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10 ItlillDRI

NUDA

Commedia in tre atti

di WASHINGTON BORG

PERSONAGGI

GIACOMO PASTORE

MARIA PASTORE

PIETRO ALTENI

FABRIZIO LEONIA

DINO GERAMI

ORTENSIA

MIMI’

TINA

GIULIA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Lo studio dello scultore Pietro Alteni, ampio, col soffitto a volta, coi grandi finestroni, è un pianterreno ridotto da un vecchio palazzo oggi diruto. Qualche magnifico avanzo architetto­nico ancora, regge; e, in fondo, a sinistra, corre la linea dell'antica loggia, ora murata e accor­ciata per il bisogno dell'artista. Lì, egli modella il suo nudo e può comunicare con le altre stan­ze; lì, tra i cavalletti e gli abbozzi, sorge l'ulti­ma sua opera nella creta fresca e bagnata. Ma una tenda di lana rossa, tra pilastro e muro, gelosamente chiude. Nello spazio libero, avanti, molta roba c'è intorno; stoffe e tappeti; mobili preziosi e mobili comuni; gessi e cartoni con le donne nude in rosso e nero; pipe eccen­triche e ninnoli; fotografie e libri. Anche un fascio di rose         - Di lato; un paravento col la­vamano in ferro, lo specchietto e la catinella bianca. A destra, nell'angolo: una scaletta che sale sino all'altezza dei finestroni e conduce all'abitazione di Pietro. In fondo: la grande porta pesante che apre nel cortile. C'è il vecchio pozzo nel cortile e l'erba a ciuffi tra il ciottolato.

 (Pietro è in camice bigio. E' alto, forte, i capelli a spazzola sulla' fronte larga. Sta con la schiena curva sulla catinella, e sbuffa acceso smanicato, in atto di lavarsi la faccia e le numi ancora impiastricciate di creta . Dalla grande porta socchiusa, in fondo, dopo un momento, un uomo spinge il capo spiando: è Fabrizio. Biondo, dilavato, il cappello floscio in testa e un mozzicone di sigaro in bocca. Guarda Pie­tro, allunga il collo intorno, poi si decide e fa più volte la tossettina per annunziarsi.: Pietro, grondante acqua dalle mani, finalmente si volta).

Pietro                            - Ah... tu?... Sei raffreddato?

Fabrizio                         - E' da un'ora che aspetto qui sulla porta. Non è piacevole, te lo dico (seguita a tossire).

Pietro                            - Hai la tosse, povero Fabrizio.

Fabrizio                         - (incoraggiato) Posso?

Pietro                            - Come subito sai approfittare, appena vedi aperto, (sorride) Entra, entra, canaglia.

Fabrizio                         - Canaglia?... Vezzeggiativo affettuoso che m'incoraggia, (entra e chiude la por­ta) Vedi?... chiudo. Un doppio giro di chiave nella forte serratura... e la fortezza è al si­curo, (ride) Le precauzioni, mio caro, non sono mai troppe. I momenti sono difficili... e i nemici sono alle porte.

 Pietro                           - Tu sei entrato, però.

Fabrizio                         - E' un'altra cosa. Io sono Fabrizio... urna volta ero anche Bob... Resto un semiliquido che passa dalle fessure. Per me la con­segna è limitata in certe ore. Un tempo non era così. Tutte le ore erano buone per me. Mah!... Come vedi, ci si contenta.

Pietro                            - Sei buffo.

Fabrizio                         - No. Sono gonfio, ho la bile... sono verde (siede).

Pietro                            - E' il tuo colore.

Fabrizio                         - L'ho con me, con te, con l'arte... con l'umanità intera.

Pietro                            - Anche con l'arte? Poveraccia! che ti ha fatto?

Fabrizio                         - Brutti tempi. Si vive male;.

Pietro                            - Per dirmi questo sei venuto?

Fabrizio                         - Anche per altro.

Pietro                            - Be'?...

Fabrizio                         - Lasciami prendere fiato. Risciac­quati.

Pietro                            - E' fatto, (getta l'asciugamano in un cantuccio) Avevo la creta sugli occhi, nei ca­pelli, sulle mani... Creta, creta, da per tutto.

Fabrizio                         - In-creti-nito... allora.

Pietro                            - Spiritoso.

Fabrizio                         - E' il mio giorno (si volta per guar­dare la tenda rossa).

Pietro                            - E' mutile, sai... Non vedi niente.

Fabrizio ___________ - Neppure la piccina? Sei crudele. Ieri, almeno, quella tazzolina bianca, con la cioccolata... i biscottini inglesi... era appeti­toso per gli occhi. Non ti ho mai visto tanto saltellante. Che grazia nel servirla... e che dentini, lei!

Pietro                            - Bada... Maria è lì... si riveste.

Fabrizio                         - Dove?... Ah, lo stanzino dentro... E tu non l'aiuti?... Pietro Alteni non riveste più le sue modelle!... E' una risipiscenza che illustra l'argento dei tuoi primi capelli bian­chi. Sta in guardia.

Pietro                            - Ne ho tanti, mio caro, e non li na­scondo.

Fabrizio                         - A quarant'anni... piena decadenza! Te lo dico io.

Pietro                            - (ride) Smetti, buffone... Che vuoi?... Hai le smanie?... Sei a corto di quattrini?... Vedi, mi frugo nel taschino.

Fabrizio                         - (drizzandosi) Ma una decadenza il­lustre... che può avere ancora dei bagliori.

Pietro                            - Non sei fortunato. Oggi neppure un soldo.

Fabrizio                         - Miserabile!... (ricade sulla sedia le braccia ciondoloni) Un uomo finito. Lo dicevo io.

Pietro                            - (ride) Coraggio... Oggi t'invito a pranzo!... Su...

Fabrizio                         - Non ho bisogno... conserva il tuo denaro... me ne infischio anche del pranzo!

Pietro                            - Bravo! Questo è parlar da saggio. (va in fondo e si spazzola barba e capelli). (Breve silenzio).

Fabrizio                         - (mastica il mozzicone) Hai lavo­rato?

Pietro                            - Come un Dio.

Fabrizio                         - Non ci credo.

Pietro                            - Padronissimo.

Fabrizio                         - Finito?

Pietro                            - Sì, caro.

Fabrizio                         - Contento?

Pietro                            - Sì, caro.

Fabrizio                         - (alzandosi) Vedere?

Pietro                            - No, caro (subito lo trattiene).

Fabrizio                         - Oh, non ci tengo. Figurati! (ride) Ah, ah... sei geloso... E' il capolavoro, questa volta.

Pietro                            - Chi lo sa.

Fabrizio                         - Bah... i capolavori vengono quando l'artista meno se li sogna.

Pietro                            - C'è del vero... ma chi lo sa?

Fabrizio                         - Mi fai pena, e non posso neppure salvarti. E' bastato il piagnucolare d'una don­nina per infrollirti. Questo, lo studio dell'artista?... Ma da un mese qui non si vive, non si respira! Una porta sbarrata, una cor­tina rossa chiusa anche per gli amici come me. Vuoi che ti dica? Beati i tempi quando Leonia regnava... senza cortine e senza veli. Quello era un nudo!... Non ti sei più con­tentato. Sei un ingrato.

Pietro                            - (impaziente) Ti prego...

Fabrizio                         - Madamigella può sentire?... Tanto meglio!... Parlo in nome dell'arte. Anzi, per l'arte te la scodello subito. Ti annunzio la visita di Leonia.

Pietro                            - Leonia!... Quando?

Fabrizio                         - Subito. Viene con la sua corte. Quella donna è una locomotiva. Ne trascina dei carrozzoni! C'è Mimi, Ortensia, Tina... Anche Gerami con loro. Bada, ti           avverto, viene gonfia e risoluta.

Pietro                            - (scattando) In questo momento mi secca. Dovevi capire e dirlo.

Fabrizio                         - Io?...

Pietro                            - (grida) Voglio essere padrone in casa mia! Voglio chiudere quando mi piace e piace. Non voglio importuni nel mio studio quando lavoro.

Fabrizio                         - Calmati.

Pietro                            - Tu che hai combinato e fai da mez­zano a Leonia. Oh, un bel mestiere che fai!

Fabrizio                         - Non umiliarmi.

Pietro                            - Ebbene, no, te lo giuro: butterò te dall'uscio prima che vengano e non aprirò a nessuno.

La voce di Maria           - (in distanza) Signor Pietro.

Fabrizio                         - Vedi? L'hai spaventata, (con la mano a imbuto sulla bocca) Niente, madami­gella... Sono io, Fabrizio... Pietro è un can­nibale... Correte subito per salvarmi (ride).

La voce di Maria           - Due minuti, signor Fa­brizio.

Fabrizio                         - Due minuti?... Troppo tardi... Sarò morto (ride), (breve silenzio).

Pietro                            - (è urtato e si è seduto in fondo).

Fabrizio                         - (lo guarda, gli si pianta, di fronte, dondola il capo) Ingrato!... Mi hai detto delle dure parole... Io te le perdono, vedi, perché ho buon cuore... e spesso non sai quello che dici... Mi hai detto anche mezza­no... Ebbene, sì... Mezzano, dopo tutto, vuol dire anche uno che sta di mezzo... Me la prendo così... Capirai che in fondo devo es­sere un poco attaccato a quel passato... Allora c'era Leonia con noi... Bei tempi!... Bob, su... Bob, giù. Ero il galoppino, l'amico, il confidente... e si armonizzava. Chi accanto a te sempre... per spingerti, per consigliar­ti?... Il tuo lavoro era anche mio... l'opera compiuta diventava nostra. Questa particina accanto a te, nell'ombra, mi dava una certa posa che ti somigliava e mi conveniva. Ora più niente. Devo stare fuori la porta per aspettare. Bella figura ci faccio!... Mi si ride in viso, capisci? é non voglio, mondo cane! che mi si rida. Oh!

Pietro                            - Che miscuglio di pietoso e di grot­tesco.

Fabrizio                         - Tutto questo, perché un giorno non ti contenti più... e ti salta il ticchio del nuo­vo nudo eccezionale! Ma dove trovare il mo­dello miracoloso?... Non era facile. Leonia, poveraccia, prova... ma non ti va.

Pietro                            - (con disgusto) Non mi ricordare... Che orrore! (si alza).

Fabrizio                         - (imitandolo) Già... che orrore... E vai girando intanto come l'ebreo errante per trovare.

Pietro                            - (sorride) Quella sera, vedi, io la sentivo... era come dentro di me... una voce mi diceva... andavo, andavo...

Fabrizio                         - E ti fermi sotto un lampione! (ride) Quel lampione, vedi, deve essere il più bel ricordo della tua vita.

Pietro                            - Non ridere.

Fabrizio                         - Mio caro, quando si dice le combi­nazioni... Ti passa accanto, sembra spau­rita, le dai i tuoi connotati, non ti risponde... è infagottata male, ma c'è la linea... Ti guar­da appena... ma in quel lampo c'è il concen­trato che cerchi. E' lei!

Pietro                            - Sì, lei. L'immagine viva, come l'avevo nel cervello e me la vedevo nel marmo.

Fabrizio                         - Portentoso! (ride) Il resto è anco­ra più commovente. Aspetti i lunghi giorni: diventi intrattabile e feroce con tutti, anche con me, perché la tua vergine non si decide... Ma finalmente, come Dio vuole, si decide... Quella sera diluvia... l'acqua si rovescia a secchie... e la tua fantasia, ahimè, ancora non si smorza.

Pietro                            - (con calore) Non osava entrare... Smarrita... grondante... senza l'ombrello... Una fiamma chiusa.

Fabrizio                         - Che tu hai subito liberata.

Pietro                            - Non come credi. Hai il fiele sulla lingua... e tu giudichi così perché hai sempre guazzato con quelle che tu proteggi, (gesto di Fabrizio) Una povera creatura, invece, sbattuta dalla tempesta sulla mia porta, chissà conte!

Fabrizio                         - Un dramma!

Pietro                            - Lo intuivo, sì (pausa) Non una pa­rola, lei... Affannava... Una disperazione muta... Un abbandono di vittima...

Fabrizio                         - Per il sacrifizio.

Pietro                            - Ora il rimorso mi punge... Forse so­no stato con lei brutale... Ma come reggere?... Capirai... La febbre del lavoro mi bruciava nei polsi...

Fabrizio                         - E tu hai copiato. Capisco. Avrei fatto anch'io lo stesso.

Pietro                            - Oh, ma non così subito, sai.

Fabrizio                         - Ti credo.

Pietro                            - Ce n'è voluto!

Fabrizio                         - Lo so... Hai del garbo, tu... Oggi la testina solamente... domani il braccio so­lamente... un semplice segno con la matita per addomesticarla... E così, pezzo a pezzo, la vergine lacrimando si concede... finché è tutta lì, come la vuoi, dietro una tendina rossa, (ride forte e Pietro si irrita) Trucco! mio caro... trucco! Sei un fanciullone immaginoso e abbocchi subito all'amo. Caspita, come la sa lunga!... Che furba!

Pietro                            - (saltandogli al collo) Bada... se dici ancora... Com'è vero Dio, ti strozzo.

Fabrizio                         - (divincolandosi) Ma, Pietro... cosa è?... diventi matto?... Diamine!...

Maria                             - (balza subito dalla tenda) No, signor Pietro... Così, no... Non è bene quello che fate.

Fabrizio                         - Ecco... precisamente... Non è bene... Glielo dicevo anch'io (si, allontana subito e si accomoda la cravatta).

Pietro                            - (minaccioso ancora, guardandolo) Ringraziala.

Fabrizio                         - E' giusto. Vi devo ringraziare: Gra­zie, madamigella, (sorride) E' il vostro aiu­to, infatti, che mi ha prodigiosamente sal­vato.

Maria                             - (alta, sottile, nella vestina semplice di­messa, una grande massa di capelli bruni, la fronte bianca corrugata gli occhi accesi, la testina diritta con fierezza, guardandolo) Non ascoltavo, signor Fabrizio... dovete cre­dermi. L'uscio era aperto e parlavate forte. Non è colpa mia se qualche parola mi è giunta.

Fabrizio                         - E' un benedetto vizio... parlo for­te... non so correggermi.

Pietro                            - Malvagio!

Fabrizio                         - Sì... Me lo merito... anzi: Bri­gante!

Maria                             - (con semplicità commovente) Non vi ho fatto niente io... Non mi conoscete nep­pure... Ci vediamo solamente da pochi gior­ni... Voi mi vedete qui... e questo vi basta per giudicarmi. La storia di tante sventurate se si potesse narrare!... Quante miserie nelle case!... Ma voi le guardate di fuori le case, signor Fabrizio... e questo vi basta. E' così facile pestare una povera figliuola in terra.

Fabrizio                         - (sconcertato) Pestare, no... ecco... pestare, no.

Maria                             - (con vivacità) Ma quello che fate è peggio, signor Fabrizio. Mi lacerate senza sapere. Mi supponete capace per il mio tor­naconto di raffinatezze che non sospettavo neppure. Voi sbranate con le parole... Se sa­peste come fanno male le parole! (è com­mossa).

Fabrizio -                       - Non lo so?... A chi lo dite!...

Maria                             - Perché dirle, allora-... se lo sapete?

Fabrizio                         - Chi lo sa... La vita è così... Si è morsicati e si morde.

Maria                             - Con; me, no. Non dovete temere,... Non vi tolgo niente... Sarò forse anche peg­gio, ma non così furba come avete pensato. Nessun calcolo... nessuna premeditazione... Una delle tante, sbattuta qui sulla porta in mi giorno di tempesta, (concitata) La sua sensibilità gli ha fatto sentire per me tante cose che non sono vere e ve le ha dette. Non sono vere, rassicuratevi. Picchiai, quella sera, disperatamente, come una pazza, alla sua porta, perché pioveva, perché era buio, perché avevo paura dell'uragano e volevo un ri­fugio... Nient'altro, (ho il singhiozzo nella voce) Egli fu buono con me. Mi accolse pie­tosamente. Avevo la veste bagnata appicci­cata addosso. Mi accese il fuoco per asciugarmi. Non mi chiese perché e come ero venuta. Avevo un tormento dentro, negli occhi, e me lo capiva e me lo vedeva, e fu pieno di deli­catezza per non chiedermi. Son tornata, sem­plicemente, tutti i giorni, da un mese, per il suo lavoro. Gli ho detto di me quel poco che potevo dirgli, e gli è bastato. Non mi ha chiesto altro. Non una parola mai per fru­garmi, per sospettare, per credermi capace di trucco, di simulazione, come voi avete pen­sato..; Gli sono grata per questo, (ha le mani agitate, nervose, prende il cappello sulla sedia).

Pietro                            - Restate... Così commossa, non voglio. Restate (le strappa il cappello di mano).

Maria                             - No... vi prego... Ora è passato... è meglio che vada... Egli può credermi ancora capace... (ride convulsa) No, signor Fabri­zio... Voglio essere peggio, ma non così astu­ta e calcolatrice. Per giudicarmi, anzi, voglio essere più severa di voi... Io ho fatto quello che molte fanno senza tante complicazioni. Io, sotto gli occhi suoi, con le mie mani, ho strappato ogni ritegno per essere nuda come lui voleva. Quella tenda mi celava per un re­sto di finta vergogna. Mi bruciava la carne... ardevo per il suo lavoro... con le sue rose... Erano mie, tutte mie quelle rose per quello che qui dovevo rappresentare, (respira affannosamente) Ma ora è finito il suo lavoro... rassicuratevi... niente mi trattiene più. (vuol riprendere il cappello che Pietro ha in mano) Me lo date... vi prego...

Pietro                            - Non ve lo do. Così non potete usci­re... (si allontana) Non vi lascio uscire... Non gli darete questa soddisfazione.

Fabrizio                         - (è ammutolito).

Maria                             - No, signor Pietro... (lo insegue) Quel» le signore ora verranno, lo so... Egli vi ha detto che verranno... Gli amici vostri neppure saranno pietosi con me... Sono tanto scioc-china, tanto selvaggia... non saprei rispon­dere... Ci fareste cattiva figura con me... E' meglio che vada... il mio cappello, vi prego... lasciatemi uscire.

Pietro                            - Non ve lo do.

Fabrizio                         - (è commosso e drizza il capo) Si­gnorina Maria... lasciateli pur venire... non temete... Sono un parassita, un vagabondo... ma per cinque minuti, almeno, concedetemi di sentirmi intenerito.

Pietro                            - Coccodrillo...

Fabrizio                         - Non mi avvilire peggio... Sarò coc­codrillo... come dici... ma ora è il dispetto... Per punirmi, vedi, ora sono capacissimo an­che... anche di schiaffeggiarmi, (si schiaffeggia rabbiosamente con le due mani).

Pietro                            - Giù... giù... dalli... seguita... lo me­riti (ride).

Maria                             - No, signor Fabrizio... questo no... non volevo.

Pietro                            - Lasciatelo.

Fabrizio                         - Grazie, (manda un sospirone) Ora sto meglio. Respiro.

                                      - (odesi subito picchiare alla grande porta, in fondo).

Maria                             - (sgomentata) Eccoli... lo dicevo... Son qui i vostri amici... Ora dove vado... come faccio... dove mi nascondo...

Pietro                            - Non vi vedranno.

Fabrizio                         - Caschi il mondo, non apro. (i colpi si seguono più forti e frequenti).

Pietro                            - (conducendo Maria) Su... svelta... quella scaletta... c'è la porticina... è la mia casa... Lì non verranno... Chiudete subito.

Maria                             - (saie, quasi fuggendo, e chiude).

Voci femminili              - (dal di fuori, confusamente) Giù la porta! Prendiamolo d'assalto! Pietro Alteni, arrenditi! Bruciarlo vivo!... (risate vivaci e rumorose).

Fabrizio                         - Ore le piglio per il collo, quelle pettegole!

Pietro                            - Apri.

                                      - (un forte rumore nella serratura per il giro della grossa chiave, e la porta spinta dal di fuori sì spalanca con violenza).

Fabrizio                         - Cos'è?.,. Volete buttar giù la porta? (Ortensia, Mimi, Tina, irrompono vivace­mente. Vestiti chiari, cappelli infiorati, om­brellini chiassosi. Leonia è più contegnosa: tutta dì scuro. Gerami rimane un po' fuori).

Ortensia                        - Lo vogliamo a pezzi quel signore!

Tina                               - A brani!

Mimi                             - Scorticarlo!

Ortensia                        - Il selvaggio che ci fa sospirare lì, sulla porta!...

Fabrizio                         - Badate, ragazze mie, un po' di edu­cazione!

Tina                               - (incalzandolo) A chi? a chi?

Fabrizio                         - A te.

Tina                               - A me?... Toh, uno schiaffo, (glielo dà) Prendi (subito scappa).

Mimi                             - Ben dato!.».

Fabrizio                         - Pettegola, me lo paghi, (fa per rincorrerla e si alliscia la guancia. Le altre ridono).

Leonia                           - Bisogna compatirle, Pietro. Sono un poco montate. Non è colpa mia. Non ho 'mancato di fare le mie raccomandazioni. (alle ragazze) Care mie, vi ho detto, non si entra così nello studio dell'artista. Ci vuole il contegno, (ride) Per conto mio, vedi?... vengo compunta e mi sono messa di scuro.

Pietro                            - (ironico) Per conto mio, guarda... ti sta meglio il rosso.

Fabrizio                         - Per conto mio, invece... le sta me­glio niente.

Leonia                           - E io mi seggo, se tu permetti, (sie­de, si fa vento col ventaglio) Ma Dino... Dove è Dino?

Mimi                             - E' rimasto fuori.

Ortensia                        - Non osa entrare.

Tina                               - Dino... Dino...

Pietro                            - (si domina e va in fondo) Entri, entri, signor Gerami... che diamine!

Gerami                          - (sulla soglia, sorridendo) Non osavo entrare. E' la verità.

Pietro                            - Lei è della comitiva, perbacco!

Gerami                          - Una comitiva turbolenta troppo. Ma ora è fatto. Sconterò un peccato che non è mio. Lei mi perdonerà.

Pietro                            - Per così poco... Le pare...

Ortensia                        - Inginocchiati per il peccato.

Mimi                             - Non si entra così nel santuario.

Tina                               - Fatti il segno della croce, pagano.

Fabrizio                         - Cosa vuol dire, pagano? Scommet­to che non lo sai.

Tina                               - Vuoi un altro schiaffo?

Fabrizio                         - No. Tante grazie. Mi basta uno. (ridono).

Leonia -                         - Lasciatemi il mio Fabrizio, vi prego. Io lo proteggo, vi avverto.

Fabrizio                         - Brava, Leonia! Proteggimi. Mi ap­piccico alle tue gonne pietose.

Gerami                          - Le decisioni intempestive sono un poco pericolose, signor Alteni. Mi sono lascia­to facilmente tentare. Sapevo che lei era in pieno lavoro... Sapevo anche che non voleva essere seccato...

Pietro                            - Vede bene che non lavoro.

Gerami                          - Non ci fu verso con quelle signorine.

Ortensia                        - Eravamo montate.

Mimi                             - Devi dire: elettrizzate.

Tina                               - L'automobile di Dino correva come in­demoniata.

Fabrizio                         - Senza arrotare nessuno?

Tina                               - Non ci sei capitato sotto.

Mimi                             - Te lo meritavi.

Fabrizio                         - Giuro sulle vostre teste infiorate che avete anche bevuto!

Ortensia                        - E mangiato, ti prego credere.

Fabrizio                         - Si sente.

Ortensia                        - Insolente! Cosa intendi?

Leonia                           - Pace, pace...

Fabrizio                         - Niente di male... via... E' profumo sottile di delicate pietanze!... (ride).

Tina                               - Oh, sai, crepa! Dino fa le cose da gran signore, per tuo marcio dispetto.

Dino                              - (seccato, con le spalle voltate, guardando i cartoni) Lasciate Dino in pace... Vi prego.

Mimi                             - Pasticcio di Strasburgo, mio caro. Suc­chiati la lingua.

Tina                               - Tartufi di Piemonte.

Ortensia                        - Petti di pernici...

Fabrizio                         - (segnandole) E pernici senza petti.

Ortensia                        - Per chi lo dici?

Mimi                             - Grazioso!... (lo rincorrono con gli om­brellini) Devi leccarti le dita... brutta scim­mia (ridono).

Leonia                           - Oh, insomma, volete finirla? Ci stor­dite e non ci lasciate vedere. Siamo qui per questo... (sorride) Vedere.

Tina                               - (gridando) Vedere!... Vedere!... (le ra­gazze si sparpagliano e toccano tutto curio­sando).

Mimi                             - Quante rose! Guarda... Ne rubo subito una. Tu permetti, Pietro?

Pietro                            - Ruba, ruba.

Ortensia                        - Quante pipe...,Puah! che puzzo... Non te le tocco.

Tina                               - Uno specchietto veneziano?... Me lo dai?

Pietro                            - Non te lo do.

Tina                               - Avaraccio.

Ortensia                        - Cos'è? Calamaio giapponese?

Fabrizio                         - E' pupù.

Ortensia                        - Cretino.

Mimi                             - La tenda rossa! Ortensia... (ride).

Fabrizio                         - Lì, no, carina.

Mimi                             - Perché?

Fabrizio                         - Perché non si entra.

Leonia                           - (con sarcasmo) Ai miei tempi non c'era.

Fabrizio                         - Te ne saresti guardata bene.

Leonia                           - (si alza e corre) Vedere... vedere...

Fabrizio                         - (subito, mettendosi a guardia) Non si passa.

Leonia                           - Cos'è? (gli fa una smorfia mostran­dogli la lingua) Ti sei venduto anima e corpo?

Fabrizio                         - Anima e corpo!...

Leonia                           - (lo respinge) E io passerò attraverso il tuo corpo.

Fabrizio                         - 0 viceversa.

Leonia                           - Imbecille!

Mimi                             - Giù la tenda!

Tina                               - Giù la tenda! (le ragazze lo premono, io circondano).

Pietro                            - (contenendosi a stento) Lasciale fare, Fabrizio. Tanto, è lo stesso.

Fabrizio                         - Badate, ragazze mie, vedere non vuol dire toccare.

                                      - (Leonia aveva già ghermita, e sollevata la tenda. Un po' della statua, in fondo, appare, nella creta lucida e bagnata. Le ragazze si precipitano correndo insieme a Fabrizio che si smanica per seguirle. La tenda subito ri­cade).

Fabrizio                         - Adagio... Non correte...

                                      - (scoppiettano subito le voci e le risatelle sof­focate).

Voci                              - Oh, Dio, Leonia! cos'è? La danza del ventre! Che fa? Stende i panni! Si vergogna! Guarda che gambe secche! Dio che braccia! Una cavalla! Una gi­raffa! Giù le mani! (le risate più forti).

Pietro                            - (ha uno scatto violento come per lan­ciarsi) Mi prende l'impeto, perdio! di get­tare a terra tutto.

Gerami                          - (è rimasto male) Sono mortificato, mi creda, signor Alleni. Tanto mortificato. Avrei dovuto riflettere e non venire oggi.

Pietro                            - Lei? perché? Lei non c'entra.

Gerami                          - Con troppa leggerezza mi sono la­sciato sedurre. Mi giustifica forse la grande ammirazione che ho sempre avuto per le opere del suo ingegno e il desiderio di visi­tare il suo studio.

Pietro                            - La ringrazio... C'è poco da vedere... E poi, sente?... (altre risate e commenti buf­fi) E' il giudizio della folla.

Gerami                          - Mi lasci fare. Le conduco via.

Pietro                            - No, no. Lasci dire, (sorride) Il giudi­zio è libero. E' la sorte di chi lavora.

La voce di Ortensia      - Dino!... Dino!...

Gerami                          - Mi permetta... Ora le faccio tacere.

Pietro                            - Vada... C'è anche la sala, dentro, dei capolavori! (ride) Vedrà, vedrà che facchi­naggio inutile... Quanta vita sprecata, sciu­pata.

Gerami                          - Lei non è buon giudice in questo momento. C'è una nota volgare che l'offende. Mi permetta, (sparisce; dentro, come per im­posizione, si fa subito silenzio).

Pietro                            - (va intorno nella stanza; è stizzito, in­deciso se entrare o no, è nervoso. Si avvicina un momento alla tenda per udire. Le voci dentro, rompono ancora improvvisamente).

Voci                              - Dino sviene! Ha riconosciuto la dea !

—Si è incantato! Il nome!... il nome!...

—Fuori il nome! Parla, sciagurato!... (poi uno sghignazzare e la voce di Fabrizio sulle altre, irritata: La finite, vivaddio!... Ora vi mando a quel paese! e un correre, dentro, uno squittire, un fuggire, e il rumore d'una porta che si chiude subito con vio­lenza).

Pietro                            - Hanno fatto scempio di quella po­verella e ridono! (solleva la tenda e guarda) Studia, Leonia... fruga... la misura con gli occhi!... Gerami la consiglia!... (ride sprez­zante, lascia cadere la tenda, si allontana su­bito, va intorno ancora, borbottando, gestico­lando; poi si getta a sedere sulla poltrona) Tormentati!... Lavora!... Brava bestia!... Vale la pena di logorarsi e smaniare... (ha un impeto) Ma che sanno!... (rimane un momento pensieroso, la testa sulla mano, il gomito poggiato alla tavola).

Leonia                           - (sbuca dalla tenda. S'indugia un poco e lo guarda. Ha il sorriso sprezzante e negli occhi grigi un lampo vittorioso. S'inoltra) Via, confessalo, per così poco non valeva la pena. Oh, bada, nessuna invidia, sai. Sei padrone di scegliere... e anche d'innamorarti della felice scelta. Però, come modella, val­ go un po' meglio... ho la soddisfazione di dirtelo.

Pietro                            - Sei venuta preparata.

Leonia                           - Affatto. Certo, con molta curiosità... per giudicare. In fondo, un poco è anche il mio mestiere. A forza di strofinarmi con l'arte mi ci è rimasto lo spolvero, (sorride) Gambe lunghe, mio caro... bacino ristretto... un petto che s'incurva... nessuna linea scul­torea.

Pietro                            - Niente altro?

Leonia                           - Non si direbbe la tua mano... (ride) Quella testa è un fiume!... Ce ne hai messo dei capelli!... ma k creta, si sa, è a buon mercato.

Pietro                            - Sbagli... sono i suoi. Quando li scio­glie è veramente un fiume.

Leonia                           - (si morde il labbro) Lasciamolo cor­rere... se ti fa piacere... Ho voluto darti il mio giudizio spassionato... e ti è dispiaciuto...

Pietro                            - Il giudizio è libero.

Leonia                           - Avrei voluto dirti: bravo Pietro, mi hai sacrificata, non importa, ma hai fatto una cosa bella. Ma non è... Ci soffro.

Pietro                            - Per me o per te ci soffri?

Leonia                           - Anche per me, sono sincera. Non si rinunzia così senza dispetto alla regalità del marmo, per dire una frase tua, dopo essere stata l'animatrice di tanti tuoi lavori. Mi ero abituata a vedermi modellare... e in ogni mia posa, in ogni mio gesto, ho disseminato un poco del mio. Capirai... ero l'immagine qui... e mi vedo spodestata.

Pietro                            - (con calore) La vita dell'artista non può essere contenuta per cristallizzarsi. Toh... sarebbe bella... L'opera sua tanto più efficace sarà se attingerà a tutte le fonti e brucerà a tutte le fiamme. Forse che io non ti sono grato per tutto il lavoro fatto? Avrei tollerato il tuo dispetto., e lo avrei anche capito. Ma tu ci metti della persecuzione e io ho il di­ritto di ribellarmi perché ho il dovere ver­so me stesso di sentirmi libero a costo di qua­lunque sacrifizio... perché al disopra d'ogni altra considerazione c'è l'opera mia... e la difendo, (si alza).

Leonia                           - (gli ride in faccia) Bella, l'opera tua!... (è agitata, nervosa) Questo può sem­brare egoismo buono... Ma non sei neppure sincero... Tu difendi- l'intrusa. E io sono la donna di cento tuoi disegni che insorge con­tro la nuova venuta. Io mi attacco a quello che per lunga consuetudine è diventato il mio pane quotidiano... Non si lacera una carne senza che un po' di sangue ne zampilli... Oh, fate presto voi, signori uomini!... Ah, sono liberi gli artisti!... Ma ti sei preso il mio re­spiro quando ti è convenuto... e per prosti­tuirmi per il tuo gusto e per la tua arte non hai guardato tanto per il sottile quando ero una povera maestrina... e mi vergognavo. Ora la mia impudicizia grida dai tuoi lavo­ri... è il mio miglior vanto... tu me l'hai da­to... e non ci rinunzio. Pietro             - Bada... son lì... non è il momento buono... (è seccato, si avvia).

 Leonia                          - Resta... (lo trattiene) Sono nella sala dei gessi... e vanno curiosando... Se non ap­profitto ora dovrò aspettare troppo.

Pietro                            - (le braccia pazientemente unite) Ma che vuoi, finalmente... di'... di'... che vuoi?

Leonia                           - Niente... Essere con te come prima... Una cosa tua per il tuo lavoro e per le mie carezze quando le sentivi... Allora mi soffo­cavi... e io con te bruciavo perché mi rime­scolavi il sangue... Sono una creatura di sensi... Nessun uomo saprebbe baciarmi come te... e tu sei il mio vizio. In quattro anni con te non puoi rimproverarmi niente. Ti vegliai con amore quando fosti malato ; ho impegnato anche i pochi gioielli quando ci è stato il bi­sogno. Non te lo rinfaccio.

Pietro                            - Me lo ricordi.

Leonia                           - Tornerei a farlo... Ora non mi vuoi più perché una sconosciuta prende il mio po­sto... Che ne sai di lei?... Hai finito di mo­dellare, non ti serve più... mandala via... Ma tu non la mandi... te lo leggo in viso... (ha. una risatina secca) Ti si è presentata bene, lo so... un poco di mistero... e questo ti è bastato. Le hai veduto una lacrimetta ferma negli occhi... e tu hai giurato che quella la­crima era una perla.

Pietro                            - (con dispetto) Una perla.

Leonia                           - Vedi, se ti conosco bene, (ride an­cora) Mio caro, io non ho avuto finzioni con te. Niente misteri... niente perle agli occhi. Avevo la risata facile... i modi bruschi... mi piaceva qui... leggevo i romanzi... mi hai detto: resta... e sono rimasta. Ero terreno fa­cile e tu hai seminato bene... Ora ti vengo a noia e dici che ti manca l'ispirazione... Oh, la tua noia!... Io la sentivo venire... e tu cercavi fuori per pescare in un rigagnolo !... Hai voluto creare l'occasione per esplodere... e sei stato volgare con quel pretesto... Ero fe­rita e me ne sono andata... Ma ho fatto male... Non sospettavo l'altro... Ora, guar­da... strappami se puoi... (si getta a sedere con padronanza).

Pietro                            - (calmo) Resta, se ti piace. Sloggerò io. (si avvia).

Leonia                           - (ferita) Così rispondi?

Pietro                            - Ma sì... Che devo dirti?... Sei venuta l'ultima volta, ti sei accesa e non ci siamo capiti. Mi hai fulminato con le tue lettere, mi hai perseguitato con Fabrizio. Ora torni, sei ancora accesa, e non ci capiremmo nep­pure. Dovevo dunque per contentarti trasci­nare una catena? Sono stato franco, io, sin dal primo giorno che mi hai riso in faccia. Ti ho detto: bada, questa sarà la nostra vita fin che dura... ma non dura; se ti contenti, bene... Non ti ho illusa mai. Ti ho lasciata libera, eri libera anche prima quando eri un'allegra maestrina. Non puoi dire neppure che sono stato ingrato... Quello che ho po­tuto darti ti ho dato.

Leonia                           - Così mi parli?

Pietro                            - Sei tu che mi costringi.

Leonia                           - Sta bene... (si drizza) Non mi do­mandi quello che farò io?

Pietro                            - Non te lo domando.

Leonia                           - Hai torto      - (gli ride con impertinenza).

Ortensia                        - (improvvisamente, sbuca il capo dal­la tenda, e tutta si drappeggia con la tenda rossa. Ha un berretto in testa, spinge una. mano impiastricciata di creta, e ride ride) Leonia, vedi?... Sono Pietro Alteni... ho il suo berretto... Ora modello la testa di Fa­brizio... Gli ho messo anche la pipa... Vieni a vedere.

Leonia                           - Ora vengo... Lasciaci.

Ortensia                        - Cos'è? Vi confessate?

Leonia                           - Sì.

Ortensia                        - Tu vedessi Dino in adorazione con le statue!... Quante nude!... una sala piena... Puah!... Vergognati!... (ride).

La voce di Tina _____ - (in lontananza) Ortensia Ortensia...

Ortensia                        - Vengo... (subito sparisce).

Leonia                           - (è ancora tutta fremente. Si contiene, ma è per poco. Breve silenzio) Dunque? Ci hai pensato? La mandi via?

Pietro                            - (deciso, per tagliar corto) Non la mando.

Leonia                           - (lo guarda un momento) E' qui... lo so.

Pietro                            - Non è qui.

Leonia                           - Non mentire... C'è l'odore... si sen­te... Vuoi che frughi?... (va intorno) Guar­da... è il suo cappello! (lo prende con schifo sollevandolo con due dita) Che miseria!... sente il grasso    - (lo lascia cadere con disgusto).

Pietro                            - (avvampando) Rada... tu abusi della mia pazienza.

Leonia                           - (si avvia rapida per la scaletta) Ora salgo... Sentirà le mie ragioni...

Pietro                            - (la raggiunge, l'agguanta) Ti ho det­to che non c'è. Devi credermi.

Leonia                           - Lasciami... Ora grido... (si dibatte e strilla) Ti dico un'altra cosa per il tuo idolo... Bello il tuo idolo... E' pulito, l'idolo...

Pietro                            - Taci, (le tura la bocca con le mani).

Leonia                           - (grida più forte) Dino si è tradito da­vanti alla statua! Domandagli in che rigagno­lo l'ha conosciuta! In che fango l'ha veduta!

Pietro                            - Vipera.., (la trascina con violenza).

Leonia                           - (si attacca dove può) ~ Dino... Dino... Dino...

Cerami                          - (comparisce e subito accorre) Ma, signor Alteni...

Pietro                            - Ah, lei... benissimo... Lei perdonerà se uso la violenza con questa vipera.

Leonia                           - (urlando) Giuro, giuro che Dino l'ha conosciuta.

Pietro                            - Sente? Sputa il suo veleno... (la spinge sulla porta) E io la schiaccio, la scaccio. (accorrono le ragazze spaventate e anche Fa­brizio. Le ragazze parlano tutte insieme con­fusamente).

Ortensia                        - Cos'è?

Mimi                             - Perché?

Tina                               - Che hai fatto?

Ortensia                        - Vergognati.

Mimi                             - Lasciala.

Tina                               - Sei un mascalzone.

Leonia                           - (seguitando a torcersi) Giuro... giuro...

Ortensia                        - Lasciala.

Pietro                            - Via anche voi... via anche voi... via tutti...

Mimi                             - Ci scacci?...

Tina                               - E' inferocito...

Cerami                          - Si calmi...

Ortensia                        - Indemoniato.

Fabrizio                         - (spingendosi, sbracciandosi) Andia­mo... andiamo...

Pietro                            - Via tutti... via tutti...

Leonia                           - Giuro... giuro...

Tina                               - E' pazzo...

Ortensia                        - Legatelo.

Fabrizio                         - Non gridate, perdio! non gridate.

MiMÌ                            - (si strappa le rose e gliele scaraventa in viso) Villano!... (fugge).

Pietro                            - (ansimando) Lei, signor Cerami, no... un minuto, la prego. (le donne strepitano fuori della porta e stril­lano tutte insieme e gracidano come tante oche. Fabrizio si sbraccia e le trascina).

Fabrizio                         - Andiamo, andiamo. Ragionerete dopo, perdio!

                                      - (Pietro chiude subito la porta. Cerami si trova male, è impacciato, non sa come uscirne. Breve silenzio).

Pietro                            - (affannando ancora, e ricomponendosi un poco) Ho bisogno di lei, capirà... An­ che per chiederle scusa... Quelle signorine sono venute con lei... Io mi sono lasciato tra­sportare, é. Ho il temperamento violento... non so moderarmi... poi subito mi passa... Non ho voluto offendere lei... mi deve credere.

Gerami                          - Non l'ho pensato neppure, signor Alteni.

Pietro                            - La ringrazio...

Gerami                          - Mi addolora d'avere contribuito...

Pietro                            - Lei non c'entra... Anche un'altra ra­gione mi ha spinto a trattenerla... (non sa come dire) Lei ha udito. So che non si deve tener conto delle parole dette così, nell'ecci­tamento. L'ira è pessima consigliera, lo so... Ma intanto furono dette... e in modo, così... da far supporre anche peggio.

Gerami                          - (impacciato) Non so... non capisco.

Pietro                            - Io non uso le mezze, misure, signor Gerami. Sono figlio di operai. Operaio anch'io da ragazzo, conservo ancora un po' di quei modi bruschi. Sono un fanciullone, in fondo, e, più spesso, anzi, mi lascio prendere da facili canzonature... Allora diffido di me, diffido di tutti. Perdoni come parlo, dico a sbalzi, ma lei capirà. Certo, per ridurmi così come, ha veduto, vi ha dovuto concorrere un impulsò grave. Non era solamente risenti­mento d'artista, ma qualche cosa di più... Eb­bene, sì, non le nascondo. Ho per quella po­veretta, oltraggiata, derisa, un sentimento più profondo che non per le solite donnine alle­gre... che vanno, vengono... ci portano un sorriso, un fiore, aprono una parentesi nella nostra vita d'artisti... e poi passano... niente ci resta poi. Il caso ora è diverso, almeno così credo. Forse ci è voluta questa estrema vio­lenza per leggere dentro di me. Non lo so. Forse perché l'ho vista piegata e dolorosa, con umile rassegnazione, che qui intorno un po' di lei ci è rimasto... le dico, non lo so... Ma intanto, fino a prova contraria, quello che di lei rimane deve essere rispettato.

Gerami                          - Perfettamente. Amo la sua ruvida franchezza, signor Alteni, e con la stessa lealtà le rispondo, (vibrato) Io non so quello che ha potuto spingere Leonia a dire come ha detto. Forse per rappresaglia avrà gridato. Nessuna parola poteva tradirmi... Ho ammirato sem­plicemente l'opera... e la mia ammirazione è stata sincera... Niente altro.

Pietro                            - Grazie... Io la credo... Fa tanto bene una parola onesta... Mi dia la mano, signor Gerami (gliela stringe forte) Lei è un ga­lantuomo... Glie lo si vede in faccia.

Gerami                          - (con entusiasmo) La sua opera è ma­gnifica.

Pietro                            - Sì, forse... ora me la sento... e me la rivedo.

Gerami                          - C'è del Rodin nella maniera... ma lei è più semplice, va più dentro, è più sug­gestivo.

Pietro                            - Forse.

Gerami                          - Mirabile nudo !... Ha un impeto pos­sente di vita... Bello tutto... il gesto che lan­cia le rose... il dorso che si spezza... la chio­ma che il vento prende... c'è arditezza... pal­pito... c'è vita.

Pietro                            - (con orgoglio) Vedrà il marmo, ve­drà il marmo!... Non mi dica più, la prego... Mi rende orgoglioso troppo... (sorride e va alla scaletta) Dice tanto dell'opera... voglio farle conoscere subito chi me l'ha suggerita.

Gerami                          - (turbandosi) Chi?... La persona che lei ha modellata?

Pietro                            - Precisamente... E' chiusa, su... Mia prigioniera, (sale di fretta gli scalini).

Gerami                          - (agitato, per trattenerlo) No... la pre­go... un'altra volta... In questo momento...

Pietro -                          - Perché?... Anzi... Dopo quanto è ac­caduto... Giudichi lei... Desidero la conosca... (apre la porticina chiamando 🙂 Signorina Ma­ria... (entra).

Gerami                          - (si muove inquieto, indeciso; è come sui carboni accesi) E ora che gli dico!... Che gli dico... (va in fondo, ha una matta voglia di aprire quella porta e svignarsela). (Pietro comparisce con Maria sul pianerot­tolo).

Pietro                            - Eccovi liberata... (discende sorriden­do, tenendola per il braccio) Che manina ghiaccia... (gliela soffrega) Ora un bel sole subito per scaldarci... La bufera è passata... e ci è rimasto un amico che vi presento, (pre­senta) Il signor Gerami.

Gerami                          - (costretto, si volta).

Maria                             - (ha subito un palpito e si arresta).

Pietro                            - (sorpreso) Perché, signorina Maria?

Gerami                          - (ha un gesto inutilmente supplichevole).

Pietro                            - Una conoscenza?

Gerami                          - No.

Maria                             - (sostenuta) Ricordo d'aver veduto un'altra volta il signore.

Pietro                            - Veduto!... (guarda Gerami, trepi­dante) Ma come... dianzi... lei mi assicu­rava...

Gerami                          - (confuso) Mi lasci dire...

Pietro                            - Ah, vivaddio! (rompe in una risata che schianta) Che imbecille…. Bene, signor Gerami... Lei è corretto e cavaliere... Dovevo capirlo... Vede come è facile la can­zonatura, (seguita a ridere e vuol essere di­sinvolto).

Gerami                          - (concitato) No, signor Alteni... Non rida... Dianzi le ho detto... e sul mio onore, con la stessa sicurezza tornerei ad affermar­glielo.

Pietro                            - Mi lasci ridere.

Gerami                          - Giuro che di lei ignoravo anche il nome... un incontro un giorno, un momento... e questo non basta per dire di conoscere una persona.

Pietro                            - Non giuochi sulle parole.

Gerami                          - E' la verità.

Pietro                            - (sorride) Una coincidenza strana, però, deve ammetterlo, anche perché Leonia...

Gerami                          - (vibrato) Leonia ha mentito!

Pietro                            - Era però informata.

Gerami                          - Un gesto, una parola carpita dinanzi alla statua...

Pietro                            - E lei aveva negato.

Gerami                          - Non basta per sospettare.

Pietro                            - E' più prudente la signorina che non parla.

Gerami                          - (con calore) Lei può dirlo... deve dirlo.

Pietro                            - Anche lei, signor Gerami.

Gerami                          - Non mi chieda. Vi sono momenti in cui una parola brucia e può ferire: lacrime nascoste che una delicatezza ci vieta di rive­lare.

Pietro                            - (ironico) E' generoso... è cavalle­resco.

Gerami                          - Non come pensa... Nulla che possa farla arrossire... Se mai, un ricordo triste per me... La mia parola le basti... (è commosso) Dica lei, signorina... Egli ha il diritto di sa­pere... e dovrà crederla... La mia presenza ora può metterla in soggezione... ma io tor­nerò per giustificarmi.

Pietro                            - (brusco, spalanca la porta) Vada, vada... (ma si modera subito) Perdoni i miei nervi... Lei, anzi, è corretto. Sono stato goffo, dianzi... Mi perdoni.

Gerami                          - (composto, risoluto, salutando) Arrivederla, signor Alteni (si allontana rapida­mente).

Maria                             - (è rimasta sulla sedia in atteggiamento semplice, ma doloroso).

Pietro                            - (è diritto accanto alla porta, con le spalle voltate alla stanza) Corre... Aveva fretta... Era impacciato... Che poteva dire...

                                      - (sorride un poco, torna lentamente, si getta a sedere, un lungo silenzio, poi guarda Maria) Vi ho ripresentato un amico... Tanto meglio... Dovete essermi grata.

Maria                             - Non è un amico.

Pietro                            - Cos'è?... un cliente?

Maria                             - (non risponde).

Pietro                            - Ah, già... uno sconosciuto, (sorride ancora) E dove l'avete incontrato... questo sconosciuto?

Maria                             - (lacerata per la sofferenza lungamente contenuta) In casa nostra... La casa dove ci è morta la mamma... E' una povera casa la nostra... Finché c'era lei, non era volgare il nostro ambiente... Poi, morta la mamma, il babbo si è dato al bere.

Pietro i                          - Beve... (urea pausa) Ora capisco... Allora vengono in casa gli sconosciuti... gli amici.

Maria                             - No, signor Pietro. Siamo sempre eoli, i miei due piccoli fratelli e io. Il babbo esce il giorno e torna tardi la notte. Non ha la­voro fisso ma come gli capita. Sono le ore tranquille, per noi, quando lui esce... e io sbrigo le mie, faccende e respiro. Si sa, siamo in quattro, la roba è poca, ma pure bisogna darsi da fare. La mia finestra è l'unica che ha un poco di sole, c'è una pianticella di ga­rofani che curo con amore; e lì passo, lavorando, il mio tempo migliore. La sera, i piccini mi si addormentano presto; accendo la mia lampetta e rammendo e ricucio per fuori. E' una grande pace, allora, signor Pie­tro, un grande silenzio. Io potrei dirvi tutte le voci della notte... una per una... i miei piccoli sogni, i miei pensieri sciocchi... finché torna lui che batte... e non si regge in piedi. Perdo­natemi questi dettagli, signor Pietro, ma sono tutta la mia vita e voi dovete sapere, (è com­mossa) Il mio lavoro, come vedete, è meschino... il guadagno è poco... e non gli basta, non gli può bastare. Mi sono affaticata in giro per cercare, per raccomandarmi, per piazzarmi, con tanta voglia!... ma non è facile... Mi guardavano negli occhi, mi studiavano nella persona... Sono giovane, neppure brut­ta, il lavoro che mi proponevano aveva sem­pre, per me, un fine insidioso... E tornavo sfibrata nella povera casa, lacerata, con la morte nell'anima, senza una speranza. Voi, signor Pietro, mi avete veduta la prima volta in un'ora di quella disperazione. Mi avete detto quel giorno anche una parola buona... io la ricordo, (è sofferente).

Pietro                            - (sospeso) Dite... dite...

Maria                             - Il babbo peggiorava... aveva delle rabbie cieche... mi guardava e ruminava un pensiero che non gli potevo capire... diceva delle parole oscure... Una figliuola bella, di­ceva, doveva saper fare... io ero buona a niente, crescevo inutile per logorarmi le ma­ni... non sapevo fare... e ci avrebbe pensato lui... Non capivo ancora... non potevo capi­re... e lui ci ha pensato, (ha un lampo scuro negli occhi) Quella notte avevo un presenti­mento e non volevo aprire... Pioveva, dilu­viava... Discinta come stavo nel letto, i piedi nudi, aspettavo... Il cuore mi batteva forte forte... Lui seguitava a bestemmiare... Avevo udito un'altra voce... Il tempo appena per ricompormi un poco ed aprire... Sul piane­rottolo scuro c'era un altro col babbo.

Pietro                            - Gemmi! (Un silenzio).

Maria                             - I piccini dormivano... (le trema la voce) Perdonate... io dico male di lui... sono sua figlia.

Pietro                            - Vigliacco!

Maria                             - Voi immaginate il resto... Non me lo fate dire... Che schifo!... (si copre gli occhi con le "mani) Oh, il mio grido, quella notte, ha dovuto essere lacerante... Quel signore ignorava che mi fosse padre... Il suo gesto fu subito pietoso per me quando comprese... Si tenne lontano, rispettoso... Era commosso... Guardò mio padre con disprezzo... Gli alzò il pugno sul capo e fuggì inorridito, (respira affannosamente) Mio padre aveva il sangue negli occhi, la parola oscena, le mani attor­cigliate nei miei capelli... Mi soffiava sulla bocca l'alito che sentiva di vino... Scivolai in tempo... la porta era spalancata... la sala buia... Correvo, affannavo... mi inseguiva la sua voce avvinazzata... Ero nella strada... pioveva... ero come pazza... Allora mi tornò la vostra parola buona... fu un lampo... Ri­cordavo la vostra casa... cercai la vostra por­ta... picchiai disperatamente... Il resto, voi sapete.

Pietro                            - (è commosso e non parla subito) Perché non mi avete raccontato?

Maria                             - E' fango... mi ripugnava. (Un silenzio).

Pietro                            - E ora?

Maria                             - Mi lasci in pace, (sorride) Vorrei dire che ora è buono con me. Forse il mio grido gli è rimasto dentro. Sembra invecchiato e non osa guardarmi. Anche coi piccoli è diventato più umano. Beve sempre, ma ha il vino te­nero, (sorride) Dice che va in America e fa i milioni per le sue creature... Un giorno aveva gli occhi umidi come se avesse pianto... Ma è un freddo in mezzo a noi. Ieri si è fer­mato sulla porta e ha chiesto se volevo nien­te... Non bere! gli ho gridato... e lui è uscito curvo, (si alza con stanchezza) E' tardi, si­gnor Pietro... Ora basta.

Pietro                            - Quanta pietà, quanta miseria nel vo­stro racconto... Anch'io vi ho straziata, vi ho presa per il mio lavoro... Dianzi ho dubita­to... Anche di me avrete un triste ricordo.

Maria                             - No... Di voi, no.

Pietro                            - (violento, drizzandosi) Volete che di­strugga il lavoro?... che nulla ci resti più? (corre risoluto).

Maria                             - No, Pietro... Non voglio! (lo raggiun­ge, lo agguanta).

                                      - (Pietro ha già ghermito la tenda e l'opera ap­pare nel sole. Sono stretti, insieme, e la guar­dano muti).

Pietro                            - Vedi... nel sole... la figura illumi­nata...

Maria                             - (gli occhi grandi, fissando) Nuda... io.

Pietro                            - Tu che sei passata nella mia febbre... che mi davi il vigore nei polsi... Avevo l'im­magine tua negli occhi... E' l'opera tua.

Maria                             - Non lo so... Voi lavoravate... ero lon­tana tanto... Mi bruciava la carne... non osa­vo guardare... (si copre gli occhi e pian­ge) Io!...

Pietro                            - Maria!... Maria!...

Maria                             - Non mi badate... Piango un poco... Non so perché piango... Mi fa bene... Penso alla mamma... E' il ricordo di lei...

Pietro                            - (divincolandosi) Lasciami fare... Rompo tutto...

Maria                             - (l'avvinghia) Non voglio... L'opera vostra...

Pietro                            - Allora tu resti con me... nella casa che sarà la tua per sempre... per non lasciarci mai... Hai pianto tanto... la tua anima è pura...

Maria                             - No, Pietro... un sogno... non lo dite...

Pietro                            - Resta... (si scioglie) Voglio che re­sti... (corre alla porta) Tu non vai, amore mio... Tu non vai... (chiude con violenza). (Ella ha ancora le braccia tese per suppli­care).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Un salottino chiaro. La finestra è apertasul balcone. C'è il sole e sulla ringhiera siarrampicano le rose. Due porte laterali. Un’ altra in fondo mette nella stanza da pranzo: unacameretta col parato verde, la tavola in mezzo, la lumiera sospesa, in vista. Nel salottino c'ègrazia. I mobili sono chiari. Tutto è aggiustato,soffice, piccino. Guancialetti fiorati in ogni cantuccio e sopra ogni poltrona. (Maria, in vestaglia chiara, tutta si affaccenda nella stanza da pranzo insieme a Giulia, la giovane cameriera che l'aiuta. Il vasellame luce sulla tavola e le due donne, dentro, vanno e vengono e mettono a posto. E' un tintinnio di cristalli, un cicaleccio vivace. Fabrizio, ripuli­to, con la barba fatta, è nel salottino, seduto alla scrivania, in mezzo a fasci di giornali spie­gati, che legge attentamente).

Maria                             - Adagio, Giulia... Con delicatezza e garbo.

Giulia                            - Non tema.

Maria                             - Ieri hai rotto un bicchiere.

Fabrizio                         - (brusco) Chi rompe paga.

Maria                             - Lo senti, Giulia?... (ride) No, no, non pretendo. Ma stacci attenta. E' cristallo.

Giulia                            - Prendo con le due mani.

Maria                             - Brava... così.

Giulia                            - Qui è tutto pieno.

Maria                             - Lì, non toccare.

Giulia                            - Vede come luce?

Maria                             - E' argento, sciocca.

Giulia                            - Brilla! Ci ho consumato i polsi.

Maria                             - Il sabato è lavoro. Si rivolta la casa.

Giulia                            - E domenica... riposo.

Maria                             - Finalmente!... (ride) Tu l'aspetti la domenica.

Fabrizio                         - (alzando gli occhi dal giornale) Si­lenzio... Parlate troppo forte.

Maria                             - Oh sì... Sta a vedere... (ridono) Un po' brontolone quel segretario quando sbriga la sua posta, (seguitano a sgomberare).

Fabrizio                         - (getta con disprezzo il giornale) Le solite esagerazioni!... Lodi sperticate!... Sei grande Pietro come nessun fu mai!... (ride) Ancora un album! E' il millesimo.

Maria                             - (imitandolo) Silenzio... Parlate trop­po forte!... (ridono, dentro).

Fabrizio                         - (dà una guardatimi e getta l'album) Un'isterica o una governante... Firme­remo!

Maria                             - Quanta degnazione!

Fabrizio                         - (dopo un momento) Toh!... Non l'avevo veduta... (rigira una cartolina fra le mani, legge, poi ride forte) Delizioso!... Grande!... Stile americano... Commovente!...

Maria                             - (viene sull'uscio) Cos'è?

Fabrizio                         - Vi risparmio il cappello ammirati­vo, (si rovescia sulla poltrona) Un signore che, ha la buona ventura di perdere la moglie. Si rivolge a Pietro per il monumento. Sentite come finisce, (legge) « Un dolore incommen­surabile, o signore, ma anche per me merita­to riposo, (ride) ricordo marmoreo dovreb­be eternare sua memoria e mia liberazione. Pago bene (ride) Benissimo!

Maria                             - Dice così?

Fabrizio                         - E questo, per cartolina.

 Maria                            - Scherzo?

Fabrizio                         - Chi lo sa... Sono tanti i matti... C'è indirizzo e firma... e paga bene.

Maria                             - Oh, ne riderà Pietro.

Fabrizio                         - Lui?... Non lo sperate.

Maria                             - Perché?

Fabrizio                         - Perché non ride.

Maria                             - Già... non ride, (sospira, si avvicina alla scrivania e prende un'altra cartolina).

Fabrizio                         - (subito) No... quella no...

Maria                             - Vedere... (si allontana svelta, guarda, ha un sorriso amaro) « Illustre marito della moglie nuda ». Dice così.

Fabrizio                         - Senza firma... Un maligno.

Maria                             - Non volevate che io vedessi... Povero Fabrizio...

Fabrizio                         - Lacerate.

Maria -                          - Ne vengono tante... Non è la prima... (lacera lentamente e lascia cadere i pezzi).

Fabrizio -                       - Forse è la stessa mano che scrive.

Maria                             - Chi lo sa... (va in fondo, si affaccia. Giulia è sparita; torna e siede; è pensierosa).

Fabrizio                         - (dopo un silenzio, guardandola) Cos'è?... Finito l'argento vivo?... Vi siete messa di cattivo umore?... Ma fateci una ri­sata, per bacco! (dà una spallata, si alza e sgranchisce le gambe) Vorrei vedere che mi si dicesse: nudo!... Tanto meglio... Segno che son fatto bene.

Maria                             - No, Fabrizio... non dite così.

Fabrizio                         - E poi, cos'è?... Il nudo in arte è un'altra cosa. C'è il nudo da per tutto, nei giardini, nei viali... e che nudo!... senza nep­pure la fogliolina per mascherare, e nessuno si formalizza. Le statue nei musei son nude. Le ragazze guardano e le mamme lasciano guardare. Anche nelle chiese e sulle tombe dei papi... e i devoti pregano lo stesso... Oh, provatevi a uscire un po' più leggerina... che so... come quando fate il bagno, per esem­pio... Vi vien dietro la folla... e subito anche le guardie per l'offesa al pudore. Vedete bene, non è la stessa cosa... Andiamo, andia­mo... non state così.

Maria                             - No, Fabrizio... Voi dite, perché siete buono. E' l'insulto qui... la provocazione.

Fabrizio                         - Anonima.

Maria                             - Fa lo stesso... e punge. Pietro ci sof­fre... (sospira) E' cambiato da qualche tem­po, Pietro... Non lavora più... Non ha più fatto altro.

Fabrizio                         - Riposa sugli allori... Dopo tutto è giusto.

Maria                             - No, Fabrizio. Il successo strepitoso della statua si è propagato in un momento. Le illustrazioni l'hanno riprodotta in tutte le luci. Articoli, giornali, fotografie... è stato un grido solo di ammirazione. Pietro avrebbe dovuto saltare di gioia, avere un nuovo im­peto, pensare un nuovo lavoro... Invece, nien­te... Passato il primo entusiasmo, si è spento.

Fabrizio                         - Si riaccenderà. Lo conosco.

Maria                             - C'era di che sentirsi veramente orgo­gliosi, e compensare anche noi, dopo tanti palpiti. Ricordate, Fabrizio? (sorride).

Fabrizio                         - Ricordo?... Ero diventato un fac­chino.

Maria                             - Si lavorava tutti.

Fabrizio                         - Tre mesi febbrili.

Maria                             - Prima il gesso per la forma... e non era facile.

Fabrizio                         - Poi per liberare la creta e lavare.

Maria                             - Poi ancora il gesso per il modello de­finitivo.

Fabrizio                         - Poi il marmo!

Maria                             - Il blocco doveva essere puro, senza macchie, senza venature. E altri tre mesi pas­sati così...

Fabrizio                         - In un lampo.

Maria                             - Pietro, ossessionato... senza riposo... le mani lacerate... la notte non dormiva... Noi si aiutava, incitava... era un tripudio per l'opera che si sbozzava, giorno per giorno, che nasceva, viveva sotto i suoi colpi sicuri.

Fabrizio                         - Con le schegge che saltavano in­torno!

Maria                             - Ricordate?... (sorridono ai ricordi) Si dicevano mille pazzie... Erano mille spe­ranze... L'opera sarebbe subito accettata... Il successo non sarebbe mancato...

Fabrizio                         - I quattrini a palate!

Maria                             - Ero superba di lui... Orgogliosa!... Il suo amore era devozione...

Fabrizio                         - E il trionfo è venuto.

Maria                             - Sì... ma anche le prime ombre.

Fabrizio                         - Ombre?

Maria                             - (sospira) Quel marmo, sento di amarlo un po' meno... Pietro allora era l'artista tutto infervorato dell'opera sua, solamente. Ora no. L'opera è compiuta, gira, è di tutti... non è più sua.

Fabrizio                         - Di che si lamenta?.,..

Maria                             - Ebbene, no... Pietro si logora dentro... e mi tormenta... Pietro è geloso.

Fabrizio                         - Geloso!... avete detto geloso?...

Maria                             - Sì, Fabrizio... Dopo tutto, siamo giu­sti... è il nudo della donna sua... la donna che ama... va in mano di tutti... è il nudo di sua moglie.

Fabrizio                         - (con uno scatto) Andiamo... via... cose di matti, (ride, ride) Ho capito. Avete anche voi una testina che lavora... e ricama.

Maria                             - No, Fabrizio.

Fabrizio                         - E ricama male... Silenzio!... Ve Io dico io... e basta. Che diamine!... Esser ge­losi perché la statua... (ride) Pietro è ambi­zioso, invece... Io lo conosco dentro la buc­cia e fuori... Lasciategli fare il gesto di Otel­lo, se gli piace... Se la piglierà con gli adora­tori?... Soffocherà la sua nuda?... Strapperà le sue rose?... (ride ancora) Rassicuratevi... Vi ama, vi amate, ci-amiamo... Questo è l'essenziale.

Maria                             - E intanto non lavora.

Fabrizio                         - Lavorerà.

Maria                             - E' dimagrato.

Fabrizio                         - Pasta e fagioli!

Maria                             - E' nervoso.

Fabrizio                         - Bromuro!

Maria                             - Con voi non si può parlare seriamente. (sorride e si alza).

Fabrizio                         - Sfido... dite delle sciocchezze... (la segue) Via... via... Volete che vi ridipinga il quadretto?... Un salottino tenero... Un bal­cone con le rose... Una donnina che aspetta... Un orso che tornerà stanco dal lavoro... E lei con le braccine al collo, per addomesticarlo. Beato lui!... (Maria ride) Ah, ora ridete... No, signora Maria... ora mi vendico... Non socchiudete gli occhi...

Maria                             - Perché?

Fabrizio                         - Avete uno scintillìo negli occhi quando ridete.

Maria                             - E allora li chiudo (ride).

Fabrizio                         - E allora qui dentro è buio.

Maria                             - Oh, badate, mi fate dei complimenti.

Fabrizio                         - Dio me ne guardi... Chi mi salva da Otello... No, no... Sono pittore... è il mio antico mestiere... Il quadretto di genere mi piace... Mah!... (si picchia la fronte) C'era della fantasia qui... peccato... e non ho sapu­to far niente. Pianta parassita!...

Maria                             - Non è vero. Lavorate tanto per Pietro, siete anche il mio buon aiuto. I miei fratel­lini vi vogliono bene... e vi chiamano: Bob.

Fabrizio                         - Già... Bob... Ieri sono stato in col­legio a vederli.

Maria                             - Contenti?

Fabrizio                         - Due mele rosse... Giocavano nel cortile e schizzavano di salute.

Maria                             - Poverini... respirano un poco senza il babbo.

Fabrizio                         - Oh, lui, a proposito... se vedeste... Ieri si aggirava da queste parti. Ripulito, lu­stro, un fiore all'occhiello.

Maria                             - (pensierosa) Da queste parti?...

Fabrizio                         - Non temete. Pietro con lui è stato duro. Gli ha fissato i limiti... e non si passa. Sa che non può venire.

Pietro                            - (il cappello in testa, improvvisamente entra da l'uscio di fondo) Chi è che non può venire?

Maria                             - Ah, Pietro... (gli corre festosamente incontro e gli butta le braccia al collo).

Fabrizio                         - Eh?... Lo dicevo io... Il balcone col sole... le braccine al collo... E io con la chitarra... (fa il gesto di accompagnare con la chitarra e ride per canzonatura).

Pietro                            - Cos'è?... Animale!...

Fabrizio                         - Niente.

Pietro                            - (staccandosi da Maria che gli era rimasta con la testina sul petto) Chi è che non può venire?

Fabrizio                         - Il gatto.

Pietro                            - (getta il cappello, posa sulla scrivania un fascicolo colorato, e guarda Maria che ride) Segreti?

Maria                             - Niente segreti.

Pietro                            - Allora... buffonate.

Fabrizio                         - Grazie dell'opinione. Bada, c'è di mezzo tua moglie che è una donnina seria...

Maria                             - (sorridendo) Fabrizio è un segretario coi fiocchi... e io lo proteggo.

Fabrizio                         - Tua moglie dice delle cosine as­sennate sempre... però, però... alle volte...

Pietro                            - Cos'è?

Maria                             - Silenzio! (gli fa gli occhiacci) Se no gli spiffero subito che quando non c'è lui mi fate i complimenti.

Fabrizio                         - Ho detto che ha lo scintillìo negli occhi quando ride... e questa è la verità.

Pietro                            - (agrodolce) Smetti, smetti... non ti sdilinquire (si è seduto in fondo).

Fabrizio                         - Orso... Cos'hai?... (lo guarda) Bi­sogna leggere quello che dicono di te tutti questi giornali... Bisognerebbe però anche co­noscerti da vicino per sapere quello che vali... Leggi, leggi.

Pietro                            - Non leggo.

Fabrizio                         - Ci sono anche due lettere...

Pietro                            - Non apro.

Fabrizio                         - Un'ordinazione buffa... (ride).

Pietro                            - Non lavoro.

Fabrizio                         - (lo guarda e fa una smorfia espressiva).

Pietro                            - Ma sì... cos'è?... Ti sorprende?... Ho detto che non lavoro.

Fabrizio                         - E tu non lavorare. A me, sai, im­porta niente (cammina, stropiccia le mani).

Maria                             - (sospira. E' diritta accanto alla scriva-nia. Prende il fascicolo lasciato da Pietro e guarda la copertina).

Pietro                            - Non aprire, Maria. Ti prego.

Maria                             - Ti dispiace?... Non apro.

Fabrizio                         - Perché?... (le strappa il fascicolo di mano) Una rivista inglese?... Riprodotta? (Pietro non risponde, ma egli ha subito tro­vato la paginetta) Perfetta!...

Pietro                            - (ha uno scatto e una risata nervosa) Di', di' pure somigliante! Non ti trattenere, sai... Di', di' che è lei... che la si riconosce­rebbe lontano un miglio...

Fabrizio                         - Oh, senti... Vuoi che mi lamenti?... che pianga con te?... che versiamo insieme le nostre lacrime (fa la voce di pianto) perché nelle riviste straniere (finge il singhiozzo) si è commessa l'inaudita infamia di riprodurre il nostro lavoro?

Maria                             - (ride incoraggiata) Bravo Fabrizio!...

Fabrizio                         - (smette la burla) Meriteresti... (fa l'atto di gettargli il fascicolo in testa) Ma se è il tuo successo!... Fammi la smorfia perché sei diventato celebre... e ti si ammira... e te lo si canta in tutti i toni e in tutte le lingue. Ma che ti piglia? Sei ingiallito? Devo dunque credere che valga meglio una zucca vuota, co­me la mia, che ragiona, al tuo cervello glo­rioso imbottito di corbellerie? Cos'è? T'è ve­nuta l'itterizia cerebrale?

Maria                             - Sì, Fabrizio... bravo... sgridatelo un poco. A me non mi sente... non mi dà retta... Ditegli voi... Sgridatelo un poco... Ma poco poco... con garbo... per non irritarlo, (ha un sorriso pieno di bontà ed esce in fondo, ra­pidamente, chiamando:) Giulia... Giulia... (Un silenzio).

Fabrizio                         - La senti!... Ha detto: poco poco... Quanta tenera grazia... Dovrei stropicciarti il capo, strofinartelo con eleganza per non irritarti. Dirti le parole amare e darti i con-fettini... perché lei ci mette tutto il suo cuore... anche quando sei un selvaggio... e le dici le cose che la fanno soffrire.

Pietro                            - Mi vuoi scoprire Maria?... La cono­sco, sai (sorride).

Fabrizio                         - E allora?... Perché stai così?... Cosa ti manca?... Di che ti lamenti?... Perché t'irriti e non lavori?... Hai fatto tanto per arrivare e ora che ci sei dai un calcio alla fortuna e a tutto il ben di Dio, che una buona fata ti ha accumulato intorno per ren­derti invidiato.

Pietro                            - Invidiato... è la parola... E' preci­samente questo. Sono invidiato (ride).

Fabrizio                         - Lamentati... Ricordati quante sma­nie per arrivare. Sognavi l'opera, e ti è ve­nuta. Volevi la casetta tranquilla vicina allo studio, il nido bianco per i colombi che do­vevano tubare... e ce l'hai la tua colombaia... Aspettavi il successo dell'opera... e ti è scop­piato nelle mani... Hai messo in circolazione le tue vecchie cose... e guadagni bene... Che più?... Da dieci mesi sei il marito allisciato, inzuccherato, e la gloria batte alla tua porta... Ma tu bruscamente diventi eccezionale, di­venti orso... e chiudi.

Pietro                            - Non bruscamente... a grado a grado... Era il lavoro prima, e la febbre mi prende­va... Allora io non sapevo... e non pensavo.

Fabrizio                         - E ora?... Che pensi?... Una nuova congiura in Portogallo?...

Pietro                            - Scherza... scherza...

Fabrizio                         - (pietosamente) Dio, fategli luce!

Pietro                            - (si alza) Perché tu non sai... (cam­mina in lungo),.. Prima di tutto, vedi, biso­gnerebbe precisare bene che razza di gloria è la mia. Sai, ce ne sono di varie categorie. Anche i gloriosi buffi, come me.

Fabrizio                         - Ti credo.

Pietro                            - La casa... la colombaia... il succes­so... Mi hai fatto una dipintura allegra... Ep­pure, vedi, vorrei spezzare tante cose e tor­nare come prima, sotto il cornicione, nella mia bicocca rustica, come tu la chiamavi... Non mi credere impazzito.

Fabrizio                         - Figurati.

Pietro                            - Più io mi analizzo dentro e più la verità mi appare cruda, senza veli...

Fabrizio                         - Nuda.

Pietro                            - Già, nuda... come la mia statua... dici bene... nuda! nuda!

Fabrizio                         - E' la tua fissazione, ho capito, la tua malattia. Curati, amico caro.

Pietro                            - Dimmi tu.

Fabrizio                         - (agitandogli le mani sugli occhi) Amandola molto quella povera statua che maltratti e non ti meriti. Apprezzandola come devi... come tutti... come so apprezzarla io che l'ho vista sbozzare e nascere, (prende il fascicolo) Ma guardala, dunque, disumano!

Pietro                            - Lascia... è inutile (gli strappa il fa­scicolo).

Fabrizio                         - L'ho qui con me, lo stesso, (toglie dal portafoglio) E' qui fotografata, stampa­ta... sulla cartolina.

Pietro                            - Dammela.

Fabrizio                         - Non te la do (gli sfugge).

Pietro                            - Bada... (è violento) Io grido che tu hai il ritratto di mia moglie in tasca. Nessuno ti autorizza... e me l'hai rubato!

Fabrizio                         - Caspita... Carabinieri e guardie!... Quando la volti così... prendi. Posso com­prarmene un'altra. Se ne vendono a migliaia.

Pietro                            - Le distruggerò tutte, (lacera).

Fabrizio                         - Come fai?

Pietro                            - Ricorrerò ai tribunali. Sono stampate clandestinamente e messe in circolazione sen­za permesso. Ricorrerò ai magistrati. Mi farò giustizia, perdio! Il diritto di proprietà per l'opera dell'ingegno è inviolabile e sacro.

Fabrizio                         - Fin qui dici bene... Se vuoi, ti aiu­to... Hai torto solamente quando ti monti con le corbellerie... è allora che rido (ride).

Pietro                            - E' ridicolo, sì. Forse passerà. E' co­me il malato che ha una malattia lenta; vuole guarire, e intanto se la tiene. Anche il vigore per lavorare mi manca. Mi vedo rimpicciolito intorno a lei per sospettare e sospirare. Poi ho delle ribellioni cieche. Mi sento feroce con gli amici che si congratulano; con gli in­differenti che mi dicono le mezze parole; coi maligni che mi perseguitano coi bigliettini anonimi. Io ne ricevo a centinaia di questi bigliettini e li nascondo perché Maria non sappia. Poi è un giornale umoristico, una sa­tira feroce, una rivista... e io nascondo. Ca­pirai, io non posso passare la mia vita così... non la posso. Mi sento ancora più attaccato a quella poveretta, pura più del marmo che ho foggiato con le mie mani, per denudarla agli occhi di tutti che la frugano nella carne e si deliziano.

Fabrizio                         - Enorme, sai... Ah, povero Pietro. Sta in guardia. Tu rovini te stesso e distruggi non l'opera, ma una povera creatura. (Un silenzio).

Pietro                            - (si è gettato sulla sedia, nervoso) Sai la prima ferita? Te la voglio dire. A Ve­nezia, due mesi dopo, quando ci sono tornato con Maria, (ride) Ero conosciuto e segnato a dito come l'autore fortunato... e con me anche lei, naturalmente. E' la moglie che ha posato nel lavoro, dicevano, e veniva subito ravvisata. Un giorno, mentre l'aspettavo nella sala, mi son trovato, un momento, in mezzo ad una calca di uomini che si pigiavano in­torno alla statua. Non ero veduto ed ascoltavo... Quello che hanno potuto dire! e i commenti osceni!... Era lei, viva, spogliata, frugata, desiderata da quelle bocche sudice... Ed io, star lì, soffocando, fingere di non sen­tire per non cadere nel ridicolo... il prurito alle mani... e una gran voglia di pigliare tutta quella folla a schiaffi, (ride) Sarebbe stato buffo, eh?... Ma intanto, a un pelo, sai.

Fabrizio                         - (si tormenta il mento. Ora non ride).

Pietro                            - E così, dopo, ancora, a passeggio, nei caffè, a teatro, da per tutto quando ci ve­devano passare... Si voltavano... Ah, è la mo­glie che ha posato... e i soliti sorrisi equivoci per me... e gli occhi fissati su lei per investi­gare e confrontare con l'altra. Ed io a tener­mela a braccetto trionfalmente! Potrei dirti tante di queste scenette gustose, quando io soffocavo con la bile dentro, il mio amore dentro, e sentivo il bisogno di stringermela... e fuggire come un ladro... inseguito dalle mil­le voci, le fotografie sfacciate, disseminate, per offendere la cosa mia. Ora non esco più con lei. Vado solo. La tengo qui, chiusa nella casa, per aspettarmi. E lei non sa. Mi cerca negli occhi, turbata nella pienezza della sua grande gioia; dopo tanti patimenti tormentata ancora per sopportare le mie esaltazioni, le mie pazzie. Sì, di' pure le mie pazzie. Lo so.

Fabrizio                         - Calmati... Vedi che non rido... Sei in uno stato di eccitazione nervosa che ti fa esagerare. Ma tu metti paglia nel fuoco... credimi, è paglia!... Devi distrarti. Non c'è che il lavoro, mio caro, per allontanarti dalla tua fissazione.

Pietro                            - Fissazione...

Fabrizio                         - Torna allo studio e alle cose che ti erano care. Riprendi la creta e la tua pastellina. Verrò con te per aiutarti nel facchinag­gio, visto che non so fare altro. Non leggere giornali, non badare alle satire, non curare i maligni e i bigliettini anonimi. Tutti invi­diosi che ti scavano intorno per distruggerti... non te ne accorgi... per distruggerti!... e tu fai il gioco loro. Lascia correre l'opera tua, e per un po' dimentica. Forse un compratore, qualche russo o americano, te la porterà via, lontano, la tua povera statua, e tu sarai li­berato. Modella intanto per distrarti qualche cosa che non ti costi fatica... che so... per un piccolo marmo... un piccolo bronzo... C'è tanta grazia nei piccini, coi capelli arruffati e gli occhi che ridono nel sole. Cerca nella tua fantasia e vedrai che trovi. Non ti fissare più, credimi... che ti rovini. Hai la tua casetta tranquilla, aggiustata, un amore; lei che ti è compagna amorosa; hai degli amici che ti son devoti... Dammi retta... lasciati condur­re... e vedrai.

Pietro                            - (è rianimato e si alza) Sei buono, tu... Forse il lavoro, dici bene... chi lo sa.

Fabrizio                         - Prova.

Pietro                            - Hai ragione... c'è tanta grazia nei piccini... una testina riccia che sorride... l'ho sempre sognata... ma dove?...

Fabrizio                         - Tonio!... il piccolo del guardiano... quel diavoletto che ci lancia le bucce delle arance...

Pietro                            - Già... Tonio... Mi ci fai pensare... Una testina ritta... le gambette tese...

Fabrizio                         - (subito) Lasciami correre... Ti af­ferro il monello... Spalanco al sole... Apro le porte e i finestroni... spolvero e do luce... Dico a tutti quei modelli sonnacchiosi che il padrone viene... che l'orso non è più orso... che tu tomi pentito... Do una voce alle mum­mie... e le desto... Bada che vado e ti aspet­to... Non me la fai...

Pietro                            - (ride forte) Vai... Sei buffo, ma com­movente.

                                      - (Maria viene subito dalla stanza da pranzo, tutta animata, vibrante, nel fruscio della ve­staglia di seta).

Maria                             - Cos'è... sento ridere... Anche Pietro ride... Siete voi, Fabrizio?

Pietro                            - Ha delle trovate buffe.

Fabrizio                         - E' il mio mestiere. Bisogna fare le smorfie.

Pietro                            - (ride) Le sai fare.

Fabrizio                         - Faccio il paraninfo a rovescio. Lo conduco alle antiche spose abbandonate e polverose. Ora corro per spazzare.

Pietro                            - Spazza, spazza.

Fabrizio                         - E lui metterà su il nuovo lavoro.

Maria                             - Bravo Fabrizio, (batte le mani).

Fabrizio                         - Dopo la scopa prendo il pennello.

Pietro                            - Torni agli antichi amori?... Smetti.

Fabrizio                         - Mi guarderò nello specchio e mi verrà l'estro.

Pietro                            - Non sei bello.

Fabrizio                         - Dipingerò per i posteri il mio auto­ritratto.

Maria                             - Con la scopa!

                                      - (Ridonò tutti; lo inseguono; Fabrizio è frettolosamente sparito).

Pietro                            - Matto! (si spegne subito e viene avanti serio).

Maria                             - E' buono Fabrizio. Ha sèmpre, la pa­rola che ci vuole e la barzelletta pronta. Posa per lo scettico, ma è capacissimo di togliersi di tasca i pochi soldi che ha per sollevare un altro. Però nessuno deve vedere. Così, ieri, ha fatto con Lorenzo, quel povero scian­cato che i monelli inseguono. L'ho colto sul balcone mentre gli gettava i soldi. E lui, su­bito, burbero, per guastare: vedrete, ora en­tra dal bettoliere e beve. Invece, no. Gli ab­biamo fatto la posta... e si è comprato pane.

Pietro                            - E ti sei intenerita.

Maria                             - No... mi ha fatto piacere.

Pietro                            - Vedi... con pochi soldi...

Maria                             - Per lui sono tanti. E poi, è il modo... (sorride) Con me, i primi tempi, Fabrizio era diffidente. Ora non più; ,si è addomestica­to e siamo diventati buoni amici. Mi aiuta quando può nelle faccende di casa.

Pietro                            - Ho visto.

Maria                             - Io gli dico: non sta, non sono cose da uomini; e lui si mette il grembiule, si smanica, corre in cucina, dà una mano a Giulia... e ci fa ridere.

Pietro                            - E voi ridete.

Maria                             - Già... (ride) ridiamo... sfido... Gli sono grata anche perché con te sa fare. Fa­brizio è riuscito, vedi, dove io non ho potuto e non ho saputo. E' buono, buono...

Pietro                            - (impaziente) Buono, buono... lo so... l'hai detto, (si domina) Ma non esagerare... non ti accendere... E' un piccolo difetto: prendi fuoco subito... In fondo, sai, niente che gli altri non sappiano ugualmente fare... I soldi allo sciancato glieli diamo tutti... Neppure con me, sai, scopre niente di nuovo. Naturale che devo tornare al lavoro... Non posso starmene così, con le mani in mano... per guardare le mosche che volano e si attac­cano alle vetrate. Non ci voleva lui, per questo.

Maria                             - Ma intanto...

Pietro                            - (brusco) So governarmi da me, sen­za tutori.

Maria                             - (lo guarda dispiaciuta) Dici una cosa cattiva per lui... ma anche per te... E' male, (si allontana, come per uscire).

Pietro                            - (subito pentito) No... senti... resta. Non voglio dispiacerti per così poco, (sorri­de, le si avvicina) Hai ragione, sì. (le pren­de con tenerezza la mano) Il tuo Fabrizio è buono... non te lo tocco... Io non so essere come lui.

Maria                             - Ora dici delle sciocchezze.

Pietro                            - No, no, verissimo. Ho delle gonfia­ture buffe, nella testa, e non so essere semplice come Fabrizio. Bisogna essere semplici. Nella vita resto ancora un ragazzone un poco scontroso e un poco violento. Mi manca la giusta misura... e non so le morbidezze che piacciono alle donnine, come te. Sono un po' ruvido, ecco... Anche quando voglio fare una carezza la faccio bruscamente... Se prendo un fiore, subito lo sciupo... Se una moglietti-na deliziosa è la mia, è per stritolarmela for­te forte... (la stringe, la preme) perché mi piace... e intanto le faccio male.

Maria                             - (sorridente) Non mi fai male.

Pietro                            - Anche un poco tormentatore sono, dillo... anche un poco geloso, dillo...

Maria                             - Mi ami per te... Mi piace di essere amata così... Così volevo essere amata... per sentirmi premuta nelle tue braccia, sempre.

Pietro                            - (respirandola tutta) Per me, sì... tutta mia... tutta mia...

Maria                             - Puoi dirlo.

Pietro                            - Nella stanzetta nostra... quando sia­mo soli... e nessuno ci sente, ci vede... e il tuo profumo mi è intorno e mi sale nel cer­vello... e io chiudo la stanza.

Maria                             - (con le braccia al collo, abbracciandolo) Chiudi, amore... sei il padrone.

Pietro                            - (si è seduto, la fa sedere sulle ginocchia e le sorride) Volevi la stanzetta chiara... Quanto affannare per cercare come volevi e aggiustare con garbo... E il cantuccio per il tuo lavoro... l'armadio con lo specchio, tutto tuo... il cassettino con la chiave per i tuoi nastri e i ninnoli... Volevi il letto grande per starmi lontana, le coltri pesanti per nascon­derti... La prima volta ti sei smarrita in quel letto grande... Ho dovuto affondare le mani per coglierti... Eri tutta bianca, in mezzo al bianco... Ero come stordito... Ti guardavo come se ti avessi veduta la prima volta... Tut­ta mia... Sentivo il calore della tua pelle' sot­tile... il tuo respiro... Non mi saziavo di fru­garti... Mi attorcigliavo i tuoi lunghi capelli neri intorno al collo, come serpenti al collo... per starti legato... La mia catena era... e tu sorridevi... Quanto abbandono in te... Io, violento, sempre, per schiacciarti sulla bocca il mio amore pazzo (la bacia sulla bocca) il mio amore pazzo.

Maria                             - (ha un brivido) Mi fai morire.

Pietro                            - Resta.

Maria                             - Mi fai morire, Pietro... Mi fai morire quando mi baci così, (si scioglie) Qui no... non è chiuso... Non è la nostra stanza... (sor­ride) Può venire Giulia... (si spezza nel dorso, si torce con languore, ha un gesto con le braccia per denudarsele, le mani morbide sollevate su la nuca per aggiustarsi i capelli).

Pietro                            - (la guarda, il respiro accelerato, senza muoversi).

Maria                             - Perché mi guardi?... Non vuoi?...

Pietro                            - Sei bella.

Maria                             - Tua.

Pietro                            - Quando passi ti guardano tutti.

Maria                             - Io non mi curo, lo sai.

Pietro                            - Ma ti guardano lo stesso. In fondo non deve dispiacerti.

Maria                             - Io non ci penso neppure. Piaccio a te e mi basta.

Pietro                            - Lo scrivono anche sui giornali che sei tutta bella, che sei perfetta.

Maria                             - Dicono del tuo lavoro, non di me.

Pietro                            - E' la stessa cosa. Sei nel mio lavoro.

Maria                             - Fabrizio dice che in arte non è la stessa cosa.

Pietro                            - Fabrizio è uno sciocco. La tua imma­gine l'hanno tutti. Anche Fabrizio l'aveva.

Maria                             - Una cartolina.

Pietro                            - Ah, lo sai... (ride male) E' il tuo ritratto... e io ci soffro, (si alza) Son io che ho diffuso la tua bellezza, io che ti ho copia­ta come sei... tutta grazia, la tua testina re­clinata come la porti... E' il tuo fascino, non l'arte mia. Chiunque sarebbe riuscito. Io che ti ho modellata senza metterci nulla di mio per dire a tutti: questa è la mia donna... è la sua carne... è il suo nudo.

Maria                             - (con calore) Ma no, Pietro... La tua donna deve essere anche un'altra... Quella che tu solamente sai... che tu solamente co­nosci... che non ha segreti per te... che ti ha dato il respiro della sua anima... la sua parte migliore... Non è la statua.

Pietro                            - Ma la statua la vedono... Sanno che è il tuo ritratto, (ride nervosamente) Di' che non ti dispiace questa ammirazione continua che ti segue, che io ho accesa intorno a te.

Maria                             - Mi tormenta perché è il tuo tormento.

Pietro                            - Per te, no, dunque.

Maria                             - Anche per me, sì.

Pietro                            - Per te no. E' nella natura femminile di essere un po' così. TI nudo è il vostro trion­fo. Le ragazze vanno a teatro, si denudano il petto, le spalle, affrontano mille sguardi, e non battono ciglio. Hanno il volto di colom­be bianche e stanno col petto nudo per farsi ammirare. Siete cosi... è la natura vostra (ride) Io per te, vedi, smanio, mi tormento... e tu stai lì, indifferente, e non ti accorgi che soffro.

Maria                             - (ha un grido di dolore) No, Pietro... distrugge la mia vita, quella statua... è nata col mio pianto... finirò per odiarla, (si ricompone, diventa umile, piccina) Mi turbi così, Pietro... Mi fai dire delle brutte paro­le... e poi mi pento... Io non so più parlare... né respirare.., ne muovermi... Divento impac­ciata... piccina... Dimmi tu... dimmi tu... (tutta si agita e si muove).

Pietro                            - Vedi, senza volerlo hai fatto il gesto che ti è abituale e che ricorda l'altra... Io non voglio che le somigli.

Maria                             - Riprendimi sempre quando lo fac­cio... ci starò attenta.

Pietro                            - Devi essere per me non quella che gli altri sanno.

Maria                             - Come vuoi... dimmi tu... consigliami.

Pietro                            - (le va intorno) I capelli così come li porti divisi sulle tempie ricordano troppo l'altra. Su, su i capelli, (le affonda le mani nei capelli e glieli scompiglia).

Maria                             - Mi spettini.

Pietro                            - Non importa.

Maria                             - Mi fai male, (i capelli le cadono di­sciolti) Che hai, Pietro?... (lo guarda mentre egli si affanna a ricomporle la testa) Non so se, devo ridere o piangere.

Pietro                            - Ecco... così... sulla fronte, arroton­dati... somigli meno... Anche quando cammi­ni pieghi il dorso troppo... E' un'andatura che ti è abituale... Volevo sempre dirtelo... Devi camminare meno mossa.

Maria                             - Dimmi tu, come.

Pietro                            - Come vanno le altre donne... come vanno tutte... Io ne, incontro a centinaia nel­la strada, e nessuno si ferma per guardarle... e non sono brutte.

Maria                             - Mi proverò, ecco... purché ti con­tenti... camminerò come vuoi. (Maria finisce per accomodarsi. Pietro si al­lontana un poco e piega il capo per guardarla).

Maria                             - Ma non essere brontolone, Pietro, te ne supplico. Mi hai dato una gioia, dianzi, e ora fai di tutto per distruggermela. Dobbiamo sentirci felici per amarci come ci amiamo. Abbiamo tutto per essere invidiati. Non ci manca niente. Non uscirò di casa se ti fa macere. A me, che, importa! lo sai che non ci tengo e sono contenta lo stesso nella mia bella casetta. Ti vedrò spuntare dalla fine­stra, ti aspetterò sulla porta, ti butterò le braccia al collo quando entri, per farti festa, e sarò felice lo stesso. Il mio pensiero è tuo, sempre, lo sai. La mia vita è tua, tu l'hai foggiata, ti appartiene, e tu ne fai quel­lo che vuoi. Non dirmi le parole che ci turba­no, o almeno, se credi, dimmele senza irri­tazione, senza quella brutta ruga sulla fronte; che ti sta male. Hai la bella fronte spianata e ti studi per aggrinzartela. Consigliami sen­za arrabbiarti... vedi che io ti obbedisco. Devo fare una cosa? dimmela, la faccio. Mi vesto come vuoi, il colore che vuoi, e tu stesso scegli quello che devo mettermi... Io ti se­guirò in tutto per essere come desideri, (sor­ride) Guardati intorno, girati... Mi hai dato tante belle cose... e io sono la custode qui per tenerti lucida e aggiustata la casetta, per esser bella per te, umile, devota, piena di amore... Ne ho tanto per darti!... come vuoi. Dio benedirà la nostra pace, e anche il tuo la­voro... e forse un giorno... chi lo sa... (sor­ride commossa) Io penso una cosa e non te la dico. Non te la dico perché non lo meriti.

Pietro                            - (raddolcito, intenerito) Dilla, amore mio... dilla, cuore mio...

Maria                             - No... Sei stato cattivo con me... e non te lo meriti, (gli sfugge civettando, egli la rincorre, girano intorno alla scrivania).

Pietro                            - Devi dirmi.

Maria                             - Niente.

Pietro                            - E io ti agguanto (la raggiunse).

Maria                             - (affannando) Ebbene, sì... Niente di male... Non farmi gli occhiacci... Mi sei tan­to dentro che non posso pensare, che le cose buone... Io dicevo che Dio forse un giorno ci darà la consolazione... Una creaturina che ti somigli... una boccuccia rossa per baciare, in mezzo a noi. Pensa, Pietro... che gioia.

Pietro                            - (reggendola, abbracciandola) Una boccuccia rossa... dovrà somigliare a te.

Maria                             - A te... Guai se non ti somiglia.

Pietro                            - Allora per accomodarci e non fare preferenze: un po' per imo. Alla boccuccia rossa però, giacché lo vuoi, ci tengo. Ti la­scio gli occhietti che saranno i tuoi... Papà emammà... carini.

Maria                             - Papà e mammà... (ridono, egli pren­de il cappello e vanno in fondo uniti).

Pietro                            - Mi fai dire delle sciocchezze.

Maria                             - Dille sempre così... dille sempre.

Pietro                            - Lasciami andare. Ho promesso a Fabrizio. Voglio lavorare. Mi torna la febbre. La famiglia aumenta... Vedrai se lavoro!

Maria                             - Vai, ma non tardare.

Pietro                            - Torno presto.

 Maria                            - Ti guarderò dal balcone.

Pietro                            - In mezzo alle rose.

 Maria                            - Addio, amore.

Pietro                            - Lo sai che sei la mia vita.

Maria                             - Lo so. (gli sorride sull'uscio e si stacca. Pietro si allontana rapidamente). (Maria l'ha seguito con gli occhi. Ora è pen­sierosa. Si passa una mano sulla fronte. Cor­re alla scrivania. Apre il fascicolo, cerca la paginetta e guarda. Aggrotta le ciglia. Ha un breve sorriso triste. Chiude e va lentamente sul balcone. Il sole le accende i capelli. Ha intorno mille pagliuzze d'oro. Sorride e sa­luta col fazzoletto. Aspetta che egli scantoni, poi entra mentre Giulia, viene dalla stanza da pranzo).

Maria                             - Cos'è, Giulia?...

Giulia                            - Ora che il padrone è via, venivo per il conto.

Maria                             - No, ora non mi sento.

Giulia                            - E poi dimentico.

Maria                             - Hai segnato?

Giulia                            - Sì, ma non torna.

Maria                             - Conta sulle dita e vedrai che torna. (sorride) Quattro e quattro fanno otto, cara la mia Giulia.

Giulia                            - E quattro fanno dodici. Fin lì ci ar­rivo, (ride) Ieri, per esempio... i tre soldi che mancavano... poi me ne sono ricordata.

Maria                             - Ah, che fortuna! (ride) Il bilancio torna. Nella casa, ci vuole la contabilità.

Giulia                            - Lei è una padroncina che sa fare.

Maria                             - Tu dici che so fare? (ride perché è contenta di sentirselo dire).

Giulia                            - Una padroncina coi fiocchi.

                                      - (Squilla il campanello della porta di casa).

Maria                             - E chi può essere?

Giulia                            - Eh! qui tutto a ore fisse. Non si sba­glia. Nessuna faccia nuova, non dubiti. Vuole che indovini? (pensa un poco) Sabato... quest'ora... La vecchina con le uova!... (ri­de) Vedrà che non sbaglio (va ad aprire).

Maria                             - (lentamente traversa. Sulla soglia della sua stanza si arresta e sta in ascolto).

Giulia                            - (subito torna è un poco sorpresa) C'è un signore.

Maria                             - Chi?

Giulia                            - Ha chiesto di lei.

Maria                             - Di me?... Io?... Sei matta...

                                      - (Giacomo Pastore appare, titubante, nella stanza da pranzo).

Maria                             - Oh Dio... il babbo... (si domina) Vai, vai, Giulia.

Giulia                            - (lo lascia passare).

 (Giacomo è sulla sessantina. Ha gli occhi or­lati rossi, la barba e i capelli bruciati dal-la tintura. Il volto tradisce una vita strapaz­zata. E' pulito nel vestire, ha un fiore ap­passito all'occhiello. Non parla subito. Guar­da intorno, poi sorride un poco).

Giacomo                       - Non mi aspettavi.

Maria                             - (non si muove dall'uscio).

Giacomo                       - Non sei neppure troppo incorag­giante.

Maria                             - Sai che Pietro non vuole che tu venga.

Giacomo                       - So.

Maria                             - Giravi intorno alla casa. Perché sei venuto?

Giacomo                       - -E' molto che1 io volevo. Ho saputo reggere alla tentazione finché ho potuto. An­che ieri fui sul punto di venire e poi ci ho rinunziato. Sapevo che Pietro... (si corregge) che il signor Alteni era severo con gli ordini fissati e non c'era per me lasciapassare, ma oggi, ugualmente, ho fatto la posta. Ho visto uscire prima il suo amico, quel Fabrizio, e poi lui. Non mi poteva scorgere perché stavo ben nascosto, e lui ha subito scantonato. Eri sul balcone, tu, per salutare, e sorridevi. Ho detto: « ah, questa volta ci salgo ». (tos­sisce) Sulle scale mi sentivo ancora titubante. Anche per suonare, non osavo. Poi, finalmen­te, mi son deciso, (ride un poco) Ora che son venuto mi pento. Dopo tanto che non ci vediamo, e tanto stentare, io rimango così... e tu mi ricevi come un importuno... e vedo che ti secca.

Maria                             - (fredda) Siedi.

Giacomo                       - Grazie (siede).

Maria                             - Dimmi quello che vuoi, ma presto, prima che egli venga.

Giacomo                       - Hai fretta?

Maria                             - Sì.

Giacomo                       - Sei franca.

Maria                             - E' per lui.

Giacomo                       - Anche per te, dillo, (fa la risatina) Non mi posso offendere. Sono corteccia vec­chia. Tanto, ci sono abituato.

Maria                             - Di che ti lamenti?... Perché ti la­menti?...

Giacomo                       - Io?... (si stringe nelle spalle) Non mi lamento. Anzi, vedi? Ripulito, lustro, messo a nuovo... Sembro un signore che pas­seggia senza pensieri. Lo devo a te.

Maria                             - Lo devi a lui.

Giacomo                       - A te o a lui è lo stesso, (sorride) Così non vi faccio scomparire. E' giusto, (ha un gesto come per cacciare un pensiero molesto) Dopo tutto, chi lo deve sapere? Avevo una figliuola, un tempo, ora non più. Anche i ragazzi,, spariti. La tua porta mi è chiusa e i ragazzi in collegio. In quale? non so, non li devo cercare neppure, né farmi vedere, per non svergognarli... perché sono un papà, di quelli che fanno vergogna. E' giu­sto           - (ride).

Maria                             - Non ridere così; mi fai pena.

Giacomo                       - Mah!... (scuote il capo) Forse, vedi, a frugarmi dentro in fondo, bene in fondo... forse a prendermi diversamente... chi lo sa...

Maria                             - (con dolore) Come!

Giacomo                       - Ho detto: forse... e non per rim­proverarti.

Maria                             - Con le mani giunte ti ho pregato, sup­plicato... Ricordati se ho pianto! (Pausa).

Giacomo                       - (ha negli occhi il ricordo doloroso) La miseria, si sa, fa spuntare i brutti pen­sieri... è allora che si beve.

Maria                             - Eri forte. Potevi lavorare.

Giacomo                       - Forse. Ma non è facile... Lavorare!

Maria                             - Lavoravo anch'io; ero una povera fi­gliuola. Avremmo avuto una casetta povera, ma pulita.

Giacomo                       - (è pensieroso) Una casetta pulita... (tormenta il cappello a cencio) L'avrei vo­luta... Si comincia male, chissà perché, e si seguita peggio. Poi è il rimpianto, i ricordi, il rimorso. Si capisce di aver fatto male... non si è più in tempo... non si vuol pensare... e si beve. E' un giorno di guadagnato e non si pensa. E l'indomani ci piomba coi ricordi che pungono e ci fanno soffrire... e ancora si beve. Ogni giorno così. E' una macchia ros­sa di vino, giorno per giorno, che si allarga nel cervello... e ancora si beve (ride).

Maria                             - Non ridere.

Giacomo                       - Il disastro della vita, mia cara, quando comincia non c'è mezzo di arrestarlo. E' una valanga che precipita, che porta, e va giù giù, sino in fondo. Hai un bel puntar­ ti, sai, tingerti i baffi per ingannare, giu­ rare e spergiurare, e metterti a nuovo. Quel­ la è la faccia... e ti resta. Ogni volta è un segno nuovo sotto l'intonaco che si sgretola... e si beve, si beve. Anche una lacrima qualche volta spunta... ma allora è buffa. Troppo tar. di. Bisogna mantenere lo stile del proprio temperamento, (ride lacerandosi) Non te­ mere. Oggi non ho bevuto, ieri neppure. Ave­ vo stabilito di venire e mi son tenuto per non bere. Mi è costato, lo dico, (ha un as­salto di tosse e gli occhi gli schizzano accesi).

Maria                             - Ti ammazzi! vedi.

Giacomo                       - Lascia correre. Più presto finisce meglio è. Ma ancora c'è tempo, (si soffia il naso, si pulisce la bocca e i baffi col fazzo­letto) Ti ho messa di cattivo umore. Lo vedo.

Maria                             - Mi hai colta in piena pace per por­tarmi un ricordo triste (va lentamente in fondo. Pausa).

Giacomo                       - E' giusto. Lo merito, (si alliscia le ginocchia) Quando il tessuto è logoro diven­ta più sensibile. Si vedono tutte le traspa­renze. Sono i nervi che non reggono... Ho passato tanti giorni per guardare le tue fi­nestre. Ieri ti sei affacciata per dare acqua alle rose. Tu non pensavi che stavo lì. Se non ti avessi vista, forse oggi non sarei salito. Resto ancora un poco e ti lascio. Volevo an­che vedere come era fatto qui. (si alza, va intorno e guarda) Bello... Aria buona... Un buon sole... Tutto è aggiustato, a posto... La bella stanza da pranzo... I seggioloni pe­santi... Il vasellame che luccica... C'è ordi­ne e mi piace... Quella è la tua camera?

Maria                             - (subito, correndo, gli impedisce il passo) Non entrare!

Giacomo                       - (la guarda un momento e abbassa gli occhi) Non entro, (ha il gesto lungo e colo­rito dell'ubriaco prima di parlare) Troppo giusto. Lì, no. E' la tua camera. Scusa... Il primo impeto è sempre; traditore. Non c'è da fidarsi. E' come il vino facile che ci sale su­bito in testa e ci fa sragionare. Scusa... Si sente la pace' qui, e si dimentica. Forse è l'aria che è buona... Non come da noi, allo­ra, nella soffitta buia. C'era l'umido che ci bagnava, i tre lettini sfasciati, le sedie zoppi­canti. C'era la rozza tavola, la tua piccola lampada... e tu lavoravi, lavoravi, ti rompevi le dita... e io venivo e bestemmiavo. Cana­glia!... Ricordo tutto, vedi, e mi fa bene. E' come una stilettata, qui... e mi fa bene.

Maria                             - Non ricordare. E' un passato senza luce. Un altro ricordo mi viene di quella mi­sera stanza... La mamma, poveretta!... Era­no gli ultimi giorni. Io la rivedo come se fosse ora. Non poteva parlare. Aveva gli oc­chi stanchi, ma c'era una muta preghiera in quegli occhi che; ti cercavano supplicandoti per le sue creature... E tu andavi e venivi, bevevi con gli amici, dicevi per distrarti!... Quel giorno ancora sei uscito e avevi bevuto più del solito per dimenticare... Sei tornato che non ti reggevi in piedi... e lei giaceva sul letto... le mani strette, insecchite, e negli occhi spenti aveva ancora la tenerezza della sua preghiera... Hai seguitato a bere e a darti spasso con gli amici... (egli ascolta impietri­to) Due piccole creature lacere ruzzavano nella strada, nel fango... Non avevano scar­pe... e tu cantavi le tue canzoni da ubriaco per insegnargliele... e i piccini, ridendo, ti rifacevano, (con raccapriccio) Ricordo che sei venuto una sera con un uomo, e pioveva. Era per me quell'uomo!... e tu, tu stesso, con le tue mani, me lo conducevi... Perdonami se anch'io ricordo. Anche per me è una sti­lettata.

Giacomo                       - (schiacciato) E' giusto. Dovevi dir­melo. Forse io sentivo che dovevi dirmelo... e sono venuto lo stesso. Ci ho pensato per decidermi, mi sono tormentato... e sono ve­nuto lo stesso. Ho detto: quella santa che ho visto patire senza un lamento, quella martire oggi prega per me. (è commosso) Ci ero andato un giorno laggiù... Andavo così... non so... C'è anche una poesia per l'ubriaco... Era una camminata triste... Ripensavo la mia vita inutile... Ero in mezzo a tante lapidi con le parole gonfie e bugiarde... Lei no... Una piccola croce... Anna Pastore... Il suo nome solamente... Quanta tristezza!... Ho colto un fiore sulla piccola croce, ora è appassito, e me lo porto in petto. Forse ho pensato: un po' di lei sarà in mezzo a noi... se avrò il coraggio... e quando ci vado...

Maria                             - (con. un grido che le rompe dall'anima) Quel fiore!... Quel fiore!

Giacomo                       - Ma anche lei non poteva perdo­nare. Ti ha suggerito le dure parole che mi dovevi dire... Niente di più giusto... Carne da galera!... Ora basta... per non turbare più la tua pace, vado... Ho visto e mi basta... Oggi ancora, per oggi, non bevo... Finché mi dura il fiore non bevo, (si avvia strisciando i piedi).

Maria                             - (con slancio, correndo, afferrandolo) Ah, poveretto!... (lo stringe).

Giacomo                       - (il petto gonfio, soffocando) Zit­ta... no... non lo merito... Divento buffo se piango... (le schiaccia la testina sul petto, con le mani tremanti) Stammi così un mo­mento... solamente un momento... La tua te­stina sul fiore di mamma... Stammi così... Ci sarà anche la sua voce con la tua... Un momento...

Maria                             - Babbo... (gli alza in viso gli occhi pieni di pianto).

Giacomo                       - Grazie... (non può parlare).

                                      - (Pietro entra improvvisamente acceso, scal­manato, ansimato come per una lunga corsa, il cappello in testa, e si arresta di colpo sulla porta, senza respiro).

Pietro                            - Cos'è?... chi è?... Chi l'ha fatto sa­lire...

Maria                             - (subito si è sciolta).

Giacomo                       - (resta curvato, piegato sulle gambe afflosciate).

Pietro                            - Avete osato salire...

Giacomo                       - Voi potete scacciarmi... Fatelo... ho seguito un impulso... Non mi pento.

Pietro                            - Lei!

Giacomo                       - No... lei no... ve lo giuro...

Maria                             - Mi ha portato la voce della mamma!... Era la sua voce, Pietro.

Pietro                            - Non ti disgusta... è sangue di fami­glia... e tu l'hai fatto salire... (ha un gesto sprezzante) Andate, andate...

Giacomo                       - Siete severo... Lei ha perdonato.

Pietro                            - Non ho niente da perdonare... Non vi conosco... Qui è casa mia   - (gli indica la porta).

Maria                             - (supplicante) Pietro...

Pietro                            - Lascialo... lascialo.

Giacomo                       - (ha un lampo torvo negli occhi e strin­ge il pugno, ma è un momento, si reprime subito) Perdonatemi... troppo giusto... (guar­do ancora una volta Maria e si trascina a stento. Va nella stanza da pranzo e sparisce).

Maria                             - (è rimasta diritta, addolorata, reggendo­si alla poltrona).

Pietro                            - (va intorno un momento e non parla, ha le parole amare sulla bocca e la guarda) Non mi dire niente. Preferisco il tuo silenzio. Troppe cose mi tornano senza che tu le dica. Era la buona giornata... Doveva essere il la­voro... E ci è venuta anche la grande notizia! (ride convulso) Correvo come impazzito nel­la strada... soffocavo... e nemmeno a farlo a posta arrivo in buon punto... ti trovo in fa­miglia! (si fruga nella tasca) A te... leggi... guarda la notizia che ti portavo. Un tele­gramma per me, diretto allo studio, dal mio rappresentante a Venezia!... Pietro Alteni, illustre scultore... e grande imbecille!... Leg­gi... (agita il telegramma) Il mio trionfo è qui!... questo fogliolino giallo! La statua venduta per il prezzo che avevo fissato!... Centomila lire che tu, che tu guadagni!

Maria                             - (con gli occhioni spalancati) Io?!

Pietro                            - Dino Gerami che ha comprato e pa­gato!... Lui!... intendi?... Il ricordo di un giorno che gli è restato... e ha voluto la sta­tua per ripensarlo!.. Di', di' che ti fa pia­cere! (la prende dai polsi e la stringe).

Maria                             - Pietro...

Pietro                            - Di' che hai mentito... e lui mi ha in­gannato... Di' che lo sapevi è ci è venuto lui, il suo mezzano, per concertarti!

Maria                             - Oh... lo pensi!...

Pietro                            - Dillo, dillo che ti fa piacere!

Maria                             - (piegata, accesa) Mi puoi schiacciare, vedi, ma non puoi strapparmi che la verità.

Pietro                            - Quella che tu hai fabbricata.

Maria                             - La vera!... la vera!... Devi credermi, Pietro...

Pietro                            - Non ti credo.

Maria                             - Mi fai male.

Pietro                            - (subito la lascia e si allontana) Eb­bene, no, perdio!... Lui, no, non voglio!... Telegrafo subito... Andrò da lui per infor­marmi se è tornato da Venezia. Voglio impe­dire a qualunque costo... Gli getterò in fac­cia il telegramma e il suo denaro...

Maria                             - (lo raggiunge) Pietro...

Pietro                            - Lasciami... (Za respinge).

Maria                             - Pietro!... Pietro!...

Pietro                            - Resta!... (scappa rapidamente).

                                      - (Un silenzio, poi il rumore d'una porta che si chiude con violenza).

Maria                             - (è lì, schiacciata sulla porta. Si stringe la fronte con le mani. Il petto le balza come per rompersi. Ha la tempesta dentro e sor­ride come folle. Poi torna, lentamente, è pen­sierosa, si lascia cadere sulla poltrona, chiu­de gli occhi e curva la, testa; i bruni capelli disciolti sulle piccole mani).

Giulia                            - (compare in fondo, inquieta) Ha bisogno di me, signora?

Maria                             - No, grazie.

Giulia                            - Si sente male?

Maria                             - No, Giulia. Facevo un bel sogno, Giu­lia, e mi sono destata. Provo a dormire an­cora... chi lo sa...

Giulia                            - (la guarda intenerita).

Maria                             - Chiudi Giulia... C'è troppo sole. (Giulia chiude le imposte del balcone. La stanza si oscura. Maria è come asospita. Giulia s'indugia un poco, poi esce lenta­mente, in punta di piedi, senza rumore).

                                                            Fine del secondo tempo

ATTO TERZO

Ancora lo studio di Pietro Alteni. Ma nel di­sordine, oggi, d'un lungo abbandono. Non più rose, ma steli disseccati e polvere da per tutto. La tenda è strappata e giace a terra. Dove sor­geva la statua si vedono gli avanzi della creta e i rottami. La grande porta in fondo è aperta. E' il tramonto. C'è l'ultimo sole sul cornicione di fronte.

 (Fabrizio è sulla poltrona, lungo e disteso, col bavero della giacca alzato, il cappello molle piegato sugli occhi e il capo appoggia­to allo schienale. Dorme. Un lungo silen­zio. Ora, un passo nel cortile, e una donna si mostra. E' Leonia. S'indugia fuori un mo­mento, poi si arresta sulla grande porta. En­tra circospetta, guarda, gira, fa del rumore, ma Fabrizio non si muove. Gli si accosta sor­ridente, gli passa una mano sugli occhi, gli soffia sul naso e ride. Fabrizio spalanca gli occhi).

Leonia                           - Quante son le dita?... Te le passo su­gli occhi... Contale.

Fabrizio                         - Tu?!...

Leonia                           - Io!... precisamente, (ride) Sveglia­ti... Cos'è? ... Dormivi?

Fabrizio                         - (brusco) Che ci vieni a fare, tu?

Leonia                           - Non sei gentile. Passavo... Non è permesso rivedere gli amici?... I miei pie­dini per antica consuetudine mi portavano. Ho lasciato fare. Mi sono trovata nella strada, non so come.., poi nel cortiletto, non so come... e poi, finalmente, qui. La porta era aperta e sono entrata. Dentro era buio... e un uomo dormiva... tu! (ride ancora mentre egli non si muove e la guarda) Di' che so­gnavi, scemo! di' che sospiravi!...

Fabrizio                         - (brusco) Corvo!

Leonia                           - Oh!

Fabrizio                         - Frughi nei cimiteri e vai scavando i morti.

Leonia                           - Sei lugubre, mio caro. Non è grazio­so. Ma è l'aria dell'ambiente... C'è odore di sepoltura, (fiuta).

Fabrizio                         - Sei venuta per vedere... e hai mes­so il vestito rosso. Bene, (sorride amaro e le accenna con la mano) Guarda... E' ab­bandonato... I fiori disseccati, i rottami, la polvere... Non si lavora più... Si dorme... Ma che t'importa?

Leonia                           - Anzi... Vedi che non sei perspicace. M'importa moltissimo, invece, e ho messo il vestito rosso per l'occasione. Non sono scon­tenta, caro... no. I miei piedini sono stati giudiziosi... (manda un bacio sulle dita) .e me li bacio, (si drizza) Qui, un giorno, sono stata umiliata, schiacciata... ricorda... e qui per un momento torno... perché mi fa bene. C'era una tenda rossa, lì... una nuda gloriosa sul piedestallo... per beffeggiarmi... (per deridermi... Dov'è?... (sorride) C'era una casetta nuova... e lei, la sposina, tutta allisciata, invidiata... lei che mi ha rubato il posto!... E io aspettavo... mi rodevo... con­tavo i giorni!... Ebbene?... Vedi, c'è un Dio per chi sa aspettare. E' la mia volta, caro... e io rido (ride).

Fabrizio                         - Scava, iena... Fai il tuo mestiere.

Leonia                           - No, caro. Il mio mestiere era di darti i quattrini quando li volevi. Poi te li dava lei... e tu li pigliavi lo stesso.

 Fabrizio                        - (balza in piedi) Ti schiaccio se seguiti.

Leonia                           - Provati!... Son figlia di carrettie­re, sai? (Si guardano un momento).

Fabrizio                         - (va in fondo, sulla porta).

Leonia                           - Smetti il tono... Via... Non ti con­viene... Restiamo amici... Passano i regni... e si mutano le regine. Chi lo sa... Posso an­che tornare.

Fabrizio                         - (si volta) Tu?"!... (la guarda).

Leonia                           - Io, sì... Perché?... (ride un poco) Non ti va?

Fabrizio                         - Ora capisco... Hai fatto male i conti... Ti sei spicciata troppo... (ride per canzonatura).

Leonia                           - Può essere.

Fabrizio                         - Potevi risparmiarti la fatica... Te lo dico io.

Leonia                           - Non sei buon giudice.

Fabrizio                         - Chi ti ha informata?... Di'...

Leonia                           - Il vento... (sorride) Come sei in­dietro!... Le case degli uomini che sono ce­lebri e in moda, non sono come le nostre. Non lo sai? Hanno le pareti trasparenti... tutte di cristallo. Se fai uno sternuto, o se fai altro, subito si vede... e te lo stampano. Si paga cara la rinomanza... e ci sono le spi­ne, anche.

Fabrizio                         - (impaziente) Conchiudi... Che vuoi?

Leonia                           - Niente... Riposare  (si getta a sedere).

Fabrizio                         - E' tardi... Devo chiudere.

Leonia                           - E tu, chiudi             - (non si muove).

Fabrizio                         - (impaziente, per scoppiare) Ti han­no informata male, ti dico... Puoi fare il tuo fagotto.

Leonia                           - Non come credi... Smetti, buffone... Vuoi che ti faccia la cronaca?... Ma se ce l'hai stampata in faccia la verità! (gonfia) Alteni già da qualche tempo sospettava... La tresca con Gerami continuava anche dopo il matrimonio... Il padre faceva ancora da mez­zano!

Fabrizio                         - Chi!... (stringe i pugni come per avventarsi).

Leonia                           - Non negare!... Fu ieri l'altro, sì... Alteni colse il vecchio in casa con la lettera di Gerami... Gerami che ha comperato la statua!... Quella lettera parlava chiaro... Era la prova schiacciante... e bastava.

Fabrizio                         - Megèra!

Leonia                           - Paladino di Venere!... (si guardano minacciosi) Ora ti fa piacere perché puoi an­darla a trovare quando ti pare... E' in casa del vecchio da due giorni perché Alteni ha chiuso la casa e l'ha scacciata!

Fabrizio                         - (le salta addosso e la piega) Non è vero... Ti strappo la lingua.

Leonia                           - Sei il suo amante... Di'...

Fabrizio                         - (le mani strette sul collo per soffo­carla) Vipera!... (ma si contiene; ride spezzandosi, la lascia con ribrezzo) M'insu­dici le mani.

Leonia                           - Sì!... le hai pulite!... (si ricompone).

Fabrizio                         - Sei venuta a portare il tuo insulto da trivio... Eri assetata di scandalo... Hai dato facile ascolto alle voci della strada e hai goduto... Hai raccolto tutto il sudiciume che potevi raccattare e sei venuta con le mani pie­ne per gettarlo e viputerarla... Non vi è bastato di ferirla nella sua pace con le carto­line anonime e le lettere ingiuriose... Avete creato intorno a Pietro il rumore pettegolo per agitarlo, esaltarlo... Siete stati intorno a lei feroci... Ora corri affannata per sputare la tua bava, il tuo veleno... Sputa, sai, non fai male a nessuno. Il tuo sputo ti ritorna in gola.

Leonia                           - (sorride calma ed ironica) Sei il suo amante... di'...

Fabrizio                         - (con schianto e commozione) Sono niente, io!... un povero!... un diseredato!... Ero un vagabondo e ho vissuto la mia vita inutile stracciandola... Mi ero piegato anch'io per raccattare in mezzo a voi... Avevo la pelle dura per le umiliazioni, le miserie... Senza un po' di sole... il sorriso amaro... Senza i ricordi puri dell'infanzia... Senza un palpito buono... Per dire male e ridere... per far ridere gli altri... e ridere... ridere.... (ha il pianto nella voce). (Pietro è venuto sulla porta in fondo e ascolta).

Fabrizio                         - Devo a lei, alla sua vicinanza, quel po' che mi è tornato per drizzarmi... e guar­dare meglio... C'è del buono, intorno, per ricominciare una vita più sana... più utile. L'amo così, vedi... e non è insulto. Non puoi capire... è gratitudine... benedizione... venerazione... Che ne sai!... Non puoi baciar per terra neppure dove cammina!

Pietro                            - (lento, avanzandosi) Calmati, Fa­brizio.

Fabrizio                         - Ah... sei tornato, Pietro. (Anche Leonia si è voltata).

Pietro                            - (gli mette una mano sulla spalla e sor' ride) Le vuoi bene tanto, eh?

Fabrizio                         - Sì, tanto... come una sorella. (Un silenzio).

                                      - (Leonia è rimasta senza parole. Pietro ha gettato il cappello e si allontana. Fabrizio, ancora commosso, va lentamente in fondo nella loggia, dove Pietro un tempo lavorava, si accovaccia sul sedile, i gomiti sulle ginoc­chia e la testa fra le mani. Dal finestrone gli piove sul capo la luce grigia del tra-monto).

Pietro                            - (si è seduto e vuol essere disinvolto) Brava Leonia... Sei venuta a ritrovale gli an­tichi amici... Hai buon cuore.

Leonia                           - (incoraggiata) Non ti dispiace?

Pietro                            - No.

Leonia                           - Esitavo... perché temevo.

Pietro                            - Di che?

Leonia                           - Non lo so.

Pietro                            - Hai fatto bene, (la guarda lungamen-te) Sei ingrassata.

Leonia                           - Oh, Dio... non dirmelo... Mi trovi davvero ingrassata?

Pietro                            - Un poco.

Leonia                           - Mi dispiace... Perdo la linea... Met­terò il busto nuovo... (si alliscia sui fianchi per comparire).

Pietro                            - Non ti scalmanare. Stai bene lo stesso.

Leonia                           - Trovi?

Pietro                            - Voltati... (lei, tutta si rigira) Benis­simo ... ( sorride).

Leonia                           - Bada che il tuo giudizio conta... Sei Pietro Alteni, il grande artista.

Pietro                            - (subito irritato) Non dire sciocchez­ze... Non le voglio.

Leonia                           - Se mi metti in puntiglio... chi lo sa... Forse sono ancora buona.

Pietro                            - (alza gli occhi un momento, per guar­darla).

Leonia                           - Niente... (sorride) Ho un'ambizione anch'io... e mi devo una rivincita... Dopo tutto, è giusto. (Breve silenzio).

Pietro                            - Raccontami... via... Tanto tempo... Che hai fatto?...

Leonia                           - Mah!... (sospira) Ho anche sofferto.

Pietro                            - (sorride) Non si direbbe... ti sei in­grassata.

Leonia                           - Che importa... I dolori non fanno di­magrare... Ho sofferto, devi credermi... Ho anche aspettato.

Pietro                            - Povera Leonia... (si alza).

Fabrizio                         - (non si è mosso).

Pietro                            - (va in fondo, guarda nel cortile, poi torna) Hai aspettato, eh?... (è ironico) Hai vissuto intanto un po' del passato sospi­rando con le buone amiche che avevi... Sei tenera... Le ricordo le tue amiche... C'era anche Dino Gerami, allora... Ci sarà anche adesso Gerami. (sorride) Correvi nella sua auto e divoravi lo spazio... Sentivi l'ebbrezza della corsa vertiginosa col vento che sibila e prende... Avevi fretta d'arrivare, povera Leonia... eri profetica, (ride)... Quel giorno, venisti per lanciarmi il tuo grido... e io la­voravo;., mi preparavo al trionfo... Non ti ho dato retta allora, e ho spezzato le mani che mi tendevi per salvarmi... Povera Leo­nia... Come sei buona... non ti avevo capita. Mah!... (si stringe nelle spalle).

Leonia                           - (è impacciata).

Pietro                            - Ora è passato il tempo... Corre anche il tempo, sai?... Giorni col sole si sono suc­ceduti... giorni senza sole... e poi la tempe­sta... e. poi ancora il sereno... (sorride) Ora è sereno. Non temere... (la guarda) Ti sei agghindata bene... hai messo un bel cappel­lino... ti sei sentita intenerire per me. Un passato è tornato... e hai rifatta l'antica strada. Nulla è mutato! Hai riveduto il cor­tile con l'erba, il pozzo... tutto come allora... e respiri ancora quest'aria... (fa una risati­na) Anche Fabrizio è qui... il buon Fabri­zio!... meno chiassone, ma è qui. Vedi... le cose restano quasi come allora, (fa la risatina ancora).

Leonia                           - (punta perché intuisce l'ironia) An­che le opere restano, Pietro... anche quelle non mutano.

Pietro                            - (brusco) Che vuoi dire?

Leonia                           - Nulla. dico che gli uomini come te vivono per le opere che fanno. L'arte è la loro vita.

Pietro                            - La mia vita!., Bada che l'arte mia ha il respiro malato e distrugge le anime  che mi hanno dato il palpito per creare!...  O la povera creatura, o la statua... le due insieme, no.

Leonia                           - (con un sottile sorriso) La statua è per gli altri.

Pietro                            - (la fissa) Cosa intendi?

Leonia                           - Nulla.

Pietro                            - Anche questo sai?

Leonia                           - E' facile. La notizia è volata sui giornali. Ho Ietto anch'io come tutti.

Pietro                            - (acceso)       - Ebbene, senti, di a chi ti manda che Pietro Alteni ha distrutto il mo­dello di gesso, e tu hai visto i rottami nella strada. Digli che neppure il marmo dovrà più vivere. Digli che Pietro Alteni ha bussato due volte la sua porta, come un dannato e l'ha trovata chiusa.

Leonia                           - Io?... Che c'entro... Digli tu... Io non lo vedo.

Pietro                            - Tu lo vedi, perché sai tutto. Questo ti ha spinta. Solamente questo, e non altro. Hai voluto la tua rivincita... e camminare dove sei stata schiacciata. Nessuna pietà. Hai mascherato il tuo sorriso... Sei venuta per vedere. Nient'altro.

Leonia                           - Ebbene, sì... per vedere. Mi rimpro­veri? (unisce le braccia e lo guarda).

Pietro                            - (calmato) No... ti aiuto. Spalanco, se vuoi... perché c'è ancora tanto da vedere, che tu non sai. Anche dentro di me ho fatto a pezzi, a brani... e ti conduco, se vuoi, e puoi vedere... Puoi camminare come in un campo tuo!... Anche un'altra creatura si è piegata con me... ma quella non la tocchi... non te la lascio toccare... Cerca qui se qual­che cosa per te è restato. Sei venuta anche per questo.

Leonia                           - Sbagli.

Pietro                            - Fruga... (sorride) Niente, sai?... Sono le briciole... hai i dentini aguzzi e non ti puoi contentare.

Leonia                           - Sbagli, per conto mio... (è punta) Per quel che ti riguarda, poi, nessuna pietà posso sentire. No. Chi semina, raccoglie. Te­nevo a dirtelo, solamente, e sono venuta per questo. Nient'altro. Non ti montare, caro... La vita, per me, ancora ha un cammino di­scretamente lungo... e non mi posso puntare, così, nelle cantonate, (ride un poco) Sareb­be sciocco... Prendo i fiori dove li trovo... e come posso... (dà una spallata) Ora vado.

Pietro                            - (calmo) Vai... vai...

Leonia                           - (si aggiusta, si tira nei fianchi, si alli­scia i capelli sulla nuca, poi prontamente si decide) Addio, caro... Buoni amici, sai... Dopo tutto sono una buona ragazzona lo stesso... Ciao... (ride, si avvia lentamente, sulla porta si ferma un poco e poi subito spa­risce. Canticchierà nel cortile allontanan­dosi) « Le parlate d'amor... o cari fior... ».

Pietro                            - (balzando) La sua voce mi urta... (corre e chiude la porta con violenza) Uccellacelo del malaugurio!

Fabrizio                         - (è ancora lì, accovacciato),

                                      - (Un silenzio),

Pietro                            - E' venuta a scuotere il vecchio tron­co dei ricordi... Subito è corsa... Commoven­te!... Ha ripreso subito il gesto abituale quando si è vista in terra... e allora ha pun­to, (ride un poco, va in fondo e guarda Fa­brizio) Che fai?... Ti sei impietrito, lì?... Non hai più fiato?... Anche per te il vecchio tronco è scosso?... (sorride) Ma sei altr'uo­mo, tu, l'hai detto dianzi. Per te almeno una tenera fogliolina spunta. Chi lo sa... La vita ha di queste sorprese... Non è mai tardi per chi si raddrizza. Fai bene, (muta intonazio-ne) Dimmi, l'hai vista?

Fabrizio                         - Sì.

Pietro                            - Che ha detto?

Fabrizio                         - Nulla.

Pietro                            - E' poco. Rimane lì?

Fabrizio                         - Quando tu vorrai, viene.

Pietro                            - Non ha trovato di meglio per rifu­giarsi!

Fabrizio                         - Tu che l'hai spinta.

Pietro                            - Io, no.

Fabrizio                         - Tu! (si alza e viene avanti) Eri cieco e hai agito con violenza. Senza un po' di cuore: lasciami dire. Non è così che si fa. In fondo devi esserne convinto, ma sei or­goglioso e non ti pieghi... Hai gridato il tuo insulto feroce e sei fuggito come un pazzo... Non l'hai vista dopo, smarrita, per raggiun­gerti, per inseguirti, la poveretta che anda­va andava... in cerca di te.

Pietro                            - Ero tornato a casa e non c'era.

Fabrizio                         - Allora interroghi Giulia... e di­venti crudele.

Pietro                            - Era impacciata, Giulia.

Fabrizio                         - Non è vero!... Pensi subito un'in­famia e la commetti. La vedi già in traccia di un altro... hai il sangue negli occhi... mandi Giulia e chiudi la casa.

Pietro                            - Ero impazzito, sì.

Fabrizio                         - Corri da Gerami, e vuoi sfondare la porta perché non lo trovi. Pensi a un'altra infamia... Pensi al padre... il manutengolo! il mezzano!... (ha un grido e si morde le dita) E io non ti stavo accanto per spezzarti le mani. (Pausa).

Pietro                            - Era lì.

Fabrizio                         - Sfido... La poveretta, sbattuta, non ragionava più. Una rovina, intorno... Aspet­tava sulla strada e tu non venivi! Era tardi e non venivi!... Era buio e fatalmente neppure io venivo!... Allora ha il ricordo del padre che aveva pianto con la voce della mamma; e in quel momento, nella disperazione cieca che non ragiona, con gli occhi gonfi, il cuo­re che le balza, corre lì, come in un rifugio... Anche tu vai lì, ma non sali... Le scrivi, in­vece, come un facchino, (è severo) Ho letto, sai... E' feroce quello che hai scritto... Le resta il segno nella carne.

Pietro                            - (non respira).

Fabrizio                         - Dimmi tu... Tra un vecchio logo­ro, piegato nel vizio, che coglie un fiore so­pra una tomba, e ha una lacrima sincera, un grido dell'anima quando lei apre le braccia e perdona... e tu, tu, che dimentichi tanta tenerezza, tanta grazia di devozione intorno, e la premi, la schiacci, la frusti a sangue... chi è più tristo, dimmi, che è più umano?

Pietro                            - (lo guarda un momento) Sai voler­le bene, Fabrizio.

Fabrizio                         - Come un fratello... Ti ho detto.

Pietro                            - Sei un uomo che sa amare... Vedi, Fabrizio, tutto il mio lavoro, la stupida glo­ria, le mille lodi che mi tributano intorno... niente vale te che sei un umile, un semplice... ma sai amare. Nella vita è questo che conta. Si è preziosi per tante piccole cose che nes­suno vede e non per il rumore vano e borioso. Sei così, Fabrizio, e non da ora. Venivi a casa, Dio sa quante amarezze dentro di te, ma sulla porta stringevi bene il fagottello delle tue miserie... e sorridevi. Con noi sem­pre la parola semplice, la più buona... ed io potevo premerti, tiranneggiare, far dello spi­rito... a buon mercato con te che ti sorbivi in pace le mie prepotenze e gli alti e bassi del mio umore. Sono Pietro Alteni... caspita!... l'arte mi rende glorioso... Io posso spingere in mezzo alla folla e farmi largo coi gomiti!... (ride e poi subito si spegne) So anche scri­vere come un facchino, (si tormenta) Quella lettera è il mio avvilimento, Fabrizio... Da­rei la vita per non averla scritta... Non potrà dimenticare mai... Avevo il sangue nella te­sta... Tutte le furie della gelosia mi dilania­vano, mi laceravano... Il telegramma mi ave­va aperto una ferita... Ricordavo un giorno che Gerami aveva mentito... Il padre era ve­nuto a casa... Perché ci era venuto?... Un tanfo di quel passato mi bruciava in gola... Mille punture d'inferno... Lei era ancora lì, in quella casa del ricordo penoso... Ho in­tinto la penna nel veleno... e ho «critto - (si preme il volto con le mani).

Fabrizio                         - (dopo un momento) Quando tu vorrai, viene.

Pietro                            - Con choccelli potrei guardarla... (va lento e pensieroso in fondo, sale la sca-letta, apre la porticina e subito chiude).

Fabrizio                         - Ora a noi... (guarda l'orologio) Tardi... perdinci... (prende il cappello, se lo mette, se lo calca e si avvia, Due colpi leggeri alla porta: qualcuno bussa).

Fabrizio                         - Chi è?... (apre appena, tenendo la porta socchiusa, e subito fa un gesto come per impedire) No... qui, no... vi ho det­to... (poi ripensa) Via... è lo stesso... potete entrare. E' più spiccio.

Giacomo                       - (entra circospetto e guarda intorno) Solo?

Fabrizio                         - Sì... cioè, no... Pietro è su... ma non importa,

Giacomo                       - Bene... Ho aspettato... non veni­vate... e lei si tormentava. Allora mi son deciso... Dopo tutto, ora potevo bussare.

Fabrizio                         - Dov'è?

Giacomo                       - E' qui fuori... la chiamo (si avvia).

Fabrizio                         - (subito) Oh... Vi raccomando... Pietro è come un malato... e bisogna compa­tire.

Giacomo                       - Non temete... Troppo giusto... Non mi faccio vedere... ma la devo condurre. E' venuta lei da me... capirete... Ora è un do­vere che mi dà un po' di tono... La corteccia rimane sempre la stessa... ma ho ripulito un poco... (sorride) Ho messo un fascio di fiori freschi sulla tavola... caspita!... e la tovaglia bianca di bucato... Ma lei non ha toccato cibo... Ora la chiamo... e poi ho finito. Anzi, faccio meglio, signor Fabrizio... Fft. Via!... (fa il gesto per indicare partenza) Vado lon­tano... Partenza!... So che sono d'ingombro... e la mia vicinanza pesa... Ho delle debolez­ze ancora... capirete... io bevo. Faccio trop­pa fatica, signor Fabrizio... Sono destinato così... inzuppato nell'alcool... Che si deve fare?... bevo, (ride) Dunque, meglio deci­dersi, una buona volta. Si cambia bottega... Insegna americana!... (si frega le mani) Ho avuto .anche l'occasione buona. Non capita tutti i giorni... Un camerata parte per Manaos, America del sud, e mi vuole con lui. E' un buon camerata... L'aria è pestifera in quei luoghi, tanto meglio... ma chi ha la pelle dura campa e lavora. Vedrete che cam­po!... (ride) Ma io mi perdo in chiacchiere... Ora vi chiamo Maria... Aspetterò fuori, nascosto, quando ci sarà lui... Mi farete un cenno col fazzoletto per dire che tutto è ag­giustato... e io subito capisco... Vado col camerata!... Maria anche lo sa... (vuol ridere ma è uno sforzo) Mondo nuovo, signor Fabrizio... Dopo tutto... Altro cielo... scopro una miniera... divento un Vanderbildt... Chi lo sa... (va in fondo sulla porta e chiama con le mani, sollevando le braccia e agitandole). (Maria, dopo un momento di silenzio, vie­ne. Entra. Non parla. Si getta a sedere con stanchezza). (Un silenzio imbarazzante).

Fabrizio                         - (per dire una cosa) Tutto passa, signora Maria... e tutto si dimentica... Ora dico a Pietro... (si avvia).

Giacomo                       - Un momento.... (lo ferma, è molto commosso, ha come uno schianto, ma si con­tiene. Corre alla figlia, le rovescia brusca-mente la testina e la bacia, soffocando).

Maria                             - (il singhiozzo in gola) Babbo...

Giacomo                       - (balbettando) Zitta... non dir nien­te... Io starò bene... non temere... Mi... mi... scrivi... (si stacca, si ricompone, gli sale il pianto, gonfia le guancie, per mascherare fa un borbottìo stupido, che vorrebbe fosse una cantatina, poi ride e si avvia) Mi racco­mando, signor Fabrizio... il segnale col... col fazzoletto... così, così, col... col... fazzoletto...

Fabrizio                         - (è commosso, si soffia il naso o l'ac­compagna sulla porta).

Giacomo                       - (va e sparisce zufolando).

Fabrizio                         - (tornando) Mi fa pena...

Maria                             - (non si è mossa).

Fabrizio                         - (guardandola intenerito) Su, su... Andiamo... non state così... Dovete tornare come prima... Oh, perdio, a costo di farvi le capriole intorno, voglio vedervi sorridere an­cora... per quel tale scintillìo... ricordate?... (abbozza un sorriso che subito svanisce) La vita è così, si sa... non l'abbiamo combinata noi. Ci sono mille contrasti... Un piroscafo parte e un altro sbarca tutto un mondo di nuova gente. Un albero è solo sul margine d'una via... e un giardino è carico d'ombre. Una creatura nasce e una casa si chiude. Pas­sa un uomo tronfio... e un altro si lacera dentro... Ci sono pene e momenti buoni. Tut­to sta a non lasciarsi andare... Un po' di filosofia... Siamo troppi, ecco... e siamo niente, (si rimonta) Su, su... Ora faccio il chiasso... Voglio essere più Bob di prima... Vedrete, se mi ci metto... Bob per arraffare in cucina... Bob, passala... Bob, ora ci sec­chi... (ride, ride, ma non la smuove: egli si smorza) Capirete che Pietro è con il mala­to che ha superato un lunga crisi. Bisogna perdonargli... Piange la sua lettera... e si di­spera... si morde le mani... Ma che valore, santo Dio, può avere quella lettera... Una pa­rola scritta così senza pensare... in un mo­mento che la passione ci soffoca... e non si vede... non si ragiona.

Maria                             - (semplice, guardandolo) Voi non la avreste scritta, Fabrizio.

Fabrizio                         - Io?!.... (non risponde e si turba).

Maria                             - Voi no, Fabrizio. Non l'avreste scrit­ta quella lettera... Mi avreste veduta negli occhi per credermi... Non mi avreste chiusa una casa per lasciarmi sola, in mezzo ad una strada... con la vergogna del sospetto... il pettegolezzo maligno dei vicini... soffocan­do... lacerandomi... per sentirmi morire... e non sapere dove nascondermi... un lungo tempo, eterno... sola... smarrita... per cor­rere... per cercarlo... per trovare ancora una porta chiusa. Voi no, Fabrizio... Questo non l'avreste fatto.

Fabrizio                         - (quasi con un grido) Io!?... (ma subito si contiene).

Maria                             - Grazie, Fabrizio... (sorride un poco) Oramai ho la piega nel dolore... e mi resta. Un tempo mi ero illusa... E' così facile la speranza quando si ha venti anni e si è sbu­cati da un viottolo... e si vede un poco di sole... Era così per me... Ora mi è morta un'altra cosa, dentro... So che sono nata per «offrire... La mamma me lo diceva: hai gli occhi segnati per il dolore, bambina... Lo diceva e sospirava, povera mamma... E' la verità... Era profetica, mamma... (una pau­sa)... Mi ricompongo ancora, vedete... ma è Io stesso        - (si accende) Tanta gioia!... ricor­date... La casetta mia!... Ero superba!... Fiera!... Mi sentivo felice... Tutto il mio piccolo mondo!... Credevo dovesse essere eterno... incrollabile... Voi mi avete vista, Fabrizio... Su, su, in alto il mio cuore!... lo tenevo con le mie mani!... c'era dentro il mio amore!... e lui lo ha preso, così... ha strito­lato... ha gettato in terra.,, ha pestato... ha pestato... C'era dentro il mio amore! (ha un gesto disperato, un grido, e si riprende) Perché l'ha fatto?... Che colpa, io?... Che fidu­cia posso avere?... Domani sarà così ancora... dovrò tormentarmi... ricominciare... Soffrire, soffrire... Muore la fiducia... e al­lora si ha paura... (con tristezza) Son tor­nata, vedete... riprendo il mio posto... Non dirò una parola... Sarò ancora per lui, Ma» ria... la sua Maria, sempre... ma il mio amo­re è spaventato... si è rincantucciato... ha paura... paura... (Un silenzio).

                                      - (Dino Gerami entra improvvisamente, il cappello in testa e la voce insolente).

Cerami                          - Il signor Pietro Alteni!

Maria                             - (ha un palpito) Mio Dio!... (subito si alza).

Gerami                          - (vedendola) Perdoni... (leva il cap-pello rispettosamente e s'inchina) Perdoni il modo troppo brusco, signora... Sono entrato così... non sospettavo la sua presenza qui.

Maria                             - (ha un lieve inclinare del capo).

Fabrizio                         - Capita male... Non importa.,. Aspetterete lì, signora Maria... (la conduce nella loggia e apre la porticina interna) Io chiudo un momento... (Maria ha il cuore che le balza: entra e Fabrizio subito chiude) Ora la servo, signor Gerami... e le chiamo Alteni... Capita male, le dico... Non impor­ta... (va ai piedi della scaletta e chiama gri­dando) Pietro!... Pietro!... Pietro!... C'è il signor Gerami che ti vuole... Pietro!.., (Pietro apre la porticina).

Fabrizio                         - Gerami è qui (subito si allontana).

Gerami                          - (a Fabrizio) Voi potete restare.

Pietro                            - Resta,

Fabrizio                         - (scende lentamente). (Fabrizio si apparta).

Gerami                          - Arrivo ora da Venezia. So che lei è stato da me due volte. Anche un suo tele­gramma mi è giunto. Io le domando, signore, quale ragione ha potuto spingerla tanto per dimenticare i riguardi che si devono alle per­sone e alle cose. Lei si permette di fare il chiasso davanti alla mia porta e tenta quasi di violare un domicilio.

Pietro                            - Perdoni un momento... Lei prende un tono che può turbare il nostro incontro... La prego.

Gerami                          - Viene due volte a casa mia per do­mandare e non crede alla mia assenza. Sale lo stesso e violenta la mia porta. Profferisce parole ingiuriose e mi lancia un telegramma imperativo... Pare non le sembri abbastanza per giustificare il mio risentimento!

Pietro                            - Lei può avere tutte le migliori ragio­ni, ma io... ma io la prego di moderarsi.

Gerami                          - Capirà che io non dovevo ne potevo tollerare. Arrivo ora, il tempo appena di cambiarmi e sono qui da lei. Che vuole da me? Mi dica. Che mi si contesta? Con quale diritto mi si può contestare?

Pietro                            - Eppure, no, vede... c'è un equivoco. Mi permetta di chiarirglielo. Posso anche avere usato di modi inurbani, posso aver fat­to tutto il chiasso che ella dice... e per questo anche posso chiederle scusa. I temperamenti come il mio si lasciano facilmente traspor­tare, ed è male. Nessuno più di me è since­ramente pentito... Ma il movente che mi gui­dava poteva anche avere una spinta eccezio­nalmente grave per me... ed essermi consen­tito.

Cerami                          - Quale ragione... Non vedo.

Pietro                            - Non lo so... Pensi nei suoi ricordi... io non le posso suggerire, perché mi brucia... Pensi a un uomo vigoroso e forte che un mo­mento, una crisi abbatte. Ha palpitato e sof­ferto e dal suo tormento è venuta l'opera sua: ha sentito il rumore intorno e si è subito om­brato: nel marmo da lui foggiato palpita nuda la sua creatura: ora è la sua angoscia e la sua vita, quella creatura: sente il respiro mozzo di mille bocche, sul marmo, e nel bianco vede i segni rimasti, le tracce... Allo­ra si agita... Quel marmo è suo... La statua è lì ancora esposta allo sguardo di tutti... Un ricco, chiunque, può anche pagare e compe­rare... è vero... Egli però non ci pensa... La notizia gli giunge... La statua venduta... Lei, signor Gerami che aveva comperato.

Gerami                          - Potevo farlo... era nel mio diritto.

Pietro                            - Lei?... (si domina) Non lo so.

Gerami                          - Ho i mezzi di farlo... Sono a Vene­zia... Un prezzo è fissato... e domando. Mi «i dice che lei aveva lasciato anche un rap­presentante e facoltà di trattare in nome suo. Chiedo, m'informo, e pago il prezzo. La sta­tua è mia.

Pietro                            - Sì... sua... ma è un'altra cosa che io voglio dire. Il prezzo era quello, sì... e facol­tà c'era... diritto anche in lei di acquistare. Non lo nego. Ma anche per me di dirle, signor Gerami, che chiunque altro, si... ma lei, no... perché il suo acquisto mi feriva in pieno pet­to... e lei avrebbe dovuto avere la delicatez­za di capire.

Gerami                          - (offeso) Non parli di delicatezza.

Pietro                            - Mi lasci finire... Doveva pensare che l'acquisto nelle sue mani... poteva anche avere un significato penoso per me... poteva impli­care un'altra persona... che ora voglio nel silenzio... voglio nell'ombra.

Gerami                          - Io non vedo quale significato... e in che modo quella persona può essere coin­volta.

Pietro                            - (agitandosi) Non mi faccia dire, la prego... Veda il mio turbamento e le basti.

Gerami                          - Lei muta le cose e le snatura.

Pietro                            - (vivacemente) No, signor Gerami... Ho detto più di quanto mi ero prefisso dirle... Mi bruciava... e avrebbe dovuto bastare. Ora faccio assegnamento ancora sopra una co­scienza onesta... Sono stato violento} e mi so­no pentito, le ho chiesto scusa... Ora è altro che voglio... Lei mi deve capire... Il ricordo di un giorno in mezzo a noi è restalo...

Gerami                          - Nulla che possa turbarla.

Pietro                            - Ma intanto è restato... Mi veda pure così, senza la maschera, coi miei tormenti, le mie debolezze... anche le mie esagerazioni, forse. Mi veda così, non mi nascondo... Quando c'è una pena, sanguina!... Non le dirò come, a grado a grado, io sia giunto a soffrire quello che soffro; come sia viva per me quel­la creatura che tiene tutta la mia vita; come il ricordo di quel giorno mi sia rimasto den­tro, pungente, e sia per me una spina!... Non volevo pensarci, e intanto ci pensavo... Vo­levo la donna tutta mia, e intanto l'avevo denudata... Volevo il silenzio, e avevo il ru­more... Mi fissavo una ragione, e .mi mordeva il ricordo... E poi è venuto l'acquisto... La statua era nelle sue mani!... Lei aveva compe­rato!... Perché nelle sue mani?... La verità mi scattava, in quel minuto, cruda, feroce, inesorabile... come in una grande luce... Al­lora ho gridato che lei aveva mentito!

Gerami                          - (con un gesto violento, balzando) Mentito no, signor Alleni... badi.

Fabrizio                         - (si è subito interposto) Pietro... no... cos'è?... tu non ragioni... (trascina un poco Gerami).

                                      - (Gli animi sono eccitati, le parole vive son lì pronta per scattare, si guardano, ma un mo­mento).

Pietro                            - (più calmo e ricomposto) Sono franco e dico anello che allora ho pensato... In ogni modo, lei, signor Gerami, per quella corret­tezza che le dicevo... noti doveva. Io posso anche esagerare nella mia esaltazione «mon­tarmi... ma lei non doveva... Io forse spingo e lacero la ferita... ma rutto, tutto vi contri­buisce intorno... Tutto, tutto... Le mani che mi stringono... le parole che mi scrivono.., le satire mordaci... Dianzi c'era Leonia per get­tarmi il suo fango... Era la voce della strada, e veniva... Nel singhiozzo, Fabrizio spezzava un poco della sua anima... Le sue parole era­no pure, non potevo volergliene... le diceva... e mi ferivano... Lei, Gerami, compera la sta­tua, e anche ammettendo l'atto più semplice... ci resta un'ombra... e non vuole confessare... Tre uomini qui siamo, e in ciascuno di noi, nei silenzi nostri, nelle parole che si soffo­cano grida un tormento solo... Ma più di tutto grida il mio diritto!... grida il mio amore! (è accasciato e siede).

Fabrizio                         - (sofferente) Calmati, Pietro... tu non ragioni... Il mio tormento, c'è... e non ti deve ferire. Anche per me un ricordo vi­ve... Una parola buona che mi è restata... La sola mia ricchezza... e non ho altro... Ma io soffocherò, se tu vuoi... e vado... (si ferma sulla grande porta spalancata). (Pausa).

Gerami                          - (commosso) Signor Alteni... il mio gesto è stato vivo... io lo cancello... Voglio dirle di più... le parlo commosso, vede... Sul mio onore di uomo onesto, le giuro, niente che io pensi e non le possa manifestare... Non mi creda un pervertito... Ho voluto la statua, sì, e il mio acquisto non deve offende­re nessuno... Sono anche un sentimentale, a modo mio... me lo conceda... Era un momen­to di profondo abbattimento nella mia vita... Una sofferenza lacerante, un giorno intravveduta, mi era tornata nella memoria per torturarmi... e pungermi... II soffio di un grande artista aveva fissato nel marmo il ri­cordo d'un singhiozzo da me udito e resa manifesta una creatura pura... Ho il culto delle cose belle... L'opera doveva essere per me ammonitrice... e mi doveva appartene­re... Nient'altro!... Glielo giuro!... Ho difeso il mio diritto solamente quando ho creduto alla violenza... e il suo modo mi era sembrato ingiurioso... Vedo ora in lei un profondo do­lore... un dolore che mi commuove... So che il distacco dall'opera che ha dato agitazioni e palpiti è sempre per l'artista uno schian­to... Ma io non capivo « non sentivo allora che la gioia di possedere quell'opera!... Nient'altro... Nessun ricordo per ferire... se mai, per esaltare! (lo guarda) Lei soffre, signor Alteni, Io vedo... Io rinunziò alla statua.

Pietro                            - (subito si alza; è umiliato; ha un sem­plice gesto) Perdoni.

Fabrizio                         - (è in fondo, irrigidito).

Gerami                          - Dirà anche alla signora che ho qui veduta, dianzi...

Pietro                            - (subito voltandosi, guardando Fabrizio) Qui?!

Fabrizio                         - (accennando) E' lì, Pietro... dentro,

Gerami                          - Dirà tutto il mio rammarico se an­che da lei, per un momento, ho potuto essere sospettato.

Pietro                            - Perdoni... signor Gerami... mi per­doni...

Gerami                          - Non dica...

                                      - (Sulla porta si stringono le mani. Sono com­mossi. Non parlano. Gerami va).

Pietro                            - (correndo, precipitandosi, inciampan­do, gridando) Maria, Maria... dove sei? Maria, Maria... (apre convulso e Maria si mostra. Egli la prende, la solleva, la trasci­na) Non mi dire niente... Lasciami... Ti sof­foco... Maria, Maria... (le schiaccia sugli oc­chi sulla fronte sulla bocca i suoi baci im­petuosi).

Maria                             - Tienimi così, Pietro... tienimi... (ri­mangono stretti, ansanti, silenziosi).

Fabrizio                         - (è molto commosso. Va lentamente in fondo e sulla grande porta spalancata, nel li­vido tramonto, il braccio sollevato, agita il fazzoletto. E' un triste, un bianco saluto che va lontano).

Maria                             - (ha un singhiozzo).

Pietro                            - Piangi, amore mio... piangi...

Maria                             - Un poveretto, un vecchio, va a mori­re lontano...

                                      - (Il cortile è tutto in ombra. Sul ciottolato, il passo secco e risonante del vecchio che si al­lontana).

FINE