Occhiali neri

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OCCHIALI NERI

Atto unico

di EDUARDO DE FILIPPO

PERSONAGGI

Mario Spelta, cieco di guerra benestante

Maria, sua sorella

Assunta, fidanzata di Mario

Il dottore

L'assistente

La signora Covelli, amica degli Spelta

Rafele, uomo di fatica degli Spelta

Salvatore

Ragazzo              voci interne

Commedia formattata da

La sala d'ingresso e di soggiorno di una villa a Torre del Gre­co. Una di quelle antiche case agiate dell'ottocento. La famiglia Spelta, da pili di mezzo secolo, religiosamente, vi ha trascorso i quattro mesi estivi. Infatti, Mario e Maria, fratello e sorella, hanno una spiccata tenerezza per queste mura che videro la loro infanzia felice. Porte laterali. Un grande vano, in fondo a sinistra, lascia vedere l'ampio terrazzo con pergolato folto di pampini e viticci. Tutto intorno al terrazzo un parapetto di tu­fo con sopra vasi di fiori di ogni genere. Oltre, campagna e mare. Tanta luce e tanto sole. Siamo alla fine di agosto. All'al­zarsi del sipario, seduta a destra, accanto ad un tavolo, vi sarà la signora Covelli, sui cinquant'anni, amica di casa dei signori Spelta, nativa di Torre del Greco. Dopo una piccola pausa si udrà una voce interna.

Salvatore             - (voce interna) E nun fa' 'o ssòleto tuio... Nun te ji' fermanno e nun perdere tiempo.

Ragazzo               - (altra voce interna) Pecché, quacche vvota vaco perdenno tiempo?

Salvatore             - (c. s.)Nun t'avess' 'a cunoscere.

Rafele                  - (dalla sinistra. È un robusto contadino sui sessant'anni. Uomo di fatica. Il suo sguardo è sempre sereno. Parla lentamen­te, ma con tono sicuro. La lieve intonazione ironica che accom­pagna sempre le sue parole, è frutto di una esperienza amara fatta di anni vissuti intensamente dall'altra guerra a questa. Rivolgendosi alla signora Covelli) 'A signora mo vene.

Covelli                 - Grazie.

Rafele lentamente si avvia verso il terrazzo.

Salvatore             - (c. s.) He 'a ji' addu don Bastiano. L' he 'a dicere proprio accussì: don Salvatore sta aspettanno. Aiere fuie dummeneca, e va bene... ma ogge manco ce site iuto? Ha dda chiammà a n'ato? 'E giuvane hanno fernuto 'e mettere 'e reggiole. Si nun venite vuie nun sanno c'hann' 'a fa'. E fatte dicere 'e mattunelle a quanto m' 'e mette 'o centenaro. Va', io aspetto. (Piccola pausa. Come per parlare al ragazzo che si è già allontanato) Ricòrdate... 'o prezzo d' 'e mattunelle... a quanto 'o centenaro...

Ragazzo               - (da lontano) Va bene.

Rafele                  - (parlando dal terrazzo e rivolgendosi a Salvatore) 'A vedimmo n'ata vota all'erta sta casa?

Salvatore             - (sempre internamente) Me pare 'a fràveca 'e San Pietro. 'E fravecature so' addeventate signure... 'appaltatore nun ne parlammo... Vonno magnà troppe vocche. Ciento clien­te e vonno servì a tutt' e ciento 'o stesso mumento.

Rafele                  - La sete del guadambio. E dint' 'a stalla? Ce 'a facite fa' 'a schianata 'e cemento?

Salvatore             - (c. s.) E pe' forza... Stongo ienno a' lemmòsena. Che ce vuó fa'? 'A guerra! 'E ciuccie s'appìccecano.,. e 'e case se scasseno. E i' m' 'a faccio n'ata vota.

Rafele                  - E facite bbuono... Si no quanno s'appìccecano 'e ciuc­cie, n'ata vota, che scasseno?

Maria                   - (dalla sinistra. È una donna sui quarantanni. Simpatica, modesta. Veste con signorilità) Signora Covelli, buongiorno.

Covelli                 - (alzandosi) Donna Maria bella bella... come state?

Maria                   - Bene grazie. Guardate se vi piace questa lana. (Mostra una matassa di lana di colore nero).

Covelli                 - (osservandola da intenditrice) Bella, bella veramente. E che bella qualità.

Maria                   - Sentite come è morbida.

Covelli                 - (tastandola) Magnifica... E come è calda... Me pare'o micione mio.

Maria                   - A novecento lire l'oncia. È un poco cara, ma io ho perdu­to un golf che era la passione mia e me lo voglio rifare.

Intanto seggono.

Covelli                 - Che mi dite, donna Mari'... Io non ho perduto u giacca di lana ritorta che me l'ero fatta io stessa?... Già, quella me l'hanno rubata. Io tengo una ragazza che mi fa i servizi… sapete due piatti... un poco 'e polvere... 'a mappina: io faccio lavare in terra ogni giorno. 'A sera n' 'a manno... capirete… tengo mio nipote con me... è giovanotto... Nessuno me lo leva dalla testa che a uocchio a uocchio, o con un fagottino o sotto la gonna, s'ha fumata 'a giacca mia. E pure io me la voglio rifare. Ho visto certa lana viola... ma non è proprio viola... va nel San Giacchino... Appena avrò un poco di disponibilità...

Maria                   - Rafe’.

Rafele                  - (avvicinandosi) Comandi.

Maria                   - 'Osignurino addo sta?

Rafele                  - È asciuto cu' 'a signurina Assunta comm' 'o ssòleto. So' asciute quase n'ora fa. S'hanno fatta 'a passiatella vicino 'o ma­re, mo si 'e vulite truvà, stanno dint' 'a massaria sott' a l'albero 'ammènnola. 'E vvaco a chiammà?

Maria                   - No, lascia sta'.

Covelli                 - Come sta don Mario?

Maria                   - Bene. Certo, comme pò sta' isso. Per fortuna che aveva­mo questa casa della buon'anima di papà... lui qua si sente felice... Ci siamo cresciuti in questa villa. Papà ogni anno ci portava a villeggiare qua. E che vi posso dire, Mario non se ne vuole staccare... Oramai è un anno e mezzo. Dopo cinque, sei mesi che tornò dall'Africa Settentrionale, cominciò a dire che a Napoli si sentiva solo, triste... Infatti, qua, per lui, è un grande conforto. Conosce ogni angolo della casa, ogni camera ha un ricordo di infanzia... tanto è vero che cammina tranquillo, pure da solo... per il giardino, per la masserìa.

Covelli                 - Sicché, a Napoli non avete intenzione di tornare.

Maria                   - Per ora no. E vi dico la verità, me fa piacere pure a me. Siamo io e mio fratello solamente... So' vedova... A chi aggi' 'a da' conto... In fondo Mario una cosa la dice... Qua ritroviamo un poco di quello che è stata la nostra vita passata. Signo', questa guerra ci ha sconvolti. Io nun me fido cchiù 'e vedè 'a gente. Dovunque vi voltate trovate guai. Certe volte mi vergo­gno di raccontare i miei perché mi sembrano sempre inferiori a quelli degli altri.

Covelli                 - E non è finita, signora mia... Io sono pessimista, tanto è vero che mio nipote dice che io so' malaugurio. Tutti questi moti politici... i comunisti... A me quelli mi fanno paura.

Rafele                  - (interviene pronto) Perché, sentiamo... Che vi hanno fatto i comunisti?

Covelli                 - (preoccupata dal tono minaccioso di Rafele) Perché, tu sei comunista?

Rafele                  - (divertito guarda la signora Covelli con occhio torvo per prenderla in giro) Voi non ve ne incaricate... Esprimete lavostra idea, il vostro giudizio. Se io sono o non sono comunista ve lo dico dopo.

Covelli                 - E già, tu poi ti credi che io sono tanto stupida da parlare.

Rafele                  - (non tralascia il tono scherzoso) Ecco. Questa è la carognàggine che si è formata nella mente umana: la paura. Voi allora, vi mettete paura dei fascisti, vi mettete paura dei comunisti, vi mettete paura dei liberali, vi mettete paura dei democristiani... E vuie campate 'e pàlpite. Avit' 'a cammenà cu' 'e quatto sceruppe appriesso.

Covelli                 - (un po' alterata, non accettando lo scherzo) Io mi faccio i fatti miei, non mi voglio interessare di queste cose, la politica non mi riguarda.

Rafele                  - Allora non vi dovete lamentare dei venti anni di fasci­smo.

Covelli                 - Io non mi sono mai lamentata.

Rafele                  - Brava. Allora sei fascista... Molto bene. (Marcato) Se­gneremo... Terremo presente.

Covelli                 - (non contenendosi più, grida con il sangue agli occhi) Io non sono niente, hai capito? (Con voce di pianto) Sono una po­vera donna e non voglio essere mischiata in queste faccende, E finiscila! Mari', se non la finisce, io, qua non ci vengo più.

Maria                   - Rafe', statte 'o posto tuo.

Rafele                  - Io ho scherzato, non vi preoccupate.

Covelli                 - E io non voglio scherzare. Preparami i frutti ca m' 'e piglio e me ne vaco. Cos' 'e pazze!

Rafele                  - (avviandosi, ripigliando il tono di prima) Sei fascista o comunista?

Covelli                 - E tu che sei, fammi sentire?

Rafele                  - (ride bonario) Io so' viecchio... (Ripiglia il tono minaccioso) Ma si fosse giovane, con l'esperienza che tengo, me faces­se prèvete. Accussì vuie ve venisseve a cunfessà addu me... e io appurasse con certezza se sei fascista o comunista. (Esce).

Covelli                 - Eeeh!... Spiritoso. Voi direte bene donna Mari', ma io con tutto che sono del paese, l'inverno qua non lo passerei.

Maria                   - Ma non è detto che ci dobbiamo rimanere. Oggi vene ‘o duttore, si avimmo 'a grazia che Mario sta bbuono, so' siura ca isso stesso troverà più giusto di tornarcene a Napoli.

Covelli                 - Ma il dottore vi ha dato buone speranze?

Maria                   - Dice che è sicuro. Dopo due anni di cure, non vi dico quello che ci è costato... dice che con novantanove probabilità su cento, Mario riacquisterà la vista.

Covelli                 - Lasciate fa' 'a Madonna, donna Mari'.

Rafele                  - (dal fondo) Signo', è venuto 'o duttore e l'assistente.

Maria                   - Falle trasì. 'A Madonna me l'avess' 'a fa' sta grazia.

Covelli                 - Allora io vi lascio e me ne vado.

Rafele                  - ‘O panaro 'e frutta sta fore. Ogne percuoco 'e chesta posta.

Covelli                 - Poi facciamo il conto. (A Maria) E tanti auguri. Voi sapete se sono sinceri... 'O saccio piccerillo.

Maria                   - Grazie e bona giornata.

Rafele                  - (facendo strada alla signora Covelli) Prego, signora fa­scista...

Covelli                 - (arrabbiatissima) Si nun 'a fernisce te dò nu schiaffone e bonanotte 'e sunature. Non sono fascista!

Rafele                  - E nun faciveve 'a fiduciaria ncopp' 'o gruppo?

Covelli                 - Ero in buona fede, adesso non lo sono più.

Rafele                  - Allora siete comunista?

Covelli                 - Sono vecchia. E si fosse giovane me facesse monaca accussì putesse sapè tu, prèvete, comm' 'a pienze. (Esce per la comune).

Maria                   - Ma nun 'a vuó fernì... Lascia sta'. Fa trasì o duttore.

Rafele                  - (esce poi torna introducendo il dottore seguito dall'assi­stente) Entrate.

Dottore                - Donna Maria buongiorno.

Assistente            - Signora.

Maria                   - Buongiorno. Dotto', allora vogliamo vedere oggi se l'e­sperimento è riuscito?

Dottore                - Io credo che non sia il caso di rimandare. Ce levammo 'o penziero.

Maria                   - Già, ma... se... capite...

Dottore                - Donna Mari'; guardate... questo è un passo che lo dob­biamo fare. Io, appunto questo dicevo al mio Assistente, sono ottimista. L'ho curato come se fosse stato un mio fratello. E lui, devo dire la verità, è stato paziente e non ha trascurato niente. Ha osservato scrupolosamente il tenore di vita che gli ho imposto, tutte le mie prescrizioni... Una volontà di guarire veramente commovente. Non vorrei sbagliarmi, ma io sono con­vinto che vostro fratello riacquisterà la vista.

Assistente            - Si, signora, non c'è dubbio sull'esito.

Maria                   - E allora... che v'aggi' 'a dìcere... 'o faccio veni ccà?

Dottore                - Si, chiamatelo. Gli occhiali neri, li avete comprati?

Maria                   - Dotto', veramente... non li ho voluti comprare per buon augurio. Vuie me dicisteve che se Mario, dopo l'esperimento, avrebbe riacquistata la vista, per un anno o due avrebbe dovuto portare gli occhiali neri... Si sérveno... sperammo 'a Madonna! ...allora l'accatto.

Dottore                - Ho capito. 'O ppoco 'e scaramanzia.

Maria                   - Sapete com'è... dotto'... (Via per il terrazzo).

Assistente            - (mentre apre una cassetta di medicazione e dispone bottigline di medicinali sul tavolo) Professo', ve vulevo cercà nu piacere.

Dottore                - Di che si tratta?

Assistente            - Stasera sono di guardia.

Dottore                - Beh?

Assistente            - E sono di guardia sempre io?

Dottore                - Pecche sempe tu? Nun facite 'o turno?

Assistente            - Dotto', nuie simmo tre assistenti. Di Salvo sta sem­pre malato e viato chi assiste a isso... è na settimana ca nun se fa vede... Chiariello aiere ssera me cercaie 'o piacere d' 'o rim­piazzà e io facette 'o turno suio... Stasera sarebbe il turno mio ma non sarebbe più giusto ca ce mettisteve a Chiariello? Sicco­me ho conosciuto una ragazza...

Dottore                - N'ata ragazza? Guaglio', tu t'he 'a decidere: o faie 'o miedeco, o 'o conquistatore.

Assistente            - Giusto. Ma io, vedete... dico che è meglio fare l'u­no e l'altro. Non è detto che uno pecchè fa 'o miedeco ha da fa' vuto 'e castità. E poi, io lo farei pure... ma professore mio, cheste guaglione 'e mo, so' una cchiù bbona 'e n'ata... Mo ten­go na nepote, una nipote di secondo grado... Io nun 'a sapevo manco... m'è arrivata 'a Roma...

Dottore                - Ma ch' è na ricotta?

Assistente            - Ato che ricotta, professo'... Chella è burro 'e Surriento. V 'a vularria fa' vedè... Ma quant'anema d' 'a mamma è bbona... Nun pò sta cuieto. Tu nun iesce? E chelle t'arrivano dint' 'a casa. Tanto è vero ca io mo me ne iesco e me retiro 'a notte... pecchè quanno 'a veco... che v'aggi' 'a dicere, 'a mùmmera se ne va.

Dottore                - Me l'he 'a fa' cunoscere.

Assistente            - Chella è piccerella... E io perciò esco... si no già me sarrìa rebbazzato dint' 'a casa. Si chiama Giuseppina. (eccitatissimo) Uuuh!... Io, cu' chella chiuso 'a dinto, me fidasse ‘e fa' 'a fine d'Aida e Radames.

Maria                   - (dal terrazzo) Dotto', Mario….

Mario                   - (dal terrazzo sotto braccio di Assunta. Una benda nera gli copre gli occhi) Buongiorno dotto'.

Dottore                - Caro Mario. (Ad Assunta) Buongiorno signorina.

Assunta               - Buongiorno. Dotto' ho portato gli occhiali neri. (Li prende da una borsetta e li mostra) Me ne sono ricordata io.

Dottore                - (prendendo gli occhiali e scambiando uno sguardo con Maria) Molto bene.

Mario                   - Sicché vogliamo vedere se questo esperimento è riu­scito?

Dottore                - Se sei disposto.

Mario                   - Comme no. Anzi, vi volevo pregare di fare presto accussì ce levammo 'o penziero.

Maria                   - C'ha fatto sta guerra...

Dottore                - Squilibrio da per tutto, signora mia. E per mettere le cose a posto ce ne vorrà.

Assistente            - Se gli Alleati ci danno una mano...

Maria                   - Certamente, dotto'. È pure interesse lloro.

Dottore                - Proprio cosi...

Assistente            - La situazione è pittata.

Dottore                - Dunque. Siedi qua. (Lo accompagna al centro della sce­na e lo fa sedere accanto al tavolo) Oh, guardate che bisogna chiudere tutte le porte, e specialmente quella del terrazzo, biso­gna creare una penombra.

Maria fa per eseguire. Rafele entra dal fondo e l'aiuta.

Mario                   - Aspettate, dotto'. Questo momento, voi lo capite, per me è troppo importante. Con tutto che col mio carattere sono riuscito ad aggiustare la mia vita pure da cieco... sono ventino­ve mesi oramai... e poi, pure si nun tenevo stu carattere che tengo... piglia l'uocchie e falle abballà. Non vi nascondo, però, che una certa emozione... voi capite che questa benda nera è una speranza, ma quanno nun ce starrà cchiù nemmeno 'a ben­da nera... Ad ogni modo, con un poco di buona volontà, se pò fa' ammeno pur' 'e ll'uocchie. Ora, non si tratta più di pigliare dei provvedimenti, caso mai nun ce avess' 'a vede cchiù... il problema è un altro: si ce veco. Questo problema riguarda me e Assunta. Perciò, vi volevo pregare, se mi lasciate solo con lei cinque minuti prima... mi fate molto piacere.

Dottore                - Benissimo. Donna Mari', lasciamoli soli.

Maria, il Dottore, l'Assistente e Rafele escono dalla scena.

Mario                   - (dopo pausa) Assu', siediti di fronte a me e guardami (Assunta esegue). Tu che speranza tiene?

Assunta               - (piena di entusiasmo) Buona, magnifica. Sono sicura che ci vedrai un'altra volta, tale e quale come quando partisti per la guerra.

Mario                   - Perciò hai portato le lenti nere... pecche sei sicura ch’ ‘a vista torna.

Assunta               - Certo. 'O duttore m' 'o ddicette: «State tranquilla, la vista ritornerà».

Mario                   - State tranquilla... (Piccola pausa). T’ 'o ddicette isso o ce 'o addimannaste tu?

Assunta               - Ce lo domandai io. Capirai, è una cosa che mi sta mol­to a cuore.

Mario                   - Già. (Altra pausa). E l'idea, per esempio, che saccio… che io avess' 'a rimanè cecato?

Assunta               - Ma nun 'o dicere manco pe' pazzia. Perché vuoi fare questo cattivo augurio?

Mario                   - Cattivo augurio? E ch'è stata na malattia... n'infortunio? Io, l'uocchie l'aggio perze nguerra.

Assunta               - Ma non capisco... o 'a guerra, o n'ata cosa... non è lo stesso?

Mario                   - No, nun è 'o stesso. 'E cecate 'e l'ata guerra si chiammavano mutilati...

Assunta               - E pure mo.

Mario                   - No. Mo no. Mo so' cecate. Stamme a senti, Assu': nuie facevamo ammore quanno io partette p' 'a guerra. Tu mi hai aspettato. Quanno io turnaie... accussì... la stessa promessa, che ci eravamo scambiata, hai cercato, con tutte le tue forze, di mantenerla. Me si' stata vicino, m' he fatto cumpagnia, nun saccio quanta libbre m'he letto... e io ti ringrazio, te ne sarò riconoscente... ma dint' 'o core tuio ce sta na speranza: ca io ce veco n'ata vota.

Assunta               - Ma è naturale.

Mario                   - E nun ce avess' 'a sta'. Guarda, pe' te avess' 'a essere 'o stesso: cu' l'uocchie o senza l'uocchie. Che dice?

Assunta               - Chello ca dice tu.

Mario                   - Se l'esperimento nun riesce? Si resto cecato?

Assunta               - (escludendo assolutamente la ipotesi) Ma no... io so’sicura che andrà tutto bene.

Mario                   - (un po' alterato) Ma pecchè nun rispunne? (Pausa. Ripiglia il tono calmo) Se io resto cieco, tu me spuse cu' o stesso piacere? (Pausa). Rispunne ampresso Assu'... Io nun ce veco, nun pozzo vedè l'espressione d' 'a faccia tua. Me spuse cu' 'o stesso piacere?

Assunta               - (con falso entusiasmo) Si.

Mario                   - (a cui non è sfuggita l'incertezza di Assunta) Chiamma 'oduttore.

Assunta               - Dotto' venite.

Entrano il Dottore, l'Assistente e Maria.

Dottore                - Siamo pronti? Beh, chiudiamo le porte. (Maria ese­gue. La scena rimane in penombra. Maria  accende le candele davanti l'immagine della Madonna. Il Dottore scioglie le bende e scopre gli occhi di Mario. Tutti intorno sono perplessi). Non aprire gli occhi subito. (Tolta la benda gli avrà messo le mani davanti agli occhi e le allontana lentamente) Piano piano.

Mario                   - Si. (Apre gli occhi, poi lentamente li richiude. Pausa. Li riapre e guarda intorno) Grazie, dotto'. Ce veco. (Soddisfazio­ne di tutti.  Mario si alza) Ma sapite comme veco? Comme si venesse d' 'a luce, da 'o sole forte... 'A casa mia... (Lentamente gira per la scena) 'E mòbbile... 'o ritratto 'e mammà... (Si avvici­na al terrazzo) 'A loggia... (Torna al suo posto e siede) Grazie dotto'.

Maria                   - (piangendo di gioia) Fratu mio!

Assunta               - (anch'essa piange) Mario!

Dottore                - Ora non devi commettere imprudenze... gli occhiali neri dove sono?

Assunta               - (premurosa) Qua dotto'. (Glieli porge).

Dottore                - Questi non li devi lasciare mai. (Glieli inforca).

Mario                   - Grazie.

Dottore                - Che vi dicevo? Sono veramente contento.

Assunta               - Dotto', si può aprire?

Dottore                - No, questa è la raccomandazione. Per un mese, un me­se e mezzo, la luce forte non la deve vedere. Deve vivere in penombra. Donna Mari', che dite?

Maria                   - Dotto'... grazie!

Dottore                - Io me ne vado. Domani ci vediamo ancora. Statte "buono Mario e te può' appènnere pe' vuto.

Mario                   - Proprio cosi.

Maria                   - Di nuovo dotto'.

Dottore                - Non mi trattengo perché ho altre visite importanti da fare e poi è più giusto che vi lasciamo soli, adesso. (All'assistente) Andiamo.

Assistente            - Vengo. Buongiorno a tutti e complimenti.

Accompagnati da Maria escono.

Assunta               - He visto, che te dicevo io? Ma io m' 'o sentevo. Mot'he 'a sta' tranquillo, comm' ha detto 'o duttore e po' accummenciammo 'asci n'ata vota comm' a primma.

Mario                   - Già. Comm' a primma.

Maria                   - (tornando) Pure tu, Assu', ti sei sacrificata tanto. Mamo è finita. Adesso non rimane che fissare la data per il matri­monio. Ve spusate e state in grazia di Dio.

Mario                   - (freddo) Eh no... Me dispiace, ma io ti devo confessate la mia vera intenzione. Chiamatela vigliaccheria, comme vulite vuie... Assu', io nun te pozzo spusà.

Maria                   - Mario!

Mario                   - (alterandosi, sicuro) Mari', io ce veco. E tu non sai che significa passare dalla oscurità alla luce. È 'a vita! E nun 'a voglio perdere. Voglio campà. Dopo guai, guerre, pensieri... preoccupazione... ti dico francamente che non mi sento di af­frontare il matrimonio. Si, lo so, sono un egoista. Si fosse rima­sto cecato, allora...

Assunta               - Ti potevi servire dell'accompagnatrice.

Mario                   - Proprio cosi. Invece...

Maria                   - (mortificata) Assu'...

Assunta               - Niente di male... Sono contenta dell'esito... Mari', stat­te bbona. Auguri... (Quasi piangendo esce).

Maria                   - (richiamandola) Assunta, vieni qua... (Assunta fila drit­ta). Mario, ma ch'è succieso? Perché hai fatto questo?

Mario                   - Perché non volevo elemosina da nessuno. Mari', io ce aggio parlato prima. Ho capito che se rimanevo cieco mi avreb­be sposato per beneficenza, non per orgoglio. 'A beneficenza a facesse a n'ato. Mari', fino all'ultimo momento ha sperato ca me tornasse 'a vista. E si nun me fosse tornata, forse, chello ch'aggio ditto io a essa, m' 'o diceva essa a me. Siente a me dopo il matrimonio chissà quante volte mi avrebbe rinfacciato che avevo perduto gli occhi inutilmente, che chi me l'avevafatto fa', che potevo benissimo imboscarmi. Non avrebbe avuto per me quella fierezza, quell'orgoglio che ha la potenza disostenere la rinunzia. A tavola, quanno ce sarriamo assettate pè mangia mi avrebbe dato l'impressione di sentirmi seduto alla tavola dei poveri. Meglio accussì. Nun he visto con quanto entusiasmo ha portato 'e llente nere? Tu no, tu nun 'e ghiste 'accattà, pecchè me si' sora. Pecchè pe' te cu' l'uocchie o senza l'uocchie, io te so' frate.

Maria                   - Va bene, ma questo se l'esperimento non fosse riuscito.

Mario                   - Mari', io nun ce veco.

Maria                           - No!?

Mario                   - Nun ce veco, Mari'. (Pausa). E me fa piacere, perché la beneficenza l'ho fatta io.

Maria                   - Mario tu che dici?

Mario                   - Nun te piglia collera. Doppo duie anne, me so' abituato. 'A vita mia me l' 'aggio accunciata comme me piace a me. 'A notte ce veco... quanno dormo. Dint' 'o suonno veco 'o munno comme vogl'io, 'a gente comme piace a me. E me fa pena 'a gente ca ce vede pecchè 'a notte se cocca stanca e nun se pò sunna niente. E allora, vamm' 'o lieve 'a capa... siccomme 'e notte ce veco, 'e iuorno me pare comme si l’ate fòsseno tutte cecate. E vulesse na cosa sola... Ca vedesseno 'e iuorno tale a quale comme io veco 'e notte. (Mario apre la terrazza. Si alza e si avvicina a Maria. Nel cercare di abbracciarla per rabbonirla tocca la lana che Maria ha nelle mani e che distrattamente avrà preso pochi momenti prima). Che d' è?

Maria                   - (con il pianto in gola) Lana per un golf.

Mario                   - Che colore?

Maria                   - (non osa pronunciare la parola «nero» e afferma) Celeste.

Mario                   - Comm' 'o cielo nuosto?

Maria                   - No, 'o cielo nuosto è un poco cchiù chiaro.

Mario                   - È na matassa?

Maria                           - Si.

Mario                   - T' 'a tengo io. (Siede di fronte a Maria disponendosi ad infilare le due mani nella matassa).

Maria lo aiuta e meccanicamente comincia a dipanarla.

Ragazzo               - (voce interna) Don Salvato'...

Salvatore             - (di dentro) Si' gghiuto?

Ragazzo               - (c. s.)Ha ditto ca a n'ata mez'ora ven'isso ccà.

Salvatore             - (c. s.)E 'o prezzo d' 'e mattonelle?

Ragazzo               - (c. s.)Nun m' 'ha vuluto dicere. V 'o dice isso mo ca vene...

Lentamente scende il sipario.

FINE