Noze de Psiche e Cupidine

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Noze de Psiche e Cupidine

Noze de Psiche e Cupidine

Di Galeotto Dal Carretto

PROLOGO

Anime illustre, e voi notabile umbre

che tanto tempo in gran travaglio fusti,

tempo è ch'ognun de voi dal petto sgumbre

i lunghi affanni e qualche gaudio gusti,

e che de requie e refrigerio adumbre

da penser duri i spiriti combusti.

Però per darvi spasso, essendo nunzio,

a voi de Psiche la comedia anunzio.

ATTO PRIMO

COSMO et ENDILIZIA sua moglie vano a l'oraculo d'APPOLINE per intender qual fia quello che deve esser marito de PSICHE sua figlia.

COSMO.

Endilizia, mia compagna fida,

forza è ch'io scopri un mio pensero occulto

che cum gran noia nel mio cor s'anida.

Tu vedi quanto è frequentato el culto

da molti a Psiche, nostra ultima figlia,

per la gran venustà del suo bel volto.

E tanta è de ciascun la maraviglia

che prende de la vaga sua belleza,

che quasi ognun per Citarea la piglia.

Questa è sul fior de la sua gioveneza,

e pur marito alcuno ancor non trova,

perché ciascun per vera dea la preza.

E ben ch'abbi el ciel mostro ogni sua prova

in farla di beltate unico exempio,

questa excellente grazia non gli giova,

anci gli è tanto dispietato el scempio:

che per tal culto a l'alma afflitta patte,

che biasma el suo destin contrario et empio.

Altre due figlie che son magior nate

locate abiamo a doi incliti viri,

e questa cum noi perde la sua etate.

Per non star donche in tanti aspri martiri

voglio ch'andian da Febo al tempio santo,

aciò che i nostri voti lui inspiri,

e col verace suo divino canto

ne dia consiglio quel che a far abiamo

di questa figlia che se struge in pianto.

ENDILIZIA.

Cosmo, diletto mio marito, andiamo,

che te asicur che noi la perderemo

se in questi affanni troppo la lassiamo:

perché ho gran dubio, anzi formido e temo

che Vener, qual sprezata esser se vede,

non prendi contra lei uno odio extremo.

Nel suo divino oraculo ho gran fede

che dir ce debba che sarà marito

di lei, qual per mal nostro el cel ne dede.

Sì che hai eletto uno ottimo partito:

entriamo donche ne la sacra chiesa

dove è adorato Apollo e reverito.

COSMO.

Andiamo dove è quella lampa accesa

avanti a la sua ancona alta e divina

che sopra el sacro altar vedian sospesa.

Quivi ciascun di noi umil se inclina

con gli ochi bassi e cum genochi a terra,

chiedendo bon consiglio a sua cortina:

— Summo profeta Apollo, in cui si serra

ogni scienzia de' futuri casi,

quai sian per darni pace o trista guerra,

noi siamo in tanta ansietà rimasi

per l'ultima figliola nostra, Psiche,

che non so come siàn da morte evasi.

Però noi te preghian che tu ne diche

a cui potremo maritar costei,

la cui beltà gli fa tante alme amiche,

e quel che noi debiamo far di lei.—

APOLLO non veduto responde a COSMO.

APOLLO

Tua figlia lassarai qual morta al scoglio

che per sua sorte el ciel gli ha destinato;

e moglie fia d'un dio, che col suo orgoglio

tremar fa el mondo e 'l cel da ciascun lato,

e col veneno suo dà gran cordoglio

a chi se imbatte a star sotto el suo stato;

e qual serpente alato in l'aria vola,

e fuor de' petti uman i spirti invola.

COSMO, avendo sentito da l'oracolo d'APOLLINE la soprascritta risposta, partendosi dice per camino cum ENDELIZIA sua moglie le infrascritte parolle:

COSMO.

Ohimè, che chiaro i' vegio e ben discerno

che Psiche è per patir un grave danno

tal che sarò scontento in sempiterno.

Ohimè, che i vaticinii in cuor mi stanno,

e tanto in quello gli ho confitti e impressi

che mai dal petto mio non partiranno!

Ohimè ch'io sento d'empia morte i messi

che a l'anima mi danno un tristo anunzio

cum gran ponture, e stimuli soi spessi:

ma poi che piace al ciel, non li renunzio.

Essendo COSMO partito da l'oracolo cum sua moglie e per camino fatto avendo i soprascripti lamenti, ritorna mesto in cassa et in quello instante compare VENERE che parla cum CUPIDINE SUO figlio:

VENERE.

Come esser può che tolerar più degi

che una vil trista femina mortale

al nume mio cum sua beltà paregi?

Psiche è collei che a me vòl farsi equale,

che se più tardo a far provisione

contra di lei, el fatto mio va male.

Da mille bande vengan le persone

per contemplar costei, la cui belleza

è tanta e tale che non ha parangone.

Ciascun l'adora, celebra et appreza,

e cum tal brama par che la contempli

ch'ogni altra bella a pie' di lei si spreza.

In onor suo si fanno altari e templi

tal che è adorata in cambio mio per diva,

come comprendo in mille effetti e exempli.

Ei mio gran nume s'abandona e schiva,

e mia possanza, in cui tanto mi fido,

par che per lei d'ogni valor sia priva.

Gli altari mei c'ho in Cipro, in Pafo e in Gnido

de sacrificii restano deserti,

tal ch'in contempto vegio ogni mio nido.

La mia beltà, che cum iudicii aperti

a Palade, a Iunon già fu preposa

par che più gloria per costei non merti.

Ma non andrà cossì, ch'io son disposa

de vindicarmi de cotanto oltragio

e di questa onta sì vituperosa.

Però, figliol, in cui mia possanza agio,

fa che costei d'amor fervente acendi

d'un uom d'extrema sorte al suo paragio.

CUPIDO.

Matre mia cara, fa che in gioco prendi

gli indegni culti che a costei se fanno,

e' sacrificii, e' tanti onor stupendi,

che spero dare un sì vipereo affanno

al suo marmoreo et agiaciato cuore,

ch'ogni sua gloria volgerassi in danno:

ne vederai l'effetto in ben puoche ore.

COSMO con sua moglie menano PSICHE sua figliola al destinato scoglio cum li incesi lumi e lacrimosa tromba e sono acompagnati da molti parenti et amici vestiti a bruno, e COSMO dice:

COSMO.

Venite meco, amici, e voi cognati,

e tu mia moglie che mi stai da canto,

e tuti voi che seti qui adunati,

aciò che noi cum lamentevol pianto

accompagnamo al destinato scoglio

Psiche figliola mia, diletta tanto.

Ché, ben ch'io pati al cuor aspro cordoglio

examinando in me l'aspra sua sorte,

a l'oracul d'Apollo obedir voglio:

qual cum anunzio duro, acerbo e forte

mi disse che costei fia maritata

ad un celeste e serpentin consorte.

ENDILIZIA.

Figliola sopra l'altre da me amata,

che fia di me? Chi più darà conforto

a la mia trista vita et affanata,

poi che considro al gran dolor che porto,

vegendo, ohimè, che per divin decreto

abandonar ne debbi in tempo corto?

UN CITADINO.

Più non conven che alcun de noi stia lieto,

poi che la patria nostra è priva in tuto

del tuo bel viso d'ogni ben repleto.

PSICHE.

Patre, che sei da gran meror destrutto,

e tu mia matre, che per me te affanni,

e voi, Mei citadin, che statte in lutto,

a che pigliate del mio caso affanni?

A che voi, cum lamenti aspri et amari

più m'affligete, e date al cuor più danni?

Qui goderete i premii preclari

de mie belleze e venustate egregia,

ch'in onor mio fe' far già tanti altari.

Prego ciascun che pianger non mi degia,

ché pianger dovevati alora, quando

era del patre mio ne l'aula regia

e che 'l popul me andava celebrando

cum divin culto e cum solemne onore,

me Citarea cum gran rumor vocando.

Ma se l'advien che in questa sorte i' more,

sol per cagion di Vener sarò morta,

qual mi persegue cum mortai livore.

Andiamo al scoglio ormai per la più corta,

ove el mio fin fatal veder desio,

che 'l tanto in via tardar troppo me importa.

A che più aspetto? A che più tardo io

d'andar col sposo mio, che per exizio

de tuto el mondo naque, e per mal mio?

COSMO.

Rimane in pace cum felice auspizio,

e prego Giove che bon fin te dia,

e che 'l benigno ciel te sia propizio.

PSICHE.

Vale, mio patre, e tu, pia matre mia.

PSICHE essendo partiti el patre e matre e parenti et amici soi riman sola, e CUPIDO non veduto da lei, mirandola dice egli solo cossi:

CUPIDO.

Mirabel cosa è 'l volto de costei,

qual non umana parmi, ma divina,

tanta è la grazia e venustà in lei;

però se tuto el mondo a lei se inclina

in venerarla cum solemni onori,

per la beltà che a lei el cel destina,

non biasmo già collor che son cultori

d'una belleza cossì degna e elletta,

et ognun che per Citarea l'adori.

Pur, cum l'aurata e ceca mia saetta,

che tuto el cel mi fa servo e somesso,

de la mia matre far vo' la vendetta.

Ohimè, che mi son ponto da me stesso!

ahi lasso, che per lei tuto quanto ardo,

et esser suo pregion già mi confesso!

Quanto el suo viso più contemplo e guardo,

tanto m'accende più la fiamma molle

ch'esce dai raggi del suo dolce sguardo,

qual sì scorendo vammi in le medolle,

e cum tal vampa poi m'asendia el cuore,

che l'arco e' strali da le man mi tolle.

Zefiro dolce, se mi porti amore,

leva costei dal destinato sasso

col spirito tuo privo de furore,

e portala suave là giù al basso,

a pie' del bosco, in quella amena valle

ove è l'albergo mio, d'angustie casso.

ZEFIRO.

Cupido, non di' più; ché in su le spalle

portar la voglio cum tranquillo vento

al tuo pallazzo bel per dritto calle.

CUPIDO.

Or me ne torno al terzo cel contento

vegendo ch'al mio letto averò quella,

per cui s'è fato dianzi un gran lamento.

Se cum l'aurate acute mie quadrella

io non ferisco lei, come me impose

cum grande affetto la mia matte bella,

no 'l puosso far per le fiame che ascose

mi sento in mezo el già ferito petto,

qual son sì acerbe e tanto impetuose.

E come può un pregion, ligato e stretto,

prender mai l'arme e far pugnando offesa

al vincitor guerer de chi è sugetto?

Però se meco fia lei d'ira acesa

ché, come el dover vòl, non l'ubedisca,

non puosso più, ben che forte mi pesa,

ma forza fia che 'l sdegno suo padisca.

Partito che è CUPIDO, PSICHE vien portata da ZEFIRO nel bel palazzo d'Amore; e nel intrare un CORO non veduto canta questa canzone. El CORO canta.

CORO

Veni, sposa, e qui possede

el bel regno a te parato,

che per te l'ha destinato

quel che t'ama cum gran fede.

Veni, sposa.

Questo è il luoco grato e ameno

che se aguaglia al paradiso,

questo è il lieto e bel terreno.

che d'affanni sta diviso.

La virtù del tuo bel viso

ti fe' degna di tal sede.

Veni, sposa.

Qui conven che tu te scordi

la gran casa de tuo padre,

e che più non te ricordi

di sorelle, né di matre,

ché in 'ste camere legiadre

seco el sposo a star ti chiede.

Veni, sposa.

Noi siàn qua per te servire

e far quel che ne domandi,

e dicate ad ubedire

tuto quel che ne comandi;

e per tuto se ne mandi

andaren cum presto pede.

Veni, sposa.

Leva donche, o ellecta sposa,

dal tuo cuor ogni dolore,

e non star piu sì pensosa,

ma sta lietta e fa buon cuore,

che per sposo un gran signore

el benigno cel ti dede.

Veni, sposa.

Mentre che questo CORO de donne non vedute canta la soprascripta canzonetta, PSICHE portata da ZEFIRO nel pallazo dice tuta admirativa:

PSICHE

Ohimè, dove sono io? Che albergo degno,

vago et ornato e rico di tanto oro

è questo, ove ora per mia sorte vegno?

Quanti ornamenti, quanto bel tesoro,

quante capsere de gran gemme piene

che vegio qui senza custodi loro!

Quante voce odo angeliche et amene

de donne puoste per mia servitute,

e pur alcuna avanti a me non vene.

Una DONNA non veduta.

DONNA

Eletta sposa, noi sian qua venute

sol per servirti a tutte quante l'ore,

e dal tuo sposo sian qua constitute.

La porta de la camera è aperta e non se vede alcuno.

Entra qua dentro, e non aver timore.

Eccoti el bagno, et ecco el tuo bel letto

u' dormirai col sposo tuo signore.

Ma pria te laverai nel bagno netto,

e poi che ben lavata tu sarai

la cena prenderai per tuo diletto.

E poi la cena tu te spoglierai

e noi, tue ancille, te discalzaremo,

e tu nel letto te corricarai:

ivi col sposo noi te lassaremo.

Finite queste parolle l'uscio par che si serra per sé e PSICHE rimane sarata in camera, dove si lava, cena e va a dormire e da uno altro canto le due magior sorelle ritrovandosi in casa del mesto patre fano gli soi lamenti cantando la subseguente ode.

Le due SORELLE de PSICHE.

Patre almo, caroe tu, pia genetrice

ch'in pianto amaroper la morta Psiche

tanto infelice,miseri vivete

più non piangete;

lassate el piantoa noi due poverelle

qual meste tantoquanto altre sorelle

biasman le stellequal ne son sì iniche,

empie e nemiche.

Or che faremoin questa amara vita,

qual trovaremoal dolor nostro aita,

poi c'ha finitala sua sorte umana

nostra germana?

Ahi crudo Fattoet improbo destino,

che n'hai rubatoel suo viso divino

nel bel caminode soi giorni gai!

Or di': che n'hai ?

Altri guadagnigià tu non facesti

se non ch'in lagnilacrimosi, infesti,

tu lassi i mestisoi parenti e amici

tanto infelici.

Rapidi fiumiche dal cuor venete,

e fuor dai lumicum furor corrette,

orsù, piovetesopra del terreno,

cavette el freno.

Finita questa oda la camera del patre ove sone queste due SORELLE si serra et CUPIDO in quello instante essendo in letto cum la sua PSICHE parla cum lei stando però sempre la camera serrata e dicegli cossì:

CUPIDO.

Psiche, mia dolce e placida consorte,

io vegio in te un periculo eminente,

qual se non schivi ti fia duro e forte.

Pianto han col patre tuo derotamente,

le tue sorelle, perché stiman tuti

che le tue membre sian de vita spente;

e di lacrime cogli ochi non asciuti

cercando i toi vestigi al scoglio andrano

cum ululati e miserabel luti.

Ma se soi stridi a le tue orechie iranno

non gli responder, perché mi daresti

non puoca doglia, e tu n'aresti danno.

PSICHE.

Sposo, che in letto meco qui giacesti,

poi che son tua, io son per obedirti,

per questo non convien ch'in doglia resti.

Partito che è CUPIDO, PSICHE apre l'uscio e dice lei sola queste parolle:

PSICHE.

Ahi, cel contrario, forza m'è scoprirti

questo mio affanno inusitato e novo

ch'or sì m'afflige i tormentati spirti!

Qual pregionera sola qui mi trovo,

vidua e priva de colloquio umano,

e mai di questo loco non mi movo;

né a mie sorelle, che in dolor insano

per me stan meste, i' puosso dar salute,

né veder manco, il che tanto m'è strano

che par ch'io perdi la vital virtute.

PSICHE torna in la sua camera et serrasi l'uscio et essendo in letto cum CUPIDINE gli dice così a lei:

CUPIDO.

Son queste le promesse che facesti

questa passata notte a me nel letto

nel qual tu meco, o Psiche mia, giacesti?

Che cossa or più da te spero et aspetto,

poi che tu di veder hai tal desio

le tue sorelle, e sprezi el mio precepto?

Fa' come vòi, ché già non recuso io

che non consegui el tuo bramoso intento

qual te fia certo ancor dannoso e rio.

Ma del mio bon ricordo e documento,

il qual ti dedi già per tua salute,

te ne ricordirai cum pentimento.

PSICHE.

Per le tue voluptate da me aùte

te prego che 'sta grazia non mi nieghi

che mie sorelle sian da me vedute.

CUPIDO.

Diletta sposa, forza è ch'io mi pieghi

al tuo voler, e in tuto i' me disponi

te contentar di quel che tu mi preghi;

però contento son che tu gli doni

gemme preciose cum monili d'oro,

veste, bisanti et altri nobel doni.

Ma ben ti prego asai che da costoro

seducer non ti lassi in ricercare

quel ch'io mi sia, che ciò sol cercan loro.

PSICHE.

Chiunche tu sei io t'amo e dèi pensare

che prima patirei ben mille morte

che mai de la promessa a te mancare:

e certo esser tu dèi, caro consorte,

che se tu fusti el bel garzon Cupido,

come te amo io, non te amarei più forte.

Ma se tu me ami asai come mi fido,

te prego che al tuo Zefiro comande

che porti mie sorelle in questo nido.

CUPIDO.

Non puosso contradir a tue dimande.

Zefiro, fa' che tu obedischi Psiche

se avien che in suo suffragio te dimande,

e fa' che al suo voler non contradice.

In questo tempo comparano per strada le due SORELLE de PSICHE quale andando al scoglio dove lei fu destinata dicano questa oda in canto.

Le SORELLE.

Triste, meschine,ohimè de noi che fia?

Qual peregrinese n'andian per via

cum fantasiaet intimo dolore

intorno al cuore.

Qual donne fùrodi noi più afflitte,

che in pianto oscuroe da dolor traffitte

portiamo scritene le facie smorte

nostra ria sorte?

Ahi, morte dirae piena d'ogni male,

contra noi tiral'arco tuo mortale,

e col tuo straledanne aspre ferite

a nostre vite,

poi che abatestine l'acerba giostra

e che occidestila sorella nostra,

qual fe' tal mostracum sue virtù magne,

ch'ognun la piagne.

Psiche, sorella,dove sei? Che fai?

Tua facia bellaquando vedren mai?

Se patian guaidegli tal casi rei,

pensar lo dèi.

Odi le vocie le querelle insane

e i pianti attrocide le tue germane,

ch'in queste straneet aspre centrate

stan sconsolate!

PSICHE esce del pallazo et udendo i queruli ululati e dolente voci de le sorelle sue dice:

PSICHE.

A che, sorelle, v'affligete tanto?

Eccovi quella per cui lacrimate.

Lassate donche el lamentevol pianto,

e le bagnate guance ve siccate,

poiché vi lice di veder collei

qual d'abraciar e di basar bramate.

Zefiro, se a me tu obediente sei,

sì come spero ben che tu serai,

porta le mie sorelle ai lati mei.

ZEFIRO.

Madona, el iusto tuo voler arai

come tosto portarò le tue sorelle

al bel pallazo, dove sola stai.

PSICHE.

Or pur mi lice, o mie germane belle,

qui d'abraciarvi e de basarvi ancora,

contra el voler de le contrarie stelle.

LA PRIMA SORELLA.

Noi benedir possemo ben quest'ora

dove sian gionte cum felice auspicio

a questo luoco dove fai demora.

I nostri cuori più non han suplizio,

poi che noi viva te vedemo al mondo

cum manifesto de' nostri ochi indizio.

Per te sian state cum dolor profondo,

credendo noi che tu già morta fusti:

or siamo liete, et altro non respondo.

PSICHE.

Giove non lassa mai perir i iusti.

Ite più adentro, aciò che i divin cibi

di voi, qui a mensa, l'una e l'altra gusti.

Sedete, e qui ciascuna mangi e bibi

a questo prandio, qual, se non è bono,

vo' che deffetto a queste mie se ascribi,

qual per ancille destinate sono

a questa mia custodia e servitute

dal mio marito, a cui son data in dono.

L'ALTRA SORELLA.

Queste donzelle, che son constitute

al tuo servizio, fanno el suo dovere

ancora che da noi non sian vedute.

LA PRIMA SORELLA.

Sorella cara, io vorei sapere

de che condicïone è questo sposo,

ch'ha questo bel pallazo in suo puotere.

PSICHE.

De prima barba è 'l sposo mio formoso

qual va caciando el giorno per ristoro,

poi vien la notte e meco sta in riposo.

Questi monili, queste gemme et oro

vo' che sian vostre, e queste aurate veste

che hanno i recami cum sotil lavoro.

Itene donche a' vostri alberghi preste,

e tu, Zefiro mio, fa che le porti

a le lor stanze col tuo vol celeste.

L'ALTRA SORELLA.

Vale, sorella, e fa che te conforti.

Finito el primo atto se dirà questa canzonetta.

Invidia, che non puoi?

Quanto gli effetti toi

son tristi dove vòi!

Invidia, che non puoi ?

Quanto aspro è 'l tuo furore

se avien che alberghi in cuore

che sia pien de livore

e segui i passi toi.

Invidia, che non puoi?

Tu sbatti, offendi e svili

i spiriti gentili

cum gli furori ostili

insidiosi toi.

Invidia, che non puoi?

Virtù sempre è percuossa

da la tua mortai possa

e puosta in scura fossa

da li seguaci toi.

Invidia, che non puoi?

Tu sei guerrera antiga

et improba nemica

di quei che cum fatica

fugon gli assedii toi.

Invidia, che non puoi?

Ad ogni amor fraterno

perturbi el bon governo,

col tuo livor interno

e coi fer dardi toi.

Invidia, che non puoi?

Fuge, maligno mostro,

da questo albergo nostro,

che 'l tuo veneno hai mostro

coi tristi effetti toi.

Invidia, che non puoi?

ATTO SECONDO

LE DUE SORELLE portate da ZEFIRO sul scoglio andando verso la casa del patre dicano per camino tra lor cossì:

LA PRIMA SORELLA.

Improba, iniqua e parcial Fortuna,

or ben demostri el tuo maligno effetto

contra di noi cum ira tua importuna!

Ch'essendo in punto infausto e maledetto

nate d'un patre e d'una matre propria

sì come Psiche ch'ha tanto diletto,

sì come abiette aver debiamo inopia

del ben che lei, qual è di noi menore,

non conoscendo e indegna, ha tanta copia.

E noi, che sian sorelle sue magiore

sian maritate a poveri mariti

e de la cara patria nostra fuore:

e questa abbi de noi meglior partiti

avendo per marito un dio celeste

se gli iudicii mei non son mentiti.

Vedestu quante gemme e aurate veste,

quanti monili e quanto lucido oro,

è nel pallazo dentro a capse e a ceste,

che se anco ha uno sposo de beltà decoro

questa è felice sopra le felici,

tal che nel fin di' dei fia eletta al coro.

L'ALTRA SORELLA.

Sorella, gli è ben ver quel che tu dici,

e ben comprendo ch'ella ancor fia diva,

perché iube a invisibel servitrici,

e Zefir d'ubedirla non se schiva.

Et io per mia fatal, infausta stella

son moglie d'un che d'ogni ben me priva:

è grosso in ogni parte, fuor che in quella

ch'io lo vorei, e certa son che ognuno

d'esto vechion più masculo se appella.

LA PRIMA SORELLA.

E io ho un marito de vigor degiuno,

rustico, iniquo, stranio e sì geloso

ch'al parangon di lui non glien'è alcuno,

qual è tuto sidrato e podagroso

coi diti torti, e cum enfii genochi,

e quasi sempre in letto fa riposo.

E in contemplarmi sol se pasce gli ochi

e me nutrisce de parolle amene:

ma certo altro vorei che sol fenochi;

e perfricar poi spesso me 'l convene

cum fetidi fomenti e unti panni

e ungerli le spalle e schena e rene,

tal che le man mi bruso per mei danni,

e tenemi per medica e servente

e non per moglie sua, già fa tant'anni.

L'ALTRA SORELLA.

Sorella, i' parlarò liberamente:

di tal fortuna e tal felicitate

quale ha costei, non puosso star paciente.

Ricordati cum quanta auctoritate

e quanto orgoglio in noi se sia exibita

mostrando un puoco amor e caritate;

e come lei, de gran tesor fornita,

così vil cose n'abi dato in dono,

e come accellerò nostra partita.

Benché sia donna, di cuor tanto i' sono

che mi delibro far che questa trista

sia puosta dal marito in abandono.

Qui ne conven che cum mentita vista

a pie' del patre renoviamo i pianti

per quella, che 'l suo cor tanto contrista;

e non far noto cum alcun sembianti

né cum parole, manco a' nostri viri

quando ambedue gli giongeremo avanti,

ché pur ne son tropo asperi martiri

a veder quel de cui noi piene siano

d'intensa invidia e di mortal sospiri,

senza che sua felicità vediano:

ché quei felici, a li iudìci nostri,

el cui ben late ad altri, non stimiamo.

LA PRIMA SORELLA.

Questo è ben detto, e bona via mi mostri;

ma voglio ch'ascondian questi monili

quando del patre giongeremo ai chiostri.

L'ALTRA SORELLA.

Eccoti el patre in quei luochi gentili.

LE DUE SORELLE giunte al patre dicono cum queruli canti questa canzoneta.

LE DUE SORELLE

Ohimè, che non troviano

collei ch'abiamo persa,

qual per sua sorte adversaforse è morta.

Qual fia che ne conforta?

Che ne darà soccorso,

poi che del caso occorsoabian tal doglia?

Se sian de mala voglia

ai volti nostri afflitti

cum chiari soprascriptiel demostriamo,

che Psiche noi cerchiamo

cum gran singulti e pianto,

e lei in alcun cantonon troviano.

PSICHE essendo in letto col marito ode la sua voce che gli dice queste parolle:

CUPIDO.

Psiche mia cara, i' torno a replicarti

che sei per cader in pericul grande,

se dal ricordo mio forse te parti.

Le tue sorelle cum lor opre infande

sono per darti un sì importuno assedio

che vinta errando andrai in varie bande,

e tanto fia el fastidio e noia e tedio

che cum sue finte ciance ti daranno,

che al suo livor non trovarai rimedio.

Costor col suo bel dir ti suaderanno

ad explorar el mio celato volto,

qual se vedrai, vedrai per tuo gran danno.

Però se queste cum inganno occulto

da te verran, non far del suo dir cura,

che di versuzia tuto fia suffulto.

Se per simplicità tua mal secura,

per la tenera età, tu non puotesti

questo patir, almen ciò far procura:

fa che tu a lor l'orechie tue non presti:

se te demandaran del tuo marito,

fa che 'l suo dir senza risposta resti.

Ché, se sarò, o Psiche, obedito

questo tuo infante ch'hai nel ventre ascoso

sarà come divin poi reverito,

ma se paleserai quel che t'ho impuoso

che tacer debbi, el figlio fia mortale,

e tu ne resterai col cuor doglioso.

PSICHE.

Tace, che sforzaromi d'esser tale

che 'l tuo consiglio non mandarò in oblio,

né al nostro fanciulin son per far male,

ché, amando ogni tuo ben, amo anco el mio.

Essendo partito CUPIDO, al solito modo PSICHE apre l'uscio de la camera e dice lei sola così:

Quanto gaudio sento io

di questo figliol mioch'in ventre ho ascoso.

Se sto col cuor gioioso,i' n'ho ragione,

ché questo mio garzonefia divino.

Se 'l mio cor è indovino,esser de' apunto

el sesto meiso giuntoch'io rimasi

gravida, e quasiio non sento el pondo

ch'ho nel mio corpo tumido e fecundo.

LE DUE SORELLE andando al scoglio ove fu lassata PSICHE dicono per strada fra loro:

LA PRIMA SORELLA.

Sorella, al scoglio andiano,

aciò ch'esser possiano

portate ove vogliano

da Zefir ch'ha 'l suo spirto così leve.

L'ALTRA SORELLA.

Al scoglio aspettar deve

e già non gli fia greve

portarne in tempo breve

al bel pallazo ove è nostra sorella.

LA PRIMA.

Noi trovaremo quella

e cum dolce favella

faremo tanto ch'ella

ne scoprirà ch'è questo suo marito.

L'ALTRA.

Io tengo questo invito,

che l'optimo partito

qual tu proposto m'hai,

cara sorella, mi conforta asai.

CUPIDO essendo in letto cum la sua PSICHE gli dice queste parolle e pur non è veduto da lei.

CUPIDO.

L'ultimo acerbo e dispietato punto

del tuo doglioso e miserabel caso

per più mia doglia, come dissi, è giunto,

tal ch'in angustie tante son rimaso

e tanto el spirto mio s'afflige e langue

che già son fato de miseria un vaso.

El sexo infesto et inimico sangue

cum impeto e furor ha preso l'arme

per far te, matre, col figliol exangue:

però, Psiche mia dolce, el tempo parme

che liberi da morte el parvo infante

e vogli la promessa tua servarme,

e quelle inique donne sì arrogante,

qual per germane iniustamente apelle,

lassar non vogli a te venir davante.

PSICHE.

Non dubitar che mai le mie sorelle

mi facian declinar dal tuo mandato,

per quanti pregi mi sapran far quelle.

Però ti prego, o mio marito amato,

che ancor di novo a Zefiro comande

che porti mie sorelle a me qui a lato:

che, poi che 'l viso tuo tu non mi pande,

almanco queste due contemplar possi

se avien che, come or facio, i' per lor mande.

Deh, placa i spirti da dolor percossi

de la tua sposa, qual te fia fidele

per fin che 'l spirto alberghi intro questi ossi!

Che almeno el tuo bel volto mi revelle

in questo infante che nel ventre porto:

poi me contento che lo tuo mi cele.

CUPIDO.

Le tue sorelle arai qui in tempo corto

e Zefiro de novo su le spalle

le porterà, per tuo mortal diporto,

al bel pallazo per l'usato calle.

Partito CUPIDO, PSICHE escie de camera e le dite magior SORELLE portate da ZEFIRO avanti a lei gli dicano:

LE DUE SORELLE

Salve, a noi cara et unica sorella,

noi qui portate dal suave vento

da te venemo in questa stanza bella.

La tua persona ha fatto uno incremento

tal che già matre te appellar possiamo,

e ben ne fai col ventre experimento.

Del tuo futuro parto noi abiamo

tanta letizia, e sian così iocunde,

che ben chiamar contente se debiano;

che, se ai parenti belli corresponde

el bel figliol che di te nascer deve,

nel tuo bel ventre el dio d'amor s'asconde.

PSICHE.

Care sorelle mie, non vi sia greve

refoccillarvi i spiriti già lassi,

che Psiche volunter qui ve riceve.

Per voi qui el bagno aparechiato stassi,

ivi la mensa de vivande piene

a mano a mano in ordine vedrasi.

Intrate dentro, dove voce amene

voi sentirete de l'ancille mie,

che nel cantar vi pariran sirene,

tanto fian dolce le sue melodie;

Queste ANCILLE non vedute cantano la subsequente canzonetta.

ANCILLE

Gloria al nostro almo signore

che noi serve ha destinate

a costei, che di beltate

fra le belle ha sol l'onore.

Mai non piace ad alcun core

tanto l'alma libertate

quanto a noi piace a tutt'ore

de star qui serve dicate

a costei, che di beltate

fra le belle ha sol l'onore.

Dil cel tuto el bel splendore

di costei negli ochii pate,

e noi, prese del suo amore,

voluntier se siamo date

a costei, che di beltate

fra le belle ha sol l'onore.

De virtute e di valore

le sue membra ha tanto ornate

che di gaudio ogni alma more,

ché 'l cel dede ogni bontate

a costei, che di beltate

fra le belle ha sol l'onore.

Viva donche el gentil fiore

pien di gran suavitate

e qualunche cum fervore

porta fede e caritate

a costei, che di beltate

fra le belle ha sol l'onore.

Finita questa canzoneta le SORELLE che erano serrate in camera cum PSICHE, tute de compagnia escono fora et una de loro cioè la magiore dice a PSICHE così:

LA PRIMA SORELLA

Sorella, poi che siàn da te condotte

piaciati dirne qual è 'l tuo marito

che vene a dormir teco qui ogni notte.

PSICHE.

Egli è un mercante pratico e sentito

qual negociando va per 'ste contrate

che del gran mare sono atorno el lito,

et è nel mezo corso di sua etate

et ha i capelli in capo già canuti,

come ricerca la virilitate.

Benché voi l'altra volta abiate avuti

già richi doni, questi ancor vi dono,

quai fian da voi per mio amor goduti.

Zefiro, torna cum tuo vento bono

le mie sorelle al destinato luoco

dove per me già lor venute sono,

ché 'l tuo presidio al modo usato invoco.

LE DUE SORELLE essendo portate in un momento da ZEFIRO sul scoglio usato dicano tra loro per camino:

LA PRIMA.

Forza è che 'l petto de gran sdegno me empia

vegendo el monstrüoso e van mendazio

che già ne disse questa nostra sempia.

Come esser può che quel de chi è 'l pallazio,

che 'l sposo suo, qual dianzi giovene era,

già sia canuto in cossì puoco spazio?

L'ALTRA.

Sorella, troverai cum prova vera

che questa non sa come sia el marito,

o che nel dir el ver non va sincera.

Come se sia, è da pigliar partito:

esterminar costei per modo tale

che 'l sposo suo da lei resti schernito,

ché noi debiàn presumer, se abiàn sale,

che se la facia del marito ignora,

ella esser moglie d'uno ch'è immortale;

ch'ella gravida essendo, vedrò ancora

in breve tempo matre esser d'un dio:

il che, se sarà ver, forza è ch'io mora.

Però, sorella, son di parer io

che noi torniano da' parenti nostri

e che gl'impiamo de cordoglio rio.

LA PRIMA.

Entriamo donche nei paterni chiostri.

Essendo giunte queste due SORELLE dal patre e da la matre, una di loro dice al patre:

LA PRIMA.

Patre, siàn state al destinato sasso

dove noi Psiche asai cercata abiano;

ben che l'abiàn chiamata ad ogni passo

e pur in luoco alcun non la troviano,

tal che calando del gran scoglio al basso

cum gran singulti a te venute siano,

aciò che piangi nosco l'aspra sorte

de tua figliuola, ch'è in puoter di morte.

COSMO.

Ahi lasso me, ch'io son così repleto

per la sua morte de cuocenti affanni,

che mai non spero de vedermi lieto,

anzi el suo fato abrevierami gli anni;

così cum questo mio dolor secreto,

sempre vestito de lugubri panni,

andrò piangendo i mei restanti giorni

in sin che 'l corpo in trita polve torni.

LA SECONDA SORELLA dice al patre:

Cum tua licenzia noi se ne andaremo

ai cari alberghi de' mariti nostri.

E tu, pia matre, che 'l tuo mal extremo

a le frequente lacrime demostri:

da te, scontente, se dipartiremo.

ENDILIZIA.

Andate in pace, e qui lassate in atre

doglie me trista e sconsolata matre.

LE DUE SORELLE se parteno e la seconda dice:

LA SECONDA.

Torniàn, sorella, a l'eminente scoglio,

aciò che tosto Zefiro ne porti

al bel pallazo, dove gabar voglio

colei c'ha i spirti soi non troppo accorti.

E se i parenti nostri han gran cordoglio,

se cerchino qualcun che gli conforti:

ché 'l suo dolor procede da pietate,

e noi da invidia siamo tormentate.

LA PRIMA.

Poi che sian giunte al scoglio aspero et alto

gittiansi giuso tosto in precipizio,

e non abiàn paura di tal salto,

ché Zefir col spirar ne fia propicio,

e portarane in quella valle al smalto,

facendo fidelmente in noi suo officio.

Prendine, o Zefir, sopra le tue spalle!

ZEFIRO.

Et io vi prendo e portovi in la valle.

Essendo queste due sorelle portate da ZEFIRO ne la vale, apre la porta del pallazo la secunda SORELLA; nel intrar de la porta dice a l'altra così:

LA SECUNDA.

Entriàn, sorella, nel pallazo grande

dove la porta, al solito costume,

senza custodi notte e giorno pande.

Ecco colei che sagia esser presume

e sopra ogni altra è simpliceta e stolta,

qual sola sede su le molle piume.

Psiche, noi siàn venute un'altra volta

per darti aviso, se non te provedi,

ch'in gran travagli te vedremo accolta.

Tu senza affanno qui beata sèdi

e noi avendo de tue cose cura

abiàn dolor di quel che tu non vedi.

Sapiàn di certo che di notte oscura

una gran biscia in molti nodi intorta

vene a star teco, e tu stai qui sicura.

E molti caciatori l'hanno scorta

già molte sere ritornar dal pasto

e il rio passando intrar in questa porta.

E dicon che tuo figlio sarà guasto

e devorato da la bestia fera

e 'n tuo puoter non fia fargli contrasto.

La risposta d'Appollo ben fu vera,

che al patre revelò che tua persona

a nozze d'una bestia dicata era.

Noi qui vedren l'elezion tua bona:

o se assentir vorai per tua salute

a noi, che 'l zel de caritate sprona,

e vivere cum noi in parte tute;

o nel gran ventre de la bestia seva

esser sepulta in questa gioventute.

Ma se pur forse de lassar te agreva

i tristi amplexi del protervo monstro,

al modo usato fa che tu el receva.

PSICHE.

Sorelle mie, voi fate el dover vostro

a farmi cauta del mio gran periglio

col segno de pietà ch'aveti mostro.

Costui, che voi me date per consiglio

che fugir debba, mai non vidi in facia,

né so se bianco sia, negro o vermiglio,

et ogni notte, pur che meco giacia,

se curïosa explorarò el suo viso,

de grave futur danno me minacia.

Però se dar possete qualche aviso

che a me col figliol mio salubre sia

volgete el mio timor in secur riso.

LA PRIMA.

Noi tosto qui te mostraren la via

che senza dubio te salvar potrai

col tuo figliol da questa bestia ria.

Un tagliante rasoio prenderai

e in quella parte dove giaci in letto

sotto le piume lo nasconderai.

Una lucerna piena d'olio netto

tu pigliarai, qual, poi che sarà accesa,

l'asconderai in qualche luoco abietto;

poi, quando l'empia biscia, essendo stesa

sopra el tuo letto, fia nel sonno forte,

tu conseguir potrai questa tua impresa:

che tu pian piano cum tue trame accorte

avendo el lume in man col ferro accuto

a questo serpe dar potrai la morte.

E quando arai el fatto tuo compiuto

in 'sti contorni noi t'aspettaremo,

e coi vicini ti daremo aiuto.

E a salvamento poi te guidaremo,

e cum nozze votive e trïunfante

cum un marito uman te giungaremo.

A te non diremo altro in questo instante:

noi tornaremo al destinato scoglio

col tuo suave Zefiro volante.

PSICHE.

Quel che voi dite far dispongo e voglio.

PSICHE essendo le sorelle sue portate da ZEFIRO sul scoglio dice lei sola:

Le mie sorelle son di qua partite

e col suo fero et optimo ricordo

al cuor m'han datto mille aspre ferite.

Da un canto a far el suo voler me accordo,

vedendomi esser moglie d'una bestia,

e per gran rabie ambe le man mi mordo;

da l'altra la pietà mi dà molestia

ch'al mio marito debbi dar la morte

per questo me ne vo cum più molestia.

Pur ho la Furia nel mio cuor sì forte

che non so come degia esser sì pia

che non occidi questo mio consorte.

De che dico io? A che voglio esser ria

contra collui che mai non mi fe' offesa,

qual forse non è ver che serpe sia?

Pur mie sorelle a questa accerba impreisa

m'han consigliata, e affermano del certo

ch'egli è una bestia, unde sto asai sospesa

e sto col mio penser perplexo e incerto,

né so pensar qual fia meglior partito

se fugir debba, o far questo demerto.

In bestia l'odio: e amolo in marito;

or vado, or resto; or temo, et or ardisco:

pur dar vo' el freno al ceco mio appetito.

Sorelle absente, orsù io vi obedisco,

e vomene a celar nel letto el ferro

e accender la lucerna ch'è sul disco

e a occultarla: e qua dentro mi serro.

PSICHE serrassi ne la camera, fa quello che ha deliberato de fare et in questo le due magior SORELLE comparano e parlano tra loro.

LA PRIMA SORELLA.

Io credo ormai che Psiche

se affanni et affatichein far l'impresa:

noi l'abiàn tanto accesain far quest'opra

che forza fia che scoprael volto ascoso

del suo non visto sposo,e a questa volta

la rimarà discioltadel suo amore,

ché ben me dice el cuorech'egli accorto

risveglierassi e non fia da lei morto.

Se costui morto fia,

questo el mio cuor desia,e se fia scampo,

di doglia aver gran vampogià non voglio,

ché sol m'atristo e dogliodi sua sorte

sì bona, e non di mortesua son vaga:

me basta che m'impagade 'sta trista

e che poi la conquistae facia tanto

che lei sprezzata se consumi in pianto.

Finito el secundo atto el CORO canta questa canzoneta.

CORO

Che cerchi far, o Psiche,

con questo tuo coltello?

Voler occider quelloche sì t'ama?

Ohimè, che la tua trama

è vana e a te dannosa:

ma sei da tua bramosavoglia indutta.

Collor che t'han condutta

a questa iniquitate,

saranno castigatedel suo errore.

Non vede tu che è Amore

collui che occider vòi?

Se vedi i volti soi,serai pentita.

Tal gli darai ferita

cum l'olio ardente ch'hai,

che tosto restaraida lui disgiunta.

Ohimè, che sarai punta

d'uno aureo suo strale,

tal che del tuo gran malefarai pianti.

Deh, levati davanti,

non prender la lucerna,

che per tua doglia eternaserà presa!

Lassa la vana impresa,

ché cerchi el tuo gran danno,

ch'Amor, per più tuo affanno,è per lassarti.

Dal bon precetto parti

che 'l bel fanciul ti dede,

e rotta gli hai la fede,o ingrata Psiche!

ATTO TERZO

Costoro se ascondano e PSICHE essendo col marito suo in letto, nel dormir che lui fa ella si leva pian piano et apre l'uscio et dice:

PSICHE.

Ohimè, che gli è pur giunto

el desiato punto,e mie man ponno

in questo primo sonnofar l'officio

e dar mortal supliziocol mio ferro

a questo, il qual se afferroben nel collo

io gli darò tal crollo,che la vita

tosto farà partitadal suo petto.

Pian pian me ne vo al letto,e il ferro prendo

così crudele e orrendo,e la lucerna,

aciò che ben discernaquel ch'ho a fare.

A lui mi vo acostare,poi ch'ho el lume.

Ohimè ch'egli ha le piume!Ohimè che belli

et aurati capelli!Ahi che bel viso!

Quanto più el guardo fiso,più me fido

de dir che sia Cupido,perché ha l'ali:

questi sono i soi straliacuti in punta.

Ohimè, che mi son punta,e' mi escie el sangue!

Ohimè, che 'l cuor mi langue,ohimè, ch'io moio!

Di man el fer rasoio,ohimè, mi cade:

così stupisco per sua gran beltade!

PSICHE basiando CUPIDO che dormiva e piegando nel basar la lucerna ch'era accesa e piena d'olio bollente, una gocia calda gli cade su la spalla di esso CUPIDO, quale scotando lo sveglia e dice cum gran crido:

CUPIDO.

Perfida Psiche, e piena d'amor puoco,

a questo modo, col tuo ferro e lume,

venisti a darme morte in questo luoco!

El gran precetto, el sacrosanto nume

di Venere mia matre ho disprezzato

contra el mio usato e natural costume,

e me contra el dover sono inchinato

a prenderti per moglie, e quel che fei

feci sì come scempio e insensato;

et io bon sagitario coi stral mei

per te mi son ferito, aciò che fera

parendoti, mi usasti atti sì rei.

Tu sai che 'l mio parlar teco sempre era

che non volesti investigar mio volto:

ma tu sprezzasti quel, come legiera.

Ma a vendicarmi non starò già molto

di quelle egregie tue consiliatrice

che t'han condutta a questo effetto stolto.

E tu, che fusti già tanto felice,

da me sarai punita cum mia fuga,

per cui l'alma tua trista et infelice

conven per doglia se consuma e struga.

CUPIDO avendo dito a PSICHE queste parolle si parte dal arboro e dispare e PSICHE inamorata lo segue e per camino se imbatte a pié d'un fiume nel qual gitandosi è portato da quello sopra l'acque in l'altra rippa dove è PAN cum una fistula in mano. Il qual sonando questa infrascripta canzonetta canta a la sua Siringa, mentre che le sue pecori pascano per quel lito.

PAN

Crudel, fuge, se sai

che far tu non potrai

che t'abandoni mai.

Crudel, fuge, se sai.

Sì stretto è 'l dolce nodo,

che cum piacente modo

mi tene in la fe' sodo,

che scioglier no 'l potrai.

Crudel, fuge, se sai.

Sì forte è la catena

che cum suave pena

pregion per te mi mena,

che non la romperai.

Crudel, fuge, se sai.

Salvagia, non fugire,

aspetta, non partire,

che tu mi fai morire

col tuo fugir che fai.

Crudel, fuge, se sai.

Non vengo per noiarti,

né per vergogna farti,

ma vengo per nararti

le pene che me dai.

Crudel, fuge, se sai.

El morbo non ti reco

che star non puossi meco,

ma vengo per star teco

a dirti li mei guai.

Crudel, fuge, se sai.

Non son tigro ni fera,

che tu superba e altera

cum desdegnosa cera

fugendo ognor mi vai.

Crudel, fuge, se sai.

Son ben tuo servo bono,

che 'l cuor t'ho datto in dono,

però se importun sono

per scuso tu m'arai.

Crudel, fuge, se sai.

Crudel, quanto più fugi,

tanto più m'ardi e brugi:

ma pensa che tu strugi

un ch'in tuo puoter hai.

Crudel, fuge, se sai.

Crudel, se bella sei,

benigna anco esser dèi,

e pascer gli ochi mei

col lume de' toi rai.

Crudel, fuge, se sai.

Crudel, per puoca cosa

la voglia mia bramosa

de quel che dir non se osa

puoi far contenta ormai.

Crudel, fuge, se sai.

Finita la canzonetta PAN vedendo PSICHE andar errando gli dice (e lei non gli responde):

PAN.

A toi sospiri et a la facia palida

per esser vechio e perché molto pratico

io ti conosco che d'amor sei calida

e quel dio ch'ami è contra te salvatico.

Frena el dolor e cum pacienzia valida

mostra in gli affanni l'animo tuo pratico

e cum bon core adora el dio Cupidine,

ma come blando e pieno de libidine.

PSICHE non respondendo al dio PAN gli fa riverenza e vassene per suo camino e dice sola:

PSICHE

Dove cercar più degio

collui che col cor vegioe non coi lumi,

per cui conven consumie che m'affligi?

Io seguo i soi vestigiie pur no 'l trovo.

Ohimè, che a l'alma provoun mal sì extremo

ch'in fiame occulte i' tremo,agacio et ardo

per quel occulto dardoche mi punse

quando da me se sgiunseel bel Cupido.

Ohimè ch'io piango e crido,e mie man mordo

sempre che me ricordodel mio errore

che veder volse Amoreal suo despetto.

Ma questo fu deffettode le due

sorelle, che cum sueparolle accorte

a questa extrema sortem'han condutta.

Ma nel mio cuor ho instruttauna vendetta

e prima ch'io mi metta 'andar più longi

forza è che me congiongicum costoro.

Io vegio una di lorostar in strada:

da lei conven che vadacum bei modi

acciò l'inganni e frodi,e ch'io gli dica

ch'Amor la vòl per sua fida amica.

PSICHE giunta da la SORELLA magiore gli dice:

PSICHE.

Giove, o sorella, faciati contenta

e salvi, e faci ogni tuo intento averti,

come per contra sono discontenta.

Io son venuta qua sol per vederti

e per nararti le mie angustie e guai

che per mia sorte porto in cuor coperti.

LA SORELLA.

Dimi, sorella, el dolor chiuso ch'hai

e qual è la cagion che qui soletta

venuta sei, e che facendo vai.

PSICHE.

La causa per che veni da te in fretta

dir te la voglio, ancor che 'l parlar mio

darà gran pena a me, già simplicetta.

Per exequir el tuo conseglio rio

volsi veder de mio marito el viso,

sì come quel che bestia el credevo io.

Avendo el lume in man cum sguardo fiso

el contemplai, e tanta beltà in lui

scorsi, quanta altra sia nel paradiso,

tal che compresi e vidi che costui

era quel ver figliol de Citarea,

dil che invagita e stupefatta fui;

e tanto gli ochi fisi in lui tenea,

che sopra l'umer suo l'olio si sparse

de la lucerna ch'in mano avea.

E la bogliente gocia così l'arse

che risvegliato dede un sì gran crido

che una anima danatta in cridar parse.

Aprendo gli ochi questo dio Cupido,

di ferro e fuoco alor mi vide armata

e disse: — Or quella sei de cui mi fido!

Pàrtete presto, e fa che seperata

tu sei in eterno dal mio sacro letto,

che tua sorella fia da me sposata. —

E tuto pieno d'ira e de dispetto

a Zefir comandò che mi portasse

fuor da' confini del suo santo tetto.

LA SORELLA.

Sorella, fa' che la tua sorte passe

come pòi meglio: e se egli non te vole

la ragion vòl che in pace stare el lasse.

PSICHE.

Pensa, sorella, che m'incresce e duole

che così sempiamente l'abbi perso:

ma può voglio obedir le tue parolle

portando in pace questo caso adverso.

Partita che è PSICHE la SORELLA va tosto dal MARITO e gli dice:

LA SORELLA

Marito mio diletto,

ogi m'è stato dettoet acertato

che 'l patre mio è passatode 'sta vita,

dil che tuta storditason rimasa.

Cum tua licenzia a casasua vo' andare

et ivi sospiraree lamentarmi

che 'l debito ben parmia far tai pianti,

quando sarò da mia matre avanti.

EL MARITO.

Dulcissima mia moglie,

io sento al cuor gran doglieper tal caso:

in tuto or son rimasosenza lume.

Ma poi ch'egli è costumech'ognuom more,

io portarò el dolore meglio in pace.

Deh, fa come ti piace,ma ti exorto

quando tu arai pianto el mortoche tu torni,

e cum tua matre troppo non sogiorni.

La magior SORELLA dice per camino così:

LA SORELLA

Io me ne vado in fretta

da Amore che m'aspettacum desio,

e spero altra esser iocum lui che quella

mia simplice sorella,che l'ha perso,

per non andargli a verso,e godrò l'oro,

le gemme e lo tesoro,e quelle veste

de fino auro conteste,e sue richeze,

et egli goderà le mie belleze.

Poi che son gionta al scoglio

precipitarmi voglioal modo usato,

aciò che col suo fiatoel dolce vento

me porti a salvamento.Amor, per moglie

fa' che me accetti e toglie,e tu suave

Zefir non ti gravein puoco d'ora

portar me, tua signora,sopra el tergo

al rico, adorno, degno et aureo albergo.

Costei precipitandosi giù dal scoglio cum opinione che ZEFIRO al modo usato la racogli e porti al albergo d'AMORE, non lo trovando ruina giù al basso e si rompe el collo.

PSICHE.

La magior mia sorella

se parte, e d'esser quellase persuade

che cum la sua beltatedegia avere

Cupido, e de giacereseco in letto:

ma vano fia el dilettoch'aver spera,

perché conven che pera,giù dal sasso

cadendo cum fracasso,ché lei, usa

d'andar cum Zefir, restarà delusa.

Su l'uscio i' vegio l'altra

che cum sua trama scaltram'ha tradita:

ma vo' che la sua vitaduri puoco,

ché accenderla d'un fuocointenso voglio

e rimandarla al scoglio,ove è consueta

cum aura dolce e quetaesser racolta;

e come ceca e stoltaconvien vada

drieto a quell'altra, e che giù al basso cada.

Sorella, Idio te salvi!

Per monti alpestri e callida te veni

e nel venir sostenigran fatiche.

Io, tua germana Psiche,veder volsi

quel che per sposo tolsi,et era Amore:

del lume col splendorechiaro el scorsi.

Alora ben m'accorsiaver fallito,

dil che biasmo l'ingordo mio appetito.

Cum la lucerna accesa

io, d'Amor forte preisa,el riguardai;

aviene che 'l scottaicum l'olio caldo

che mal io tenni saldoin la lucerna.

Alor pien d'ira interna,ohimè, mi disse

tosto da lui partisseper tal atto

e che volea contrattopoi far teco,

e che giacesti come sposa seco.

LA SECONDA SORELLA.

Questa è pur gran novella

qual sento, o mia sorella,che si' stata

d'Amor abandonata.Pria convienti

cum toi modi prudentiaver pacienzia.

Io vo' cum tua licenziaintrar qui in casa.

Se vidua sei rimasa,i'n'ho dolore:

non star qui mesta fuore,orsù vien meco,

che star dispongo insino a morte teco.

PSICHE.

Sorella, i' me dispongo

de far camin più longo:or sta cum Dio,

e fa che tu in obliomai non mi mande,

ancor che in altre bandeme ne vadi.

Ahimè che d'alti gradigiuso al basso

cum ruinoso passoor son qui giunta:

cagion ne fu la puntadel fer strale

di quel che via vola cum sue forte ale.

Essendo partita PSICHE, la seconda SORELLA, andando al scoglio, dice sola:

LA SECONDA SORELLA

Gabato ho pur costei

cum falsi sermon mei;e perché ho inteso

ch'Amor è di me acceso,da lui vado,

e ben mi persuadode confarmi

al voler suo; ch'amarmigli fia forza.

Zefir, portami a l'orzacol tuo vento

al bel logiamentoove è Cupido,

che questa notte fia mio sposo fido.

Giongendo costei al scoglio e credendosi esser raccolta da ZEFIRO se getta giù dal scoglio e cadendo se occide. VENERE compare e parla lei sola.

VENERE.

Quel bianco ucel che sta del mar su l'onde

m'ha datto, ohimè, pur dianzi tal novella

ch'ogni dolor nel petto mio s'ascende.

Cum sua loquace e garrula favella

m'ha revellato come el mio figliolo

arde d'amor d'una mortal donzella,

e che doglioso, sconsolato e solo

è ritornato vulnerato et arso:

e temo de morir per spasmo e duolo.

Io come quella che ben far m'è parso

interogarlo dove el figlio andava

et in qual luoco è avanti a lui comparso

e qual era la donna ch'egli amava:

se ella era ninfa, over nel sacro coro

de l'alme Muse o Grazie collei stava.

Disse che 'l vide andar pien di martoro

a piè del lito e cum grande fatiche

intrò dapoi nel talamo mio d'oro,

e che sua amica aveva nome Psiche,

del cui scoperto amor se n'ho gran sdegno

già non conven che col mio dir l'expliche,

perché costei, oltra che 'l mio gran regno

per sua mortal beltà s'è impoverito,

preso m'ha el figlio cum versuto ingegno.

Intrar qui voglio dove sta ferito

e menaciarlo cum tal fogia e modo

che rimarà del fatto error pentito,

e da indi avanti starà meco sodo.

VENERE intra ne la camera d'oro dove era el figliolo infermo e gli dice:

VENERE.

Iusta cosa è che mei precetti spregi

e chiami Psiche, mia mortal guerrera,

per più tua infamia e mei magior despregi.

Questa è l'egregia tua vendetta fera

ch'hai per me fatta col tuo ceco strale

contra costei, che del mio onor va altera?

Tu fanciul sei, e cerchi d'esser tale

cum immaturi amplexi qual gli adulti,

che puon gustar amando e bene e male.

Tu ferir sòli cum toi colpi occulti

molti mortali e dargli aspri penseri,

fiamme, sospiri, gemiti e singulti.

Tu, che al gran Giove e a soi divi imperi,

cum tue proprie arme vulnerato e leso,

ami, e sei servo dove signore eri!

Tu, irreverente, hai toi magior offeso

e me, tua donna et onoranda matre

col tuo stral d'oro, ch'in punta ha fuoco acceso.

Tu, paricida, percotesti el patre,

tu mille spirti et anime rubasti

cum tue man curve, involatrice e latre.

Non son sì vechia, no, che non mi basti

l'animo ancor de generar un figlio

che del tuo imperio el van desegno guasti,

o adoptarmi un qualche mio famiglio

a cui dia l'arco e strali e penne e face

e dal mio regno darti eterno exiglio.

Se la tua spalla hai arsa, ben me piace

che tu, che sei signor de tuto el fuoco,

offeso resti dal tuo ardor vivace.

Se cum tua sposa già prendesti gioco,

farò così che ne sarai pentito,

e che le nozze duraranno puoco.

Ma trista me, schernita, qual partito

prenderò mai per requistar mio onore,

poi che da tuti son monstrata a dito?

VENERE in questo tempo se parte dal figliolo e dice lei sola:

Non so se aiuto a Sobrietate implore,

che offesa fu da sua luxuria tanto,

per castigar questo giotton d'Amore.

Ohimè, c'ho grande orror andargli acanto

per esser lei sì rustica e sì turpe:

pur la vendetta a questo orror fia manto;

ché nulla trovo che sue forze usurpe

meglior di lei, né meglio lo castighi

né che 'l suo onor più maculi e deturpe,

né che cum più valor l'arco gli slighi

e gli disarmi i strali e face extingui,

né che 'l suo corpo con più forza lighi.

Alora parirami che me impingui

quando mie man gli tonderano i crini

che già d'unguento pien d'odor fei pingui.

CERES compare e diceli et ha cum lei IUNONE.

CERES

De', dimi la cagion che te destini

a far lamenti inusitati e novi

per questi luochi al regno tuo vicini.

VENERE.

Se far sperate cosa che mi giovi,

cercate quella fugitiva Psiche,

aciò che presa le mie forze provi;

già non conven che vi raconte e expliche

la fabula famosa de mia casa

né del mio figlio ancor conven ch'io diche.

IUNONE.

Che error fece tuo figlio, che rimasa

sei tanto calda in far di lui vendetta

ch'esser devrebbe dal tuo petto abrasa?

Masculo è quello, e ne l'età perfetta

d'inamorarsi, et el reprenderai

se ha per amica una alma giovanetta?

E tu, sua matre, sempre explorarai

soi piacer dolci e placidi deporti

e la lascivia in lui tu biasmarai?

E l'arte tue, cum che tu te conforti,

damnar vorrai nel tuo figliol formoso

e le delizie ch'ognor teco porti?

Qual fia quel dio o qual cuor amoroso

che più te adori e miri tua beltate,

se stimi che ad amar sia stil vizioso?

VENERE.

Io non vi voglio già per advocate.

VENERE irata partesi da costoro le quale ancora loro se ne vanno per un'altra strada et PSICHE in quello instante compare per camino e dice:

PSICHE.

Or quinci or quindi vo dispersa errando

e discorrendo tuto l'universo,

e pur non trovo quel che vo cercando.

Se cum blandizie e lusinghevol verso

non puosso far che 'l duro cuor se pieghi

del mio marito che m'è tanto adverso,

almen cum dolci mei servili preghi

placar dovrei costui, qual mi par strano

che questa iusta grazia mi deneghi.

Ma andar dispongo in quel tempio montano

che forse esser potrebe ivi el mio amante,

qual m'è così crudel et inumano.

PSICHE intrata nel tempio dice:

Ahi, quante spiche de furmento, quante

altre piegate qui sono in corona;

ahi, quante falce sono qui davante!

Ohimè, che forte l'animo mi sprona

ad ordinar le cose che confuse

par che qui in terra lassi ogni persona:

perché non denno mai esser deluse

le cose sacre, ma cum reverenzia

esser curate e in luoco degno chiuse.

CERES.

Misera Psiche, tu senza advertenzia

stai qui pigliando le mie cose in cura

e non considri a tua mortal sentenzia.

Vener sdegnata e tuta in vista oscura

ti va cercando e ti desidra avere

per far contra di te vendetta dura.

PSICHE.

Poi che mi lice el viso tuo vedere,

prego ch'abbi pietà de la tua Psiche,

qual se ritrova in tante angustie fere.

Per la tua dextra man che tien le spiche,

per l'alme cerimonie de tue messe,

ch'ogni anno al nume tuo son tanto amiche,

per le cose secrete qual son messe

qui in queste ceste e per gli toi draconi

che stanno al carro tuo cum l'ale spesse,

e per le luminose invenzïoni

di tua figliola, che trovasti in Stige

a piè Pluton ne l'ampie sue regioni,

ti prego, se 'l pregar se imprime e fige

nel tuo pietoso cuor, che odi la serva

che per timor di Venere se afflige.

Fa' che tua man qui me asconda e serva

in queste spiche, aciò che fugir possa

el gran furor di questa dea proterva.

CERES.

Per gran pietà la mente m'hai percossa

e più che voluntier t'aiuteria,

se non temesse la sua extrema possa.

Ultra di questo ella è cognata mia

e seco ho patto antiquo d'amicizia,

e tanta ingiuria a lei già non faria.

Però se non ti son così propizia

come voresti, abiame excusata,

né creder che ciò fazia per nequizia.

PSICHE partendo per strada dice così:

PSICHE

Poi che da Cerer sono abandonata

non vo' desister già non cerchi ancora

collui per cui al mondo son mal nata.

Andar delibro senza più dimora

dove è quel bello antiquo e sacro templo

nel qual Iunone al mio parer se adora.

Quanti bei doni in le porte contemplo!

Quanti bei velli recamati d'oro

tratti dal dotto de Minerva exemplo!

PSICHE ingenogiata a pié l'altaro dice:

Alma Iunon, che al maritale toro

de Giove tuo fratel congiunta sei

per voluntate del superno coro,

qual sopra tutti gli celesti dei

sei presidente agli connubii e parti,

abbi pietate a gl'infortuni mei!

IUNONE non vista gli risponde:

IUNONE

Io volunter vorrei aiuto darti,

ma contra Vener già non voglio andare,

né fargli ingiuria per voler ben farti,

per esser lei mia nura singolare

e per amarla come figlia propria:

vatene donca, e non voler qui stare.

PSICHE partendo dice:

PSICHE

Or ben comprendo ch'ho d'amici inopia

e insino ai dei mi sono, ahimè, contrari,

ancor ch'io ne credesse aver gran copia.

Ma ben ch'io vegia i cieli essermi avari

a farmi el ben che tanto già ho aspettato

e che gli amici veri in me sian rari,

gettarmi ne le bracie ho delibrato

de Citarea, e chiedergli mercede

ancor ch'abbi in me el cuor tanto turbato:

forse ivi fia cullui che 'l ciel mi dede.

PSICHE se ne va dentro ad una spelunca dove sta una povera donna da cui è racolta. VENERE compare insieme cum MERCURIO al quale dice così:

VENERE.

Mercurio, fratel mio, già saper dèi

quanto ho cercato quella ancilla trista

e quanto sforzo, studio et opra fei

per ritrovarla, ma non l'ho mai vista.

Però, se del mio ben amator sei,

per tuto andrai cercando lei per pista,

e 'l mio mandato come obediente

observarai cum fede e tostamente.

Tu de ogni banda manifestarai

cum chiara crida e publico proclama

che chi la tiene e non la rende mai

più farmi obsequio non conven che trama,

e se tu forse el nome suo non sai,

Psiche per nome questa ria se chiama:

ecco el libello ove el suo nome è scrito.

MERCURIO.

Sorella, exequirò quel che m'hai ditto.

Finito el terzo atto el CORO canta questa canzonetta.

CORO

Escie fuor, escie, o Psiche,

deh, non star più celata,

che Vener teco irata

ti cerca dar fatiche.

Mercurio ha comissione

de andarti ben cercando

e far palese bando

a tute le persone,

che chi ti tiene ascosa

te vogli palesare,

che no 'l volendo fare

sua vita fia noiosa.

Demostrati se vòi,

che tu non pòi fugire

soi sdegni e crudel ire

cum gli aspri furor soi.

Non vedi cum che trama

ti cerca, o Psiche, averti:

sapiàn che mal non merti,

pur la tua morte brama.

Quante fatiche arai

da questa dea proterva,

pur tu pazienzia {serva}

che requie alfin arai.

ATTO QUARTO

MERCURIO scorrendo tuto el mondo cum alta voce {dice} per camino:

MERCURIO

Per parte de Ciprigna i' fo la crida

qual vo' che fia per tuto el mondo intesa,

che chiunche Psiche sua vil serva infida

nascossa tene, tosto la palesa

e fuora del suo albergo la divida

e presto l'abbi consignata e resa:

che se a piè alcuno poi sarà reperta,

castigarà collui sì come merta.

UNA DONNA dove PSICHE stava ascosa, sentendo la grida de MERCURIO, dice a PSICHE:

UNA DONNA

Psiche, hai inteso quel che va gridando

quinci Mercurio, e come Citarea

ti va per tuto el seculo cercando

per darti pena e disciplina rea?

Però dispongo di servar el bando

et obedire a questa tanta dea:

vatene donche, et escie fuor del speco,

che più non vo' che tu qui alberghi meco.

PSICHE uscendo del speco se incontra in la CONSUETUDINE qual gli dice:

CONSUETUDINE.

Perfida ancilla, che tanto presumi,

tu pur sei giunta negli arbìtri nostri

e cum gli temerari toi costumi

signora alcuna aver non ti mostri;

e in quante valle, monti, campi e fiumi

t'abian cercata e in quanti alberghi e chiostri:

ma tu che sei da Venere fugita

de la tua audacia qui serai punita.

La CONSUETUDINE piglia PSICHE per capelli e percottendola la men avanti a VENERE, la qual facendo un riso sforzato, crollando la testa gli dice:

VENERE.

Tandem te sei de visitar dignata

la singular tua socra e tuo marito,

il qual sta in letto cum l'alma affanata,

né di star lieto sa trovar partito:

ma stà secura che sarai tratata

qual bona nura, e qui venir te invito.

Voi due, Sollicitudine e Tristizia,

punitime costei de sua mallizia.

La SOLLICITUDINE e la TRISTIZIA menano in casa PSICHE e la flagelano e VENERE stando fuora dice sola così:

VENERE.

Psiche sarà da queste due batuta

tal che 'l mio sdegno saziarò cum lei,

qual cum sue trame e sua beltà cernuta

per tuto disturbò già gli onor mei,

e che ha la gloria e la vittoria avuta

del mio figliol, ch'ha vinto omini e dei.

TRISTIZIA.

Eccoti quella che batuta abiamo

e avanti al tuo conspetto la meniamo.

Avendo la SOLLICITUDINE e la TRISTIZIA presentata PSICHE a VENERE, dicegli ridendo cum ironia:

VENERE.

Ecco che 'l gonfio ventre a gran pietate

par che 'l mio petto pien d'ardor commova;

ecco che in questa mia florida etate

avia sarò di questa prole nova.

Oh che conforto, oh che felicitate

qual par che 'l ciel per più mia grazia piova,

e certo n'ho ragion se mi consolo,

perché ho un nepote de costei figliolo.

Ma non è ver che sia nepote mio,

perché le noze già non sono equale,

e a tal contrato non glie interveni io,

né vi fur testimonii a pacto tale,

né manco el patre suo gli aconsentìo:

però questo connubio già non vale.

E quel che nascerà bastardo fia,

se patirò nel parto esserti pia.

VENERE ditte le parole la piglia per capelli e crolandola forte la percuote e pigliando molti grani de furmento et orzo, de miglio, de papavero, de ciceri, de lente e de fabe, quali tuti inseme erano misti, gli dice così:

VENERE

Così vil serva sei, che tu non merte

toi amatori salvo a questo officio,

e le prodeze tue sarano experte

cum questo ministerio et exercizio.

Queste semente in un raccolte e inserte

fa' che ogi le discerne in questo ospizio,

e quando ben divise tu le arai

tute stasera me consignerai.

VENERE se parte e PSICHE tuta stordita se muta e non sa che se fare e una formica a lei presente avendoli pietà, convocate molte formiche gli dice:

UNA FORMICA.

Pietà vi prenda, o mie compagne care,

de la moglie d'Amor periclitante

a cui vi piacia de soccorso dare

e seperar queste somenza tante,

aciò le possa a Vener consignare

in questa sera quando gli fia avante,

qual certo è socra dispietata e dura

verso costei ch'è unica sua nura.

Alora subito comparano molte formiche e discernano tuti quelli grani e VENERE carica de rose tornando et essendole consignate tute per ordine da PSICHE gli dice:

VENERE.

Io torno da la mia guerrera antiqua

qual vegio in terra star cum gli ochi mesti.

Ahi, ville ancilla, perfida et iniqua,

cum le tue man questa opra non facesti,

ma fu collui che già per strada obliqua

facesti andar, a cui troppo piacesti.

To' questo pane e mangia, e qui m'aspetta

in fin che torni, o giovene scorretta.

VENERE se parte e PSICHE resta et in questo instante CUPIDO infermo essendo custodito nel cubiculo suo dice solo così:

CUPIDO.

Ahi lasso, i' sto qui chiuso

e la mia matre accusode sevizia,

che cum sotil maliziae osteri modi

me tien molti custodisempre a canto,

e vòl ch'io stia qui tantoche sia sano.

Ma certo mi par stranostar qui privo

del viso adorno e divodi collei

qual ha in sue forze tutti i spirti mei.

VENERE ritorna dove è PSICHE e gli dice:

VENERE.

Vedi quel bosco ch'ha un bel fiume acanto,

dove son quelle peccore nitente

di color d'oro prezioso tanto,

che errando van nel pasculo florente

senza custode, e ben che nul le guardi

senza sospetto stan securamente?

Vatene donche e fa' che più non tardi

raccarmi qui del vel prezioso un fiocco

coi passi toi al ritornar non tardi.

PSICHE essendo partita da VENERE è per precipitare nel fiume e dice:

PSICHE

Ohimè, che 'l cuor ho di tal doglia tocco,

vegendo la sevità di costei

che a darme morte ria quasi trabocco.

Una VOCE usendo fuora de le canne che sonno atorno a quel fiume gli dice:

VOCE

Donna, che tanto travagliata sei,

non perturbar queste acque cum tua morte

che sante son per voluntà di dei,

né manco andar dal formidabel, forte

e fero grege che va quinci errando

al caldo sole per sua fatal sorte,

in fin che quel non vadi temperando

nel mezo giorno i fervidi vapori

al modo usato ver l'occaso andando:

ché mentre sono ardenti i soi calori

cum morsi e corne accute e saxee fronti

soglion dar morte a tuti i viatori;

e quando l'ora fia che 'l sol tramonti

le peccore, che aràn sua rabia spenta,

andran quïete per le valli e' monti,

alor tu ascosa et al tuo fatto intenta

le fronde di quel bosco quasserai,

e cum la lana tornarai contenta.

PSICHE.

Chiunque tu sei che tal conseglio dai

a me scontenta, adolorata e trista,

voglio obedirti, e te ringrazio asai.

Io me ne vo per la monstrata pista

e asconder qui mi voglio in queste fronde

aciò che poi d'alcuno non sia vista.

Ahi, come van le pecore gioconde

per ber del sacro fiume, ahi come vano

bevendo quelle chiare e limpide unde!

Tempo mi par che tosto esca d'affanno

e che le fronde del bel bosco crolli,

ché i solar ragi più calor non danno.

Oh che bei velli prezïosi e molli!

Or pur farò di Venere severa

i desideri fervidi satolli.

Ma vegiola star là cum torta ciera

e aspetarami che gli porti el dono,

qual forse da me aver costei non spera.

Da te, madona, ritornata sono

cum l'aureo vello come comandasti,

qual prego che tu accetti cum cuor bono.

VENERE.

Già da te stessa questo non pigliasti,

ma ben conosco chi ne fu l'auctore,

e come passò el fatto e questo basti.

Ma tosto provarò tuo forte cuore

e la prudenzia, e l'opere tue pronte

in quel che vo' che facci per mio amore.

Vedi quel sasso sopra l'alto monte

da la cui cima giù calando al basso

escon certe acque d'uno oscuro fonte,

le qual venendo da l'excelso sasso,

tute rinchiuse in la profonda valle,

dentro da Stige calan cum fracasso

et in Cocito van cum picol calle?

Vatene donche e portami in questa olla

di quelle aspre acque sopra le tue spalle.

PSICHE.

Madonna, obedirovi e portarolla.

PSICHE andando verso el sasso dice lei sola per camino così:

Io me ne vado al monte

per tore di quel fontele negre unde.

Ahi come son profondequeste valli,

ahi come sono i calliangusti e stretti!

Io vegio in quei ricettiun fer serpente,

qual par che mi spavente:ahi, trista sorte!

Se campo ogi da morte,i' son beata,

ma far dispongo la via cominciata.

Una VOCE ch'è ne l'acqua di quel luoco dice:

VOCE

Che fai, o Psiche, ahi stolta, dove vai?

Partete, parte, e non star qui sospesa:

ché se fornir vorai questa tua impresa,

andando avanti te ne pentirai.

Una AQUILA ariva avanti a PSICHE per camino e gli dice così:

AQUILA

Ahi stolta e di tal cose mal experta,

come comprendo a tue sciocheze conte,

ché cum astuzia tu ti rendi certa

furar de l'acqua di quel vegio fonte

qual tanto è formidabile, che merta

esser temuto più che Flegetonte

cum gli altri fiumi, e Giove per quel giura:

dammi questa olla, e statene secura.

PSICHE poi che l'AQUILA è partita cum l'olla dice:

PSICHE

Or vegio ben ch'i dei per sua clemenzia

han tolto in cura la mia afflitta vita,

ché l'aquila volante cum frequenzia

cum l'olla al becco quindi s'è partita

e spero che sia tosto a mia presenzia

cum l'acqua stigia per donarmi aita;

la qual come abbi, a Vener portarolla:

ecco che ariva l'aquila cum l'olla.

L'AQUILA tornando dice a PSICHE:

AQUILA

Psiche, depone la tua doglia rea,

ché t'ho reccata l'acqua che chiedesti:

portala donche tosto a Cetarea,

la quel torna da te cum passi presti.

PSICHE.

Ohimè, che ritrovar già non puotea

meglior soccorso agli mei casi mesti

quanto fu el tuo, dil che te son tenuta.

L'AQUILA.

Eccoti Vener: vanne e la saluta.

PSICHE.

Salve, sublima e veneranda diva,

i' t'ho portato l'acqua che m'hai chiesta.

VENERE.

Or vegio ben che se' executiva

a far ogni mia voglia e mia richiesta

e che tu d'obedirmi non se' schiva

e che nulla alta impresa te molesta.

Ma voglio ancora una fatica darte

e 'n questa ultima cosa ben provarte.

Cum questo busciol fa' che tu te parte

andando da Proserpina a l'inferno,

e giunta gli dirai poi per mia parte

ch'essendo del mio figlio egro al governo,

persa ho la mia belleza, e voglia darte

un puoco de belletto: ch'io discerno

che non è ben ch'io vadi in ciel diforme.

Poi, nel ritorno tuo, fa' che non dorme.

PSICHE andando per camino col busciolo dice:

PSICHE

Dapo' che Vener non è sazia ancora

de mie crudel fortune e aversitate,

pacienzia arò, che de' pur venir l'ora

che me trarà de tal calamitate:

però col busciol senza far demora

io me ne vado a l'infernal contrate,

aciò ch'essendo lei da me obedita

la sua indignazion vedi finita.

PSICHE giongendo apreso ad una TORRE sente una voce in quella che gli dice così:

LA TORRE.

Misera Psiche, a che te cerchi occidere,

andando giù dal sasso in precipizio

contra el voler del tuo destino e sidere?

Ché se dal corpo tuo pien de suplizio

el spirito fia diviso, i' te notifico

che più non tornarai nel primo ospizio.

Se andar vòi a l'inferno, i' te significo

che una cità d'Acaia è nobilissima

apresso a cui è un luoco asai magnifico,

ne la cui valle oscura e profundissima

apertamente pare un gran spiraculo

per cui se va ne la cità sevissima.

Ma se vorai intrar nel abitaculo

el non conven che vadi senza munere,

ché alcuni te fareber forse ostaculo.

Ma come ad alcun far se suol nel funere,

portar doi nummi in bocca è necesario

e in man due offe, aciò che gli remunere.

Andando un puoco avanti uno asinario,

col asino de molte legnie carico,

poi chiederà, cum un sermon precario,

che del camin mortifero nel varico,

a la cadente salma, alcun fisticulo

gli porgi, aciò che porti iusto el carico.

Ma tu passando in altro diverticulo

non gli darai risposta e cum frequenzia

te ne andarai schifando un tal periculo.

Poi giunto al fiume, essendo a la presenzia

del vechio portinar che passa l'anime,

tu lo saluterai cum reverenzia

e, misso in barca cum quelle umbre exanime,

un nummo gli darai, che l'avarizia

ancor cum morti è d'un voler unanime.

Ma nel pagarlo adopra tal malizia ,

che cum sue man el prendi, aciò che 'l stigio

fiume tu varchi cum sua man propizia.

Un vechio pregaratti nel navigio

che cum tua dextra el vogli su racogliere,

ma guarda de non fargli tal servigio.

Poi, quando da Caron ti vedrai sciogliere

uscendo fuor de la sua barca debile

dove gran lutto sempre si sòl cogliere,

tu troverai certe testrice flebile

che cum sue mani una gran tella ordiscono

cum stame d'un color misto delebile,

le qual cum voce sue, che molti inviscono,

ti pregheran che le tue mani accommodi:

ma fuge, ché a inganar ciascun se arriscono,

che Vener te aparechia molti incommodi

de queste rie testrice cum false opere

sotto velame de pietosi commodi.

Cum la polenta in man fa' che te adopere

in porgerla a quel cane formidabile

che tuto el limitar col ventre copere.

Giongendo al regno a' morti irremeabile

andrai dove è Proserpina terribile,

qual d'ascoltarti ti darà luoco abile:

con preghi soi farà tuto el possibile

che sedi sopra una molla sedia

e seco prandi in la sua curia orribile.

Ma mangia sol pan pur, se avien ti tedia

che seco mangi, ché cum 'sta arte illicita

sempre a' viventi che a lei vanno assedia.

Poi de expedirti da costei solicita

e ritornando indrieto al morto flumine,

dove è la barca de molte umbre implicita

l'altro dinar darai al vechio numine

aciò che t'abbi a l'altra rippa aducere

e tornar possi a 'sto superno lumine.

A Cerbaro l'altra offa, aciò che inducere

el possi a darti el passo, potrai tradere,

ché questo è il cibo cum che el pòi seducere.

Giunta a la luce, aciò che possi evadere

d'ogni pericol, non aprir di Venere

el busciol, ché in gran mal potresti càdere.

PSICHE.

Chiunche tu sei, o nato d'uman genere,

o sceso dal celeste alto collegio,

forza è che 'l nume tuo colaudi e venere:

e poi che apertamente intendo e vegio

che 'l tuo conseglio me fia salutifero

io te ringrazio, e già non lo dispregio,

e vomene al gran regno de Lucifero.

PSICHE se ne va verso l'Inferno et in questo tempo compare sopra la sua porta el MARITO de la prima sorella e ponendosi in camino dice solo:

MARITO de la prima sorella

Ohimè, che ancor non torna la mia moglie

che a casa de suo patre se n'è gita,

per demostrare le sue accerbe noglie

per quello, che passò de questa vita.

El tanto suo tardar dal cuor mi toglie

ogni letizia, e dami tal ferita

che non so come possi star contento

insin che non sia giunta a salvamento.

Per non star donche in tanto ardor sospeso,

io me delibro andar drieto a costei,

ché, non cercando lei, a l'onor peso

et a mia vita danno aver potrei.

Ma prima che 'l camin fia da me preiso

per gir dal patre suo, dove andò lei,

andar dispongo dove è sua sorella,

perché potrebe forse esser cum quella.

Ma vegio sopra l'uscio el suo marito

qual sta pensoso e amirativo in vista.

Fratel, che qui fuor stai tuto stordito,

che cosa hai tu che tanto el cuor te atrista?

El MARITO de la secunda sorella.

MARITO de la secunda sorella.

Se sono in vista mesto e impalidito,

se sto cum l'alma amirativa e trista,

io n'ho cagion, che per mia sorte adversa

già son più giorni che mia moglie ho persa.

Ché, poi che Psiche, sua menor sorella,

venne da lei, non sono molti giorni,

s'è departita, e non so dir dove ella

se ne sia andata, né se più ritorni;

tal che l'affanno tanto mi martella

pensando a l'onta e a' vergognosi scorni,

che se costei fra puochi dì non vene

son per morir per troppe angustie e pene.

El MARITO de la prima sorella.

Ohimè, che ancor io provo un simel caso,

ché la mia moglie ancor se n'è partita,

e in tanti fer penseri i' son rimaso

che quasi per dolor perdo la vita.

Io per un tempo mi son persuaso

non esser tropo longa sua partita,

ma poi ch'ho visto che costei non torna

la sua tardanza mi tormenta e scorna.

Vero è che lei me disse che volea

andar a casa del suo patre caro

del qual, perché defunto esser credea,

cum la matre volea far pianto amaro.

Per non star donche in questa pena rea,

de questo dubio far me voglio chiaro

e tosto intender se ella è viva o morta,

però che lo tardar troppo me importa.

EL PRIMO MARITO.

Credo che in casa del suo patre sia,

ma non so la cagion del suo tardare,

e forse la tua moglie cum lei fia,

qual, se tu ven, ben la potrai trovare:

però se vòi venir de compagnia,

fratel, te invito, che lì voglio andare,

et in un punto spero trovaremo

le due sorelle, se le cercaremo.

EL SECUNDO MARITO.

El tuo parer mi piace, e son contento

de venir teco ovunche tu vorai;

ma creder già non posso che sia spento

el patre loro come dicto m'hai,

perch'ebbi nove come discontento

per la figliola persa stava in guai.

Ma del suo albergo aperta è la gran porta:

vatene avanti, che sarai mia scorta.

Intrati questi mariti nel pallazo de COSMO suo socero, PSICHE tornando da l'inferno col busciolo chiuso dice sola per camino così.

PSICHE.

Del scuro inferno torno

e già non fei sogiornoper camino.

Andai, dedi un quatrinoal portinaro

Caronte vechio avaro,qual passommi;

un morto poi pregomil'accetasse

in barca, e lo tirassefuor de l'acque.

D'averlo non mi piacquein compagnia

e la destra miagià non li porsi.

Passato el fiume, corsial mio viagio,

trovai poi nel passagiouno asinello

e l'asinar cum quello,che mi chiese

aiuto. Non l'intese,anci partendo

io me n'andai correndoe le testrice

proterve inganatricedisprezai;

a Cerbaro placail'intensa rabia

cacciandoli in le labiala suppa unta.

Essendo nel fin giuntada la diva

io fui de mangiar schivael suo beato

cibo, e ho poi mangiatodel pan solo

sprezando el segio, e al sòlostando asisa.

Da gran rubor conquisaet inclinata

io feci l'imbassatae 'l busciol mio

empi', serollo et iotornando indietro

per quello regno tetroson venuta

al mondo, et or che tutame ritrovo

perché, stolta, non provoquivi in strada,

pria che più avanti vada,de guardare

nel busciolo, e pigliaredel belletto

aciò che ad Amor piacia il bel mio aspetto?

PSICHE aprendo el busciolo cade in terra come morta e CUPIDO essendo guarito et uscendo per una fenestra sopragionge ove è costei, e reponendo nel busciolo el sonno infernale e poi serrandolo, cum la punta d'una sua saetta la percuote e sveglia e dicegli:

CUPIDO.

Ecco che ancor di novo tu eri morta,

ma ho aùto del tuo mal compasione.

Levati suso e meco ti conforta,

e di tornar da Vener te dispone,

e questo busciol chiuso poi gli porta,

sì come tu già avesti in comissione.

Vatene donca e fa' el tuo officio presto,

che tosto son per provederti al resto.

CUPIDO avendo dato el busciolo a PSICHE subito se parte senza aspetar risposta e lei rimasa sola dice così:

PSICHE

Quanto obligo t'ho, Amor, fidel mio sposo,

che in tuti i casi mei sempre me aiuti,

e, non guardando al viver mio doloso,

nei mei travagli mai non me refiuti;

ma d'una cosa sola ho 'l cuor doglioso,

che tu ti scordi di piaceri aùti

e star non pòi una sola ora meco;

ma tuto el mio penser sempre fia teco.

Tu sei partito e m'hai lassata in fuoco,

né so quando mai più veder ti degia.

Ahi come el mio piacer fu breve e puoco,

poi che son priva de tua facia egregia

che al cuor mio afflito porse un tanto gioco

che mi conven ch'ogni altra cosa spregia.

Ecco che Vener venne: i' vo da quella

per dargli el dono come mi chiese ella.

PSICHE.

O dea celeste, i' t'ho portato el dono

nel busciol, come già tu me chiedesti.

VENERE.

Ohimè, che certo amirativa sono

come tu mai da quella dea l'avesti!

Or va, ch'ogni tua ingiuria te perdono,

et ogni oltragio che già me facesti.

Vatene in pace, e pensa di star lieta

che la mia mente è verso te quïeta.

Finito el quarto atto el CORO canta questa oda.

CORO

Giove che intendequel che vòl Amore

e che comprendeel suo molesto ardore,

presta favoreal misero garzone

che ha passione.

Vinto da' preghidel fanciul Cupido

par che se pieghiad exaudir el grido

che cum gran stridoe cum dogliosi pianti

gli fa davanti.

Fa far consiglioin quella patria amena

e fa che 'l figlioPsiche in celo mena,

qual cum serenaet amorosa fronte

par che rafronte.

Per compiacerea quello che dimanda

dà a Psiche a berede quella bevanda

qual par che prandael bel colegio

del ciel egregio.

Poi va Mercurioda le due sorelle:

cum fausto auguriodà la vita ad elle

e tosto quellerende a' soi mariti

mesti e smariti.

Per lo felicematrimonio santo

Apollo dicecum sua cetra un canto,

tal ch'ogni cantopieno fia de riso

in Paradiso. Amen.

ATTO QUINTO

CUPIDO essendo andato in ciel da GIOVE gli dice così:

CUPIDO.

Giove, nel qual ogni mio ben consiste,

da cui depende ogni mio ver conforto,

tràmi dal cuor queste mie angustie triste:

ché, se non dai remedio al mal ch'io porto

cum la tua man ch'ogni cor mesto sana,

tu mi vedrai in puochi giorni morto.

Deh, fa che Psiche, qual da me è lontana

per esser già gran tempo perseguita

dal gran furor de la mia matre strana,

in cel col nuto tuo sia stabilita,

e Vener cassi el conceputo sdegno,

e 'n matrimonio resti meco unita.

GIOVE.

Figliol, benché servato l'onor degno

tu mai non abbi, ma ferito el petto

col qual dispono ogni celeste segno,

e fatto de lascivie voglie infetto,

e contra l'alme lege ad adulterii

tu fatto m'abbi el tristo cor sugetto,

e puosta la mia fama in vituperi,

e convertito in bestie et in ucelli

lassando el degno onor de' nostri imperii,

io vo' che dal mio petto se scanzelli

ogni tuo oltragio che già fatto m'hai

cum toi pongenti et aurei quadrelli.

La grazia donche qual dimandi arai,

purché sappi fugir gli emuli toi

de' quai tu forse puoca stima fai;

e se qualche donzella trovar pòi

qual sia de grazia e de beltà dotata,

che in recompensa i' godi i membri soi.

Vien qua, Mercurio, e fa' questa imbasiata

a tutti i dei, che vengano al concilio

prima che passi questa alma giornata.

MERCURIO.

A mano a man sarano qui in consilio.

MERCURIO transcorendo el celo domandando i dei ad alta voce dice:

Per parte del gran Giove i' ve comando,

o dei, che voi vegnate al concistoro;

e chiunche el suo precetto andrà sprezando

sarà dannato in dece marche d'oro.

La causa per che a sé ve cita, quando

tutti sareti inseme uniti in coro

a voi per boca sua publicarassi.

Orsù, venite et affrettate i passi.

I dei venendo al concistoro dicano fra loro per camino:

VULCANO.

Che può voler costui

no 'l so pensar per certo.

VENERE.

Forse che alcun de nui

fatto ha qualche demerto?

IUNONE.

Sempre fidel gli fui,

e mal alcun non merto.

MINERVA.

Quando saren da lui

el caso ne fia aperto.

BACO.

Forse che dar ne vòle

qualche buona novella.

{MARTE}.

Forse che alcun se dole

de qualche ingiuria fella.

FEBO.

Forse, come far sòle,

per consultar ne appella.

MERCURIO.

Orsù, non più parolle,

che Giove è assiso in sella.

GIOVE essendo in concistoro cum li dei gli dice avendo CUPIDO avanti:

GIOVE

O voi conscriti dei,

qual per fratelli meisempre mai tenni,

la causa per ch'io veniqui a parlarvi

per noto el mio cuor farvi,la saprete.

Io so che conosetetuti quanti

questo garzon che avantiqui se vede,

il qual cum cura e fedem'ho educato

e quanto m'ho forzatoa freno porre

ai vizii dove correa tuta briglia.

Costui ama una figliaoltra misura,

e per collei par che urae gran mal pate,

e de virginitatel'ha privata:

faciàn che gli sia data,e che la godi,

per che cum questi nodiel ligaremo,

i e poi gli extinguaremola gran furia

de la turpe luxuriadove è involto.

Tu, Vener, fa' bon voltoe sta contenta,

che par ch'io vegia e sentache ti dole

de queste mie parolle,stando in dubio

d'esto mortal connubio:ma vo' fare

che fian le noze pare,congrue e iuste,

perché voglio che gusteel suco dolce

d'ambrosia, che 'l cel folcedi dolzeza,

e che tanto s'apprezaqui fra noi,

e fa immortal chi beve i liquor soi.

VENERE responde a GIOVE:

VENERE.

Patre, non so negarti,

né resistenzia fartia quel che vòi.

Tu comandar me pòi,come è ragione,

e fai conclusionech'io me piglia

Psiche per nura e figlia,et io la toglio.

Ma questo in grazia voglio,che a le due

magior sorelle suela vita rendi,

e che Mercurio a questo far descendi.

GIOVE a MERCURIO.

GIOVE

Vien qua, Mercurio, vatene giù al mondo,

e suscita le due sorelle morte

che son di quella valle nel profundo

cum le lor membra fracassate e torte.

Poi Psiche menerai al bel iocundo

concistor de la mia celeste corte.

MERCURIO.

Patre, sia fatto quel che tu comandi,

e tosto exequirò ciò che dimandi.

MERCURIO partendosi dal cel dice per camino:

Mercurio è 'l nome mio,

e perché d'ogni dioson fido nunzio

in ogni parte anunzioi soi mandati.

Mei pedi sono allati,e l'ale ho in testa;

io revoco cum questaverga mia

ogni anima che siadel corpo uscita,

poi rendogli la vita,se mi piace.

In questo petto giaceogni eloquenzia,

meco fan residenziai mercadanti,

i latri coi furfantie aritmetici,

cosmografi, dialeticie sofisti,

giometri e archimistie giocatori.

Se cum benigni cuorigiunto sono

io son benigno e bono,e se cum mali

gli effetti mei son tali,e son nocivo.

Cum queste virtù vivo;or cum 'sta verga,

in cui gran virtù alberga,render voglio

a quelle che dal scoglioson cadute

la persa vita e pristina salute.

MERCURIO giunto dove sono le DUE SORELLE morte percuotendole col caduceo dice:

Anime afflite, che disperse errando

per questa valle cupa ve n'andate,

tornate ai luochi vostri iubilando,

e in questi corpi in terra stesi intrate,

ché per parte di dei io ve 'l comando,

quai del mal vostro avuto hano pietate.

Le vostre adversitate or son finite:

— Surgite, mortui, e drieto a me venite —.

Le due SORELLE saltano in pede e dicano questa oda:

LE DUE SORELLE

Siano noi quellech'eravamo avanti,

quelle sorellepiene d'error tanti,

che cum l'errantinostre anime brute

qui sian redutte.

O caso stranocum felice sorte:

quelle noi sianoch'eravamo morte,

che per vie torteruinando d'alto

cademmo al smalto.

La nostra falsae maladetta invidia

già non c'è valsa,né la gran perfidia

piena d'insidia,ché del nostro errore

n'è duon amore.

Tu, dio che seiqui da noi venuto,

messo di' deich'han così voluto,

te de l'aiutoche prestato n'hai

laudiamo asai.

Queste due SORELLE ponendosi in camino cum MERCURIO se ascondano e in questo tempo COSMO patre loro esce di casa sua e cum li doi so generi e dice:

COSMO.

Vivo son io, non morto

e certo ebbe gran torto,o gener mio,

chi t'ha referto ch'iofusse defunto;

ma ben ho 'l cuor compontode gran doglie,

vegendo vostre moglieesser perdute

che qua non son venute;e certo i' temo

ch'in qualche caso extremonon sian giunte,

o forse ch'ambedue non sian defunte.

EL PRIMO GENERO.

Questo è pur caso strano

che perse aver debianonostre moglie.

Se noi patiàn dogliee afanni rei,

pensarlo, o socer, dèi,ché disonore

e dano a tute l'ore,ohimè, ne fia.

O sorte accerba e ria,o crudel fato,

a che infelice statosiàn condotti,

tal che mai non aremo gli ochi asciuti.

COSMO.

Chi è quella giovenetta

qual vene così in fretaal parer mio?

Se bene comprendo io,questa è collei

ch'ha fatto i giorni meisì tenebrosi

e i spirti mei dogliosi.Questa è quella

Psiche, mia figlia bella:Psiche, dico,

a cui fu ognun sì amico,che già al scoglio

lassai cum tante lacrime e cordoglio.

COSMO vedendo PSICHE arivata dicegli:

Dileta e cara figlia,

che gaudio e maravigliaho del tuo advento,

da po' che a salvamentogiunta sei.

E come t'hanno i deida me guidata?

Tu sei la ben tornata,e tuti i guai

che a l'alma datto m'hai,or son risolti

in gaudi e piacer molti,poi ti vegio.

Ma dimi i casi toi, che in grazia chiegio.

PSICHE.

La causa per che son da te venuta,

pater mio caro, racontar ti voglio,

poi che mi trovo qui in parte tuta.

Saper tu dèi che poi che sola al scoglio,

partendo con gli amici, me lasasti

tuta repiena de mortal cordoglio,

Venere, avendo i spiriti soi guasti

da sdegno amaro e d'intimo livore

per la beltate mia che già biasmasti,

mandòmi armato el suo figlio Amore

per far contra di me la sua vendetta

coi strali soi, che in punta han tanto ardore;

il qual, spinger volendo una saetta

contra di me, se punse da se stesso,

e fe' che un vento indi portòmi in fretta

e me ripose in una valle apresso

d'un aureo albergo placido et ameno

ch'era vicino ad un bosco alto e spesso.

Intrando in quello, ch'era d'oro pieno,

alcun non vidi, ma senti' gran canti

da far venir per gaudio ogni alma a meno.

Benché alcun servi non avesse avanti,

come regal madona era servita,

da molte ancille occulte in quelli canti.

Amor, che avuto avea la gran ferita

per la bellezza mia, meco dormiva,

e molte volte m'ebbe già avertita

che 'l volto suo, qual sempre mi copriva,

non explorasse, ché scoprendo quello

io rimarei del suo conubio priva;

e de l'inganno rio versuto e fello

de mie sorelle, ch'io sarei seduta,

et al fin poi mal obsequente ad ello.

Io, che di desiderio ardeva tuta

de veder loro, tanto pregai lui

che l'una e l'altra fu da me condotta,

ché Zefir le portò coi venti sui

e seper tanto dir, che fui sospinta

col lume e ferro a contemplar costui.

Qual come vidi ch'era Amor, fui vinta

e stupefatta e 'namorata tanto

che quasi per stupor rimase extinta.

Stando col lume e col rasoio acanto

e manegiando un suo dorato strale

me punsi, e poi basai suo viso santo.

Alor de l'olio ardente per più male

cade una gocia fuor de la lucerna

e lo scottò, del che fe' un crido tale

nel risvegliarsi, ch'in memoria eterna

l'arò nel petto, in fin che 'l spirto mio

meco starà per voluntà superna.

Costui partendo me riprese, et io

l'ho ricercato in tuto l'universo

e alfin l'ho ritrovato alquanto pio.

Io, che pati' questo infortunio adverso

per colpa de le mie false sorelle

e che 'l marito mio avea perso,

piena di sdegno me n'andai da quelle

e gli persuasi andasser da Cupido

al scoglio dove Zefir prendeva elle,

dicendo che caciata dal suo nido

m'aveva, e non volevami per sposa,

perché 'l mio cuore gli era stato infido.

Sentendo l'una e l'altra cotal cosa

se ne son gite al scoglio destinato:

ma la sua andata a lor fu asai dannosa,

ché Zefir, qual solea cum tranquil fiato

portar costoro al bello ospizio d'oro,

al suo soccorso già non han trovato;

anzi, cadendo in precipizio, loro

se son fiaccate in la profunda valle

finiendo la lor vita cum martoro.

Da poi andata son per ogni calle

fugendo Citarea spietata e cruda

qual m'ha batuta e rottomi le spalle.

Essendo donche de soccorso ignuda

venuta son da te cum gran fatiche,

pregando che pietade in te si schiuda

verso la tua cara figliola Psiche.

El primo MARITO avendo inteso queste parolle se volta al cugnato e dicegli:

PRIMO MARITO

Fratel, che faren noi,

da po' ch'entrambi doiabiamo perse

per sorte e stelle adversenostre moglie?

Se abiàn nei petti dogliee fer tormenti

e se faciàn lamentin'abiàn causa,

ché la vita c'è clausade letizia.

Ma lor cum sua maliziae gran peccato

questo infortunio se hanno comprato.

L'ALTRO MARITO.

Stordito i' son rimaso,

pensando al miser casode nostre moglie:

ma Giove spesso accogliele persone

e gli dà punizionea lor condigne.

Se fureno malignee gran nemiche

a te, sorella, o Psiche,or fùr punite;

se fusser state unitecon noi viri

patito non arebber tai martiri.

In questo tempo ariva MERCURIO cum le due magior SORELLE suscitate, e COSMO vedendole dice:

COSMO.

Mirate, voi, mirate:

quelle son le mi' nate,se non erro.

Ahi quanto gaudio serronel mio petto!

Quel che m'è stato dettonon è vero,

che Morte col suo feroaccuto dardo

abbi lor morte: i' guardoancora a quello

ch'ha in capo un bel capellocum due penne,

e par che de venir da noi accenne.

MERCURIO giunto cum le due SORELLE dice a PSICHE:

MERCURIO

Psiche, quel alto e omnipotente Giove

che tuti i celi e l'universo rege

e sopra i bon la sua grazia piove,

da te mi manda cum tal tema e lege

che dir te debba come ogi te accetta

degli beati soi nel santo grege;

e come Vener non vòl far vendetta

contra di te, che già fusti cagione

che l'alta sua beltà fusse neglecta,

anzi è contenta, e vòl, iube e dispone

che tu sia moglie del suo car figliolo

a cui facesti tanta offensione.

Queste sorelle tue, che cum me solo

qua son venute e che mi stanno acanto

piene d'affanno, di mestizia e duolo,

per voluntate del mio patre santo

ho suscitate cum mia sacra verga,

qual sopra vivi e morti è puoter tanto:

però, se nel tuo cuor pietate alberga,

leva dal petto el conceputo sdegno,

qual par ch'in odio el tuo penser somerga;

fa' che cum grato effetto e cuor benegno

tu gli perdoni el già comesso errore

poi che ti fan de penitenzia segno.

LA MAGIOR SORELLA.

Psiche, la forza del mortal livore

n'ha spinte a persuaderti cum malizia

che tu occidesti el tuo marito Amore:

però noi ti preghiàn che a la nequizia

nostra non guardi, ma ne dii perdono,

e da indi avanti tu ne sii propizia.

PSICHE.

Sorelle, ancor che in me fusti empie, i' sono

però contenta che voi vive siate,

e del peccato vostro i' ve perdono.

E voi, mariti soi, che afflitti state,

levàti dai cor vostri el fer cordoglio,

e cum le vostre moglie ve n'andate.

E tu, Mercurio, recusar non voglio

del sumo Giove gli a me fatti inviti,

anzi contenta e di bon cuor gli toglio,

e lieta son che gli odii sian finiti

che tanto tempo l'alma Citarea

tenne nel petto fissi e stabiliti.

E più m'alegro ancor che quella dea

prendi in pacienzia che sia d'Amor sposa

e spento el sdegno sia che meco avea.

Vale, mio patre, e tu mia matre posa,

che me ne vado al trïunfante coro

de la corte superna e glorïosa.

COSMO.

Da un canto al cuor mi sento un gran martoro

vedendomi privato del tuo aspetto

che a questi mei puochi anni era ristoro;

de l'altro, i' gusto uno intimo diletto

vedendoti salir a l'alta gloria,

e che ogni tuo travaglio sia perfetto.

LA MATRE.

Vatene in pace, et abbine in memoria.

Partendo PSICHE cum MERCURIO, COSMO dice:

COSMO

Psiche da noi se absenta

e vasene contentaal cel Empirio,

e d'ogni suo martirioe oltragio aùto

andando in luoco tutofia sanata

e poi fia maritataad Amor divo

ch'aùto non ha a schivosua beltate.

Voi, mie figliole, andateai cari chiostri

de vostre patrie coi mariti vostri.

LA PRIMA SORELLA.

Cum tua licenzia, o patre,

e tu, longeva matre,se n'andremo

e in cuor noi vi aremoinsino a morte;

a noi rincrescie forte,duole, e pesa

de la maligna offesae fata ingiuria

a Psiche, ma la furiadel livore

n'ha spinte a tal errore.Orsù, valete,

che ai nostri alberghi noi torniamo liete.

MERCURIO essendo giunto da GIOVE cum PSICHE dice così:

MERCURIO

Giove, e tu, Vener, col tuo figlio Amore,

i' v'ho conduta in cel la vostra Psiche.

Le sue sorelle piene de livore

qual fureno a costei sì gran nemiche

come redutte l'abbi in ben puoche ore

da morte a vita non convien ch'io diche,

e come l'abbi a soi mariti rese,

che queste cose asai vi son palese.

GIOVE pigliando PSICHE per mano e facendoli porgere la bevanda celeste gli dice:

GIOVE.

Vientene, o Psiche, a poseder el regno,

e beve questo nectare beato;

e tu, Cupido, sei pur giunto al segno

da te cum tal desir desiderato,

ché la tua matre, avendo spento el sdegno,

vòl che gli giaci questa note a lato:

però per fine imporre a vostre voglie

tu gli sarai marito, e lei tua moglie.

Itene, o santi che qui meco state,

apparichiate subito le mense;

Marte e Mercurio, a la cuocina andate,

e fate che 'l mangiar Vulcan dispense,

e le vivande in tavola reccate

cum sòni e canti e cum letizie immense.

E tu, mio Apollo, che mi stai qui avanti,

fa' che in la lira tu qui sòni e canti.

CUPIDO.

Giove, e tu, sancta matre Citarea,

a ringraziarvi non serìa bastante,

dapo' che Psiche fatta avete dea

e data in matrimonio a me, suo amante,

però che in grandi affanni già vivea

per star da sua beltà longi e distante.

PSICHE.

Et io non manco ancor vi benedico

e di tal grazia gran merzé vi dico.

APOLLO cum la lira canta avanti a GIOVE e agli altri dei questo capitulo.

APOLLO.

Scopre, mia lingua, col tuo usato canto

el iubilo che 'l cuor cum gaudio prende

per questo fausto matrimonio santo.

Questo è quel nodo bel da cui depende

la gran concordia del perfetto amore

e che doi cuori d'un voler accende;

questo è quel giogo che col suo valore

liga ogni spirto di sincera fede

e spenge ogni lascivio e vano ardore;

questo è 'l ligame ver da cui procede

la continente puditizia santa

qual per precetto el re del cel ne dede;

questo è quel lacio sol ch'ha virtù tanta

ch'in doi cuor crea la dilectione e pace

che dagli iusti cum onor se canta;

questo è quel uno vinculo verace

che fa multiplicar el seme umano

e che empie el mondo e fallo esser vivace.

Per lui se extingue ogni rancor profano

ch'in molti petti cum invidia regna:

tanta efficazia ha 'l suo furor insano;

questo è quel un che par ch'ogi mantegna

la caritate fra parenti e amici

e che fra loro in union li tegna.

Pompeio e Cesar vixero felici

mentre che Iulia fu superste e viva,

ma morta che fu lei furon nemici.

Qual contenteza è più dolce attrativa

che 'l bel felice matrimonio vero

da cui tanta bontà pende e deriva?

Quanti adulteri e vizii, e quanto fero

spurco furore de lascivia ingorda

sareber quasi in ciascadun sentero,

se del connubio la pudica corda

col nodo d'onestà non ristrengesse

el turpe ardor che la luxuria lorda!

Questo è quel sol che Dio da prima elesse

nel bel terestre paradiso ameno

quando i primi parenti in pede eresse:

che 'l mondo senza quel sarebbe pieno

de confusione e a tuti i bei decreti

de pudicizia rotto fora el freno.

Felici sposi, che iocundi e lieti

cum tanta contenteza inseme state,

godete, mentre che bon tempo avete,

che nascerà de voi la Voluptate.

Le tre GRAZIE cantano questa canzonetta in laude del sancto matrimonio.

LE TRE GRAZIE

Gloria e laude al sacro deo

che le noze ha constitute

e cum marital virtute

de doi cuori un sol ne feo.

Io hymen hymen hymeneo.

Questo è quel felice nodo

che ab eterno fu ordinato

per frenar cum casto modo

ogni cuor sciolto e sviato;

questo è quel ch'ogni imbratato

da lascivia fa pudico;

questo è 'l giogo de dio amico

il qual doma ogni cuor reo.

Io hymen hymen hymeneo.

Questo è quel iusto ligame

per cui cresce el seme umano

e che spenge le gran brame

del pensier lascivio e vano

e che fa constante e sano

nel conubio el iusto ardore

e per cui l'insano amore

già le forze sue perdeo.

Io hymen hymen hymeneo.

Questo è 'l vincul maritale

che dai corpi in un congionge

e cum stimul d'amor punge

ad amarsi insino a morte;

è quel sol che par riporte

de luxuria el gran trofeo.

Io hymen hymen hymeneo.

Vivan donche fortunati

questi doi cum gaudio e pace,

né già mai fian separati

dal suo amor mutuo e verace,

ma cum fede e ardor vivace

l'uno e l'altro fidel sia

cum tal voglia e fantasia

come Euridice e Orfeo.

Io hymen hymen hymeneo.

FINE