per un momento). Cara!

Gloria (tornando). Sì?

La signora Clandon. Sai che io non faccio mai domande.

Gloria (inginocchiandosi vicino alla poltroncina di lei). Lo so. Lo so. (Butta improvvisamente le braccia attorno alla madre e l'abbraccia quasi con passione.)

La signora Clandon (affettuosa, sorridente ma imbarazzata). Mia cara: stai diventando molto sentimentale.

Gloria (ritraendosi). Oh no, no. Oh. non dire cosi. Oh! (Si alza e si allontana come per punirsi.)

La signora Clandon (con dolcezza). Ma, cara, che cos'è ac­caduto? Che...

Il  cameriere entra con il vassoio del tè.

Il cameriere (con dolcezza). È per questo che ha suonato, si­gnora?

La signora Clandon. Sì, grazie. (Allontana la poltroncina dal­la scrivania e si mette nuovamente a sedere Gloria va fino al caminetto e vi si accoccola davanti voltando il viso dall'altra parte.)

Il cameriere (posa il vassoio provvisoriamente sul tavolone centrale). Lo immaginavo, signora. È strano che nel pomeriggio si abbia sempre l'impressione di aver i nervi a pezzi, se non si prende una tazza di tè. (Va a prendere il tavolino da tè e lo mette di fronte alla signora Clandon, seguitando a conversare.) La signorina e il signore sono appena tornati, signora: sono stati fuori in barca, signora. Molto piacevole in un bel pomeriggio come questo: molto piacevole e ritemprante, davvero. (Prende il vassoio dal tavolone centrale e lo posa sul tavolino da tè.) Il signor M'Comas non viene per il tè, signora: è andato a far visita al signor Crampton. (Prende un paio di seggiole e le mette una di qua e una di là dal tavolino da te.)

Gloria (guardandosi attorno con un impulso di terrore). E l'altro signore?

Il cameriere (rassicurandola, mentre si abbandona per un at­timo al ritmo di Ive been roaming che egli cantava da ragazzo). Ora viene, signorina, ora viene. Ha remato lui, signorina, e ha fatto una corsa dal farmacista in fondo alla strada per prendere qualcosa da mettere sulle scot­tature. Ma sarà qui fra poco, signorina; fra poco.

(Gloria con apprensione indomabile, si alza e corre verso la porta.)

La signora Clandon (quasi alzandosi). Glo...

Gloria esce. La signora Clandon guarda perplessa il ca­meriere, composto e impassibile.

Il cameriere (allegramente). Desidera altro, signora?

La signora Clandon. Niente, grazie.

Il cameriere. Grazie a lei. signora, (Mentre si ritira, Pippo e Dolly, d'ottimo umore, arrivano di corsa. Il cameriere tiene la porta aperta per lasciarli passare: poi esce e la richiude.)

Dolly (voracissima). Oh, dammi un po' di tè. (La signora Clandon gliene versa una tazza.) Siamo stati fuori in barca. Valentino sarà qui fra poco.

Filippo. E' poco abituato a navigare. Dov'è Gloria?

La signora Clandon (con ansia, versandogli il tè). Pippo: Gloria ha qualcosa che non va. Non è mica accaduto niente, vero? (Pippo e Dolly si guardano e soffocano una risata.) Che cosa c'è?

Filippo (sedendosi alla sua sinistra). Romeo...

Dolly (sedendosi alla sua destra). ...e Giulietta.

Filippo (prende la tazza di te che gli porge la signora Clandon). Sì, cara la mia mamma: la vecchia, vecchia storia. Dolly: lasciami un po' di latte. (Le toglie abilmente il bricco di mano.) Sì: in primavera...

Dolly. ...l'estro del giovincello...

Filippo. ...lieto si rivolge verso... Grazie. (alla signora Clandon, che gli ha passato i biscotti) ...dolci pensieri d'a­more. Accade anche in autunno. In questo caso il gio­vincello è,..

Dolly. Valentino.

Filippo, E il suo estro s'è rivolto a Gloria fino al punto di...

Dolly. ...baciarla...

Filippo. ...sulla terrazza...

Dolly (correggendolo). ...sulle labbra, di fronte a tutti.

La signora Clandon (incredula). Pippo! Dolly! State scher­zando? (Essi scrollano la testa.) E lei l'ha permesso?

Filippo. Abbiamo aspettato invano di vederlo rotolare in terra, fulminato dai dardi del suo scherno; ma...

Dolly. ...non è rotolato per niente.

Filippo. Sembrava le piacesse.

Dolly. Per quel che potevamo giudicare noi. (Fermando Pip­po che sta per versare un'altra tazza.) No: te ne sei già scolate due tazze.

La signora Clandon (molto turbata). Ragazzi: non dovete esser qui quando viene il signor Valentino. Bisogna che gli parli molto seriamente di questa cosa.

Filippo. Per chiedergli che intenzioni ha? Quale violazione dei principi del ventesimo secolo!

Dolly. Giustissimo, mamma: digli che concluda. Approfitta del diciannovesimo seco lo, finché dura.

Filippo. Silenzio! Eccolo qua.

Valentino (entrando). Mi scusi il ritardo, signora Clandon.

(Essa prende in mano la teiera.) No, grazie: non ne prendo mai. Sono sicuro che la signorina Dolly e Pippo le avranno spiegato ciò che m'è accaduto.

Filippo (con importanza, alzandosi). Sì, Valentino: abbiamo spiegato.

Dolly (con intenzione, alzandosi anche lei). Abbiamo spiega­to esaurientemente.

Filippo. Com'era nostro dovere, (Molto seriamente.) Vieni, Dolly. (Offre il braccio a Dolly, ed essa lo prende. I due lo guardano con tristezza ed escono, con gravita, a braccetto, lasciando Valentino inebetito.)

La signora Clandon (alzandosi e staccandosi dal tavolino da te). Vuoi sedersi, signor Valentino? Se permette, vorrei parlarle un momento. (Valentino s'avvia lentamente verso l'ottomana, mentre la sua coscienza presagisce un brutto quarto d'ora. La signora Clandon prende la seg­giola di Pippo, e si siede con cortese dignità. Valentino si siede.) Debbo cominciare appellandomi alla sua in­dulgenza. Le parlerò dì un argomento che conosco assai poco: anzi, che non conosco affatto. Alludo all'amore.

Valentino. L'amore!

La signora Clandon. Sì, l'amore. Oh, non occorre che sì spa­venti tanto, signor Valentino: non sono innamorata di lei.

Valentino (schiacciato). Oh. le pare, signora... (Riprendendo­si.) Ne sarei anche troppo orgoglioso!

La signora Clandon. Grazie, signor Valentino. Ma sono trop­po vecchia per cominciare.

Valentino. Cominciare! Non ha mai...?

La signora Clandon. Mai. Il mio caso è molto comune, signor Valentino. Io mi sono sposata quando non ero ancora in età di capire quello che facevo. Come lei stesso avrà veduto, il risultato è stato un'amara delusione sia per mio marito che per me. Quindi,, vede che per quanto io sia una donna sposata, non sono mai stata innamorata; non ho mai avuto una storia d'amore; e, per esser vera­mente sincera con lei, signor Valentino, le dirò che quanto ho potuto vedere nelle storie d'amore degli altri non mi ha indotto a rimpiangere questa mancata espe­rienza. (Valentino, che appare molto cupo, le lancia un'occhiata scettica e non dice niente. Il colore di lei si fa lievemente più acceso; e soggiunge, con rabbia tratte­nuta) Non mi crede?

Valentino (imbarazzato perché i suoi pensieri sono letti). Oh, perché no? Perché no?

La signora Clandon. Lasci le dica, signor Valentino, che una vita dedicata alla Causa dell'Umanità offre entusiasmi e passioni che trascendono di gran lunga le egoistiche in­fatuazioni personali e i sentimentalismi da romanzo. A quanto pare, questi non sono entusiasmi e passioni che la riguardano. (Valentino, perfettamente conscio che lei lo disprezza per questo, risponde negativamente con una malinconica scrollatine di testa.) Me lo figuravo. Eb­bene, io provo pari svantaggio discutendo i cosiddetti affari di cuore nei quali lei appare espertissimo.

Valentino (inquieto). Dove vuoi arrivare, signora Clandon?

La signora Clandon. Credo lei lo sappia.

Valentino. Gloria?

La signora Clandon. Sì, Gloria.

Valentino (arrendendosi). Ebbene, sì: sono innamorato di Gloria. (Intervenendo quando la signora Clandon è sul punto di parlare.) Io so che cosa sta per dire; io non ho denaro.

La signora Clandon. Il denaro mi interessa assai poco, signor Valentino,

Valentino. Allora lei è molto diversa da tutte le altre madri che mi hanno intervistato.

La signora Clandon. Ah, ecco il punto, signor Valentino, Lei è un esperto. (Egli apre la bocca per protestare: lei lo interrompe di netto, con una certa indignazione.) Oh, non creda che, pur intendendomi poco di queste faccen­de, io non abbia il buon senso di sapere che un uomo il quale può far tanta strada in un solo colloquio con una donna come mia figlia non può essere un novizio.

Valentino. Le assicuro che...

La signora Clandon (interrompendolo). Non la biasimo af­fatto, signor Valentino, Spetta a Gloria badare a se stes­sa; e lei ha il diritto di divertirsi come le pare. Ma...

Valentino (protestando). Di divertirmi! Oh, signora Clandon!

La signora Clandon (implacabile). Sul suo onore, signor Valentino: mi dica se agisce seriamente.

Valentino (disperatamente). Sul mio onore, agisco seriamen­te. (La signora Clandon lo scruta. Il senso del ridicolo prevale; ed egli soggiunge stranamente) Io ho sempre agito sul serio; eppure... Be', eccomi qua, come vede.

La signora Clandon. È proprio questo che sospettavo. (Con severità.) Signor Valentino: iet è uno di quegli uomini che giocano coi sentimenti delle donne.

Valentino. Be', perché no, se la Causa dell'Umanità è l'unica cosa sulla quale valga la pena di agire sul serio? Co­munque, capisco. (Si alza e prende il cappello con for­male cortesia.) Lei desidera che io interrompa le mie visite.

La signora Clandon. No, ho abbastanza giudizio per rendermi conto che Gloria può salvarsi da lei soltanto conoscen­dola meglio.

Valentino (sinceramente preoccupato). Oh, non dica questo, signora Clandon. Non lo pensa mica, vero?

La signora Clandon. Io ho molta fede, signor Valentino, nel­la solida educazione mentale che Gloria ha ricevuto fin da bambina.

Valentino (sollevato in modo sorprendente). A-ah! Ah, allora va bene. (Si rimette a sedere e butta il cappello, alle­gramente, da una parte con l'aria dell'uomo che non ha più nulla da temere.)

La signora Clandon (indignata per la sicurezza di lui). Che cosa vuol dire?

Valentino (rivolgendosi confidenzialmente). Ma via! vuole che le insegni qualcosa, signora Clandon?

La signora Clandon (rigida). Io sono sempre disposta a im­parare.

Valentino. Ha mai studiato argomenti di balistica? d'artiglie­ria? di cannoni e di navi da guerra e così via?

La signora Clandon. E la balistica ha qualcosa a che fate con Gloria?

Valentino. Moltissimo. Cara signora Clandon, durante tutto questo secolo, il progresso dell'artiglieria è consistito in un duello tra il fabbricante dei cannoni e il fabbricante delle lamiere corazzate che debbono impedire l'entrata delle palle di cannone. Lei costruisce una nave a prova del miglior cannone conosciuto: qualcuno inventa un cannone migliore e affonda la sua nave. Lei costruisce una nave più pesante, a prova di quel cannone: un altro inventa un cannone più pesante e la manda nuovamente a fondo. E così via. Ebbene, il duello dei sessi è proprio così.

La signora Clandon. Il duello dei sessi?

Valentino. Sì; ha sentito parlare del duello dei sessi, no? Ah, dimenticavo; lei è stata a Madera; l'espressione è nata quando lei era già partita. È necessario che gliela spieghi?

La signora Clandon (con disprezzo). No.

Valentino. È chiaro. Che cosa accade, dunque, nel duello dei sessi? La figliola all'antica riceveva un'educazione all'an­tica che doveva proteggerla dalla scaltrezza dell'uomo. Be', lei ne conosce i risultati: l'uomo all'antica aggirava la posizione. La madre all'antica decise di proteggere la sua figliola in modo più efficace: di trovare una corazza più forte per difenderla dall'uomo all'antica. E quindi diede alla sua figliola un'educazione scientifica: è il suo sistema. L'uomo all'antica si ribellò con tutte le sue for­ze; la considerò una mossa sleale e cercò di denigrarla dicendola antifemminile e tutto quel che segue. Ma ciò non gli giovò affatto. Dovette quindi rinunciate al suo antiquato piano d'attacco: lei sa di che si trattava: egli si buttava in ginocchio e giurava d'amare, onorare, obbe­dire, e così via.

La signora Clandon. Scusi: ma queste cose le giurava la donna.

Valentino. Ah sì? Be', forse ha ragione. Sì, certo. Ebbene, che cosa ha fatto l'uomo? Proprio quello che fa l'arti­gliere: ha superato la donna di un passo: sì è educato scientificamente e l'ha battuta a questo gioco proprio co­me l'aveva battuta al vecchio gioco. Io ho imparato a gabbare la donna dei Diritti delle Donne quando ancora non avevo ventitré anni: è stato tutto scoperto molto tempo fa. Come vede, i miei sistemi sono assolutamente moderni.

La signora Clandon (con tranquillo disgusto). Non ne dubito.

Valentino. Ed è proprio per questo motivo che esiste un ge­nere di ragazza contro la quale questi sistemi non ser­vono a niente.

La signora Clandon. Quale genere di ragazza, se è lecito?

Valentino. La ragazza assolutamente all'antica. Se avesse edu­cato Gloria coi vecchi sistemi, avrei impiegato dìciotto mesi per arrivate al punto in cui sono arrivato questo pomeriggio in diciotto minuti. Sì, signora Clandon: la Più Alta Educazione delle Donne ha messo Gloria nelle mie mani; ed è stata lei che le ha insegnato a credere nella più Alta Educazione delle Donne.

La signora Clandon (alzandosi). Signor Valentino: lei è mol­to abile.

Valentino (alzandosi anch'egli). Oh, signora Clandon!

La signora Clandon, E lei m'ha insegnato... nulla. La saluto.

Valentino (inorridito). Mi saluta! E non potrei rivederla, pri­ma d'andar via?

La signora Clandon. Temo che non verrà qui prima che lei se ne sia andato, signor Valentino. È uscita da questa stanza apposta per evitarla.

Valentino (riflettendo). È buon segno. Là saluto. (S'inchina e si avvia verso la porta, apparentemente soddisfatto.)

La signora Clandon (preoccupata). Perché ritiene che sia buon segno?

Valentino (voltandosi, vicino alla porta). Perché io ho una paura mortale di lei; e a quanto pare lei ha una paura mortale di me.

Si volta per andar via e si trova faccia a faccia con Glo­ria, che è appena entrata. La ragazza lo guarda con fer­mezza. Egli la fissa, inerme; poi guarda la signora Clandon; poi nuovamente Gloria, assolutamente smarrito.

Gloria (pallidissima, controllandosi a stento). Mamma:  è vero ciò che m'ha detto Dolly?

La signora Clandon. Che cosa t'ha detto, cara?

Gloria. Che tu hai parlato di me con questo signore.

Valentino (mormorando). Questo signore! Oh!

La signora Clandon (tagliente). Signor Valentino: non sa te­ner la bocca chiusa per un momento?

Valentino le guarda pietosamente; indi, stringendosi di­speratamente nelle spalle, torna all'ottomana e vi butta sopra il cappello.

Gloria (guardando fissa la madre, con profondo rimprovero). Mamma: che diritto avevi di far quello che hai fatto?

La signora Clandon. Credo di non aver detto alcuna cosa che non avessi il diritto dì dire.

Valentino (confermando, senza compromettersi). Niente. Proprio niente. (Le due donne lo guardano, come per schiacciarlo.) Chiedo scusa. (Si siede vergognoso sull'ot­tomana.)

Gloria. Io non ritengo che altri abbiano diritto sia pure sol­tanto a pensare cose che riguardano unicamente me. (Si stacca da loro per nascondere la penosa lotta che sostie­ne con la propria emozione.)

La signora Clandon. Cara;  se ho ferito il tuoorgoglio...

Gloria (guardandoli per un momento). Il mio orgoglio! Il mio orgoglio!!' Oh, se n'è andato: ho imparato adesso che io non ho alcuna forza di cui essere orgogliosa. (Di­stogliendosi nuovamente da loro.) Ma se una donna non può proteggersi da sola, non v'è nessuno che possa pro­teggerla. Nessuno ha il diritto di provare a proteggerla, neppure sua madre. Io so di aver perduto la vostra con­fidenza, proprio come ho perduto il rispetto di quest'uo­mo... (Si interrompe per riprendere il controllo della propria voce.)

Valentino. Di quest'uomo! Oh!

La signora Clandon. Silenzio, signore, la prego.

Gloria (continuando). ...ma ho per lo meno il diritto di es­sere lasciata in pace nella mia sciagura. Io sono una delle creature deboli nate per essere spadroneggiate dal primo uomo il cui sguardo le coglie; e suppongo di do­ver lasciare che il destino si compia. Risparmiatemi, per lo meno, l'umiliazione del vostro tentativo di salvezza. (Si siede, coprendosi gli occhi col fazzoletto, al capo estremo della tavola centrale.)

Valentino (balzando in piedi). Ma insomma...

La signora Clandon (severamente). Signor Va...

Valentino (disinvolto). No: voglio parlare; sono rimasto in silenzio per oltre trenta secondi. (Va risolutamente da Gloria.) Signorina Clandon...

Gloria (amaramente). Oh, non signorina Clandon... ha visto che può star al sicuro anche chiamandomi Gloria.

Valentino. No; se la chiamassi per nome, lei me lo rinfaccerebbe più tardi accusandomi di mancanza di rispetto. Voglio dire che se mi accusa di poco rispetto verso lei, commette una falsità capace di spezzare il cuore. È vero che non rispettavo il suo vecchio orgoglio: perché dove­vo rispettarlo? non era che vigliaccheria. Io non rispet­tavo il suo intelletto: il mio è migliore del suo: è una specialità maschile. Ma quando ha toccato il fondo del mio animo! quando è giunto il mio momento! quando mi ha reso coraggioso! oh, allora! allora!! allora!!!

Gloria. Allora mi ha rispettata, suppongo.

Valentino. No, non l'ho rispettata: l'ho adorata. (Gloria si alza in fretta e gli volta le spalle.) È un momento che lei non mi potrà mai togliere. Ecco perché adesso non mi importa nulla di quello che accade. (Egli torna all'otto­mana, rivolgendo una gaia spiegazione più a se stesso che a qualcuno di preciso.) Lo so benissimo che dico delle sciocchezze. Non posso farne a meno. (Alla signora dandoti.) Amo Gloria; adesso mi sembra non ci sia al­tro da dire.

La signora Clandon (con enfasi). Signor Valentino: lei è un uomo molto pericoloso. Gloria: vieni qua.

(Gloria, me­ravigliandosi un poco di quell'ordine, obbedisce e rima­ne in piedi, a testa penzoloni, al fianco destro di sua madre, mentre Valentino sta dal lato opposto. Allora la signora Clandon comincia, con intenso scherno)

Chiedi a quest'uomo, che tu hai ispirato e reso coraggioso, quante donne lo hanno ispirato prima di te, (Gloria guarda improvvisamente insù con un lampo di gelosa rabbia e di sbalordimento.) Chiedigli quante volte ha teso il tranello nel quale sei caduta tu; chiedigli quante volte egli vi ha messo l'esca di quegli stessi discorsi; chiedigli quanta pratica ha dovuto fare per perfezionar­si nella parte che egli ha deciso di sostenere nella vita come Duellista del Sesso.

Valentino. Non è leale. Lei abusa della mia confidenza, si­gnora Clandon.

La signora Clandon. Chiediglielo, Gloria.

Gloria (avvampando di rabbia va verso lui coi pugni stretti). È vero?

Valentino. Non si inquieti...

Gloria (interrompendolo implacabilmente). E' vero? Lo aveva già detto prima?  Lo aveva già provato prima?  per un'altra donna? Valentino (schietto). Sì.

Gloria alza i pugni chiusi.

La signora Clandon (inorridita, afferrandole il braccio alza­to). Gloria!! Mia cara! Perdi il controllo di te stessa.

Gloria, dopo un profondo respiro, abbandona lentamen­te il suo minaccioso atteggiamento.

Valentino. Badi: il potere d'amore e d'ammirazione d'un uomo è simile a qualsiasi altro suo potere: egli deve sprecarlo molte volte prima di imparare che cosa vale realmente.

La signora Clandon. Un altro dei vecchi discorsi, Gloria. Sta' attenta.

Valentino (con rimostranza). Oh!

Gloria (alla signora Clandon, con sprezzante sicurezza dì sé). Credi che abbia ancora bisogno di questi ammonimenti? (A Valentino.) Lei ha cercato di indurmi ad amarla.

Valentino. È vero.

Gloria. Ebbene, lei è riuscito a indurmi a odiarla: appassio­natamente.

Valentino (con filosofia). È sorprendente che tra questi due sentimenti ci sia così poca differenza. (Gloria si stacca indignata da lui. Egli prosegue, rivolto alla signora Clandon) Conosco uomini, amati dalle loro mogli; van­no avanti esattamente così.

La signora Clandon. Scusi, signor Valentino; ma non crede che le convenga andar via?

Gloria. Non è necessario che tu lo mandi via per me, mam­ma. Egli non è niente per me, adesso; e potrebbe diver­tire Dolly e Pippo. (Si siede con sprezzante indifferenza davanti al lato della tavola che è più vicino alla fine­stra.)

Valentino (allegramente). Certo: è il modo più giudizioso di studiare la situazione. Via, signora Clandon! lei non può bisticciare con una povera farfalla come me!

La signora Clandon. Io non ho alcuna fiducia in lei, signor  Valentino. Ma non voglio pensare che la sua sciagurata leggerezza d'animo sia soltanto inverecondia e inde­gnità...

Gloria (a se stessa, ma ad alta voce). E' svergognata; ed è indegna.

La signora Clandon (continuando). ...e quindi penso sarà meglio mandar a chiamare Pippo e Dolly e consentirle di concludere la sua visita in modo normale.

Valentino (come se la signora Clandon gli avesse fatto il più gran complimento) Oh, signora, lei mi colma di corte­sie. Grazie.

Torna il cameriere.

Il cameriere. Il signor M'Comas, signora.

La signora Clandon, Oh, sì. Fatelo passare.

Il cameriere. Desidera vederla in salone, signora.

ha signora Clandon. Perché non qui?

Il cameriere. Ebbene, non so se posso permettermi di dirlo, signora, ma credo che il signor M'Comas ritenga di avere miglior gioco parlandole in assenza dei più giovani mem­bri della sua famiglia, signora.

La signora Clandon. Ditegli che non sono presenti.

Il cameriere. Tengono ben in vista la porta, signora; e sono molto vigili, per un motivo o l'altro.

La signora Clandon (andando). Ah, molto bene: vado io.

Il cameriere (tenendo la porta aperta per farla passare). Gra­zie, signora. (La signora Clandon esce. Egli torna nella stanza e incontra lo sguardo di Valentino che vuole egli se ne vada.) Subito, signore. Prendo soltanto il vassoio del tè, signore. (Prendendo il vassoio.) Grazie, signore. (Esce.)

Valentino (a Gloria). Senta: prima o poi, mi perdonerà. Mi perdoni adesso.

Gloria (alzandosi perché la dichiarazione gli giunga più inten­samente). Mai! Finché l'erba cresce o l'acqua scorre, mai! mai!! mai!!!

Valentino (impassibile). Be', non ha importanza. Non c'è niente che possa rendermi infelice. Non sarò mai più infelice, mai più, mai più, mai più, finché l'erba cresce o l'acqua scorre. Pensando a lei dovrò sempre impazzire di gioia. (Le labbra di lei si increspano come per lanciare una breve insolenza:  egli la frena rapidamente.) No:

non l'avevo mai detto prima: è nuovo. Gloria. Non sarà nuovo quando lo dirà alla prossima donna. Valentino. Oh no, Gloria, no. (Egli si inginocchia ai suoi piedi.) Gloria. Si alzi! Si alzi! Come si permette?

Pippo e Dolly, dia caccia, come sempre, del primo po­sto, irrompono nella stanza. Si fermano di scatto, ve­dendo ciò che accade. Valentino balza in piedi.

Filippo (con discrezione). Chiedo scusa. Vieni, Dolly. (Le porge il braccio e si volta per andar via.)

Gloria (seccata). La mamma sarà qui ira un momento, Pippo. (Severamente.) Per favore, aspettala qui. (Si volta ver­so la finestra, dove si ferma a guardar fuori voltando le spalle ai presenti.)

Filippo (con intenzione). Oh, certo! Hmhm!

Dolly Ahah!

Filippo. Valentino, vedo che lei è di ottimo umore.

Valentino. È vero. (Viene tra loro.) Mi ascoltino. Loro due sanno che cosa sta accadendo, vero?

Gloria si volta in fretta, come prevedendo un nuovo oltraggio.

Dolly. Perfettamente.

Valentino. Ebbene, è tutto finito. Sono stato respinto. Sbef­feggiato. Io sono qui soltanto per soffrire. Hanno capi­to? è tutto finito. La loro sorella non incoraggia mini­mamente le mie profferte né si degna di interessarsi a me in alcun modo. (Gloria, soddisfatta, si volta con di­sprezzo verso la finestra.) È chiaro?

Dolly. Le sta bene. Ha avuto troppa fretta.

Filippo (battendogli su una spalla). Non se la prenda: non avrebbe mai più potuto dire di aver un'anima per sé, se l'avesse sposata. Adesso può iniziare un nuovo capitolo della sua vita.

Dolly. A occhio e croce, capitolo diciassette o limitrofi.

Valentino (molto seccato da questa spiritosaggine). No: non dica queste cose. Queste sono proprio le osservazioni

avventate che combinano i guai maggiori.

Dolly. Ah, davvero? hmhm! Filippo. Ahah! (Va al caminetto e vi si piazza davanti nel più imponente atteggiamento di capo famiglia.)

Il signor M'Comas, che appare molto serio, entra rapi­damente con la signora Clandon che anzitutto si preoc­cupa dì Gloria. Si guarda attorno per vedere dov'è e sta per andarla a raggiungere alla finestra quando Gloria si volta e le viene incontro con una marcata aria dì fiducia e di affetto. Alla fine, la signora Clandon prende il posto che aveva lasciato e Gloria le si mette in piedi dietro. M'Comas, diretto all'ottomana, è richiamato festosa­mente da Dolly.

Dolly. Finch, che ci racconta di bello?

M'Comas (con durezza). Ho notizie molto gravi di suo padre, signorina Clandon. Notizie veramente molto gravi. (Passa con importanza all'ottomana e si siede.)

Dolly, debitamente impressionata, lo segue e va a seder-glisi vicino, alla sua destra.

Valentino. Forse è meglio che vada via.

M'Comas. Oh, no, signor Valentino. Esse la riguardano pro­fondamente. (Valentino prende una sedia dal tavolino e vi sì siede a cavalcioni, appoggiandosi alla spalliera, vi­cino all'ottomana.) Signora Clandon: suo marito chiede la custodia dei due figli minori che non hanno ancora raggiunto la maggiore età.

La signora Clandon (subito allarmata). Mi vuol togliere Dolly?

Dolly (commossa). Oh, che caro! Gli siamo piaciuti, mam­ma.

M'Comas. Mi dispiace di doverla privare di quest'illusione, signorina Dorotea.

Dolly (tubando, estatica). Dorote-e-e-a. (Accoccolandosi con­tro la sua spalla, tutta soddisfatta.) Oh, Finch!

M'Comas (seccato, ritirandosi). No, no, no, no!

La signora Clandon. L'atto di separazione mi dà la custodia dei figli.

M'Comas. Ma contiene anche il patto che lei non deve avvici­narlo o molestarlo in alcun modo.

La signora Clandon. L'ho forse molestato?

M'Comas, Per sapere se il contegno dei suoi Egli minori può essere ritenuto legalmente molesto occorre un parere giuridico. Comunque, il signor Crampton sostiene non soltanto di essere stato molestato ma di essere stato in­dotto a venire qui da un complotto nel quale il signor Valentino ha avuto la funzione di agente.

Valentino. Che cosa dice? Eh?

M'Comas. Egli dichiara che lei lo ha drogato.

Valentino. È esatto.

M'Comas, Per quale motivo ha fatto questo?

Dolly. Per cinque scellini di supplemento.

M'Comas (a Dolly, spazientito). Debbo pregarla, signorina Clandon, di non interrompere questa importantissima conversazione con interiezioni assolutamente irrilevanti. (Con veemenza.) Pretendo che argomenti di tanta serie­tà siano trattati con serietà e reverenza. (Questo sfogo produce un silenzio reverenziale e fa perdere le staffe allo stesso M'Comas. Egli tossisce, e ricomincia ex-novo, rivolgendosi a Gloria) Signorina Clandon: ho il dovere di dirle che suo padre è inoltre convinto che il signor Valentino desidera sposarla...

Valentino (intervenendo abilmente). È esatto.

M'Comas. In questo caso, signore, non si stupisca di essere considerato dal padre della signorina come un cacciato­re di dote.

Valentino. Lo sono. Pretende che mia moglie viva con ciò che guadagno? e cioè meno di una sterlina la settimana?

M'Comas (indignato). Non ho altro da aggiungere, signore. Tornerò dal signor Crampton a dirgli che questa fami­glia non è degna dì un padre. (Si avvia verso la porta.)

La signora Clandon (con calma autorità). Finch! (Egli si fer­ma.) Se il signor Valentino non sa essere serio, lo sia lei. Si sieda, (M'Comas, dopo una breve lotta tra la di­gnità e l'amicizia, soccombe, e si siede, questa volta a metà strada tra Dolly e la signora Clandon.) Lei sa che tutto questo è frutto di una montatura nella quale Fergus non crede più di quanto vi creda lei. Adesso mi dia il suo preciso consiglio: un consiglio sincero, amichevole. Lei sa che ho sempre avuto fiducia nel suo giudizio. Le prometto che i ragazzi staranno zitti.

M'Comas (rassegnandosi). Bene, bene! Io voglio dire questo. Nel vecchio accordo stipulato tra lei e suo marito, lei lo ha me?so in un terribile svantaggio.

La signora Clandon. Quale svantaggio, se è lecito?

M'Comas. Ebbene, lei era una donna evoluta, abituata a sfi­dare l'opinione pubblica, e senza alcun riguardo per ciò che il mondo avrebbe potuto dire di lei.

La signora Clandon (con orgoglio). Sì: questo è vero.

Gloria, che le sta dietro, si china a baciare i capelli di sua madre, dimostrazione assai sconcertante per que­st'ultima.

M'Comas. D'altro canto, signora Clandon, suo marito aveva in grandissimo orrore tutto ciò che avrebbe potuto ap­parire sui giornali. Doveva avere dei riguardi per I suoi affari, oltre che per i pregiudizi di una famiglia all'an­tica.

La signora Clandon. Per tacere dei pregiudizi propri.

M'Comas. Non vi è alcun dubbio che egli si sia condotto male, signora Clandon.

La signora Clandon (con scherno). Alcun dubbio.

M'Comas. Ma era tutta colpa sua?

La signora Clandon. Era colpa mia?

M'Comas (subito). No, Certamente no.

Gloria (osservandolo attentamente). Lei non parla sincera­mente, signor M'Comas.

M'Comas. Cara signorina, lei mi stuzzica in modo un po' eccessivo. Ma lasci che le spieghi una cosa. Quando un uomo contrae un matrimonio inadatto (non è colpa di nessuno, sa?, ma dipende da una Incompatibilità di gu­sti puramente incidentale):'quando questa disgrazia lo priva dell'accordo domestico che, a mio giudizio, è il motivo per cui un uomo si sposa; quando, insomma, aver moglie è per lui piuttosto peggio che non aver mo­glie affatto (senza che lei ne abbia colpa, s'intende), le pare ci sia da meravigliarsi se egli peggiora dapprima la situazione biasimandola e, magari, nella disperazione, bevendo al punto do mettersi nella violenta condizione di cercare conforto altrove?

La signora Clandon. lo non l'ho biasimato; ho semplicemen­te riscattato me stessa e i ragazzi da lui.

M'Comas. Sì; ma a condizioni molto dure, signora dandoti. Lei lo teneva alla sua mercé: e lo ha messo in ginocchio minacciandolo di dare la questione in pasto al pubblico, chiedendo al tribunale di accordarle la separazione lega­le. Supponga che egli avesse esercitato questo stesso potere contro lei al fine di portarle via i figli e di alle­varli nell'ignoranza finanche del suo nome, che cosa proverebbe? che cosa farebbe? Ebbene, non vuoi far nessuna concessione ai sentimenti di lui? per un senso di comune umanità.

La signora Clandon. Io non ho mai scoperto i suoi sentimen­ti. Io ho scoperto il suo carattere, e il... (rabbrividisce) e il resto della sua comune umanità.

M'Comas (rassegnato). Le donne possono essere molto cru­deli, signora Clandon.

Valentino. È vero.

Gloria (con rabbia). Stia zitto. (Egli si sottomette.)

M'Comas (raccogliendo tutte le sue forze). Mi lasci fare un ultimo appello. Signora Clandon: mi creda, vi sono uomini i quali hanno molto sentimento, magari molto buon sentimento, ma che sono incapaci di esprimerlo. In Crampton manca questa semplice verniciatura di civiltà, l'arte di dimostrare futili premure e di rivolgere ipocriti complimenti in modo gentile e grazioso. Se lei vivesse a Londra, dove tutto si svolge secondo un siste­ma di falsa buona vicinanza, e si può conoscere un uomo per vent'anni senza scoprire che ci odia come il veleno, gli occhi le si aprirebbero presto. A Londra si commet­tono azioni sgarbate in modo garbato; si dicono cose amare con voce dolce; si cloroformizzano gli amici per dilaniarli Ma pensi all'altro lato del problema! Pensi al­le persone che commettono azioni garbate in modo sgarbato! alle persone il cui tocco la male, la cui voce stride, il cui carattere stona, che feriscono e infastidi­scono le persone amate proprio quando desiderano cer­care una conciliazione e che pure hanno bisogno d'affet­to come tutti noi. Crampton ha un carattere abominevole, lo ammetto. Non ha creanza, né tatto, né grazia. Non sarà mai capace di cattivarsi l'affetto di qualcuno, a me­no che il suo desiderio d'affetto non sia accettato sulla fiducia. Non deve averne? e non deve avere pietà? dalla sua stessa carne e dal suo stesso sangue?

Dolly (in brodo di giuggiole). Oh che bellezza, Finch! Quant'è carino da parte sua!

Filippo (convinto). Finch: questa sì che è eloquenza, vera eloquenza.

Dolly. Oh mamma: apriamogli un'altra strada. Lasciamolo venire a pranzo.

La signora Clandon (impassibile). No, Dolly: non ho quasi fatto colazione. Mio caro Finch: è perfettamente inutile che lei mi parli di Fergus. Lei non è mai stato sua mo­glie: io sì.

M'Comas (a Gloria). Signorina Clandon: io mi sono finora trattenuto dall'appellarmi a lei perché, se ciò che il si­gnor Crampton m'ha detto è vero, lei è stata anche più spietata di sua madre.

Gloria (con sfida). Lei si rifugia dalla sua forza nella mia de­bolezza!

M'Comas. Non nella sua debolezza, signorina Clandon. lo mi rifugio dall'intelletto di lei nel suo cuore.

Gloria. Ho imparato a diffidare del mio cuore. (Con una rab­biosa occhiata in direzione di talentino.) Se potessi, mi strapperei il cuore e lo butterei via. La mia risposta è la risposta di mia madre.

M'Comas (sconfitto). Mi dispiace. Mi dispiace molto. Ho fatto del mio meglio. (Si alza e si prepara ad andar via, profondamente scontento.)

La signora Clandon. Ma che cosa si aspettava, Finch? Che cosa vuole che facciamo?

M'Comas. Il primo passo da fare, sia per lei sia per Cramp­ton, è la richiesta del parere giuridico per sapere fino a quale punto è valido quell'atto di separazione. Perché non ottenere subito questo parere, e avere un incontro amichevole (il volto di lei si indurisce), o vogliamo dire un incontro neutrale?, per risolvere questa difficoltà? Qui? In questo albergo? Stasera stessa? Che cosa ne dice?

La signora Clandon. Ma da dove deve venire questo parere giuridico?

M'Comas. Ci è caduto addosso proprio dal cielo. Tornando qua da casa Crampton, ho incontrato un eminente giure­consulto: un uomo che fu chiamato in causa da me pro­prio per la vertenza che lo ha reso celebre. È venuto qua dal sabato al lunedì per prendere un po' d'aria di mare e per visitare un parente che abita in questo pae­se. Ha avuto la cortesia di dirmi che se io posso combi­nare un incontro delle parti è disposto a venirci a soc­correre con il suo parere. Non perdiamo quest'occasione di ottenere un tranquillo e amichevole accordo familiare. Permetta che conduca qua il mio amico e che provi a persuadere Crampton a venire anche lui. Coraggio; ac­consenta.

La signora Clandon (piuttosto lugubre, dopo un momento di riflessione). Finch; io non voglio opinioni giuridiche perché intendo di lasciarmi guidare unicamente dall'opi­nione mia. Io non voglio più incontrare Fergus perché non lo sopporto e ritengo che l'incontro non serva a niente. Comunque, (alzandosi) lei ha persuaso i ragazzi a sperare ancora in lui. Faccia come vuole.

M'Comas (prendendole la mano e stringendogliela). Grazie, signora Clandon. Le va bene fissare per le nove?

La signora Clandon. Benissimo. Pippo: vuoi suonare, per favore? (Pippo suona il campanello.) Ma se debbo esse­re accusata di aver cospirato col signor Valentino, riten­go sìa meglio che ancb'egli sia presente.

Valentino (alzandosi). Sono perfettamente d'accordo con lei. Credo sia molto importante.

M'Comas. Non credo possano sorgere delle divergenze su questo punto. Ho tutte le speranze che si possa arrivare a un lieto accordo. Per ora, arrivederci. (Egli esce, incon­trandosi col cameriere che tiene la porta aperta per la­sciarlo passare.)

La signora Clandon. Guglielmo, stasera alle nove avremo al­cuni ospiti. Possiamo pranzare alle sette invece che alle sette e mezzo?

Il cameriere (sulla porta). Alle sette, signora? Certo, signora. Questo ci faciliterà il lavoro, dato che abbiamo una serata piuttosto movimentata, signora. Dovremo pensare all'orchestra, alla sistemazione dei lampioncini e a tante altre cose, signora.

Dolly. I lampioncini!

Filippo. L'orchestra! Guglielmo: che vuoi dire?

Il cameriere. C;è il ballo mascherato, signorina.

Dolly e Filippo (insieme, correndo da lui). Il ballo masche­rato!!!

Il cameriere. Oh sì, signore. Indetto dal comitato della regata a beneficio della Scialuppa di salvataggio, signore. (Alla signora Clandon.) Ne abbiamo spesso, di questi balli, signora: lampioncini giapponesi in giardino, signora: molto vivace e ridente, molto allegro e innocente davve­ro. (A Pippo.) I biglietti si acquistano giù dal portiere, signore, cinque scellini: metà prezzo, per le signore, se accompagnate da un signore.

Filippo (afferrandogli un braccio per trascinarlo via). Dal portiere, Guglielmo!

Dolly (ansimante, afferrandogli l'altro braccio). Svelti, pri­ma che siano esauriti. (Lo portano via correndo, stretto fra loro. )

La signora Clandon (seguendoli). Ma non possono andar a ballare, stasera. Debbono star qui per incontrarsi con... (Sparisce.)

Gloria fissa freddamente Valentino, e poi guarda con freddezza l'orologio.

Valentino. Capisco. Sono rimasto troppo a lungo. Me ne vado.

Gloria (sdegnosa e puntigliosa). Le debbo delle scuse, signor Valentino. Mi rendo conto di averle parlato con una certa asprezza. Forse con scortesia.

Valentino. Tutt'altro.

Gloria. Posso giustificarmi soltanto dicendo che è molto dif­ficile avere riguardo e rispetto quando dall'altra parte non v'è dignità di carattere che possano ispirarli.

Valentino. Come può un uomo apparire dignitoso quand'è infatuato?

Gloria (con rabbia). Non dica queste cose a me. Glielo proi­bisco. Sono insulti.

Valentino. No; sono soltanto follie. Non posso evitarle.

Gloria. Se lei fosse veramente innamorato, l'amore non le farebbe dire follie, ma le conferirebbe dignità! serietà! finanche bellezza.

Valentino. Crede veramente che mi farebbe diventare bello? (Gloria gli volta le spalle con gelido disprezzo.) Ah, lo vede che non è in buona fede? L'amore non può conce­dere all'uomo dei nuovi doni. Può soltanto elevare i do­ni che egli ha ricevuto nascendo.

Gloria (voltandosi improvvisamente verso lui). E, se è leci­to, quali doni ha ricevuto, lei, nascendo?

Valentino. Leggerezza di cuore.

Gloria. E leggerezza dì mente, e leggerezza di fede, e legge­rezza di tutto ciò che da diritto a essere chiamato uomo.

Valentino. Sì, adesso il mondo intero è come una piuma che balla nella luce; e Gloria è il sole. (Gloria alza la testa, con superbia.) Mi scusi: me ne vado. Torno alle nove. Arrivederci. (Egli corre via, allegramente, lasciandola in piedi, nel centro della stanza, con lo sguardo volto verso il punto in cui egli è uscito.)

Gloria (con la voce pia acuta: improvvisamente furibonda perché egli l'ha lasciata). Stupido!


Atto quarto

La stessa stanza. Le nove di sera. Nessuno è in scena. Le lam­pade sono accese; ma le tende non sono tirate. La porta-fine­stra è spalancata; si vedono esternamente delle file di lam­pioncini giapponesi che brillano tra gli alberi, con lo sfondo del cielo stellato. L'orchestra suona musica da ballo nel giar­dino, coprendo così il rumore del mare.

Il cameriere entra, facendo passare Crampton e M'Comas. Crampton appare intimorito e ansioso. Si siede, stanco e ti­mido, sull'ottomana.

Il cameriere. Le signore sono andate a far un giro attorno al­l'albergo per vedere le mascherine, signori. Se vogliono avere la cortesia di aspettare un momento, signori, vado subito ad avvertirle. (Sta per andare in giardino, passan­do dalla porta-finestra, ma è fermato da M'Comas.)

M'Comas. Aspettate un momento. Se venisse un altro signo­re, fatelo passare senza indugio: Io aspettiamo.

Il cameriere. Va bene, signore. II nome, signore?

M'Comas. Boon. Il signor Boon. La signora Crampton non lo conosce; quindi può darsi che vi dia la sua carta da vi­sita. In questo caso, badate che il nome si scrive B.O.H.U.N., con l'acca. Non dimenticatelo.

Il cameriere (sorridendo). Stia pure tranquillo, signore. An­ch'io mi chiamo Boon, per quanto quaggiù mi conosca­no quasi tutti come Waker, signore. Per esattezza, do­vrei scriverlo con l'acca, signore; ma credo sia meglio non prendere questa libertà, signore. È indice di sangue normanno, signore; e il sangue normanno non è una buona raccomandazione per un cameriere.

M'Comas. Bene, bene: "Un cuor sincero val più d'una coro­na e la vera fede vai più del sangue d'un normanno". Il cameriere. Quasi tutto dipende dalla condizione sociale,

signore. Se lei fosse un cameriere, signore, s'accorgereb­be che la vera fede la lascerebbe all'asciutto quanto il sangue d'un normanno. Io trovo più pratico farmi chia­mare Boon, B, due o, enne e di tenere gli occhi ben aperti. Ma le faccio perder tempo, signore. Mi scusi tan­to, signore: colpa sua, signore, perché è tanto affabile. Dirò alle signore che lei è qui, signore. (Va nel giardino, passando dalla porta-finestra.)

M'Comas. Crampton: posso fidarmi di lei, veto?

Crampton. Sì, sì. Starò calmo. Avrò pazienza. Farò del mio meglio.

M'Comas. Badi: io sono stato solidale con lei. Ho detto che era tutta colpa loro.

Crampton. Lei ha detto a me che era tutta colpa mia.

M'Comas. Le ho detto la verità.

Crampton (lamentoso). Se almeno mi trattassero con lealtà!

M'Comas. Ma, caro Crampton, non la tratteranno con lealtà: non si può pretenderlo all'età loro. Se comincia a mette­re condizioni impossibili come questa, tanto vale che torniamo a casa subito.

Crampton. Ma ho pur diritto a...

M'Comas (intollerante). Rinunci pure ai suoi diritti. Insom-ma, una volta per tutte, Crampton, la sua promessa di buona condotta significa soltanto che lei non si lamen­terà in caso ci fosse qualcosa di cui lamentarsi? Perché, allora... (Si alza come per andar via.)

Crampton (desolato). No, no: mi lasci stare, la prego. Ho già subito tante prepotenze; sono già stato tanto tormenta­to. Le assicuro che farò del mio meglio. Ma se quella ragazza comincia a parlarmi in quel modo e a guardarmi come... (Si interrompe e si nasconde il volto fra le mani.)

M'Comas (raddolcendosi). Calma, calma: andrà tutto benis­simo, purché lei sopporti e sia indulgente. Via; stia at­tento: sta venendo qualcuno. (Crampton, troppo afflitto per badarci, rimane più o meno nello stesso atteggiamen­to. Gloria viene dal giardino. M'Comas le va incontro sulla soglia della porta-finestra per poterle parlare senza essere udito da Crampton.) Eccolo, signorina Clandon. Sia affettuosa. La lascio per un momento sola con lui. (Va in giardino.)

Gloria entra e viene avanti freddamente fin nel centro della stanza.

Crampton (guardandosi attorno, preoccupato). Dov'è M'Comas?

Gloria (distratta ma non sgarbata). È uscito. Per lasciarci in­sieme. Molto delicato da parte sua, suppongo. (Si ferma vicino a lui e lo guarda stranamente dall'alto in basso.) E così, papà?

Crampton (sottomesso). E così, figliola?

Si guardano con un certo umorismo malinconico, per quanto l'umorismo non sia il loro forte.

Gloria. Qua la mano. (Si stringono la mano.)

Crampton (trattenendo la mano di lei fra le sue). Cara: cre­do di aver parlato di tua madre in modo piuttosto sgar­bato, questo pomeriggio.

Gloria. Oh, non si scusi. Sono stata piuttosto superba e al­tezzosa anch'io; ma mi sono abbassata, da allora: oh, sì: m'hanno fatta abbassare. (Si siede in terra, vicino a lui. )

Crampton. Che t'è accaduto, piccina mia?

Gloria. Oh, non ha importanza. Volevo recitare la parte di figlia di mia madre; ma ho sbagliato: io sono la figlia di mio padre. (Lo guarda smarrita.) Questo si chiama ab­bassarsi, vero?

Crampton (con rabbia). Come? (L'espressione di lei non muta. Egli cede.) Be', sì, cara, suppongo di sì, suppongo dì sì. Qualche volta sono un po' irritabile; ma io so che cos'è ragionevole, anche quando non agisco di conse­guenza. Ci credi?

Gloria. Crederlo! Ma io sono così: proprio così. Io so che cos'è giusto e dignitoso e forte e nobile, proprio come lo sa lei; ma, poi, faccio certe cose! e lascio che gli altri facciano certe cose!!!

Crampton (con un po' di rancore, suo malgrado). Come fa lei, vero? Alludi a tua madre?

Gloria (subito). Sì, a mia madre. (Si mette in ginocchio e lo guarda, afferrandogli le mani.) Ascolti. Io non la voglio tradire: non c'è parola, né pensiero contro lei. È supe­riore a noi: a lei e a me: e di molto. Intesi?

Crampton. Sì, sì. Come vuoi tu, cara.

Gloria, (non soddisfatta, lasciando andare le mani di lui e staccandosi un po' da lui), Lei non le vuol bene, vero?

Crampton. Piccina mia: tu non sei stata suo marito. Io sì. (Gloria si alza lentamente, e lo guarda con crescente freddezza.) Mi ha fatto il gran torto di sposarmi senza volermi veramente bene. Ma, dopo tutto, oso dire che il torto è stato tutto mio. (Egli le porge nuovamente la mano.)

Gloria (la prende con fermezza, come per ammonirlo). Stia attento. È il mio argomento pericoloso. I miei sentimen­ti - i miei poveri e vili sentimenti di donna - possono essere dalia sua parte; ma la mia coscienza è dalla parte di lei.

Crampton. E una spartizione che mi fa molto piacere, mia cara. Grazie.

Valentino  arriva.  Gloria diventa  immediatamente altezzosa.

Valentino. Mi scusi: ma è impossibile trovare un servitore per farsi annunciare: pare che perfino l'infallibile Gu­glielmo sia andato al ballo. Avrei dovuto andarci an­ch'io: ma non avevo cinque scellini per comprarmi il biglietto. Come va, Crampton? Meglio, vero?

Crampton. Sono tornato in me, ma non per merito suo, signor Valentino.

Valentino. Che ingrato genitore è questo, signorina Clandon! L'ho salvato da un dolore lacerante; e mi ingiuria!

Gloria (freddamente). Mi dispiace che mia madre non sia qui a riceverla, signor Valentino. Non sono ancora suonate le nove e quel signore di cui ha parlato il signor M'Comas, quell'avvocato, non è ancora venuto.

Valentino. Oh sì che è venuto. L'ho incontrato e ci ho parla­to. (Con allegra malizia.) Le piacerà molto, signorina Clandon: è l'incarnazione dell'intelletto. Si sente il ron­zio della sua mente al lavoro.

Gloria (ignorando la presa in giro). Dov'è?

Valentino. S'è comprato un naso falso ed è andato al ballo in maschera.

Crampton (con asprezza, guardando l'orologio). Mi sembra che tutti siano andati al ballo in maschera invece di venire all'appuntamento che avevano con noi.

Valentino. Oh, verrà subito: io l'ho visto mezz'ora fa. Non ho voluto farmi prestare i cinque scellini da lui ed en­trare con lui; così mi sono messo tra il pubblico che guardava dall'inferriata e vi sono rimasto fin a quando la signorina Clandon è sparita in albergo, entrando da questa vetrata.

Gloria. Dunque siamo arrivati a tanto: lei mi segue in pub­blico per osservarmi.

Valentino. Sì: bisognerebbe che qualcuno m'incatenasse.

Gloria gli volta te spalle e va al caminetto. Egli prende quel rabbuffo con molta filosofia e va al lato opposto della stanza. Il cameriere appare alla porta-finestra, ac­compagnando la signora Clandon e M'Comas.

La signora Clandon. Mi dispiace di essere in ritardo.

Uno sconosciuto, grottesco e maestoso, col domino, il naso finto e gli occhiali appare sulla soglia della vetrata.

Il cameriere (allo sconosciuto). Chiedo scusa, signore; questo è un appartamento privato, signore. Se permette, signo­re, l'accompagno al bar americano e alle sale da pranzo. Di qua, signore.

Va in giardino, facendo strada, convinto che lo scono­sciuto lo segua. Il maestoso individuo, invece, viene diritto nella stanza, e si ferma in fondo alla tavola dove, con sicurezza e decisione, si toglie il naso finto e il do­mino, avvolgendo il naso dentro al domino e scaraven­tando il fagotto sulla tavola col gesto del campione che getta il guanto. È un uomo alto e robusto, tra i qua­ranta e i cinquant'anni, raso, dal pallore notturno e oleoso sottolineato da capelli neri e ispidi, tagliati cor­tissimi e unti, e da un paio di sopracciglia che appaiono adattissime alle decorazioni in crine del primo periodo vittoriano. È fisicamente e spiritualmente un uomo gros­solano: spietatamente affilato nella scaltrezza e nella lo­gica. Entrando, rivela un portamento sufficientemente imponente e inquietante; ma quando parla, la sua voce potente e minacciosa, la sua parlata sonora e scandita, i suoi modi forti e inesorabili, oltre al suo spaventoso potere d'ascolto intensamente critico aumentano l'im-pressione già prodotta di uomo dall'indomabile potenza.

Lo sconosciuto. Mi chiamo Bohun. (Generale sgomento.) Ho l'onore di parlare con la signora Clandon? (La signo­ra Clandon s'inchina. Bohun s'inchina.) La signorina Clandon? (Gloria s'inchina. Bohun s'inchina.) Il signor Clandon?

Crampton (insistendo sul suo giusto nome, con tutta la rab­bia che può permettersi). II mio nome è Crampton, signore.

Bobun. Ah, bene. (Superandolo senza badargli più e rivol­gendosi a Valentino.) È lei il signor Clandon?

Valentino (considerando che sia un punto d'onore non farsi impressionare da lui). Ne ho forse l'aria? Il mio nome è Valentino. Io sono quello che ha somministrato la droga.

Bobun. Ah, capisco. Dunque il signor Clandon non è ancora venuto?

Cameriere (entrando, ansioso, dalla porta-finestra). Chiedo scusa, signora: ma potrebbe dirmi dov'è andato quel... (Riconosce Bohun e perde ogni compostezza. Bohun aspetta, impettito, che egli ritrovi il controllo di se stes­so.) Mi scusi signore, la prego, signore. (Balbettando.) Era... era lei, signore?

Bohun (senza alcun rimorso). Ero io.

Il cameriere (incapace di trattenere le lagrime). Tu, Walter, con un naso finto! (Si aggrappa a una seggiola per soste­nersi.) Le chiedo scusa, signora. Un lieve capogiro...

Bohun (perentorio). Lei vorrà scusarlo, signora Clandon, quando l'avrò informata che è mio padre.

Il cameriere (col cuore spezzato). Oh no, no, Walter. Un cameriere per padre oltre a un naso finto! Che cosa pen­seranno di te?

La signora Clandon. Sono felice di saperlo, signor Bohun. Suo padre è stato un ottimo amico per noi, fin dal giorno in cui siamo arrivati qui.

Bohun fa un inchino, con molta gravità.

Il cameriere (scrollando la testa). Oh no, signora. È molto gentile da parte sua: molto generoso e affabile, davvero, signora; ma io mi sentirei in grave svantaggio se dovessi cambiare posizione. Non tenga conto che io sono il pa­dre del signore, la prego, signora: non è che un inci­dente di nascita, dopo tutto, signora. Lei mi scuserà, spero, signora, per aver interrotto i loro affari. (Comin­cia a farsi strada lungo la tavola, appoggiandosi da se­dia a sedia, con gli occhi fissi sulla porta.)

Bohun. Un momento. (Il cameriere si ferma, col cuore sospe­so.) Mio padre è stato testimone di quanto è accaduto oggi, non è vero, signora Clandon?

La signora Clandon. Sì, è stato quasi sempre presente, se non sbaglio.

Bohun. In questo caso, avremo bisogno di lui.

Il cameriere (raccomandandosi). Spero che non sarà neces­sario, signore. È una serata di molto lavoro per me, si­gnore, con quel ballo: una serata di molto lavoro dav­vero, signore.

Bohun (inesorabile). Avremo bisogno di te.

La signora Clandon (cortesemente). Non volete sedervi?

Il cameriere (sincero). Oh, la prego, signora. Sedere è una libertà che non posso prendermi. Non posso permettere che mi vedano far una cosa simile, signora: grazie, signo­ra, grazie lo stesso. (Si guarda attorno, passando lo sguardo da un viso all'altro, in modo desolato, con un'e­spressione che farebbe intenerire un cuore di pietra.)

Gloria. Non perdiamo tempo. Guglielmo vuole soltanto se­guitare a esserci utile. Io vorrei una tazza di caffè.

Il cameriere (illuminandosi percettibilmente). Caffè, signori­na? (Con un breve sospiro di speranza.) Certo, signori­na. Grazie, signorina: molto opportuna, signorina, mol­to previdente e premurosa davvero. (Alla signora Clandon, con timidezza ma speranza.) La signora non ordi­na niente?

La signora dandoti. Ah... sì sì: fa tanto caldo. Forse potrem­mo avere una coppa di bordò ghiacciato con selz.

Il cameriere (raggiante). Bordò ghiacciato con selz, signora! Certo, signora!

Gloria. Ah, benissimo, voglio il bordò ghiacciaio invece del caffè. Metteteci dentro qualche fettina di cetriolo.

Il cameriere (felice). Di cetriolo, signorina! sì, signorina. (A Bohun.) Posso servirle qualcos'altro, signore? A lei non piace il cetriolo, signore.

Bohun. Se la signora Clandon mi permette: un whisky scoz­zese, con soda.

Il cameriere. Benissimo, signore. (A Crampton.) Irlandese per lei, signore, se non sbaglio, signore? (Crampton ac­consente con un grugnito. Il cameriere guarda interro­gativamente Valentino.)

Valentino. Mi piace il cetriolo,

Il cameriere. Benissimo, signore. (Riepilogando.) Bordò ghiacciato con selz, un whisky scozzese con soda e uno irlandese?

La signora Clandon. Mi pare sia esatto.

Il cameriere (tornato perfettamente in sé). Benissimo, signo­ra. Subito, signora. Grazie, (Esce dalla porta-finestra, avendo saggiato l'intera- gamma della felicità umana, dalla disperazione all'estasi, in cinquanta secondi.)

M'Comas. Adesso possiamo cominciare, suppongo.

Bohun. Sarà meglio aspettare che venga il marito della si­gnora Cìandon.

Crampton. Che vuoi dire? Io sono suo marito,

Bohun (afferrando istantaneamente l'incongruenza esistente tra questa dichiarazione e la precedente). Lei ha detto poco fa di chiamarsi Crampton.

Crampton. Infatti.

La signora Clandon     (parlano     Io...

Gloria                          tutti e          Mia...

M'Comas                     quattro        La signora...

Valentino                     insieme).     Lei...

Bohun (affogandoli in due tonanti parole). Un momento. (Silenzio di morte.) Mi lascino dire, prego. Si siedano, tutti.

(Tutti obbediscono umilmente. Gloria prende la poltrona di cuoio che è davanti al caminetto. Valentino sgattaiola dalla stessa parte della stanza e si siede sull'ot­tomana dì fronte alla finestra, così da poterla tenere d'occhio. Crampton si siede sull'ottomana voltando le spalle a Valentino, ha signora Clandon, che è rimasta per tutto il tempo dal lato opposto della stanza, per evitare il più possibile Crampton, si siede vicino alla porta, con M'Comas vicino a lei, alla sua sinistra, Bohun si siede magistralmente nel centro della stanza, vicino all'angolo della tavola, dalla parte della signora Clandon. Quando sono tutti sistemati egli appunta lo sguardo su Crampton, e comincia.)

A quanto pare, in questa fami­glia il nome del marito è Crampton; quello della moglie è Clandon. Sorge così, proprio alle soglie della causa, un elemento di confusione.

Valentino (alzandosi e parlandogli mentre tiene v.n ginoc­chio sull'ottomana). Ma è perfettamente semplice...

Bohun (annichilendolo con un tuono vocale). Certo. La si­gnora Clandon ha adottato un altro nome. Ecco l'ovvia spiegazione che lei temeva io non sapessi scoprire da solo. Lei diffida della mia intelligenza, signor Valentino... (fermandolo mentre è sul punto di protestare) no: io non le chiedo di rispondere su questo punto: voglio che ci pensi quando proverà il prossimo impulso di in­terrompermi.

Valentino (abbacinato). Ma questo si limita a spezzare un capello in due. Che importanza ha? (Si rimette a se­dere.)

Bohun. Ora le dico subito in che cosa consiste la sua impor­tanza, signore. Essa consiste nel fatto che se questa controversia familiare sarà appianata, come è nella spe­ranza di tutti, la signora Clandon. per un principio di convenienza e di decoro sociali, dovrà riprendere il co­gnome di suo marito. (La signora Clandon assume una espressione di decisa ostinazione.) Altrimenti il signor Crampton dovrà chiamarsi il signor Clandon. (Crampton appare indomabilmente deciso a non far nulla del ge­nere,) Non dubito che lei ritenga la questione molto semplice, signor Valentino, (Guarda fisso la signora Clandon, poi Crampton.) Non sono del suo parere. (butta indietro, appoggiandosi allo schienale, con la fron­te fortemente corrugata.)

M'Comas (timidamente). Penso, Bohun, che forse sarebbe preferibile risolvere anzitutto il problema più impor­tante.

Bohun. M'Comas: non vi saranno difficoltà riguardanti i pro­blemi importanti. Non ve ne sono mai. Sono le inezie che fanno naufragare all'imboccatura del porto. (M'Co­mas ha tutta l'aria di considerare questo un paradosso.) Lei non è d'accordo con me, vero?

M'Comas (lusingandolo). Se lo fossi...

Bohun (interrompendolo). Se lo fosse, lei sarebbe me inve­ce di essere quello che è.

M'Comas (servilmente).  Certo, Bohun, la sua specialità...

Bohun (interrompendolo di nuovo). La mia specialità è di aver ragione quando altri hanno torto. Se lei fosse d'ac­cordo con me, la mia presenza qui sarebbe inutile. (Egli lo guarda annuendo per riprendere il bandolo della ma­tassa; indi si volta improvvisamente e energicamente verso Crampton.) Dica, signor Crampton: quel è in tutta questa faccenda la cosa che più. le sta a cuore?

Crampton (cominciando lentamente). Desidero che in questa discussione sia messa da parte qualsiasi considerazione personale...

Bobun (interrompendolo di netto). È il desiderio di noi tutti, signor Crampton. (Alla signora Clandon.) Anche lei desidera che le questioni personali siano messe da parte, signora Clandon?

La signora Clandon. Sì: non sono venuta qui interpellando i miei sentimenti personali.

Bobun. Neanche lei, signorina Clandon?

Gloria. No,

Bobun. Ne ero certo. Come tutti noi.

Valentino. Salvo io. Le mie mire sono egoistiche.

Bobun. Perché lei ritiene, affettando sincerità, di produrre miglior effetto sulla signorina Clandon che affettando di­sinteresse.

(Valentino, totalmente smantellato e distrut­to da questa giusta osservazione, si rifugia in un debole sorrisetto senza parole. Bohun, soddisfatto per aver ef­fettivamente schiacciato ogni ribellione, sì butta nuova­mente all'indietro contro la spalliera, mostrandosi preparalo ad ascoltare con pazienza le loro lamentele.) Dun­que, signor Crampton, dica pure, È inteso che il proprio ego è messo da parte. La natura umana comincia sem­pre col dire così.

Crampton. Ma io lo intendo.

Bohun. Non ne dubito. Mi esponga il suo punto di vista.

Crampton. Qualsiasi persona ragionevole può ammettere che si tratta d'un punto di vista assolutamente privo di egoismo. Riguarda i figlioli.

Bohun. Ebbene? Che cosa accade ai suoi figlioli?

Crampton (commosso). Essi hanno...

Bohun (lanciandosi nuovamente avanti). Basta. Lei sta per descrivermi i suoi sentimenti, signor Crampton. Non lo faccia. Io li rispetto moltissimo; ma non mi riguardano. Ci dica esattamente che cosa vuole: è di questo che dob­biamo discutere.

Crampton (a disagio). È una risposta molto difficile da darle, signor Bohun.

Bohun. Avanti; l'aiuterò io. A che cosa s'oppone, nelle attua­li circostanze, per quanto riguarda i figlioli?

Crampton. M'oppongo al modo con cui sono stati allevati.

La fronte della signora Clandon s'increspa sinistramente.

Bohun. Come propone di rimediarvi?

Crampton, Credo che dovrebbero vestirsi in modo meno vistoso.

Valentino. Che sciocchezza.

Bohun (si butta istantaneamente contro la spalliera della poltrona, come prima, indignato per l'interruzione). Fi­nisca di dire, signor Valentino: aspetto che dica quello che ha da dire.

Valentino. Che cosa c'è che non va nel vestito della signori­na Clandon?

Crampton (con calore, a Valentino). La mia opinione vale la sua.

Gloria (ammonitrice). Papà!

Crampton (sottomettendosi pietosamente). Non alludevo a te, mia cara. (Appellandosi fervidamente a Bohun.) Ma i due più giovani! lei non li ha veduti, signor Bohun; eppure sono convinto che lei sarebbe d'accordo con me nel dire che c'è qualcosa di molto notevole, qualcosa di alquanto gaio e frivolo nello stile dei loro abbiglia­mento.

La signora Clandon (con impazienza). E tu credi che i loro abiti liscelga io? Ma via, è puerile.

Crampton (furibondo, alzandosi). Puerile!

La signora Ciandon si alza, indignata.

M'Comas    (tutti si alzano      Crampton, lei m'aveva promesso...

Valentino    e parlano             È assurdo. Si vestono deliziosamente,                  

Gloria         insieme).              Per favore, cerchiamo di essere ragionevoli.

Tumulto. All'improvviso odono nella stessa stanza uno scampanio di bicchieri, ammonitore. Si voltano, colpe­voli: e vedono che il cameriere è appena venuto dal bar del giardino e sta facendo tintinnare gli oggetti che sono sui suo vassoio mentre si avvicina a passi felpati al tavolone. Silenzio di morte.

Il cameriere (a Crampton.. posando un bicchiere da parte sul­la tavola). Irlandese per lei, signore, (Crampton si sie­de un poco vergognoso. Il cameriere posa un altro bic­chiere con un sifone vicino, dicendo a Bohun.) Scozzese e soda per lei, signore. (Bohun fa un gesto impaziente con la mano. Il cameriere posa nel centro della tavola un grosso bricco di vetro con tre bicchieri.) E bordò ghiacciato. (Tutti si rimettono a sedere. Regna la pace.)

La signora Clandon. Forse l'abbiamo interrotta, signor Bohun.

Bohun (calmo). Infatti. (Al cameriere, che sta andando via.) Aspetta un momento.

Il cameriere. Sissignore, Certo, signore. (Si mette in piedi dietro la sedia di Bohun.)

La signora Clandon (al cameriere). Spero non vi dispiacerà che vi tratteniamo, È stato il signor Bohun a deside­rarlo.

Il cameriere (adesso perfettamente a suo agio). Oh no, signo­ra, tutt'altro, signora. Per me è un piacere osservare il lavoro dellasua potente e alienatissima mente: è uno spettacolo stimolante, divertente e istruttivo, davvero, signora.

Bohun (riprende il comando della procedura). Dunque, signor Crampton, Aspettiamo che lei ci dica. Ritira le sue obiezioni all'abbigliamento, o le sostiene?

Crampton (supplichevole). Signor Bohun: vorrei che consi­derasse per un attimo la mia posizione. Io non debbo pensare soltanto a me stesso: c'è anche mia sorella Sofronia, con mio cognato e con tutto il loro ambiente. Hanno in grande orrore tutto ciò che è un po'... un po'... be'…

Bobun. Fuori. Spudorato? Stridulo? Gaio?

Crampton. Non in senso cattivo, s'intende; ma... ma... (sbot­ta, alla disperata) ma per loro quei due ragazzi sarebbe­ro uno scandalo. Non sono adatti a frequentare la loro stessa famiglia. È di questo che mi lamento.

La signora Clandon (con rabbia repressa). Signor Valentino, crede che ci sia qualcosa di spudorato o di stridulo in Pippo e Dolly?

Valentino. Certo no. È una montatura. Niente potrebbe es­sere di gusto migliore.

Crampton. Oh sì. è naturale che lei dica così.

La signora Clandon. Guglielmo: voi avete molto in pratica la buona società inglese. Vi pare che i miei figlioli si vestano in modo troppo vistoso?

Il cameriere (rassicurandola), Oh, certo no, signora. (Persua­sivo.) Oh, no, signore, tutt'altro. Un po' grazioso e pic­cante, indubbiamente, ma di prima scelta e di classe, molto aristocratico e di ottimo tono, davvero. Potreb­bero essere il figlio e la figlia di un Decano, signore, glielo assicuro, signore. Non ha che da guardarli, si­gnore, per...

In questo momento, un arlecchino e una colombina, che ballano il valzer seguendo l'orchestra del giardino, si precipitano piroettando nella stanza. Il vestito dell'ar­lecchino è fatto a losanghe, larghe tre dita, di seta blu-turchese e oro, alternate. Ha la spatola dorata e la mascheretta rialzata. Le vesti della colombina sono un com­pendio dei colori di un campo di grano, gialle-arancione e rosse-papavero, con una giacchettina di velluto che rappresenta gli stami del papavero. Passano, apparizione squisita e abbagliante,, tra M'Comas e Bohun, e tornano, con un cerchio, in fondo alla tavola dove, sull'ultimo ac­cordo del valzer, formano un quadro in mezzo alla com­pagnia: l'arlecchino è inginocchiato e poggia in terra il ginocchio sinistro; la colombina è in piedi sul suo gi­nocchio destro, con le braccia alzate e intrecciate sul capo. A differenza della loro danza che è deliziosamente graziosa, la loro posa non fa un bell'effetto e minaccia di concludersi in una catastrofe.

La colombina (strillando). Mettimi giù, aiuto: sto cadendo, papà: mettimi giù.

Crampton (correndole ansiosamente vicino e prendendole una mano). Piccola mia!

Dolly (saltando giù col suo aiuto). Grazie: sei un tesoro. (Pippo si siede sul bordo del tavolone e si versa un po' di bordò ghiacciato. Crampton torna all'ottomana in grande perplessità.) Oh, che spasso! Ohi-ohi! (Si siede con un volteggio sul davanti della tavola, ansimando.) Oh, bordò ghiacciato! (Beve.)

Bohun (con tono possente). Questa è la signorina più giova­ne, vero?

Dolly (calandosi giù dalla tavola, allarmata da quella voce tonante e da quei modi). Sissignore. Scusi, lei chi è?

La signora Clanion. È il signor Bohun, Dolly, che ha avuto la cortesia di venirci ad aiutare stasera.

Dolly. Ah, allora è una vera manna nel deserto...

Filippo, Sss!

Crampton. Signor Bohun... M'Comas: me ne appello a loro. È giusto, questo? Potrebbero biasimate la famiglia di mia sorella se trovasse qualcosa dì ridire?

Dolly (infiammandosi in modo poco promettente). Daccapo?

Crampton (propiziandola). No, no. Forse è naturale per la vostra età.

Dolly (ostinata). Non pensiamo all'età. E carino?

Crampton. Sì, cara, sì. (Si siede in segno di sottomissione.)

Dolly (con insistenza). Ti piace?

Crampton. Bambina mia: come puoi pretendere che mi piac­cia o che l'approvi?

Dolly (decisa a non mollare). Come si può pensare che è carino e non ammirarlo?

M'Comas (alzandosi, scandalizzato). Insomma, adesso...

Bohun, che ha ascoltato Dolly con la più alta approva­zione, gli piomba addosso istantaneamente.

Bohun. No: non interrompa, M'Comas. Il metodo della si­gnorina è giusto. (A Dolly, con tremenda enfasi.) Insi­sta con le domande, signorina Clandon, insista con le domande.

Dolly (rivolgendosi a Bohun). Ma via. lei è proprio soffo­cante! Fa sempre così?

Bohun (alzandosi). Sì. Non provi a farmi perdere le staffe, signorinella: lei è troppo giovane per poterselo permet­tere. (Prende la sedia di M'Comas che è vicina a quella della signora Clandon, e la mette vicina alla propria.) Si sieda. (Dolly, affascinata, obbedisce; e Bohun si ri­mette a sedere. M'Comas, defraudato della sedia, va a sedersi dall'altra parte, tra la tavola e l'ottomana.) E adesso, signor Crampton, i fatti sono di fronte a lei: tutti e due. Lei pensa che preferirebbe vivere coi suoi due figli minori. Be', non lo preferirebbe... (Crampton cerca di protestare; ma Bohun non lo permette a nes­sun costo) no, non lo preferirebbe; lei crede di sì; ma io la so più lunga di lei. Lei vorrebbe che questa signo­rina smettesse di vestirsi come una colombina del pal­coscenico la sera e come una colombina del bel mondo la mattina. Be', non accetterebbe: mai. Lei stessa cre­de di sì; ma...

Dolly (interrompendolo). No, non accetterei. (Risoluta.) Io non rinuncerò mai a vestirmi graziosamente. Mai. Come disse Gloria a quel tizio di Madera; mai, mai, mai! finché l'erba cresce e l'acqua scorre.

Valentino (alzandosi, fuori dì sé per l'agitazione). Come? Come? (Comincia a parlare a rotta di collo.) Quando lo ha detto? A chi lo ha detto?

Bohun (buttandosi indietro con rimostranza collettiva e com­passionevole). Signor Valentino...

Valentino (pepato). Non m'interrompa, signore:  questa è  una cosa veramente grave. Io pretendo di sapere a chi la signorina Clandon ha detto quelle parole.

Dolly. Forse Pippo se lo rammenta. Quale era, Pippo? il numero tre o il numero cinque?

Valentino. Il numero cinque!!!

Filippo. Coraggio, Valentino! Non era il numero cinque: era soltanto un mite ufficiale di marina che stava sempre sotto mano: il più paziente e innocuo dei mortali.

Gloria (freddamente). Che cosa dicevamo, se è lecito?

Valentino (tutto rosso). Mi scusi: mi dispiace di aver inter­rotto. Non interverrò mai più, signora Clandon. (.Si in­china alla signora Clandon e se ne va marciando verso il giardino, bollendo di rabbia repressa.)

Dolly. Hmhm!

Filippo. Ahah!

Gloria. Prego, vada avanti, signor Bohun.

Dolly (sbottando mentre Bohun, aggrottando la fronte in mo­do spaventoso, si prepara a esaminare il caso da un nuovo punto di vista.) Lei ci vuol mettere i piedi sul collo, signor Bohun.

Bohun. Io...

Dolly (interrompendolo). Oh sì, altro che: lei crede di no: ma invece è così. Lo vedo dalle sue sopracciglia.

Bohun (capitolando). Signora Clandon: questi sono ragazzina intelligenti: hanno la mente chiara e ben educata. Lo ammetto decisamente Può lei, in cambio, indicarmi un modo per indurii a tener la bocca chiusa?

La signora Clandon. Dolly, cara!...

Filippo. La nostra solita pecca, Dolly. Silenzio!

Dolly si chiude la bocca tenendo le labbra ferme con un dito.

La signora Clandon. Dunque, signor Bohun, prima che rico­mincino...

Il cameriere (aon dolcezza). Faccia presto, signore: faccia presto.

Dolly (guardandolo raggiante). Guglielmo caro!

Filippo. Sss!

Bohun (comincia inaspettatamente per scagliare una domanda direttamente a Dolly). Ha intenzione di sposarsi, lei?

Dolly. Io! Be', Finch mi chiama per nome.

M'Comas (balzando su con violenza). Non posso ammetter­lo, signor Bohun: chiamo questa signorina per nome, naturalmente, come vecchio amico di sua madre.

Dolly. Sì, lei mi chiama Dolly come vecchio amico di mia madre. Ma Dorote-e-a?

M'Comas si alza indignato.

Crampton (preoccupato, si alza per trattenerlo). Cerchi di trattenersi, M'Comas. Non litighiamo. Abbia pazienza.

M'Comas. Io non avrò pazienza. Lei, Crampton. sta dimo­strando la più sciagurata debolezza di carattere. Io dico che è mostruoso.

Dolly. Signor Bohun: la prego, rimproveri Finch per conto nostro.

Bohun. Certo. M'Comas: lei si rende ridicolo. Si sieda.

M'Comas. Io...

Bohun (facendolo sedere perentoriamente con un gesto della mano). No: si sieda, si sieda.

M'Comas si siede, imbronciato; Crampton, molto solle­vato, segue il suo esempio.

'Dolly (a Bohun, con dolcezza). Grazie.

Bohun. Adesso, mi ascoltino, tutti. M'Comas, io non giudico fino a quale punto lei si sia compromesso nella direzione indicata dalla signorina. (M'Comas sta per protestare.) No: non m'interrompa: se non sposa lei sposerà qualcun altro. Ecco la soluzione del problema sorto dal fatto che essa non porta il nome dì suo padre. L'altra signori­na intende sposarsi.

Gloria (avvampando). Signor Bohun!

Bohun. Oh sì, certo: lei non lo sa; ma è così.

Gloria (alzandosi). Basta. Badi, signor Bohun, a non rispon­dere delle mie intenzioni.

Bohun (alzandosi). È inutile, signorina Clandon: lei non può reprimermi. Io le dico che presto il suo nome non sarà né Clandon né Crampton; e, se volessi, potrei dirle quello che sarà. (Va alla tavola e prende il suo domino.

Tutti si alzano; e Pippo va alla finestra. Bohun, con un gesto, ordina al cameriere di aiutarlo ad ammantarsi.) Signor Crampton! la sua idea di rivolgersi alla legge non sta in piedi: i suoi figli saranno maggiorenni prima che lei abbia potuto far stabilite il punto che le sta a cuore. (Permettendo al cameriere di mettergli il domino sulle spalle.) Non le rimane che stipulare un accordo amichevole. Se desidera la sua famiglia più di quanto !a sua famiglia desideri lei, avrà la peggio: se la sua famiglia la desidera più di quanto lei la desideri, avrà la meglio. (Egli scrolla il domino in panneggi eleganti e prende il naso finto. Dolly lo osserva con ammirazione.) La forza della loro posizione consiste nel fatto che sono tutti molto simpatici, individualmente. La forza della sua posizione consiste nel suo reddito. (Si appiccica il naso finto, ed è di nuovo grottescamente trasfigurato.)

Dolly (correndo da lui). Oh, adesso ha tutta l'aria di un esse­re umano. Posso fare almeno un giro con lei? Sa bal­lare?

Pippo, riprendendo la sua parie di arlecchino, agita la spatola come per lanciar loro un esorcismo.

Bohun (tonante). Sì: lei crede che non sappia; ma so, permet­ta. (L'afferra ed esce danzando con lei dalla porta-fine­stra in modo potentissimo, ma con studiata eleganza e grazia.)

Filippo. "Fervano le danze: la gioia sia sconfinata." Gugliel­mo.

Il cameriere. Comandi, signore.

Filippo.. Puoi procurare un paio di domini e di nasi finti per mio padre e per il signor M'Comas?

M'Comas. Certamente no. Protesto..,

Crampton. Sì,sì. Che male ci sarebbe, per una volta tanto, M'Comas? Non facciamo i guastafeste.

M'Comas. Crampton: lei non è l'uomo che avevo creduto. (Marcato.) I tiranni sono sempre dei vigliacchi. (Va nau­seato, verso la porta-finestra.)

Crampton (seguendolo). Be', non ha importanza. Bisogna di­mostrar loro un po' d'indulgenza. Ci potete trovare qualcosa da metter addosso, cameriere?

Il cameriere. Certo, signore. (Egli li precede fino alla porta-finestra, e vi si ferma scostandosi per lasciarli passare prima di lui.) Prego, signore. Domini e nasi, signore?

M'Comas (arrabbiato, uscendo). Io porterò il naso mio.

Il cameriere (soavemente). Oh sì, certo, signore: il naso finto le starà benissimo, sopra al suo naso, signore: c'è tutto lo  spazio, signore, tutto lo spazio necessario. (Esce dopo M'Comas.)

Crampton (voltandosi dalla finestra verso Pippo, con un ten­tativo di cordiale paternità). Andiamo, ragazzo mio. Andiamo. (Esce.)

Filippo (allegramente, seguendolo). Vengo, paparino, vengo. (Si ferma sulla soglia della porta-finestra; guarda Cramp­ton che s'allontana; poi fa una fantastica piroetta arcuan­do la spatola a tuo' d'alone attorno al capo, e dice con voce sommessa alla signora Clandon e a Gloria.) Avete sentito il pathos che ci ho messo? (Scompare.)

La signora Clandon (lasciata sola con Gloria). Chissà perché il  signor Valentino se n'è andato così all'improvviso? Gloria (petulante). Non lo so. Sì, lo so. Andiamo a veder ballare.

Vanno verso la porta-finestra e sono raggiunte da Valentino, che entra dal giardino camminando lesto lesto, col viso tirato e imbronciato.

Valentino (rigido). Chiedo scusa. Credevo che la compagnia si fosse sciolta.

Gloria (brontolando). E allora perché è tornato indietro?

Valentino. Sono tornato indietro perché non ho un soldo e non posso uscire da quella parte se non compro un bi­glietto da cinque scellini.

La signora Clandon. C'è qualcosa che l'ha infastidita, signor Valentino?

Gloria. Non dargli retta, mamma. È un nuovo insulto a me: ecco tutto.

La signora Clandon (che stenta a rendersi conto che Gloria sta volutamente provocando un alterco). Gloria!

Valentino. Signora Clandon: ho detto forse qualcosa di in­solente? Ho commesso forse qualcosa d'insolente?

Gloria. Ha lasciato intendere che il mio passato era come il suo. Questo è il peggiore degli insulti.

Valentino. Io non intendevo niente del genere. E dichiaro che il mio passat, in confronto al suo, è assolutamente irreprensibile.

La signora Clandon (indignatissima). Signor Valentino!

Valentino. Ebbene, che cosa debbo pensare quando imparo che la signorina Clandon ha fatto ad altri uomini esat­tamente gli stessi discorsi che ha fatto a me? Cinque in­namorati precedenti, oltre a un mite tenentino di marina tenuto di riserva! Oh, è spaventoso.

La signora Clandon. Ma certamente, signor Valentino, lei non crederà che queste storie - semplici scherzi dei ragazzi -fossero serie.

Valentino. Non lo sono per lei. E neanche per sua figlia, forse. Ma io so che cos'hanno provato quegli uomini. (Con fervore ridicolmente sincero.) Ha mai pensato a quelle vite rovinate, ai matrimoni infelici contratti nella follia della disperazione, ai suicidi, ai... ai... ai...

Gloria (interrompendolo con disprezzo). Mamma: quest'uo­mo è un cretino sentimentale. (Si allontana verso il caminetto.)

La signora Clandon (scandalizzata). Oh, mia cara Gloria, il signor Valentino penserà che sei molto scortese.

Valentino. Non sono un cretino sentimentale. Sono guarito per sempre da ogni sentimentalismo. (Sì allontana, sde­gnato.)

La signora Clandon. Signor Valentino: lei deve scusarci tut­te. Le donne debbono disimparare la falsa creanza della schiavitù prima di acquistare la sincera creanza della li­bertà. Non creda che Gloria sia volgare (Gloria si volta, stupita), in realtà non lo è affatto.

Gloria. Mamma! Ti scusi di me con lui?

La signora Clandon. Cara: hai alcuni difetti della gioventù, come ne hai le qualità; e il signor Valentino sembra un po' troppo antiquato nelle sue idee sul proprio sesso per essere contento di sentirsi dare del cretino. E ades­so non sarà meglio che andiamo a vedere che cosa fa Dolly? (Va verso la porta-finestra.)

Gloria. Vai tu. mamma. Io vorrei parlare da sola col signor Valentino.

La signora Clandon (stupita e con rimprovero). Ma cara! (Ri­prendendosi.) Ti chiedo scusa. Gloria. Certo, se lo desi­deri. (Esce.)

Valentino. Oh, se sua madre fosse vedova! Vale sei donne come lei.

Gloria. Di tutte le cose che le ho udite dire, questa è la pri­ma che le faccia onore.

Valentino. Frottole! Avanti; dica quello che vuoi dire e mi lasci andar via.

Gloria. Ho da dire una cosa sola. Questo pomeriggio, per un attimo, lei mi ha trascinato giù al suo livello. Crede forse che. se lo stesso fatto mi tosse capitato prima, io non sarei stata ben in guardia? che io non avrei saputo ciò che stava per accadere e non avrei conosciuto la mia misera debolezza?

Valentino (rimproverandola appassionatamente). Non ne par­li in questo modo. Che altro mi preme in lei se non quella che lei chiama la sua debolezza? Lei si credeva al sicuro, vero?, dietro le sue idee evolute. Io mi son di­vertito a sbaragliarle piuttosto facilmente.

Gloria (con insolenza, sentendo che adesso può fare di lui quello che vuole). Davvero!

Valentino. Ma perché l'ho fatto? Perché ero tentato di de­starle il cuore: di turbarla nel profondo. Perché ho pro­vato questa tentazione? Perché la Natura agiva mortal­mente sul serio con me mentre io scherzavo con essa. Quando è giunto il gran momento, chi s'è destato? chi è stato turbato? in chi è venuto a galla il fondo? In me... in me. Io sono stato trasportato: lei è stata sol­tanto offesa, scandalizzata. Lei non è che una comune signorina, troppo comune per permettere a un mite te­neri tino di arrivare fin dove sono arrivato io, Ecco tutto. Non la disturberò chiedendole delle scuse con­venzionali. Arrivederci. (Si avvia deciso verso la porta.)

Gloria. Aspetti. (Egli esita.) Oh, vuol capire, se le dico la verità, che io non sto facendole delle proposte?

Valentino. Via! Io so che cosa mi vuoi dire. Lei mi vuoi dire che non si ritiene comune: che io avevo ragione: che nella sua natura esistono per davvero le profondità alle quali alludevo io. Lei si sente lusingata credendolo. (Gloria indietreggia.) Va bene, io riconosco che in un certo senso lei non è comune: lei è una ragazza intelli­gente, (Gloria soffoca un'esclamazione di rabbia, e fa un passo minaccioso verso lui) ma non è ancora stata de­stata. Non le è importato: non le importa. È stata la mia tragedia, non la sua. Arrivederci.

(Egli si dirige verso la porta. Lei lo osserva, sbigottita di vederlo sfug­gire alla sua presa. Mentre gira la maniglia della porta, si ferma; poi torna da lei, porgendole la mano.)

Lascia­moci in buona amicizia.

Gloria (straordinariamente sollevata, e voltandogli immedia­tamente le spalle, risoluta). Arrivederci. M'auguro che guarisca presto della sua ferita.

Valentino (illuminandosi mentre coglie in un lampo la certez­za di essere alla fine diventato il padrone della situazio­ne). Guarirò: siffatte ferite risanano più di quanto nuoc­ciano. Dopo tutto, a me rimane la mia Gloria.

Gloria (fissandolo subito). Che vuol dire?

Valentino. La Gloria della mia fantasia.

Gloria (con orgoglio). Si tenga la sua Gloria: la Gloria della sua fantasia. (La commozione comincia a far breccia nel suo orgoglio.) La vera Gloria: la Gloria che è stata scan­dalizzata, offesa, inorridita – oh sì, veramente - che è stata sul punto di impazzire per la vergogna quando s'è accorta che tutto il potere che aveva su se stessa era crollato al primo vero incontro con... con... (Il rossore le si diffonde nuovamente sul volto. Lei lo copre con la mano sinistra e mette la destra sul braccio sinistro per sostenersi.)

Valentino. Stia attenta. Sto per perdere nuovamente la testa. (Raccogliendo tutto il coraggio ài cui è capace, Gloria si toglie la mano dal viso e la posa sulla spalla destra di lui, per voltarlo verso sé e guardarlo fisso negli occhi. Egli comincia a protestare, tutto agitato.) Gloria: abbi giudizio: è inutile: io non ho neanche un centesimo.

Gloria, E non ne puoi guadagnare? Gli altri ci riescono.

Valentino (un po' felice, un po' spaventato). Non potrei mai; saresti infelice. Amore mio adorato: io sarei il vero avventuriero a caccia di dote... (Gloria gli stringe il brac­cio con maggior forza; e lo bacia.) Oh Signore! (Senza fiato.) Oh, io... (ansima) io non so niente delle donne: dodici anni di esperienza non bastano. (In un'ondata di gelosia, lei lo scaraventa lontano da sé; ed egli barcolla all'indietro, fin su una sedia, come una foglia sbattuta dal vento.)

Dolly arriva ballando il valzer col cameriere, seguita dalla signora Clandon e da Finch, anch'essi ballando il valzer, e da Pippo che piroetta da solo.

Dolly (crollando sulla poltrona che è di fronte alla scriva­nia). Oh. non ho più fiato. Come ballate bene il valzer, Guglielmo!

La signora Clandon (crollando sulla poltroncina di cuoio che è di fronte al caminetto). Oh, Finch, come ha potuto farmi fare una così grande sciocchezza! Non ballavo più da quella serata a South Piace vent'anni fa.

Gloria (perentoria, a Valentino). Alzati. (Valentino si alza, ridotto uno straccio.) E adesso basta con le false delica­tezze. Comunica a mia madre che abbiamo convenuto di sposarci.

Ne segue un silenzio di stupefazione. Valentino, ammu­tolito dal panico, li guarda tutti provando l'evidente impulso di scappar via.

Dolly (rompendo il silenzio). Numero sei!

Filippo. Sss!

Dolly (tumultuosa). Oh, i miei sentimenti! Ho voglia di ba­ciare qualcuno; e in famiglia è proibito. Dov'è Finch?

M'Comas. No, certo no.

Crampton appare sulla soglia della porta-finestra.

Dolly (correndo da Crampton). Oh, arriva proprio in tempo. (Lo bacia.) E adesso (lo conduce avanti) li benedice.

Gloria. No, non voglio certe cose, neanche per scherzo. Quando vorrò essere benedetta, ricorrerò a mia madre.

Crampton (a Gloria, con profonda delusione). Debbo inten­dere che ti sei fidanzata con questo signore?

Gloria (decisa). Sì. Ha intenzione di esserci, amico o...

Dolly. ...a padre?

Crampton. Vorrei essere l'uno e l'altro, bambina mia. Ma certo...! Signor Valentino: mi appello al suo senso del­l'onore.

Valentino. Lei ha perfettamente ragione. È una vera follia. Se andremo fuori a ballare insieme, dovrò chiederle cin­que scellini in prestito per comprare il biglietto. Gloria: non essere avventata: non sprecarti così, È molto meglio che esca per sempre da questa faccenda, e non riveda mai più nessuno di voi. Non mi suiciderò: non sarò nemmeno infelice. Per me sarà un sollievo: perché ades­so ho... ho paura, ho veramente paura: ecco la pura verità.

Gloria (risoluta). Non te ne andrai.

Valentino (sgomento). No, cara: certo no. Ma... oh, non c'è nessuno che voglia dire una parola saggia che ci ricon­duca tutti alla ragione! Io non ci riesco. Dov'è Rohun? Ci vuole Bohun. Pippo: vai a chiamare Bohun.

Filippo. Lo evocherò, dal profondo della terra. Vado. (Fa vi­brare nell'aria la spatola e balza via oltre la porta-finestra.)

Il cameriere (armonioso, a Valentino). Se mi permette d'insi­nuare una parola, signore, non lasci che un problema da cinque scellini tardi la sua felicità, signore. Noi saremo veramente felici di offrirle il biglietto; lei lo pagherà, poi, a suo comodo. Molto felici di accontentarla, sempre, molto felici e soddisfatti, davvero, signore.

Filippo (riapparendo). Eccolo che viene. (Sventola la spatola oltre la porta-finestra.)

Entra Bohun che si toglie il naso finto e lo butta sulla tavola passando per venirsi a mettere tra Gloria e Valentino.

Valentino. Il fatto si è, signor Bohun...

M'Comas (interrompendolo, dal caminetto). Mi scusi, signo­re: la questione deve essergli esposta dal legale di fa­miglia. Il problema riguarda il fidanzamento di questi due giovani. La signora ha qualche proprietà, e (guar­dando Crampton) un giorno probabilmente avrà molto di più.

Crampton. È probabile. Lo spero.

Valentino. E il signore non ha un centesimo.

Bohun (inchiodando subito Valentino a questo punto). Allo­ra insista sulla dote. Questo scandalizza la sua delicatez­za: è il difetto di molte precauzioni assennate. Ma lei m'ha chiesto il mio consiglio: e io glielo do. Si faccia dare la dote.

Gloria (orgogliosa). Avrà la dote.

Valentino. Ma, caro signore, io non voglio consigli per me stesso. Ne dia qualcuno a lei.

Bohun. Non li accetta. Quando sarete sposati, non accetterà neanche i suoi... (Voltandosi a un tratto verso Gloria.) Oh, no, non li accetterà: lei crede di sì; ma non li ac­cetterà. Si metterà a lavorare e si guadagnerà la vita... (Si volta all'improvviso a un tratto verso Valentino.) Oh sì, certo; lei crede di no; ma ci si metterà. Vi sarà costretto da lei.

Crampton (non del tutto persuaso). E così, signor Bohun, non crede che quest'unione sia imprudente?

Bohun. Sì, lo credo: tutte le unioni sono imprudenti. È im­prudente nascere; è imprudente sposarsi; è imprudente vivere; ed è saggio morire.

Il cameriere (insinuandosi tra Crampton e Valentino). E allo­ra, se posso rispettosamente azzardare una parola, signo­re, tanto peggio per la saggezza!

Filippo. Mi permetto di osservare che se Gloria s'è messa in testa di...

Dolly. La questione è decisa, e Valentino è sistemato. E noi perdiamo tutte le danze.

Valentino (a Gloria, cercando galantemente di far buon viso a cattivo gioco). Posso avere questo ballo?

Bohun (frapponendosi, al massimo diapason). Chiedo scusa: è un privilegio che reclamo come consulente giuridico. Posso avere l'onore? grazie. (Porta via, ballando, Glo­ria, e sparisce tra i lampioncini, lasciando Valentino ansimante. )

Valentino (riprendendo fiato). Dolly: posso...? (Le offre di essere il suo cavaliere.)

Dolly. Che sciocchezze! (Lo elude e corre attorno al tavolone, fino al caminetto.) Finch: il mio Finch! (Si lancia su M'Comas e lo costringe a ballare.)

M'Comas (protestando). La prego, si trattenga... davvero... (Dolly lo trascina via ballando, oltre la porta-finestra.)

Valentino (con un ultimo sforzo). Signora Clandon: permet­te che io...

Filippo (precedendolo). Vieni, mamma. (Afferra la madre e se la porta via piroettando.)

La signora Clandon (con rimprovero). Pippo, Pippo... (Con­divide il destino di M'Comas.)

Crampton (seguendoli con senile gioia). Oh! oh! Ih! ih! ih! (Va in giardino, ridacchiando.)

Valentino (crollando sull'ottomana e fissando il cameriere). Tanto vale che mi consideri già ammogliato.

Il cameriere (contemplando lo sconfitto Duellista del Sesso con ineffabile benignità). Coraggio, signore, coraggio. Quando arrivano a questo punto, tutti gli uomini hanno paura del matrimonio: ma spesso si rivela molto comodo, molto divertente, e molto felice davvero, signore... di tanto in tanto. Io non sono mai staio padrone in casa mia, signore: mia moglie era proprio come la sua si­gnorina: aveva un carattere autoritario e spadroneggiante, e lo ha lasciato in eredità a mio figlio. Ma se dovessi rivivere una seconda volta, rifarei quello che ho fatto: lo rifarei, glielo assicuro. Non si sa mai, signore: non si sa mai.