Occio Ada! …Eda Ida!

Stampa questo copione

3° canzone della cassetta

OCCIO  ADA!…..

………EDA IDA!

(Guarda Ada!……Attenta Ida!)

(codice SIAE commedia: 340863 A)

Commedia in  3 atti

in dialetto piacentino

di

GIORGIO TOSI

(codice Siae : 45090)

Con contemporanea traduzione in italiano

per un’immediata comprensione del dialetto piacentino

Giorgio Tosi – Via C. Fabri n. 18  - 29122  PIACENZA

Cell: 389/2629240  - e-mail:giorgio-tosi@libero.it –sito:www.tosigiorgio.it

Questa commedia è - tra le mie -  quella più rappresentata, messa in scena e ri-allestita più volte dalle compagnie in quanto molto gradita al pubblico.

Si tratta di una commedia che si differenzia dal filone  classico  del dialettale, per le scene veloci, le situazioni insolite e le battute efficaci.

Protagoniste assolute Ada e Ida, due sorelle malefiche (ma divertentissime), molto invadenti nei confronti della sorella minore, rimasta di recente vedova: pettegolezzi, critiche , intromissioni continue nella sua post-vedovanza per tentare di impedire che si rifaccia una vita.

Dopo numerosi avvenimenti, le sorelle bigotte verranno sbugiardate e ridicolizzate.

Fanno da comprimari, esilaranti figure come un fiorista innamorato, un prete con il vizietto del bere, la vecchia madre delle tre sorelle, il nuovo spasimante della vedova , il fratello delle tre sorelle succube della folcloristica moglie oltre al figlio della vedovella.

Personaggi

ADA                             la più anziana delle tre sorelle, vedova “acida”

IDA                     la seconda delle tre sorelle, succube di Ada

INES                             la più giovane e carina delle tre sorelle

PRIMINA            la vecchia madre

ENRICO              figlio di Ines

MARIO               garbato corteggiatore di Ines

CARLO               il fratello anziano delle tre sorelle

RINA                   moglie di Carlo, cognata delle tre sorelle

ORESTE             fiorista, passava per caso, poi…

DON ANGELO   prete, con leggero difetto…

A    T    T    O         P   R   I  M  O

Scena: un modesto tinello-soggiorno.

Diverse uscite tra cui la comune verso l’esterno, una per il bagno ed un’altra dalla quale s’intravede un certo movimento di persone.  Una finestra.

SCENA   I

Entrano Ada e Ida, molto austere e impettite, vestite di scuro.

Ada si sventaglia  con un fazzoletto.

ADA - ‘S pol mia resist, gh’è un chèd ‘c sa sciòppa!

             Non si resiste, si scoppia dal caldo!

IDA -  Par forza: con nov ceer piss e tanta gint…Ho ciappà un piston s’un call…!

            Lo credo:ci sono nove ceri accesi, pieno di gente…Ho preso una pestata su un callo…!

ADA – Me sum surpresa da la gint ‘c gh’é.

            Sono sorpresa dalla gente che è venuta

IDA – ‘S capissa ch’ig vorivan bein.

            Forse era ben voluto

ADA – Ma va là: ‘t  ta ricordat mia che om l’era, nominadal da viv e mia da mort?

            Ma per favore: ricordi che uomo era,  parlandone da vivo e non da morto?

IDA – (pensandoci un attimo)  Ah si, l’é vera, l’é vera.

                                                   Ah si, è vero, è vero.

ADA – Par curiosà e par criticà i’enn vegn, cos voot mai.

            Sono venuti per curiosare e per criticare.     

IDA – Verissimo! E appunto parché gniva tanta gint, l’impresa l’andàva sarnì mei, second me.

            Verissimo! proprio perché sarebbe venuta gente, l’impresa (funebre) andava scelta meglio

ADA – Ma naturàl! E i drapp negar? Tutt taccà so malameint.

             Ovvio! E i drappeggi neri? Attaccati malamente.

IDA – Qualcadoin è zà dré a dà zù.

            Qualcuno sta cadendo

yuaQualQualcunio

ADA – (dopo una leggera pausa) E anca la cassa, mia par dì, ma l’è propria urdinaria!

            (dopo una leggera pausa) E anche la bara, non si fa per dire, ma è proprio povera!

IDA – E i ceer? Tutt caroleint!

            E i ceri? Tutti tarlati!!

ADA – Bisognarà digal.

            Dovremo dirglielo

IDA - Si, digal digal.

            Si, diglielo, diglielo,

ADA – (breve pausa) E la mamma? La nossa mamma chèra, l’et guardà bein?

            (breve pausa) E la mamma? La nostra mamma cara, l’hai guardata bene?

IDA – Oh si, e l’am sà un po’ patì.

            Si, mi sembra un po’ patita, vero?

ADA – Bisognarà digal.

            Dovremo dirglielo

IDA – Si, digal digal.

            Si, diglielo, diglielo.

ADA – E…nossa sorela?

             E….la nostra sorella?

IDA – Oh, po’ nossa sorela…(pensandoci) cos àla fatt?

            O poi la  nostra sorella!!! …(pensandoci) cosa ha fatto?

ADA – L’Ines, veh.

IDA – Ho capì, l’Ines.

            Ho capito, Ines.

ADA – Digh: chissà cos dirà la gint!

            Dico: chissà cosa penserà la gente.

IDA – (pensandoci) Ah si, l’era tutta daspatnà!

                                   Si si, era tutta spettinata!

ADA – Ma cos gh’eintra? …(circospetta) L’et vista te, una voota, trà una lagrima, con tutta la gint

            ‘c guardàva? Una che vuna?

       Ma che c’entra? …(circospetta) l’hai vista tu, almeno una volta, piangere? con tutta la gente

            Che la osservava? Anche una sola?

IDA – Macché! Gnan par creanza,

            Ma no! Nemmeno per educazione.

ADA – I dirann ‘c la s’è liberà.

            Diranno che finalmente è libera.

IDA – Che n’in podiva pò.

            Che non vedeva l’ora,

ADA – Invece me, quand m’è success col povar Oreste, ‘t ta ricordat? Ho cridà tant, ho vuzà tant (e

            accenna a commuoversi)

                 Io, invece, quando mi è successo con il povero Oreste, ricordi?  Ho pianto tanto, ho

                 urlato tanto, ti ricordi? (e accenna a commuoversi)

IDA – ‘M ricord,  tutt i dzivan ‘s  t’er dvintà matta.

            Ricordo, si, tutti dicevano se eri diventata matta

ADA – Che roba?

            Cosa??

IDA – ‘S bolavan e i dzivan: “Eda che sena”.

            Si davano dei colpi di gomito e dicevano “Guarda te che scena!”.

ADA – T’arà capì mal.

            Avrai capito male

IDA – Ma no, ‘t ciamàvan l’Addolorata ‘d sant’Agnees.

            No no, ti chiamavano l’Addolorata di Sant’Agnese

ADA – Che brutt linguass! E te, ‘c sentiiv, gh’et ditt gnint?

            Brutte lingue! E tu, non hai detto  nulla?

IDA – E si, ch’i g’àvan ragion.

            Si…che avevano ragione

ADA – Propria te, mé sorella?

            Tu??? Mia sorella?

IDA – Par forza. Quand po dop t’è dàtta par terra longa e dastesa,  is ridivan tutt cmé i matt. T’av

un po’ esagerà, eh!

              Per forza. Quando poi ti sei buttata per terra lunga e distesa,  ridevano come pazzi. Avevi

un po’ esagerato, eh!

ADA – Busiarda, l’è mia vera.

            Bugiarda: non è vero

IDA – Ma no…

ADA – Basta, dag un tai.

            Basta, smettila

IDA – Guàrda che me…

            Veramente io….

ADA – Basta! Andum dadlà a dì un paternoster.

            Basta ho detto! Andiamo a recitare un paternoster

IDA – Va bein, va bein. (Massaggiandosi un piede) ‘M fa ancora màl ‘l piston ‘d prima.

            Va bene, va bene. (Massaggiandosi un piede) Mi fa ancora male il pestone di prima.

ADA – Un momeint: guàrda ‘s g’ho la testa a post (si tocca i capelli dietro).

            Un attimo: guarda se ho i capelli in ordine (si tocca i capelli dietro).

IDA – Ché ‘s veda un po’ la sciarella ‘d la platta.

            Si vede un po’ di pelatina, eh eh eh.

ADA – Signor, che figura! Bisogna  ‘c metta in ordin prima ‘c riva Don Angelo.

            Dio, che figura! Devo sistemarmi prima che arrivi Don Angelo.

IDA – (si avviano verso il bagno) Spetta ‘c vegn anca me.

                                                           Aspettami, vengo anch’io.

ADA – Chissà quand ‘l riva, ‘c l’imbariagòn lé.

            Chissà quando arriva quell’ubriacone!

IDA – Ma Ada…!

ADA – Ma Ida, ‘l sét mia? ‘l tegna ‘l cicchett in d’l confessionàl: un pater e un gunon, un ave e un

            gunon. Quand l’hà finì ‘l rusari l’è ciucch mèrs.

                Ma Ida, non lo sai? Tiene il cicchetto nel confessionale: un pater e un sorso, un ave e un

            altro sorso. Quando ha finito il rosario è ubriaco fradicio.

IDA – Ah si?!?

ADA – Ho vist me.

            Ho visto io.

IDA – Alura…(escono velocemente per il bagno).

SCENA II

INES – (si appoggia al tavolo e si tocca la testa)  Iammè, che  balordòn!

                                                                                Santo Cielo, che giramento di testa!

PRIMINA – Ines, et vist par chès…Ines, cos gh’è? Stàt mia bein ?

                    Ines, hai visto per caso…Ines, cosa c’è? Non stai bene?

INES – No, mama, adess l’am passa.

             No niente, adesso mi passa.

PRIMINA – Anca me sto mia bein. Incò po, ho mangià csé poc, ‘m seint tanta debula…

                        Anch’io non sto bene. Oggi ho mangiato così poco, mi sento tanto debole…

INES – Mama, t’è mangià anca tropp par la to età.

            Mamma, hai mangiato anche troppo vista l’età

PRIMINA – Cos hoi mangià?

                      Cosa avrò mai mangiato!

INES – Va bein, va bein.  Almeno incò lassam in paz. Và.

             Va bene, va bene. Almeno oggi lasciami in pace, và

PRIMINA – Si vag, ma g’ho un strangolòn ché ‘c ‘l ma sàra so ‘l stumagh. (Esce).

                        Si vado, ma ho un nodo qui che mi chiude la bocca dello stomaco. (Esce).

SCENA III

MARIO – (premuroso) Cos gh’è Ines, stala mia bein?

                                    Cosa c’è Ines, si sente poco bene?

INES – Ma no, appena un balordòn.

            Nulla, solo un capogiro.

MARIO – Ala toot gnint? Un guss ‘d roba forta.

                 Deve prendere qualcosa: un goccetto di roba forte!

INES – Ma no, adess ‘l ma passa.

             No grazie, ora passa.

MARIO – Bisogna tegn so ‘l coor. Talché…cognac (prende la bottiglia e serve)

                  Dobbiamo sostenere il cuore. Questo va bene…cognac

INES – Cal sa disturba mia.

              Non si disturbi per me.

MARIO – C’l la diga gnan pr’ scherz!

                 Non lo dica neppure per scherzo.

INES – Poch  poch,  par carità.

            Poco poco, per carità.

MARIO –(La fa bere)  Ecco,  acsé…Vala mei? (le appoggia una mano sulla spalla).

                                       Ecco, così….va meglio?

(Entrano Ada e Ida dal bagno. Ada vede la scena, fa immediatamente dietro-front spingendo Ida di nuovo in  bagno).

INES – Bein, andum, ormai sum a post.

              Andiamo adesso, mi sento meglio.

MARIO – ‘S la g’aviss ‘d bisogn ‘d qualcos…

                   Per qualunque cosa avesse bisogno…

INES – Me ‘l ringrassi, ‘n sa sa mài. (Escono)

             La ringrazio, davvero, non si può mai sapere.

SCENA IV

ADA – (mette dentro la testa, poi entra seguita da Ida)   Ma et vist?

                                                                                            Hai visto??

IDA – Me no, ‘t mé puntà in dal cesso.

            E no, mi hai spinto in bagno.

ADA – Parché podivvma mia fàss ved.

            Non potevamo farci vedere.

IDA – No?? E parché, parché?

            Perché, perché?

ADA – Gh’era l’Ines co’l Mario.

              C’era l’Ines col Mario.

IDA – Ah!….(ci pensa) e allura…?

ADA – (sottovoce) ‘L g’àva miss  una man in ‘s la spalla.

                                Ha messo una mano sulla spalla.

IDA – Le a lu?

            Lei a lui?

ADA – No, lu a lé!!

             No, lui a lei.

IDA – Ah!….( ci pensa) e allura…?

ADA – Ma capissat mia?

            Non hai ancora capito?

IDA – (ci pensa, poi) Voot dì che Mario e la Ines…

                                   Vorresti dire che Mario e Ines…

ADA – Me ho ditt gnint. ‘T lé ditt té!

            Io non ho detto nulla. L’hai detto tu.

IDA – Me ?! Ma te ‘t lé pensà.

            Io ?? Ma sei tu l’hai pensato.

ADA – Ma chi ‘l  l’ha ditt ? Té!

            Ma poi chi l’ha detto? Tu!!

IDA – Ma te t’è vist!

            Però sei tu che hai visto!

ADA – Cos gh’eintra? Comunque l’è una bella vargogna.

            Cosa c’entra? Comunque è una vergogna

IDA – Ah si, bisognarà digal.

            Ah si, dovremo dirglielo.

ADA – Che noi sum una famiglia onorà e sert lavor hann mia da vedass. L’è seipar stà una vesta

            alzeera.

              Che noi siamo una famiglia onorata e queste cose non devono succedere. E’ sempre stata

una veste leggerina (modo di dire, n.d.a.).

IDA – Pess, una sottvesta!

            Peggio: una sottoveste!

ADA – Anca da giovna. Ah, ma me adess g’al digh.

            Si, già da giovane. Ah, ma adesso io glielo dico.

IDA – Digal digal.

            Diglielo, diglielo!!

ADA – No, anzi: ‘t g’al dira tè.

            Anzi, glielo dirai tu.

IDA – Me?! Ma me no. T’è té la po’ veccia e po me ho vist gnint.

            Io?? Io no. Tu sei la più vecchia e poi io non ho visto nulla.

ADA – (interrompendola) Va bein: g’al dirum.  (suona il campanello)

                                           Va bene: glielo diremo

IDA – Don Angelo, finalmente (va ad aprire).

SCENA V

ORESTE – Gh’ela la siora Ines? G’ho di fior da dàg.

                   E’ in casa la signora Ines? Ho dei fiori per lei.

ADA – Ca lià metta lé.

               Li metta lì.

ORESTE – Incò arò belle che fatt dez  viazz par la siora Ines. Ma cos gh’è? Una festa?

                   (allunga il collo per vedere nell’altra camera).

                Sarà la decima volta oggi che vengo per la signora Ines. Ma cosa c’è? Una festa?

IDA – Propria una bella festa, si.

            Si si, proprio una bella festa.

ORESTE – (c.s.) Quanta gint! El ‘l so compleann incò?  Eh, l’è seipar sta una dona ammirà la siora

            Ines, e po’una bella donna, dzumal.

                 (c.s.) Quanta gente! E’ il suo compleanno, oggi?  Eh, è sempre stata una donna ammira-

            ta l’Ines,  una bella donna, diciamolo.

ADA – Et sentì?

            Hai sentito ?

ORESTE – Ma ’c la mà scusa…(guarda Ada)…ma si, ma si, la g’ha da ess lé, la sa smeia csé tant:

               le, ela mia la mamma d’ la siora Ines?

                 Ma mi scusi…(guarda Ada)…ma si, ma si, è lei certamente, le assomiglia tanto:

              lei, non è la mamma della signora Ines

ADA – Verameint, me sariss  la sorella! (Ida trattiene a stento una risata).

            Veramente, io sarei la sorella!

ORESTE – Eh?!..ah, no, appunto…me voriva dì…cioè, ‘intendiva da dì…’m sum sbaglià, si: mia lé

            (a Ada)…custa (indica Ida), custa me voriva dì  l’è la mamma ‘d la siora Ines, no?

                  Eh?!..ah, no, appunto…volevo dire…cioè, intendevo…mi sono sbagliato, si: non lei

            (a Ada)…questa (indica Ida), volevo dire, è la mamma della signora Ines, no?

IDA – Me sariss l’àtra sorela!

            Io sarei l’ALTRA sorella

ORESTE – Un’àtra? Ma in quant ‘g sì in familia?

                        Un’altra? Ma quanti siete in famiglia!

SCENA VI

PRIMINA – E’ rivà Don Angelo?

                        E’ arrivato Don Angelo?      

ORESTE – (tra sé) Custa la par propria bella veccia, ma la sarà sicur la sorella po ansiana.

            (tra sé) Questa sembra molto vecchia, ma sarà magari la sorella più anziana

ADA – L’è ‘l fiorista.

            E’ il fiorista.

ORESTE – (A Primina)  Si, seguitan a ordinàm di fior par so sorela.

                  (A Primina)  Si, ordinano molti fiori per sua sorella.

PRIMINA – Mé sorela? La Santina ‘d Valconass?

                        Mia sorella, la Santina di Valconasso?

ADA – Custa l’è la mama!

            QUESTA è la mamma!

ORESTE – (in difficoltà)…eh eh…la par ancora una giovnotta…

                                          Eh eh….sembra una giovincella!

ADA – Noi, invece…!!

PRIMINA – Ma mé sorela, ela mia morta nel 58?

                    Mia sorella non è morta nel 58?

IDA – Si mama, adess tàz par piazer. Par i fior ‘g  pensum noi (fa per accompagnare Oreste)

            Si mamma, ora taci per favore. Ai fiori pensiamo noi (fa per accompagnare Oreste)

ORESTE – ‘S podriss mia salutà la Ines? Appena un attim…’g fagg i auguri…

                    Potrei salutare la signora Ines? Un attimo soltanto…le faccio gli auguri…

ADA – (dopo una pausa, perfida) E parché no?  C’al vagga pur dadlà.

                                                           E perché no? Vada pure di là

ORESTE – Disturbaroia? Gh’è anca so marì?

                   Disturberò? C’è anche suo marito?

ADA – Si, ma ‘l diiz mia gnint!

            Si, ma non dirà nulla, vedrà!

ORESTE – (si avvia, ma sulla porta della camera si blocca;poi ritorna in scena sbigottito, barcolla

                     un po')

            Chér ‘l mé Signor bon ! Parché m’ì mia ditt gnint?…Ecco ‘l parché ‘d tant fior…

            Povra siora Ines, oh, ‘m dispiaz bein…(Primina piange in silenzio)

            Un om csé bon, csé affabil…(si commuove)…pront a la battuda. E po in salut, bell bianc e

            ross…(piagnucola)…So, so..(mentre si asciuga gli occhi, batte una spalla a Primina in

            lacrime)…cla fagga mia acsè…

                       

 Signore Iddio ! Perché non dirmi nulla?…Ecco il motivo dei tanti fiori…

            Povera signora Ines, oh, come mi dispiace…(Primina piange in silenzio)

            Un uomo così buono,  affabile…(si commuove)…la battuta pronta. E in salute, bianco e

            rosso…(piagnucola)…Su, su..(mentre si asciuga gli occhi, batte una spalla a Primina in

            lacrime)…non faccia così…

PRIMINA – (piange più forte)

ORESTE – (col fazzoletto dispiegato) ‘M sariss mai ‘spettà una roba compagna. ‘S gh’è un bon a

            sto mond ché, sta pur sicur ‘c la scampa mia!

            (col fazzoletto dispiegato) Chi immaginava una cosa simile. Se c’è una persona buona al

mondo, stai certo che non vive a lungo!

PRIMINA – (tra le lacrime) Anca ‘l mé om l’era tant bon.

                                               Si si, anche mio marito era tanto buono.

ADA – Mama, lassa perd , par piazer!

            Mamma, lasciamo stare, per favore.

PRIMINA – ‘L m’ha datt appena una voota: a momeint  ‘l ma roveina.

                       Mi ha menato solo una volta: per poco non mi rovina.

IDA – Mama, cos ditt?

            Ma cosa dici?

PRIMINA – G’ho tira a dré tant saracch.…ma ‘g voriva un bein…

                    Gli ho tirato tante maledizioni…ma gli volevo tanto bene…

ORESTE – (che non ha ascoltato) Ma…cmé sta a moor?

                                                        Ma…come mai è morto?

PRIMINA – L’è vola in d’un canàl una sira, ciucch mars.

                        E’ volato in un canale una sera che era ubriaco marcio

ORESTE – Ma chi? 'l marì d'la siura Ines??

                  Ma chi? Il marito della Ines?

PRIMINA – No, ‘l mé om. L’era tant bon…(comincia a raccontare)

                     No, mio marito, era tanto buono…

ADA – Mama, adess basta! C’al la creda mia,sal?  La diiz dill roob mia tant giust.

            (alla madre) Cos ditt ‘c l’è mort imbariàg? 

               Mamma, adesso basta! Non le creda, sa? Non sempre dice delle cose sensate.

            (alla madre) Cosa dici che è morto ubriaco? 

PRIMINA – ‘G piasiva ‘l vein e ‘l donn,   brutt sporcacion …

                        Gli piacevano il vino e le donne, brutto sporcaccione…

IDA – Vé mama, andum dadlà, vea chéra la mé mama chèra: andum! (la strattona ed escono).

            Andiamo di là, mamma, vieni cara la mia mamma cara: andiamo! (la strattona ed escono).

SCENA VII

ORESTE – Sum bein agità! Quand seint chi chès ché, ‘m ciappa un vers…sum po bon gnan da

            lavorà.  Ma cos gh’è datt a doss. Sum mia bon da cred che un om compagn, grand e gross…

            G’ho seipar una pagura anca me…pr’ogni dolorein ‘g fagg so un castell.

               

      Sono agitato! Quando sento queste cose,  mi prende una cosa…Non riesco neppure a

Lavorare. Ma cosa gli è preso?  Non posso credere che un uomo de genere, grande e gros-

            so…Ho sempre una paura anch’io…per ogni dolorino mi sento già finito.

ADA – L’è sta in d’un batt’r d’occ!  Tamme ‘l mé Oreste…

            E’ stato un batter di ciglia!  Come il mio Oreste…

ORESTE – So marì ‘l sa ciamava Oreste? …Tamme mé?!  (fa le corna)

                   Suo marito si chiamava Oreste? Come me?

ADA – Anca lu Oreste? Vèda te la combinazion.

            S’era drè a dì che anca lu, mé marì, l’era un omasson grand e gross, l’àva mai vist ‘l dottor

            una voota. Anca s’al sa sentiva mia bein, s’era mia bona da mandàgal, diavol d’un om!

               Anche lei Oreste? Guarda il caso.

            Stavo dicendo che anche lui,mio marito, era un omaccione ben messo, mai visto un medico

            Anche se non si sentiva bene, non riuscivo a mandarglielo, diavolo di un uomo!

ORESTE – E…cos  s’ sentival?

                    Cosa…si sentiva?

ADA – Ma…’l g’àva di dolorein ché…

            Non so….aveva dei dolorini qui…

ORESTE – Ché, dova?

                   Qui, dove??

ADA – Utar ché (indica lo stomaco)

            Più o meno qui.

ORESTE – Oh Signor, g’ho seipar anca me di dolorein ché…cos saràl?

                        Oh Gesù,  ho sempre anch’io dei piccoli dolori qui…che sarà?

ADA – Bein, passa dez dé, du sman, un mees. E lu gnint. Ma và dal dottor,no? 

            Ma lu no! “L’è mia gnint, cos voot ca sia” l’adziva, ma ‘l peggioràva seipar.

            Una sira, vist c’al cediva mia, g’ho ditt: “Voot mia fat ved? No? Allora crapa!”

            (pausa)  Bein dì, ‘l dé dop

            Be’, passano dieci giorni, due settimane, un mese. E lu niente. Vai dal medico,no?  Lo

Facciamo venire a casa. No, lui no! “Non è nulla, che vuoi che sia” diceva, ma  peggiorava.

            Una sera, dato che non cedeva, ho detto: Non vuoi farti visitare? No? Allora  crepa!”

            (pausa)  Be’,sa che il giorno dopo…

ORESTE – (spaventato) ‘C l’am digga mia csé, ‘ ca ma spaveint con gnint.

                      (spaventato) ‘Non dica queste cose, mi spavento per un nonnulla.

ADA – Ma…c’al ma scusa, Oreste, lù el spuuz?

            Ma….mi scusi, Oreste, lei è sposato?

ORESTE – No, no..

ADA – E cmé mài?

             Come mai?

ORESTE – Sum dasfortunà.

                   Sono sfortunato

ADA – Ma fal a viv un om da par lu, incò?

              E come vive un uomo, solo, al giorno d’oggi?

ORESTE – Tamme fag me.

                    Vive come faccio io.

ADA – Possibil che l’abbia mai cattà una donna giusta par lu?

            Possibile che non abbia mai trovato la donna giusta?

ORESTE – Eh..possibil…

                   E…possibile…

ADA – No, cred mia.

             No, non credo

ORESTE – Eppur…

ADA – Gnan…una mal-maridà?

            Neppure….una mal-maritata?

ORESTE -  Oh no no, par carità!.

ADA – Gnan…(sospensione) … una vedva…?

            Neppure…………………una vedova?

ORESTE – N’ho belle che vuna in cà.

                   Ne ho già una in casa.

ADA – (piano) Quanta concorrenza al dé d’incò.

            (piano) Quanta concorrenza oggidì.

ORESTE – Mé mar, povra donna.

                   Mia madre, povera donna.

ADA – (c.s.) La faccenda la cambia.

ORESTE – L’am tratta ancora cmé un ragazz piccin.

                   Mi tratta ancora come un bambino

ADA – Si, ma prima o dop, anca lé…

            Si, ma prima o poi, anche lei….

ORESTE – Ma to! (fa le corna)

ADA – Insomma…e allora cmé faral?

            Insomma…e allora, cosa farà?

ORESTE – Da che a là. Pr’adess g’ho i mé fior, la mé mama.

                    Per ora non ci penso, adesso ho i mei fiori, la  mia mamma

ADA – Con tutt ‘l donn d’una serta età, libar, ‘c gh’è in gir…s’ag na fiss vuna, vera…

            Con tante donne d’una certa età, libere, che circolano… se ce ne fosse una, vero…

ORESTE – Ma no.

ADA – E chissà mai.

ORESTE – (dopo una pausa)  Ma no…!

ADA – Magari vedva, magari con la cà…(lieve imbarazzo)

            Magari una vedova, proprietaria di casa…

ORESTE – Bein…Dio…

ADA – Ma g’hoi da digghia mé sert roob?

            Ma devo proprio dirgliele io certe cose?

ORESTE – Parché, second le…

                   Perché, secondo lei…

ADA – Eh!

ORESTE – Le la creda che…

                    Lei crede che…

ADA – Magàri si…

ORESTE – (dopo una pausa) Ma sarà mia tropp prest?

                 (dopo una pausa) Ma non sarà un po’ troppo presto?

ADA – A la so età, prest?

            Alla sua età, presto??

ORESTE- (eccitato) Quindi, second lé, la siora Ines…

            (eccitato) Quindi, secondo lei la signora  Ines…

ADA – L’Ines?!?

ORESTE – Si, second lé, so sorela…

                    Secondo lei, sua sorella…

ADA – Ma cos gh’eintra mé sorela?

            Cosa c’entra mia sorella?

ORESTE – Ma me àva capì…

                    Ma io avevo capito che….

ADA – Ma me sorela no! Cos ‘g sàlta in ‘d la meint?

            Ma mia sorella no! Cosa le salta in mente?

ORESTE – L’ha ditt tutt lé!

                   Ha fatto tutto lei!

ADA – Ma lassum perd, là! E c’al sa vergogna!

            Lasciamo perdere! E si vergogni!

ORESTE – E va bein.

                   Va bene.

ADA – E ‘c ‘l stagga gnan a pensag, in un momeint dal genar. Sporcaciòn!

                   E non stia a pensarci in questo momento. Sporcaccione!

                                    (esce borbottando e quasi sbatte contro la sorella che sta entrando).

SCENA VIII

IDA – Sum tutt scombussolà da cla storia ché…Me, c’al guarda, sum ancora fiola, n’ho mia vorì to

            marì, propria par evità chi chès ché. Ma s’aviss vorì, n’ariss cattà: g’àva la fila dadnans a la

            porta.   Ma mé  ho seipar ditt ‘d no….El fio anca lu, par chès?

            Questa storia ci ha scombussolati tutti…Io, guardi, sono ancora signorina, non ho preso 

            marito, per evitare questi casi. Ma se avessi voluto, ne avrei avuti: avevo la fila davanti alla

            porta.   Però io no, dura,  ho sempre detto di no….E’ celibe anche lei, per caso?

ORESTE – Si. S’era bein dré a dì a so sorela…

                   Si. Stavo dicendo, per l’appunto, a sua sorella che..

IDA – L’ha fatt bein, l’ha fatt propria bein. ‘S fa tant prest a moor incò.

            Ha fatto bene, ha proprio fatto bene. Si muore così velocemente oggi.

ORESTE – Ma to!

IDA – Quàsi quàsi l’è mei sposàs tèrdi. Superà una serta età critica, s’è possà sicur. Cos dizal lu?

            Quasi quasi è meglio sposarsi in tarda età. Oltre una certa età critica, si è più sicuri.Che

            cosa ne dice, lei?

ORESTE – La g’ha mia tutt i tort.

                   Non ha tutti i torti.

                 

IDA –Me i’enn tant’ann ‘c sum da par me. E lu…?

            Io sono sola da tanti tanti anni. E lei?

ORESTE – Anca me.

                    Anche io.

IDA – (speranzosa) Ah si??

ORESTE – Ma me g’ho i mé fior, la mé mamma…

                   Ma io ho i miei fiori, la mia mamma…

IDA –  (delusa) I fior? La mama?!Adiu, l'è andà anca custa!

                           I fiori? La mamma? Addio, è andata anche questa.

ORESTE – Ma spo savì cos gh’è datt a doss tutt in d’una vota? G’ho seipar una pagura anca me…

                  Ma si può sapere cosa gli è preso improvvisamente? Ho sempre una paura anch’io…

SCENA IX

INES - ‘L pret, in dov el?   Seguita a riva ‘d la gint…Oh, Oreste…

            Ma dov’è il prete? Arriva gente….Oh, Oreste…

ORESTE – Siora Ines, me so mia in che manera..me…so mia cos digh…l’è tanta grossa, so mia

            che pé mett innans…

                    Signora Ines, io non so in che modo…non so che dire…è tanto grave…non so dove

            cominciare (letterale: che piede mettere innanzi, n.d.a.)

INES – Ho capì, Oreste, grazie.

           

ORESTE – Anca me, sala, g’ho seipar di dolorein…g’ho una pagura…

                   Sapesse, ho sempre dei dolorini….ho una fifa…

SCENA X

ENRICO – (entra con Primina e Ada)  Ha telefonato Don Angelo: sta arrivando.

           

ORESTE – (lentamente,  con apprensione,  si infila nella camera ardente)

PRIMINA – Allora, a che ora arriv’l sto pret, che me ‘m seint tanta debola con tutta sta gint

            ‘c la piatula, ‘m vegna un vers ché, a la bocca da stumagh. (suonano)

                  Allora, a che ora arriva il prete? Io mi sento così debole, con tutta questa gente

            che frigna, mi viene un cosa qui, alla bocca dello stomaco. (suonano)

INES – Enrico, va  a vèr a Don Angelo (esce).

            Enrico, va ad aprire a don Angelo (esce)

ADA/IDA/PRIMINA – Finalmeint Don Angelo (si sistemano).

                                      

SCENA XI

Entra Rina seguita dopo qualche secondo da Carlo.

RINA – Enrico, chèra!  (lo sommerge con un abbraccio fin quasi a soffocarlo)

              Caro Enrico!

ENRICO – Zia..(rimane  senza fiato)

ADA – Iammè, l’è rivà anca lé. Adess sum a post.

            Gesù, è arrivata! Ora siamo sistemati.

IDA – (A Carlo) Podivat mia lassàla a cà?

                            Non potevi lasciarla acasa?

CARLO – Parché?

ADA – Bella figura ‘c farum di fronte a la gint con cla paiàssa le.

            Bella figura ci farà fare  quella pagliaccia

IDA – Me gà sto mia ché, con le lé.

            Non ci resto qui, se c’è lei.

ADA – (trattenendola)  Ida…

IDA – Voot spettà da ciappà di titul da cla seinza carianza lè?

            Dobbiamo attendere di essere riempiti di insulti da quella senza educazione?

ADA – Ida, podum mia andà via, par la Ines, podum mia!

            Ida, non possiamo andare via, per la  Ines,  non possiamo!

IDA – (sbuffa)

RINA – (finito l’abbraccio) Ah, ‘l mé Enrico, che disgrazia…ma adess basta, crida mia, basta.

            ‘t  tè sfugà, adess basta.

               (finito l’abbraccio) Ah, caro Enrico, che disgrazia…ma ora smettila, non piangere, basta.

            Ti sei sfogato, ora basta

ENRICO – (è cianotico  per l’abbraccio)

CARLO – Enrico, sta so, neh! Adess sum ché noi, quindi….Enn rob ‘c capita, quindi vèda da stà

            so, sum che noi, quindi…

                      Enrico, stai su, neh! Ora ci siamo noi, quindi….Cose che succedono, quindi vedi di    

                     non abbatterti, siamo qua noi, adesso, quindi…

ENRICO – Grazie, grazie.

ADA – I’enn riva lor, adess i fann tutt lur.

            Arrivati loro, fanno tutto loro.

RINA – Sta a tàcca a to mar, neh, abandon’la mia, povreina… che disgrazia…

            Rimani accanto a tua madre, neh, non lasciarla, poverina… che disgrazia…

PRIMINA – ‘G sum anca me, vera ( ma tutti la ignorano).

                       Ci sarei anche io, vero?

CARLO – (piano a Rina) Saluta ‘l mé sorell.

                                         Saluta le mie sorelle.

RINA – Gh’è anca Cric e Croc?

              Ci sono anche Cric e Croc?

ADA –  (sobbalzando) Oh! Et sentì Ida cos l’ha ditt?

                                     Oh! Hai sentito cosa ha detto?

IDA – L’ha fatt un vers con la bocca: tric trac…

            Ha fatto uno strano verso con la bocca, tric trac…

ADA – L’ha gà ciamà Cric e Croc.

             Ci ha chiamate Cric e Croc.

IDA – O custa po! Seinta un po, te!

            Questa poi! Senti un po’!

RINA – Ciao Ada (a Ida), ma stàt?

              Ciao Ada (a Ida), come stai?

IDA – Me verameint sariss la Ida.

            Veramente, io sarei la Ida.

RINA – Ah si! Scusàm, sum mia bona da distinguav: tutt du vistì da scur, seipar mucch, c’ una

            fassia inversa…

             Ah si! Scusatemi, ma non riesco a distinguervi l’una dall’altra: sempre in scuro, sempre

          imbronciate, con una faccia da schiaffi…

CARLO – Le qull ‘c la peinsa la diiz.

                   Lei quello che pensa, dice.

RINA – Ma gh’è anca la vecciassa.

             Ma c’è anche la vecchiaccia.

PRIMINA – Miracol, ‘i m’hann vist.

                      Mi hanno vista: che miracolo.

RINA – (a voce alta, nelle orecchie) Nonna, stiv bein? (a tutti) Ela ancora sorda cmé una gabba?

        (a voce alta, nelle orecchie) Nonna, state bene? (a tutti) E’ ancora sorda come una campana?

PRIMINA – Ma che sorda, là! (si tura l’orecchio)

                     Non sono sorda!

RINA – (a Carlo)  Erla mia sorda?

                               Non era sorda?

ADA – (ironica) Andà a trova da spess i pareint capita chi lavor chè.

            (ironica) Cose che succedono a chi va a far visita spesso ai parenti.

RINA – Nonna, che disgrazia, eh?

             Nonna, che disgrazia, vero?

PRIMINA – Atar ché: é da stamattein ‘c mang mia.

                     Certo: è da stamattina che non mangio.

ENRICO – Su andiamo, nonna,  ti faccio scaldare  la minestra…l’è tutt incò c’al la meina.

                                                                                                      E’ tutt’oggi che rompe

RINA – Vot una man?

               Ti serve una mano?

ENRICO – Faccio da solo, grazie.

           

PRIMINA – Si si  l’ultma vota a momeint al ma fa moor. Ma me ho segnà tutt…(esce con Enrico)

                         Si si, la volta scorsa per poco non crepo. Ma io ho segnato tutt…(esce con Enrico)

CARLO – Seinta, in dov ‘s va per…

                  Scusami, dove si va per…

ADA – La camera ardente l’è dadla.

            La camera ardente è di là.

CARLO …No, vuriva dì pr’al bagn…

                   Intendevo il bagno

IDA – Dadlà, ma in ‘s la sinistra (Carlo esce).

            Sempre di là, ma a sinistra

SCENA XII

RINA – Dzì un po’ una roba: cmé mai la veccia l’è ancora ché?

            Spiegatemi una cosa: come mai la vecchia è qui?

ADA – Dov g’arissla da ess?

            Dove dovrebbe essere?

RINA – Donca, ansoina ha vorì sollevà la Ines.

            Allora, nessuno di voi due ha pensato di aiutare Ines.

ADA – La veccia la vool mia movass.

            La vecchia non ama muoversi.

RINA – Ma toh! Le la g’ha poc sarvell e viàtar ancora meno.

            Ma toh! Lei ha poco cervello e voi due ancora meno.

IDA – Seinta dì…

            Ascoltami bene…

RINA – (incede minacciosa) E’ mia vera, forse? O sì appena appena bon da fag un po’ ‘d cera e po

            andà?

            (incede minacciosa) Non è vero, forse? O siete capaci di fare qualche moina e poi andare?

ADA – Guàrda che noi…

RINA – Che noi cosa? L’è una vargogna! E me poss diil, parché mé, la nora, ho tegnì ‘l crov vecc’

            par 5 ann, e so cos vool dì. Viatar, al fiol, gnint: bon appena da fà andà la linguassa!

               Che noi cosa? E’ una vergogna! E io posso dirlo, perché io, la nuora, ho tenuto il

             corvaccio per 5 anni e posso dirlo. Voi,le figlie, siete brave solo a sparlare.

IDA – Parché te ‘t la curav abotta.

            Perché tu la curavi assai

ADA – Digal, digal.

            Diglielo, diglielo.

IDA – Seipar in gir cmé un’àvia matta a fà discorr la gint.

            Sempre in giro come “un’ape impazzita” e intanto la gente parlava…

ADA – Digal digal.

            Diglielo, diglielo.

IDA – Set cmè ‘t ciamavan?

            Sai come ti chiamavano?

ADA – Dai, digal!

            Dai, diglielo!

IDA – G’al digghia?

            Glielo dico?

ADA – Digal!

            E diglielo!

IDA – ‘T ciamavan “Rina la grin…”

            Ti chiamavano “Rina, la gri….”

RINA – (la interrompe) Ringrassia ‘l ciel ‘c gh’è un povar mort dadlà, se no, ‘v fariss bein ved

            me, Rina la grina, ‘d du brutt cilògh pass!

            ‘V piantariss du maccafugn in sa qull mus lé da baraccon fein a fav gira la testa da l’àtra part

            (le minaccia con il braccio teso a manrovescio)

               (la interrompe) Ringrazia il Cielo che c’è un defunto di là, altrimenti ve la farei vedere io

            Rina la porcellina, brutte arpie schifose! Vi mollerei due schiaffoni su quel brutto muso  che

            vi  ritrovate fino a farvi girare la faccia dall’altra parte!

            (le minaccia con il braccio teso a manrovescio)

IDA/ADA – (riparandosi dietro le borsette)  OH!!

SCENA XIII

Rientra Carlo che trascina, sottobraccio, Oreste, il fiorista.

CARLO – So so, stal mia bein?

                 Su, su, non sta bene?

ORESTE – E’ che sono impressionabile.

           

CARLO – ‘G vool un biccerein : guàrda, ché gh’è dal cognac.

                   Ci vuole un bel bicchierino: guarda, c’è del cognac.

RINA – Dal a lu e te lass’l stà, ‘l cognac!  Tutt so par!

            Dallo a lui e tu stacci lontano, il  cognac!   E’ come suo padre!

ADA – (a Oreste) El ancora ché,lu?

                               E’ ancora qui , lei?

RINA – E chi sariss’l qull sior ché?

               Chi sarebbe costui?

CARLO – Boh.

IDA – Ada, intant che spettum Don Angelo, andom a pargà, almeno noi.

            Ada, intanto che attendiamo Don Angelo, andiamo a  pregare, almeno noi!

ADA – L’è seipar in ritardi, cl’imbariagon lé.

            E’ sempre in ritardo, quell’ubriacone.

IDA – Gh’èt la corona par dì un paternoster?

            Hai il rosario per il paternoster?

RINA – Anca du o tri, ca iv  fann mia mal. (A Carlo) Vag dadlà anca mé. M’arcmand! (esce).

                  Uno solo? Anche due o tre, non vi fanno male. (A Carlo) Vado di là.  Mi raccomando!

                  (esce)

SCENA XIV

ORESTE – Insomma, ‘s po savì ‘d che roba l’è mort, o parbacco? (assaggia il cognac)

           Insomma, si può sapere di cosaè morto, o perbacco? (assaggia il cognac)

CARLO – D’una roba impruvvisa (beve)

ORESTE – Ma to, qullé l’àva capì anca mè…(beve)

                    Questo l’avevo capito anche da solo

CARLO – Sal ‘c l’è bon qull cognac chè? (beve)

                  E’ buono questo cognac

ORESTE – Ho belle che sentì (beve).

                    Si è vero, buono

CARLO – L’è qull c’ag vool par tiràss so (beve)

                  Quel che ci vuole per tirare sul il morale

ORESTE – ‘L g’ha propria ragion: sto zà mei (beve)

                     Sa che aveva ragione, sto già meglio

CARLO – Ma c’al ma diga una roba…

                  Mi dica una cosa…

ORESTE – Pronti!

CARLO – Ma lu chi el? Un pareint? Un visein? Me l’ho mai vist (beve)

                         Lei chi sarebbe? Un parente? Un vicino di casa? Non l’ho mai vista (beve)

ORESTE – S’era ‘d passagg. Ho porta un mazz ‘d fior par la siora Ines (beve). Ma l’era mia ‘l prim.

            E voi, e du, e tre, po un cest, po un atar, e so e zu, so e zu (beve).

            Incò vegn deintar , e vèda che  sorpresa (beve). ‘g sum rmast tant mal, tant mal…

                   Ero di passaggio. Portavo un mazzo di fiori per  Ines (beve). E non era il primo.

            E uno, e due e tre, poi un cesto, poi un altro, e  su e giù, e su e giù (beve).

            Oggi entro , e guardi che sorpresa (beve). Son rimasto così male, ma così male…

CARLO – C’al beva un gussein, allora.

                  Beva un goccetto, allora

ORESTE – Basta che po ‘l ma dà a la testa…s’m vediss mé mar…

                        Piano che mi dà alla testa…se mio vedesse mia madre…

CARLO – So so, ‘l va  bein par le coronarie! (serve)

                  Forza, fa bene alle coronarie

ORESTE – Grassia (beve)…e…e…lu, lu? Si propria lu, chi sariss’l in tutt qull casein ché ?(allegro)

                        Grazie (beve)…e…e…lei? Si, dico a lei, chi sarebbe in tutto ‘sto casino ?(allegro)

CARLO – (già alticcio) Me?! Me sariss…’l marì ‘d mé moier, che po la sariss c’la dona granda e

            grossa ch’è passà adess. Lu l’é…anzi l’era…’l marì ‘d mé sorela, mé cognà: dighia bein?

                   (già alticcio) Io?! Io sarei…ma il marito di mia moglie, che sarebbe quella donna alta e

            grossa di prima. Lui è…anzi era…il marito di mia sorella, mio cognato:  giusto?

ORESTE – Che parintela ingarbuià!..Allora, fum ‘l chès…se me spooz la moier ‘d to cognà, che

            s’am ricord mia màl al sariss mort, no?, dvintarìssma anca pareint?

                  Che parentela contorta!..Allora, mettiamo il caso…se io sposo la moglie di tuo cognato,

            che se non erro sarebbe morto, vero?, diventeremmo parenti?

CARLO – Cosa cosa cosa????!  Ma dì, et ciucch:::?!

                 Cosa cosa cosa?????! Ma, sei ubriaco…?!

ORESTE – (si alza, traballando) Attento a come parli.

CARLO – (anche lui) Cosa?  A me…?

ORESTE – T’hannia mai piantà un garofan in d’l ….?

            Non t’hanno mai infilato un garofano nel ….?

CARLO – T’al fagg mangià ‘l garofan, con la gamba e tutt!

                 Te lo faccio ingoiare il garofano, con il gambo e tutto il resto.

ORESTE – (brillo) Ve zù, vé zù in magazzein, c’t fagg canta l’Aida c’una pianta d’ortiga…!

                  (brillo) Vieni giù, nel magazzino, ti faccio cantare l’Aida con una pianta d’ortica!

CARLO – Subit! Tog so ‘l capell…

                  Subito! Metto il cappello…

ORESTE – Ma piova mia…

                  Non piove…

CARLO – Ah no?!

ORESTE – Vé zù c’t mass (escono spingendosi e borbottando)  (suona il campanello).

                 Scendi che ti faccio fuori (escono spingendosi e borbottando)  (suona il campanello)

SCENA XV

Vanno ad aprire  Ines e Mario.

INES – L’era ora Don Angelo: l’è in ritardi d’una bella mezz’ora!

            Finalmente Don Angelo: è in ritardo di almeno mezz’ora!

DON ANGELO – ‘L so, ‘l so. Sum appena vegn via d’un àtar...me sum tant stuff ‘d tutta sta gint

            ‘c mora…! (accortosi della gaffe)  Bein, insomma, so so col moral, la vita continua, la vita

            l’è ancora bella.  Ma stal, Mario?

                               Lo so, lo so. Vengo ora da un’altra veglia...sono così stanco di questa gente

            che muore…! (accortosi della gaffe)  Insomma, su col morale, la vita continua, la vita

            è ancora bella.  Come sta, Mario?

MARIO – Bene, grazie.

DON ANGELO – E la signora?

MARIO – Sum ancora fio, don Angelo.

                  Sono scapolo, don Angelo

DON AGELO – Eh?…ah si,  si, voriva dì la mama.

                            Eh..?  si si, intendevo la mamma

                       

MARIO – L’um portà so par Pasqua, don Angelo.

                  L’abbiamo portata al cimitero a Pasqua, don Angelo, ricorda?

DON AGELO – Ah si, par Pasqua…la g’ha ciappà bein, però!

                           Ah si, si, per Pasqua….bella combinazione, eh??!

INES – Andum, chi spettan tutt.

            Andiamo, stanno aspettando

DON ANGELO – Andì innans, ‘m mett i parameint e arriv. (Ines e Mario si guardano ed escono)

            (Mentre si prepara vede la bottiglia di cognac; imbarazzo; fa per andare, ma ritorna)

            Signor, aiutam te!…Dò un’ occià appena par veed che roba la sia…ah, cognac, eh si, cognac

            Si si, ‘l mett zù subit…so andum adess….(va e poi ritorna)

            (forte) Vegn subit…Ho dasmingà anca l’acqua santa. Ma parché hann miss una botteglia

            propria ché? E magari l’è anca gram, eh?…Guard appena ‘s l’è bon o ‘s l’è gram.

            (Beve un sorso) Uhm, sopraffino…!.

            Precedetemi, metto i paramenti e vengo. (Ines e Mario si guardano ed escono)

            (Mentre si prepara vede la bottiglia di cognac; imbarazzo; fa per andare, ma ritorna)

            Gesù, aiutami!…Guardo solo che cosa sia…ah, cognac,  si, cognac

            Si si, lo lascio subito…forza, andiamo ora….(va e poi ritorna)

            (forte) Arrivo….Ho dimenticato  l’acqua benedetta. Perché mai hanno messo una bottiglia

            proprio qui? E magari di qualità scadente, eh?…Verifico solo se è buono o meno.

            (Beve un sorso) Uhm, sopraffino…!.

ADA – Don Angelo (lui nasconde la bottiglia dietro la schiena) Fortuna che è da solo: g’ho da

            confessam, sono in peccato mortale.

                 Don Angelo (lui nasconde la bottiglia dietro la schiena) Fortuna che è  solo: devo

            confessarmi, sono in peccato mortale

DON ANGELO – Anch’io…cioè, volevo dire lo siamo tutti.

ADA – C’al ma dagga l’assoluzion.

            Mi dia l’assoluzione

DON ANGELO – Adess l’è mia ‘l momeint. Cla vegna d’man mattein, ala capì?, adman.

                               Le sembra il momento? Venga domani mattina, chiaro? domani.

ADA – E se moor stanott?

            Ma se morissi stanotte?

DON ANGELO – E pazinza!

                              Pazienza!

ADA – Ghé mai…(mentre esce) ‘L sa ‘d liqur c’al tarnega. (fuori)

            Oh si!…(mentre esce) Puzza tremendamente d’alcool. (fuori)

IDA – (entra subito dopo la sorella)  Monsignor Angelo.

DON ANGELO – L’advintarò mai.

                               Non lo sarò mai.

IDA – Una cosa terribile: sono in peccato veniale.

DON ANGELO – E le l’am disturba per un peccato veniale?

                                   E lei mi disturba per un peccato veniale?

IDA – Ma potrebbe diventare mortale.

DON ANGELO – Cla digga duzeint Ave Maria e po vadrum. Adess ‘c la vagga.

                                 Reciti duecento Ave Maria e poi si vedrà. Vada pure.

IDA – (andando) La g’ha ragion la Ada, spol mia stag dadnans (fuori)

            (andando)Ha ragione la Ada: non riesci a reggere l’alito (fuori)

DON ANGELO – (sorso) Spetta pur…spetta un attim (ne versa un po’ nell’aspersorio).

            Almeno seint l’odor. Ecco, adess a vag…Ah la botteglia (la depone ed inizia a

            recitare il rosario. Si sentirà per qualche minuto la chiamata del prete e la risposta dei

            presenti nella camera ardente).

                       (sorso) Un attimo…vediamo se così… (ne versa un po’ nell’aspersorio).

            Almeno  sento l’aroma. Ecco, ora posso andare…Ah la bottiglia (la depone ed inizia a

            recitare il rosario. Si sentirà per qualche minuto la chiamata del prete e la risposta dei

            presenti nella camera ardente).

SCENA XVII

ORESTE – (entra canticchiando ormai del tutto brillo)

CARLO – Sstt, pian: se seinta mé moier…

                        Sstt, piano: se ci sente mia moglie…

ORESTE – Cla vegna pur ché, ‘c peins me.

                        Se la becco, ci penso io

CARLO – Cos et ditt? Ripet’l ancora.

                   Cosa hai detto? Ripeti!

ORESTE – Ho ditt che s’l a càtt tra ‘l ciér e ‘l scur…

                        Ho detto che se la becco tra il chiaro e lo scuro (modo di dire, n.d.a.)…

CARLO – Làssa sta ‘l donn‘d iatar, eh, parché me ‘t do un pugn…(alza il braccio, e )  Ah, tlaché…

            (prende la bottiglia) ‘T po’ mia girà i occ’ un momeint chi’i bevan so tutt.

                   Lascia in pace le donne d’altri, ti mollo un pugno…(alza il braccio, e )  Ah, eccola…

            (prende la bottiglia) Non puoi distrarti un attimo: bevono tutto!

ORESTE – Seinta che bordell dadlà! (A voce alta)  SSttt, ‘c gh’è un mort!

            Senti che confusione di là! (A voce alta)  Silenzio, c’è un morto!

CARLO – I’enn tutt ciucch e adess i cantan.

                  Sono ubriachi e  cantano

SCENA XVIII

INES – Ma chi è che…(allibisce)

RINA – Oh Gesù e Maria!

INES – Oreste, cos fàl ancora ché?

            Oreste, che fa ancora qui?

ORESTE – Donca, me s’era vegn so c’un mazz ‘d fior….ma in dov l’ho  miss?

                Dunque, io ero salito con un mazzo di fiori….ma dove li ho lasciati?

RINA – I’enn imbariàg mèrs.

              Sono ubriachi fradici.

INES- Oh Signor bon!

RINA – Carlo, cos t’àvia ditt? Tutt ‘l vissi ‘d so par!

            Carlo, cosa ti avevo detto? Ha il vizio di suo padre!

INES – E adess cos fummia?

            E ora che si fa?

RINA – Anzitutt i g’hann mia da veddia ansoin, specialmeint ‘l du chitarass.

    Per prima cosa nessuno li deve vedere, specialmente i due corvacci.

INES – Chi???

RINA – La Ada e la Ida.

CARLO – Chi ha buvì tutt ‘l cognac? Et stà te, Rina?

                Chi ha bevuto il cognac? Tu, Rina?

ORESTE – (ridacchiando) Brutta imbariagona!

                       (ridacchiando) Bella ubriacona!

RINA – (borsettata a Oreste) C’al tegna la leinga al so post, lu! E  te Carlo, fam mia  pensà cos ‘t ta

            capitarà  a cà. Dai Ines, portummia dadlà.

               (borsettata a Oreste) Freni la lingua, lei! E tu Carlo, non voglio pensare a quel che ti

            succederà a casa. Dai Ines, portiamoli di là.

INES – Dadlà in dova?

              Di là, dove?

RINA – So mia, in camra da lett. Dai.

                        In camera, dai.

INES – Ma me…

             Io…

RINA – (secca) Ciàppa so! Te ‘l Fiorista e me ‘l Carlo. Fà tamme me. (Ines ci prova, tutta confusa)

Carlo, levat so in pé, dai, d’un brutt…ma appena sum a cà…

                (secca) Tiralo su! A te il fiorista, io prendo  Carlo. Così. (Ines ci prova, tutta confusa)

Carlo, alzati, dai, brutto…ma quando saremo a casa nostra…

ORESTE – (ridacchia divertito)

RINA – (molla Carlo per dare una borsettata ad Oreste)  C’al rida pur, che me adman vegn in 

            negozi e ‘g fagg mangia tutt i garofan, voin a voin.

            (ritorna da Carlo)  Ines, forza!  (trascinano i beoni in una camera)

            E adess andum a ciappà la benedision.

               (molla Carlo per dare una borsettata ad Oreste)  Rida pure lei, domani vengo in negozio 

            E le faccio ingoiare tutti i garofani che trovo, uno dietro l’altro.

            (ritorna da Carlo)  Ines, forza!  (trascinano i beoni in una camera)

            Ora andiamo alla benedizione.

INES – (confusa) Chèr ‘l mé Signor bon! (escono)         (si sente Don Angelo benedire)

                              Santo Cielo!

SCENA XIX

ADA – Cl’imbambolì lé ‘l m’ha spincià in d’un occ…e anca in sal vistì. Smacciaràla l’acqua santa?

            Quell’idiota mi ha centrato un occhio…e anche l’abito. Macchia l’acqua benedetta?

IDA – Cred ‘d no. Fa ved…ma la spussa bein. La sarà mia acqua ‘d Tabian! (località termale)

            Non credo. Fai vedere…Ma che odore ha? Sarà acqua di Tabiano? (località termale)

RINA – Ecco le due vergini. Don Angelo ‘l va serca, se par piazer anda dadlà…

            Ecco qui le due vergini. Don Angelo vi sta cercando, se volete andare…

ADA – Noi?

RINA – Si viatar. E po bisogna salutà  la gint e accompagnala fora par la porta dal giardein.

            (le spinge fuori, escono tutte e tre)

                    Si voi.E c’è da congedare la gente e farla uscire dalla porta del giardino.

SCENA XX

Entra Don Angelo e si sente una voce molto flebile, quasi un lamento: sono Oreste e Carlo che dalla camera canticchiano “Angiolina, bell’Angiolina”)

DON ANGELO – Anca custa l’è fatta. Ma….(sente il canto)  ma cosa sento? sento le voci come   

                        Giovanna d’Arco. Oh Signor,  me ‘l sava, la punizion dal Ciel… …’m gira tutt

                        'l teston. Mi ritiro un attimo in preghiera....Si, qui dentro.

                        (si infila nella stessa camera, buia,di Carlo e Oreste)

Anche questa è fatta. Ma….(sente il canto )  ma cosa sento? Oh Gesù,  lo sapevo, il Cielo mi punisce…sento le voci come Giovanna d’Arco…mi gira la testa…

Mi ritiro un attimo in preghiera…Ecco qui…(si infila nella stessa camera, buia,

di Carlo e Oreste)

SCENA XXI

ADA – (rapida) Ma in dov el andà Don Angelo?

            (rapida) Dove sarà andato Don Angelo?

IDA – ‘L m’è scappà.

            Mi è sfuggito.

ADA – Saral zà andà via da par ché? (indica l’ingresso principale)

            Sarà già uscito? (indica l’ingresso principale)

IDA – Pol dèss. Don Angelo, don Angelo…(escono rapidamente)

SCENA XXII

Entrano Rina ed Enrico.

RINA – (furtiva) Enrico, adess me port a cà mé marì. Te  trà fora l’àtar.

            (Entra in camera)  Che scur!  (prende il marito sottobraccio e lo trascina fuori)

            Ciao Enrico, ‘m dispiaz salutàt in cla manera ché, ma ‘t ved bein…

            (furtiva) Enrico, Io porto a casa mio marito. Tu butta fuori l’altro.

            (Entra in camera)  Che buio!  (prende il marito sottobraccio e lo trascina fuori)

            Ciao Enrico, mi dispiace lasciarti così, ma vedi bene…

PRIMINA – (entrando) Vet via Rina? Anca te Carlo?  Ma cos è success al mé Carlo?

                     (entrando) Te ne vai  Rina? Anche tu, Carlo?  Ma cosa è successo a Carlo?

RINA – Gh’è vegn mal. Eh, ‘l dispiazer!

               Si è sentito male, eh, i dispiaceri

PRIMINA – Allora mé podriss ess bèle che morta.

                     Io allora potrei essere già  morta.

RINA – Arvedass a tutt. Va là te ! (di colpo infila la porta e scompare con il marito)

            Arrivederci. E muoviti, tu ! (di colpo infila la porta e scompare con il marito)

ENRICO – Nonna, adess la mama l’at dà la mereinda. Va pur dadlà.

                 Nonna, ora la mamma ti darà la merenda. Vai pure in cucina.

PRIMINA – (animandosi) Dabon?….se sarò bona da mangià…(esce)

                  (animandosi) Davvero?….ma non so se mi sentirò di  mangiare…(esce)

ENRICO – (apre la porta della camera e sussurra) Se ne vada intanto che il campo è libero.

            E alla svelta, ha capito? (esce)

ORESTE – (compare sulla porta, barcolla) …oh ché mal ‘d testa…!  (gira su sé stesso e rientra)

                  (compare sulla porta, barcolla) …oh che mal di testa…!  (gira su sé stesso e rientra)

DON ANGELO – (uscendo subito dopo) Ma cos succeda ché? Ho le visioni:  gint imbariàga cla va

             e la vegna!   ‘L Signor ‘l voll propria spavintàm: ‘t po mia fa un sgarr che ‘s n’in dà subit!

            (esce verso l’esterno).

            (uscendo subito dopo) Ma che succede? Ho le visioni:  Ubriachi che vanno

             E vengono!  Signore, vuoi proprio spaventarmi! si accorge di ogni sgarro che fai!

            (esce verso l’esterno).

SCENA XXIII

ADA – (rientra da una porta interna) Ho fatt tutt ‘l gir dal giardein, ma l’ho mia vist.

            Spetta ‘c guard zù da la finestra.

               (rientra da una porta interna) Ho fatto il giro del giardino, ma non l’ho visto.

            Guardo dalla finestra

IDA – Che cursa!

            Che corsa!

ADA – (Guarda dalla finestra) Tallà! Don Angelo, ci cercava? Ida andum..

            (Guarda dalla finestra) Eccolo! Don Angelo, ci cercava? Ida andiamo..

IDA – Va pian ‘c sciopp…! (escono)

            Piano, scoppio…!

SCENA XXIV

Rientrano, sfibrati, Ines ed Enrico. Si siedono senza parlare, sono stanchissimi.

INES – Che giornà, ragazz…Ennia anda via tutt?

            Che giornata…Se ne sono andati tutti quanti?

ENRICO – Pàra ‘d si.

                    Pare.

(Bussano; sorpresa di Ines ed Enrico, il quale apre  varie porte seguendo i colpi  che continuano.

Finalmente apre quella giusta e trova Oreste, in piedi ma vacillante, stralunato)

INES – Oreste, el ancora chè?

            Oreste, è ancora qui?

ORESTE – (mentre parte la musichetta di fine atto)  G’àva in man un mazz ‘d fior, ma ‘m ricord

            mia in dov l’ho appoggià…(musica più forte) Ma l’era mia ‘l prim, veh, macchè…

            (e continua nel suo parlottare coperto sempre più dalla musica)

            (mentre parte la musichetta di fine atto)  Ricordo che avevo in mano un mazzo di fiori

ma non ricordo più dove li ho lasciati ( musica più forte) Ma non era il primo, sa,  macchè… (e continua nel suo parlottare coperto sempre più dalla musica)

 

s   i   p   a   r   i   o

A   T   T   O       S  E  C  O  N  D  O

Stessa scena del primo atto, ma più luminosa.

SCENA I

Ines esce dalla cucina.

E’ pettinata bene, un filo di trucco, vestita come se dovesse uscire, le unghie smaltate.

INES – Mamma chèra, s’l Signor ‘l ta mantegna la vista, l’app’tit  ‘l ta càla mia.

            Mamma cara, il Cielo ti mantenga in forma: l’appetito non ti manca.

PRIMINA – (dalla cucina, piega il suo tovagliolo personale)  Mah! G’ho seipar un magòn in s’l

            stomagh, c’al ma fà passà anca la fam. Mang’  po gnint.

                (dalla cucina, piega il suo tovagliolo personale)  Mah! Ho sempre un peso allo            stomaco che mi fa passare anche la fame. Non mangio quasi nulla.

INES – ‘L magon tà glè parché ‘t  ta càragh tropp la sira. Po ta sta mia bein.

            Il peso ce l’hai perché mangi troppo alla sera. E poi non digerisci.

PRIMINA – Chi, mé? Ma se ‘m leev so la matteina ‘c g’ho da tegnam a tacch par la debolezza.

            Chi, io?  Mi alzo al mattino così debole che mi devo sorreggere.

INES – Mama, capita a me ‘c g’ho quarant’ann meno che te. Cos  preteindat a la to età.

            Mamma, succede anche a me che ho quarant’anni meno. Che vuoi pretendere alla tua età.

PRIMINA – Sum propria arduzì mal, una povra veccia…

                    Son proprio ridotta male, povera vecchia…

INES – Va bein, va bein. Adess vé, c’t port in lett.

             Va bene, va bene. Adesso vieni con me, ti porto a letto.

PRIMINA – Che manéra ? Voi seint ‘l telegiornàl.

                    Cosa? Voglio vedere il Telegiornale

INES – Ma no ca po ‘t  ta spaveint e ‘n ta drom po.

            No, perché poi ti agiti e non dormi.

PRIMINA – Voi seint cos i dizan pr’l pensiòn, Va bein che tant ‘t ciapp tutt te e me ‘t fagg speind

                        gnint.

                  Voglio sentire che dicono per le pensioni.  Va be’ che la mia la mia la prendi tu e io non                   ti costo niente.

INES – Seinta mamma….(si calma, quindi) Stasira ‘l gh’é mia ‘l telegiornàl.

              Per favore!....... ….(si calma, quindi) Stasera non c’è il telegiornale.

PRIMINA -  Ohh… e parché?

                      Ohhhh…e perché?

INES – (mentendo)  Gh’è sciopar.

                                   Sciopero,

PRIMINA – Gnan Barnacca?

                     Non c’è Bernacca?

INES – Si, ciao Barnacca…

             

PRIMINA – No parché s’l ma veda mia ‘l s’offeinda.

                        Se non mi vede, si offende

INES – Ma no c’al s’offeinda mia: ‘l ta veda mia.

             Non si offende, non ti vede.

PRIMINA – T’l  diiz te: ‘l ma guarda dritt in di occ’, e se me m’aspost lu ‘l ma vegna a dré.

            ‘T sé gnint te!

                    Questo lo dici tu : mi guarda fisso negli  occhi, e,  se mi sposto, mi segue con lo

sguardo. Non sai proprio niente, tu!

INES – Va bein, ma adess andum in lett.

              Va bene, adesso andiamo a letto.

PRIMINA – E prima da andà via ‘l ma saluta seipar. E anca me ‘l salut, se no ‘l  s’offeinda.

                        E prima di andarsene mi saluta. E lo saluto anch’io, altrimenti si risente.

INES – La sarà csé.

            Si va bene,

PRIMINA – Ma adman ‘l mett a post, eh  (si avvia).

                        Ma domani lo sistemo io (si avvia).

INES – Si, adman.

             Si, domani.

PRIMINA – (si blocca di colpo) La borsa ‘d l’acqua chèda.

                        (si blocca di colpo) La borsa dell’acqua calda.

INES – L’è zà in d’l lett.

             Già nel letto.

PRIMINA – G’ho seipar un fredd…Anca ‘l fredd ‘t fann patì,  e i ciappan tutta la pension.

            Cos ‘t dann adess ‘d la mé pension?

                     Ho sempre freddo…Anche il freddo mi fanno patire e si tengono tutta la pensione.

            Cosa prendi adesso per la mia pensione

INES – (stizzita) ‘M ricord mia.

            (stizzita) Non ricordo.

PRIMINA – ‘L la sa mia!…seipar falsa! ‘L dizan anca ‘l to sorell  c’t ciapp un sacc ‘d sood.

                        Non ricorda…bugiarda! Lo dicono anche le tue sorelle che prendi un sacco di soldi.

INES – E allora parché vèt mia da lor, con la pension e tutt?

             Perché allora non ti tengono loro pensione compresa?

PRIMINA – Ché sum in cà mia.

                        Qui sono a casa mia

INES – Bein, andum là, che stasira g’ho propria mia voia da bravà. Vè!

            Be’, andiamo,  stasera non ho nessuna voglia di litigare. Vieni!

PRIMINA – Ponta mia, che ‘s casch…

                     Non spingere, che se cado…

INES – ‘S salvum po! (la sospinge fuori borbottando).

            Poveri noi! (la sospinge fuori borbottando).

SCENA II

Entra Enrico con borsa sportiva a tracolla. Poco dopo arriva Ines.

INES – (sorpresa) E te, cos fàt ché?

                               Tu cosa ci fai qui?

ENRICO – Sum vegn a cà.

                    Sono tornato a casa, perché?

INES – Che manera “sum vegn a cà”?

            Cosa significa “sono tornato a casa?”

ENRICO – (sorpreso) Sum passà da la porta e sum vegn  deintar.

                                     Ho passato la porta e sono entrato.

INES – Che novità ela custa?

            Che storia è questa?

ENRICO – Ma mama…

INES – Ma che mama, una marianna!

             Ma che mamma, una marianna!

ENRICO – Cos hoi fatt?

                   Cosa ho fatto?

INES – No digh! Ta starà fora 360 sir in d’un ann. T’é mai fatt una seina in cà, seipar in gir a

            smangiacrà di panéin d’un bar a l’atar. Cmé mai stasira…?

               Dico: stai fuori 360 sere all’anno. Non ceni mai a casa, sei sempre in giro a      mangiare 

            e a bere da un bar all’altro. Come mai proprio stasera…?

ENRICO – Volevo farti contenta, una volta tanto.

INES – Propria parché una volta tanto. Me sum mia a to disposizion, et capì?

            Giusto perché “una volta tanto”. Non sono a tua disposizione, capito ?

ENRICO – Ma chi t’ha sercà qualcos. Mn’in fagg da par me.

                          Non ti ho chiesto nulla. Preparo da solo.

INES – Ah, parché, adess, a cl’ora ché, voriss’t anca mangià?

            Ah, perché vorresti anche mangiare a quest’ora?

ENRICO – Magari si, una grama vota ‘c sum vegn a cà, vera?

                 Magari si, una buona volta che sono rientrato, vero?

INES – Ho zà miss via tutt, ‘s tira po fora gnint. Ah l’è comuda, l’è comuda: tutt ‘l sir  me spett 

            in pé c’l  vegna a cà, e lu…

                Ho già messo via tutto, non si riapre la cucina. E’ comodo:  io tutte le sere che aspetto

            che tu venga a casa...

ENRICO – Infatti sum ché.

                  Eccomi, infatti

INES - Stasira et comud te? Bein, la sum  mia mé.

            Questa sera va bene per te? Non sta bene a me!

ENRICO – (sempre più sorpreso) Vèda, quasi quasi vag a mangià una pizza col Sergio…

                        (sempre più sorpreso) Guarda, quasi quasi vado a mangiare una pizza con Sergio…

INES – Ecco, brao (lo spinge un po’)

            Ecco, bravo

ENRICO – Ma stasira no, g’ho sogn e voi sta in cà.

                   No stasera no, ho sonno e  voglio stare a casa

INES – Bon!

            Bene!

ENRICO – Ma insomma, cos gh’èt?  Deve venire qualcuno?

                       Ma insomma, cosa c’è?  Deve venire qualcuno?

INES – (colta in fallo) Cosa?!  Qualcuno chi? Dove?

ENRICO – Scusa, cardiva  ‘c gniva qualcadoin. ‘T gh’è tutta la permanente in testa.

            Scusa, pensavo aspettassi qualcuno. Hai  la permanente in testa

INES – Cos g’hoi in testa?

             Cosa ho in testa?

ENRICO – (confuso)  Ma so mia…oh insomma!

                                    Ma non lo so, uffa!!

INES – Se t’al sè mia, allora taz! E dì mia ‘d luccàd!

            Se non sa cosa dire, taci!  E non dire stupidaggini!

ENRICO – E allora parché et acsé nervosa?

                   Perché sei così nervosa?

INES – Sum nervosa …parché…(inventa) parché ansoin ‘m dà mai una man, mai! E te  ‘n gh’è 

            ansoin riguard. Guarda con che schèrp t’é vegn in cà:   piin  ‘d mota.

                Sono nervosa …perché…(inventa) Non ho ma un aiuto da nessuno!  Anche tu non hai 

            riguardo alcuno. Guarda con che scarpe entri in casa: piene di fango.

ENRICO – (guarda le scarpe) Ma ‘s gh’è sutt par terra.

                                                  Ma se non piove da un mese

INES – T’è toot cla cà ché pr’un albergh. ‘T gà vegn appena par mangià d’ogni tant e par drom.

            T’è disordinà:  una camra piina ‘d libar, manifest, carta e …e po ho catta di bèi giornai…!

                Credi che la casa sia un albergo. La usi per mangiare qualche volta e per dormirci.

            Sei disordinato, hai una camera zeppa di libri, manifesti e …ho trovato dei bei giornaletti

ENRICO – I’et lizì?

                    Li hai guardati?

INES – T’la do bein, mé!  Disordinà, disordinà e basta!

            Ti faccio ben vedere, io! Disordinato, disordinatissimo!

ENRICO – (tra sé) Adess la tacca: prima con la macchina…

                     (tra sé) Ora si comincia: prima con la macchina…

INES – (che non ha sentito) La macchina g’ho fein vergogna a lassàla fora. Mai da vuna da pulila,

            mai,  e  ‘l teimp ‘l gà manca mia!

               (che non ha sentito) Mi vergogno a  lasciare l’auto in strada. Mai che la ripulisca,

            mai,  e non è che gli manchi il tempo

ENRICO - …po’ ‘l motorein…

                   ….poi, lo scooter…

INES – ‘L motorein, ‘c ho pagà mé s’inteinda, l’è arduzì da fà pagura. ‘L perda fein i tocch par la

            stra, piin ‘d mota,  ma lu ‘l rinon ‘l la fiacca mia, ah no!

               Lo scooter, che naturalmente ho pagato io, è ridotto malissimo. Perde i pezzi per strada, è

            sporco di fango ma lui non si degna certo di pensarci.

ENRICO – Adess passum a la cà (mima le parole della madre, lasciando intendere che le conosce a menadito, dato che ogni volta sono sempre le stesse).

                    Adesso tocca alla casa

INES – In cà, po, parlum’na mia! ‘L  tà dà mia una man longa cmè ‘l nas. Una porta cla struza,

            la lampadeina ca bruza, la tapparella rutta, ‘l rubinett ‘c perda, la ringhiera cla ruznissa:

            gnint, vala bein, gnint! Ma tucca, tant gh’è chi ‘g peinsa! 

            T’è studià tant ma t’è gnan bon da fa l’O col biccier!  Ahhh…(alza mano e occhi al Cielo)

           

            In casa, poi, non ti dico! Non ti dà mai un aiuto. Una porta che chiude male,

            una lampadina bruciata, la tapparella rotta, il rubinetto che perde, la ringhiera arruggini-

            ta, niente, capito, non fa mai niente! Che gli importa, c’è chi ci pensa!   Hai studiato, ma

            non sei capace di fare una O col bicchiere!(modo di  dire, n.d.a)Ahhh…

ENRICO – (la imita)

INES/ENRICO –… S’ag fiss to pàr!  (si trovano faccia a faccia; Enrico la stringe alla vita)

                            …. Se ci fosse tuo padre

INES – Lass’m andà, lass’m andà.

             Lasciami, lasciami andare.

ENRICO – Prima però ‘t ma dì chi vegna stasira.

                   Prima però mi dici chi viene stasera.

INES – Piant’la e lass’m andà.

              Smettila e lasciami andare

ENRICO – Fà mia la furba con me.

                  Non fare la furba con me.

INES – (liberandosi) Ansoin a vegna. Chi g’ha da vegn?

            (liberandosi) Non viene nessuno. Chi dovrebbe venire?

ENRICO – Ma, so mia…magari…Mario.

                   Ma , non so….magari…Mario

INES – Cosa cosa? E a fà che?

             Cosa, cosa? A fare cosa?

ENRICO – ‘L vegna mia un dé si e voin no a ciappà la pontura?  Magari stasira ‘l la vol fa a tè.

                     Sbaglio o non viene un giorno si e uno no per l’iniezione? Magari stasera la fa a te.

INES – (lo rincorre) Brutt sporcacion, perda mia ‘l rispett a to mar, veh!

                                    Sporcaccione, non mancarmi di rispetto!

ENRICO – E dai là.

INES – Ma cos tà scredat, che fagg la paiassa?

             Ma cosa pensi? Che faccia la stupida?

ENRICO – Mammina cara, ti ci vorrebbe  un po’ di compagnia.    ‘T sariss un po meno narvusa.

                                                                                                          Saresti un po’ meno nervosa

INES – N’ho mia ‘d bisogn ‘d compagnia, me.

            Non ho bisogno di compagnia, io.

ENRICO – Oh dai là…(la sgomita)

INES – Ma guarda cos i vann a pensà..!

            Ma tu guarda cosa pensano!

ENRICO – (Annusando) Cos’é…?  Passion a Paris?

                                         Cos’è?  Passione a parigi?

INES - Basta basta! Adess vag in lett csé ‘t vedrà (fa per avviarsi).

            Basta basta! Ora vado a dormire, così vedrai che… (fa per avviarsi).

SCENA III

PRIMINA – (in camicia da notte) Ho sentì ciciarà: è rivà Barnacca?

                                                           Ho sentito delle voci, è arrivato Bernacca?

ENRICO – Si, ciao, là!

PRIMINA – ‘M pariva d’avì sentì la so vuuz.

                        Avevo sentito la sua voce

INES – T’ho belle che ditt ‘c’l gh’è mia stasira. Andum in lett.

            Ti ho già detto che non c’è stasera. Né oggi né mai. Andiamo a dormire

PRIMINA – Guarda che adman g’al dmand. Se po l’è mia vera, ‘t fagg bein ved me.

                        Domani glielo chiedo. Se non è vero, ti faccio ben vedere io!

INES – Va bein, sum d’accordi (la spinge fuori)      (suona il telefono)

            Va bene, siamo d’accordo.

ENRICO – Pronto?

INES – (accorre, ma arriva tardi; torna sui suoi passi)

ENRICO – Si c’è, un attimo…chi parla, prego? Ahhhh…un momento. Mamma…

INES – Eh?…(si mostra indifferente)

ENRICO – E’ per te  (le fa l’occhiolino)

INES – Par me? A st’ora ché ? Arann sbaglià.

            Per me? A quest’ora? Avranno sbagliato numero.

EMRICO – E’ Mario.

INES – E cos volal?

             Cosa vuole?

ENRICO – Seinta, vé ché e ‘dmandàg’l (le passa il ricevitore).

                   Per favore, vieni e chiediglielo

INES – Pronto? Ciao Mario…cioè, bonasira sior Mario…Ah, no no no, s’era drè a andà in lett.

            Pronto? Ciao Mario…cioè, buonasera signor Mario…Ah, no no no, stavo andando a letto.

ENRICO – (forte da lontano) Non è vero!

INES – Chi gh’è? Ma no, l’è mé fio ‘c schèrza. L’Enrico, ‘s ricordal? L’è vegn a cà adess, si propria

            adess: una grama voota ca sum stà bon da tegn’l in cà….

              Chi è? E’ mio figlio che scherza. L’Enrico, si ricorda? E’ venuto a casa adesso, si proprio

ora: una buona volta che mi è riuscito di tenerlo a casa.

ENRICO - …ho rutt ‘l concert.

                   ….ho rotto le uova

INES – (coprendo il ricevitore con le mani)  Par piazer!

                                                                       Per piacere!

ENRICO – (a bocca piena)  Digli di venire su.

INES – Ah, telefonàva per la puntura…l’è urginta. Si, d’accordi, ma appena seincu minud, che po

            voriss andà ad arposàm. Arrivederci  (appende)

                Ah, telefonava per l’iniezione…è urgente. Si, d’accordo, ma cinque minuti soltanto,

            che poi vorrei andare a riposare . Arrivederci ( appende

ENRICO – ‘G vorriva abotta a diil?

                        Ci voleva tanto?

INES – Che roba?

             Tanto cosa?

ENRICO – ‘C ta spettav ‘l Mario.

                    A dire che aspettavi Mario.

INES – Ma no, l’è par la pontura…

            Ma no, è per la puntura….

ENRICO – L’è tant una bràva parsona…

                    E’ proprio una brava persona

INES – Qullé l’è vera.

              Si, vero

ENRICO – ‘L và propria bein.

                    Va proprio bene.

INES – Vèda!

              Basta!

ENRICO – Ma digh da vegn un po’ possà da spess…anche se ci sono io.

                        Digli di venire più spesso…anche se ci sono io.

INES – Ma par carità! S’l vediss’n ‘l mé sorell.

             Per carità! Se lo vedessero le mie sorelle, apriti o Cielo!

ENRICO – Lassa perd ‘l to sorell e peinsa par te. Non ti meriti qualche distrazione, vecchia?

            ‘T pass la vita a pulì, fà la spesa, curà ‘l rottàm: non fai altro.

                  Lascia perdere le tue sorelle e pensa a te. Non ti meriti qualche distrazione, vecchia?

            Passi la vita a pulire, fare la spesa, curare il rottame: non fai altro.

INES – Parché t’è disordinà…          (suonano il campanello)

               Perché sei un gran disordinato….

ENRICO – Che velocità! (va ad aprire)

SCENA IV

ENRICO – Si accomodi, venga venga.

MARIO – (si presenta con scatolona di iniezioni e cotone)  Disturbo?

ENRICO – Ma le pare?

INES – Buonasera.

MARIO – Scusà l’orari: g’ariss una piccola pontura….(li guarda)…una puntura da fà….e…

                 Scusate l’ora: avrei una piccola iniezione….(li guarda)…da fare….e…

ENRICO – Lasci perdere, non occorre più.

MARIO – (guarda Ines meravigliato) Non occorre più? Ma ‘l dottor…

INES – Si, in effett la cùra l’è stà longa  a basta, ‘m sa dviz.

            Si, per la verità la cura è stata abbastanza lunga, mi pare.

SCENA V

PRIMINA – Chi è ‘c ha sunà? E qull sior ché chi el? (si fa sotto) E’ vera ‘c gh’è mia ‘l telegiornàl?

                           Chi ha suonato? E questo chi è? (si fa sotto) E’ vero che non c’è il telegiornale?

MARIO – ..’L…telegiornàl?

                        Il…telegiornale?

INES – T’ho za ditt ‘c gh’è siopar! Con permesso (la porta fuori, borbottano entrambi)

            Ho già detto che c’è sciopero! Con permesso (la porta fuori, borbottano entrambi)

SCENA VI

ENRICO  - E allora?….Come sta, signor Mario?

MARIO – (lievemente imbarazzato)  Bene, grazie.

ENRICO – Le ha fatto bene , la cura?

MARIO – Benissimo, grazie.

ENRICO – Dopo….ottanta iniezioni…

MARIO – Ottantasette per la precisione.

ENRICO – Ho appena parlato di questo con mia madre: può venire quando vuole, senza l’alibi.

MARIO – Dabon? …Meno male!  N’in podiva po! G’ho ‘l sedas ‘cal pàr una gratarola…

            Davvero?Meno male!  Non ce la facevo più! Ho il sedere che sembra una grattuggia …

ENRICO – Cred anca me.

                   Lo credo

MARIO – Ma l’è andà acsè: me ‘g n’ava appena deez da fà, verameint. Sàva cha la Ines l’era bona

            da fàia e sum vegn. Me gniva csé vluntera, anca a ciappà di foròn, che finì i deez, n’ho toot

            àtar veint, po ancora deez, po dudass. Quand sàva mia in che minera presentàm, todiva so

            una pontura. E vist che anca par l’Ines l’andàva bein…par fà mia discorr la gint…

                

Ma è andata così: Io, veramente, ne avevo 10 da fare. Sapevo che Ines era capace di 

            farle e son venuto. Venivo così volentieri, anche a farmi sforacchiare, che finite le dieci ne

            ho prese venti, poi dieci, poi dodici. Quando non sapevo come presentarmi, portavo una

            siringa. E visto che anche per Ines andava bene…per non fare sparlare la gente…

ENRICO – …ha sacrificato il posteriore.

MARIO – Fag fadiga a stà sed, però adess, con tutt ‘l ricostituint c’ho toot poss anca stà in pè:

            me g’ho una forza, una volontà…!

                  Fatico a stare seduto, però ora, con tutto questo ricostituente posso stare anche in piedi:

            ho una forza, una volontà…!

ENRICO – Cred anca me.

                        Ci credo

MARIO – In officina ‘m ciàman “la macchina umana”

                 In officina mi chiamano “la macchina umana”

ENRICO – E stasera …dove andate?

MARIO – Me voriva portàla a ballà, però le la vol mia. La g’ha pagura da fà cicciarà la gint,

             ‘l so sorell.

                 Volevo portarla a ballare, però lei non vuole. Teme i commenti della gente, e

             delle sue sorelle.

ENRICO – Ah no, eh, sono anni che non mette un piede fuori di casa. Però..mi raccomando a lei…

MARIO – Parbacco, me vag pian in macchina.

                        Perbacco, vado adagio in macchina.

ENRICO – No, intendevo..lei, specialmente ora che è così in forma…

MARIO – Ho capì, la farò mia straccà  abotta.

                 Non la farò stancare troppo, d’accordo

ENRICO - …Mia madre non esce da tanto tempo, non so se mi capisce.

MARIO – ehm….no!

ENRICO – Non ha più visto nessuno, da quando…

MARIO – Cioè.. …(si sforza di capire)

ENRICO – E’ di nuovo una signorina, so mia s’l ma capissa.

                                                                   Mi capisce?

MARIO – Ho capì, ma…

                        Ho capito, ma io….

ENRICO – Spero che lei abbia delle intenzioni serie…

MARIO – Sono un gentiluomo, perbacco!

ENRICO – Mi scusi, non si offenda, ma si metta nei miei panni: devo accertarmi delle

            buone intenzioni dei corteggiatori…che non sono pochi…

MARIO – Ah si?

ENRICO – Devo dire che la donna ha ancora un certo successo. Sono intervenuto più di una volta.

MARIO – Ah!

ENRICO – Cafoni, senza educazione…mi capisca: è l’unica madre che ho, ci tengo.

MARIO – Giustissimo. Anzi, ad onor del vero, devo proprio dire, dato che siamo entrati in

            argomento, che io fin dall’inizio ho sempre pensato…

ENRICO – (facendosi sotto) A cosa?

MARIO – All’eventualità..di…

ENRICO – Di, di…?

MARIO – …di un…

ENRICO – Un?

MARIO – (fa un gesto con le mani per dire: matrimonio)

ENRICO – (battendogli una mano slla spalla)  Ci siamo capiti!

SCENA VII

ENRICO – Allora, et pronta? (alla madre che sta rientrando)

                   Dunque, sei pronta?

INES – Pr’andà in dova?

            Per andare dove?

ENRICO – Al ballo.

INES – Ma et dré a da i num’r?

            Sei matto?

MARIO – Cognoss un bell post, tranquill,   appena fora: sentum un po’ ‘d musica…

                 Conosco un posticino tranquillo,  un po’ fuori: sentiamo un po’ di musica…

ENRICO – (piano alla madre) Ha delle ottime intenzioni.

INES  - Ma cos ditt so?

              Ma cosa dici?

ENRICO – (come sopra) ‘L g’ha una bona posizion, qualca sood da pàrt e …pensa al matrimonio.

                                        Ha una buona posizione, qualche risparmio e …pensa al matrimonio.

INES – Ma siiv matt? …E to pàr?

             Siete impazziti?...e tuo padre?

ENRICO – L’era mia un sant’om, m’as diiz…

                    Non era un sant’uomo

INES – Ma gnan cattiv.

             Neppure cattivo

MARIO – E allora?

INES – (titubante) La nonna la sta in cà da par lé…

            (titubante) La nonna rimarrà in casa da sola…

ENRICO – Ci penso io.

INES - …Ah già…

MARIO – Quindi…

ENRICO – E poi sei già pronta, guarda te la combinasion.

                                                    Guarda che caso.

INES – Va bein, va bein, ma mé voriva mia, eh? Viatar i vist che me voriva mia.   (suonano)

            Chi pol ess?

               Va bene, va bene, ma non volevo, eh?  Voi siete testimoni che io non volevo...   (suonano)

            Chi sarà?

ENRICO – (guarda dalla finestra)  Sono le zie!

INES – Cosa? Ma canda la bissa! ‘S fann mai ved d’una marianna, propria stasira…!

            Cosa? Ma santa pazienza! Non si fanno mai vedere, proprio stasera…!

ENRICO – Non apriamo.

INES – No, sariss pess.

             No, è peggio.

MARIO – E bein, me g’ho la pontura chè belle che pronta!

                        E allora? Io ho qui bella pronta una iniezione!

INES -  Iammé, ‘s salvum mia po con lé lur.    (suonano)

             No no, non ci si salva con loro due.

ENRICO – Mamma…

INES – Véra ‘l cancell dabass…(a Mario) C’l sa comuda in bagn un attim…

              Apri di sotto….(A Mario) Si accomodi in bagno per favore

MARIO – Ma g’ho mia ‘d bisogn..

                 Veramente non avrei bisogno di…

INES – Appena ‘l teimp da spediia, po andum.

             Il tempo di spedirle, poi ce ne andiamo

ENRICO – Senti un po’, mamma… (suonate ripetute)

INES – Vèra. Poss mia fal cattà in cà: i’enn terribil, poss mia. C’al vaga lu!

            Apri. Non posso farlo trovare in casa, sono tremende, non me la sento. Vada lei!

MARIO – Guàrda te cos g’ha da capitàm! (esce per il bagno)

                 Tu guarda che situazione

ENRICO – (apre) Stanno salendo.

INES – (si infila velocemente un accappatoio)  (Enrico apre).

SCENA VIII

ADA – (entrando)  Gh’ì bein miss d’l teimp a vèr.

                               Quanto tempo per aprire

IDA – Sum vegn a ved ma stà la nossa chèra mamma, che l’è un po’ ‘d teimp che la vedum mia,

            vera Ada?

               Siamo venute a trovare la nostra cara  mamma, è un po’ che non la vediamo,

            vero Ada?

ADA – Certo Ida.

ENRICO – Si, non è che vi interessate tanto.

ADA – Fra l’àtar, ‘m risulta che la veccia l’s lameinta.

              Mi risulta che la vecchietta si lamenti

INES – Si, ca la gnì mai a ved.

            Si, che non venite mai a trovarla.

ADA – Cred mia.

            Io non credo.

IDA – Gnan me.

            Neppure io.

           

ADA – Anzi, quand a telefon l’as lameinta seipar ‘d viàtar.

            Anzi,  quando telefono si lamenta spesso e volentieri di voi.

INES – Eh zà, la trattum tropp bein.

             Già,  che la trattiamo anche troppo bene

IDA – Lassum pur perd.

            Lasciamo stare,

ADA – (gomitata alla sorella) Ma g’um bein una bella testa, stasira…

            (gomitata alla sorella) Ma che bella testolina in ordine abbiamo stasera…

IDA – Magari l’era drè  andà via.

            Forse stava uscendo

ENRICO – Si

INES – No! …S’era dré andà in lett…

             No!....stavo andando a letto

ADA – (le guarda i piedi)  Co’ schèrp?

                                          Con le scarpe?

INES - Eh?!…

ADA – La sarà una moda  nova, cos ditt tè Ida?

            Sarà una nuova moda? Tu cosa pensi, Ida?

IDA – Mah! ‘D solit ‘s porta ‘l savatt in cà, specialmeint prima da andà in lett.

            Mah! Solitamente si portano le ciabatte in casa, specialmente prima di andare a dormire.

ENRICO – (ironico) L’è che stasira seguita a rivà ‘d la gint: un via vai! E i sonan a la porta, e i

            ciaman al telefon: una sgionfàda!

                  (ironico) Il fatto è che stasera continua ad arrivare gente! E suonano alla porta, e 

            chiamano al telefono: una seccatura!

INES -  Ma cos ditt so?

             Ma cosa dici?

IDA – E cos i volan tutt?

            E cosa vogliono tutti questi?

INES – Ma gnint, la schérza.

             Sta scherzando.

ENRICO – Da quand l’é libra, tutti le fanno la corte, tutt !

                  Da quando è libera, tutti le fanno la corte, tutti

INES – (ridacchia nervosamente)  …Cardig mia…..!

                                                             Non credetegli, scherza.

           

ADA – Sarà. Ma ‘t sé bein: la gint la veda, la pàrla, e fa ciciarà la gint l’è mia bell, specialmeint

            in d’una serta posizion.

              Sarà. Ma sai com’è:la gente vede, parla e e far parlare la gente non è bello, specialmente

            quando ci si trova in un certo stato….

           

PRIMINA – (non vista, passa silenziosamente per andare in bagno).

INES – Cos vorissat dì… ? Spiegat, parché….

             Cosa intendi?  Spiegati, per favore.

SCENA IX

PRIMINA – (entra di corsa) Povra me, povra me! Gh’è un om in d’l bagn! Si, un om in d’l

                       bagn! Iammè che stramlòn!!!

               (entra di corsa) O povera me ! C’è un uomo in bagno! Si, un uomo in bagno…

            Dio, che spavento!

MARIO – (nella confusione che si crea, si infila, inosservato, in camera di Primina)

INES – (agitata) Ma che om?!

                             Che uomo?

ADA – Ma seinta seinta! (gomitata alla sorella)

             Ma guarda!

IDA – Qusta la g’ha i ov (cenno d’intesa)

            Questa è proprio bella

ENRICO – L’arteriosclerosi!

PRIMINA – L’ho vist, l’ho vist..e  sum anca in patàia…!

                        L’ho visto, io l’ho visto e sono mezza nuda!

INES – (bleffando) Ma ‘t t’è insognà!

                                Hai sognato!

PRIMINA – (agitatissima) Oh si! Sum andà dadlà par pissà e lu l’era lé…e ‘l ma fàva “ssstttt”

            Che spaveint! G’ho po gnan ‘l buff.

                        (agitatissima) Oh si! Mi sono alzata  per fare pipì e lui era lì…e mi diceva “ssstttt”

            Che spavento! Mi manca anche il fiato.

ADA – La donna la pàr sicura, però.

            Sembra molto sicura, però.

IDA – Pàra propria ‘d si.

            Sembra proprio.

INES – Ma cardirì mia….

            Non le crederete, spero…

ENRICO – (alla madre) Le butto fuori?

INES – Sta fer’m!

            Fermo!

ADA – Bisogna convic’ la veccia ‘c gh’è ansoin. Vé mama, vè! (prende Primina sottobraccio e

            la trascina)

              Bisognerà convincere la nonna  che non c’è nessuno. ! Vieni mamma, vieni.

 (prende Primina sottobraccio   e la trascina)

PRIMINA – Ma me g’ho pagura.

                        Io ho paura.

INES / ENRICO – (tentano di fermarla, ma è tardi)

ADA – (già sulla soglia del bagno) Adess pissum la luz, e …’l gh’è mia!

                                                           Ora accendiamo la luce e….non c’è!

IDA – Impossibil!

INES/ENRICO – (sbigottiti ed increduli)

PRIMINA – Ma me l’ho vist!

                      Io l’ho visto!

ENRICO – Vi avevo detto che è arterio. E viàtar anca pess!

                                                                  E voi due anche peggio!

IDA – (A Primina) E allora cos ditt?

            (A Primina) Ma cosa dici, dunque?

ADA – Gh’è propria ansoin.

             Non c’è nessuno.

INES – (dissumulando la sorpresa) Ma chi g’ariss da essag?

            (dissimulando la sorpresa) E chi ci dovrebbe essere?

IDA – Et ditt qualcos te, Ada?

             Hai detto qualcosa, tu, Ada ?

ADA – Mài ditt gnint.

             Detto niente

ENRICO – Me ià mass!

                    Le faccio fuori!

IDA – Va pur in lett, mama, va e dorma bein.

            Vai pure a letto, mamma, va e dormi bene.

PRIMINA – Si, vag, ma me l’ho vist… (esce pian piano)

                     Si, vado, ma io l’ho visto

INES – Adess ‘t port la camomilla.

             Ti porto la camomilla.

PRIMINA – (rientra di corsa, spaventatissima) Gh’é un om in ‘d la mé camra ! Aiut, che spaveint!

                       (rientra di corsa, spaventatissima) C’è un uomo in camera ! Aiuto, che spavento!

ENRICO – Ancora?

INES – (piano) Ecco in dov l’era andà.

                          Ecco dov’era andato.

ADA – E allora, mama?

IDA – Gh’el o gh’el mia?

            C’è o non c’è?

PRIMINA – ‘L gh’è, ‘l gh’è! E anca stavota ‘l ma fàva segn da tàz!

                        C’è, c’è! E anca stavolta mi faceva segno di stare zitta!

ADA – Ma chi el, insomma?

             Chi sarebbe?

PRIMINA – Qull sior ‘c gh’era prima.

                     Il signore che c’era prima.

INES – Ma l’è dré a da i  num’r.

            Sta dando i numeri

ADA – Parché, chi è vegn prima?

             Perché? Chi è venuto prima?

INES – Ma ansoin, è vegn.

            Non è venuto nessuno.

IDA – (piano, a Ada) La g’hà anca i ong’ pittorà.

            (piano, a Ada) Ha le unghie laccate.

ADA – Ho belle che vist.

            Già viste.

IDA – (piano) La vol fam passà da lucch.

            (piano) Vuole farci fesse

ADA – Spetta pur…(a voce alta, a Primina) Adess ‘t port a lett me, neh mama? Csé, ‘s gh’è

            qualcadoin ‘l mand via.

              Ah si, eh?…(a voce alta, a Primina) Ora ti porto a letto io, neh mama? Così, se c’è

            Qualcuno lo mando via.

IDA – E vegn anca me (avvio velocissimo trascinando Primina)

            Vengo pure io

ENRICO / INES – (solita agitazione impotente)

ADA – (già sulla soglia della camera)  Adess pissum la luz e….ché gh’è ansoin!

                                                                Ora accendiamo la luce e …NON C’E’ NESSUNO!

ENRICO / INES – (novello stupore)

IDA – (da fuori) Ma insumma, mama, cos ditt?

                              Insomma, mamma, cosa dici?

ADA – (da fuori) L’è propria dré a campanà.

            (da fuori) E’ proprio rimbambita.

IDA – (da fuori) Và in lett e quattat so bein. E sta lé, e levat mia po so, et capì?

            (da fuori)Vai a letto e copriti per bene. E Stacci. E non alzarti più, chiaro?

PRIMINA – Ma me g’ho pagura.

                      Ho paura.

IDA – (da fuori) Dorma e tàz! Dorma!

            (da fuori) Dormi! E Taci! Dormi!

ADA – (da fuori) Bonanott! (rientrano in scena).

SCENA X

ENRICO – E allora? Avete trovato qualcuno?

IDA – Povreina, la campàna.

Poverina, è un po’ rincitrullita.

ENRICO – L’è un màl ‘d famiglia.

                        Malattia di famiglia.

INES – Bein, la mamma l’iv vista, s’v dispiaz mia voriss andà in lett: sum stracca.

            Bene, avete visto la mamma, se non vi spiace vorrei andare a riposare: sono stanca.

ADA – (piano) G’ho quasi l’idea ‘c sum in di pé.

            (piano) Ho la sensazione che siamo indesiderate.

IDA – Pèra.

            Sembra proprio.

ADA – Bein, allora andum.

            Bene, allora possiamo andare.

IDA – Gnarum un’atra vota.

            Verremo in altra occasione.

ENRICO – Magari un atr’ann.

                    L’anno prossimo, magari.

ADA – (piano a Ida) Ma second te, la va in lett?

            (piano a Ida) Ma secondo te,va a letto?

IDA – Teniamo gli occhi aperti (fa l’occhiolino alla sorella e lascia cadere un fazzoletto) Arvedass

            Teniamo gli occhi aperti (fa l’occhiolino alla sorella e lascia cadere un fazzoletto). Ciao.

INES – Stì bein.  (Escono Ada e Ida)…Ma dov saral andà?

            Statemi bene.  (Escono Ada e Ida)…Dove sarà mai andato?

ENRICO – Magari sutta ‘l lett?  (suona il telefono)

                    Sarà sotto al letto?

INES – Pronto?…Oh pardiana! Zù da la finestra?!…(a Enrico) L’è anda zù da la finestra!

            Pronto?::.Oh perbacco! Giù dalla  finestra?!…(a Enrico) E’ sceso dalla finestra!

ENRICO – A la so età.

                   Alla sua età!

INES - …Si, i’enn andà via. No, c’l  vegna mia so…cioè si…Enrico, cos fagghia?

            …Si, se ne sono andate. No, non salga…cioè si…Enrico, che faccio?

ENRICO – Digli di stare lì. Ti prepari e vai.

INES - …ma me so mia….

            ….non so se…..

ENRICO – (prende il ricevitore) Viene subito, un minuto e scende (riaggancia)

INES – Chèr ‘l mé Signor, che sira!

            Signore buono, che serata!

ENRICO – Va là, gh’è propria da ridass.

                    Che risate!

 

SCENA XI

PRIMINA – (voce da fuori) Ines…!

INES – Cos gh’è ancora?

            Che c’è?

PRIMINA – G’ho seed.

                        Ho sete.

INES – Prepàra un po’ d’acqua e zuccar, par piazer (va in bagno).

            Prepara un po’ d’acqua zuccherata, per favore (va in bagno).

ENRICO – (sbuffando va in cucina, rientra poco dopo con un bicchiere colmo)

PRIMINA – (da fuori)  E alura?

                        (da fuori)  E allora?

ENRICO – Un attim…(si guarda intorno, apre un cassetto, estrae una boccetta, versa qualche

            goccia nel bicchiere, poi  decide di versare tutto il contenuto, indi mescola)

            Ecco, fein a dman sum tranquill.

                 Un attimo…(si guarda intorno, apre un cassetto, estrae una boccetta, versa qualche

            goccia nel bicchiere, poi  decide di versare tutto il contenuto, indi mescola)

            Ecco, fino a domani siamo tranquilli.

INES – (entrando) Sa, da ché (va in camera della madre con il bicchiere)

            (entrando) Dammi (va in camera della madre con il bicchiere)

ENRICO – Prego (va in cucina per riporre il boccettino)

INES – (ne esce quasi subito sempre col bicchiere pieno) La g’ava tanta seed, l’è belle che

            indormeinta…mah!…(tra sé e sé)farò bein o farò mal? (mentre ci pensa, beve dal bicchiere ancora pieno)…Mah! (lo appoggia sul tavolo)   (suonano alla porta)….Ma chi è?

            (ne esce quasi subito sempre col bicchiere pieno) Aveva tanta sete, sta già dormendo

            …mah!…(tra sé e sé) Farò bene o farò male? (mentre ci pensa, beve dal bicchiere

            ancora pieno)…Mah! (lo appoggia sul tavolo)   (suonano alla porta)….Ma chi è?

ENRICO – (va ad aprire)

SCENA XII

MARIO – Allora, stummia o andummia?

                  Che facciamo? Si va o no?

INES – Ma ‘l g’àva mia da vegn so un’àtra vota.

            Non doveva salire.

ENRICO – Comunque adesso è pronta. Dai mama, movat.

                                                                                   Muoviti

INES – Qull regò ché ‘l m’ha bèlle che stufà.

            Questo vai e vieni mi ha già stancata.

MARIO – Cos g’arissia da dì me, c’ho fatt un lavor c’ho mai fatt gnan da giovan.

              Non lo dica a me, che mi capitano cose che neanche da giovane mi sono successe.

ENRICO – (A Ines) Mett’t ‘l paltò e va, so.

                   (A Ines) Prendi il cappotto e vai, dai.

INES – (ancora titubante)   (suonano alla porta)     Ancora?

ENRICO – (alla finestra)  Le due vecchie! Ma cosa vorranno?

INES – I hann mangià la foia . (A Mario) C’l seinta…par piazer….

            (A Mario) Senta…per favore….

MARIO – In d’l bagn, ho capì.

                  Ho capito: in bagno

ENRICO – Abbia pazienza.

MARIO – Ah, ma me ‘m divert. E par fortoina ‘c gh’è mia ‘l marì, se no  cos g’ariss da fà…?

            E la veccia?

               Ah, ma io mi diverto. E per fortuna non ha il marito, altrimenti chissà che dovevo fare!

            E la vecchia?

ENRICO – La dorma, c’l vagga bel tranquill.

                Dorme, stia tranquillo

MARIO – Vado (esce per il bagno).

INES – (si infila un accappatoio, si spettina, butta via le scarpe, si butta su una poltrona)

ENRICO – (aprendo)  Ma chi si rivede.

SCENA XIII

IDA – Scusa abotta, ma g’ho d’avì pers ‘l mé fazzulett.

            Scusate, ma credo di aver perso il mio fazzoletto.

ADA – Sicur ‘t l’è pers ché. Spetta ‘c guardum (guardano ovunque, dietro ai divani)

            Certamente ti è caduto qui. Ora guardiamo (guardano ovunque, dietro ai divani)

IDA – Niente?

ADA – Niente.

IDA – S’erma zà innans un tocch, po ho guardà in sacoza…

            Eravamo già avanti, poi mi sono toccata in tasca e....

ADA –(guardano in giro) Vist qualcos?

            (guardano in giro) Visto qualcosa?

IDA – Niente.

INES – (sbadigliando)  Ma erat sicura d’avig’l?

            (sbadigliando)  Sei certa di averlo avuto?

ADA – L’è sicurissima.

              Certissima.

IDA – Tant um ditt: g’è dubbi che la Ines la sia andà in lett subit.

            Abbiamo pensato: sicuramente l’Ines non andrà a letto subito

ADA – Forse quand sum andà dadlà in d’l bagn.

            Forse, quando siamo andati di là, in bagno?

ENRICO – No! Nel bagno no…

IDA – E parché no?

ENRICO – Ci sono appena andato io, e non c’era nessun fazzoletto.

ADA – (subdola) Ah si?…va bein, va bein….(pausa)  Ma te Ida, prima…

            (subdola) Ah si?…va bene, va bene….(pausa)  Ma tu Ida, prima…

IDA – Prima che roba?

            Prima, cosa?

ADA – G’avat mia voia…(piano a Ida) L’è dadlà!

            Non avevi bisogno di…(piano a Ida) E’ di là!

IDA – (non capisce)  Voia ‘d che roba?

            (non capisce)  Bisogno di che cosa?

ADA – (fa segno verso il bagno)…da andà…

            (fa segno verso il bagno)…ma di andare in bagno …

IDA – (capendo) Ah si, l’è vera! Grazia d’avim’l  suggerì. G’ariss propria da andà in bagn.

            (capendo) Ah si, è vero! Grazie di avermelo suggerito. Dovrei andare in bagno.

INES – ‘S pol mia.

              Non si può.

ADA – Vorrì ‘c s’la fagga adoss?

              Volete che se la faccia sotto?

ENRICO – Ma si che può andare in bagno….(alza molto la voce)  Perché non vuoi che vada in

            BAGNO? Dico, perché mai non dovrebbe andare in BAGNO!!

INES - …Gh’è sporch…

            ….Non è in ordine..

ENRICO – (va verso la porta del bagno) Ma s’la vool andà  in BAGNO,  lassa cla vaga dentro al

                   BAGNO!!

                (va verso la porta del bagno) Ma se vuole andare in BAGNO,  che vada in BAGNO!!

IDA – E vuza mia che sum mia sorda.

            Non urlare, non sono sorda.

ENRICO – (si sente un tonfo sordo con lamento)  Prego, zia, vai pure.

(Ida esce. Stanno tutti con l’orecchio teso fino al ritorno di Ida)

ADA – Tutto regolare?

ENRICO – Fata tutta?

IDA – Gnint.

            Niente.

ADA – (piano) Ma allora cos et vist?

            (piano) Ma allora cosa hai visto?

IDA – Sum sicura, l’ho vist vegn so.

            Sono sicura di averlo visto salire.

ADA – (piano) ‘T ga ved cmé un grapp d’uga.

            (piano) Ci vedi come un grappolo d’uva (modo di dire, n.d.a.).

INES – Bein, adess ch’i fatt tutt… (suonano alla porta). Oh pardiana!

            Bene, ora che avete fatto tutto… (suonano alla porta). Ma chi è!!

ADA – Talché (corre ad aprire).

            Eccolo (corre ad aprire).

SCENA XIV

ORESTE – (entra con un enorme mazzo di fiori che gli copre la visuale)

            Mi scusi signora l’ora importuna, ma solo stasera, dopo tanto penare ho avuto il coraggio,

            dopo tanti anni e tanto penare, di dimostrare tutto il mio…

ADA – (che gli si trova casualmente di fronte)  Parl’l con me?

            (che gli si trova casualmente di fronte)  Dice a me?

ORESTE – (senza guardare)  Si con le, che par me dopo tanto penare…

ADA – Oh grazie! (prende il mazzo)

ORESTE – (la vede)  Oh no

ADA – Ma cmé fav’l a savì ‘c s’era ché?

            Come ha saputo che ero qui?

IDA – (si stizzisce) Che dasfortoina!

            (si stizzisce) Che sfortuna!

ORESTE - …Infatti ‘l sàva mia…

                   …..Infatti mica lo sapevo…

ADA – ‘L ma curàva, diavol d’un om?

            Mi seguiva, allora, diavolo d’un uomo?

IDA – (stizza)

ENRICO – Ma roba da matt!

                        Incredibile!

INES – (sbadigliando) Anca lu stasira…(si siede sulla poltrona un po’ assonnata)

            (sbadigliando)  Anche lei stasera…(si siede sulla poltrona un po’ assonnata)

ORESTE – (senza parole) Ma me verameint, siora Ines…

                    (senza parole) Io veramente, signora Ines…

ADA – Che bei fior…e po i fior d’un fiorista….!

            Che bei fiori…e poi i fiori di un fiorista….!

ORESTE – Ma cla dagga ché..  (suona il telefono)

                   Dia quà.  (suona il telefono)

(Mentre Ada e il fiorista parlottano col mazzo che va e viene, Enrico va a rispondere ed  Ines

  accusa segni di assopimento)

ENRICO – Dalla finestra? benissimo…No, non salga, per carità, gliela mando io (aggancia)

            (rivolto al fiorista) Ora che ha avuto un pensiero così carino, può anche accompagnare a

            casa le signore, no?

ADA – Sicura! 

              Certo!

IDA – Me vag a  cà da par me: sum mia bona da fa cièr! Buonanott! (esce)

            Io vado a casa sola: non mi piace tenere il  moccolo! Buonanotte! (esce

ORESTE – Voriva salutà la siora Ines…

                   Volevo almeno salutare la signora Ines…

ENRICO – (girandolo verso la porta) Un’àtra vota, adess l’è stracca. So, c’al vagga.

                        (girandolo verso la porta) Un’altra volta, ora è stanca. Prego, vada pure.

ADA – So andum … che bei fior (e li riprende).

            Andiamo …che bei fiori (e li riprende)

ORESTE – Cla dagga ché.

                        Me li dia!

ADA – Ma si, ‘c lìà porta lu, e c’l ma dagga la man ‘c g’ho pagura da volà zù pr’i schèl.

            Ma si, li  porti lei,  e mi dia il braccio: temo di cadere per le scale.

ORESTE – Ma ‘s gh’è quattar pecch.

                        Ma ci son quattro scalini in tutto.

ADA – Chè si, ma a cà mia ‘g n’è abotta…ma in dov val?

            Qui certo si, ma a casa mia ce ne sono ben di più…dove sta andando?

ORESTE – (verso la porta) Tutta la mé preparazion…Oh, mamma (si commuove ed esce)

            (verso la porta) Tutta la mia preparazione…Oh, mamma (si commuove ed esce)

ADA – (tra sé) I om: quand i’enn innamorà i vegnan di ragazz…E  c’l  m’aspetta (esce).

            (tra sé) Gli uomini quando si inamorano diventano dei bambini…Mi aspetti (esce).

SCENA XV

ENRICO – Mama… (la scuote) Tratt so ‘l paltò, so ‘c  ‘l ta  spetta.

            Mamma… (la scuote) Metti il cappotto, forza, ti sta aspettando

INES - (Si risveglia ma non del tutto)   Eh..?  ah si..l’è che m’è datt adoss una      sugnàra     

            (Si risveglia ma non del tutto)   Eh..?  ah si.. mi è venuta una sonnolenza improvvisa

              (sbadiglia, prende la borsetta e fa per uscire)

ENRICO – L’accappatoio!

INES – Ah si…(Enrico l’aiuta a toglierlo, le mette il cappotto, le porge la borsetta)

            Ma che or è?…(sbadiglia, fa per uscire, ma)  Gli occiài…(li prende, va alla porta)

               

  Ah si…(Enrico l’aiuta a toglierlo, le mette il cappotto, le porge la borsetta)

            Ma  che ore sono?…(sbadiglia, fa per uscire, ma)  Gli occhiali…(li prende, va alla porta)

ENRICO – Mamma.

INES - Cosa ?

ENRICO -…il ponte…

INES – ‘L tocch ‘d dintera (corre in bagno e ne esce subito)..Vag (sbadiglia)…Fa ‘l brèv…

                Ah si, il pezzo di dentiera (corre in bagno e ne esce subito)..Vado  (sbadiglia)……

ENRICO – Si, va va.

INES – Ma che sugnera…(esce).

             Che sonno!!

SCENA XVI

(Enrico sbuffa, ma mostra soddisfazione per aver sbrogliato la serata. Sistema un po’ la stanza, mette un po’ di musica, accende una sigaretta pregustando un momento di relax…ma suonano

alla porta. Va ad aprire)

MARIO – L’era dastein ‘c la g’ava da andà buza.

                        Era destino.

ENRICO – Cos è stà?

                   Cosa è successo?

MARIO – So mia dì cos è sta!

                 Non saprei dirlo!

ENRICO – Stala mia bein?

                        Non sta bene mia madre?

MARIO  - Ma no…dziriss ‘d no…

                  No no,  direi che sta bene….

ENRICO – E allora?

MARIO – So mia in che manera diil…(inizia la musichetta di fine atto)  ma la Ines…l’è vegn zù,

            la s’è sedì in s’la macchina….e

                Non so come raccontarlo…(inizia la musichetta di fine atto)  ma la Ines…è scesa,

            mi è salita in auto….e

ENRICO – E…?!

MARIO - …e adess l’è là ‘c la ronfa a novanta e me so mia cos fag deintar..!!!   (musica forte)

    …..ed ora è là che russa come un mantice   e io non so più cosa fare..!!!   (musica forte)

s     i     p     a     r     i     o

A   T   T   O           T   E   R   Z   O

Stessa scena degli atti precedenti, ma con qualche ritocco nell’arredamento, più chiaro,  e maggiore luminosità.

SCENA I

Entrano, dall’esterno, Mario ed Ines.

MARIO – Bon! Anca qusta l’è fatta.

                  Bene! Questa è fatta!

INES – Chissà s’ho fatt bein.

             Chissà se abbiamo fatto bene

MARIO – Starum a ved.

                   Vedremo.

INES – Appena ‘l vegnan a savì ‘l me sorell…Iammè! Chissà che fassia  farann!

            Quando lo sapranno le mie sorelle…Povera me! Che faccia faranno!

MARIO – Am vegna ancora in meint quand sum andà zù du voot da la finestra.

            Mi viene alla mente quando sono sceso due volte dalla finestra.

INES – A la to età, po!

            Alla tua età!

MARIO – Sum mia tant po vecc’ che te.

                 Non sono poi più vecchio di te.

INES - Oh si!

MARIO – Comunque me ‘l to sorell im fann riid.

             Comunque le tue sorelle mi fanno ridere.

INES – Me invece im fann pianz.

            A me fanno piangere.

MARIO – Ma scappa tant da riid quand ià ved rivà, vuna drè da l’àtra…fagg di chi vers par stà seri.

            Mi viene da ridere quando le vedo, una davanti l’altra dietro…non riesco a star serio.

INES – Sta atteint, però, da fam mia fà dill brutt figur.

            Attento a non farmi fare delle figuracce.

MARIO – Po adess…con la faccenda ‘d la veccia…(ridacchia)  La sarà bein bella (risatona).

            Specie ora…con la storia della vecchia…(ridacchia)  Sarà divertente (risatona).

INES – Mah, anca lé, farummia bein?

            Anche in quel caso, faremo bene?

MARIO – Basta, eh! Sum d’accordi con to fio.

                 Basta, eh! Ho già un accordo con tuo figlio.

INES – Me brangogn, barbott, ma po’ ‘m dispiàz.

            Io brontolo, mi lamento, ma poi mi spiace di….

MARIO – Bene, csè ‘t mettaran seipar i pé in s’la panza.  Dai dai che stavota ‘g l’um fatta propria

            bella.

            Bene, così ti fai mettere sempre i piedi in testa.  Dai dai che stavolta gliela abbiamo 

            proprio combinata bella.

INES – Ah si si.

MARIO – Seinta, fam un piazer, da un’occià ché. Cos g’hoi in s’ la spalla, ch’è tutt incò c’l ma

            bruza e sum mia bon da rivàg a ved. Sarà un brùglein (foruncolo, n.d.a) , ma ‘l ma fà un

            mèl…

                   Fammi un piacere, guarda un po’ qui. Cos’ho su questa spalla, oggi sentivo bruciare

            e non arrivo a vedere. Sarà soltanto un foruncoletto, ma mi provoca un dolorino...

INES - Sa, vé dadlà  c’ag guardum.

            Andiamo di là, ci guardiamo

MARIO – (togliendosi la giacca)  Et prenotà ‘l treno ?

                   (togliendosi la giacca)  Hai prenotato il treno ?

INES – Si, l’è tutt a post, sta un po’ chiett.

             Si, E’ tutto a posto, stai calmo.

MARIO – Ohi che mèl…(si avvia)

                  Che dolore…

INES – Chissà, ‘l sarà una montagna (escono per la camera da letto).

            Chissà, sarà grande come il Monte Bianco (escono per la camera da letto).

SCENA II

PRIMINA – (esce dalla sua camera, fa per entrare in quella di Ines)    Seinta, Ines….(si ritira

            immediatamente)  ….Oh pardòn….(suonano alla porta, Primina va la telefono)

            Pronto….Pronto!….(suonano ancora).

INES – (da fuori)  La porta, mama, la porta.

PRIMINA – La porta?…Ah si…(posa il ricevitore e va ad aprire)…Oh, Ada…

ADA – Ciao mama chèra, ma stèt?  (la bacia)

             Ciao mamma cara, come stai?

PRIMINA – Mah…

ADA – Cos gh’è? Qualcos ‘c va mia?

            C’è qualcosa che non va?

PRIMINA – Cos vot mai, ‘l solit roob. As vegna vecc’ e in di pé (a voce più alta)

                        Che vuoi, il solito. Si invecchia e sei di intralcio (a voce più alta)

ADA – ‘L so, ‘l so. ‚T vuzan a dré, vera?...(a voce alta) Eda ché, una veccia ‚c l’s rangia

            tutta da par lé, cos ‘s preteinda?

              Lo so, lo so. Ti gridano, vero?...(a voce alta) Ma guardate, una vecchietta che fa tutto da

            sola, che si pretende ancora?

PRIMINA – So mia.

                        Non so

ADA – La mangia da par le, l’s vestissa da par le, la g’ha gamba bona.

            Mangia  e si veste da soila, cammina spedita.

PRIMINA – Mia abotta: g’ho un mèl in d’un pé…L’è ‘l fredd c’s ciappa in cla cà ché.

                        Non tanto: ho un dolore a un piede…Per il freddo che c’è in questa casa.

ADA – Oh, anca me, sèt, g’ho du did di pé. ‘c g’ho seipar deintar un picch, un picch, ma un picch…

            Anch’io, sapessi, nelle dita di un piede, ho sempre delle fitte, delle fitte, ma delle fitte …

PRIMINA – Qull brass ché, po, sum quasi po’ bona da moval.

                        Questo  braccio, poi, non riesco quasi più a muoverlo.

ADA – Taz, taz, che me g’ho cla spalla ché ‘ c g’ho seipar deintar un bruz, un bruz, ma un bruz…

            Non dirmelo, che questa spalla mi brucia tanto, ma tanto, ma tanto…

PRIMINA – (incalzando) Ah si? Me in d’l fidag g’ho seimpar deintar dill pont ‘c pàra ca m’l

sciancan via..

    (incalzando) Ah si? E io ho sempre dei dolori al fegato: sembra che me lo vogliano

strappare..

ADA – ‘L fidag? E me ‘c g’ho ‘l coor…

              Il fegato? E io che ho il cuore…

PRIMINA – Anca me g’ho ‘l coor.

                      Ce l’ho anch’io il cuore, va!

ADA – Si?  Ma a me tutt ‘l nott ‘l ma sàlta in gola e bim ,bom, patatràc, ‘l fa di chi vers  s’t sentiss!

            Si?  Ma a me tutte le notti salta in gola e bim ,bom, patatrac, di quei colpi se tu sapessi!

PRIMINA – Ah si? E me che in d’la testa g’ho seipar deintar…

                      Ah si? E io che nella testa ho sempre dentro dei…

ADA – (interrompendola) Ma par carità!  s‘t g’aviss l’artrosi cervicale ‘c g’ho me, ‘c lam ciappa

            tutt i ner’v d’l coll e lià tira (si aiuta con i gesti): para ch’im dastaccan la testa!

               (interrompendola) Ma per carità!  Se tu avessi la mia artrosi cervicale: mi prende

            i nervi del collo e li tira! (si aiuta con i gesti): ho l’impressione che si stacchi la testa!

PRIMINA - ….e me c’ag ved mia, che disgrazia!

                    …..e io che non ci vedo, pensa che disgrazia!

ADA – E me c’ag seint poc.

             Io ci sento poco.

PRIMINA – (al colmo della pazienza) E me….’c sum drè a moor…!

                   (al colmo della pazienza) E io….che sto per morire…!

ADA – (piccola pausa di sorpresa, poi) Ma tàz, tàz, c’ag sum andà in mera almeno tre o quattar

            voot.

            (piccola pausa di sorpresa, poi) Ma smettila,  che per poco non tiro le cuoia almeno tre

            o quattro volte.

PRIMINA – E allora sta mèl tutt te!

                     Allora stai male solo tu!

ADA – Sto poc bein sicur.

            Non sto tanto bene, certo

MARIO – (da fuori) Ahia, ahia…!

ADA – Chi gh’é?

            Chi c’è?

PRIMINA – ‘L solit.

                       Il solito.

ADA – Ah!…e in dov ennia?

            Ah!...e dove sarebbero?

PRIMINA -  Dadlà.

                        Di là.

ADA – Ah! (occhiata verso la camera)….E cos fannia?

            Ah! (occhiata verso la camera)….E cosa farebbero?

PRIMINA – So mia.

                     Non saprei.

ADA – (allunga il collo per sentire qualcosa)

PRIMINA – Cos i dizan?

                      Cosa dicono?

ADA -  Sssstttt…(si alza e si avvicina alla porta della camera)

PRIMINA – (la segue)  Seintat qualcos?

                        (la segue)  Riesci a sentire qualcosa?

ADA – (piano) S’t taz mia, ‘n gh’è dubbi.

            (piano) Se non taci, come faccio!

            (origlia, in piedi, vicino alla porta ma con la faccia rivolta verso il pubblico)

SCENA III

MARIO – (Apre la porta ma Ada non lo vede; ha la camicia in mano e si sta sistemando i calzoni         un poco sbottonati; vede Ada e forte grida)    Buongiorno!

ADA – (sussulta) OH!

MARIO – Chèra la nossa Ada…n’in podiva po’! (con chiara intenzione mentre infila la camicia)

                     Cara Ada…Non ce la facevo più! (con chiara intenzione mentre infila la camicia)

ADA – OH! (scandalizzata)

INES – (dalla camera) Ho mài vist un rob d’l genar! Gross par seipar!

            (dalla camera) Non ho mai visto nulla del genere! Enorme!

ADA – (doppio sussulto)  Che scandul !

                                          Che scandalo!

MARIO – So sorela gemela, gh’ela mia?

                 Sua sorella gemella non è venuta?

ADA – La riva, la riva.  (Suonano alla porta)

            Arriva, arriva

MARIO – (A Ines) Sperum ‘c la sia le, csé contum tutta la faccenda.

                     (A Ines) Speriamo sia lei, così raccontiamo tutta la storia.

INES – Subit?

MARIO – E si, eh!

SCENA IV

PRIMINA – (che era andata ad aprire) Oh Ida, s’era drè a dì a la Ada ‘c g’ho una gamba …

                ( che era andata ad aprire) Oh Ida, stavo dicendo ad Ada che la mia gamba …

IDA – Mama chèra, par piazer: incò cardiva da tira i scapein.

            Mamma cara, ti prego: oggi credevo di lasciarci le penne (credevo di morire, n.d.a.).

PRIMINA – Anca te!

                     Anche tu!

MARIO – (piano) Gh’è dubbi, troppa cattiva.

                  (piano) No  credo, è troppo coriacea.

INES – Fàt mia seint.

              Ti sentono!

ADA – (piano a Ida) Vèda, ch’ì parlan sottvuz.

            (piano a Ida) Guarda, parlano sottovoce.

IDA – (piano a Ada) Arannia mangià la foia?

            (piano a Ada) Avranno mangiato la foglia? (“sospetteranno qualcosa?”, n.d.a.)

PRIMINA – Cos et mangia?

                        Cosa hai mangiato ?

IDA – (seccata) Mama…

MARIO – (piano a Ines) Guarda cmé i buzzubian.

                (piano a Ines) Guarda come confabulano.

INES – Cos sarà success?

             Cosa sarà mai successo?

MARIO – So mia, però me ma scappa zà da riid…(cerca di controllarsi)

                   Non saprei, ma a me viene già da ridere adesso…(cerca di controllarsi)

IDA – (A Ada) E cmé mai l’è in patàia?

            (A Ada) E come mai ha mezza camicia fuori?

ADA – Gnivan fora da la camra…

               Uscivano dalla camera…

IDA – Oh….

ADA – E le l’ha ditt…”ho mai vist un rob compagn”

            Lei ha detto….”mai visto un affare così!”

IDA – (tra sé) Tutt a i’atar!

            (tra sé) Sempre agli altri!!

ADA – Mamma chèra, sta un po’ indré di pé!

            Mamma cara, stai un po’ alla larga!

IDA – Ved’t allora c’um fatt bein a …

            Vedi che abbiamo fatto bene a….

MARIO – Adess g’l digh.

                   Senti, adesso glielo dico

INES –No, spetta…

            No, aspetta…

MARIO – Quand?

INES – (si rivolge alle sorelle)  Cmé mai dop tant teimp?

            (si rivolge alle sorelle)  Come mai qui, dopo tanto tempo?

ADA – Gh’è un parché …oltre che par la chèra mama, sum vegn pr’un motiv…

               Un motivo ci sarebbe …oltre che per la cara mammina, siamo qui per un motivo

                preciso,

IDA – Si, la Ada voriva diiv…

            Si, Ada voleva dirvi che…

ADA – Ma che la Ada! ‘T ta ricordat po’ cos s’era ditt?

            Ma quale  Ada!  Non ricordi cosa si era deciso?

IDA – (ci pensa, poi)  Ah si.

ADA – S’è gnammo vist noss fradell.

              Non è ancora arrivato nostro fratello.

INES – Vegna anca ‘l Carlo?

               Viene anche Carlo?

ADA – Cred propria ‘d si.

             Penso proprio di si.

MARIO – Oh oh, gh’enn propria tutt. (A Ines) La sarà bein bella…

                       Oh oh, ci saranno tutti. (A Ines) Splendido…

PRIMINA – Vegna anca  ’l Carlo? Bon, csé ‘g cont par la mé gamba.

                        Viene Carlo? Bene, così gli racconto della gamba.

INES – Ma cos ‘g sarà sotta, parché par vegn tutt e tre…

            Che ci sarà sotto?  per venire tutti e tre…

ADA – N’in parlarum!  (Suonano)

            Ne parleremo

IDA – (A Mario) E lu g’al intension da stà acsè?

                            Lei intende stare in quello stato?

MARIO – ‘C la ma scusa, capiss ‘c l’è mia abituà.

                   Mi scusi, capisco che non sia abituata..

IDA – No sicur!

SCENA V

INES – (aprendo la porta)  Spettavma propria te.

            (aprendo la porta)  Stavamo aspettando proprio te.

CARLO – Ah si?

RINA – (entrando) E ‘g sum anca me!

                                   Ci sono pure io!

ADA – Oh, pardiana!

            Oh, perbacco!

IDA – La gh’è seipar a drè! Possibil che tutt ‘l vot…

            Lo segue sempre a ruota! E’ mai possibile…

INES – Rina, ma che piazer…

            Rina, che piacere

RINA – Sum propria vegn zù anca me, parché ‘m sa  c’ag sia qualcos in ball.

            Sono venuta di proposito, perché c’è qualcosa sotto.

ADA – (piano a Carlo) Cos l’et porta  da fà?  (parlottano fra di loro)

            (piano a Carlo) Perché l’hai portata?  (confabulano fra di loro)

RINA – E la vecciasa? Ma guarda cmé l’è bella bianca e rossa.

            E la vecchiona? Guardala: bianca e rossa!.

PRIMINA – Ma ‘s sum quasi moribonda.

                        Ma se sono moribonda.

RINA – Gianni e Pinotto sempre in prima linea.

MARIO – Qualcos a boia

        Qualcosa bolle in pentola.

RINA – I’enn tri dé c’s telefonan.

              Tre giorni che si telefonano

INES – Ah si?

MARIO – La vegna seipar possa bella.

                Diventa sempre più divertente.

RINA – (forte alle due sorelle) E bein, ‘s saluta gnan po, adess?

            (forte alle due sorelle)  E allora, non si saluta?

ADA – (interrompendo il cicaleccio e malvolentieri)  Ciao.

IDA – (idem c.s.) Ciao.

PRIMINA – (anche se non richiesta) Ciao.

RINA – G’ava propria voia da ved la mé chèra cognà, che me ‘g voi po bein che a una sorela.

              Avevo proprio voglia di vedere la mia cara cognata, a cui tengo più che a una sorella.

ADA – Una bella coppia.

IDA – Uhm!

ADA – Comunque, adess ch’è rivà ‘l Carlo, podum anca cminsà ‘l discors.

            Comunque, ora che è giunto Carlo, possiamo anche iniziare un certo discorso.

MARIO – (si mette comodo per ascoltare attentamente)

ADA – (lo guarda sostenuta, poi…) Parché, chéra la mé Ines, stavota me, la Ida e  ‘l Carlo sum che

            pr’un motiv, adess poss anca diil.

               (lo guarda sostenuta, poi…) Perché,  Ines cara, questa volta, io, a Ida e   Carlo siamo qui

            con una motivazione, ora posso dirlo.

MARIO -  ‘ S  n’era datt ansoin

        Non l’aveva capito nessuno

INES – Ah si?

ADA – Si…(e guarda Mario insistentemente)

MARIO – G’hoi da anda dadlà?.

                  Devo uscire?

ADA – No, anzi, l’è mei c’al ga sia anca lu.

            No, anzi: meglio che ci sia anche lei.

MARIO – Benone. Ah, prima c’m passa da la meint, ricordam che po dop anca me g’ho da diiv una

            bella roba.

                Benone. Ah,  prima che me ne dimentichi: ricordatemi che anch’io devo dirvi una

            cosa simpatica.

ADA – Che roba?

                Cioè?

CARLO – Bein, me intant vag dadlà con la mama…

                  Be’, io intanto vado di là con la mamma…

ADA – Cosa? Dov vet?…(lo tira da parte) Cos s’erma d’accordi? Eh? Tocca a te a fàt seint, parché

            t’è te ‘l po’ vecc’ e quindi ‘l cap ‘d la famiglia.

             Cosa? Dove vai?…(lo tira da parte) Cone eravamo d’accordo? Eh? Tocca a te, perché tu

            sei il più anziano e quindi il capofamiglia.

RINA – (A Carlo) E cos g’ariss’t da dì, eh? Farlocch!

            (A Carlo) E cosa dovresti dire, eh? Scemotto!

CARLO – ‘M ricord mia…

                    Non ricordo bene…

ADA – So là, et un om o cosa? O et imparà  a mollà ‘l bragh con la lè

            E allora, sei o non sei un uomo? O sei capace solo di  calare le brache quando c’è tua

            moglie.

CARLO – (piano) Me cardiva mia ‘c la gniss anca lé.

                    (piano) Non pensavo che venisse.

RINA – In cà mia mé marì l’è ‘l padron. Vera, ‘l mé Carlino?

            A casa nostra, Carlo è il padrone. Vero, Carlino?

IDA – Eda ma ’l la fa so: con du veers...

            Guarda come lo manovra: con due moine …!!

RINA – Bisogna ess bon, però.

            Bisogna saperle fare.

PRIMINA – Chemò ‘m dà riguai ansoin. Andrò a finì la borsa (esce pian piano)

            Non mi dà retta nessuno. Andrò a terminare la borsa (esce pian piano)

ADA – Che borsa?

MARIO – Si, si, la borsa…(e ridacchia)

IDA – La campàna

            E’  proprio suonata.

ADA – Bein bein: adessa tocca a te, dai (a Carlo).

            Be’: ora tocca a te, forza (a Carlo).

CARLO – Ecco…(prova a fare il duro) ‘G sariss una question da trattà…’m para…quindi…

            Ecco…(prova a fare il duro) Bisognerebbe parlare di una faccenda…mi sembra…

MARIO – ‘C ‘l  diga, ‘c ‘l diga pur. ‘L g’arà mia soggesiòn ‘d me?

               Dica, dica pure. La metto in imbarazzo, per caso?

CARLO – No ‘d sicur…e po ved che lu ormai l’è ‘d la cà.

            No di certo…d’altronde vedo che lei è ormai un ospite fisso in questa casa.

ADA – Appunto!

IDA – Zà zà!

            Già già!

RINA – (piano) Et capì Ines?

             (piano)  Capito, Ines?

INES – Come no!

CARLO – E l’è bein par qullé…ecco…(assume un tono impostato)  Noi sum seipar stà una

famiglia onorà!  (si gira verso le due sorelle)  Digghia bein?

            Proprio per questo…ecco…(assume un tono impostato)  Noi siamo sempre stati una

famiglia onorata!  (si gira verso le due sorelle)  Dico bene?

ADA – Bene.

IDA – Bravo.

RINA – Bis!…’M vegna ‘l latt ai gom’t

            Bis!…Mi fai cadere le braccia!

CARLO - ..E noi, guarda chès, ‘g tegnum ancora. ‘L sarà un vizi ‘d famiglia, ma noi ‘g tegnum…

            ..E noi, guarda un po’, ci teniamo anche ora. Sarà una tara ereditaria, ma noi ci teniamo.

MARIO – E fa benissimo.

CARLO – (più sicuro) Quindi, dispiaz ved d’l  brutt roob.

            (più sicuro) Quindi, spiace dover vedere certe brutte cose.

MARIO – (A Ines) I s’enn speccià.

                (A Ines) Si sono guardati allo specchio,

RINA – Taia curt. Cos i volan fat dì?

            Falla breve. Cosa vogliono farti dire?

ADA – Guàrda ‘c l’ha fatt tutt da par lu.

            Guarda che è tutta farina del suo sacco.

RINA – Propria ‘l Carlo, c’ l’è pacifich cmé un angil…

            Di Carlo? Non credo, lui è tranquillo come un angioletto…

IDA – Si, ma ché bisognariss avigh ‘l parsutt in si occ’ par ved mia…

            Si, ma qui bisognerebbe avere le fette di prosciutto sugli occhi per non accorgersi che…

INES – E fal andà innans, ca vegna tèrdi.

            Lascialo continuare: si fa tardi.

MARIO – Sum in ritardi pr’l treno?

                  Siamo in ritardo per il treno?

ADA – Che treno?

IDA – I campanan tutt, ché.

           Sono tutti suonati!

CARLO- Adess ho pérs ‘l fil.

                Ecco, adesso ho perso il filo del discorso.

RINA – Oh povar  noi!

               Poveri noi!

ADA – S’erma riva a “’l brutt roob”…

            Eravamo arrivati a : “vedere delle brutte cose”

MARIO – Brava, e me ho ditt: basta ‘c ‘v speccià mia.

                 Bene, e io ho detto: basta che non vi specchiate.

CARLO – Cos s’inteind’l da dì?

                   Cosa intende dire?

ADA – Fatt un po’ seint.

             Fatti valere.

MARIO – Qull c’ho appena ditt.

                 Quel che ho appena detto.

CARLO – Ah bein, ava capì un’atra roba.

                  Ah ecco, avevo capito male.

IDA – Dai là.

INES – Vegna sira.

               Si fa tardi.

CARLO – (di colpo) Ines, me ‘t ricord c’t gh’è un fio e che la gint la pàrla…

                  (di colpo) Ines, ti voglio ricordare che hai un figlio e la gente parla…

ADA – (intervenendo) …e noi um gnammò capì cos fàl qull sior ché (indica Mario) in cà tua.     Insumma, Ines, chi el?

            (intervenendo) …e noi non abbiamo ancora capito cosa fa costui (indica Mario) in casa

            tua . Insomma, Ines, chi è?

INES – (candida) Mé marì.

            (candida) Mio marito.

ADA – Che manéra to marì !?!

             Come,  tuo marito!

IDA – (insorgendo) To marì l’è mort!

            (insorgendo) Tuo marito è morto!

INES – Cust no, pr’adess.

             Questo no: per ora!

RINA – Ma no!

MARIO – Sum riv° veint minud fa dal Comoin (agita la mano con la fede).

            Siamo rientrati una ventina di minuti fa dal Comune (agita la mano con la fede).

CARLO – (A Ada e Ida) Ma che figura ‘m fè fè?

            (A Ada e Ida) Ma che figuracce mi fate fare?

ADA – Che roba!

IDA – Che scandul, sposass du voot, e me gnint!

            Che scandalo, sposarsi due volte…e io niente!!

MARIO – Quindi adess gh’i mia po’ da preoccupav, no? Tutt in regola, tutt a post.

                Quindi ora non dovete più preoccuparvi, no? Tutto in regola, tutto in ordine.

RINA – Ma che bella notizia!

CARLO – Brao, brao, i propria fatt bein, bisogna bev un goss, se no…

                 Bravi, avete fatto bene, bisogna bere qualcosa, no?…

RINA – Provag! S’it tiran mia seipar in mezza a fà la figura dal lucch!

            Non provarci! Ti fai sempre coinvolgere per poi fare la figura dello scemo.

INES – Cos vot mai, ‘g sum abituà. N’ho passà ‘d tutt i color con le lur.

            Che vuoi Rina, ci sono abituata. Me ne hanno fatte passare tante, loro due.

ADA – Ida, andum via subit da ché.

            Ida, andiamocene subito.

IDA – E’ chiaro che non siamo più desiderate.

            E’ chiaro che non siamo più desiderate.

INES – No, un momeint! Fein adess i parlà viatar, adess par piazer, f° dì qualcos anca a me.

            No, un attimo! Prima avete parlato voi, ora, per piacere, voglio dire qualcosa anch’io.

ADA – Me g’ho mia intenzion…

            Io non ho nessuna intenzione….

MARIO – (Spingendola a sedere) Cla stagga ché.

                  (Spingendola a sedere) Stia lì!

INES -  Pr’eseimpi che me sum stuffa (“stanca”, n.d.a.). Stuffa da ess seipar trattà in cla manera 

Che’. Stuffa d’avì seipar pr’i pé du sgionfadòr ch’i m’hann mài datt una man, gnan dopa la disgrazia.

E ch’i enn appena bon da sizorà dré di spall (“sparlare”, n.d.a.) e mett ‘d la zizzania da par tutt, specialmeint con la veccia! E la finì anca con la storia ‘d l’onor ‘d la famiglia, parché viatar i mia fatt abbota par tegn’l so.

            Per esempio, che sono stanca. Stanca di essere sempre trattata male.  

Stanca di avere sempre attorno due seccatrici, che non mi hanno mai dato un aiuto, neppure dopo il lutto.

E che sono bravissime soltanto a sparlare e spargere zizzania ovunque,  specialmente con la mamma! E la dovete smettere anche con la storia dell’onore della famiglia, perché voi non avete fatto poi tanto per mantenerlo limpido.

MARIO – Adess sèlta fora tutt.

                 Salta il coperchio della pentola.

RINA – Voi perd gnan una parola.

              Non mi voglio perdere nemmeno una sillaba.

IDA – Ma chi? Noi?

INES – Propria! Te, pr’esempi…

              Esatto! Tu, per esempio…

IDA – Me?!

             Io?!?

INES – Si te, c’t fa tant la verginella a sinquant’ann sonà d’un bell tocch. C’t và seipar in ciésa a

            cantà ‘l litanii…gh’è mia un om in tutta Piazeinza ‘c t’è mia sigà par fat spusà

            Si tu, che ti atteggi a  verginella nonostante i tuoi cinquant’anni.Tu che sei sempre in chiesa 

            a cantare le litanie…non c’è uomo a Piacenza che tu non abbia provocato per farti sposare.

IDA – Chi? Me?!

            Ma chi? Io?!?

ADA – Ah si?

INES – ‘T cognoss’n tutt. Qualcadoin s’é anca divertì bein bein, vera?

            Ti conoscono tutti. Qualcuno si è anche divertito ben bene, vero…?

IDA – Ma fat a saviil?…Cioè, no… voriva dì….

            Come fai a saperlo? …Cioè, no…intendevo che…

INES - …Ma t’è tanta antipatica che ansoin tà vorrì, anzi appena it ved’n rivà i scappan a novanta a

            a l’ora.

            …ma sei tanto antipatica che nessuno ti ha presa, anzi quando ti vedono passare gli uomini

            fuggono di gran carriera.

RINA – Ecco parché  l’è csé acida!

              Ecco perché è così acida!

ADA – Comunque i’enn mia discors da fà a una donna onesta!

            Comunque non sono accuse da fare a una donna onesta!

INES - Te invece (a Ada) , puttost da puccià seipar ‘l nèz in cà ‘d iatar, sariss sta mei c’t ta fiss

            guardà possà in cà tua. Pr’esempi, to marì…

               Tu, invece (a Ada) , anziché mettere sempre il naso negli affari altrui, avresti fatto meglio

a tenere gli occhi ben aperti in casa tua. Tuo marito, per esempio…

ADA – Tira mia man qull sant om ‘d  mé marì.

              Non citare quel sant’uomo di mio marito!

INES – ‘L sant om, prima ‘l ta portava a la messa e po ‘l passàva da la cognà a ved

            s’l podiva fà bell,  al sant om!

                Il sant’uomo,sai che faceva? Ti portava a messa  e poi passava dalla cognata per vedere,

            chissà mai, se fosse disponibile… il sant’uomo

ADA – No!!

MARIO – ‘S capissa ch’ig davan poc da seina, la sira.

                  Forse lo tenevano a digiuno…la sera!!

RINA – Oh Signor, che robass!

              Santo Cielo, che rivelazioni!

MARIO – (A Carlo) C’la scolta, ‘c ‘g né anca par lu.

                (A Carlo) Apra le orecchie, perché c’è qualcosa anche per lei.

CARLO – Cosa? Cos gh’eintri me?

                 Cosa? Cosa c’entro io?

INES – In quant a te (a Carlo), asculta Rina,  che t’è seipar tant bon da vegn a fà la voz grossa in cà

            mia;  te, c’t ta fa montà da chill du lé par fà la moral a to sorela,  spiega a un po’ a to moier..

            (pausa) cos ‘g vèt a fà tant da spess a San Damian? (nota località di culto nel piacentino,

            grazie all’apparizione della Madonna sotto un pero, n.d.a.)

            In quanto a te (a Carlo), ascolta Rina,  che sei tanto capace di alzare la voce in casa mia,

            che ti fai sobillare da quelle due e vieni a fare la morale a tua sorella, spiega a tua moglie..

            (pausa) perché mai vai così spesso a San Damiano? (località di culto nel piacentino,nota

             per l’apparizione della Madonna avvenuta d’inverno sotto un pero in fiore, n.d.a.)

CARLO – (che aveva cominciato a sorseggiare un liquorino, si strozza)

RINA – Parché, dì, v’l mia a ciappà la benedision?

              Perché, non ci andava per la prendere la benedzione?

MARIO – (malizioso)…o a dàla via?

                  (malizioso)…o a impartirla (darla via)

RINA – Eh?!?

INES – Ved’t Rina, una voota ‘m sum trovà anca me a San Damian, si, e ho vist c’l g’andàva mia

            pr’l per…(“per il pero miracoloso”, n.d.a)

              Vedi Rina, una volta mi sono trovata  a S, Damiano, si,  e mi sono accorta che lui

             non ci andava per il pero (quello miracoloso)

RINA – Ah no?

MARIO – ‘L g’andàva par la brugna!

            Ci andava per la “prugna, la susina” (termine a doppio senso: prugna=organo sessuale

femminile n.d.a.)

RINA – Cosa?!

CARLO – L’è mia vera, ‘l zuur, Signor fam moor subit se me…

                  Non è vero, lo giuro, Signore fammi morire qui subito se io….

MARIO – Ciama l’ambolanza, allora.

                 Chiamiamo l’ambulanza, allora

RINA – Ma me g’ava un sospett! S’era mia bona da capì tutt cl’attacameint a S. Damian.

            Ah, l’è mia lé ‘c  stà una  so veccia morosa? La Dirce?  ‘T là do bein, me!

                Io l‘avevo un sospetto! Non capivo tutto quell’attaccamento a  S. Damiano.

            Ma  non è lì che abita quella sua vecchia fidanzata? La Dirce? Ti faccio vedere io!

ADA – Ida andum !

            Ida, andiamocene.

IDA – Subit, che se la va innans ancora.

            Subito, prima che ne dica ancora.

MARIO – Un attim. Gh’è ancora una roba da mett a post.

                 Un momento. C’è ancora una questione da sistemare.

CARLO – G’ho ‘d bisogn d’un biccer ‘d roba forta…

                   Mi serve un bicchiere di roba forte.

RINA – In s’la testa ‘t la dò la roba forta! Atar che “Rina la grina”! Et capì lur? Maladissa i bigott !

            Movat, c’andum, ved l’ora da rivà a cà!

            In testa te lo do  il bicchierino! Altro che “Rina la grina”! Ha  capito, queste bigotte !

            Andiamo, non vedo l’ora di essere a casa!

CARLO – (alle sorelle) Ma cos v’è salta in meint viatar da tirèm deintar in sta faccenda chè!

            Fav mia po ved, mai po!

            (alle sorelle) Ma cosa vi è venuto in mente: scatenare tutto un putiferio!

            Non fatevi mai più vedere!

RINA – Va là, va là, che incò um fatt giornà, Ines, scusa sa scapp ma sum fein verda da la rabbia.

            Vai, vai, oggi abbiamo fatto il pieno. Ines, scusa se vado, ma sono verde dalla bile.

MARIO – ‘T telefon prima che part.

                    Ci sentiamo prima di partire.

CARLO – Guarda, me poss zurà che a San Damian, ho fein toot  un rosari (“rosario”,n.d.a.) una

vota…

            Posso giurarti che io a San Damian, ho anche comprato una coroncina da rosario, una

volta…

RINA – Ah si? S’l catt t’l trò zù par la gola, una grana dopa l’atra. Và! (escono).

              Ah si? Se lo trovo te lo faccio ingoiare, una pallina dopo l’altra. Và! (escono).

SCENA VI

Ada e Ida s’icamminano per uscire.

MARIO – (fermandole) No, viatar no…par piazer…

                 (fermandole) No, voi no…per favore…

ADA – Cos ‘g sariss ancora?

              Che c’è ancora?

INES – La mamma.

IDA – La mamma, cosa ?

MARIO – Chi la toz so ‘d viatar du?

                  Chi la tiene ?

ADA/IDA – Chi?!

MARIO – La mamma.

INES – Noi  partum par Roma…e l’Enrico l’è in montagna par du sman.

            Noi  partiamo per Roma  …e Enrico è in montagna per due settimane.

ADA – Ma…

IDA – Me…

            Io….

ADA – Poss mia, ‘n poss propria mia, sto mia bein.

            Non posso , proprio non posso, non mi sento bene.

IDA – Sto po mal me. Sum gnan bona da moov qull brass ché.

            Sto peggio io. Non riesco neppure a muovere questo braccio.

MARIO – Gh’è seipar l’atar.

                  Ha sempre l’altro.

INES – E po l’è la vossa “chéra mamma chéra”.

            Poi è la vostra cara mamma cara.

MARIO – Qulla ch’è seipar trattà tanta mal.

                  Quella che viene trattata sempre tanto male.

ADA – Ma me g’ho una gamba sifula…g’arò da fam operà, poss mia. Ida…

            Ma io ho una gamba rigida…devo farmi operare, Ida non posso…

IDA – In dl’ospedal g’andrò prima me che te, e ga starò…ses mees almeno!

            In ospedale ci entrerò io prima di te, per rimanerci…almeno sei mesi!

ADA – Me g’ho un…

             Io ho un….

IDA – E me g’ho ché….

            E io invece un…

MARIO – Me invece sum stuff. La donna l’è bella che pronta. L’arà finì adess da fà so la borsa.

            Io invece sono stanco. La nonna è già pronta. Avrà giusto finito di preparare la  borsa.

ADA – Ecco… la borsa!

IDA – Ma la vorrà mia movass, l’è abituà ché.

            Ma non  credo che vorrà muoversi da qui,  è ormai abituata a….

INES – No, invece. L’ag vegna tant vlontera d’ll so fiol, ch’ig fann da mangià tant bein,  c’ la

            portan a spassi tutt i dé. E la làvan.

            No, invece. Va molto volentiere dalle sue figliole, che cucinano così bene, che la 

            portano a passeggio tutti i giorni. E la lavano.

ADA – Oh, ma si!

MARIO – La poliss’n quand la leimpa ‘l lett .

                 La ripuliscono quando sporca il letto

IDA – Oh, che gomit!

            Mi viene da vomitare!

MARIO – O la dà fora da matt.

                O va fuori di testa

INES – O la voza ‘d nott.

            O urla di notte.

MARIO – O la scappa da la porta.

                  O se ne esce di casa senza dirlo

INES – Tant con la so pension…

              Tanto ha la sua pensione….

MARIO – ‘V fà anca i sood.

                   E voi vi fate i soldi

ADA – Ida, la tucca a te!

            Ida, tocca a te!

IDA – No, Ada, a te!

ADA – A te, a te!!

IDA –  Occio  Ada… !!

              Guarda Ada

ADA – Eda Ida!…! (pausa)  Me sum la po veccia.

Attenta Ida!  Io sono più vecchia

IDA – Appunto, la tucca a te.

            Per l’appunto, tocca a te.

INES – Bein, adess andà dadlà e mett’v d’accordi.

            Bene, ora andata di là e mettetevi d’accordo.

ADA – L’è una vargogna.

            Che vergogna!

IDA – Un scandol: sposass du voot e me gnint! (escono Ada e Ida)

            Uno scandalo: sposarsi due volte…e io: niente! (escono Ada e Ida)

MARIO – Ma che bella sodisfasion! (suonano alla porta)

                 Oh, che bella soddisfazione !

INES – Chi sarà?

MARIO – Va te,  che me vag a trà un po’ ‘d roba in ‘d la valiza. (esce).

                  Vai tu ad aprire, io metto un po’ di roba in valigia (esce),

SCENA VII

Ines apre.

ORESTE – (si presenta quasi coperto  da un mazzo di fori ancora più grande di quello dell’atto

            precedente)

            Finalmeint, dopo tant teimp, ho trovà ancora ‘l coragg da vegn fein ché e dimostràg tutt

            qull che sum mia bon da dì a una donna cmé le.

               Finalmente, dopo tanto tempo, ho trovato ancora il coraggio di salire per dimostrarle ciò

            non sono in grado d dire a una donna come lei.

INES – A me?

ORESTE – (si sporge dal mazzo) Si, propria a lé…una vota tant ‘c l’ho cattà.

            (si sporge dal mazzo) Si,  proprio a lei…una buona volta che l’ho trovata.

INES – Ma Oreste, me capiss mia.

             Oreste, non capisco…

ORESTE – Ines, ho spettà sett ann! Mia un dé o una smana: sett ann, prima da fà ‘l pass.

            Ma incò ‘m sum fatt la barba, ho cattà so i fior po bei ‘c g’àva in negozi, ho toot du

            bigliett d’aereo par Honolulu ch’i costan un’occ ‘d la testa, ho bravà con me mar e a

            mumeint la tragg zo da la finestra, ma m’interessa mia…(pausa) Ines, me voi spusàla!

           

              Ines, ho atteso sette anni! Non un giorno, né una settimana prima di farmi avanti.

            Ma oggi mi sono fatto la barba, ho preso i fiori più belli del negozio, ho acquistato due

            biglietti aerei per Honolulu che mi costano un occhio,  ho litigato con mia madre e per 

            poco non la scaravento dalla finestra, ma non importa…(pausa) Ines, mi vuole sposare?

INES – Ma Oreste, me sum zà spùsa.

              Oreste, sono già sposata.

ORESTE - …’L l’era…

                 …eh eh eh …la era….

INES – La sum.

             La sono.

ORESTE – Ma ‘l l’era una voota.

                   L’era, prima

INES – Si, ma la sum anca adess…da incò (mostra la fede al dito)

            Si, ma la sono anche ora…da oggi  (mostra la fede al dito)

ORESTE – (dopo una pausa lunghissma)…Sum rivà tardi?

                 (dopo una pausa lunghissima)…Sono arrivato tardi?

INES – Mezz’ora…(scherzando) S’l   sava prima…

            Mezz’ora…(scherzando) Lo avessi saputo prima…

ORESTE – (con il nodo alla gola) Mezz’ora ‘d ritard, soar sett ann?

                (con il nodo alla gola) Mezz’ora  di ritardo su sette anni?

INES – (guardando l’orologio) Treinta du minud, par l’esattezza.

            (guardando l’orologio) Trentadue minuti, per  l’esattezza.

ORESTE – ‘M vegna da  pianz…’C la ma scusa…(si accascia sul divano per singhiozzare).

                Mi viene da piangere…Mi scusi…(si accascia sul divano per singhiozzare).

SCENA VIII

MARIO – Chi gh’era?

                  Chi era?

INES – ‘L fiorista.

MARIO – (si avvicina) Hann  mandà di fior?

               (si avvicina) Dei fiori per noi?

ORESTE – ‘Ca lià tucca mia! Specialmeint lu, ‘l g’ha mia da tuccàia.

                     Non li tocchi!  Lei, specialmente,  non li deve toccare.

MARIO – Che manera?

                  Cosa?

INES – Làssa sta, po ta spiegh.

            Lascia perdere, ti spiego dopo.

ORESTE – Fargà par mezz’ora, ‘l capì?  Propria lu!

                    Fregato per mezz’ora, ha capito? Lei, proprio lei!

MARIO – Ma el matt?

                  E’ impazzito?

SCENA IX

IDA – Qull pari e dispari lé ‘l m’è mia piazì, gnan un briiz. ‘T m’è fargà sicur.

            Quel pari e dispari non mi è piaciuto,  per nulla.  Mi hai fregata sicuramente.

MARIO – Allora, chi è la fortunata?

                 

PRIMINA – (con la borsa) Bein, me vag.

                                            Bene, io vado

ADA – ‘S vedum prest, neh, chéra la mè mamma.

              Ci vediamo presto, mamma cara.

IDA – Creda mia, batta du dè e po ‘t la port.

            Non illuderti, due giorni e poi te la porto.

PRIMINA – La manteleina, la togghia so?

                      Prendo la mantella?

IDA – Ma va là e tira so i pé.

             Ma muoviti e tira su i piedi.

PRIMINA – Ma Ida…

ADA – Eda ‘l fiorista. E par chi ennia sti fior?

             Guarda il fiorista. Per chi sono i fiori?

ORESTE – Par le no ‘d sicur!

                    Non per lei certamente!

ADA – ‘N gh’è dubbi: e gn’arò po gnan a fà spesa da lu: Andum Ida.

            Sicuramente: e non comprerò più nulla  da lei. Andiamo Ida

IDA – Si andum.

            Andiamo.

PRIMINA – G’ho quasi fam.

                      Ho un languorino.

INES – Roba in bianc, m’arcmand.

             Tutto in bianco, mi raccomando.

IDA – T’là do me la fam! (a Oreste) E lu cos fal ancora ché? Ved’l mia cl’è zà a post?  El mia bon

            da stà a cà sua, tamme fag me?

            Figurati! (a Oreste) E lei cosa fa ancora qui?  Non vede che è già sistemata?  Perché non

            se ne sta a casa, come faccio io?

ADA – Vea, chèra la mé mamma, dam ‘l brass…

            Vieni, cara mammina, dammi il braccio…(esce con Primina)

IDA – Fa pur la spiritosa: teimp un dé e mezz e ‘t la port.

            Fai pure la spiritosa:  tra un giorno e mezzo te la porto.

ADA – Oh poss mia, che pcà,  g’ho da andà a fà le cure termali.

            O che peccato, non posso, devo fare  le cure termali.

PRIMINA – Ponta mia, pardiana…(escono Ada, Ida e Primina borbottando).

                Non spingere,perbacco…(escono Ada, Ida e Primina borbottando).

ORESTE – ‘M l’aspettava propria mia. Adess cos fagghia coi bigliett? (li butta per terra)

            E i fior? ‘G farò una bella corona (“fiori da morto”, n.d.a.)…E la mama? Povreina, l’ho

trattà  csé mal…e po sum anca riva tèrdi pr’una mezz’ora…(esce sconsolato).

 

Non me l’aspettavo. Che faccio di questi biglietti? (li butta per terra)

            E i fiori?  Ne farò una corona da cimitero…E la mamma? Poverina, l’ho trattata così

male…e sono anche arrivato tardi per  mezz’ora…(esce sconsolato).

SCENA X

MARIO –Ma insomma, spo savì…

                Insomma, posso sapere?

INES – Po ta spiegh…Ela pronta la valiza? (comincia a trafficare per casa inseguita da Mario,

            sale lentamente la musica di fine atto)

                Ti spiego poi…Pronta la valigia? (comincia a trafficare per casa inseguita da Mario,

            sale lentamente la musica di fine atto)

MARIO – Si, ma me prima da andà via, voi savì tutt, et capì?

                   Si, ma prima di andare,  voglio sapere tutto, chiaro?

INES – Pèra che sia cminsà tutt sett’ann fa (si sposta in continuazione)

            Pare che sia iniziato tutto sette anni fa (si sposta in continuazione)

MARIO – E la mezz’ora? (la insegue)

INES – L’è bein lé…(vede i biglietti, li raccoglie) Dì, et mai stà a Honolulu?

            E’ proprio lì il punto…(vede i biglietti, li raccoglie) Di un po’, sei mai stato a  Honolulu?

MARIO – Me no, so gnan in dov l’é…Voi savì par la  mezz’ora!

                    Ma no, non so neppure dove sia…Voglio sapere della  mezz’ora!

INES  - Ma lassa stà la mezz’ora…Noi andum a HONOLULU! (vola verso la camera)

            Lascia perdere  la mezz’ora…Ce ne andiamo a  HONOLULU! (vola verso la camera)

MARIO – (inseguendola) Me voi savì tutt, sum gelos, dov el  sto Honolulu, po…

(inseguendola) Voglio sapere tutto, sono geloso,  dove sarà mai questo Honolulu, poi..!

(la insegue fuori della scena, mentre le sue ultime parole vengono coperte dalla musica).

s     i     p     a     r     i     o

F   i   n   e         d  e  l  l  a       c   o   m   m   e   d   i   a