Nostra dea

Stampa questo copione

Massimo Bontempelli

Nostra Dea


Commedia storica


Persone

Dea, protagonista

Vulcano

Marcolfo

La Contessa Orsa

Dorante

Dottore in medicina

Donna Fiora, artista-sarta

Anna, prima cameriera di Dea, anziana

Nina, cameriera nuova di Dea, fanciulla

Eurialo, domestico di Marcolfo

Servo vecchio del « Poliedric Superbal »

Guardarobiera dello stesso

Ragazzo dello stesso

Secondo ragazzo dello stesso (non parla)

Giovinetta, accompagnatrice

Gente per il terzo atto.


Atto primo

Camera, o salotto che sia, di Dea, la protagonista. Divani, un sofà-letto, cuscini, tavolini, stoffe; e una tavola; e so­prattutto un grande armadio contro la parete di fondo a destra. - La comune è nel fondo. - In avanti a sinistra un piccolo spazio separato dal rimanente mediante un alto pa­ravento che forma due pareti: l'interno è arredato a spo­gliatoio con teletta, specchiera alta a tre sporti, un attacca­panni con molti cappelli femminili di varie grandezze e co­lori. - Mattino avanzato: imposte chiuse.

Dea è in « combinazione». Sta ritta in mezzo alla scena con la faccia al pubblico, le braccia pendenti lungo i fianchi, inerte, lo sguardo assolutamente inespressivo; ha qualche cosa di abbandonato e insieme rigido, come i manichini. Nina le parla.

nina  (stupida) Credo sia l'ora, che la signora vuole uscire.

(Pausa).      L'ha detto Anna.

dea  (con voce vuota, leggermente in falsetto, quasi sillabando)      Cre-do.

nina(vedendo che la signora non si muove)Forse la signora ha      cambiato idea.

dea      Non - mi - pare.

   Pausa.

nina    M'ha detto Anna, che venissi io ad aiutare la signora a          vestirsi.

fi dea  (sempre allo stesso modo)   Va bene.

nina  (s'avvia al grande armadio) Anna ha detto, che i vestiti sonotutti qui. (Spalanca gli sportelli dell'armadio amplissi­mo:     appare e lampeggia una moltitudine di vestiti di colori         diversi, ognuno posto sopra un attaccapanni alto a tre         piedi). Ah !... eccoli. Quale desidera la signora per questa   mattina?

dea      Quale?

nina  (continuando a esaminare)   Quelli da mattina, mi pare, sì, sono        insieme da questa parte. (Si volge verso Dea, e aspetta.         Pausa).            Se la signora vuol dirmi...

dea      Debbo dirtelo.

nina    La signora perdonerà: è il primo giorno che sono al suo        servizio, non conosco ancora... Non so bene...

dea      Capisco.

nina    Dunque, se per i primi giorni volesse dirmi...

dea      Probabilmente.

nina    Se vuole indicarmi...

Pausa.

dea  (fa tre passi avanti, verso il proscenio, meccanici, in silen­zio, alzando un momento simmetricamente le braccia; poi le   lascia ricadere, e si ferma) Non so, no.

nina  (lamentosa)    Ma se non la vesto, non può uscire.

dea      è perfettamente vero.

nina    E neanche restare in casa.

dea      Oh, no, no.

nina    Forse vuole che lo scelga io?

dea      è un'idea buona.

nina    Questo bianco?

dea      Bianco?

nina  (scoppia a piangere) Scusi, signora, ma come vuole che         faccia,             io, come vuole che faccia?

Entra Anna.

anna    Sono venuti... (Vede la signora ancora svestita e Nina        piangente) Ma sono le undici, e la signora non è pronta. Su,       Nina, è tardi. È venuto il dottore per la visita, sentendo che lei era ancora in casa se n'è andato, dice che tornerà tra un   quarto d'ora, ma le raccomanda di non farsi trovare, perché            non ha             tanto tempo.

nina   (apre smisuratamente la bocca)   Come?

anna   Lascia andare. Piuttosto sbrigati, Nina.

nina  (ricomincia a piagnucolare) Non riesco a sapere che ve­stito...

anna  Vai, vai di là, finisci di preparare la colazione, presto: poi     portala qui, presto. Se vengono altri avvisa me. Per oggi di             qua penserò io. Presto. (Nina via). Signora, è venu­to anche un certo signor Vulcano (mentre parla si muove per la   camera ordinando varie cose: Dea sempre ferma ov'era      rimasta prima,            ogni tanto annuisce con la testa, sempre    ine­spressiva) l'ho fatto            aspettare di là, perché dice che glie    lo ha detto lei ieri, dalla contessa Orsa, che poteva venire qui questa mattina... Ma se           vuole lo mando via... Va bene, me     lo dirà dopo. Eccomi a lei.

Con un discretissimo tocco della mano avvia Dea verso il paravento: Dea lo raggiunge, entra nello spogliatoio. Men­tre Dea è cosi occupata a camminare, Anna è andata all'ar­madio, ch'era rimasto aperto; ha scelto rapidamente un ve­stito, chiuso l'armadio; in fretta raggiunge la signora, che di là dal paravento è rimasta ferma nella stessa postura meccanica di prima. Ora sono tutte e due a sinistra del pa­ravento.

dea  Eccomi, Anna. (Anna rapidamente le infila il vestito, che è di             color rosso chiaro vivace: un « tailleur» diritto e mol­to maschile e giovanile; prende un garofano bianco da un       vaso e glielo infila all'occhiello; spalanca le imposte: luce   di gran            sole. Dea con una scossa immensa di tutto il corpo   in­vaso dalla vita: si volta agilmente verso lo specchio, e vi            dà un'occhiata            rapida e luminosa: poi con voce calda          squillante). Sì mi sta bene: sembro un giovinotto. (Intanto Anna le ha abbottonato rapidamente il vestito).Vorrei fare una passeggiata lunga. Anzi starò fuori a colazione, anderò   alla tratto­ria.(Intanto Anna le ha calzato un cappello rosso,             che in ar­monia col vestito ne    accresce l'impressione di        vivacità, gio­vanilità, baldanza).Benissimo. Mi         dicevi che             il signor Vul­cano...

anna   è di là, e la contessa Orsa ha mandato a dire...

            Intanto sono uscite tutt'e due d'oltre il paravento.

dea (interrompendola) Pasticcioni, seccatori. Mandali al diavolo. Io            voglio divertirmi. Sono degli intriganti. Vorrei andare a           cavallo. Vorrei essere un uomo, per non essere obbligata a   prendere sul serio le donne. Ho anche fame, molta fame.       Sono dei complicati malinconici. Oh, questa è ben trovata:   si, fallo venire, fallo venire, voglio dirla a lui,

            questa definizione(Anna sùbito esce).Poi lo mando via.      (Accende una sigaretta. Entra Nina con la colazione).      Brava!             Metti lì.

nina   (stupefatta, allegra) Forse prima la signora stava poco bene?

dea      Io poco bene? (Siede alla tavola. Mangia)Non c'è altro?

nina    Sì, sùbito.  (Via ridendo).

Entra Vulcano, sùbito seguito da Anna.

vulcano  Ho approfittato... (Si ferma sulla soglia perplesso) Scusi.

dea           Lei è un complicato malinconico.

Anna via.

vulcano         Grazie, e lei?

dea   (additando il vassoio)  Sa che cosa è questo?

vulcano (s'avanza cautamente guardando) Una tazza di    cioccolata. Non l'avevo riconosciuta.

dea      La cioccolata?

vulcano         No, lei. Perché...

dea                 E questi?

vulcano         Dei panini. Lei mi aveva permesso di venire eventualmente questa mattina, anche prima della contessa             Orsa, per spiegarle bene...

dea      Ma neanche per idea. Non mi piacciono le spiegazioni. IO   mangio. Lei sa andare a cavallo?

vulcano         Forse ha cambiato idea?

dea      Non cambio mai idee. Non ne ho mai. Ci mancherebbe        altro.    Del resto, se ha fame... (Rientra Nina). Oh, anche il           miele. Tutt'al più faccia colazione con me.

Nina via sùbito.

vulcano     Non è questo. Quando avrà finito, riprenderemo          discorso di ieri, a proposito...

dea      Ma che è questo ieri? Quand'ho finito, me ne vo. Lei non     saprebbe indicarmi un buon negoziante di stuoie?

vulcano         Come c'entrano le stuoie?

dea                 Niente, c'è bisogno che c'entrino?

dea                 Credo.

vulcano         E ora quando viene Orsa...

dea                 Lo sa che non posso soffrire le donne. Se ci tiene     alla contessa Orsa, rimanga qui lei a riceverla. Veda, io         ho        fini­to, e c'è ancora tanta cioccolata, una tazza pulita, dei       pani­ni, del miele. Tutto perché lei non sia più un... oh come lo avevo definito?

vulcano         Non ricordo. Non so rimettermi.

dea                 Quando avrà mangiato sarà rimesso, e non avrà più quell'aria sbalordita. (Vulcano intanto quasi             macchinalmente siede davanti al vassoio). Lei non era         venuto per que­sto.

vulcano         Oh no.

dea      Dunque per merito mio l'imprevisto entra nella sua vita. Qui            c'è anche la crema.

vulcano         Grazie.

dea                 Di che cosa?

vulcano         Non so. Della crema.

dea                 Vede com'è inopportuno? Doveva dire, grazie          dell'imprevisto. Addio, o arrivederci, o...

vulcano  (protendendosi verso lei come per trattenerla; quasi        supplichevole) Ma il ritrovo con Orsa, lei aveva pro­messo...

dea                  Mi lasci andare.

vulcano         L'accompagno?

dea                  No.

vulcano         La precedo? La seguo?

dea                  Le ho detto che lei sta qui, perché mi ci sono            ostinata; mangi, è un indennizzo; e lei se ne va poi quando le        pare, io me ne vo anch'io quando mi pare, cioè subito.

vulcano    È un pasticcio, perché quando viene quella là, se io non           ci sono più...

dea                  E allora rimanga, uomo complicato.

vulcano         Non posso, Marcolfo mi aspetta.

dea                  Quale Marcolfo?

vulcano         Di Marcolfi al mondo ce n'è uno solo. È un mio        amico.

dea        è fortunato lei. Io non ho mai conosciuto nessun Mar­colfo.

vulcano    È una lacuna. Mi aspetta al bar dello Specchio.

dea             Un momento. È uno piccolo, biondo?

vulcano (imbronciato) Già. Però è alto. Alto, e bruno.

dea      Grassoccio? Sempre vestito di blu scuro.

vulcano     è magretto, vestito di grigio chiaro.

dea             Come vede, non c'è modo d'intendersi. È intelligente?

vulcano         Un po' stupido.

dea      Ho idea che lei, io, e Marcolfo faremo una bellissima           compagnia di amiconi.

anna   (rientrando) Signora, la sarta le manda a dire che verrà a      mezzogiorno.

dea                  Ha capito?

vulcano         Si.

dea      No. Questo vuol dire, che una donna non può mai fare        quello che le pare, e addio passeggiata lunga, addio             cavallo, addio .trattoria; ma una corsa a piedi non     m'impedisce di farla neppure il diavolo (Vulcano fa per             alzarsi) e lei fermo. Oh che idea! Lei aspetta qui. E   Marcolfo aspetta là.

vulcano         Chi lo sa?

dea      Ma certo. Mi par di vederlo. Poveretto. Che idea! Lei non     si muova. Vedrà. Faccio presto. Non metta i piedi sulle     poltrone. (Esce rumorosamente esclamando) L'ho    ritrovato: malinconico complicato.

Rimangono Vulcano e Anna.

vulcano (si guarda attorno. Pausa) Voi siete la cameriera?

anna               La prima cameriera.

vulcano         Ve lo domando perché qui non mi raccapezzo più.

            E la signora che è uscita, chi è?

anna   Viene a trovarla, e non sa chi è?

vulcano         La signora Dea. Ieri me l'hanno presentata, cioè        me a lei, a un tè; un tè elegante, dalla contessa Orsa.

anna   Lo so. L'ho vestita io per andarci. Vestito grigio. vulcano Sì. Oh bello. Grigio-tortora, anzi grigio-gola-di-             tortora, quando la muovono cosi, e cosi, e tubano: era          bella: m'è piaciuta infinitamente. Tutto un poema di             morbidezza; e lei - questo dicevo - lei, la signora Dea,          dolce dol­ce, timida, una tortora anche lei, parlava con una           voce pia­na piana, a note un po' basse, e guardava con certi occhi umidi, e diceva: «si» «si». Le abbiamo chiesto, io e     Orsa, anzi s'era accordato... via, questo non posso dirlo; ma             ci ha sùbito detto «sì» «sì» di tutto; benefica, gentile come            un angiolo. Stamattina dovevamo avere la lettera - già, voi   non sapete di che cosa si tratta - una certa lettera, molto         importante. S'era detto di venire qui a combinarla, ha det­to  

            che bastava che Orsa gliela dettasse, capite, lo ha detto lei,   badate, lei, l'ho visto bene che è lei, non ho sbagliato di         strada, di numero, di piano, no; è lei, ma...

anna   Col « tailleur » rosso e un garofano bianco e il cappello       rosso.

vulcano         Sì, bello, ma non è per questo che dico: è lei che è    cambiata, il suo modo di fare, di parlare, di muoversi; le    sue risposte; non avete visto? Altro che « sì », e che             dettarle la lettera. Ora intuisco che sarà un affare serio.     Insomma, sarà lei, è lei, ma perdio è un'altra, tutta un'altra    da quella di ieri, timida, dolce...

anna   ... vestita color tortora, con un cappellino piccolo con le      ali, due alette.

vulcano         Già. E ora...

anna  (interrompe) Ma non ha capito?

vulcano         Io? Niente.

anna   La mia signora è molto sensitiva.

vulcano Che c'entra? Tutte le donne sono molto sensitive.             Purtroppo.

anna   Molto sensitiva ai vestiti che porta. è un fenomeno. Se ha     un vestito vivace, è vivace, come oggi; se ha un vestito timido, è timida, come ieri: e cambia tutta, tutta: parla in un altro modo; è un'altra. Un giorno l'ho vestita da cinese, s'è        messa a parlare in cinese purissimo. Se le mettessi un           vestito nero e un velo lungo, andrebbe a singhiozzare al            cimi­tero sopra una tomba.

vulcano         Magnifico. Mostruoso. Neppure capisco bene. Un    momento. Quando?... (S'interrompe).

anna       Dica.

vulcano         Voi dovete saperlo. Volete dire, quando è tutta...

            Ecco: quando fa il bagno?

anna   Allora niente.

vulcano         Come niente?

anna   Come un bambino: un bambino piccolo, ma di quelli           buoni, che non piangono, e non ridono, lasciano fare.     Nien­te, le dico. Poi, appena le infilo un vestito, di colpo è...             è, come il vestito che le ho infilato.

vulcano         È straordinario. È da ridere.

anna   Davvero? Io ci sono abituata. Credo che sia come     una malattia.

vulcano  (improvvisamente si fa serio)  No, forse non è comeuna             malattia. E forse non è da ridere.

anna   Sarà. Quel che è certo, è che la signora, la signora Dea, la     faccio io, due o tre volte al giorno.

vulcano         Ma non accade mai, per esempio, che quand'è a un modo vi dia un ordine, e quand'è cambiata si contrad­dica?

anna   Questo non avrebbe importanza. Da venti anni fo la             cameriera alle signore; per contraddirsi, nessuna ha mai      avuto bisogno di cambiare vestito.

vulcano  (la scruta un momento) Voi vi chiamate?

anna   Anna.

vulcano Anna, voi siete una donna intelligente.

Rientra            Nina.

nina (un po' spaurita) C'è un signore, che chiede di un altro            signore.

vulcano         Un bel caso.

nina       Di un altro signore, che si chiamerebbe Vulcano. vulcano           Di me? e che è casa mia questa? e chi lo sa che      sono qui? un creditore? un nemico?

anna   Si calmi; (a Nina) domandagli il nome.

voce di marcolfo  (di dentro) Sono io. Ci sei davvero? Son io. Si può?

Entra Marcolfo, rimanendo affacciato.

Durante tutta la scena seguente, Anna e Nina in fondo or­dinano, escono, rientrano ecc.

Vulcano        Tu?

marcolfo  (disull'uscio, sollevato, ma impacciato)Era vero?vulcano   Di dove sbuchi?

marcolfo  (entra del tutto) Dal bar dello Specchio. Ti aspet­tavo. vulcano           E poi?

marcolfo       Anzi, ti avevo mandato alcune maledizioni. vulcano          Non le ho ricevute.

marcolfo       Reclamerò. Aspettando, m'è venuto un dolore           qui... no, qui; e avrei voluto correre da un medico, perché             con la salute non si scherza, ma dovevo aspettarti. Allora     mi sono messo a contare fino a cento, a centouno ti      pianta­vo. (Conta ritmicamente battendosi il petto) Uno         due, tre...

vulcano         Fin dove sei arrivato?

marcolfo       A quarantacinque. Arrivato a quarantacinque - oh     benedetto ora e sempre il numero quarantacinque - al             numero è entrata, come un vento, no, come un raggio di       sole, no, di più, cometanti, tanti, come un mucchio di raggi            di sole portati dal vento del Sud, come un giardino    incendiato, come un gran pezzo d'estate, come...

vulcano    Vado a fare un giro e torno per la conclusione?

marcolfo       Un giro? Il giro del mondo puoi fare, prima che io    abbia finito di delineare soltanto...

vulcano         Smettila. Chi è entrato? Oh! credo d'aver capito. marcolfo             Io no.

vulcano         Chi?

marcolfo       Una signora. Bellissima. La bellezza. La        giovinezza. La vita. Ecco fatto.

vulcano         Era la signora Dea.

marcolfo       Dea si chiama? Ah si, Dea.

anna               Certo era lei.

marcolfo       E chi, lei?

vulcano         Continua, stupido.

marcolfo       Anche tu!

vulcano         Perché « anche tu » ?

marcolfo       Perché anche lei.

vulcano         Che cosa?

marcolfo       Andiamo per ordine. Entra, mi guarda, e si met­te a    ridere.

vulcano         E tu che cos'hai fatto?

marcolfo       Ioho fatto... cosi. (Azione con la bocca aperta). vulcano    Bello!

marcolfo       Rideva, ma di simpatia. E m'ha detto, tutto d'un        fiato: «Lei è alto, bruno, magretto, vestito di grigio-chiaro:   mi manca soltanto di sapere se si chiama Marcolfo e se è     un po' stupido».

vulcano         E tu hai detto?

marcolfo       Ho detto di sì.

vulcano         Uno per uno, di sì, o tutti e due in blocco?

marcolfo       Ho detto « Marcolfo sì » ma quanto allo stupido       non l'ho detto.

vulcano         L'hai lasciato capire.

marcolfo       Del resto ha parlato sempre lei. Che voce! la voce     di cento viole di spalla, la voce degli spiriti del fuoco. M'ha    detto « allora è lei: vada in via tale numero tale piano tale » insomma qui - « suoni, si faccia dare una tazza di             cioccolata...»

vulcano         E’ una mania

anna               Nina, portane dell'altra.

Nina via.      

marcolfo       A questo punto l'ho interrotta: « Sa, signora, io          aspetto un certo Vulcano».

vulcano         Un certo, a me?

marcolfo       E lei: «precisamente: è là, che l'aspetta». Io ho detto             « ah ! »

vulcano         Bello.

marcolfo       Lei se n'era già andata, come... (S'interrompe            vedendo rientrare Nina con un altro vassoio; siede             senz'altro a mangiare) Accetto, perché fa bene al cuore. Ma            com'era bella! E certo lo è ancora. (Nina via). E l'uomo del    bar ride­va. Ma perché mi ha mandato qua? Anche gli           avventori ri­devano. Anche i pesciolini della vaschetta         ridevano. E tu che ci fai qui? Lei, lei abita qui? è la sua casa?          s'è seduta su questa sedia, cosi? ha mangiato questo panino,         cosi? Oh tutte queste cose sue...

            Si sente bussare all'uscio.

Anna    Avanti   (L'uscio s'apre con precauzione). Il dottore.

Entra lentamente il Dottore in medicina.

vulcano  (Quest'altro! E ora viene l'Orsa).(Al dottore) La signora è uscita. È via. Non c'è.

marcolfo  (a bocca piena) Non c'è. È via. È uscita.

dottore in medicina             Non c'è? Appunto: cosi posso            visitarla a         mio agio.

marcolfo       Visitarla? È un dottore vero, allora.

dottore in medicina   (a Marcolfo) Chi è lei?

marcolfo       Marcolfo. Appunto mi occorreva un medico. Ec­co   fatto. Deve sapere...

dottore in medicina  (interrompe) Andiamo adagio, gio­vine          signore. Crede ella forse?...

marcolfo      Ho capito. S'intende; verrò a casa sua, durante... dottore in medicina       Ah no: ella ignora... marcolfo Ho       capito: lei visita soltanto a domicilio. Eccole il mio.(Gli dàun biglietto di visita).

dottore in medicina             Benissimo. Lei a che ora è in casa? marcolfo          Mai. Però...

dottore in medicina             Benissimo. Allora posso venire          sem­pre.

marcolfo                  Non afferro.

dottore in medicina             Bisogna che io venga, quando lei       non è in casa. Ella ignora che sorta di medico io sono. Ella        mi reputa uno dei soliti necroscopi. No. La mia medicina è   nuova. Si fonda tutta sulla semeiotica ambientale. La            medicina solita guarda al corpo isolato come se fosse un      cada­vere, sia pure un cadavere vivo. Idioti. Poi ci sono i      meta- psichiatri, che curano direttamente l'anima. Cretini.     Che cos'è la vita? Anima e corpo insieme.

vulcano         (E ora mi arriva l'Orsa).

dottore in medicina             Dove si mescolano, individuano e      segnalano i sintomi, i residuali della vita? Dove?             (Minaccioso a Marcolfo)        Dove?

Marcolfo                  Mah.

dottore in medicina             Nell'ambiente. Cretino! Cretini!

vulcano                    Allora permetta che mi presenti anch'io.

dottore in medicina             Dopo. Ora parlo. Non parlo a loro.     Parlo a coloro. Si trovano nell'ambiente. Ha capito? E          quando si può fare la diagnosi ambientale? Quando?            (Minaccioso a Vulcano) Quando?

vulcano   (spaventato)       Il lunedì.

dottore in medicina                         Si può fare, quando il malato non      c'è. Quando c'è stato, ma non c'è. Quando lui è presente, ah,             il di lui flusso vitale tende sempre a riassorbire          dall'ambiente un po' di quei residuali fisiopsichici, che         sarebbero i sintomi più preziosi, e a mescolarli con   pseudoresiduali cinetici, con influenze plasmatiche dell'ente   vivo, etcetera. In tal modo la presenza del malato turba la     diagnosi esofisica - esofisica, badi non intrapsichica - dei            residuali. La mia sintomatologia, badi, è metacorporale, non            metapsi­chica, come lei immagina... marcolfo Io no, no... forse lui.(Accenna a Vulcano),

vulcano        Io?  (E ora arriva l'Orsa, Dea non c'è, tutto va            all'aria).

dottore in medicina             Io non visito i malati: visito le            came­re dei       malati. La signora Dea...

marcolfo         La signora Dea sta benissimo.

dottore in medicina             Ella mi fa ridere. Nessuno sta bene.   Che cos'è una malattia? È una condizione, che protratta nel     tempo e intensificata nel grado, porta alla morte. Dun­que? E            anzi, scientificamente parlando, uno più sta bene, più è       malato. Lei non può capire. marcolfo e vulcano(in coro)     Abbiamo capito benissimo.

dottore in medicina             Lasciatemi fare la mia visita.(Va al    sofà-letto) Qui ha dormito. (Palpa il materasso) Sonno leggermente inquieto.

marcolfo      II suo sonno!

dottore in medicina (si china ad auscultare i cuscini)       Leg­geri residuali emicranici. (Con l'orologio alla mano,             sente il polso al bracciuolo d'una poltrona) La circolazione             è regola­re: bene il cuore.

marcolfo      II suo cuore!

dottore in medicina   (scotendo una tenda) Lo stomaco è solido. (Va alla tavola. Scorre con le dita lungo gli orli del             vassoio: poi, come perplesso, dà un'occhiataccia ai due, che           seguono i suoimovimenti)Allontanatevi!(Grida)Più      lontani! (I due sono arrivati ad addossarsi ai due angolipiù            lon­tani del proscenio).Più lontani! Come mai? Sento qui qual­che disturbo sessuale di natura strettamente mascolina: forse...

marcolfo       Ma li ci ho mangiato io.

dottore in medicina   (indifferente)    Allora va bene. (Par­lando    va al paravento, entra, esamina lo specchio) Gliel'ho           sempre detto: troppi dolciumi, signora Dea: occorre risparmiare l'intestino.

marcolfo       II suo intestino!

dottore in medicina   (tornando di qua) Tutt'insieme non c'è         male. Diminuire di due gocce la pozione del mattino.

vulcano         Scusi, a chi lo dice? all'ambiente?

dottore in medicina                         Magari ! Lo dico alla cameriera. La    ca­meriera fa parte dell'ambiente. Ma è una parte impura.   Biso­gna arrivarci, all'ambiente puro. Il medico deve poter    comu­nicare in modo compiuto con l'ambiente del cliente; e          non soltanto averne i sintomi, ma potergli lasciare le             ordinazioni. Io parlare, e l'ambiente restare impregnato della     mia ricetta: quando il cliente ritorna, lo sente, quello che      deve fare. Cre­dano, signori; la vera autentica riforma della           medicina si avrà quando ci sarà l'università non solo per i    medici, ma soprat­tutto per gli ammalati. Uno potrà studiare         da malato. (A Vul­cano) Crede che sia facile, lei, di fare il             malato? (A Marcolfo) Verrò, verrò a casa sua, forse oggi      stesso. (Legge il biglietto. Con le spalle rivolte a Marcolfo,        e allontanandosi da lui, palpa gli orli del biglietto, poi se lo            porta all'orecchio) Si, c'è della stoffa per un discreto            ammalato, c'è della stoffa: (parlando esce senza salutare)    per ora è un po' dilettante, ma con dieci visite mi sento di            farne un ammalato serio. (Via).

Anna esce dietro lui col vassoio. Rimangono Vulcano e Marcolfo.

vulcano         Non c'è tempo da perdere. (Risoluto) Senti,

            Marcolfo: qui dobbiamo fare alcune cose importanti, e         segrete. Tu vattene via. marcolfo Via? Ma lei che cosa     dirà?

vulcano         Niente.

marcolfo     (quasi piangendo)   Non la vedrò più.

vulcano         Sì. Ti prometto che quest'oggi verremo insieme a      farti una visita a casa. marcolfo (illuminato) Davvero! (Si    turba) Ma a casa non posso andarci! Se ci va il dottore? vulcano   Se mai, usciremo appena arrivato lui. Vai. Poi...poi, ti lascerò solo con lei.

marcolfo       Solo, con lei? Morirò prima di quest'oggi.

Anna rientra.

vulcano         E ti procurerò un invito per la festa di questa not­te    a1 «Poliedric Superba!»: so che lei ci va. Via, via. marcolfo       Dio Dio: morirò un'altra volta prima di questa notte.

vulcano         Pazienza. Vai, via. (Lo spinge fuori. Rimangono       Vulcano e Anna). Anna, voi siete una donna intelligente. anna                   è la seconda volta che me lo dice.

vulcano         Spero di potervelo dire una terza. Dovete aiutarmi.

anna               In che cosa?

vulcano         Ricordo quella cosa maravigliosa che mi avete detto             a proposito della vostra padrona. Quando la vostra padrona            torna, dovete farmi il piacere, ma lei non deve sa­pere il        perché...

anna   Permetta. Primo: io non ho nessun motivo di farle un           piacere.

vulcano         Come siete severa, signorina Anna.

anna               Secondo: non riuscirà mai a farmi fare una cosa       con­tro la mia padrona.

vulcano         Vi giuro che non è contro...

anna                O senza il piacere della signora Dea. Lei ha detto:    «La signora non deve sapere il perché»: questo basta perché             io...

vulcano         Ma lasciate che vi spieghi. Si tratta...

anna               Non mi riguarda, ma dica pure. In poche parole.

vulcano         Pochissime. La contessa Orsa ha un amante. Non      basta, questo amante si chiama Dorante. Non basta, questo Dorante è ufficiale di marina. Da due anni la contessa non lo           vede. Lui arriva stasera, col séguito del principe, e       anderanno alla festa del «Poliedric». Domani mattina           riparte, e s'imbarca per un lungo viaggio. Il conte Orso è    geloso, è tiranno, il conte Orso non può andare alla festa      perché ha riunione al Consiglio dei Venti. È perfettamente inutile che la contessa gli chieda di andare, solo o con altri o            altre, alla festa; avrebbe un rifiuto, definitivo e      irrimediabile. È capa­ce di chiuderla in casa. Tuttavia...

Rientra Nina.

nina                Anna, vieni tu, c'è una signora.

vulcano         Dio, è la contessa.

anna               Vengo.

Escono le due cameriere.

vulcano(rimasto solo, guarda l'armadio in fondo alla scena)        Forse è là. (Vi corre, lo apre rapidamente, addita un vestito color tortora) Eccolo, il vestito di ieri... Ma...(Chiude          rapi­damente e si scosta).

voce di anna (di dentro)       E allora entri, la aspetti, (intro­duce la contessa Orsa, e sùbito riesce).

Entra la contessa Orsa affannatissima.

la contessa orsa      Siete qui voi? Dea dov'è? V'ha dato la          ettera?

vulcano         No, Aspettiamola. Torna sùbito.

la contessa orsa      Ah grazie. Se non tornava, se non la ve­devo sùbito, era tardi, (inquieta) Verrà certamente?

vulcano         Sì. Ma ho paura, pare, che non voglia più aiutarvi. la contessa orsa         (con un grido)   No? Perché? Che c'è sta­to? Qualcuno l'ha messa su? Come farò, come farò?

vulcano         È una cosa molto strana... Spero...

voce di dea   (di dentro)   Ho fame di nuovo.

Entra Dea.

la contessa orsa      Dea, Dea mia: eccomi qui: sono nelle tue      mani; mi metto in ginocchio...

dea      Ma no, s'alzi; che cosa fa?

la contessa orsa      Oh, ieri sei stata la prima a dirmi « dia­moci   del tu », che cos'hai ora? dea Scusa, non ricordavo. Tu. Tu.            Tu. Ecco tutto rimedia­to. Oh e quel Marcolfo non è venuto? vulcano        Signora Dea...

la contessa orsa      Dea, non ti riconosco. Ma non ti ricordi,        ieri; non ricordi la tua promessa...?

dea      Vagamente.

la contessa orsa      La lettera, la lettera, Dea. Mio marito non      mi lascia andare se glielo chiedo io, anzi; e molto meno se           glielo chiedono altre amiche: le odia tutte, le signore che      conosco io, sospetta di tutte. Ma ora si fida di te, di te            soltanto, Dea; la tua aria dolce lo ha incantato. Credo che     ieri si sia un po' innamorato di te. Se tu mi scrivi come ti   dicevo io, con te mi lascia venire, questa sera: se no, non mi            lascia neppure mettere alla finestra, è un mostro...

dea      E lei, e tu, non ci andare. Che importanza ha, infine, un ballo          al «Poliedric» da farci tante smanie?

la contessa orsa      Ma c'è lui, lui, per vederlo lui, Dorante: da    due anni non lo vedo (Dea fischietta tra i denti) poi se ne va           via, lontano, per tanti altri anni ancora. Sento che se non lo vedo questa notte, non lo vedrò mai più. Oh, tu non ca­pisci.

dea      No. Francamente, queste cose non mi piacciono. Non le       capisco. Un amante. Due anni? Due-anni. Che vuol dire      due-anni? Sì, pressappoco capisco. Ma se sei stata due anni             senza vederlo, puoi starne altri due. Amante. Trovane un      altro.

la contessa orsa      È orribile... Ma lui, lui, non c'è che lui.

dea      è questo che non posso sentire. Tuo marito l'ho cono­sciuto ieri, mi pare? sì, me lo ricordo. Molto per bene, è stato molto      gentile; e io sùbito dovrei fargli un'azione tanto vigliacca? (A Vulcano, che s'avvia subdolamente all'uscita). Dove va lei? vulcano      Cercavo Anna.

dea      La lasci stare, Anna.

la contessa orsa      Tu, tanto dolce e sottomessa...

dea Io dolce? sottomessa? Senti: mi repugna. E perché far­lo? che    c'entro io? Ieri non vi conoscevo ancora, nessuno di voi:      dunque non può essere che proprio io sia tanto ne­cessaria...

la contessa orsa      Anzi appunto; il destino ti ha mandata:

            una fatalità...

dea      « Lalalà ». Quest'amori fatali, che banalità.

la contessa orsa   (urlando) Sei un'assassina. Non senti niente;     non hai cuore. Chi te lo ha strappato, da ieri a oggi, cattiva cattiva? (Si abbatte a terra singhiozzando).

Bussano forte; poi senza aspettare entra Donna Fiora l'artista-sarta, insieme con Anna.

dea Parla piano. (A Donna Fiora) Venga, donna Fiora. (AOrsa) È la sarta, non far scene.

donna fiora (scalcinata e fanatica) Un capolavoro. A casa, ho      pronto il capolavoro. Il capolavoro per lei, per questa sera.

dea      Si può sapere com'è?

donna fiora No. Il grande autore non racconta l'intreccio della     sua tragedia. Il vestito che le ho preparato, è una tra­gedia.          Lei questa sera viene alle otto al laboratorio, e glielo vedo    addosso. Dalle otto a mezzanotte si fanno i ritocchi            necessari. Ma la so a memoria.

dea      II colore? Il tipo?

donna fiora              Niente. Sono venuta, perché stanotte m'è       ba­lenata l'idea d'un'aggiunta al suo mantello bianco. Ho qui             l'occorrente e voglio farla sùbito. O badi che quel mantello non è per il vestito di stasera. Stasera, semplice pelliccia.

vulcano (tenta di prendere a parte Anna) Sentite, Anna.

donna fiora Giusto Anna occorre a me. Mi dia il mantello bianco e venga qui ad aiutarmi.

Donna Fiora entra nello spogliatoio e svolge un involto che aveva con sé: Anna va all'armadio, prende il mantello bian­co, e va a raggiungere Donna Fiora di là dal paravento. Si mettono a lavorare. Orsa è rimasta a terra singhiozzando a intervalli.

dea    (s'accosta a Orsa) Ora alzati. Sono favole. Uno comincia a    credersi disperato, e finisce col disperarsi davvero. Non     im­mischiarmi in questi pasticci complicati. Oh e       malinconici; ecco anche loro, i vostri pasticci: complicati             malinconici.

la contessa orsa   (piangendo)   Ma allora, ieri, perché per­ché ieri            stavi già per scrivere? Se non tornava mio marito, l'avevi già        scritta, la lettera, ieri, e...

dea   (con fastidio)   Sempre ieri: passiamo e consumiamo la vita a sentir dire «ieri».

la contessa orsa   (a Vulcano)   Voi diteglielo...

dea      Appunto: mi spieghi, lei, perché s'interessa tanto a questo     genere di combinazioni.

vulcano   (che ha trovato un'idea)  Io? io non m'interesso di niente.          Stavo ammirando il suo bellissimo vestito.

donna fiora  (di là del paravento) « Tailleur » « Tailleur » !

la contessa orsa   (a Vulcano) Che avete? anche voi contro me?

vulcano   (le fa cenno che taccia; a Dea)   Il suo magnifico           «tailleur». Chi glielo ha fatto?

donna fiora E chi può averlo fatto? Donna Fiora. I famosi           «tailleurs Fiorà», «tailleurs Fiorà».

la contessa orsa      Amico mio, non scherzate. Io sono qui, che muoio.

vulcano     (a Dea)   Invece quella « princesse » che aveva ieri era            un assassinio.

donna fiora  (rimane impietrata, lancia fiamme dagli occhi).

dea       Lei è critico d'arte vestiaria?

donna fiora (rugge, ancora sottovoce).

la contessa orsa      Vi scongiuro... (Tende e torce le braccia). vulcano             Quello grigetto. Era sbagliato da capo a fondo. donna fiora  (esplode urlando) Cos'ha? E’ matto? (Esce dal­lo    spogliatoio quasi buttando giù un paravento).

vulcano         Perdoni. Non immaginavo...

donna fiora    (a Dea)   Ma si rivolti, dica qualche cosa.

dea   (ridendo)    Non so. Mi pareva che non andasse male.

donna fiora Non andasse male! non andasse male! (Cam­mina     per la scena eccitatissima).

la contessa orsa (drammatica) Tutti, tutti congiurati con­tro          questa infelice.

vulcano         Mi perdoni, donna Fiora, esageravo : andava poco    bene in un punto solo: uno sbaglietto, giù alla svasatura... donna fiora       Ma che svasatura mi va cantando? La svasa­tura. Ho             paura che sia lei, un po' svasato. Ma io ne rinvaso dieci           come lei, io donna Fiora. Dov'è? dov'è? {Corre all'ar­madio             e lo spalanca) Eccolo. (Lo afferra e richiude l'arma­dio)       Dov'è dov'è la svasatura sbagliata? (Agita il vestito sulla       faccia a Vulcano).

vulcano         Non saprei; Dio; li, credo... eh si. Dea sta ridendo     dei due; Orsa in un angolo piange e stride.

donna fiora (imperiosissima a Dea)   Signora, venga qui sùbito.   Il mio onore lo esige. (La trascina verso il paravento).

dea   (a Vulcano)        Ma le dica che va bene.

donna fiora No, no! non bastano più le parole: non posso            rimanere sotto il peso di un'insinuazione così velenosa:         voglio la luce.

Ha trascinato Dea, che ride, dietro i paraventi. Vulcano è soddisfattissimo, e cerca di far cenni d'intelligenza verso Orsa, che non vede, non capisce, e piange. - Nello spoglia­toio: rapidissimamente Donna Fiora, aiutata da Anna, to­glie l'abito a Dea e le infila quello grigio: quello descritto già da Vulcano, color gola di tortora: una «princesse» chiusa fino al mento con molti bottoni piccoli, disegnando con sobrietà e morbidezza il corpo.

donna fioraAspetti, aspetti, una volta che siamo in ballo.

            (Toglie a Dea il cappello rosso; le mette, prendendolo         dall'at­taccapanni, quello piccolo grigio con due alette) Fuori, fuori. (Spinge Dea sulla scena) Dov'è il critico?         Dov'è la svasatu­ra? Dov'è lo sbaglio?

Pausa. Tutti guardano Dea.

dea      (tenera, dolce, languida, carezzevole, morbida, tubante,     la­scivamente lenta in tutti gli sguardi, mosse, voci)   È          cari­no, invece, uuh... È tanto brava la nostra donna Fiora.    (La accarezza) Su, Vulcano caro, sia buono, glielo dica.    Dov'è Orsa? (La vede nell'angolo che piange: accorre a lei)            Orsa, che cos'hai? Non piangere.

vulcano         È perfetto. Avevo scherzato. Era per rivederlo. Mi

            perdoni. È divino.

donna fiora    (placata, ma severa)   Scherzi di pessimo genere.

dea     (ha sollevato dolcemente Orsa stupefatta)Su, vieni qui,

            raccontaci per bene. Anche voi, Vulcano, qui...

donna fiora(torna di là: ad Anna) Ancora pochi punti.

Si rimettono a lavorare.

dea      ... qui con noi: bisogna fare tutto il possibile per aiutare        questa povera piccola. Sono stata un po' scortese?             perdonami, ero distratta, ho qualche momento, che neppur   io so bene quello che faccio e che penso; non bisogna darmi retta, allora. Mi perdoni? dimmelo dimmelo che mi vuoi       bene: dammi un bacio... più bello, cosi... (A Vulcano, che   sorridendo si avvicina). Anche a voi, sì: ma diverso, ecco    soltanto così. Su, su. Dunque la piccola vuol vedere il suo    amore. Lo vuol vedere questa notte. Vuole che Dea la aiuti.             È così? E com'è l'amore della piccola amica di Dea?             Raccontatemelo. Bene bene tutto. Mi piacciono tanto queste            cose.

la contessa orsa   (ancora incredula, con un resto d'ansia            angosciosa) Ma me la scrivi, la lettera?

dea      La lettera? Oh sì, certo, ma te ne scrivo venti di lettere.

            Dimmi come debbo scrivere.

la contessa orsa      Sùbito, sùbito scrivila. Appena viene a casa   mio marito, è necessario che io l'abbia già. Se no, lui torna    via, e non lo vedo più, e non posso più fare un passo, più    niente... Sùbito... dea Sì, cara, sùbito. Tiranno cattivo; ci ho   gusto a fargli di­spetto. Guarda, qui c'è l'occorrente. Dimmi   bene che cosa debbo dire.

la contessa orsa      Devi dire, che questa sera verrai a     prendermi... no: che tu certamente...

vulcano         Permettete. (A Dea)  è meglio, che prima ci sia          qualche riga amichevole: sapete...

dea      Amici miei, dettatemela: io sono tanto pigra a trovare le        parole. Ecco, sono pronta. Ma voi, Vulcano, come mai      v'interessate a queste cose? È perché siete buono. Gli altri u omini sono cattivi. Tra noi donne è un'altra cosa, si fa         sempre.

vulcano         Io? sono tanto amico della nostra contessa... e poi... e            poi soprattutto sono fatto così, che volete? Ho bi­sogno di rendermi utile alle signore, alle signore appassio­nate. È una missione. Finita questa faccenda, ne troverò un'altra. È il     mio destino. Quando ho accompagnato una donna    affettuosa fino alla soglia della casa d'un suo amico fedele,             sono felice. Volete altre spiegazioni? dea Io lo capisco.       Anche a voi, come a me, piacciono tanto queste cose. Ecco.

La contessa Orsa freme d'impazienza.

vulcano         Dunque se ci piacciono tanto, voi scrivete, e io in     compenso oggi vi porto a prendere il tè, indovinate dove. dea        Ah, non so.

vulcano         A casa di Marcolfo.

dea    (con un piccolo sforzo di memoria come tutte le volte che deve           richiamare qualche particolare d'una personalità      precedente) È vero: sì, povero Marcolfo: ci andiamo? Lo     tro­veremo?

vulcano         Vi aspetta, vi aspetta: gliel'ho promesso.

Intanto tutti e tre si sono seduti davanti a una scrivania: Vulcano è in mezzo alle due.

dea                 Quante cose oggi! A che ora?

vulcano         Quando vorrete: alle quattro.

la contessa orsa                  Ora scriviamo.

dea                  Sì cara. Dunque?

vulcano         Così: «Cara carissima» (si ferma per un attimo          guardando Dea); virgola... (Beato le contempla una dopo    l'altra; accenna a continuare).

Sipario


Atto secondo

In casa di Marcolfo. Salottino. Pomeriggio.

marcolfo (solo. In giacca di pigiama, atteggiamento amletico.      Pausa) Verrà? Non verrà? Ecco il problema. Anzi: ver­ranno?        Verrà l'altro? (con terrore) e lei no? Lei? Loro? E se viene, se viene davvero, lei, oh allora... allora forse... allora forse      faccio male a stare con la giacca del pigiama. (Chia­ma)       Eurialo!

Entra Eurialo domestico, con impassibilità.

marcolfo    Per piacere, dammi la giacca grigia. (Eurialo esce).      Queste piccole azioni distraggono salutarmente l'uo­mo dalle          sue pene profonde. (Eurialo rientra con la giacca, aiuta      Marcolfo a infilarla).

            È meglio così, non è vero? Ora taci, e stammi a sentire. Si    presenteranno parecchie ipotesi. Prima: viene un dottore, un       dottore nuovo.

eurialo          Quale?

marcolfo       Se è nuovo, non lo conosci.

eurialo          E allora come faccio a capire che è il dottore che ella                       aspetta?

marcolfo       Non lo conosci, ma lo riconosci. Non c'è dub­bio.      Anche un bambino lo riconoscerebbe. Quello è l'uo­mo che      si riconosce, per definizione. Se è lui, non può esse­re che    lui; se è un altro, vedi sùbito che non è lui. Ecco fat­to.       Riprendo: se viene il dottore, e prima di lui non è ve­nuto      nessun altro, anzi (sospira) nessun'altra... Ma cosi c'è            qualche cosa di troppo            rigido, hai ragione: ridammi la            giacca del pigiama... (ricambia, aiutato da Eurialo che            non batte ciglio) se dunque viene il dottore, di' pure che       non ci sono.

eurialo Signor si. Lo mando via.

marcolfo       Noh... che entri. Gli dici: «il signore non c'è», e lui   entra. Entra qua, e io sto di là; se poi lui entra là, io giro per            l'anticamera e vengo di qua. Se gli dici che ci sono, se ne va.           Ecco fatto. Seconda ipotesi: se viene una o più per­sone, per            esempio una signora e un signore, il quale è Vul­cano e tu lo             conosci, oppure sola che fa lo stesso (sospira) - no, non fa lo        stesso, per me; per te sì: in linea di servizio fa lo stesso - in questo caso, dille senz'altro che ci sono.

eurialo          E allora la signora se ne va.

marcolfo       No no no, non se ne va, non se ne deve andare, se se           ne va tienla forte. Deve entrare.

eurialo          Allora le dirò che lei non c'è.

marcolfo       No no no, alla signora che ci sono sono sono, e lei   entra entra entra. Ecco fatto. Ora debbo fare due ipotesi aggiunte. Prima aggiunta: se è già qui la signora, e viene il    dottore, allora via, che vada via; gli dici che ci sono, così se ne        va. È logico?

eurialo          Come un rasoio.

marcolfo       Seconda aggiunta. Che se infine c'è qui il dotto­re, che          sia venuto prima, cioè io ci sono ma per lui non ci sono per cui     c'è lui, e intanto viene lei, allora dirai alla si­gnora... dirai alla            signora... aspetta, come si fa? (Suono di campanello).          Suonano! corri! corri! apri! Hai capito tutto?

 eurialo         Niente.

marcolfo       Bene. Va'. No, meglio la giacca; prendi. (Si to­glie la             giacca del pigiama e la dà ad Eurialo. Risuonano).Ma          corri!... (Eurialo via con le due giacche).Non far pasticci.   (S'accorge d'essere in maniche di camicia)Ah sono nudo!        (Si rannicchia come per farsi invisibile).

Entra il Dottore in medicina, seguito da Eurialo, che ha le due giacche una per mano.

dottore in medicina   (si adira vedendo Marcolfo)è          inconcepibile. Il servitore m'ha detto «passi». Invece lei             c'è. Che modo è questo? Per chi m'ha preso? Stamattina       m'ha dato l'appuntamento, e ci si ritrova. Io non posso   aspettare i suoi            comodi. Io non sono abituato ad aspettare,    tornare, fare il             servitore dei clienti. O lei se ne va sùbito...

marcolfo       Mi perdoni... un affare urgente... un impegno            imprevedibile... La signora Dea...

dottore in medicina                         Non voglio saper niente. La    abbandono alla sua sorte. Una sorte terribile. Ma basta vedere

            il manico di quella teiera per capire che lei è affetto da         cachessia. Ho inciampato in anticamera nel portaombrelli: portaombrelli da epilettoide.

marcolfo       Senta, professore: la signora Dea...

dottore in medicina                         La finisca. Farà meglio a non occuparsi di quella signora. Se sapesse...

marcolfo       Oh me ne        parli...

dottore in medicina  (dall'alto)        Dispepsia.

marcolfo                   è già qualche cosa.

dottore in medicina                         E disurria, e sterilità ereditaria. Lei     avrà notizie di me. (S'avvia in furia, passando davanti a     Eurialo gli lancia con disprezzo una parola).            Cianotico.        (Esce).

Rimangono Marcolfo ed Eurialo.

Marcolfo è rimasto alquanto esterrefatto, con lo sguardo a terra. Eurialo dietro lui impassibile, dopo una pausa gli s'accosta tendendogli le due giacche.

eurialo          Quale?

marcolfo(senza voltarsi a guardarlo, fa un'azione lanciando        contemporaneamente due dita d'una mano e tre dell'altra          come se giocasse a pari e caffo con se stesso; poi     silenziosamente fa la conta; finalmente, sempre senza   voltarsi e con espressione afflitta) Quella disinistra. (Porge             indietro le braccia per farsela infilare).

eurialo   (gliela infila: è la giacca del vestito).

Pausa.

marcolfo       Hai sentito? Che fare?

Pausa.

eurialo          Se il signore permette, le potrei dare un          suggerimento.

marcolfo       (senza speranza)         Di' pure.

eurialo          L'uomo è fatto di anima e corpo. Ella riponga il        corpo   sotto il dominio dell'anima.Èil solo rimedio             possibile in questi tempi calamitosi.

marcolfo       (racconsolalo e tranquillo si volge a Eurialo) Mi pare una buona idea. Porta via quella giacca. Ora la situa­zione è chiarificata: chiunque             venga, avanti. (Eurialo esce; rimasto solo, Marcolfo riprende l'atteggiamento amletico) Verrà? Non verrà? Qui        sarebbe utilissima una margherita.

Pausa; campanello, Marcolfo s'illumina. Entrano Dea e Vulcano.

vulcano (allegro) Ma certamente. Marcolfo, avevo pro­messo,       mantengo. (Addita Dea),

dea      (col vestito color tortora) Ho fatto bene a venire?

marcolfo       Signorina... signora... Dio, mi perdoni: non son         certo...

vulcano         Oh oh: la signora Dea: bar dello Specchio:    cioccolata.

marcolfo       Verissimo. Sono disperato.

dea      Anzi, è tanto carino. Chi sa chi aspettava. Chi sa, qui tutto    solo, che belle cosette pensava. marcolfo Verissimo. Ah             no no, non è vero affatto. Pen­savo a lei: no, alla signora del             bar...    già, lei. Lei.

dea      È curiosa. Noi donne, basta un cappello per cambiarci la      fisionomia.

marcolfo       Lei, dunque, è qui? È in casa mia?

vulcano         Almeno sembra.

marcolfo       Dio: qui da me, qui sola con me.

vulcano         E io?

marcolfo       Tu, è vero, tu: sei il mio solo amico, tu. Mi    perdonerete se sono in pigiama...

vulcano         No, caro, non sei in pigiama.

dea                 Quanto è carino!

marcolfo       Precisamente. Ma c'ero, c'ero stato.

vulcano         Anch'io, questa mattina.

marcolfo       Ma io no, io anche dopo, anche poco fa. È    imperdonabile.

dea                  E io le perdono. Io perdono tutto.

vulcano         Per conseguenza, si potrebbe anche sedere.

marcolfo       Sì, sì; ecco, qui, là; lì: brava. Ora parliamo.

dea                 Parliamo.

marcolfo       Signora.

dea                 Signore.

vulcano         Più varietà, vi prego.

marcolfo       Loconfesso, sono confuso. Il piacere... Ma è lei?

dea                 Ecco; lei è un tipo originalissimo.

marcolfo       Ecco fatto.

vulcano         Sentite. Io tra poco dovrò andarmene.

marcolfo   (sùbito)     Peccato!

dea                 Questo non è carino.

marcolfo       C'è un equivoco. Le farò una confidenza: io so­no     timido.

vulcano         Ma prima che io me ne vada, sta' attento. è inteso che           questa sera andiamo tutti e quattro alla festa del « Po-liedric            Superbal».

marcolfo       Benissimo. Tutti e quattro. Lei, tu, io: tutti e quattro. dea                  E Orsa.

marcolfo       Dio, chi è Orsa?

vulcano         Lascia andare. Ricordatevi bene: lei alle otto va dalla            sarta, e rimane là; verso le undici il conte Orso ac­compagna la    contessa Orsa dalla signora.

 marcolfo      Cioè dalla sarta.

vulcano         E li, se Dio vuole, la lascia. Io ti vengo a prendere     prima, e andiamo ad appostarci al caffè che c'è in faccia. Dai       vetri vediamo le signore quando escono, e sùbito le raggiungiamo.

marcolfo       è tutto congegnato a maraviglia.

dea      Orso non cambierà idea?

vulcano         Impossibile.

dea                 La lettera è andata magnificamente bene.

vulcano   (sorridendo)  Me l'ha fatta sudare, quella lettera. Sì, poi             no; tener calma Orsa, precipitarmi a ritrovar voi che per      fortuna            siete tornata... buona.

dea      Davvero? Poverino! Bisogna perdonarmi. Non mi parvero di           fare un piacere a quella cara donna.

vulcano         E a me?

dea                 Anche a lei sì.

marcolfo       E a me?

dea      A tutti. Sono tutti tanto cari. Bisogna essere buoni buo­ni con            tutti.

Vulcano  (s'alza)   Io vo. Lei rimane.

marcolfo (s'alza a metà)  Io vengo. No rimango. No...

dea      Ma lei rimane, naturalmente. Vuol lasciarmi qui sola? Le      offro una tazza di tè.

marcolfo       Lei? No, io.

dea                 Lì c'è tutto, ci penso io.

vulcano         Addio. Passo io a prenderti, fatti trovar pronto.         (via).

Rimangono Marcolfo e Dea. Pausa.

marcolfo       ecco fatto.

dea      Davvero?

Pausa.

marcolfo       Le piace quel cuscino?

dea                 Si, tanto.

Pausa.

marcolfo       E quella tenda le piace?

dea      Sì, tanto... Anche il tè mi piace tanto.

marcolfo   Anche a me.(Guardano tutti e due il samovar). Si fa? dea      Si fa.

marcolfo       No, veramente non si fa da sé, bisogna farlo noi.

dea      Noi. C'è tutto l'occorrente. Bello.

marcolfo       Bello. Ha detto che lo vuol far lei.

dea                 S'intende. Non ci vuol molto. Basta accendere lì.

marcolfo       Mettere un po' di tè là.

Sempre senza muoversi né l'uno né l'altra.

dea                 Aspettare che l'acqua bolla.

marcolfo       Aspettiamo.

dea                 E versarla sul tè.

marcolfo       È fatto.

dea                 È fatto.

marcolfo e dea   (in coro)Beviamolo, (Ridono tutti e due:poi la   risata si spegne in un silenzio).

marcolfo       Le piace?

dea                 Sì, tanto.

marcolfo   (con infinita tristezza) Se tutto quello che le pia­ce, le     piace come questo tè, quasi rinuncio a piacerle.

dea      Ha detto una cosa molto carina.

marcolfo       Io? non l'ho capita.

dea                  Io sono un po' inerte.

marcolfo       Sempre?

dea      Sempre? (Come dicendo la parola a se stessa per studiar­la)            Sem-pre.

marcolfo       Io spesso.

 dea                Allora diventeremo amici.

marcolfo       Crede? Pensare che ieri, no, questa mattina, non la   conoscevo. E ora è qui, ci starà tante ore ancora. E poi questa        sera.

dea      Questa sera.

marcolfo       Stamattina me ne sono uscito, solo - io sono sempre             quasi solo - e incontro Vulcano, conosco lei...

dea      E questa sera conoscerà Orsa. Anch'io, Orsa e Vulcano li ho           conosciuti soltanto ieri.

marcolfo       E questa notte ci troviamo tutti al gran ballo, come i personaggi al terzo atto d'una commedia.

dea      E saremo amici.

marcolfo       Si, è questo l'importante. Io non ho amici. E nemmeno amiche. Lei stamattina mi piaceva moltissimo.

dea      Oh oh! E ora?

marcolfo       Scusi: no: si...

dea      Ho capito, ora no, più. (Broncio).

marcolfo       Non è vero, non è vero. Giuro che non è vero.

            Com'era bella, viva!... Oh, mi scusi ancora.

dea      Quanto chiede scusa lei!

marcolfo       È il mio destino. I miei amici...

dea                 Ha detto che non ne ha.

marcolfo       Quelli che si chiamano così. Mi trattano, in certo       modo, come uno sciocco. Infatti lo sono. Ma in fondo è,          perché mi lascio trattare a questo modo. Per me è comodo. È           per inerzia; come l'affare del tè. Mi vengono in mente certe           cose intelligenti, qualche volta, ma non ho voglia di dirle.     Le cose stupide invece si dicono da sé; escono. Poi, con gli       sciocchi tipo mio la gente è contenta, li tratta bene, por­tano fortuna. È molto riposante essere sciocco.

dea      Lei è molto originale.

marcolfo       Questa mattina quando l'ho vista mi sono senti­to       stupidissimo. Quando se n'è scappata via, e dovevo             rivederla, m'è venuta una voglia immensa di mostrarmi        intelli­gente. Allora sono disastri. Sonando alla porta di casa             sua, ero ancora sbalordito. (Attratto nel ricordo, non la        guarda più) Ho visto tutte le cose sue. Dappertutto mi            pareva di veder lei, così luminosa, vibrante, aggressiva, oh   stupenda­mente            aggressiva...

Dea     Vibrante? io aggressiva?

marcolfo       Sì, mi...  (La guarda e s'interrompe) È vero; chi sa.   Lei? Mi confondo un po'. Forse la sua presenza mi turba. Mi         lasci ricordare. Chi lo sa? Questa mattina era. E a un certo    punto ho trovato che mi avevano mandato via, chi sa perché.       Ma mi avevano detto che lei sarebbe venuta qui.

            Chi sa perché? Che ore ho passato! (Già non la guarda più)            Non riuscivo a capire che era vero, non mi pareva vero     che      qui, qui, questo avrebbe potuto contenere tutta          quella luce, tutta la sua allegrezza. E ancora ho avuto una   enorme voglia d'essere intelligente, molto intelligente, per     accoglierla; di buttarle addosso un fascio d'intelligenza, di          farle un'aria, tutt'intorno, qui...

dea      Ma caro, lei mi ha accolto benissimo.

marcolfo (di nuovo la guarda, e ancora rimane perplesso; poi     placandosi e quasi inconsciamente adattandosi) Lei è mol­to            buona. Mi pare che con lei posso anche essere stupido.

dea      Lei è un tipo incantevole e dice delle cose splendide. marcolfo     Non mi sembra la definizione più esatta. Ma non      importa. È curioso quanto è bello parlare di sé. Me ne          accorgo ora. Non m'era mai accaduto. Parli anche lei, anche   lei  di sé. Come fa a diventare cosi tranquilla?

dea      Gliel'ho detto che sono pigra.

marcolfo       Oh, forse capisco. Lei dev'essere una persona che    parla di mattina. Certi parlano di più la notte. Dev'es­sere cosi.         So che a qualcuno l'intelligenza vien fuori man mano che    s'avvicina la sera, ad altri il contrario.

dea      Perché pensa tanto all'intelligenza?

marcolfo       Non è naturale? Mio Dio, non so: se me lo do­manda,           non so più. Parli, parli di sé.

dea      Che cosa vuole che le dica? Di me? Sono qui, mi vede. Che            cosa vuole?

marcolfo       Non so spiegarmi. Parlare di sé, vuol dire rac­contare             tante cose, di dentro; e come si era prima, ieri, oggi; che cosa      si aspettava e che cosa si è trovato; che cosa si spera per      domani; e allora a poco a poco uno capisce sé, e si fa capire         all'altro.

dea      Sto tanto bene cosi. Ieri, sarà stato come oggi, no? Che cosa             vuol dire «ieri»? E «domani»? (Un sospiro da una profondità       inconscia) Lei mi fa fare molta fatica.

marcolfo       Vede? Questo è bello. Io le voglio molto bene.

            Anche questo è bello.

dea      Si, lo credo.

marcolfo       Volersi bene, è come parlare di sé. Allora l'uomo vien          fuori; si sente di più, più sicuro... Forse non so spie­garmi.   Perché trema?

dea      Forse ho un po' freddo.

marcolfo       Vuole che... Aspetti. Lei stia ferma li, bene, cosi.

            Guardi com'è grande questo scialle. (È un grande scialle      color cenere, che Marcolfo parlando avrà preso da un        divano) La nasconde tutta. Guardi, fino ai piedi. E fino al    mento. Dea non c'è più.

dea  (come un soffio, quasi da un'improvvisa lontananza, e cosisino          alla fine dell'atto) Ci sono, ci sono.

marcolfo       Quasi niente. Appoggi la testa. Vuole che le tol­ga il   cappello? No, non si muova. Faccio io. Cosi, piano piano. Che bei capelli ha! Come è bella! È più bella. Come sta?

dea      Sto bene. Sono stanca. Mi sento languire. Mi stia vici­no. Più            vicino.

marcolfo       Cosi? Ai suoi piedi?

dea         Si... Dica ancora qualche cosa, subito.

marcolfo       Non mi dica così, mi confondo. Che cosa debbo       dirle?

dea      Non so. Così. Sentire la voce.

marcolfo       Vuole che le racconti una favola.

dea      Sì.

marcolfo       Una favola. Non ne so. (Disperato) Neanche una. Dio         Dio. (Improvvisando) ...C'era un gatto, che dormiva sul     focolare. Aspetti. Il focolare era spento. Ma il gatto cre­deva             che fosse acceso. Che ci fosse qualche pezzo di brace.          Uhmm... Oh ecco, due, due pezzettini di brace credeva che ci          fossero in fondo al focolare, perché era molto gran­de. E poi?      (Pensa) E poi, sì, s'è avvicinato un po', piano; ma non tanto             vicino; e s'è accorto che invece c'era un altro gatto, oh, erano           gli occhi di quest'altro gatto... Ora biso­gna sapere che             quest'altro anche lui aveva preso gli occhi del primo per due            pezzi di brace. (Sospira) E allora? Un momento. Allora, una             delle due: o l'hanno presa bene, o l'hanno presa male. Qui sta          il punto. Vediamo... Dorme? dorme?

dea      No. Venga più vicino.

marcolfo       Più di così? Come faccio? Ha freddo ancora? Mi      faccia sentire una mano. Oh, com'è difficile trovare una mano        sotto uno scialle. È calda la sua mano. Non è vero, sa, che   sono tanto stupido. Oh che unghie! come quelle di un gatto.       Chi sa che fine ha fatto. Più vicino? Dea, Dea, voglia­moci   bene.

dea      Sì? Mi pare. Forse... che cosa? vogliamoci bene?

marcolfo       Sì sì, Dea.

dea                 Come si fa?

marcolfo       Ci si mette con la faccia vicina, così. Poi io dico:

            « Cara, io - voglio - bene - a - te... » Allora lei dice: « Caro...           » dea   « Caro... » e poi?

marcolfo       E poi dice: «io... » dea «I - o»... «i - o... » È difficile.           (Stanchissima),

marcolfo       Non può... dea Non vuol dir niente.

Pausa.

SipariO


Atto terzo

Una sala di passaggio nel «Poliedric Superbal ». Nel fondo a destra una balaustrata da cui si guarda giù in una sala in­feriore; presso la balaustrata comincia una scala che scende in essa sala. Nel mezzo, porta verso altre sale. Nel fianco si­nistro in avanti, porta ai vestiboli. Nel fianco destro in avanti scaletta che sale a stanzini superiori. Un'altra uscita senza porta nel mezzo del fianco sinistro. In un angolo a si­nistra avanti un bancone di bar, quasi tutto spogliato; non sono rimasti che alcuni panini e qualche bottiglia. Qua è là poltrone e un divano. - Notte.

Alcune battute di musica con sapori di jazz prima che     (Musica[1]) s'apra il sipario. Poco dopo aperto il sipario, dall'entrata nel mezzo del fianco sinistro una quadrupla fila di Uomini e Donne alternati, tenendosi per mano a catena come per una quadriglia, entrano, girano la scena in evoluzioni di ballo e di pantomima, poi si dirigono verso l'uscio del mez­zo. Sono preceduti da alcuni sonatori che camminando continuano a sonare. Il corteo marciando grida in coro, in un ritmo eccitato, puerile e nevrotico: a cena a cena. Alcuni sono mascherati, o in domino o in costumi varii, altri no. Anche alcuni degli uomini in marsina o delle donne in abito da sera, pure portano sul volto maschere di cartone colorato. Il corteo esce dal fondo a destra.

Un po' in disparte stanno a guardare una Donna robusta con domino brutto e mascheretta di raso; e accanto a lei una Giovinetta, in domino e senza maschera. Altrove un gruppo formato del Servo vecchio, della Guardarobiera e del Ragazzo.

domino brutto          La terz'ultima è nostra. ( Osservando il          cor­teo che esce) Non c'è male.

giovinetta     Vorrei ballare.

domino brutto          Finiscila. Non siamo qui per divertirci, noi;    siamo qui per ragioni professionali.

giovinetta     Andiamo di là anche noi?

domino brutto          Prima lasciami vedere giù.

Di dentro, ultime voci affiochite del canto del corteo.

servo vecchio  (contraffacendo il verso del corteo)  « A cenaa      cena»... Ci metteranno un'ora. Sarà un'ora di riposo. guardarobiera   (guardando in giù dalla balaustrata) E tutti         quelli? Quelli hanno cenato a casa.

servo vecchio  O non hanno cenato. « Cenare non è          necessario».

guardarobiera         Voi rimanete di guardia ai gabinetti di            sopra? (Cenno alla scaletta di destra).

servo vecchio           Tutti presi. Il principe fa baldoria. Il se­guito   si rompe le scatole.

guardarobiera         Soltanto voi ci potete salire. E io darei tan­to   volentieri un'occhiata là dentro.

servo vecchio           Io invece non ci tengo. Io quest'ora me la      dormo. Ragazzo, chiudi là, che si senta meno rumore. (Il       ragazzo va a chiuder l'uscio da cui è uscito il corteo, il        suono che s'era attenuato si spegne. Alla guardarobiera) Tu      torna al tuo guardaroba. {La guardarobiera esce dall'uscio di sini­stra). Ragazzo, sta di là con lei; {sprezzante) eccoti i    numeri doppi per l'estrazione a sorte dei costumi per il         quadriglione dei frati e dei diavoli: rossi, e bigi. (Parlando           gli ha consegnato certe contromarche, e borse per   mettervele).

ragazzo         Me ne prendo uno io, da diavolo, per me?

servo vecchio (sempre più sprezzante) Ridicolaggini: la­sciamole   fare a quella gente là.

Il ragazzo esce a sinistra. Il Servo vecchio si mette a dormi­re in una poltrona che è in un angolo presso la scaletta di destra.

Entra dall'uscio di sinistra Vulcano.

vulcano         Di qua, di qua.

Sopraggiunge Marcolfo dalla stessa parte.

marcolfo       Che furia !

domino brutto   (guardando giù dalla balaustrata) Quellalaggiù è nostra.

giovinetta     Quella gialla? Si, è l'attrice.

domino brutto          Accidenti che brutti fiori s'è messi alla           cintura. Domani mi sente.

vulcano  Io la conosco quella voce. (Guardando il Domino           brutto).

marcolfo       Io no.

vulcano         Chi può essere?

Sopraggiunge correndo, dall'uscio di sinistra, la contessa Orsa.

la contessa orsa  (agitata) Sarà di là? o di sotto? Andiamo. marcolfo    E Dea?

la contessa orsa  (mentre va a guardare giù dalla balaustrata,   risponde) O Dio, Dea si è fermata di nuovo, in guardaroba.     Non ci ha fatto perdere tempo abbastanza. (Torna in qua). domino brutto (alla giovinetta) Questa non ci riguarda. Andiamo      verso le cene.

Escono insieme dal fondo.

vulcano         Ma chi è quella voce? (A Orsa) Dicevate?

la contessa orsa      Che ora è?

vulcano         L'una. Dea ci ha fatto perdere un'ora.

marcolfo       Se non ci faceva perdere un'ora, a quest'ora era        mezzanotte.

vulcano         Abbiamo creduto di morire in quel caffè.

la contessa orsa      E io sola nella sala d'aspetto della sarta, che   non aveva mai finito di lavorare addosso a Dea.

marcolfo       Com'è il famoso vestito? Dea di là a qua non ha mai            aperto né la bocca né la pelliccia. La testa tutta imba­cuccata.       Che aveva?

la contessa orsa      Io non ho visto, ne so quanto lei. An­diamo? marcolfo       Ma Dea?

la contessa orsa      Dea Dea: l'aspetti lei. Venite con me,             Vulcano.

Fanno per avviarsi. Ma dalla sinistra entra Dea. È vestita di squame verdi luccicanti aderentissime: l'abito finisce con una coda sottile a punta. Dalla scollatura si snoda e conti­nua a spirale una specie di serpente che fa due giri intorno al collo, e la testa del serpente si annida tra i capelli di Dea, facendo acconciatura.

dea  (sguardo a saette, voce piena di sibili)  Ihh non mi aspet­tate?

I tre la guardano un momento stupefatti.

la contessa orsa      Bello... Andiamo di là?

vulcano                    Un cobra perfezionato.

marcolfo(impacciatissimo) Non l'avrei mai riconosciuta.

dea      Scusatemi, se v'ho fatto perdere del tempo. Tempo prezioso            ihh... Chi sa che non sia meglio per tutti.

marcolfo       Sibillina.

vulcano         Serpentina.

la contessa orsa  (con angoscia)  Andiamo a cercare Do­rante.

dea      Che serve cercare? Tanto può essere in una sala, quanto in   un'altra.

la contessa orsa      Qui non c'è, vado nelle altre.

dea      Accompagnatela, sìii; non si regge più. Io sto qui, in­tanto;    qui sto, e se passa di qui lo fermo, te lo mando, sii, cara.

marcolfo       Buona idea. Anch'io.

vulcano         In qualunque caso, questo è il punto di ritrovo per    tutti.

Vulcano e Orsa via dal fondo. Si sente un momento il jazz: e cosi ogni tanto, proveniente talvolta di qua talvolta di là dagli interni lontani o vicini, fino alla fine dell'atto. Riman­gono Dea e Marcolfo. Dea siede; Marcolfo rimane in piedi presso lei.

(Musica)

 marcolfo      (cerca un argomento di conversazione) Lei   dunque... ah dunque lei lo conosce, questo Dorante.

dea      No.

marcolfo    E neppur io.

dea               Lo so.

marcolfo    E allora come facciamo a riconoscerlo se passa di qua?

dea Pazienza. Ci tiene molto, ihhh...?

marcolfo       è molto bella. Oggi era anche più bella. Cioè non      so. E questa mattina? Che confusione! dea Parlate come il            vostro caro Vulcano.

marcolfo       Può darsi. Tra amici, si finisce per imitarsi.

dea                 Amici? siete molto amici?

marcolfo       Si: è il mio solo amico.

dea      Siiii?  (Sottovoce) Non vi fidate.

marcolfo       Di lui?

dea                 Di nessuno.    

marcolfo       Ma di lui!

dea                 Ihii.. siete ingenuo, caro.

marcolfo       Le giuro che non la capisco.

dea                 Non glielo dite che vi ho detto questo.

marcolfo    (con uno sforzo) No.

dea      Noi si, bisogna che siamo amici.

marcolfo       Si, tanto. S'era già detto, oggi.

dea      Davvero? Già. (Insinuante) Sentite, se mi volete bene... marcolfo             Oh moltissimo... credo.

dea                 Andate a raggiungere Orsa e Vulcano per quelle        sale là. Non domandate spiegazioni. Non lasciateli venire qui sù­bito. Tratteneteli, in qualche modo...

marcolfo       Ma come?

dea      Ssst. Lo trovate il modo, se mi volete bene.

marcolfo       Si. La penso ancora, cosi angelica e dolce... cioè...    (La guarda e rimane perplesso) Domani mi metto in cura.    (Premendosi la fronte).

dea      Se volessero andare in giro, fateli girar li sotto, almeno per   un po'... Che lo cerchino qui è inutile: qui (cenno a sini­stra)           non ci sono che i vestiboli.

marcolfo       E poi...

dea                 E poi, o vi raggiungo io, o dopo un poco mi raggiungete voi. Non domandatemi niente per ora, se mi             volete bene. Non dite niente niente iihh... a loro, se mi volete           bene. Tutto questo perché...

marcolfo  (ansioso)  Perché?

dea      Perché siii... Capirete più tardi...sss. Via, via, è una prova.    Via. (Lo spinge fuori, dal fondo a destra. Pausa. Dea             s'avvicina al Servo vecchio) Sss...

servo vecchio  (dorme).

dea                 Sss... sss...

servo vecchio (si sveglia) Oh pardon madame.

dea      Ihh... mi conoscete?

servo vecchio   (senza guardarla)   No.

dea  (gli dà qualche danaro)    È per voi.

servo vecchio   (ancora senza guardarla) Ah sì, mi pare di            conoscerla.

dea      Dov'è il principe?

servo vecchio           II principe?

dea      Sì, col suo addetto; il tenente di vascello: Dorante.

servo vecchio           Se la signora sa tutto, è inutile mantenere il    riserbo.

dea      Dove sono?

servo vecchio           In verità non lo so. (Dea gli dà altro             danaro). Ah sì, ora me ne ricordo. Sono là. (Accenna in alto ai came­rini).

dea      C'è altri?

servo vecchio   Qualche uomo serio... qualche donna        malinconica.

dea      Scenderanno? Passeranno di qui?

servo vecchio           Non è probabile. Hanno ballato dabbasso      fino a poco fa. Ora cenano... s'arrangiano tra loro... non so,            giocheranno, forse.

dea      Andate a pregare il signor Dorante che venga qui sùbi­to; che            lo aspetta quella signora, che lui sa.

servo vecchio           Ella ha reso perfettamente l'idea. (Si avvia). dea      Mi raccomando, con molta prudenza.

Servo vecchio  (si ferma un momento, dignitosissimo) Si­gnora,      sono quarant’anni che esercito questa professione. (Via a destra).

dea  (per pochi momenti sola, scivola e sibila per tutta la scena).

Entrano Dorante (in marsina) e il Servo vecchio, dalla sca­letta a      sinistra.

dorante  (s'affaccia quasi balzando, gioioso e animato. Tutt'a un   tratto si ferma deluso. Si volge al Servo vecchio) Dove?

servo vecchio           Eccola.

dorante         Ma...

servo vecchio           Se vostra signoria permette (additando la      poltrona) io dormo. (S'accomoda e chiude gli occhi)             Dormo.

dorante   (a Dea che gli si è accostata)  Perdoni, signora, forse c'è            un errore.

dea      Non credo. Lei è Dorante?

dorante  (evasivo)     Non so...

dea      Non sa chi è?... Ihhh...

dorante         So chi sono. Non so se è me che lei cerca, perché... dea   (lo interrompe)  Perché non è in uniforme?

dorante         Oh!

dea      Vede? Lei non è in uniforme, perché il principe è in             incognito.

dorante         Continui.

dea      Ma domani mattina dovrà mettersi in uniforme per partire. E            starà lontano tre anni.

dorante         Ebbene?

dea      È per mostrarle che sono al corrente, siii... (Sottovoce)

            Mi manda Orsa.

dorante         Orsa!

dea      Quanto fuoco! l'ama molto?

dorante         Signora, la scongiuro, si spieghi.

dea      Sono un'amica, l'amica di Orsa. Io so tutto, di lei, di loro.

dorante         Dio! È ammalata?

dea                 Sta benissimo.

dorante         Non è venuta?

dea                 Ecco.

dorante         II conte non ha permesso?

dea                 Ha permesso..., ma...

dorante         Oh, dica.

dea      Mi dispiace vederla cosi ardente. Com'è innamorato!

            Lei tanto giovine, ingenuo. Mi fa soffrire.

dorante         Ma son io che soffro, sono alla tortura, se lei non mi            spiega...

dea      Che cosa vuole che le spieghi, mio povero amico?

dorante         E sùbito. Non verrà? Non la vedrò? Che è acca­duto?

dea      Dio, più tardi, forse verrà... Per ora ha approfittato... Il         marito è tanto geloso...

dorante         Approfittato?

dea      Orso è al Consiglio dei Venti, ha mandato Orsa qui con        me... Orsa ha tanto poca libertà. Perciò ho detto: «ha             approfittato».

dorante         Per che fare?

dea      Ahh... sss... la mia missione è molto dolorosa. E antipa­tica, non è vero? Ma l'amicizia lo impone. D'altra parte, quando            non si vede un amante per due anni - due anni - è umano,    via, giustificabile...

dorante         Che cosa?

dea                 Mi aiuti un poco. Come faccio?

dorante   (fa alcuni passi, alteratissimo, contenendosi a forza)      Ecco. Dunque Orsa l'ha incaricata di farmi sapere...

dea      Sapere, sìii...

dorante         Sapere che... non s'interessa più di me.

dea                 Ecco.

dorante         E perché ieri, oggi, m'ha scritto?...

dea      Ihhh... Non ha avuto il coraggio, sapendo che lei arri­vava.   Le faceva tanta pena, povera Orsa. E s'era proposta di         venire, di farsi forza.

dorante         Ah. E invece?

dea                  Non è venuta.

dorante         Ha approfittato.

dea                  Bravo.

dorante         Ed è andata...

dea                  Già. Con...

dorante         Con un altro.

dea                  Si.

dorante         Chi?

dea                 Uno.

dorante         E poi verrà qui, mi ha detto? Ma lei deve dirmi... E

            perché verrà qui?

dea      Mio Dio, perché deve trovarsi con me... L'altro lo sa.

            Orsa non glielo poteva dire, all'altro, che qui c'è lei. dorante          Bene.

dea                 In che modo, bene?

dorante         Bene, bene.

dea                 Che cos'ha intenzione di fare?

dorante         Io?

dea                  Eh sì, lei.

dorante         E perché devo dirglielo? E perché devo fare qual­che            cosa? E se faccio qualche cosa, perché devo averne prima   l'intenzione? Le cose che si fanno senza intenzione, sono le             migliori. Ha capito? Improvvise.

dea I   hh... per carità.

dorante         Senta. Anzitutto, debbo vederla, Orsa.

dea      Un momento. Mi permette una preghiera? La prego di fare   una di queste cose.

dorante         Sentiamo.

dea                  è calmo?

dorante         Si.

dea      Una delle due: o lei, da un uomo saggio, se ne va, sùbito,

            senza vedere Orsa...

dorante  (d'impeto)   Faccio l'altra.

dea      O se non la sa ancora?

dorante         L'altra. Voglio vedere Orsa.

dea      E la veda. Ma allora la prego, non dica neppure che m'ha     incontrata. Posso contarci?

dorante         Si.

dea      Preferisco non essere presente al suo incontro con Orsa. dorante   Lo capisco.

dea  (tendendo l'orecchio) Perciò, lei per ora torni su. Esca di là      soltanto più tardi. Io tra poco me ne anderò... forse prima   che arrivi Orsa

dorante         Come lo saprò io, che lei non c'è più?

Voci di Vulcano e Marcolfo di dentro.

dea  (in furia) La farò avvertire. (Cenno verso il Servo vecchio

            che leggerissimamente russa).

dorante         Ecco. dea Vada.

dorante   (saluta e torna dond'era venuto).

servo vecchio  (quando Dorante gli passa avanti, sempre a oc­chi             chiusi e sempre leggerissimamente russando s'alza e            s'inchina, poi si rimette a dormire).

Una parte di coloro che erano passati al principio dell'atto, più rumorosamente rientrano e vanno a scendere dalla scala del fondo.

Entrano Orsa, Vulcano, Marcolfo, da qualche parte.

la contessa orsa  (tragica)   Non c'è.

marcolfo(abbattuto)Non c'è.

vulcano  (conclusivo)   Non c'è.

la contessa orsa    Da nessuna parte. (Guarda intorno) For­se?     (Corre verso i camerini).

servo vecchio ( aprendo gli occhi) È chiuso, signora. Chiu­so per   restauri.

Intanto Dea ha preso da parte Vulcano.

dea      Vulcano.

vulcano         Ebbene?

dea                 Credo d'averlo veduto.

la contessa orsa (sopraggiunge presso loro)Che dice?

dea     Niente.

la contessa orsa      Sì, sì...

vulcano   (a Dea) Via, non complichi le cose... (A Orsa) Le pare di           averlo veduto.

la contessa orsa      Dorante?!

dea      Credo. Perché ve ne siete andati?

la contessa orsa      Ma non lo conosci.

dea                 Un ufficiale di marina.

la contessa orsa      In uniforme era?

dea                  Sì, tenente di vascello.

la contessa orsa      Sì, sì, com'era?

dea                  Baffi neri, in su.

la contessa orsa      Dio!

dea      Alto... come lui. (Accenna a Vulcano)

la contessa orsa      Dov'è?

dea è andato via. (Accenna a sinistra).

la contessa orsa      No!

vulcano         Calmatevi. Si va, si torna... Aspettate...

dea      Certo, pare che torni.

la contessa orsa      Come lo sai? Dove sarà? Andiamo... vulcano  (a Orsa) State zitta, e lasciate che racconti. (A Dea) E voi    dite tutto senza farvi pregare.

dea      Alla porta, uno gli ha detto: « Ciao Dorante».

la contessa orsa      Dunque è lui.

dea         E ha aggiunto: « cercate di tornare».

la contessa orsa    Perché « cercate»?

vulcano         Zitta.  (A Dea)  E lui?

dea      Lui non ha detto niente, ha risposto lei...

la contessa orsa    Lei!

dea      Voglio dire...

vulcano         No «voglio dire», dice.

la contessa orsa      Era con una donna!

dea      Ho fatto male.

vulcano         Lei ha detto?...

dea      Lei ha detto: «ve lo riporto tra un'ora».

la contessa orsa      Chi era? com'era?

dea      Non so... che importa?... Bella, molto bella, alta, bionda.

Oppure altri aggettivi, che segnalino bellezze opposte alle bellezze dell'attrice che farà Orsa.

la contessa orsa      Oh... uh... (È quasi soffocata).

dea      Ho fatto tanto male. Senti, cara, ihh.

la contessa orsa  a tutti, gridando) E voi, perché non ave­te          voluto che rimanessi qui? dea Te l'avevo detto io.

la contessa orsa  (urla) Trovali! (S'agita in convulsione) Ahi,      ahi, mi sento morire.

Comincia un parco ingresso di gente che sale dalla scala di fondo.

vulcano   Andiamo un momento di là. (Va all'uscio di sini­stra che     è il più vicino a loro, e più si affaccia) C'è una came­riera, qualcuno? (Si volta)Marcolfo, falla venir qua. (A Dea)Anche lei.

marcolfo     Su, venga. (E sorreggendola la guida).

Escono, dall'uscio di sinistra, Vulcano, Dea, Marcolfo, Or­sa. La gente, dalla scala di fondo, continua ad affluire. S'af­faccia a sinistra la guardarobiera.

guardarobiera  (con un bicchiere in mano) Per caso c'è un           dottore tra loro?

La gente, in disordine, pure segna una linea che va diago­nalmente dalla scala di fondo all'uscio di sinistra.

il più vicino alla guardarobiera Che c'è stato? guardarobiera    Un mezzo svenimento senza importanza.

la gente  (a catena, dal detto, fino al più vicino alla scala) C'è un dottore? - È dottore lei? - Io no (voltandosi a un altro) e lei? - No. (Si rivolta) C'è un dottore?

il più vicino alla scala   (parla in giù affacciandosi alla   balaustrata) Ehi laggiù, c'è per caso un dottore tra voi?...             Co­me?... È dottore lei?... Vuol salire un momento?... (Si       volta in qua) Viene.

la gente  (a catena come sopra, ma in senso opposto)  C'è -Viene -          Viene - C'è.

il più vicino alla scala (ancora parlando verso giù) Non si         passa? Aspetti che lo tiro su. Lo pigli sulle spalle lei. Ecco,   su, su.

rumori della folla   (disotto, nascosta) Uhh... issa... làaaa...

Tirato su, si vede, oh maraviglia, proprio quel Dottore in medicina che abbiamo conosciuto nei primi due atti: il più vicino se lo prende a cavalcioni sulle spalle e lo porta fino alla guardarobiera.

Dottore in medicina    Chimi vuole?

il portatore    Eccolo.   (Fa per scaricarlo).

dottore in medicina    No no, stiamo così, è una posizione            indicatissima per certe diagnosi.

guardarobiera         Una signora svenuta.

dottore in medicina             Dov'è?

guardarobiera         Di là, venga.

il portatore  (fa per avviarsi di là).

dottore in medicina   Alt! È pazzo lei? Che cos'è codesto? (Alla    guardarobiera additando il bicchiere).

guardarobiera         Le ho fatto bere un po' d'acqua.

dottore in medicina  Qua. (Si china a prendere il bicchie­re)E lei             (al portatore, guidandolo come un cavallo, dirigen­dolo col           tirargli da una parte il ciuffo)mi porti laggiù, in fon­do,        lontano così: alt!(Sono andati a mettersi nell'angolo di            fondo a destra. Tutta la gente cessa di parlare e rimane a    guardarlo immobile in silenzio e a bocca spalancala. Lui      dopo aver vuotato le ultime gocce sulla testa d'un vicino,     esa­mina il bicchiere, lo ausculta) Non è niente. Un             momento. (Se lo porta all'orecchio)Ecco ecco... Sta            rimettendosi.Rin­viene, È guarita. Non c'era neppure    bisogno di me. (Infatti, si presenta Orsa all'uscio di sinistra: dietro lei Vulcano cerca di trattenerla, ma lei lo             tira fuori; dietro loro Marcolfo e per ultima Dea, che           rimane nel vano della porta. Il Dottore in medicina ci ha     preso gusto)C'è altri che si sente male?

la gente   (delirante)Bravo! Viva! chi è? (Fanno gazzarra intorno             al Dottore in medicina).

vulcano   (insiste presso Orsa)È inutile. C'è troppa gente.

            Torniamo di là. Riposate cinque minuti. Qui, Marcolfo. la contessa orsa             È finita, è finita.

marcolfo       E allora torniamo via.

Riesce a farla voltare: lui e Vulcano, uno da una parte e l'al­tro dall'altra, la sorreggono e conducono verso l'uscio di si­nistra. Dea e la guardarobiera per farli passare escono, ma la guardarobiera dal fondo, Dea da qualche altra parte guardando in qua e là. La gente, diffusa, continua a divi­dere in due diagonalmente la scena gazzarrando intorno al medico, che non vuol più scendere, mentre il portatore ne è stanco. Dorante si affaccia da destra.

dorante   Non resisto più. Oh... (Vede dall'altra parte della scena di spalle Orsa, e i due che affettuosamente la tengono. Si      lancia, ma la gente lo trattiene).

la gente         Uh com'è stravolto! Dottore, lo visiti.

Intanto Orsa e i due sono usciti da sinistra.

dottore in medicina   Si, portatemi lontano, se volete che lo visiti.            Lontano... di là.

la gente         Via, via.

Baccanando se ne vanno via da qualche parte, col Dottore. Cosi Dorante riesce a farsi avanti; nello stesso momento, Vulcano e Marcolfo rientrano da sinistra.

marcolfo  (soffia lungamente come chi non ne può più, e si getta a sedere).

dorante (li affronta)Perdio me la pagherete!

marcolfo       To'.

dorante  (a Marcolfo) Chi è lei? lei avrà a che fare con me, se non            mi spiega immediatamente...

marcolfo (esplode: contrasto tra le sue parole irruenti e la sua     immobilità nella poltrona) Chi sono io? Senta, signore, io       sono uno che da un'ora, un'ora, vo cercando qualcuno, uno             qualunque, con cui attaccar lite, perché non ne posso più; e     se avessi qualche cosa da spiegarle non le spiegherei niente,            per poter litigare; e sono felicissimo di aver trovato lei, che         mi pare debba andare proprio bene. Forza. Avanti.   Litighiamo, perdio!

dorante   (rimane per qualche istante interdetto).

vulcano  (in piedi; conciliante) Sentite...

dorante (si rivolta a lui) E lei chi è? (Minaccioso) Sa che...? vulcano (serafico) Chi sono? Senta, signore, io sono uno che a    qualunque costo vuole evitare le questioni e i litigi; e perciò,            sebbene ignori nel modo più perfetto di che cosa ella stiasi             preoccupando, io l'assicuro che ha ragione lei, che ho torto io, che non ho fatto apposta, e le chiedo scu­sa, si, scusa,           tanta scusa, e non lo farò più; si, sì, ha ra­gione...

dorante         Lei lasci quella donna, altrimenti...

vulcano         Sì, sì, la lascio sùbito. Quale donna?

dorante   (si volge a Marcolfo) Oppure lei, se...

marcolfo       No, no, non la lascerò mai, mai! Quale donna?

dorante         Loro si prendono giuoco di me. Sta bene. Li av­verto             che domani mattina debbo ripartire, per ragioni su­periori di      servizio (azione dei due), ma abbiamo tutta la notte davanti a noi. Salgo in quei camerini. Per un'ora aspetterò là.      Tenente di vascello Dorante.

vulcano e marcolfo            Dorante!!

marcolfo   (s'alza)    Ah...

vulcano         Oh...

dorante         Che c'è ancora? (Sta per alterarsi di nuovo). vulcano         La prego, la prego: è tutta la sera che la stiamo cercando.

marcolfo       Dappertutto!

dorante  (a Marcolfo)   Perché?

marcolfo    Perché... (Si pèrita) Senti: non è parte mia, dillo tu.

vulcano         Mio Dio, tra giovinotti... gentiluomini... La con­tessa Orsa era con noi; l'abbiamo accompagnata qui noi... a cercar           lei...

marcolfo (intanto è andato a sinistra a chiamarla) Contessa! dorante  (a Vulcano) Non mi spiego...

Marcolfo è tornato a loro, allora Vulcano corre anche lui fino all'uscio di sinistra.

vulcano         Venite, Orsa.

dorante  (a Marcolfo) Allora mi spieghi lei...

Entra da sinistra correndo Orsa e si trova di fronte a Do­rante.

marcolfoEcco fatto. (Sta impalato a guardarli).

vulcano    (piano tirandolo per la falda)   Ritiriamoci.

Si scostano.

marcolfo      E Dea?

vulcano         Ecco: andiamo da Dea. (Si allontanano) Te ne          occupavi tanto volentieri.

marcolfo Credi? Sarà. Non so neppur io. Che confusione !

Escono. Sono rimasti Orsa e Dorante. Uno di fronte all'al­tra, si guardano, fremendo di contrastanti sentimenti, senza riuscire a parlare. Finalmente:

la contessa orsa Ma dillo! è vero? Confessa.

dorante         Tu mi parli cosi!

la contessa orsa      Chi è la donna con cui sei uscito?

dorante         Uscito! Non mi son mosso di là, ad aspettarti. Ma     tu, tu vuoi lasciarmi, tu m'hai lasciato già, e mi mandi ad        avvertire, così, freddamente, da...

la contessa orsa      Dorante sei pazzo.

dorante         Come? Poco fa quella tua amica, da parte tua...

la contessa orsa      Un'amica?... parte mia?... No, bugiar­do,        dimmi invece...

dorante         Sì. Una donna, vestita di verde, con un serpe qui!

la contessa orsa      Ah, vipera! Quella è Dea. Non è vero! non è             vero! Da due anni t'aspetto, ogni minuto; tutta la notte ho           spasimato cercandoti. Dorante, come puoi cre­dere?

dorante         E tu... tu mi vuoi bene ancora?

la contessa orsa      E non è vero che eri con un'altra?! Dio, che   cosa ci hanno fatto. Perché?

Suoni e rumori si appressano.

dorante         Non possiamo rimaner qui. Vieni. Ho tante cose da dirti.

la contessa orsa      E io a te. Dove?

dorante         Là forse è più tranquillo... Prima che tornino... Oh    Dio, è qui.

Intanto i suoni hanno deviato e si sono allontanati. Rientra Dea.

dea      Ihhh... cara, l'hai trovato.

la contessa orsa      Che cosa gli hai detto, bugiarda, cattiva? dea            Io?

dorante         Glielo dica, che non è vero, perdio!

la contessa orsa      Dorante!

dea      Ihhh... Ho capito. Santo Cielo, Diiio, ho scherzato sìii.

la contessa orsa      Vipera.

dorante         Vieni via, vieni via.

S'allontanano verso il fondo; Dea li segue alle spalle stri­sciando.

deaVogliatevi bene, cari, tanto bene, siiii... (I due escono dal         fondo. Dea pensa, poi velocissima risale la scena e viene a            svegliare il Servo vecchio. Sottovoce e rapidamente) Avete da scrivere, presto?

servo vecchio           Certo; queste previdenze fanno parte della    mia professione. (Ha cavato di tasca un foglietto, una      sopraccarta, una stilografica).

dea      (scrivendo, su un ginocchio, con un piede appoggiato alla poltrona del servo, parla) Qualcuno che porti d'urgenza,        sùbito, presto, questo biglietto.

servo vecchio           C'è. Sùbito. Lo trovo io.

dea  (continua a scrivere) Di grandissima urgenza, al conte Orso, al Consiglio dei Venti... il palazzo è vicino... sss...

servo vecchio            Lo so. Dia pure.

dea      Ma presto.

Servo vecchio (esce a sinistra).

Rientrano Vulcano e Marcolfo.

marcolfo       Ma che cosa è accaduto? Io non capisco niente.

dea      Dev'essere difficile per lei capire.

Intanto rientra il Servo vecchio, fa segno di sì a Dea che lo guarda; torna al suo posto e s'addormenta.

vulcano         Anch'io non ho capito niente... (vede l'azione) ma

            ho capito qualche cosa.

marcolfo       Questo dev'essere ancora più difficile.

 

Entra il ragazzo dalla sinistra.

ragazzo  (monotonamente) Ecco i numeri per il quadriglie­ne dei    frati e dei diavoli... (Trascorre. A Vulcano) Ecco i nu­meri             per il quadriglione...

vulcano         Vai, vai...

ragazzo  (a Marcolfo)     Ne vuole?

marcolfo       Nonso.

vulcano         No.

dea                  No.

ragazzo         Perché non vuole un numero per il quadriglione        dei...?

vulcano         Però... Prendetene uno(Lo prende dalla borsa te­nuta dal ragazzo, lo dà a Dea; il ragazzo esce ripetendo: «Ec­co i numeri», ecc.).Dea, ho un vago sospetto che occorra tenervi d'occhio. Intuisco

dea      Intuite, intuiiite, caro...

vulcano         Intuisco che stareste sprigionando una tragedia.

            Per fortuna c'è Vulcano.

dea      Iiiih, che fortuna.       

Ride, e fischia; non può tenersi e fischia forte e acuto; eri­gendosi e attorcendosi. L'ultimo fischio è acutissimo, inna­turale. È interrotto da

una voce dal fondo(che esclama)Bellissima! (È la donna in Domino brutto che, da sola questa volta, è apparsa all'alto della scaletta e contempla Dea. E ripete) Bellissima!

Tutti e tre si voltano.

vulcano         La voce che conosco! Ma chi è? Chi sei, maschera? domino brutto   (avanzandosi) Guarda: il critico della sva­satura... (Si toglie la mascheretta: è Donna Fiora) Che caldo!

dea      Lei qui?

donna fiora Io, sì; io vengo sempre, in incognito, a esami­nare le signore che hanno vestiti miei, come li portano.

marcolfo       Questa è magnifica. Ma sono stanco.

donna fiora Ne ho viste quattro. Due discrete. Una orribil­mente: ed è un'attrice! Domani glielo mando a prendere, il mio      vestito, con un pretesto, e poi non glielo restituisco mai più,             no no, e mai mai più avrà vestiti da Donna Fiora.

vulcano         Donna Fiora, non poteva mettersi un domino meno scalcinato?

donna fiora      (alza le spalle).

Entra un secondo ragazzo da sinistra, va a parlare all'orec­chio del Servo vecchio. Dea li osserva; il ragazzo torna via.

servo vecchio (a Dea, che gli si è accostata) Viene sùbito.

dea      Bene.

vulcano  (ha sentito) Chi viene sùbito?

dea      Ihhh... un gelato di crema e fragola... ihh...

vulcano         (ironico) Donna Fiora, ha avuto una bella idea, di

            vestire la signora Dea da serpente.

donna fiora   (semplice) Lo so: un'idea sublime. E come lo porta! Invece... oh venga a vederla

            la grande attrice e dica lei... (Trascina Vulcano alla   balaustrata e lo fa guardar giù, poi lo obbliga a scendere).

dea      Marcolfo, non mi fate più la corte?

servo vecchio   (tra sé) (Cominciano a darmi sui nervi. E qui non ci si dorme più). (Sale la scaletta di destra ed esce).

marcolfo  (rispondendo a Dea) Non so. Sono stanco. (Si   getta a sedere).

dea      Stanco di farmi la corte?

marcolfo   (la guarda) Chi ne capisce niente? dea Sono bella?

marcolfo       Si. Oh quest'oggi, tanto dolce...

dea      Che c'entra? Me lo fate un piacere?

marcolfo       Un piacere da muoversi, o un piacere da star fermo? dea     Da muoversi.

marcolfo  (dopo un sospiro) Forza!

dea Sono inquieta per Orsa. è uscita di là (accenna il fondo a          destra) con Dorante: ma poi chi sa dove hanno girato. Andate a vedere dove sono. Non la disturbate, che sta col    suo amore, poverina... Non vi fate vedere. Venite soltanto a         dirmi dove stanno.

marcolfo       Ecco fatto. Perché?

dea      Per stare attenta che non le accadano dei guai.

marcolfo       Che guai?

dea Ihh quante domande. Basta!

marcolfo       Io vado, poi torno: allora voi...

dea      Allora...

marcolfo       Dolce.

dea      Ihh, come lo zucchero. Viiia.

Vulcano torna su, dalla scaletta di fondo.

marcolfo (andandosene) Vediamo. (Esce dal fondo a destra).

vulcano    (a Dea)     E’ venuto?

dea   (con un guizzo)   Chi?

vulcano         II gelato di crema e lampone.

dea      Ihh, sciocco. Ora viene... sìii viene viene.

vulcano         E prima avevate detto crema e fragola.ègrave.

            Dea, che cosa state macchinando?

dea      Niente. Siete della polizia voi?

vulcano         Forse.

dea      Ihhh... ne vedrete delle belle.

voce del ragazzo(da lontano) Chi ha il numero per il       quadriglione dei frati e dei diavoli venga a prendere il             vesti­to; al tocco del gong lo infilerà.

vulcano         Che cosa gridano?

Entra il ragazzo.

ragazzo (monotonamente ripete) Chi ha il numero... (ecc.).

dea  (maligna, allucinata) Attento...

vulcano         Dea, non siete in voi, guardatemi.

ragazzo  (pedante) La signora ne ha uno.

Gente entra in fretta, da varie parti, esce da sinistra, rientra con in mano chi una veste rossa chi una veste grigia, torna via, ecc..

vulcano  (al ragazzo) Non romperci le scatole.

ragazzo (fugge spaventato gridando) Al tocco del gong lo infilerà.

vulcano (a Dea)   Date. Ve lo vado a prendere io.

dea   (gli dà con indifferenza il numero).

vulcano         Ho un'idea. (Scappa da sinistrò).

dea      Che bravo!

Rientra Marcolfo affannato.

marcolfo       Non li ho trovati.

dea                 Stupido.

marcolfo       Prima c'erano. Poi non c'erano più. Poi sì. Ora

            di nuovo no.

dea      Idiota! Doveva trovarli. Inventarli.

marcolfo       Che colpa ne ho io, se cambiano posto?

dea      A ogni costo devo saper dove sono. Li cerchi!

marcolfo       Se fossero usciti? dea Per tutta la città.

marcolfo       Se avessero preso il treno?

dea      Per tutta Italia.

marcolfo       II piroscafo?

dea      Per tutto il mondo. Nella luna. Nella Via Lattea, imbe­cille.    Ora lui viene, e loro non ci sono!

marcolfo       Chi viene?

dea (s'arresta) Ihh... il gelato di crema e fragola, ah ah ih!(Scoppia            a ridere spasmodicamente, e finisce la risata con uno           schiaffo a Marcolfo) Bestia!

In questa rientra Vulcano, con una tonaca da frate in mano. Dà una rapida occhiata alla scena.

vulcano         Non ci meditare. Marcolfo. Ecco, Dea, la veste che   v'è toccata in sorte per il quadrigliene. Al tocco del gong...

dea      Me ne infischio, idiota anche voi.

Grande colpo di gong dalla profondità del luogo, ripetuto in sale più vicine, poi più vicine ancora.

vulcano         Ecco. Mettetelo, Dea.

dea      Siete veramente rimbambito.

marcolfo       Tanto per fare, lo provi. Ci tengo.

dea      (insinuante) Basta che ve n'andiate sùbito a cercare...

marcolfo       Concluso.

Altro colpo di gong. Passaggio lontano di gente vestiti o da diavolo o da frate, scarsi.

Vulcano indossa a Dea la tonaca col cappuccio in capo, mentre ella si agita.

marcolfo       Ma ne vorrei uno anch'io. Mi piace quasi di più. Che            bel frate!

dea      (ha subito assunto postura da predicatore, e parla con voce           nasale) No, una fraticella sono, una umile suora, non un frate. Dio m'ha mandato in questi luoghi di peccato per        persuadere...

vulcano (come un ipnotizzatore) Che ne hai fatto di Orsa e            Dorante?

dea  (dopo uno sforzo di memoria) Uh sono in peccato, ho cercato             di allontanarli uno dall'altra, e dal peccato entram­bi! (Ha camminato fino alla balaustrata, e di là si sporge a predicare a quelli disotto) Uomini e donne, tornate alle      vostre case domestiche, ai focolari raccolti, e umiliatevi in   preghiera, beneficate, fuggite i gorghi della concupiscenza,           uh uh vedo sorgere dal fondo di quei flutti...

La gente di sotto urla: salgono stelle filanti e palline vario­pinte contro Dea.

dea   (volgendosi ai due) E quanto a voi, dolci fratelli...

marcolfo   (convinto) Recita bene.

vulcano      Ma dimmi (angosciato) lo sai dov'è Orsa?

dea      Non so, ma ora, appena arriva il signor conte Orso suo         sposo...

vulcano         Viene il conte qui!

dea      ... gli toccherò il cuore; per questo l'ho mandato a     chiamare...

marcolfo   (ride) Ah ah...

 vulcano    (atterrito) A chiamare!

dea      ... e lo convincerò a perdonare, a riaccogliere la moglie        adultera sotto il tetto contaminato; e dal loro talamo             fecondo...

vulcano         Maledizione!

dea                 Uh la parola empia, fratello!

vulcano         Non deve accadere! Corri, Marcolfo...

marcolfo       Correre ancora!

vulcano         Corri di là (accenna a sinistra) non lasciar entrare il conte Orso. Fa che se ne vada via. Trova il modo. Ferma­lo.          Digli che è stato uno sbaglio. Insultalo. Convincilo.   Ammazzalo. Ma che non venga qui, se ne vada.

marcolfo       Ammazzarlo? Con che cosa?

vulcano  (lo spinge a sinistra) Che non entri per le sale, so­            prattutto, via, via.

Marcolfo è spinto fuori. Si sente un urlo dal fondo.

donna fiora  (l'urlo è suo; ella s'è affacciata all'alto della scala di            fondo) Che è? Che mostruosità è questa? (Finisce di salire e      corre a Dea).

Da qui in poi tutto il resto dell'atto è accompagnato da un Musica rumore continuo e confuso di quella folla nascosta, conmusica interna, e urli più forti nei punti in cui è indicato. Riappare a sinistra Marcolfo.

marcolfo       (di sull'uscio affannato chiama) Vulcano!

vulcano         (accorre a lui) C'è? L'hai mandato via?

marcolfo       Non è venuto nessuno. (Quasi singhiozzando) Ma    se viene, penso che non posso né persuaderlo, né             ammazzarlo, né mandarlo indietro...

vulcano         Perché?

marcolfo       Perché m'è venuto in mente, (desolato) che non l'ho             mai visto.

vulcano         Imbecille. Arrangiati. Domanda a tutti. Ferma tutti.

marcolfo       (feroce) Ammazzo tutti.

vulcano         Via!

Marcolfo via in fretta a sinistra. Frattanto Vulcano è torna­to di qua: e vede che Donna Fiora con ruggiti di rabbia ha tolto la tonaca a Dea, la quale è di nuovo in veste serpente­sca, ma col capo scompigliatissimo.

donna fiora  Vergogna! (Ha fatto un fagotto della tonaca, ed è andata a buttarlo sdegnosamente giù tra la gente).

Urli della gente di sotto.

dea (lancia un fischio lungo e lacerante di serpente ferito). vulcano         Disgraziata! Ah no, a qualunque costo, no!!

Si precipita a Dea, mette un piede sulla coda della veste verde. Dea si rivolta con un guizzo, la coda si strappa. Dea emette rotti sibili. Vulcano le mette le mani addosso e strappa la testa di serpente; anche le spire che avvolgono il collo di Dea si snodano e staccano, l'alto della veste rimane lacerato e cadente. Vulcano di là lancia con violenza la te­sta di serpente traverso la scena, giù tra la gente, che di sotto urla più forte.

donna fiora (dalla balaustrata si volta, e dà un urlo immane)       Sacrilegio ! (Si getta schiumando addosso a Vulcano e gli     dà un pugno poderoso che lo fa barcollare).

vulcano         Ci mancava questa frenetica! (S'aggrappa al            domino di Donna Fiora, che si lacera; poi con un lampo di          ge­nio glielo sfila del tutto) Allora, questo!

donna fiora   (rimasta in sottana fugge da sinistra strillando)        Vigliacco, contro una donna. dea (sul proscenio, a destra,             si sta sbattendo e divincolando con brevi soffi, serpe            troncato).

vulcano         Questo, e il diavolo m'aiuti. (Afferra Dea per le        spalle, le mette addosso di forza il domino lacero; lo infila    dall'alto lacerandolo anche più).

Il capo di Dea ne esce più che mai scompigliato. In queste azioni Vulcano pronuncia parole mozze e inarticolate.

dea   (cessa improvvisamente di sibilare, e si getta in terra lacrimando lamentosamente) Dio, Dio mio...

vulcano         Almeno per ora, almeno... (Rimane a guardare lei che piange, un po' stupefatto, ansimando).

dea      (si trascina in un angolo, singhiozza ancora) Mio Dio... (e cessa anche di gemere).

Da sinistra rientra Marcolfo.

marcolfo (si affaccia, e di là chiama Vulcano con voce soffoca­ta)             C'è uno, che può essere lui, e può non essere lui... (Con un   gesto) Barba...

vulcano   (ha capito che è il conte Orso. Rapidamente, concitato,             ma a mezza voce) Corro io a portarlo via. Tu penserai ad      accompagnare a casa Dea. Ci ritroveremo là, a casa di Dea. (Via presto a sinistra).

marcolfo       Questo è più facile. Ma dov'è Dea? Non mi ci           prendono più. (Esce cercandola, barcollando, da qualche           parte: non la vede in quell'angolo, ove ella pare un mucchio           di stracci).

Qui i rumori e suoni interni affievoliscono, poi muoiono. Con l'ultimo rumore cessa anche la musica. Silenzio totale.

dea  (È rimasta sola. S'agita un po' e ricomincia a gemere. S'alza   sui ginocchi. Si passa la mano sulla testa scarmigliata e             sulla faccia. Geme ancora penosamente, poi si alza in piedi,           rima­nendo curva e misera. Si guarda, e si vede tutta lacera.            Muove due o tre passi lamentosi per la scena) Tutta a          pezzi... Poverina... Ho fame, sono povera... (Adocchia un     pa­nino sul bancone abbandonato, poi lo afferra       guardandosi attorno con paura; gli dà un morso affamato,       poi lo nasconde stringendolo al petto) Poverina me... (Si      appoggia a uno spi­golo presso l'uscio di sinistra e tende la         mano come un men­dicante) Un pezzo di pane... che Dio ve             ne renda merito... un pezzo di pane... un soldo, alla       poverina...

Sipario.


ATTO QUARTO

La stessa scena del primo atto. - Alba.

Nessuno in scena. - L'armadio è mezzo aperto. Alcuni de­gli attaccapanni coi vestiti sono qua e là per la camera. Quali siano, si vedrà dal monologo di Vulcano.

Si sente sonare il campanello. Entra Nina, sonnacchiosa e scarmigliata.

nina    Signora: signora. (S'avvicina al sofà-letto. Vede che non       c'è nessuno, il sofà-letto non è neppure scoperto) Oh non      c'è! Come avrà fatto la signora a sonare, se non c'è?             (Suonano di nuovo). Ah è alla porta: ora ho capito come   ha fatto. (Esce).

Pausa a scena vuota. Entra Vulcano, rincorso da Nina.

nina  (lamentosa) Ma come, signore, a quest'ora! vulcano Che ora è?

nina                Non lo so.

vulcano         E allora perché dici « a quest'ora » ?

nina  (rimane a bocca aperta. Poi di scatto) La signora non c'è. vulcano (rifacendola)  Ma come non c'è, a quest'ora?

nina (tutt'a un tratto si spaventa) Oh Dio Dio, che cosa sarà            accaduto? Sarà morta!

vulcano         è terribile come le donne non hanno paura delle       parole! No, non credo che la tua padrona sia morta. Cre­do,             anzi, che le sarà molto difficile morire.

nina    Senta, io non la capisco, non mi sono ancora pettinata. vulcano     Si vede.

nina    E a ogni modo lo vede anche lei, che la signora non c’è.

vulcano         Per me, c'è.

nina    Oh allora, s'accomodi e buona conversazione. (Esce molto   indispettita).

vulcano (solo) Infatti. (Saluta alcuni dei vestiti) Cara Dea,             signora Dea, donna Dea! (Spalanca l'armadio) Dea, Dea,     Dea, Dea... Quante dee. A scelta. A profusione. A volontà. Basta aver quattrini per pagare Donna Fiora artista-sarta.     Cinico! Perché cinico? Lo dite voi, cinico... (al vestito          color tortora) voi, che ieri - no, l'altro ieri: oh, quando vi ho ve­duta la prima volta, al tè della contessa, era soltanto     l'altro ieri? e ora tutto è finito? sarà - voi, che l'altro ieri         m'avevate quasi fatto innamorare. Voi, cara Dea, senza        saper che cosa vuol dire, mi chiamate «cinico»: ma lei -        dov'è? eccola- (al «tailleur» rosso) lei, donna Dea, la           mattina dopo me l'ha sùbito fatta ritrovare, la mia testa. A          me, che vuole? piacciono le donne dolci, benefiche e           sottomesse; lei - mi permetta che la consigli - deve attenersi agli uomini un po' candidi, agli uomini un po'         pupi, come Marcolfo; Marcol­fo: ah, che dite voi?    (all'abito color tortora) che anche a voi Marcolfo ha fatto    grandi dichiarazioni, più tardi, nel po­meriggio, e, diciamo    così, al secondo atto? Non vuol dire: lui s'adattava; per lui    non ci volete voi, cara Dea, lui conti­nua a pensare a donna    Dea... (accenna al « tailleur») la qua­le - questo stavo           dicendo - la quale non mi chiamerebbe «cinico» soltanto           perché ho detto... Non so che cosa ho detto: perché debbo   ricordarmene? perché obbligarmi a essere conseguente? in   mezzo a questo vostro profumo che mi dà alla testa. Il         profumo, ecco la vostra unità. Olimpo. Olimpo di dee   belle davanti a cui mi viene una gran voglia di mettermi in   ginocchio, sebbene, sebbene, sì, io lo sappia, chi siete voi             (al tortora) chi è lei ( al « tailleur») chi sei tu (a un vestito   giallo con tralcio di pampini cucito alla gonna) oh a te do        subito audacemente del tu, a te, Dea « creatura di lussuria» come dicono i romanzieri popolari. E fai, fai, fai, pur che tu non dia scandalo... (S'interrompe salutando un abitino     rosa) Oh cara signorina Dea, ma quanto è cresciuta! Come            sta papà? a rivederla; (torna a rivolgersi al giallo) che tu             non dia scandalo, dicevo, che tu abbia certi riguardi, Dea;    non andare a raccontare i fatti tuoi, per esempio, alla             signora Dea, vedila (a un abito scuro molto serio e   compun­to) oh no, signora Dea, quella che è passata?             (accenna al ve­stito giallo) non la conosco, no, so     solamente che è una certa Dea; mi chiedeva la strada e             gliel'ho detta, ecco tutto. E il commendatore suo marito? e    i suoi quattro figli? La zia in­ferma è ancora in casa? Ah lo   so, ai nostri giorni non c'è più quella correttezza, quel           «savoir faire», che... Ma lei, lei è un po' troppo curiosa: si,       appunto lei; tra tutte queste si­gnore, lei, signora Dea, per      esempio, è la sola che mi do­manda com'è andata a finire,            questa notte, la faccenda. E perché mai ha tanta smania di    saperlo? Lo conosce, lei, il conte Orso del Consiglio dei            Venti? No. E la contessa Orsa? Appena appena. O    dunque? Lei nei giornali legge la cronaca, la cronaca nera.        E perché non se li immagina, i fattacci? Senta. Io mi             aggiusto da me. Vuol vedere come si fa? Senta. O il conte Orso non li ha trovati e s'è lasciato tur­lupinare da Vulcano   - come? sì, Vulcano sono io: nelle grandi occasioni mi        piace parlare di me in terza persona - e allora niente di         fatto, e la commedia finisce bene. O ci ha ripensato, è       tornato indietro, e anche allora i casi sono due, come            dicevamo al fronte. O li ha ammazzati - non se lo sa         immaginare? sì, come Paolo e Francesca nell'antologia         poetica che lei studiava in collegio - e allora la commedia           è diventata una tragedia. Oppure è tornato, sì, ma ha             pensato bene di passarci sopra; ecco un terzo «genere», il      «dramma psicologico moderno». In qualunque dei tre          casi, le assicuro che a me, che a noi (accennando sé e le      altre vesti) che a loro (cenno vago verso il pubblico) gente   intelli­gente, non ce ne importa niente. L'importante è che,             in qualunque dei tre casi, rientrino, da quell'uscio,             Marcolfo e Dea - appunto, Dea - sa perché? perché possiamo tutti andare a dormire: (parlando ha rimesso             nell'armadio una per una tutte le vesti, tranne la gialla)       tutti, tranne tu; ah tu non la dormi la notte; tu dunque             fammi un po' di compa­gnia: io lo adoro tutto,           quell'Olimpo, ma in fondo in fondo l'unica con cui mi             senta tranquillo sei tu: la meno lontana da me, sei, e per       questo, davanti a te mi voglio inginocchia­re, così             (s'inginocchia) e alzare ellenicamente le braccia (le alza) e   se non fossi in frac ti canterei un ditirambo, ti toglie­rei           questo tralcio di pampino, così (eseguisce) ché tanto non     mi vede Donna Fiora artista sarta, Donna Fiora grande    fabbricatrice di divinità; e me lo metterei in capo come         una corona (lo ha foggiato a corona e se lo mette in capo)             e m'al­zerei (s'alza) e con voce di saxofono canterei... ma     sono in frac. Il frac è la logica. Il frac è l'affare. Il frac è il    maschio. Il frac è una cosa seria. Vattene. (La butta entro    l'armadio, e di colpo lo richiude. Poi si ferma d'un tratto,     come stupe­fatto a guardare quell'armadio chiuso. E             improvvisamente grida: ma non a voce alta) No: no.       Come faccio ora? Senza di te? Di te, di te, di te... (In varie   direzioni, sempre verso l'armadio) Aprimi! (Spinge con le           palme febbrilmente l'ar­madio: lo pigia e brancica come       una porta chiusa che si voglia forzare) Vieni: torna, torna      a me. Perché mi hai lasciato? Son io. Non è vero, non è        vero, torna, ti farò giocare con i miei pensieri, vuoi? Col            mio cuore, prendilo, ma torna, schiava prodigiosa, Dea,       torna, non posso vivere senza di te. (Si abbatte   disperatamente, mezzo gettato in avanti, con le braccia e     le palme alte e il petto appoggiato all'armadio, quasi           inanimato. Pausa. Alza d'un tratto la testa mostrando           d'aver udito rumore dalla parte dell'entrata. Poi    rapidamente si erge, si ricompone, dà un tocco al vestito,    si prepara sulla faccia un sorriso, e si volta all'uscio).

S'affacciano Marcolfo e Dea, e sùbito entrano.

dea  (in pelliccia, la testa avvolta d'una sciarpa bianca,      tranquil­lissima) Qui almeno fa caldo. (Si sbottona l'alto             della pel­liccia) Ho veramente bisogno di riposare.

marcolfo       È molto tardi.

vulcano  (ancora eccitato) Oppure molto presto. Siamo sul            limite ambiguo tra il tardi e il presto. È tardi, sì; ma datemi             un raggio di sole e sarà prestissimo. (Intanto Dea s'è             aperta del tutto la pelliccia). Come il tuo abbigliamento,            Dea, che intravedo, è ai limiti ambigui tra il più miserabile    ludibrio e il più trionfale dionisiaco eccitamento (Dea si    toglie la sciarpa dal capo), ma seti dò questa corona, ecco, sei la Bac­cante perfetta. (Gliela mette in testa, nell'istante     stesso in cui Dea getta via la pelliccia).

dea  (con la veste pittorescamente lacera della fine del terzo atto,    e con la corona di pampini in capo, esce a ridere come    ebbra) Uh uh buffi buffi, sempre così quando si torna         (parlando balla a valzer in giro per la camera) quando si        torna a tempo, a tempo di là, dove andavamo in quattro e     ritorniamo in tre. Ah ah vedete che lo so, e credevate che no? Oooh lo posso ridire una due tre volte, due tre quattro   volte (si ferma) ba­sta che non giriate, non mi guardate,         non spalancate, non parlate al manovratore: noooooooooooo... (Continua a lungo durante le battute             seguenti).

marcolfo  (esterrefatto a Vulcano) Non ha bevuto nem­meno un    bicchier d'acqua.

vulcano  (risponde con un gesto e un mormorio disinteressati ed   evasivi).

dea  (fa a valzer un'altra volta il giro della stanza, il suo     ooooo s'è mutato in un trillo acuto, senza             interrompere).

Entra intanto Anna.

anna   (portando una elegante vestaglia) Eccomi, signora: Ni­na      non capiva niente.

dea  (eccitatissima, canta forte ballando seguita da Anna) Nien­te, niente, non capiva, iva, iiiiva nien-te...

Anna   (le toglie la corona, le indossa la vestaglia).

dea  (di colpo è molto signora) Grazie, amici miei, d'avermi            accompagnata. Perdonatemi se non vi trattengo, ho tanto    sonno. Ma ci siamo divertiti molto. Buona notte signor         Vulcano, buona notte signor Marcolfo... (Dà le mani, una        per uno, a baciare ai due, che senza osare dir altro si          inchi­nano e si ritirano).

Rimangono Anna e Dea.

anna   Sieda, signora, che possa cominciare... (Dea siede con le     spalle al pubblico. Anna inginocchiata, le toglie le             scarpe, forse anche le calze, parlando) Davvero s'è divertita molto questa notte?

dea      O Dio, Anna, si dice sempre cosi... (Anna durante la            battuta di Dea che segue, le ha messo le babbucce, l'ha      fatta alzare, le toglie successivamente e molto           rapidamente, prima la signorile vestaglia, poi il domino             lacero, poi i frammenti dell'abito serpentesco; cosi che        all'ultimo Dea rimane in « combinazione » come al             principio della commedia. A questi varii momenti     corrispondono i cambiamenti di parole e d'in­tonazioni             della battuta di Dea)... si dice sempre cosi, ma in realtà, è    sempre la stessa cosa. Davvero se volessi raccon­tarti non      saprei; molto lusso... (è in domino lacero) uuuh, ho freddo, poverina... (è in veste da serpe: si rivolta ad             Anna) piano, stupida, iiih... (è in «combinazione», volta       verso il pubblico; le sue braccia si fermano un po'             sollevate: movi­menti meccanici: apatica, sillaba con la        voce vuota, legger­mente in falsetto, del principio) Come   di-ci? (Fa tre passi au­tomatici in avanti, e si ferma. Fa         ricadere le braccia lungo i fianchi, è senza sguardo).

anna  Ecco fatto; le scopro il letto. (Va al sofà-letto).

dea      Si ca-pisce.

anna  (ha un poco aperto l'imboccatura del letto; da lontano          con un gesto invita Dea) Se vuol venire...

dea      ( sivolta) Credo - che - ho - sonno... (S'avvia verso il            letto).

Dopo due passi di lei, si oscura del tutto la scena: si sen­tono nel buio altri tre passi netti, poi si chiude il sipario.

F I N E