Occupati di Amelia!

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OCCUPATI DI AMELIA!

di Georges Feydeau

Personaggi:

AMELIA, cocotte

POCHET, padre di Amelia

STEFANO, amante di Amelia

ADONE, cameriere, fratello di Amelia

MARCELLO COURBOIS, amico di Stefano

BIBICHON, amico di Amelia

VALCREUSE, amico di Amelia

BOAS, amico di Amelia

YVONNE, amica di Amelia

PALMIRA, amica di Amelia

CONTESSA IRENE, amante di Marcello

VAN PUTZEBOUM, padrino di Marcello

IL PRINCIPE NICOLA DI PALESTRÌA

GENERALE KOSCHNADIEFF, attendente del principe

CARLOTTA, cameriera di Marcello

UN GARZONE

IL COMMISSARIO

IL SINDACO

MOUILLETU, valletto del sindaco

CORNETTE, assistente del sindaco

GABY, amica di Marcello

GISMONDA, amica di Marcello

PASQUALINA, amica di Marcello

VALÉRY, amico di Marcello

MOUCHEMOLLE, amico di Marcello

PRIMO FOTOGRAFO

SECONDO FOTOGRAFO

VIRGINIA, sorella di Pochet

LA BAMBINA, damigella d’onore

Scena:

ATTO I: in casa di Amelia Pochet. Il salotto. In primo piano, finestra a quattro luci a forma di bow-window non molto profondo. In secondo piano, il muro. In fondo, a sinistra, di fronte al pubblico, la porta che immette nell’anticamera. Sempre sul fondo, ad occupare il centro della scena, una vetrata che permette di distinguere la stanza adiacente. Si vede, riflesso dalla vetrata, il caminetto vicino, con le sue suppellettili. A destra, a “pan coupé”, grande apertura ad arco, senza porta, che immette in un salottino. A destra, in primo piano, porta che immette nella camera di Amelia. In fondo, contro la vetrata, un piano a mezza coda con la tastiera rivolta a sinistra. Sul pianoforte, una scatola di sigari, un candeliere, una scatola di fiammiferi: il tutto sul lato sinistro del pianoforte. Sul lato destro, un grammofono e dei dischi; nella concavità del pianoforte, un tavolino rotondo o a fagiolo. Sul tavolino, un servizio da liquori. Contro il pianoforte, nella zona che sta fra la tastiera e la concavità, una sedia. Davanti alla tastiera del pianoforte, un sedile. A destra, in mezzo alla scena, disposto obliquamente, un divano di media grandezza. A sinistra, in scena, un tavolo da gioco con mazzi di carte, portacenere, tre bicchierini da liquore, una bottiglia di chartreuse, una tazza da caffè. Una sedia oltre il tavolo, di fronte al pubblico; una sedia sul lato opposto, che volge la spalliera al pubblico, e un’altra sedia sulla destra del tavolo. Un mobiletto di disimpegno contro il muro immediatamente dopo la finestra. Altri mobili, bibelots, quadri, piante, oggetti d’arte ad libitum. Tasto del campanello elettrico al disopra del pianoforte, contro il muro, presso l’arco.

ATTO II: in casa di Marcello Courbois. Camera da letto all’inglese, sia nella struttura sia nella mobilia. A sinistra, una larga finestra a quattro luci, fortemente strombata e molto alta di basamento, il che permette di collocarvi un’ampia cassapanca con spalliera senza ostacolare l’apertura dei battenti. Ad ogni vetro una tendina, fissata in alto e in basso su bacchette e stretta al centro da un nastro. Alla sommità di questa specie di alcova, in fondo alla quale è incassata la finestra, grossa asta trasversale di bronzo dorato su cui scorrono i larghi anelli delle cortine; queste, quando sono chiuse, devono nascondere la cassapanca, che ha appunto le dimensioni dell’alcova. A ciascuno dei lati, cordone reggitenda che termina in due grosse nappe. In secondo piano, grande parete a “pan coupé” a cui è addossato il letto di ottone che, dalla parte della testata, ha sulla sinistra una poltrona, e sulla destra un comodino. Questa parete a “pan coupé” è indispensabile per consentire al piede sinistro del letto di trovarsi più vicino al proscenio di quello destro e di arrivare proprio di fronte alla porta di destra in primo piano, che sarà indicata più avanti. A destra del “pan coupé”, il muro rientra ad angolo retto per una profondità di venticinque-trenta centimetri, poi si spezza di nuovo ad angolo retto e continua di fronte al pubblico in una larga parete, a sinistra della quale, e non al centro, c’è una porta a un battente che immette nell’anticamera. A destra della porta, contro il muro, una larga consolle con una poltrona a entrambi i lati. Nuova interruzione ad angolo retto di venticinque-trenta centimetri, parallela a quella indicata in precedenza. All’estremità di ciascuna di queste piccole rientranze, una colonna di sostegno. Poi, a destra, “pan coupé”, in mezzo al quale sta il caminetto, sormontato da uno scaffale nel cui centro sono incassati uno specchio e una stampa inglese. Infine, parete diritta fino al proscenio, con porta nel mezzo. A destra della scena, verso il fondo, in modo da lasciar libero da qualsiasi ostacolo lo spazio che separa il piede sinistro del letto dalla porta di destra in primo piano, un tavolino-scrittoio disposto obliquamente; addossato al tavolino, e alla sua sinistra, un divano; alla destra del tavolino, una poltrona da ufficio. Sopra il comodino, fissata al muro, un po’ più in alto rispetto alla testata del letto, una lampada elettrica che può essere accesa da un interruttore fissato al muro, leggermente più in alto e sulla destra rispetto al comodino, nonché da una peretta che pende a capo del letto. Sotto l’interruttore, il tasto di un campanello elettrico e infine, sotto il tasto, altro interruttore che si immagina debba accendere il lampadario in bronzo che pende in mezzo alla camera. A destra del caminetto, in prossimità della porta, un portavasi montato o posato su un trespolo (mettere un po’ d’acqua nel portavasi). Sulla consolle di fondo, un cappellino da donna e una maschera grottesca con mandibola mobile. Sul tavolino-scrittoio, un candeliere, un tampone di carta assorbente, uno schedario e tutto l’occorrente per scrivere. Sulla poltrona da ufficio, un abito da sera da donna, molto elegante. Sul comodino, una bottiglia di champagne vuota.

ATTO III - QUADRO I: la sala dei matrimoni in Municipio. A sinistra, in secondo e terzo piano, a “pan coupé”, un grande arco che immette su un vasto atrio, al quale si accede per mezzo di due gradini. In primo piano, perpendicolarmente alla ribalta, muro pieno cui è addossata una panca che ne occupa tutta la lunghezza. Sul fondo, subito dopo l’arco, grande parete obliqua. Al centro, una porta che immette nei corridoi del Municipio. A destra, in secondo piano, porta che immette nell’ufficio del sindaco. Tre tavoli sono disposti parallelamente al muro di destra. Quello di mezzo, più grande degli altri, è posto su una pedana: è il tavolo del sindaco; è coperto del tradizionale tappeto verde o granata, secondo la decorazione della sala. Dietro il tavolo, una poltrona. In alto, su una mensola applicata al muro, il busto della Repubblica. Una sedia ad ognuno degli altri due tavoli. Al proscenio, parallelamente alla ribalta e accanto al tavolo più vicino al pubblico, una panca senza schienale, per due persone. Di fronte al tavolo del sindaco, le due poltrone degli sposi, con due sedie ai lati; poi sul fondo, continuando la fila ma formando un angolo retto con essa, due sedie di fronte al pubblico. Questa prima fila deve essere molto obliqua, in modo che gli spettatori riescano a vedere il più possibile gli interpreti. Disporre pertanto i mobili della prima fila su una linea che parte pressappoco dalla buca del suggeritore e raggiunge il fondo della scena, a due metri circa dall’angolo di destra. Dietro alla prima fila, una seconda fila di cinque sedie, questa fila è un po’ meno obliqua della prima, poi due file di panche senza spalliera, di cui la penultima deve essere meno obliqua della fila di sedie e l’ultima disposta perpendicolarmente alla scena. Sul tavolo del sindaco, un calamaio, un codice civile di piccolo formato, diverse carte. Un registro sui due tavoli ai lati di quello del sindaco.

ATTO III - QUADRO II: la camera da letto di Amelia. In primo piano a destra, isolato e molto elegante, il letto. In capo al letto, dal lato del pubblico, mobiletto che fa da comodino. Ai piedi del letto, addossato ad esso, un divanetto. Sempre a destra, a “pan coupé”, una finestra. A sinistra, in primo piano, porta principale d’ingresso. Una sedia fra il sipario e la porta. In secondo piano, a “pan coupé”, un caminetto, sormontato dallo specchio, con le sue suppellettili. Sul fondo, in mezzo, porta che immette nello spogliatoio di Amelia. Contro il muro, a destra della porta, un divano. Contro il muro, a sinistra della porta, mobile di appoggio. Il rimanente dei mobili a piacere. Sulla spalliera del letto, una vestaglia di Amelia.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Amelia, Bibichon, Palmira, Yvonne, Valcreuse, Boas, poi Stefano

All’alzarsi del sipario, Amelia è in piedi, accanto al pianoforte, e sta facendo ascoltare il grammofono agli invitati. Bibichon, con un sigaro in bocca, è seduto sul divano, fra Palmira, all’1, e Yvonne, al 3. (Palmira è seduta sul bracciolo del divano). Valcreuse, di spalle, e Boas, di fronte al pubblico, sono seduti al tavolo da gioco e giocano a carte. Il grammofono è in funzione ed esegue una famosa aria cantata da Caruso. Tutti ascoltano religiosamente dondolando la testa estasiati. (Il pezzo cantato da Caruso è l’aria del “Trovatore” “Di quella pira…”, registrato dalla Société des gramophones. Mettere il disco in movimento quando il sipario è ancora chiuso e fermarlo soltanto alla fine dell’ottava battuta dopo il ritornello, a “M’arse avvampò”)

YVONNE - (ad un passaggio di Caruso di grande effetto alla tredicesima o quattordicesima battuta) Oh! Stupendo!

PALMIRA - (estasiata) Ah!

AMELIA - Eh! Davvero!

TUTTI - (deliziati) Ah! (Ascoltano)

BIBICHON - (alla diciassettesima battuta) Ma chi urla a questa maniera? È Caruso?

AMELIA - (venendo un poco avanti) “Chi urla”! Ce ne fossero, di urla come queste!

BIBICHON - (mentre il disco continua a girare) Ma sì, che canta. È un modo di dire! Dio sa se ne indovino mai una! Ah! Quella canaglia ha davvero una bella voce!

YVONNE - (che vuole ascoltare) Sì, sì, sta’ zitto!

PALMIRA - Sta’ zitto, andiamo!

BIBICHON - Una voce benedetta da Dio!

TUTTI - Silenzio!

BIBICHON - Ma sì! (Religioso silenzio. Le donne sono al settimo cielo. Arriva una nota tenuta, a effetto, di Caruso, verso la ventinovesima o trentesima battuta; tutti rimangono come sospesi alle labbra del tenore assente. Occhi perduti nel vuoto, arie sdilinquite, finché la nota dura. Quando la famosa nota finisce, tutti accompagnano con la voce Caruso, come fanno gli spettatori all’Opéra, che si credono obbligati a canticchiare assieme all’artista) Ah! Ah! Ah!

TUTTI - (insorgendo contro Bibichon) Ah! No!… No, tu no!

BIBICHON - Eh?

YVONNE - Tu non ce l’hai, la voce benedetta da Dio.

PALMIRA - Caruso può bastare!

BIBICHON - D’accordo, d’accordo! Lo facevo solo per dare volume.

YVONNE - Lo abbiamo capito! Ma tu non dare volume, per piacere, e lasciaci ascoltare!

BIBICHON - Ma io non vi impedisco di ascoltare, piccine mie.

YVONNE e PALMIRA - Sì, sì, basta!

TUTTI - Oh!

BIBICHON - Canterellavo con discrezione, non pensavo che…

TUTTI - Oh! Oh! (Parlare in questo modo, a piacere, fino alla fine del pezzo)

YVONNE - Ma sta’ zitto, insomma! (Ad Amelia, non sentendo più il grammofono) E ora?

AMELIA - (toglie il disco e, durante quel che segue, lo sostituisce con un altro) È finito!

PALMIRA - (girandosi verso Bibichon) Ecco, è finito; e abbiamo sentito solo Bibichon!

BIBICHON - Ma in carne ed ossa, se non altro!

AMELIA - Ah! E il più bello deve ancora venire.

VALCREUSE - (ad Amelia) Hai qualcosa della Delna?

AMELIA - No! Ma ho il monologo di Teramene detto da Sylvain.

TUTTI - (con un solo grido) No!

AMELIA - Bene, aggiudicato!

BIBICHON - (si alza e si dirige verso il pianoforte dal lato della tastiera, per cercare un sigaro) Comunque questo grammofono è veramente un’invenzione meravigliosa! Se si pensa che fra cento anni potremo sentire la voce di gente morta da anni e anni!…

PALMIRA - (ridendo) Oh! Fra cent’anni!…

BOAS - TU, soprattutto!

BIBICHON - (mentre sceglie un sigaro) Sì, sarò un po’ rinsecchito! (Si mette il sigaro in bocca e lo accende al lume della candela accesa che si trova nel candeliere sopra il pianoforte)

AMELIA - (osservando il gioco scenico) Oh! Un altro! Senti, Bibichon, sei peggio di una ciminiera! Già non ci si respira più, qui dentro…

BIBICHON - (mentre accende il sigaro) L’ultimo! L’ultimo! (Sofia sulla candela)

AMELIA - Toh! Sentite questo, vediamo se lo conoscete!

TUTTI - (con curiosità) Ah! Cos’è? Cos’è?

AMELIA - (gaiamente misteriosa) Eccolo qua!

YVONNE - Aspettate! Aspettate! Cerchiamo di indovinare.

BIBICHON - (passando a destra, al di là del divano) Oh! Io mi conosco, non indovinerò di certo! (Amelia ha messo il disco in movimento. Si sente la musica della “Marsigliese” eseguita dalla guardia repubblicana)

TUTTI - (ridendo e imprecando contro il disco) Oh! Basta!

BIBICHON - (venendo avanti, all’estrema destra) Ah! No, no, questo no! Sono monarchico, io! La Marsigliese, grazie tante! Andava bene sotto l’impero… quando ero repubblicano!

YVONNE - Sei dell’impero tu?

BIBICHON - (davanti a Yvonne) Oh! Un poco… molto poco!

PALMIRA - (ingenuamente) Hai conosciuto Napoleone I?

BIBICHON - Ah! No, piccina mia, no, non quell’impero lì! (Così dicendo dà un buffetto amichevole sulla guancia di Palmira e si porta al centro della scena)

VALCREUSE - (sempre giocando a carte) Cosa ci fai con noi, allora, se sei dell’impero?

BOAS - È vero! Perché non sei con quelli della tua generazione?

BIBICHON - (dondolandosi con civetteria) Oh! Voi non lo permettereste!

BOAS - Perché?

BIBICHON - (molto strascicato) Sono vecchi!

AMELIA - Va’ là, bamboccio!

BIBICHON - Ma guarda un po’!…

VOCE DI STEFANO - (in quinta a destra) Ah! Perdinci!

YVONNE - (ad Amelia) Ah! La voce del tuo folle amante!

TUTTI - Stefano! (Stefano entra da destra. Porta pantaloni da ufficiale; è in maniche di camicia senza colletto. Tiene la giubba sul braccio)

STEFANO - (passa dietro il divano e viene avanti al centro della scena) Amelia!… Non capisco! Non capisco più!…

AMELIA - Eh? Cosa non capisci?

BIBICHON - Niente di niente.

STEFANO - (indicando i pantaloni, troppo corti di tre o quattro centimetri) No! Non capisco che succede con i miei pantaloni! Sono aumentato ancora di statura![1] (Tutti ridono)

AMELIA - Ah! Bene!

STEFANO - Toh, guarda! Almeno cinque centimetri dalla mia ultima ferma.

AMELIA - Ma è vero!

BIBICHON - (motteggiando) Cresci ancora, mio caro?

STEFANO - (mostrando i pantaloni) Ma guardate qui! Per fortuna ho avuto l’idea di provarli!… Se fossi partito stasera per i miei ventotto giorni di ferma, allora sì che sarebbe stato bello domani presentarsi al corpo! (Ad Amelia) Me li fai allungare, eh?

AMELIA - Certo! E dovresti provare anche la giubba, già che ci sei.

STEFANO - Dici? (Senza transizione) Ah! Che odoraccio di sigaro c’è qui dentro! (Si sposta verso il fondo e durante le battute che seguono indossa la giubba)

AMELIA - (a Bibichon) Ecco! Te lo avevo detto!… Farò aprire la finestra. (Suona)

BIBICHON - (vivacemente, rialzando il bavero) Ah! No!… Oppure mi metto lì; non ho voglia di rimetterci la pelle. (Parlando si è portato davanti al divano)

STEFANO - Delicatino, lui!

BIBICHON - Grazie tante! Nel momento della digestione! A meno che non mi tenga Palmira sulla schiena e Yvonne sulla pancia!… (Cosi dicendo, si è lasciato cadere sul divano fra Palmira, contro la quale aderisce con la schiena, e Yvonne, che si attira al petto)

BOAS - (motteggiando, dal suo posto, e sempre giocando a carte) Ma sì, Palmira sì, se vuoi; ma Yvonne te la puoi scordare!

BIBICHON - (senza cambiare posizione, modulando il tono) Boas, bimbo mio, nessuno ti chiede niente.

BOAS - (con lo stesso tono modulato) Desolato! Ma è la mia amante.

BIBICHON - (stesso tono) Boas, bimbo mio, forse è la tua amante, ma ciò non toglie che sia maggiorenne…

YVONNE - (vivacemente, dandogli una gomitata) Ma no!

BIBICHON - Insomma, è talmente emancipata che merita di essere maggiorenne; e dunque, se è la tua amante, è anche amante della sua libertà… (Con tono scherzoso) e di un mucchio di altra gente che non conosciamo.

YVONNE - (mezzo ridendo e mezzo risentita) Ehi! Dì un po’!

BIBICHON - (a Yvonne) Zitta! (A Boas) Pertanto, bimbo mio, tu non hai voce in capitolo.

BOAS - (allegramente a Valcreuse) È insopportabile!

SCENA SECONDA

Gli stessi, Adone

ADONE - (livrea da domestico, spigata, a bottoni d’oro) La signora ha suonato?

AMELIA - (dal fondo, con Stefano) Sì! Aprite la finestra! E poi portate via le tazze e i bicchierini che sono in giro!

BIBICHON - (balzando in piedi e precipitandosi sul suo bicchierino, lasciato pressoché pieno sul tavolo da gioco) Ehi! Il mio no! Non ho finito. (Lo vuota di colpo, lo rimette sul tavolo, poi dando un buffetto sulla guancia n Adone) Dai!… Muoviti! Impiastro! (Adone, durante le battute che seguono, va ad aprire la finestra e raccoglie qua e là i bicchierini)

AMELIA - (agli invitati) Su! Siete pronti?

TUTTI - Pronti. (Tutti si alzano tranne Boas che finisce di riordinare il mazzo di carte. Valcreuse, dall’estrema sinistra, raggiunge gli altri sul fondo)

BIBICHON - (a Boas, sempre seduto) Venite con noi, Ser Pente?

BOAS - (stupito dell’appellativo) Cosa?

AMELIA - Come l’hai chiamato?

BIBICHON - (con l’aria più naturale di questo mondo) Ser Pente.

AMELIA - (ripetendo senza capire) Ser Pente?

BIBICHON - (col tono di uno che risolve un problema) Si chiama Boas! Io lo chiamo Ser Pente. (Vedendo che nessuno capisce, con aria ispirata) Ser Pente Boas![2]

TUTTI - (ridendo) Ah! Divertente! Ah! Mica male!

BOAS - (piccato) Oh! Spiritosissimo!

BIBICHON - (con aria ispirata) No, è idiota! Il bello è tutto lì! Su! Vieni, Ser Pente!

BOAS - (lasciandosi trascinare) Oh! Divertentissimo! Divertentissimo.

AMELIA - (ridendo) Ah! Ah! Gli rimarrà!

TUTTI - Gli rimarrà. (Conversazione generale: tutti commentano la battuta di Bibichon mentre, per uscire, si spostano verso l’arco a destra. Adone, accanto al piano, finisce di disporre sul vassoio le tazze e i bicchierini raccolti un po’ dovunque. Appena gli altri sono usciti di scena, prende la bottiglia di chartreuse con la mano destra, la stura, guarda se qualcuno lo vede, riempie di liquore un bicchierino che tiene nella mano sinistra, depone la bottiglia; poi fa due passi avanti e, decisamente di fronte al pubblico, beve il contenuto del bicchierino)

AMELIA - (ritorna a cercare un fazzoletto che nell’uscire ha lasciato sbadatamente cadere, comparendo nel momento giusto per sorprendere Adone; lancia un grido soffocato) Oh! (Senza abbandonare con gli occhi Adone, raccoglie il fazzoletto)

ADONE - (non l’ha vista entrare e dopo aver bevuto si strofina lo stomaco) Ah! Buono!

AMELIA - (afferra Adone all’avambraccio sinistro, gli fa fare una giravolta e gli somministra un solenne ceffone sulla guancia sinistra) Ah, sì? E questo com’è?

ADONE - (facendo un balzo indietro) Oh!… (Improvvisamente con la mano destra dà a tutta forza un sonoro ceffone ad Amelia) Carogna! (Depone rapidamente sul vassoio il bicchiere che ha nella mano sinistra e fugge verso il proscenio a sinistra)

AMELIA - (che ha visto le stelle) Oh!

TUTTI - (Stefano, Palmira, Bibichon e gli altri si sono affacciati all’arco proprio nel momento preciso in cui Amelia si prendeva lo schiaffo) Oh!

STEFANO - (balza su Adone e lo afferra ai fianchi seguito da Boas e Valcreuse) Cos’hai fatto? Cos’hai fatto?

AMELIA - (quasi contemporaneamente a Stefano) Mi ha dato uno schiaffo! Stefano! Mi ha dato uno schiaffo!

PALMIRA e YVONNE - Oh!

STEFANO - Mascalzone!

BOAS - Farabutto!

VALCREUSE - Pendaglio da forca! (Vogliono buttarlo fuori)

ADONE - (dibattendosi fra le loro braccia e mostrando ad Amelia il pugno sopra la spalla di Stefano) Certo! Così imparerà, quella smorfiosa!

AMELIA - Mi ha chiamato smorfiosa!

TUTTI - Oh!

ADONE - (come sopra) Smorfiosa! Sì! Smorfiosa!

PALMIRA - È una cosa indecente!

STEFANO - Animale!

BOAS - Malvivente!

VALCREUSE - Mascalzone![3]

AMELIA - Buttatelo fuori! Buttatelo fuori!

ADONE - (dibattendosi mentre viene trascinato dalla massa verso l’anticamera) Lasciatemi! Manica di vigliacchi! Manica di vigliacchi! (Escono tutti in gruppo seguiti da Amelia che li esorta)

YVONNE - (sta al proscenio sulla destra; quando tutti sono fuori scena, con calma) Grazioso, il piccino!

BIBICHON - (ha seguito gli altri come se dovesse prender parte all’azione, in realtà con lo scopo egoistico di chiudere la finestra) Sono dei bei rompiscatole con la loro finestra aperta! (Chiude la finestra, viene avanti sulla sinistra per sedersi nel posto occupato in precedenza da Valcreuse al tavolo da gioco. Nello stesso momento irrompono e vengono avanti tutti quelli che hanno appena messo fuori Adone. Parlano tutti assieme)

AMELIA - (che è la prima a venire, avanti) È odioso! È abominevole!

STEFANO - (nervosissimo) Non so chi mi abbia trattenuto dal rompergli la testa!

AMELIA - (che è andata a sedersi sul divano, all’1, accanto a Yvonne, al 3) Ma avete sentito? Avete sentito? Smorfiosa!

PALMIRA - (in piedi, dietro il divano, sulla sinistra) E ha alzato le mani su di te!

TUTTI - Oh! (Boas è venuto avanti fino al proscenio, sulla destra, passando dal fondo)

STEFANO - (cammina rabbiosamente avanti e indietro, con le mani nelle tasche dei pantaloni, agitando nervosamente il denaro e gli altri oggetti che vi sono contenuti) Imparerai a prendere a servizio il primo vagabondo che ti capita! Sono sicuro che non hai neanche preso informazioni!

AMELIA - (con tono seccalo, alzando le spalle) Ma sì! Ma sì!

STEFANO - (senza smettere di camminare, fermandosi ogni tanto mentre parla) Sì, oh! Come fai tutto il resto, senza dar peso a niente!…

AMELIA - Naturalmente, la colpa è mia.

PALMIRA - Ah! Mia cara, in quest’epoca di malviventi non bisogna mai fidarsi!

AMELIA - Arnica mia, se l’ho preso, vero, è perché…

STEFANO - (stesso gioco) Ma chi, chi te l’ha consigliato?

AMELIA - Certe persone… di cui potevo fidarmi.

STEFANO - (quasi gridando) Chi?

AMELIA - (seccata) La sua famiglia!

STEFANO - (alzando le spalle e tornando nervosamente verso il fondo) Sì, oh! Chissà che brava gente!

AMELIA - (vivacemente) Certo che lo è!

STEFANO - (sempre camminando e arrestandosi un istante per rivolgersi a Valcreuse, in piedi alla destra del tavolo da gioco) Ah! Fortuna per lui che è un domestico, altrimenti riceveva i miei padrini! (Viene avanti all’estrema sinistra)

VALCREUSE - Addirittura! (Valcreuse raggiunge il divano)

STEFANO - (all’1, a Bibichon, al 2) Ah! E fortuna per lui che è solo un ragazzo!

BIBICHON - (intento a fare un solitario, senza voltarsi) Sì… questo soprattutto!

STEFANO - (girandosi rapidamente verso Bibichon) Perché “soprattutto”?

BIBICHON - (voltandosi a metà) Toh! Perché vorrei poter dire altrettanto di me.

STEFANO - (alzando le spalle) Oh! (Ad Amelia) Voglio sperare che tu non tenga quel teppista un’ora di più.

AMELIA - (alzandosi e facendo nervosamente qualche passo in direzione dell’anticamera) Ah! Quello!… Passerà la notte sotto un ponte, all’albergo dei poveri, affari suoi! Ma non qui! Chi lo vuole se lo prenda!

YVONNE - (a Boas, molto ingenuamente) Senti, forse potremmo prenderlo noi!

BOAS - (con convinzione) Ah no! Grazie tante!

YVONNE - Povero ragazzo, non si può nemmeno abbandonarlo sul lastrico!

AMELIA - (venendo avanti, a Yvonne) No, ma… eh, lo vuoi tu?

BOAS - Perché non gli offri subito il tuo letto?

YVONNE - (leziosa) Oh! Ma no! Andiamo! Tu vai subito all’estremo. (Nello stesso momento la porta dell’anticamera si apre rapidamente ed entra Pochet)

SCENA TERZA

Gli stessi, Pochet

POCHET - (fermandosi sul vano della porta, con tono sbrigativo) E allora, cos’è stato?

TUTTI - Ah! Signor Pochet! (Tutti si avvicinano al centro)

AMELIA - Papà, arrivi a proposito!

POCHET - (venendo avanti fra Amelia e Stefano; seccamente) Cos’è successo? Che cosa gli hai fatto, ancora, a Adone?

AMELIA - Io?

POCHET - L’ho trovato che piangeva. A quanto pare gli hai dato uno schiaffo davanti a tutti.

TUTTI - Oh!

AMELIA - Oh, questa poi!

STEFANO - Ma se è stato lui che ha alzato la mano su Amelia!

PALMIRA - Ah! Signore, se foste stato qui avreste visto!

VALCREUSE - È una piccola canaglia, dovrebbe essere arrestato!

BOAS - È una vergogna! È lui che ha picchiato Amelia![4] (Parlando tutti in una volta, i presenti si sono avvicinati a Pochet)

POCHET - (allontanando tutti e con un tono che non ammette repliche) Ah! Per favore! (Tutti tacciono. Pausa. Ad Amelia, categorico) Gli hai, sì o no, mollato una sberla per la prima?

AMELIA - Si sbevazzava i liquori.

POCHET - (imperativo) Non è di questo che parlo! (Pausa) Gli hai dato una sberla per la prima, sì o no?

AMELIA - (con un gesto evasivo del braccio) Ma sì, evidente!

POCHET - (categorico) Sufficit! In materia di duello, il regolamento è perentorio: l’offeso è quello che ha ricevuto il primo schiaffo! Il resto non conta.

STEFANO - Oh! Permettete!…

POCHET - (con tono di comando) Ah! Non ammetto repliche! (Pausa) Suppongo di essere, a un dipresso, riversato quanto voi in materia di onore! Vecchio brigadiere dei vigili urbani, ex comandante di reggimento dei medesimi, capite bene che avete poco da insegnarmi! Bene, lui si è preso la sberla e per di più gli avete dato anche una bella strigliata… l’offeso è lui.

AMELIA - Ah, allora dillo subito che il torto è mio.

POCHET - Perentoriamente!

TUTTI - (indignati) Oh!…

POCHET - Senza contare che una donna non picchia un uomo! È contro lo statuto!

STEFANO - Ma insomma! Cosa vi aspettate? Che sia lei a chiedergli scusa?

POCHET - (altero) E perché no?

TUTTI - (convergendo in massa su Pochet) Oh! Ma insomma!…

POCHET - (allontanando tutti con aria da vigile urbano) Ah! Signore, prego, circolare! Circolare, signori!

TUTTI - Oh!

POCHET - (ad Amelia) Il duello non è possibile, no? Ebbene, quando si ha torto, non c’è niente di male a riconoscerlo.

STEFANO - (disgustato) Questo è troppo!

POCHET - (con tono seccato, chinandosi verso Stefano che Amelia separa da lui) Signor Stefano, io converso con mia figlia; vogliate dunque avere quella cosa di non inserirvi nelle nostre discussioni intestinali. Quando litigate con Amelia, nevvero, io ho quella di non metterci il becco. Bene, vogliate avere quella di fare la stessa cosa.

STEFANO - (mordendo il freno) Oh!

POCHET - (ad Amelia, con bonomia) Su Amelia! Apriti! Digli una parola!

YVONNE - (che si trova al 5, accanto a Pochet che è al 4, intervenendo) S’io fossi in te…

POCHET - (girandosi rapidamente verso di lei e con tono sbrigativo) Ah! Signora, per piacere!

YVONNE - (sconcertata) Ma no, io dico come voi!

POCHET - Ah?… Ah! Bene! Forza, allora! (Sempre parlando, lascia passare Amelia e fa qualche passo verso il fondo)

YVONNE - Su, digli una parola!

POCHET - (venendo avanti, al 3) E tu, dalle retta!

AMELIA - Ah! No, no, questo no!

STEFANO - (non ne può più) Ah, non lo farai, spero!

POCHET - (voltandosi verso Stefano) Insomma, signore!…

STEFANO - (venendo avanti all’estrema sinistra) Ma perdio! Ho il diritto di dire quel che penso!… Sono qualcuno qui dentro!… Sono io che pago!

POCHET - Va bene, basta così! Accontentatevi di questo.

STEFANO - (schiumando rabbia) È troppo! (A Bibichon, che indifferente alla scena continua a fare il solitario) Insomma, è così o no?

BIBICHON - (con un gesto di insofferenza) Oh! Io, tu lo sai… non conto niente!

STEFANO - Oh! Naturalmente! (Torna dall’estrema sinistra e si ferma al 2, sul fondo)

POCHET - (ad Amelia) Allora? Siamo intesi?

AMELIA - D’accordo, papà, visto che me lo chiedi.

STEFANO - (esasperato) Ah! No, no! Preferisco andarmene. (Esce attraverso l’arco)

POCHET - (mentre Stefano se ne va) E allora andatevene! (Spostandosi alla sinistra, brontolando) Mancare così di tattica! (Ad Amelia) Ti mando Adone, va bene?… Niente scuse, naturalmente… no!… Semplicemente… digli una buona parola!

AMELIA - Va bene.

POCHET - (parlando è tornato verso il fondo; giunto sul vano della porta, al momento di uscire si gira; da lontano ad Amelia) Digli una buona parola. (Esce. Appena ha chiuso il battente della porta dietro di sé, Boas, Palmira, Valcreuse, che non hanno detto una parola fino a quel momento, si precipitano verso Amelia, parlando tutti assieme)

PALMIRA - Ah! Tu sei troppo buona!

BOAS - Ah! Io non lo farei certamente!

VALCREUSE - Sei davvero una brava ragazza!

PALMIRA - Oh! Sì, davvero!

AMELIA - (dirigendosi verso l’arco a destra) Oh! Cosa volete farci! È il papà!

YVONNE - Ha perfettamente ragione!…[5]

BIBICHON - (che si è alzato) In fondo, tutto questo non ha nessunissima importanza.

AMELIA - Un momento! Chiedo scusa un momento. (Tutti escono. Pausa. Amelia è accanto al pianoforte e meccanicamente mette in ordine gli oggetti che ci sono sopra. Si sente bussare alla porta dell’anticamera) Avanti!

SCENA QUARTA

Amelia, Adone

AMELIA - (con tono distaccato, vedendo entrare Adone) Ah! Sei tu…

ADONE - (è venuto avanti poco oltre il pianoforte; è di fronte al pubblico, sta sulle sue senza guardare Amelia) La signora mi ha fatto chiamare?

AMELIA - (venendo un poco avanti) Eh? Sì?… (breve pausa) Su, vieni! (di malavoglia, Adone fa un passo verso di lei. Arcigno e imbronciato, tiene gli occhi ostinatamente fissi in direzione del pubblico, nel vuoto) Allora!… Mi serbi rancore? (Adone risponde con un’alzata di spalle, dimostrando il suo malumore. Continua a non guardare Amelia che si siede sulla sedia che sta contro il pianoforte) Ti ho fatto male, poco fa?…

ADONE - (sempre senza guardarla) Oh! Se fosse solo quello!…

AMELIA - E allora? (Silenzio di Adone) Su, andiamo, smettila di tenere il broncio! (Silenzio di Adone) Ti ho fatto soffrire? (Con slancio, attirandolo a sé) Su, vieni, sciocchino! (Adone cade a sedere sulle ginocchia di lei)

ADONE - (sulle ginocchia di Amelia) Oh! Mi hai profondamente umiliato!

AMELIA - (da brava figliola) Ma dai, stupidone… (Adone la guarda, esita, poi preso da un subito slancio, le getta singhiozzando le braccia al collo) Lo sai che ti voglio bene!… (Lo bacia teneramente, circondandogli il collo col braccio destro e le gambe col braccio sinistro. Nello stesso momento, all’arco di destra, compaiono Stefano, Palmira, Bibichon e gli altri)

SCENA QUINTA

Gli stessi, Stefano, Palmira, Yvonne, Boas, Bibichon, Valcreuse poi Pochet

STEFANO - (entra per primo e sobbalza sbalordito vedendo Adone sulle ginocchia di Amelia) Oh!

TUTTI - (come un’eco, con lo stesso sobbalzo) Oh!

ADONE - (vedendo Stefano, piroetta sulle ginocchia di Amelia e cerca di sciogliersi dall’abbraccio) Lasciami!… Lasciatemi! (fugge all’estrema sinistra)

AMELIA - (senza alzarsi, col tono più naturale) Eh? Che c’è?

TUTTI - (schifati) Oh!

POCHET - (ricomparendo alla porta di fondo) Allora, è fatta?

STEFANO - (furioso, venendo avanti in scena, a Pochet, al 2) Potete essere contento, signore! Ho appena trovato la signora col suo domestico sulle ginocchia!

POCHET - (estasiato) Ah? Perfetto!… Allora la pace è fatta? Benissimo!

TUTTI - Cosa?

STEFANO - Va a letto col cameriere, accidenti! Va a letto col cameriere!

AMELIA - (ergendosi, indignata) Ma cosa dici?

ADONE - (facendo un balzo in avanti) Ma cosa dite?[6]

POCHET - (con un sobbalzo di indignazione) Disgraziato! (Con gesto dignitoso, riabbottona la finanziaria, compie freddamente due passi verso Stefano, poi teatralmente) È suo fratello!

TUTTI - (sbalorditi) Eh?

AMELIA e ADONE - (facendo istintivamente un passo avanti verso Pochet e con tono di rimprovero) Papà!

POCHET - (torna a mettersi al 2, fra Adone, all’1, e Amelia, al 3; essi formano così una linea obliqua davanti a Stefano che è in piedi alla sinistra del divano) Al diavolo tutto! Cosa fatta capo ha. Vedo mica perché nasconderei una cosa che è molto chic per Amelia!… (Con una mano sulla spalla di Amelia) Quando si tratta della famiglia, lei almeno, non sta lì senza fare una piega!… Come tante altre! Lei ha pensato: (scandendo ogni frase e accompagnandola con un colpetto sulla spalla di Amelia) “Ho un fratello; ho dei doveri!” E se l’è preso in casa sua!… Come domestico!

AMELIA - Papà, via!

POCHET - No, no! Ci tengo a dirglielo! (Agli altri) Eh? Quante che ne trovate che avrebbero fatto la stessa cosa?

TUTTI - (scambiandosi le loro opinioni) Ah! Sì, sì!… Questo sì!… Ah, evidentemente!

POCHET - (senza lasciare Amelia con la mano sinistra, prende la testa di Adone con la mano destra) Povero ragazzo anche tu! Guarda un po’ che cosa ti ritenevano capace di fare! (Lo bacia. Quindi, dirigendosi verso Stefano) A questo punto, signore, spero che non rifiuterete di ottemperare al ritiro delle vostre allegazioni suppositorie…

STEFANO - (con aria canzonatoria e col tono un po’ strafottente) Cosa?

POCHET - (quasi voltando le spalle al pubblico e in piena faccia a Stefano) …e pornografiche! (Va verso il fondo, poi viene di nuovo avanti, al 2)

AMELIA - (fa un passo verso Stefano e con gentilezza, indicando Adone) Su!… Dagli la mano!

STEFANO - (altezzoso) A lui?

BIBICHON - (dandogli un colpetto sulla parte alta della gamba) Certo!… È tuo cognato.

STEFANO - (protestando) Oh!… Della mano sinistra.

AMELIA - Ma sì, dagli quella! La destra o la sinistra… (Spinge Adone verso Stefano)

STEFANO - (contrariatissimo, esita un istante, si toglie la mano di tasca e, come pentito, le da un’occhiata; poi si decide e la tende verso Adone, tenendola bassa e a distanza. Sdegnosamente, girando la testa dal lato opposto a quello di Adone) E va bene! Andiamo! (A Adone, tendendogli la mano) Come… come va?

ADONE - (fanciullone, stringendogli la mano) Non c’è male! E voi?

STEFANO - Non c’è male, grazie! (Ad Amelia) Ecco, sei contenta? (Si porta accanto al pianoforte. Campanello)

AMELIA - Adone, hanno suonato! Abbraccia tua sorella, caro! (Adone le salta al collo come un ragazzo) Va’ ad aprire!

ADONE - Sì! (Corre saltellando fino alla porta di fondo ed esce)

BIBICHON - (lo guarda uscire, poi con tono di comica ammirazione) Bella cosa la famiglia!

STEFANO - Chi può essere a quest’ora? Aspetti qualcuno?

AMELIA - (dirigendosi verso il pianoforte) No, nessuno.

YVONNE - (facendo l’alto di ritirarsi) Senti! Se hai gente!…

PALMIRA - (imitando Yvonne) Ti lasciamo.

AMELIA - (trattenendole) Oh! No, non lasciatemi! Aspettatemi di là… (Indica l’arco) Non sarà una cosa lunga! (A Adone, che ritorna) Beh?…

ADONE - (con un sorrisetto idiota) È una signora che ti vuole parlare in confidenza!

STEFANO - (orripilato) “Ti vuole parlare in confidenza”! (Ad Amelia) No! Ascolta, devi scegliere!… Se è tuo domestico, non ti deve dare del tu. E se è tuo fratello, gli devi togliere la livrea.

AMELIA - Oh! Non seccare! (A Adone) Chi è quella signora?

ADONE - (da idiota, sempre sorridendo) So mica!

AMELIA - Come “so mica”?

ADONE - Non ha voluto dire il nome!

AMELIA - (agli amici) Oh, questo non si fa!… (A Adone) È una donna per bene?

ADONE - (con un versaccio) Pfff! (Con disprezzo) Sembra della buona società.

STEFANO - Siete gentile con le signore della buona società!

ADONE - (viene un poco avanti in scena; con tono sbarazzino) Insomma, non è chic come Amelia! È vestita di scuro!

BIBICHON - (sempre seduto sul divano) Al signore piacciono le cose vistose!

ADONE - Figurati!

BIBICHON - Eh?

AMELIA e POCHET - (richiamandolo all’ordine) Adone!

STEFANO - (richiamandolo all’ordine) Ehi!

ADONE - Oh! Scusate! Mi è scappato!

AMELIA - Sarà per una questua. Le donne della buona società ti vengono a trovare solo in questi casi. (A Adone) Falla entrare; vediamo un po’. (Adone riparte saltellando ed esce dal fondo)

STEFANO - (sul vano dell’arco, ad Amelia) Ti aspettiamo di là.

TUTTI - (seguendolo) Anche noi.

BIBICHON - (durante l’azione precedente si è alzato ed è andato verso il fondo passando a destra del divano. A Boas, prendendolo per il braccio) Su! Vieni, Ser Pente!…

BOAS - (trascinato da Bibichon) Oh! Bibichon! Che barba! (Escono)

SCENA VI

Amelia, Adone, Irene

ADONE - (entra e si tira da parte per dare il passo a Irene) Se la signora vuole entrare! (Irene entra. Abito corretto e severo. Una fitta veletta, interrotta all’altezza del naso, le nasconde il viso)

AMELIA - (con molta cortesia) Prego, signora!

IRENE - (avanza di due passi) È alla signora Amelia d’Avranches che…?

AMELIA - Sono io. (Le indica il divano e, mentre Irene viene avanti, va a prendere la sedia accanto al pianoforte e la trascina alla sinistra del divano. Adone esce. Attraverso i vetri della porta, sopra le tendine, si vede la testa di Adone che getta un ultimo sguardo canzonatorio verso Irene; poi scompare)

IRENE - (appena seduta) Ah! Signora! Il passo che mi accingo a fare è talmente delicato! Perciò l’emozione!

AMELIA - (accogliente) Vi prego, signora, calmatevi!

IRENE - Ecco! Si tratta… (vivacemente, come correggendosi) di un’amica.

AMELIA - (sedendosi) Ah!

IRENE - (scrutandola con l’occhialino) Scusatemi!… Vi guardo!… Mi sembra… è strano! Il vostro viso non mi è nuovo.

AMELIA - (atteggiandosi a donna di mondo) Dio mio, signora, è possibile! Io… frequento molto la…

IRENE - (con esitazione) No, no! Ma… voi prima di diventare… insomma, non siete sempre stata… eh!…

AMELIA - (comprende quel che Irene non osa dire) Oh! No, signora!… (Con aria di importanza) Sono figlia di un ex funzionario della Repubblica…

IRENE - (troncandole il discorso) Ah! No! No, allora no! Scusatemi, è una somiglianza!

AMELIA - Niente di male! Dicevate allora che siete venuta per?…

IRENE - (animatamente e sottolineando le parole) Per un’amica, sì! (Insistendo) Una mia buona amica!… Mi sono presa la briga… Ah, l’amicizia crea talvolta degli obblighi! Scusate se non vi dico il nome della persona…

AMELIA - (con bonomia) Sì, signora, sì.

IRENE - (credendosi in dovere di entrare in particolari) Ma è una donna sposata, voi capite! E nei riguardi di un marito, nevvero? Non bisogna dimenticare che si hanno dei doveri.

AMELIA - (vivacemente) Oh! Sarebbe a proposito del marito che?…

IRENE - (con naturalezza) No, no! È a proposito del suo amante.

AMELIA - (un po’ sconcertata) Ah?… Ah?

IRENE - (con calore) Ah! Signora, se sapeste!… Se sapeste come lei lo ama!

AMELIA - (approva maliziosamente col capo, poi) La vostra amica?

IRENE - (sconcertata) Eh? La mia… la mia amica, sì! È il suo primo amante, pensate!

AMELIA - (con comica compassione) Oh!… Povera donna!

IRENE - E voi non potete immaginare che cosa sia per una donna sposata “il primo amante”! Quel che rappresenta per lei: momenti deliziosi ed esitazioni! Lotte! Rimorsi di coscienza!

AMELIA - (un po’ sorridendo e un po’ con malinconia) Sì, signora, sì!

IRENE - (con una sorta di estasi) Ah! Il primo fallo! (Bruscamente e gentilmente) Ma, signora, queste cose le avete conosciute, immagino.

AMELIA - (con un tono leggermente birichino) E diamine!

IRENE - Ebbene, ricordatelo!

AMELIA - (malinconica, con uno sguardo vago) Sì!… Nel mio caso fu un danese!

IRENE - (con un sobbalzo di stupefazione) Un cane?…

AMELIA - Eh?… Oh no! Un uomo della Danimarca.

IRENE - Ah!… (Correggendo) Un danese.

AMELIA - (con un largo sorriso) È quello che ho detto…

IRENE - (rimane un istante sconcertata, ricapitola, poi si inchina davanti all’evidenza) Ah!… Ah! Sì! Sì, effettivamente, un… un danese.

AMELIA - (con un gesto di noncuranza) Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti!…

IRENE - (lasciandosi a poco a poco trasportare) Ah! Ma per lei, per la mia amica, certamente no! Per lei è il primo, è l’unico!… Ah! Se dovesse perderlo, ah! Sarebbe terribile!

AMELIA - (l’ascolta con aria maliziosa, dondolando la testa; bruscamente e gentilmente) L’amate dunque tanto?

IRENE - (compromettendosi apertamente) Oh! Alla follia!

AMELIA - (con lo stesso tono e lo stesso sorriso) Siete affascinante.

IRENE - Eh? (Confusa, alzandosi) Oh! Signora, signora! Cosa mi avete fatto dire! No, no, è… è la mia amica.

AMELIA - (che si è alzata istintivamente vedendo Irene alzarsi, con simpatia) Non vi fidate dunque di me?

IRENE - (vergognandosi) Oh! Signora.

AMELIA - (con tono scherzoso) D’altra parte non vi conosco, e dunque!… (Cambiando tono) E poi la discrezione è il nostro dovere professionale.

IRENE - (bruscamente) Ah! E poi, tanto peggio! Dobbiamo avere il coraggio dei nostri atti! Ebbene, sì, signora, sono io! (Si siede di nuovo)

AMELIA - (con malizia) Se credete che abbia impiegato molto a indovinare!…

IRENE - Oh, signora! Allora ditemi che non è vero quel che ho sentito dire. Oh! Sarebbe una cosa tanto cattiva! Voi potete averne quanti ne volete! Ma io, io ne ho uno solo, pensate!… L’universo intero, tutti gli altri uomini li lascio a voi! Ma lui no! Lasciatemelo!

AMELIA - (alzandosi) Cosa? Cosa?

IRENE - Non è forse vero che deve sposarvi?

AMELIA - Eh? Ma chi?

IRENE - Marcello Courbois!

AMELIA - Marcello Courbois? Deve sposare me? (Scoppiando a ridere) Ah! Ah! Ah! (Si sposta verso l’arco ridendo)

IRENE - (alzandosi e seguendo macchinalmente Amelia, con un movimento circolare che la porta all’1) Ehi, dove andate?

AMELIA - (con voce interrotta dal riso) Basta! (Chiamando) Stefano! Stefano!

VOCE DI STEFANO - Eh?

AMELIA - Vieni! Vieni un po’ qua! (Amelia viene avanti, al centro della scena, fino al divano. Irene si sposta fino al tavolo da gioco)

SCENA SETTIMA

Gli stessi, Stefano, poi più tardi tutti i personaggi che erano con Stefano nella stanza vicina

STEFANO - (arriva e si ferma all’altezza di Amelia, ma al di là del divano) Cosa c’è?

AMELIA - (quasi soffocando dalle risa) Questa signora… ah! Ah! Ah!…

STEFANO - (inchinandosi) Signora!

AMELIA - …è venuta a chiedermi tutta spaventata se…

IRENE - (interrompendo vivacemente) Per conto di un’amica!

AMELIA - (per darle soddisfazione) …di una sua buona amica…

STEFANO - Ah!

AMELIA - …se è vero che sposo Marcello Courbois…

STEFANO - (meravigliato e divertito) Marcello!

AMELIA - L’amante della signo… (Correggendosi in fretta, dopo un gesto di Irene) …dell’amica della signora.

STEFANO - Marcello! Tu! Tu! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah… Ah! Com’è buffo!

AMELIA - (lasciandosi cadere sul divano) Eh? (Si sbellicano dalle risa)

IRENE - (un po’ ridendo e un po’ piangendo) Ah! Ma davvero? Sì?… È… tanto buffo?

AMELIA e STEFANO - (contorcendosi) Ah, sì!… Sì!

IRENE - (come sopra) Come sono contenta! Non potete credere quanto sia contenta!

STEFANO - Davvero?

IRENE - (come sopra) Non capisco che cosa vi faccia ridere; ma vedo che ridete e… questo mi fa bene.

STEFANO - (considerandola con un sorriso ammirato e simpatico; maliziosamente) Ah, signora! Dovete amarla moltissimo la vostra amica.

IRENE - (annaspando) Eh? Sì… no!… Io…

AMELIA - (con bonomia) Vedete? Non riuscite a ingannare nessuno.

IRENE - (con forza) Ah! E poi, ora, ho preso la mia decisione! (Sempre parlando è giunta all’altezza della sedia che Amelia aveva portato accanto al divano)

STEFANO - (avanzando fra la sedia e il divano ma rimanendone un po’ al di là) Marcello Courbois! Ma chi ha potuto farvi supporre?…

IRENE - (siede sulla sedia accanto ad Amelia, che si è seduta sul divano) Ecco: è successo stamattina. Essendo domenica, sono andata alla messa delle undici…

STEFANO - Ah?

IRENE - …per trovarmi con lui a casa sua.

STEFANO - (seduto sul bracciolo sinistro del divano) Ah! Bene!

IRENE - Eh, sì! Capite benissimo che avendo marito non si può essere libere quando si vuole!… Allora, mentre si vestiva…

STEFANO - (correggendo maliziosamente) Volete dire si rivestiva, evidentemente.

IRENE - (molto ingenuamente) No!… Quando sono arrivata non si era ancora alzato…

STEFANO - Ah! Ah!… Ora capisco.

IRENE - Allora, così, per passare il tempo, ho frugato un po’ nelle sue carte.

STEFANO - Già… è naturale!

IRENE - …e ho trovato una lettera!… Ah! Quella lettera! O meglio la brutta copia di una lettera che Marcello aveva scritto al padrino e nella quale gli annunciava il suo prossimo matrimonio con la signorina Amelia d’Avranches.

AMELIA - (a Stefano) Con me! Ma ti pare?

STEFANO - È insensato! Cosa vuol dire?

AMELIA - (col gesto di chi non sa) Non lo so proprio!

STEFANO - (alzandosi) E non l’avete chiesto a Marcello?

IRENE - (alzandosi anche lei e come colta da paura a questa idea) Oh! No, no! Mi sarei vergognata!… Pensate! Se fosse stato vero!… E poi, per il modo con cui avevo scoperto la cosa!

AMELIA - (alzandosi) Avete preferito rivolgervi a me.

IRENE - (molto gentilmente, molto sinceramente, arretrando di un passo) Sì!

STEFANO - È tutto incomprensibile! (Passa dietro a Irene, spostandosi a sinistra mentre parla) Sentite, signora, io non sono in grado di darvi la chiave del rebus. Quando vedrò Marcello, glielo chiederò. In ogni caso state tranquilla! Vedo che Marcello vi interessa…

IRENE - (mentre Amelia va lentamente verso il fondo fino a giungere a poco a poco al 2) Oh! Se mi interessa!…

STEFANO - (con malizia) Certo!… Se mi diceste il contrario, non ci crederei! Bene, vi garantisco che le vostre apprensioni non hanno fondamento. Conosco benissimo Marcello, è il mio migliore amico…

IRENE - (al 3, troncandogli il discorso, con emozione) Ah!

STEFANO - (a prova di quel che ha affermato) Sono il suo confidente, e lui è il mio. E il solo fatto che Amelia è mia amica basta perché…

IRENE - (mangiandolo con gli occhi) Siete il suo confidente!

STEFANO - Tutti i suoi pensieri me li confida.

IRENE - (radiosa) Ma allora… mi conoscete…

STEFANO - (sconcertato, esitando) Io?… Ma… no, signora!

IRENE - (afflitta) Ah?… Oh, ma allora non mi ama!

STEFANO - Ma perché?

IRENE - Non ha sentito il bisogno!…

STEFANO - Non c’entra, signora! Il suo dovere di gentiluomo…

IRENE - No, no! Quando si ama veramente, al di sopra del dovere del gentiluomo c’è il bisogno di avere un confidente per parlargli della persona che si ama. Io, signore, io, signora, ho un’amica che ha un carattere odioso!… E la tengo soltanto per parlare di lui!… Chi riesce a rimanere nei limiti del proprio dovere di gentiluomo non ama sul serio!

AMELIA - Come è vero!

STEFANO - E va bene, signora, capisco che ho torto a insistere con la discrezione! Sì, vi conosco!… Vi conosco, (con intenzione) signora contessa!

IRENE - (radiosa) “Signora contessa”! Vi ha detto tutto! (Dirigendosi al divano) Ah! Bene! Ah, sì, bene! Bene! (Cade a sedere sul divano)

AMELIA - (colpita dalla frase di Stefano) “Signora contessa”? (Bruscamente, avvicinandosi a Irene) Ma sì, ci sono! Vi ascoltavo mentre parlavate, qualche istante fa… Mi dicevo: questo timbro di voce lo conosco. E ora, ecco, questo “signora contessa” mi illumina!… Voi siete la signora contessa de Prémilly, vero?

IRENE - (alzando la veletta) Ah? Mi conoscete?

AMELIA - (fra la sedia e il divano) Ma voi stessa, signora, poco fa non mi avete forse riconosciuta?

IRENE - (guardandola con l’occhialino) Ah! Ma allora è vero! Non mi sbagliavo: Amelia…

AMELIA - (terminando la frase con lo stesso tono di Irene) …Pochet!

IRENE - (come sopra) …la mia cameriera di una volta.

AMELIA - (con una riverenza) Proprio lei.

IRENE - (con tono di compassione) Oh! Mia povera ragazza!

STEFANO - (che si è avvicinato ad Amelia, dandole un colpetto sul braccio) Hai fatto la cameriera, tu?

AMELIA - (voltandosi verso Stefano) Oh, cribbio! Non mi ricordavo più che eri qui! (A Irene, mettendosi una mano sulla bocca) Oh! Scusatemi, signora!

IRENE - Di che?

AMELIA - (graziosamente confusa) Ho detto “cribbio”!

IRENE - (con un gesto di noncuranza) Oh!… (Considerandola con l’occhialino) Ma come, siete proprio voi?… Oh! Mi pareva! Solo esitavo, nevvero?… Questo cambiamento di situazione!… Questa cornice così diversa!… Senza contare i capelli, che erano di un altro colore.

AMELIA - (mollo ingenuamente) Sì! Sono più chiari; non so perché.

IRENE - (maliziosamente) Nemmeno io!… E poi, insomma, quando vi ho lasciato vi chiamavate semplicemente Pochet, e adesso che vi ritrovo siete diventata Amelia d’Avranches.

AMELIA - (con una smorfia) “Pochet” non era un nome che andava bene nel mondo galante… (Facendo la boccuccia) E poi, per mio padre! (In piedi, un po’ curva verso Irene, coi gomiti aderenti alla persona e una mano dentro l’altra) E… la signora sta bene, sì?… E il signore? Sì?

IRENE - Il signore sta bene, Amelia, grazie… È stato un po’ malato, poverino.

AMELIA - Oh! Povero signore.

IRENE - Ma ora sta bene.

AMELIA - Oh! Meno male! Meno male!

IRENE - (con condiscendenza tutta mondana) Ma accomodatevi dunque!

AMELIA - (confusa) Oh! Davanti alla signora!…

IRENE - Ma cosa dici?…

AMELIA - (sedendo sull’angolo destro della sedia che sta di fronte a Irene) Troppo onore!… (Non sapendo cosa dire nel suo turbamento) Ah! Sì, chi mai avrebbe detto!

IRENE - (sorridendo) Vero?… E vi confesso che in questa circostanza, nell’entrare in un mondo che non conosco… sono contenta di trovarmi con gente di mia conoscenza!… (Stefano approva col capo, sorridendo)

AMELIA - Ah! Sì?

IRENE - (con un tono di commiserazione) E così siete diventata…

AMELIA - (con naturalezza) Sì, signora, una cocotte.

IRENE - Oh!… Ma come avete potuto cadere in…

AMELIA - (fa un gesto vago con la mano, poi) L’ambizione!… È sempre stata la mia idea… Non ero fatta per il mestiere di cameriera.

IRENE - Peccato! Eravate molto brava.

STEFANO - (che, all’1, ascolta da qualche istante in piedi, un poco dietro Amelia, si siede maliziosamente accanto a lei, nell’angolo della sedia che questa non occupa) Lo è ancora.

AMELIA - (dando una gomitata nel fianco a Stefano, con severità) Stefano!

STEFANO - (alzandosi) Pardon! (Si sposta sulla sinistra e ascolta il seguito addossato all’angolo del tavolo da gioco)

IRENE - È vero: eravate un po’ civetta. Vi piacevano i nastri, i ninnoli.

AMELIA - (approva abbassando la testa, con tono fra il divertito e il contrito) Sì.

IRENE - Vi piaceva profumarvi.

AMELIA - (stesso gioco) Sì.

IRENE - (maliziosamente) Coi miei profumi!

AMELIA - (gentilmente, in guisa di giustificazione) Con quel che guadagnavo, potevo concedermi solo quelli della signora.

IRENE - Vi capitava di mettere i miei vestiti senza dirmelo.

AMELIA - (vivacemente) Oh! Ma poi li rimettevo al loro posto.

IRENE - (approva con un leggero e malizioso scuoter di testa, poi) Faccio così anch’io. E infine pensavate solo alla vostra pettinatura; volevate avere i capelli ondulati, come le signore. (Minacciandola col dito) È stato proprio per questo che vi ho licenziata.

AMELIA - (assumendo un’aria comicamente contrita) Sì! Il giorno in cui avevo usato bastoncini di vaniglia come bigodini!

STEFANO - (ridendo) Ma no!

IRENE - (come sopra) Sì!

AMELIA - (a Stefano) Dei bastoncini di vaniglia! Pensa un po’!

IRENE - (ridendo) Dovete ammettere che avevate superato ogni limite!…

AMELIA - (approvando) Li avevo superati, signora! Li avevo superati.

IRENE - (con un sospiro) Ah! Ma nonostante questi difetti, vi ho rimpianta spesso!

AMELIA - (commossa) La signora è molto buona!

IRENE - (alzandosi e venendo avanti all’estrema destra) Se penso alla fatica che si fa al giorno d’oggi a trovare una buona cameriera!

AMELIA - (che si è alzata quasi contemporaneamente a Irene, volendo fare la donna di mondo) Ah! Non parlatemene! Che brutta razza! Non riusciamo più a farci servire!

IRENE - (girandosi verso Amelia scorge nel vano dell’arco tutti gli invitati di Amelia e si abbassa precipitosamente la veletta) Oh! C’è gente che vi cerca!

AMELIA - Che mi cerca?…

YVONNE - (sulla soglia dell’arco) Psst!… Siamo noi!

AMELIA - Oh! Scusate! (A Irene) La signora permette?

IRENE - Fate pure! Fate pure! (Durante le battute seguenti, si sposta all’estrema sinistra)

STEFANO - (seguendo Amelia che si dirige verso gli invitati, a Irene) Scusate, signora!

AMELIA - Beh, e allora? Cosa c’è? (Le battute seguenti, assai rapide in un parlottare generale)

PALMIRA - (sottovoce) Non ti disturbare, ce ne andiamo.

BOAS - (come sopra) Sì, arrivederci.

VALCREUSE - (come sopra) Arrivederci!

STEFANO - (come sopra) Ve ne andate?

BIBICHON - (come sopra) Filiamo all’inglese.

AMELIA - (andando loro incontro) Bene. Allora, arrivederci!

STEFANO - Ve l’ho detto: fra ventotto giorni, parto stasera per Rouen.[7]

TUTTI - Arrivederci fra ventotto giorni!

STEFANO - Fra ventotto giorni!

AMELIA - Proprio così!… Arrivederci! Scusate se non vi accompagno… Papà, vuoi andare tu?

POCHET - (che sta con gli invitati) D’accordo! D’accordo!

AMELIA - (che si è già avvicinata a Irene, torna rapidamente verso l’arco quando tutti gli invitati sono già scomparsi) Ah! E… e tante cose a Carolina!

YVONNE - (già in quinta) Non mancherò!

TUTTI - Arrivederci, arrivederci! (Scompaiono)

AMELIA - (venendo avanti verso Irene) È… è sua sorella, Carolina!

IRENE - (indifferente) Ah?

AMELIA - La sorella della bionda.

IRENE - (come sopra) Sì, sì. (In questo momento, attraverso la vetrata, si vedono passare tutti i personaggi che sono usciti di scena. Passando, fanno segni ad Amelia con la mano. Irene rimane più avanti di Amelia ed essendo girata verso di lei e quindi verso la vetrata può seguire il gioco scenico; si volge verso il pubblico) Guardate! Vi salutano.

AMELIA - (con disinvoltura) Ah! Sì, oh!… (Rispondendo con la mano e facendosi beffe di loro) Sì! Arrivederci! Arrivederci!

STEFANO - (sulla soglia dell’arco) Arrivederci! Arrivederci! (Viene avanti)

AMELIA - (si è avvicinata a Irene che sta accanto al tavolo da gioco) Ah! Non so dire alla signora quanto sia felice!… Sono così devota alla signora! (Si sposta sulla destra per andare a prendere la sedia presso il divano e, durante le battute che seguono, la riporta al suo posto primitivo contro il pianoforte)

IRENE - (sorridendo) Davvero?

STEFANO - (a Irene, cui si è avvicinato) Chissà perché i domestici cominciano ad esserci devoti quando non sono più al nostro servizio!

AMELIA - (che sta riportando la sedia) Oh! Davvero molto gentile quel che dici!

IRENE - (sorridendo) Oh! Qualcosa di vero c’è! (A Stefano) Ma se non m’inganno, signore, voi siete…

AMELIA - (che si trova accanto al pianoforte) Il mio amico.

IRENE - (inchinandosi leggermente) Sì, certo!… (A Stefano, mentre Amelia viene avanti, al 3) Ma anche… il confidente e il migliore amico di Marcello… Voi siete Stefano de Milledieu.

STEFANO - (al 2, un poco oltre Irene) Ah! Vedo che vi ha parlato di me.

IRENE - (girata verso Stefano e quindi quasi volgendo le spalle al pubblico) E non in male, ve lo assicuro… (Scrutando Stefano con l’occhiolino) Solo, non mi aveva detto… (Considerando l’uniforme) Ah! Avete intrapreso una bella carriera!

STEFANO - (senza convinzione) Oh!…

IRENE - E cosa fate attualmente?…

STEFANO - Agente… in borsa.

IRENE - (sconcertata) Ah! Ah?… Non sapevo che ci volesse un’uniforme.

STEFANO - (dando un’occhiata al proprio abbigliamento, di cui si era dimenticato, e comprendendo) Ah!… Ah, sì… In verità non ci sono ancora le uniformi. Questa è per i miei ventotto giorni di servizio militare.

IRENE - (ridendo) Ah! Ma guarda un po’!…

SCENA OTTAVA

Gli stessi, Pochet, poi Adone, poi Marcello

POCHET - (appare dalla parte dell’arco ed entra decisamente in scena) Ecco!… La banda è spedita… (Fermandosi sconcertato vedendo Irene) Oh, scusate! (Fa l’atto di ritirarsi)

AMELIA - (al 3) Ma no, rimani! (Presentandolo dal proprio posto) Questo è il papà.

POCHET - (fra il pianoforte e l’arco, inchinandosi, con aria confusa) Signora!…

IRENE - (dal proprio posto, scrutando Pochet con l’occhialino) Ah! Ma certo! Lo ricordo benissimo.

AMELIA - Non riconosci la signora? (Gesto vago di Pochet) La signora de Prémilly!

POCHET - (cambiando completamente tono e avanzando verso Irene a piccolissimi inchini e con le mani incrociate dietro la schiena, sotto le falde della finanziera) Oh! Ma sì! Lo credo bene!

IRENE - Venivate spesso a casa nostra a trovare vostra figlia… Vi ricordate? Facevate il vigile allora.

POCHET - Sì, eh… insomma ero brigadiere!… Sicuro che lo ricordo! Ah! Lo credo bene! Ah, sicuro!… Ah! Sicuro!… E… come state? (Tende la mano a Irene)

IRENE - (evita di notare il gesto, fingendo di essere immersa nell’esame del suo occhialino) Benissimo! Grazie.

POCHET - (vedendo che Irene non gli dà la mano, resta un istante sconcertato, si guarda la mano come se non sapesse cosa farne, dà un’occhiata ad Amelia e Stefano, poi si rimette la mano in tasca; quindi, col tono più amabile) Bene, spero che la signora sia diventata più vecchia! Era ora!

IRENE - (sbalordita) Eh?

AMELIA - (al 3, vivacemente a Pochet) Papà!

STEFANO - Ah, ne avete proprio di carine, voi!

POCHET - (voltando le spalle al pubblico, passa successivamente davanti ad Amelia e a Stefano, e continua a dare spiegazioni, in modo da giungere al 3 e al 4) Eh?… Ah! No! No! La signora capisce cosa intendo. Non voglio dire con questo che la signora è diventata vecchia. Bella questa! Cosa dovrei dire io allora? (giunto al 4) Solo che allora la signora aveva l’aspetto di una bambina, dico davvero! Veniva voglia di prenderla sulle ginocchia! Ora, la signora è una donna.

AMELIA - Oh! Fai bene a spiegarti!

STEFANO - Proprio così! (Va verso il fondo, oltre il divano)

IRENE - Oh! Non c’è niente di male, sapete?… Dobbiamo pure rassegnarci a invecchiare come tutti, e io lo faccio senza civetterie. (Ad Amelia) Ma, se la memoria non m’inganna, voi avevate un fratellino.

AMELIA - Ce l’ho sempre.

POCHET - (sedendosi sul divano) Ce l’abbiamo sempre.

IRENE - Sarà diventato grande!… Che ne è di lui?

AMELIA - Lo tengo con me.

IRENE - È rimasto carino come allora? Era un amore di bambino.

AMELIA - Eh! Non c’è male.

POCHET - Uguale a me… in piccolo!

AMELIA - (accennando a muoversi per andare a suonare il campanello) Se la signora lo vuol vedere…

IRENE - Con piacere.

AMELIA - (va a suonare, sulla destra del pianoforte) Non è difficile. (Venendo avanti) Vediamo se riconosce la signora.

ADONE - (arrivando dall’arco) La signora ha suonato?

AMELIA - Sì, vieni! (Adone viene avanti a sinistra del divano) E saluta la signora.

ADONE - (tanto per ubbidire, da bietolone) Buongiorno, signora!

IRENE - (sempre accanto al tavolo da gioco, scrutando Adone) Eh? Cosa? Lui? Ma… è lui che mi ha aperto poco fa!

AMELIA - (da brava figliola) Eh, si! Proprio lui! (A Adone) Hai riconosciuto la signora?

ADONE - (con un sorriso ebete) No.

AMELIA - (insistendo) È la signora! La signora da cui andavi qualche volta quand’eri piccolo! (Adone protende il mento per indicare che non si ricorda)

IRENE - Non vi ricordate? La signora che vi ha regalato l’orologio d’argento!…

ADONE - (da monello, dandosi un’allegra botta sulla coscia) Ah, sì! Che io poi l’ho dato a un compagno del patronato in cambio di una rivoltella ad acqua.

AMELIA - Che idea!

STEFANO - Perché una rivoltella ad acqua?

ADONE - Toh! Perché con una rivoltella ad acqua potevo spruzzare la gente, mentre invece con un orologio!…

AMELIA - Ma è idiota!

ADONE - (venendo avanti fino al divano) Oh! Come mi sono pentito, dopo! Infatti, per sapere che ore sono, una rivoltella ad acqua…

IRENE - Allora, mi riconoscete?

ADONE - (con un riso ebete) Per niente.

AMELIA - (in guisa di spiegazione) Ebbene, è la signora.

ADONE - (che non, ne sa più di prima, con lo stesso sorriso ebete) Ah! (Con gli occhi sempre fissi su Irene, si lascia cadere quant’è lungo sul divano, a fianco di Pochet)

AMELIA - La signora lo trova cambiato?

IRENE - Perbacco! Ora è un uomo; l’avevo lasciato che era un bambino. (Lo scruta con l’occhialino)

ADONE - (disteso al 4, sul divano, a fianco di suo padre, al 5, facendosi schermo con la mano sinistra accanto alla bocca, sottovoce) Com’è che si chiama?

POCHET - (sottovoce) È la signora de Prémilly.

ADONE - (stesso gioco) Ah, sì! Quella che ha cacciato via Amelia per via dei bigodini!

POCHET - (dandogli affettuosamente un colpo sulla testa col palmo della mano) Ma sta’ zitto!

IRENE - (mentre Adone la guarda ridendo sotto i baffi, e saltellando sul sedere, con le mani strette fra le ginocchia e le gambe tese) Cosa sta dicendo così sottovoce?

POCHET - Sta cercando di ricordarsi della signora.

IRENE - Finalmente!

STEFANO - (dietro di loro, al di là del divano, a parte, indicando Adone e Pochet) Grazioso, questo quadretto di famiglia! (Campanello)

ADONE - (balza in piedi e corre saltellando come un ragazzo verso la porta di fondo) Ah! Hanno suonato.

AMELIA - Dove vai?

ADONE - (senza fermarsi) Eh! Vado ad aprire, no?

AMELIA - Ah! Bene, va’ pure! (torna rapidamente verso il fondo; a Adone già uscito) Nel salottino, eh? Fai accomodare nel salottino! (Grido lontano di Adone in quinta: “Sì!”)

IRENE - (risale verso il fondo con movimento circolare, che la porta al 2) Bene! Ora vi lascio, mia buona Amelia.

AMELIA - (all’1, con disappunto) La signora se ne va?

IRENE - Eh, sì… Avete gente, no?… (Amelia è a sinistra della porta di fondo, Irene a destra; Stefano, al 3, e Pochet, al 4, hanno accompagnato la falsa uscita di Irene)

ADONE - (entrando in fretta e aderendo allo stipite sinistro della porta di fondo) Il signor Courbois!

IRENE - (con un sobbalzo, agitata) Marcello!…

MARCELLO - (che è apparso appena terminato l’annuncio di Adone) Buongiorno, ragazzi! (Trovandosi faccia a faccia con Irene) Ah! (Adone esce)

IRENE - (che è indietreggiata fino all’estremo della tastiera del pianoforte) Caro amico, io…

MARCELLO - (non ancora riavutosi dalla sorpresa) Eh? Tu!… Voi?… Voi qui! (Scioccamente, con lo stesso tono, per nascondere la verità) Signora!

STEFANO - (al 4) Oh! Questo “signora” suona proprio bene!

MARCELLO - (al 2, venendo avanti leggermente, seguito dagli altri) Cosa fate qui, voi? Il vostro posto non è qui!

AMELIA - Ehi, senti!…

MARCELLO - Assolutamente! (Posa il cappello sul pianoforte)

IRENE - Amico mio, vi spiegherò…

STEFANO - Sì, ma prima di tutto sei tu! Sei tu che ci devi spiegare!… Cos’è questa storia del matrimonio? Ti metti a sposare Amelia, adesso?…

MARCELLO - Eh?

POCHET - Sposa Amelia? Voi sposate Amelia?

MARCELLO - Ma no! Ma no! Cosa? Come? Chi ve l’ha detto?

IRENE - (al 3, confusa) Perdonatemi! Sono stata io, caro amico…

MARCELLO - (sbalordito, al 2) Come?

IRENE - Ho letto in una lettera…

MARCELLO - Voi?

STEFANO - (al 4, con una serietà in cui fa capolino l’ironia) Sì, per sbaglio!… Per sbaglio!…

MARCELLO - (a Irene) Come? Tu fru… (Correggendosi) …voi frugate nella mia corrispondenza!

STEFANO - (scherzando) Oh! Senti! Se è per noi, non cambiare le tue abitudini! Puoi dare del tu alla signora!

MARCELLO - E allora… e allora hai dubitato di me!

IRENE - (viene leggermente avanti) Oh! Si può dubitare per molto meno.

AMELIA - Insomma perché? Perché questo matrimonio?

MARCELLO - Eh, “perché”! Perché, se volete saperlo, sono immerso fino agli occhi nella m… melma, e l’unico mezzo che ho per cavarmela è il matrimonio. (Mentre parla, passa davanti a coloro che stanno alla sua sinistra, e giunge al 5, davanti al divano)

IRENE - Eh? Ma allora tu… la sposi?

TUTTI - Davvero?

MARCELLO - Ma no! (Sottolineando con la voce la distinzione) Fingo di sposarla.

TUTTI - Fingi?

IRENE - (al 4) E perché?

MARCELLO - (lasciandosi cadere sul divano, all’estremità destra, col gomito sinistro sullo schienale e tenendosi la testa con la mano) Eh! Perché ne ho abbastanza della bolletta in cui mi dibatto da un anno!

IRENE - (che non capisce) La bolletta?

AMELIA - (all’1) Sì, non ha più grana.

IRENE - (stesso gioco) Grana?

STEFANO - (al 2) Tira la cinghia.

IRENE - (stesso gioco) La cinghia?

POCHET - (al 3, molto cortese) È nella cacca.

IRENE - (ripetendo meccanicamente) Nella… Oh!

MARCELLO - (senza alzarsi, girandosi verso Irene) Non ho più soldi, insomma! Non ho più soldi, ecco!…

IRENE - (sedendosi con vivacità accanto a lui e mettendogli affettuosamente le mani sulle spalle) Oh! Povero caro! Ma è vero?… Oh! Se potessi!…

MARCELLO - (con dignità, alzandosi di colpo) Taci!… Anche se tu potessi, non potrei io!…

AMELIA - Oh! Questi pregiudizi!

IRENE - (che si è alzata quasi contemporaneamente a Marcello, ad Amelia) Nevvero? (Così dicendo, viene avanti fino al 5)

MARCELLO - (spostandosi all’estremità sinistra del divano) E allora, ve lo assicuro, ho pensato: “È veramente stupido, alla fine! Quando potrei disporre di un milione e duecentomila franchi!…”

STEFANO - Già, è vero, tu hai un milione e duecentomila franchi!…

IRENE - (avvicinandosi in fretta a Marcello) Tu hai un milione e duecentomila franchi?

AMELIA - Un milione e duecentomila franchi!

POCHET - (precipitandosi su Marcello come attratto da una calamita) Voi avete un milione e duecentomila franchi?

MARCELLO - (con estrema semplicità) Ho un milione e duecentomila franchi.

POCHET - (mettendogli una mano sullo stomaco e l’altra sulla schiena per farlo sedere sul divano) Oh! Ma accomodatevi dunque!

STEFANO - (vivacemente e ironicamente) Non è il caso! Tanto non li può toccare.

POCHET - (con lo stesso movimento, facendo alzare Marcello nel momento in cui Marcello sta per sedersi) Ah!… Allora!… (Stefano ritorna accanto al pianoforte e, durante le battute seguenti, siede a cavalcioni sulla sedia che Amelia ha riportato lì in precedenza)

MARCELLO - (rispondendo all’accenno di Stefano) Ma sì, è questo che mi fa arrabbiare! Un’altra idea del mio povero babbo! Ah! Gli volevo molto bene! Ma, accidenti, quant’era sospettoso! Non riusciva a pensare che un giovane possa essere in grado di amministrare il proprio patrimonio senza farselo mangiare dalle belle donne!

AMELIA - Oh! Che brutto uomo!

POCHET - (ritorna leggermente verso il fondo e accenna col capo in direzione della porta di fondo, dalla quale Adone è uscito l’ultima volta) Povero Adone! Ah! Non sarò certo io che…

AMELIA - (in tono canzonatorio) Oh no!… E hai le tue ragioni! (Fa qualche passo verso Marcello)

MARCELLO - Conseguenza, mi ha lasciato quel tanto che mi permette di non morire di fame: seimila franchi di rendita! La bolletta, perdinci!

AMELIA - E come!

POCHET - (viene avanti, all’1) Eh! Ma!… Io in prefettura non avevo neanche questa!

MARCELLO - E quanto al milione e duecentomila svanziche, le ha lasciate in fidecommesso.

POCHET, AMELIA e IRENE - In cosa?

MARCELLO - (ripetendo) In fidecommesso.

STEFANO - (alzandosi e venendo avanti al 3, fra Amelia e Marcello) Sì, vuol dire affidato alla buona fede. È un capitale che viene direttamente affidato a un terzo, col compito di consegnarlo a chi è destinato.

AMELIA - Ah, sì! Come fosse Bibichon, quando gli do un luigi perché lo giochi ai cavalli o alla lotteria.

STEFANO - (canzonandola) Giusto! Non ha nessun rapporto, ma è proprio così.

MARCELLO - …in fidecommesso al mio padrino, con l’incarico di versarmeli il giorno in cui mi sposo.

IRENE - Ah! Ora capisco! Il matrimonio!…

MARCELLO - Il rimedio della disperazione; riesca o non riesca, rischio il malloppo.

STEFANO - (agrodolce) Già! E hai annunciato al tuo padrino che sposi Amelia!

MARCELLO - L’hai detto.

STEFANO - (con un riso un po’ forzato, andando verso il fondo) Buona! Buona questa!

MARCELLO - La signorina Amelia d’Avranches, una ragazza di buonissima famiglia!

AMELIA - (con comica dignità) Eh! Sì, ma!…

POCHET - (con la stessa dignità) Ex brigadiere dei vigili urbani! (Stefano viene avanti al 4)

MARCELLO - E ho allegato la fotografia della ragazza che nominavo nella lettera.

AMELIA - Ah! È così? Aspetta che un’altra volta ti regali una mia fotografia!

MARCELLO - Ah! Che ci vuoi fare? Se si conta una balla non è come se si conta la verità! (Pronunziare ogni volta “sessi”) Bisogna portare prove convincenti. Avevo sottomano solo te. E ho spedito te.

AMELIA - (inchinandosi leggermente) Molto gentile. (Ondeggiando come se ballasse una pavana si sposta all’estrema sinistra, all’1) Ecco! Vado a spasso per l’Olanda!

POCHET - (seguendo la figlia, con la stessa andatura) Come un formaggio!

STEFANO - (venendo avanti) Bene, vecchio mio, la faccenda è ben combinata, mi sembra; andrà avanti per conto suo.

MARCELLO - E invece no! Non va affatto! Non va proprio per niente! Ed è per questo che sono qui.

TUTTI - Eh?

MARCELLO - Il mio padrino non si è accontentato della lettera; ha voluto accertarsene personalmente, ed è venuto qui.

TUTTI - No!

MARCELLO - È sbarcato a casa mia un’ora fa e mi ha detto: “Sono me, racasso mio…”. Perché lui è di Anversa! “Sono me, racasso mio…”. Abita in Olanda ma è di Anversa. “Sono me, racasso mio. Che ti fassio la sorpresa!”

STEFANO - Una bella sorpresa di sicuro!

MARCELLO - Lo puoi ben dire! (Riprendendo) “Mi devi davvero presentare alla giovinetta”.

AMELIA - (al 2, ridendo) E la giovinetta sono io.

STEFANO - (stesso tono) E la giovinetta sei tu.

POCHET - (altero) Beh, che c’è? Lei non è sposata, che io sappia.

STEFANO - (inchinandosi) No! Se è per questo, no!

MARCELLO - È chiaro che non me lo sono fatto dire due volte; ho piantato lì tutto per venire subito ad avvertirvi… ed eccomi qui!

AMELIA e STEFANO - E adesso?

MARCELLO - E adesso, ragazzi miei, c’è poco da fare… Non possiamo più raccontare storie! Giochiamo il tutto per tutto. Il padrino vuol vedere la fidanzata; dobbiamo presentargli la fidanzata.

STEFANO - (a cui l’idea non va giù) Amelia? Ah!… Ah no, senti, no! Ah! (Parlando torna verso il fondo, facendo smorfie, contrariato)

MARCELLO - (seguendolo con movimento leggermente circolare) Oh! Senti, Stefano!… Stefano, non vorrai… (Dirigendosi verso Amelia) Amelia, senti, non vorrai lasciarmi nei pasticci!

AMELIA - Ma come? Io dovrei… oh!

MARCELLO - (persuasivo) Un milione e duecentomila franchi! Non vorrai farmeli perdere!

IRENE - (che si è avvicinata a Marcello e ad Amelia) Amelia, figliola mia! Non puoi farglieli perdere.

AMELIA - Comunque sia, insomma…

POCHET - (intervenendo in favore di Marcello) No! Non puoi! Non puoi!

MARCELLO - (afferrando le mani di Amelia) Pensa, un milione e duecentomila franchi! Puoi immaginare se non ti faccio un bel regalo!

AMELIA - Eh! Un regalo! Un regalo! Non lo voglio, io, il tuo regalo!

POCHET - (vivacemente) Ma sì!… Ma sì!… (Come correggendo quel tanto di interessato che può avere questo grido del cuore) Non devi dire queste cose! Non è gentile!

AMELIA - Sì, insomma… Semmai, lo farei per te. E poi per la signora! A cui sono profondamente devota!

MARCELLO - (guardando bene, meravigliato) A te! Ma no!…

IRENE - Sì, un segreto fra di noi.

MARCELLO - (ad Amelia) E allora, Ameliuccia, su!

AMELIA - Ma sì, va bene! Farò del mio meglio!

MARCELLO - Ah! Grazie, Amelia. (Le stringe la mano e cede il posto a Irene, passandole dietro)

IRENE - (stringendo la mano ad Amelia) Grazie, mia buona Amelia!

MARCELLO - (sì è diretto verso Stefano, che si trova all’estrema destra) Anche a te, grazie!

STEFANO - (brontolando) “Grazie, grazie!”. D’accordo, ma… e il matrimonio?… Si accorgerà pure che il matrimonio non ci sarà.

TUTTI - Eh! Già!

MARCELLO - Sta’ zitto! Avevo paura anch’io, in principio! Grazie a Dio, tutto è risolto. Lui va in America per due mesi; puoi immaginare se non mi sono affrettato subito a fissare la data delle mie pretese nozze proprio in questo periodo. Lui allora mi ha detto: “Ascolta, racasso mio…” perché è di Anversa! “Ascolta, racasso mio…”. Abita in Olanda…

TUTTI - (terminando in sua vece) Ma è di Anversa.

MARCELLO - Ah! Lo sapete?…

TUTTI - Sì, sì, lo sappiamo!

MARCELLO - “Ascolta racasso! Io sono desolato, nevvero, perché non potrò essere qui per tua cerimonia! Ma se per te è lo stesso, appena sposato ti farò pervenire l’ammontare di tua fortuna”. Se per me è lo stesso! Figuriamoci! (Irene fa qualche passo verso il fondo, liberando Amelia, che si sposta anche lei leggermente, liberando a sua volta Pochet. Essi vengono così a trovarsi quasi in diagonale)

STEFANO - Benissimo! Tutto va a gonfie vele.

AMELIA - (tendendo la mano) Signor fidanzato, ecco la mia mano.

MARCELLO - (con zelo comico va a prendere la mano che la donna gli tende) Ah!… Signorina! (Le bacia la mano)

POCHET - (allargando le braccia) Genero mio, vieni tra le mie braccia!

MARCELLO - (passando davanti ad Amelia e abbracciando Pochet) Caro suocero, siete troppo gentile!

STEFANO - E quando deve venire, il tuo padrino?

MARCELLO - (con le braccia attorno alle spalle di Pochet) Non lo so! Oggi!… Fra poco!… Subito!… (Campanello) Eccolo! (Abbandona Pochet e si dirige verso Stefano, all’estrema destra)

IRENE - (ruotando sui tacchi e dirigendosi verso l’arco) Eh!… Allora io me la svigno!

AMELIA - (volendo seguire Irene, va verso il fondo, seguita da Pochet) Questa volta, la signora se ne va davvero?

IRENE - (camminando) Ma sì, figlia mia! Non ho niente a che fare con questa riunione di famiglia! (Amelia, Pochet e Irene stanno fra il pianoforte e l’arco; Stefano è tornato verso il fondo sulla destra, Marcello è davanti al divano)

MARCELLO - (a Adone, che entra dalla porta dell’anticamera) Allora?… È il mio padrino?

ADONE - (annunciando) Il generale Koschnadieff!

TUTTI - (come se Adone avesse parlato cinese) Come?

MARCELLO - Ah?… Non è lui! (Si avvicina al gruppo, tornando verso il fondo alla sinistra del divano)

AMELIA - Chi è questo Koschnadieff?

ADONE - So mica!

STEFANO - Cosa vuole?

ADONE - (col suo sorriso ebete) So mica!

AMELIA e allora va’ a chiederglielo!

ADONE - (stesso gioco) Sì! (Esce)

IRENE - (congedandosi) Io vado, mia buona Amelia!…

AMELIA - (all’1) Ah! Signora, non so dire quanto sono contenta!…

IRENE - (al 3) Siete una brava ragazza.

AMELIA - Se la signora avesse bisogno di me… o di mio padre…

POCHET - (al 2, dietro le due donne) Oh! Devotissimo!

IRENE - Grazie, mia cara! Grazie, Pochet!

ADONE - (entrando) Ecco qua: dice che è per un colloquio diplomatico!

AMELIA - Cosa “diplomatico”?

STEFANO - Ma sì, insomma!… Ricevilo! E poi vedi.

AMELIA - Fallo entrare… Sono subito da lui.

STEFANO - (a Marcello, che sta accanto a Irene e parla con lei) Nel frattempo, vado a rimettermi in borghese!… Vieni, Marcello?

MARCELLO - Certo! (A Irene) Allora arrivederci, mia piccola Irene! Torni a casa subito, no? Arrivederci!

IRENE - Arrivederci, Marcello! Arrivederci, Amelia!

AMELIA - Oh! Noi accompagniamo la signora.

POCHET - Ma naturale! È nostro dovere.

IRENE - (a Stefano) Signore!

STEFANO - Felicissimo, signora! (A Marcello) Vieni, tu! (Marcello e Stefano escono a destra, in primo piano)

AMELIA - Da questa parte, signora. (Pochet, Irene e Amelia escono dall’arco: attraverso la vetrata, si vedono passare)

SCENA NONA

Adone, Koschnadieff

ADONE - (introducendo il generale) Se il signore vuole entrare…

KOSCHNADIEFF - (in finanziera, rosetta di un’onorificenza straniera all’occhiello; viene avanti, al 2, al centro della scena; parla con accento slavo, con modi bruschi e a scatti) Ah!… Benissimo! (Gettando un rapido sguardo circolare) Ma, allora…

ADONE - (venendo avanti, fino al tavolo da gioco) Signore?

KOSCHNADIEFF - (non vedendo Amelia) La padrona di qui dentro?

ADONE - Viene subito, signore, l’ho avvertita.

KOSCHNADIEFF - Ah! Benissimo! (Adone ritorna verso il fondo) Ah!… Ditemi… valletto!

ADONE - (viene di nuovo avanti) Signore?

KOSCHNADIEFF - Quale donna?… Amanti? Molti? Uno? Quanti?

ADONE - (guarda Koschnadieff con aria meravigliata) Chi?

KOSCHNADIEFF - La padrona di qui dentro!

ADONE - (con tono urtato) Ma, signore, io non so… glielo chieda il signore!

KOSCHNADIEFF - (sbrigativo e rozzo) Ah?… Oh! Stupido! Andate!

ADONE - (a parte, guardando il generale, e tornando verso il fondo) È un ruffiano ‘sto qua!

KOSCHNADIEFF - Hep. Valletto!

ADONE - (venendo di nuovo avanti) Signore?

KOSCHNADIEFF - (estraendo un luigi dal taschino) Prendete questo luigi.

ADONE - (felice) Ah! Grazie, signore! (Ritorna verso il fondo come per uscire)

KOSCHNADIEFF - Hep! (Adone viene avanti di nuovo) Fatemi la moneta, per favore!

ADONE - (con disappunto) Ah?

KOSCHNADIEFF - Sì!

ADONE - Tutto qua?

KOSCHNADIEFF - Tutto qua.

ADONE - (a parte, tornando verso il fondo) Ma va’, cosacco! (Scorgendo attraverso la vetrata Amelia che torna dall’anticamera) Ah! Ecco la signora! (Esce in fondo a sinistra)

SCENA DECIMA

Amelia, Koschnadieff

AMELIA - (entrando dall’arco e venendo avanti sulla destra del divano) Signore?

KOSCHNADIEFF - (inchinandosi e presentandosi) Generale Koschnadieff! (Amelia gli indica il divano invitandolo a sedere accanto a lei; col gesto, lui declina rispettosamente l’onore e si dirige verso il pianoforte, su cui depone il cappello; poi prende la sedia che trasporta accanto al divano. Presentandosi nuovamente) Generale Koschnadieff, primo aiutante di campo di Sua Altezza Reale il principe Nicola di Palestrìa. (Dopo un nuovo gesto di Amelia, si siede sulla sedia che è andato a prendere)

AMELIA - Oh! Generale, onoratissima, ma?…

KOSCHNADIEFF - È Sua Altezza che mi manda verso voi.

AMELIA - (stupita) Sua Altezza?

KOSCHNADIEFF - Il principe è dunque innamoratissimo di voi.

AMELIA - Di me?… Come? Sua Altezza non mi conosce.

KOSCHNADIEFF - Chiedo scusa! Eravate pure presente una volta alla serata di gala del Théàtre Francois, quando il principe venne a Parigi ultimamente in visita ufficiale!… In una poltrona di prima fila!

AMELIA - Sì, ma…

KOSCHNADIEFF - Ebbene! Il principe vi ha notata.

AMELIA - (lusingatissima) Me! Davvero? Oh!

KOSCHNADIEFF - Certo!… E ha pure chiesto al Presidente della Repubblica chi eravate.

AMELIA - (che non crede alle proprie orecchie) No!

KOSCHNADIEFF - Ma il Presidente non ha saputo rispondere.

AMELIA - Ah?

KOSCHNADIEFF - No!

AMELIA - Ma guarda!

KOSCHNADIEFF - Allora abbiamo delegato un attaché dell’ambasciata, che si è messo in contatto con la polizia, la quale, il giorno dopo, ci ha fatto pervenire una scheda.

AMELIA - (stomacata) Una… una scheda!

KOSCHNADIEFF - (confermando col capo) Una scheda. Ed è così che il principe ha avuto la gioia di sapere chi eravate.

AMELIA - (gentile ma piccata) Ah! È… è terribilmente galante!

KOSCHNADIEFF - Oh! Sua Altezza è molto innamorata!… Ha una cotta, come dite voi! (Avvicinando la sedia ad Amelia e parlandole confidenzialmente, quasi all’orecchio) Io credo che se è ritornata in incognito, dipende molto da voi.

AMELIA - A questo punto!

KOSCHNADIEFF - (accenna di sì con la testa, poi) A questo! Sua Altezza è arrivata stamani… In questo momento fa la visita al Presidente, che gliela restituirà un quarto d’ora dopo; poi non avrà più impicci!

AMELIA - Sì, ma queste cerimonie, lo sappiamo!…

KOSCHNADIEFF - Che volete? È il protocollo! (Tornando all’argomento) Se vi dicessi che la prima cosa che il principe mi ha detto, quando è entrato in albergo, è stata, sul mio onore, una parola d’amore per voi!…

AMELIA - (con un leggero languore nella voce) Il principe è dunque sentimentale?

KOSCHNADIEFF - (alzando la mano sopra la testa per esprimere l’immensità della cosa) Molto!… (Come per dar peso alle parole) Mi ha detto: “Koschnadieff, vecchio mio! Corri da lei e sistemami la faccenda, d’accordo? Su te io conto!”.

AMELIA - (un po’ disgustata) Ah?… Ah? Così?

KOSCHNADIEFF - Positivamente!

AMELIA - (a mezza voce) Che finezza, capo!

KOSCHNADIEFF - Oh! È innamoratissimo! (Cambiando tono) E allora, ecco, ho fatto i passi.

AMELIA - (sconcertata) Ah? Ah! Allora siete voi che…

KOSCHNADIEFF - (stupito della sorpresa di Amelia) Eh?… Si direbbe che la cosa vi meravigli!

AMELIA - Niente affatto; solo, non è vero?…

KOSCHNADIEFF - Sì, capisco! È una cosa un po’ delicata!… Forse non siete abituata a questo genere di passi!

AMELIA - Oh! Non è questo!… Potete immaginare, vero, che tutti i giorni… Solamente, di solito non è un generale.

KOSCHNADIEFF - Davvero?… Oh, guarda, guarda!

AMELIA - No.

KOSCHNADIEFF - È Curioso!

AMELIA - Ah?

KOSCHNADIEFF - (con fierezza) In Palestrìa, sono io che ho l’onore di essere incaricato!… (Come ragione di tale incarico) Sono l’aiutante di campo di Sua Altezza!

AMELIA - (inchinandosi, con un poco d’ironia) Evidente! Evidente!

KOSCHNADIEFF - (alzandosi come mosso da una molla, con le mani sui fianchi, proprio di fronte ad Amelia) Allora!… Mi rispondete che cosa? Vediamo un po’!… Quando?

AMELIA - (alzandosi allo stesso modo) Quando, cosa?

KOSCHNADIEFF - (con brutalità militare) Che notte intendete…

AMELIA - (con un soprassalto di spavento) Eh? Ah! No, sentite! Avete un certo modo di dire le cose in faccia!… Io non sono libera, generale! Ho un amico!

KOSCHNADIEFF - (alla stessa maniera) Aha!… E allora?… Cosa vuole?… Una decorazione, forse? Commendatore del nostro ordine? È questo?

AMELIA - Ma no, signore, ma no! Io sono fedele al mio amante.

KOSCHNADIEFF - Va bene!… Allora, grand’ufficiale?… Con croce?… Credete che basterà?

AMELIA - (passando davanti al generale e spostandosi sulla sinistra) Ma non si tratta di questo!

KOSCHNADIEFF - (con tono scandalizzato) Ma allora cosa, dunque? Un rifiuto?… Voi respingete Sua Altezza?

AMELIA - (vivacemente) Non dico questo.

KOSCHNADIEFF - Che cosa vi trattiene?

AMELIA - (esitante) Beh, ecco!…

KOSCHNADIEFF - (è passato dietro Amelia e standole contro le parla all’orecchio come un demonio tentatore) Riflettete che si tratta di un’Altezza Reale!… E tradire il proprio amante con un’Altezza Reale vuoi già dire, positivamente, non tradirlo più.

AMELIA - (già esitante) Sì, certo, è evidente!… (Voltandosi verso il generale) Soprattutto perché non si è obbligati a raccontarglielo.

KOSCHNADIEFF - (indietreggiando un poco sulla destra) Eh, per tutti i santi, no!

AMELIA - Tanto più che il mio amante sta per andare a Rouen, a fare i suoi ventotto giorni di ferma!

KOSCHNADIEFF - (con tono strascicato) Ecco! Vedete come il buon Dio dispone le cose!

AMELIA e un’Altezza Reale!

KOSCHNADIEFF - (quasi mormorando all’orecchio di Amelia) Il principe è molto generoso!

AMELIA - Oh! Il mio amante mi dà tutto ciò di cui ho bisogno.

KOSCHNADIEFF - (vivacemente) Non ne dubito! (Più lentamente) Ma accanto a che cosa si ha bisogno…

AMELIA - (concludendo il pensiero) C’è tutto che cosa non si ha bisogno!

KOSCHNADIEFF - Che è enorme!

AMELIA - (gira la testa verso il generale, guardandolo negli occhi; poi articola soltanto con le labbra, senza emettere suoni, con mimica espressiva) Enorme!

KOSCHNADIEFF - (con la sua sgarbatezza da selvaggio) Sìì… Beh! E allora come la mettiamo?

AMELIA - (tiene gli occhi fissi alla rosetta del generale e con la mano ci gioca meccanicamente) Beh! E allora… non lo so!…

KOSCHNADIEFF - (senza complimenti) Benissimo! (Pam! Le da una manata sulla schiena)

AMELIA - (ricevendo il colpo) Oh!

KOSCHNADIEFF - Siamo d’accordo. (Fa l’atto di tornare a prendere il cappello, poi viene di nuovo avanti) Ah! Ho solo una cosa da dirvi ancora. Sua Altezza ha l’abitudine, dopo ogni visita, di lasciare diecimila franchi.

AMELIA - (alzando il viso) Dieci… diecimila franchi!

KOSCHNADIEFF - (guardando Amelia negli occhi) Diecimila!

AMELIA - (con un leggero fischio di ammirazione) Psss!

KOSCHNADIEFF - (scandendo ogni parte della frase) Dovrò dunque consegnarvi la somma di novemila franchi!

AMELIA - (che stava ascoltando con gli occhi a terra, rialza lo sguardo) Di… di nove?

KOSCHNADIEFF - (senza scomporsi) Di nove.

AMELIA - (cominciando a capire) Ah! Perché voi…

KOSCHNADIEFF - Eh?

AMELIA - (animatamente) No… no! Niente! Va benissimo! Di nove! Di nove! Di nove!

KOSCHNADIEFF - (con tono conclusivo) Siamo d’accordo! (Ritorna per cercare il cappello)

AMELIA - (a parte) Va bene, cocco mio.

SCENA UNDICESIMA

Gli stessi, Pochet

POCHET - (arrivando dalla porta del “pan coupé” di destra) Chiedo scusa!… Ho qui gli spiccioli dei venti franchi che hanno chiesto a Adone.

AMELIA - (tornando verso il fondo) E chi è…?

KOSCHNADIEFF - (al 2) Ah! Sì! Sono io!… Scusate!

POCHET - (al 3) Ecco! Una, due, tre e cinque monete da venti soldi, che fanno venti franchi.

KOSCHNADIEFF - Vi rendo grazie. (Gli dà una moneta) Tenete!

POCHET - (con l’aria più naturale di questo mondo) Grazie. (Mette la moneta in tasca)

AMELIA - (facendo le presentazioni) Mio padre!… Il generale… Eh!… Perdonate!…

KOSCHNADIEFF - Koschnadieff!

AMELIA - Ecco! Kosch… Insomma, come dice il signore! Primo aiutante di campo del principe di Palestrìa.

POCHET - (con un fischio di ammirazione) Psss!… Corbezzoli!

KOSCHNADIEFF - Felicissimo!… Positivamente!… (Accompagna la dichiarazione con un gesto che inganna Pochet il quale crede che il generale gli tenda la mano; Pochet si accinge quindi a stringergliela; ma il gesto di Koschnadieff continua in direzione di Amelia, per la frase seguente, che conclude il suo pensiero; Pochet rimane in sospeso, con la mano tesa, su cui getta uno sguardo deluso, fa “Uhm” e ricaccia filosoficamente la mano in tasca. Il gioco di scena dura un secondo) Avete una figlia, veramente… Se può farvi piacere diventare commendatore dell’ordine di Palestrìa!

POCHET - (radioso) Eh? Io?… Oh!… Oh! Certamente… vi assicuro che… oh!… Ma per quale ragione?

KOSCHNADIEFF - Meriti speciali: Sua Altezza ha il capriccio per la signora vostra figlia.

POCHET - (mordendosi il labbro) Ah!

KOSCHNADIEFF - Così il principe mi ha incaricato di fare i passi per… se non avete nulla in contrario…

POCHET - (troncandogli la parola e con un tono seccato e dignitoso) Scusate!… Scusate!… È per un matrimonio?

KOSCHNADIEFF - (ridendo grossolanamente) Dio mio! Non proprio!

POCHET - (molto suscettibile, si scosta dal generale, indietreggiando) Oh! Allora, ve ne prego!… Non a me!… Non a me!

KOSCHNADIEFF - (un po’ stupito) Ah!

POCHET - La mia dignità di padre!… (È venuto avanti sull’estrema destra fino al divano)

KOSCHNADIEFF - Bene, bene! Ottimamente!… (Indicando Amelia) Allora, tutto rimane fra noi due! (Ad Amelia) Signora! Avrò l’onore di accompagnare fra poco Sua Altezza…

POCHET - (drizzando le orecchie) Eh?

KOSCHNADIEFF - …che verrà a presentare i suoi omaggi, appena se l’è sbrigata con l’Eliseo.

POCHET - (in confusione, passando davanti al divano e tornando verso il fondo fra il divano stesso e la sedia) Il principe! Il principe qui!

KOSCHNADIEFF - Positivamente!

POCHET - (nel suo turbamento non sa più cosa fare, dispone la sedia in direzione del pubblico, e come se la presentasse a un individuo immaginario) Oh!… Accomodatevi!

KOSCHNADIEFF - (dietro Pochet, e sempre accanto al pianoforte) Grazie!

POCHET - (girandosi dalla parte del generale) No! Sto parlando al principe! Oh! È mai possibile? Come? Ci farebbe l’onore?… Dio mio, Dio mio!… E non abbiamo festoni!… Neanche una bandiera! Nulla!

KOSCHNADIEFF - (vivacemente) Oh! No, ve ne prego! Niente cerimonie! Il principe vuole mantenere l’incognito.

POCHET - (agitatissimo, venendo avanti verso il divano) Ah? Ah?… Mi dispiace!… Avremmo fatto bella figura coi vicini!

SCENA DODICESIMA

Gli stessi, Marcello, poi Adone e Van Putzeboum

MARCELLO - (entra come un fulmine dalla destra, in primo piano, e si mette al 3 passando dietro il divano) Amelia! Amelia! (Scusandosi col generale, col quale si è quasi scontrato) Oh! Scusate, signore!

KOSCHNADIEFF - Io vi prego!

MARCELLO - È qui! È qui! L’ho visto dalla finestra!

AMELIA - Chi?

MARCELLO - Il mio padrino! Van Putzeboum!

POCHET - (ha sentito il nome e gli vien fatto di ridere) Cosa?

MARCELLO - (ridendo anche lui) Eh, sì!… È così dalla nascita.

POCHET - (ripetendo il nome ridendo) Putzeboum.

MARCELLO - Van! Van! (Campanello) Eccolo! Eccolo! È lui!

AMELIA - Beh, cosa c’è, caro? Va’ e ricevilo!

MARCELLO - (vivacemente) Giusto! Giusto! (A Koschnadieff) Scusate ancora, signore! (Esce rapidamente dall’arco. Durante le battute seguenti sì vedrà dal vetro Adone fare entrare Van Putzeboum e questi abbracciare Marcello, mentre Adone si ritira)

KOSCHNADIEFF - (congedandosi) Oh! Allora, signora, a questo punto vi presento i miei rispetti.

AMELIA - (andando verso il fondo in direzione della porta) Arrivederci, generale, e molto grata. (Apre la porta e passa per prima, per fare strada al generale)

KOSCHNADIEFF - Oh! Io vi prego!… (A Pochet, che va a sua volta verso il fondo, al 3, dietro al generale) Signor padre!…

POCHET - (con un inchino) Generale! (Non dimenticando quel che gli preme) E allora, nevvero? Per quella piccola croce di commendatore…

KOSCHNADIEFF - Intesi! Intesi! (Esce)

POCHET - (sul vano della porta) E quando dico “piccola”, è chiaro, voglio dire che, eventualmente, anche una grande… (Esce. Mentre escono a sinistra, dall’arco a destra compaiono Marcello e Van Putzeboum)

MARCELLO - (precedendo Van Putzeboum) Da questa parte, padrino!

VAN PUTZEBOUM - (passando il braccio sinistro attorno alle spalle di Marcello e venendo avanti in scena con lui) Ah! Eccoti qui, racasso mio!… Ed eccomi qui anch’io! Finalmente! Qui si sente che stai diventando un uomo serio… in questo focolaio domestico, nevvero? (Abbandona Marcello e va a posare il cappello sul tavolino da gioco)

MARCELLO - Ma certo, padrino mio! (Amelia torna dall’anticamera, seguita da Pochet, e viene avanti fra Van Putzeboum e Marcello, mentre Pochet viene avanti sull’estrema sinistra, fra il tavolo e la finestra)

VAN PUTZEBOUM - (con soddisfazione, vedendo Amelia) Ah!

MARCELLO - (al 4, volendo fare le presentazioni) Padrino, vi presento…

VAN PUTZEBOUM - (al 2, vivacemente) Aspetta!… Aspetta, caro, che indovino!… (Guardando Amelia negli occhi, con l’indice teso in avanti e con tono ispirato) La signorina Amelia d’Avranches… voi siete!

AMELIA - (al 3, sorridendo) Sono io!

VAN PUTZEBOUM - (radioso) Ah!… Indovinato!

POCHET - (a parte) Che bravo!

AMELIA - (molto ragazza della buona società) Il signor Marcello ci aveva annunciato la vostra venuta, signore, e noi vi aspettavamo con impazienza.

VAN PUTZEBOUM - (lusingato) Oh! Davvero?

AMELIA - (a Pochet) Non è così?

POCHET - Ah!… Come l’avvenuta del Messina![8]

VAN PUTZEBOUM - Ah! Bene, questo, questo molto gentile, vi assicuro! Gotferdeck, mio caro, le mie felicitazioni! È davvero un bocconcino!

AMELIA - (abbassando gli occhi) Oh! Signore.

VAN PUTZEBOUM - Sì, sì! Io dico che così è!

MARCELLO - Vero?

VAN PUTZEBOUM - Eh! Sicuramente! (Girandosi verso Pochet) Non è vero, signore?

POCHET - (modesto) Beh… è mia figlia.

VAN PUTZEBOUM - Sissì, sissì! Ebbene! Io ti complimento! Voi ci sapete fare, sapete.

POCHET - (come sopra) Vi dirò, ci siamo messi in due!

VAN PUTZEBOUM - Certo, penso anch’io!… Ci si mette in due! (Girandosi sconsideratamente verso Amelia) Ci si mette in d… (Fermandosi, sconcertato, e sottovoce a Pochet) Oh! Oh! Davanti a lei… Gotferdom!

POCHET - (con lo stesso tono di Van Putzeboum) Oh! Sì, sì! È giusto!

VAN PUTZEBOUM - (a Pochet) Il signor d’Avranches, nevvero?

POCHET - Cosa? Pochet! (Amelia e Marcello gli fanno rapidi segni d’intesa, alle spalle di Van Putzeboum)

AMELIA - Uhm!

POCHET - Eh! Pochet… d’Avranches! Pochet d’Avranches, sì! Sì!

VAN PUTZEBOUM - Onoratissimo, signore. (Gli tende la mano) Prego, la mano! (Dopo avere stretto la mano a Pochet, girandosi verso Amelia) Signorina! Questo è uno vecchio abitante di Olanda, che ha fatto apposta il viaggio per apportare a voi tutti i suoi voti di felicità.

AMELIA - (fingendo emozione) Ah! Caro… caro padrino!

VAN PUTZEBOUM - (radioso, tendendo le braccia) Sì, giusto!… Nominatemi padrino! Diminuisce le distanze, questo! (Nel momento di abbracciare Amelia, a Marcello) Tu permetti che la basi?

MARCELLO - (si gira con faccia spaventata verso Van Putzeboum, poi) Cosa?

VAN PUTZEBOUM - (ripetendo, con le mani sulle spalle di Amelia) Che la basi!… Un baso!… Non sai cos’è un baso?![9]

MARCELLO - (che ha capito, con un riso contenuto) Ah!… (Spingendo leggermente Amelia contro Van Putzeboum) Basate, padrino! Basate!

VAN PUTZEBOUM - (ad Amelia, gentilmente) E saprò io fare?

AMELIA - Come se sapete? Dio mio! Dovreste essere più bravo di me…

MARCELLO - (scherzando a freddo) No! No! Chiede se può.

AMELIA - Ah!… Ma certo! (Marcello torna verso il fondo, oltre il divano)

VAN PUTZEBOUM - (la bacia sulla guancia sinistra; poi) Ah! Questa gota virginale. (La bacia sulla guancia destra; poi a Pochet, mentre Amelia va a sedersi sul divano) Mi sembra di basare un bocciolo di rosa! (Va a mettersi in mezzo alla scena, di fronte ad Amelia, mentre Pochet si sposta verso Marcello, dietro il divano) E così, signorina Amelia, siete voi contenta che maritate mio figlioccio?

AMELIA - (molto Comédie Française) Oh, sì!… Gli voglio tanto bene!… (Pronunziare “li volio”) Voglio bene al signor Marcello e sono felice di diventare sua moglie.

VAN PUTZEBOUM - Hai sentito, racasso?

MARCELLO - (al 4, chinandosi verso Amelia e imitandone il tono) Ah! La mia vita intera! La vita! Per questa parola d’amore! (Fa l’atto di baciarla)

AMELIA - (lo respinge mettendogli una mano sulle labbra e bamboleggiando) Ah! Amico mio! Non prima dell’imeneo!

MARCELLO - (con umiltà) Vi chiedo scusa!

VAN PUTZEBOUM - (ammirato e commosso) Ah! Che racassa casta! È pura come l’oro!

MARCELLO - Ed è cosa rara coi tempi che corrono!

POCHET - Cosa, l’oro?

MARCELLO - No, la purezza.

POCHET - Già! E l’oro no!

VAN PUTZEBOUM - (frugandosi nelle tasche della giacca) Ed ora permettetemi!… Vi ho portato!… A voi devono piacere i gioielli!

AMELIA - (storditamente) Perdio!

MARCELLO - (le dà, rapido, un colpo) Uhm!

VAN PUTZEBOUM - Come?

AMELIA - (vivacemente) No, dico… (Parlando come se avesse in bocca una patata troppo calda, e tutto di seguito) Perlio, perchio, pernio, permio… (Ripete sottolineando le due parole) Per mio uso, no di certo. I gioielli non sono cose da ragazze.[10]

VAN PUTZEBOUM - (va a sedersi, al 2, sul divano accanto ad Amelia, al 3) Sì, questo è vero; ma ora che voi maritate Marcello, è cambiata la cosa! Forse non sapete portare diamanti?

AMELIA - Oh! Sì, sì, so!

POCHET - (gioviale) Oh, ma provate un po’, tanto per vedere.

VAN PUTZEBOUM - Sì? Questo è bene; allora permettete che voi accettate questo piccolo presente. (Mostra un astuccio che ha tolto di tasca e ha aperto) L’ho fatto montare proprio espressamente per voi.

AMELIA - Per me! (Storditamente) Oh! Ma è uno schianto! (Marcello, rapidamente, le dà un colpo sul braccio)

VAN PUTZEBOUM - Come?

AMELIA - Eh? No! No! È un modo di dire.

VAN PUTZEBOUM - Oh bella!

AMELIA - Sì, vuol dire: “Ah! Com’è chic! Ah! Com’è bello!”

VAN PUTZEBOUM - (ripetendo a se stesso l’espressione) Uno schianto! Uno schianto! Sì!

AMELIA - Ah! Sentite, anche voi siete chic, voglio darvi un bacio. (Lo bacia sulle guance)

VAN PUTZEBOUM - (sbellicandosi) Ah! Ah! Che monella! (Si alza e si sposta sulla sinistra)

AMELIA - (si alza anche lei e si sposta a sinistra) Guarda, papà! Marcello!

MARCELLO e POCHET - Vediamo! Vediamo!

MARCELLO - (al 4) Oh! Stupendo!

POCHET - (al 2) Meraviglioso!

AMELIA - (al 3) Che acqua!

POCHET - (non trovando altra parola per esprimere la sua ammirazione) Oh!… Sembra cristallo!

AMELIA - Cosa? Ah! Sì, averne di cristalli così! Oh, ma guarda i riflessi…

POCHET - Oh!… Vale almeno… vale!…

AMELIA - (con tono offeso) Ma papà! Questo non ci riguarda.

POCHET - Oh! No, no! Si fa per dire!… Perbacco, non ho mica intenzione di pagarlo! No! Solo che… Ah, è stupefacente!

VAN PUTZEBOUM - (con tono molto soddisfatto) Sì, non c’è male! (Contento di piazzare la parola) Uno schianto!… uno schianto!…

TUTTI - (ridendo) Uno schianto! Uno schianto! Ah! Ah! Ah!

AMELIA - Insomma, è stupendo.

POCHET - È grosso!

VAN PUTZEBOUM - (con aria distaccata) È un solitario.

POCHET - Ah, sì!… Sì! Ebbene, questo forse è il suo solo difetto!

VAN PUTZEBOUM - L’ho scelto fra mille, pensate! I brillanti sono il mio mestiere, nevvero?

AMELIA e POCHET - Ah?

VAN PUTZEBOUM - Sì, in Ollanda (pronunziare: “I Nollanda”) io la faccio nei diamanti.

POCHET - (che in questo momento ha gli occhi fissi sull’anello di Amelia, alle parole di Van Putzeboum alza la testa, guarda Van Putzeboum poi Amelia; quindi, fissando gli occhiali sulla punta del naso, si sposta all’1 descrivendo un rispettoso semicerchio attorno a Van Putzeboum, che considera dall’alto in basso con deferenza. Passando, fischia di ammirazione, per cui Van Putzeboum si volta a destra e a sinistra) Psss!… (Quando è all’1) Che lussi!

VAN PUTZEBOUM - Ebbene, non per vantarmi ma questo è un pezzo da collezione!

POCHET - (giocherellone) Non rimane che fare la collezione!

VAN PUTZEBOUM - Ah! Sì! Sì! Ma questo io non posso niente! Per questo c’è suo marito, no? Non è vero, racasso?

MARCELLO - Come no?

VAN PUTZEBOUM - Ora che diventa molto ricco!

MARCELLO - (vivacemente) Ah! Quando?

VAN PUTZEBOUM - Appena sarai passato sul Municipio, no?

MARCELLO - Sul Mu…

VAN PUTZEBOUM - Ma sì certo, sul burgomastro! Il matrimonio!

MARCELLO - Ah! Il… (A parte) Niente da fare!

AMELIA - (giocando coi riflessi dell’anello) Ah! Sì, è veramente splendido! (A Van Putzeboum) Ah! Sentite, bisogna che vi dia un altro bacio.

VAN PUTZEBOUM - Dai! Dai! Non fare complimenti, piccina! (Lei lo bacia) Credo che voi siete contenta, eh?

AMELIA - Ah, sì, sì! Io queste cose le preferisco ai fiori.

VAN PUTZEBOUM - Ah! Ma… penso che avete ricevuto anche il mio corbello…

AMELIA - Il vostro corbello, no… Tu papà hai visto un corbello?

POCHET - Non ho visto nessun corbello.

VAN PUTZEBOUM - Non hanno portato un corbello? Ah! Questa è bella!… Ma cosa fanno quelle bestie?… Ah! Sì! Peccato che non avete il telefono, se no ci faccio io un lavaggio di capo!

AMELIA - Ma certo che ce l’abbiamo.

VAN PUTZEBOUM - Sono stato da quel fioraio che sta in boulevard de la Madelèn, che vende fiori per matrimoni… e corone mortuarie.

MARCELLO - Landozel!

VAN PUTZEBOUM - Sì! Sì! Mi sembra… Sono stupidi, vi dico, quelli del negozio. Gli ho detto: “È per la signorina Amelia d’Avranches, la racàssa che sposa il signor Courbois; voi dovete sapere”. Mi rispondono: “No! Di Amelia d’Avranches sappiamo solo che sta col signor Milledieu!”.

MARCELLO - (a parte) Accidenti!

AMELIA - Oh!

POCHET - Uhm![11]

VAN PUTZEBOUM - “Ma dai! Cosa mi racconti? Questo non è vero niente! È una racassa per bene, la signorina d’Avranches, che sposa il signor Marcello Courbois!”. Vi avevano preso per una cocotte! (Si confonde accorgendosi che sta parlando ad Amelia, che a sua volta, voltata verso Van Putzeboum, non ha battuto ciglio) Oh! Oh! Scusate! Dico certe espressioni davanti a voi!… (Le prende la mano)

AMELIA - (senza abbassare gli occhi e col tono più ingenuo) Oh! Ma non ho capito, signore!

VAN PUTZEBOUM - Oh! Inzenuità!… Che tesoro! (Quasi nell’orecchio di Amelia, afferrandola per le spalle) Vostro marito vi spiegherà più tardi. (Passa al 3) Non è vero, racasso? (Dà un colpetto a Marcello e passa al 4)

MARCELLO - (ad Amelia) Sì, non sono cose per racasse!

AMELIA - (con aria sottomessa) Certo, amico mio. Non chiedo di sapere.

SCENA TREDICESIMA

Gli stessi, Stefano

STEFANO - (uscendo da destra, in primo piano) Ecco, mi sono cambiato!

TUTTI - Oh!

MARCELLO - (a parte) Porco cane! (Afferra Van Putzeboum, lo spinge verso Amelia, che lo spinge verso suo padre, che lo spinge all’estrema sinistra)

VAN PUTZEBOUM - (trascinato dall’ano all’altro) Oh, ma che succede? Che succede?

MARCELLO - (volendo evitare una gaffe) Signor… Signor…

AMELIA - (rapidamente) Signor… Chopart!

MARCELLO - Paolo!… Paolo Chopart!

STEFANO - (sbalordito) Cosa?

MARCELLO - (vivacemente, sottovoce) Sì, zitto, non parlare! Non fare gaffes!

AMELIA - Caro cugino!

MARCELLO - Suo cugino.

POCHET - Il cugino di Amelia!

VAN PUTZEBOUM - (sorpreso) Sì? Oh! Guarda, guarda!

STEFANO - (a parte) Suo cugino?

VAN PUTZEBOUM - (all’1, nel punto in cui si trova, con un leggero inchino) Ah! Signore, i miei complimenti!

STEFANO - (al 5) Troppo gentile! (A parte, contrariato) Suo cugino! Ah! Cribbio!

POCHET - (presentando Van Putzeboum) Il signor Patapum!

VAN PUTZEBOUM - (rettificando) Putz! Putzeboum!

POCHET - (rettificando a sua volta) Putz-già-boum! Putzeboum!

STEFANO - Piacere!

VAN PUTZEBOUM - (dirigendosi verso Stefano) Oh! Ma… Aspetta un po’! (A Marcello che cerca discretamente di fermarlo mentre passa) Lasciami! (Arrivato al 4, a Stefano, al 5) Io conosco un Chopart di Rotterdam!

STEFANO - (che la confidenza lascia freddo) Ah?… Siete fortunato!

VAN PUTZEBOUM - Emilio Chopart, sì!… Che la fa nell’anisetta.

STEFANO - No!… Oh! Che sudicione!

VAN PUTZEBOUM - Voi non siete parenti, per caso?

STEFANO - No!… Non ho parenti che la facciano nell’anisetta.

VAN PUTZEBOUM - Ah! Bona, bonissima anisetta! Ve la consiglio.

STEFANO - Grazie! Dopo quel che mi avete detto!…

VAN PUTZEBOUM - Sbagliate! Essa è migliore come le altre.

STEFANO - Bene! Meglio… meglio per lei! (Va verso il fondo sull’estrema destra)

VAN PUTZEBOUM - (agli altri) Bene! Se voi permettete vado a telefonare per i fiori.

AMELIA - Molto volentieri! (A Pochet) Papà, vuoi accompagnarlo?… Il telefono è in camera mia.

POCHET - (passa davanti a Van Putzeboum, mentre Marcello torna leggermente verso il fondo, passando sulla sinistra) Ecco, da questa parte!

VAN PUTZEBOUM - (ride mentre si dirige verso la camera di destra, preceduto da Pochet e seguito da Amelia, che l’accompagna fino alla porta) Ah! Questo fioraio! Con quel suo signor Milledieu!

STEFANO - (che parla con Marcello, si volta sentendo il suo nome) Cosa? (Marcello lo trattiene vivacemente per il braccio e lo fa girare in modo che venga a trovarglisi di fronte)

VAN PUTZEBOUM - No, niente! Rido pensando a tutto questo! A questo signor Milledieu!

STEFANO - (stesso gioco) Come, ride?

MARCELLO - (facendolo di nuovo girare) Su, lascia stare!

VAN PUTZEBOUM - Proprio una troglodita!

STEFANO - (stesso gioco) Ehi! Dite un po’!

MARCELLO - (facendolo sempre girare e riportandolo di fronte) Ma sta’ zitto!

SCENA XIV

Gli stessi, meno Pochet e Van Putzeboum

STEFANO - Ma insomma, si può sapere perché mi piglia per il bavero e mi dice che sono “una troglodita”?

MARCELLO - Ma non sei tu, la troglodita!

STEFANO - Ah?

AMELIA - (vivacemente) È il fioraio!

STEFANO - Quale fioraio?

AMELIA - Il fioraio a cui ha ordinato la corbeille.

STEFANO - Quale corbeille?…

MARCELLO - Ma la corbeille per Amelia!

AMELIA - Ma sì! Non capisci proprio niente!

STEFANO - Oh! Insomma!…

AMELIA - Quell’imbecille del fioraio ha avuto la dabbenaggine di parlargli della signorina d’Avranches che sta col signor Milledieu!

STEFANO - E allora?

AMELIA e allora capisci che non ti potevo più presentare.

STEFANO - Perché?

MARCELLO - Perché la fidanzata di Marcello Courbois non può essere l’amante del signor Milledieu!

STEFANO - Giusto! E allora sono diventato Chopart!

MARCELLO e STEFANO - Ecco!

STEFANO - (tornando verso il fondo, con tono un po’ imbronciato) Avete sempre delle belle trovate!

MARCELLO - Pazienza, vecchio mio! È affare di qualche giorno; quando riparte, ti riprendi il tuo nome.

STEFANO - (venendo avanti) Sei molto buono a rendermelo.

SCENA QUINDICESIMA

Gli stessi, Pochet

POCHET - (compare nel vano della porta di destra, in primo piano) Scusa, Amelia, vuoi venire? Non c’è modo di avere la comunicazione.

AMELIA - Eccomi! Eccomi! (Si volta per andare verso Pochet ma torna subito da Stefano) Oh! Senti! Non ti ho fatto vedere l’anello che mi ha regalato!

STEFANO - (imbronciato) Ah, sì? Oh!

AMELIA - Guarda che bell’anello!

POCHET - Su, vieni, presto! Non farci alanguire!

AMELIA - (fa l’atto di andare verso suo padre) Sì, eccomi! (Tornando da Stefano e agitandogli l’anello sotto il naso) È molto chic, eh?

STEFANO - Chicchissimo! Chicchissimo!

POCHET - (va a prendere la figlia e la trascina per il polso) Oh, insomma! Vieni o no?

AMELIA - (si lascia trascinare e, tenendo il braccio teso, fa scintillare l’anello in direzione di Stefano) È chic, eh? È chic?

STEFANO - (appena Amelia scompare, trascinata dal padre) Ma sì, ma sì! (Amelia esce trascinata da Pochet)

SCENA SEDICESIMA

Marcello, Stefano

MARCELLO - (dopo una pausa) Senti, vecchio mio, mi dispiace di darti questa seccatura!

STEFANO - (facendo buon viso a cattivo gioco) Ma tu scherzi! Cosa vuoi che me ne importi, dopo tutto?… Fra l’altro sto per partire; dunque!…

MARCELLO - Ah! Bene, allora!

STEFANO - E in fondo, guarda un po’! La faccenda mi torna persino utile! Avevo intenzione di chiederti un favore, ma la situazione ci viene incontro.

MARCELLO - (premurosamente) Ah! Dimmi! Di che si tratta?

STEFANO - Ecco qua. Tu sai, in confidenza, quanto io tenga ad Amelia… Ah! Se avessi potuto portarla con me laggiù!… Ma ho pensato che in una città di militari… con dei superiori di grado, avere un’amante carina… no, non è prudente!

MARCELLO - Ma Amelia ti è fedele!

STEFANO - (poco convinto) Sì!… Non dico di no!… Fino a prova contraria!… D’altra parte, se la lascio a Parigi sola sola, si annoia!… Si, c’è la banda, è vero, ma li conosco! Sono tutti degli sporcaccioni!

MARCELLO - (perentorio) Degli sporcaccioni!

STEFANO - L’unico sei tu, vecchio mio! Tu sei il mio migliore amico; in te ho fiducia come in me stesso; Amelia ti è affezionata… Bene! Fammi questo favore: mentre non ci sono… (molto scandito) occupati di Amelia!

MARCELLO - Io?

STEFANO - Sì, portala a spasso! Conducila a teatro, mangia con lei, pranza con lei, cena con lei, dacci dentro!…

MARCELLO - (stupito) Pure!

STEFANO - (confermando senza riflettere) Pure! (Vivacemente) Eh? Oh! No, eh? Questo no!… È un modo di dire! Volevo dire, forza, buttati, portala a pranzo, portala a cena!…

MARCELLO - (ridendo) Ah, bene!

STEFANO - Ah! No, grazie tante! È proprio per impedire che le vengano certe velleità che…

MARCELLO - (tendendo amichevolmente la mano a Stefano) Capito!… E intesi! Fidati di me!

STEFANO - (calorosamente, stringendogli la mano) Oh, lo so bene!

MARCELLO - (scandendo bene, come Stefano prima) Mi occuperò di Amelia! (Con una spinta amichevole della mano sinistra sulla spalla, Marcello fa passare Stefano all’1)

STEFANO - (passando a sinistra, mentre Marcello torna un poco verso il fondo) Grazie, vecchio mio!

SCENA DICIASSETTESIMA

Gli Stessi, Van Putzeboum, Pochet, Amelia

VAN PUTZEBOUM - No, credetemi, non è possibile! Avrei fatto più presto per andarci io stesso…

AMELIA - (spiaciuta) Oh! Davvero, padrino!…

VAN PUTZEBOUM - Sì! Sì! Sì! (A Marcello) Vieni con me, racasso?

MARCELLO - Dove?

VAN PUTZEBOUM - Ma dal fioraio! Giù c’è un tacchessì! (Tutti si guardano stupiti)

MARCELLO - Un che?

VAN PUTZEBOUM - Un tacchessì.

MARCELLO - (ripetendo con un tono ironico che sfugge a Van Putzeboum) Ah! Un tacchessì! Sì, sì, sì!

VAN PUTZEBOUM - Non saremo partiti ancora che già tornati saremo.

MARCELLO - Sì! Sì! (Van Putzeboum va a prendere il cappello sul tavolo da gioco, poi torna subito al 3 verso Marcello, al 2)

VAN PUTZEBOUM - Vieni?

MARCELLO - (prendendo il suo cappello sul pianoforte) Volentieri!

POCHET - (viene dalla stanza di destra e, passando dietro al divano, arriva fino alla tastiera del pianoforte) Non c’è stato modo di avere la comunicazione!

VAN PUTZEBOUM - No! C’era in linea una specie di menneken insopportabile e avevo un bel dire: “Andate via!…”. Voleva assolutamente che io gli passavo il signor Milledieu!

STEFANO - Io?

VAN PUTZEBOUM - (equivocando con l’“io” di Stefano) No, io!… Come se ce l’avessi in tasca! (Così dicendo passa il braccio sinistro sotto il braccio di Marcello e fa l’atto di uscire)

STEFANO - (corre al 3 da Putzeboum e lo fa ruotare afferrandolo per il braccio sinistro) No, ma… Chi? Chi chiedeva del signor Milledieu?

VAN PUTZEBOUM - Che ne so, io? Forse credete che glielo abbia chiesto? Ma ce ne infischiamo, noi, del signor Milledieu!

STEFANO - Eh?

AMELIA - (che durante la fase precedente è tornata accanto al pianoforte, afferra Stefano per il braccio e lo fa passare al 5) Ma sì! Ce ne infischiamo! Ce ne infischiamo!

VAN PUTZEBOUM - A presto, dunque!

AMELIA - A presto! (A Pochet) Accompagnalo, papà! (Van Putzeboum esce, accompagnato da Marcello e da Pochet)

SCENA DICIOTTESIMA

Amelia, Stefano, poi Pochet

STEFANO - Ecco! Mi interrompe le telefonate! Ah! No, sai, questa mi pare grossa! Mandare al diavolo a questo modo i miei amici! (Ha raggiunto il divano e vi si siede, di cattivo umore)

AMELIA - (sulla soglia della porta di fondo) Ah! Senti!… Devi partire fra un quarto d’ora e guarda di che cosa ti occupi: del telefono!… (Venendo avanti verso Stefano) Invece di dedicare questi pochi minuti alla tua Ameliuccia. (Si siede, all’1, sul divano, accanto a Stefano, al 2)

STEFANO - (guarda Amelia un istante come un bambino imbronciato; poi a poco a poco il suo viso si rischiara; prendendo una rapida decisione) Ma sì, hai ragione, dopo tutto! Tanto più che da stamattina non siamo riusciti a restare assieme un attimo.

AMELIA - Ah! Te ne accorgi adesso? Meglio tardi che mai.

STEFANO - (sorridendo, con uno sguardo malizioso) Allora?… Eh?

AMELIA - (abbassando gli occhi) Ebbene? Allora!…

STEFANO - Per ventotto giorni, astinenza!

AMELIA - Digiuno!…

STEFANO - E lasciandoci per così tanto tempo, dovremmo stringerci la mano e buonasera?

AMELIA - (convinta) Oh! No!

STEFANO - (quasi mormorandole all’orecchio) Non vogliamo darci un ultimo salutino ben fatto?

AMELIA - (sorride abbassando gli occhi) Eh, diamine!

STEFANO - (stesso gioco) Eh? Intimo, intimo?

AMELIA - (stesso gioco) Diamine!

STEFANO - (strizzando l’occhio dal lato della camera e quasi mormorando) Hai visto com’è carina la tua camera?

AMELIA - (difendendosi per la forma) Su, via…

STEFANO - (si alza e prende Amelia per i polsi) Vieni a vedere com’è carina la tua camera!

AMELIA - (senza convinzione) Oh! Stefano!… Stefano!

STEFANO - (trascinando Amelia) Vieni a vedere com’è carina la tua camera!

AMELIA - (lasciandosi trascinare) Oh! Mascalzone!

POCHET - (compare sul fondo nel momento in cui i due entrano nella stanza) Beh? Dove andate?

STEFANO - Niente, niente! Andiamo a telefonare! (Campanello in anticamera)

STEFANO e AMELIA - (in coro e scandendo ogni sillaba) Andiamo a telefonare! (Escono a destra)

POCHET - Facile dirlo! (Al pubblico, alzando le spalle) Non avranno mai la comunicazione. (Mentre Pochet va verso il fondo, si sentono voci in anticamera. Subito dopo Adone irrompe e leva in gran fretta il paletto della porta, aprendo i due battenti)

SCENA DICIANNOVESIMA

Pochet, Adone, poi Marcello, Van Putzeboum, due Fattorini, poi Koschnadieff e il Principe Nicola

ADONE - (parlando verso le quinte) Da questa parte! Da questa parte! (Si precipita verso il tavolo da gioco che sposta assieme alle sedie verso la finestra)

POCHET - Che c’è?

ADONE - (in faccende) Ci sono dei fiori! E bellissimi! (Andando verso il fondo) Avanti, ragazzi!

VAN PUTZEBOUM - (fa entrare i due fattorini che portano una magnifica corbeille di fiori bianchi.; è seguito da Marcello) Ecco! Venite avanti! State attenti a non sporcare! (I due uomini entrano; ciascuno tiene la corbeille da un lato; vanno a disporsi davanti al lato destro del tavolo da gioco)

POCHET - (ammirando la corbeille) Corbezzoli!

VAN PUTZEBOUM - Figuratevi, vero, appena arrivati giù ci siamo scontrati con il corbello che venivano a portare!

POCHET - Ma guardate che roba! (Nuova scampanellata)

ADONE - (che è sul fondo) Toh, suonano! (Esce rapidamente)

VAN PUTZEBOUM - (ai fattorini) Mettete giù lì, capito? (Indica il tavolo da gioco, sul quale i fattorini posano la corbeille, di fronte ai personaggi in scena. A Pochet) La fidanzata dov’è che è?

POCHET - È di là in camera, sta telefonando.

VAN PUTZEBOUM - Ah! Il telefono! Sì! Sì! (Si sposta con Marcello al centro della scena)

ADONE - (accorrendo agitato) Accidenti, anche questa!

POCHET - Che succede?

ADONE - Il principe!… Il principe di Palestrìa!

POCHET - (immediatamente in agitazione) Ah! Porco cane! E tu lo lasci in anticamera?

ADONE - No! Sta salendo.

POCHET - (urtando Van Putzeboum e Marcello che stanno conversando nello spazio compreso fra il divano e il pianoforte) Su! Allineatevi, voialtri! Allineatevi!

VAN PUTZEBOUM e MARCELLO - (sorpresi, riprendendo l’equilibrio) Cosa c’è?

POCHET - (correndo verso i fattorini, che inquadrano la corbeille) Il re! Il re! (Ai fattorini, spingendoli dietro il tavolo) Forza voi, dietro gli alberi! Dietro gli alberi!… (Correndo fino al pianoforte) Dio mio! Non ci sono candelabri! (A Adone) La bugia! Accendi la bugia!

ADONE - Ma perché?

POCHET - Perché sì! Quando si ricevono dei re!… (A Van Putzeboum e a Marcello, mentre Adone accende la bugia) Su! Niente assembramenti! Circolare! Circolare!

VAN PUTZEBOUM - (che ha ricevuto una spinta) Oh! Ma sentite, voi!…

POCHET - (a Adone) Ecco! Fa’ entrare… Ah! La musica! La musica! (Mentre Adone esce, mette in moto il grammofono che suona la “Marsigliese”. Una pausa. Pochet, con la bugia accesa in mano, va ad appostarsi in prossimità della porta, un poco più avanti del pianoforte. Finalmente appare il principe, seguito da Koschnadieff. Tutti si inchinano. Pochet china la schiena tenendo la bugia in alto) Sire!…

PRINCIPE - (viene avanti col cappello in testa, seguito da Koschnadieff. Accento slavo) Oh! Quanta gente!… (Subito colpito dal suono della “Marsigliese”) Oh! L’inno nazionale! (Si toglie il cappello. Tutti rimangono per un certo tempo a testa china)

KOSCHNADIEFF - (dopo una pausa, venendo avanti fra il principe e Pochet) Presento a Vostra Altezza il padre della signorina d’Avranches.

PRINCIPE - Oh! Benissimo! Felicitazioni… (Con intenzione) Signor commendatore!

POCHET - (a schiena curva, prendendo con la sinistra la mano che il principe ha teso, e baciandola) Oh! Sire!

PRINCIPE - (osservando la candela accesa che Pochet tiene sopra la testa, quasi sotto il naso del principe) Ma cosa vedo? Stavate forse andando a coricarvi?

POCHET - Ma no, Sire! È per voi!

PRINCIPE - (passando davanti a Pochet e venendo avanti in scena) Oh! Non saprei proprio cosa farne!

POCHET - (sconcertato) Ah? Ah? (Il principe viene avanti e Adone ne approfitta per attraversare la scena sul fondo e raggiungere il gruppo formato da Van Putzeboum e Marcello)

PRINCIPE - (gettando una rapida occhiata attorno) E… la vostra deliziosa figliola non c’è?

POCHET - (premuroso) Viene subito, Sire! Ma… se posso sostituirla…

PRINCIPE - (rapidamente e con convinzione) Oh! No!… No!

POCHET - (gli passa davanti descrivendo un semicerchio; volta le spalle al pubblico e sta girato verso il principe, a cui fa riverenze da cortigiano) Vado a cercarla, Sire! Vado a cercarla! (A parte, dirigendosi verso la porta di sinistra, in primo piano) Dio mio, c’è quell’altro… Milledieu, che non se n’è ancora andato! (Spalanca la porta, che gli viene brutalmente chiusa in faccia) Oh!

VOCE DI AMELIA - Non entrate!

VOCE DI STEFANO - Non rompeteci le scatole!

POCHET - (viene avanti fino al proscenio, sulla destra) Allora si chiude a chiave, che diavolo! Si chiude a chiave!…[12] (Tornando rapidamente verso il principe che discorre con Koschnadieff) Da questa parte, Altezza! Da questa parte, principe!… (Procede a ritroso verso l’arco, sempre con la candela accesa in mano. Va così a urtare contro il gruppo di Van Putzeboum, Adone, Marcello. Si volta e li spinge uno contro l’altro in modo da far strada) Su! Su, circolare! Circolare voialtri! (Si volta di nuovo verso il principe e come in precedenza) Da questa parte, Monsignore! Da questa parte!

SIPARIO


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Marcello, Carlotta, poi Amelia

All’alzarsi del sipario, la scena è quasi al buio; solo la lampada da notte, accesa sopra il letto, illumina debolmente la stanza. Marcello dorme saporitamente. Una pausa. Si apre la porta dell’anticamera. Entra Carlotta portando la colazione sopra un vassoio.

CARLOTTA - (va alla scrivania e vi posa il vassoio, poi si dirige verso il letto) Signore! (Marcello non risponde. Una pausa. Alzando leggermente la voce) Signore! (Altra pausa) Ehi!… Signore!…

MARCELLO - (che dorme sul fianco sinistro, senza svegliarsi) Hoong!

CARLOTTA - Sono le dodici e trentacinque!

MARCELLO - (come prima) Hoong!

CARLOTTA - (parlando più forte e scandendo le sillabe) Sono le dodici e trentacinque!

MARCELLO - (che tutto insonnolito si è messo quasi a sedere, sembra riprendere i sensi, poi) Me ne frego!… (Si gira dall’altra parte, di cattivo umore)

CARLOTTA - (gaiamente) Ah?… Oh! Se è per questo, anch’io! (A voce alta, tornando alla carica) Ho portato la cioccolata. (Nessuna risposta. Una pausa) La cioccolata!

MARCELLO - (furioso e burbero, girandosi verso di lei) Ma insomma!… Cosa volete?

CARLOTTA - (senza turbarsi) La cioccolataaa!

MARCELLO - (furioso) Non ne ho!… Lasciatemi in pace! (Risprofonda sotto le coperte)

CARLOTTA - Ah?… Bene!

MARCELLO - (alzando la testa) Che ore sono?

CARLOTTA - Le dodici e trentacinque.

MARCELLO - Ah, sì? Me ne frego! (Risprofonda sotto le coperte)

CARLOTTA - Sì! Lo so!… Il signore me l’ha già detto!… Ma allora, per che ora devo preparare il pranzo? (Marcello si gira di cattivo umore)

MARCELLO - Per le otto! Accidenti!

CARLOTTA - Bene, signore! (Falsa uscita) Vorrei solo far notare al signore…

MARCELLO - (esasperato) Oh!

CARLOTTA - …che è stato lui, quando mi ha assunto ieri mattina, a darmi l’ordine di svegliarlo tutti i giorni alle nove!…

MARCELLO - (mettendosi quasi a sedere) Ebbene! Sono le dodici e trentacinque! Mancano ancora otto ore e venticinque minuti!

CARLOTTA - Ah? Bene! Non sapevo che si riferiva alle nove di sera.

MARCELLO - Che barba! (Si lascia cadere sulla schiena, con la testa pressoché in mezzo al letto; il braccio destro disteso sul guanciale che sta accanto a quello su cui poggia la testa)

CARLOTTA - Sì, signore! (Esce. Lunga pausa. Marcello tenta di riaddormentarsi. La posizione non gli va bene e si gira sul fianco destro. Una pausa. Si gira sul fianco sinistro. Una pausa. Si alza sul gomito sinistro e da due bei pugni sul guanciale, per sistemarli meglio; torna ad affondarvi la testa. Una pausa)

MARCELLO - (rimettendosi bruscamente a sedere) La mando via, io, quella donna!… Così impara a svegliarmi… (Gira il guanciale) quando vede che sto dormendo!… (Sbadiglia) Ah! Come sono stanco!… (Riflettendo) Però, è mezzogiorno!… E mezzogiorno è già una bella ora… (Come rispondendo a se stesso) No, mezzogiorno non è una bella ora; è mezzogiorno![13] Ah! Non so più quel che dico!… Sono mezzo addormentato! E pensare… (Sbadiglia) E pensare che se Parigi fosse agli antipodi, sarebbe solo mezzanotte!… Potrei dormire ancora sette ore e passerei per un mattiniero!… Chi è quell’idiota d’un bastian contrario che ha sbattuto Parigi in questa parte del globo?… (Tira fuori le gambe) È lo stesso, poco da fare, devo alzarmi!… (Scende dal letto; è in camicia da notte e a piedi nudi) Le calze! Dove sono andate a finire le mie calze?… Ah! Eccole! (Si mette le calze, poi le pantofole, tutto senza sedersi, solo addossato contro la spalliera del letto) Mezzogiorno e mezzo!… Ho un appuntamento alle undici!… Se voglio andarci!… Certo, è un creditore!… E un creditore può aspettare!… Aspetta da sei mesi, può aspettare anche un’ora di più… Tanto più che ho intenzione di non dargli niente!… Quindi!… Lo verrà a sapere anche troppo presto!… (Con sforzo) Su, coraggio! (Parlando, si è diretto verso la finestra; fissa le cortine ai reggitenda. Fuori è pieno giorno e il sole getta un fascio di luce sul letto) Oh! Com’è già chiaro!… A mezzogiorno e mezzo!… (Ripassando davanti al letto) Beh?… E la donna? Cosa fa la donna?… Cosa aspetta a portarmi la cioccolata? (Suona il campanello elettrico. A poco a poco, col dito sul pulsante, si addormenta in piedi, mentre il campanello continua a suonare a lungo. Improvvisamente sta per perdere l’equilibrio e si risveglia) Chi è quell’animale che suona a questo modo? (Tornando alla realtà) Ah! Che stupido! Sono io! Brrr! Porco cane, che freddo!… Ah! E poi, accidenti! (Si toglie le pantofole) Mangerò a letto… e mi alzerò dopo!… (Si ricaccia nel letto con le calze. Nel momento di allungare le gambe, avverte un ostacolo che lo ferma) Eh?… Beh, e questo cos’è? (Ritira le gambe, poi le allunga di nuovo) Ma cos’è questa roba?… (Stesso gioco) Insomma, cosa c’è? (Incuriosito, si mette in ginocchio sul letto, rovescia le coperte e non può trattenere un grido scorgendo Amelia che, scivolata ai piedi del letto, dorme il sonno dei giusti) Ah! (Afferrandola per il polso e mettendola, ancora mezzo addormentata, a sedere) Amelia!

AMELIA - (assonnata) Brrr!… Ho freddo.

MARCELLO - Amelia! È Amelia!

AMELIA - (assonnata) Oooooh!

MARCELLO - (scuotendola) Come ti trovi qui?

AMELIA - (piena di sonno) Eh?… Ah! Accidenti!

MARCELLO - Ma no! Ma no! Non è il momento di dormire! Amelia!… Amelia!… (Sentendo Carlotta che apre la porta) No! Non ti muovere!… (Abbandona il polso e Amelia ricade sulla schiena; Marcello ha solo il tempo di posarle sul viso uno dei suoi guanciali, su cui appoggia subito il gomito, tentando di assumere un’aria disinvolta)

CARLOTTA - Il signore ha suonato?

MARCELLO - Sì! Andate via!

CARLOTTA - Il signore ha suonato per questo?

MARCELLO - Vi ho detto di andar via, perdio!

CARLOTTA - (andandosene) Che strano servizio! (Scompare)

MARCELLO - (rimettendosi in ginocchio sul letto e scuotendo Amelia, dopo aver tolto il guanciale) Su, Amelia!… Amelia!… Per l’amor di Dio!

AMELIA - (assonnata) Oooooh!

MARCELLO - Ma svegliati! Porca miseria!

AMELIA - (semisveglia) Che c’è? Cosa?

MARCELLO - Amelia! Per tutti i diavoli!

AMELIA - (aprendo gli occhi) Eh?… Ah!… Toh, guarda! Marcello!

MARCELLO - Eh? Sì, Marcello!… Sì, Marcello!

AMELIA - (in ginocchio sul letto) Ah!… Come mai sei qui, tu?

MARCELLO - Lo chiedo a te, io!… A te!

AMELIA - (rincretinita) Cosa?

MARCELLO - Cosa fai qui? Nel mio letto! Con una camicia da notte mia!

AMELIA - Sono a casa tua?… Toh, è vero! E come mai?

MARCELLO - Ma è quello che ti chiedo io, Dio buono!…

AMELIA - (come colta da un presentimento) Forse che?…

MARCELLO - Eh?

AMELIA - Forse che abbiamo dormito assieme?

MARCELLO - Eh! Porco mondo! Sembrerebbe proprio!… Non è che mi hai fatto uno scherzo?… No?… Non sei arrivata adesso?

AMELIA - Ma no!

MARCELLO - (scende dal letto e durante le battute che seguono si mette i pantaloni del pigiama) Quindi, chiuso! Abbiamo dormito assieme e buonanotte!

AMELIA - Eh, sì!

MARCELLO - Ma è spaventoso!… È un abuso di fiducia! Ti avevo in consegna!

AMELIA - (indietreggiando in modo da sedersi sui guanciali) Sì, capo!…

MARCELLO - Ma cosa dirò, io, a Stefano, quando mi chiederà?…

AMELIA - (vivacemente) Oh, ma tu non glielo dirai!

MARCELLO - Certo che no! Ma avrò un peso ancora più tremendo sulla coscienza!… Confessando tutto, almeno…

AMELIA - Daresti un dolore a Stefano!

MARCELLO - Sì, ma sarebbe un conforto per lei!

AMELIA - Chi?

MARCELLO - La mia coscienza!… Oh! Ma come abbiamo fatto?

AMELIA - Non lo so! Non mi ricordo!

MARCELLO - (in piedi, davanti al letto, mettendosi gli stivali) Stefano! Il mio migliore amico! Lui, che partendo mi aveva detto tanto affettuosamente: “Occupati di Amelia! L’affido a te… perché con te, se non altro, sono sicuro di lei!…”

AMELIA - Sì!… Anche se è un po’ una villania!… Dimostra che non aveva molta fiducia in me!

MARCELLO - E come aveva ragione!

AMELIA - Non dico di no! Ma non toccava a lui prevederlo. Fino a un certo punto sono giustificata!

MARCELLO - Tu forse! Ma io no! Ah! Perché è il mio migliore amico?… (Sedendosi sul letto accanto ad Amelia) Perché, se non fosse il mio migliore amico, guarda come sarebbe semplice: io sarei soltanto un uomo che ha passato la notte con una donna… e questo accade tutti i giorni, questo!…

AMELIA - Senza contare che la notte non l’avremmo passata assieme!

MARCELLO - Ah?

AMELIA - Perché, se non eri il suo migliore amico, Stefano non ti avrebbe detto: “Occupati di Amelia!…”

MARCELLO - Ma sì!… (Cambiando fisionomia) Ma allora… (Scendendo dal letto) in fondo è tutta colpa sua!

AMELIA - Ma certamente! Non si affida la propria amante, se è giovane e bella, a un uomo…

MARCELLO - Bello e giovane!…

AMELIA - (con una smorfia) Insomma… non male!

MARCELLO - Questo volevo dire! E lui avrebbe il diritto di lamentarsi?… Suvvia!…

AMELIA - Un uomo che ti dice: “Sorvegliala”!

MARCELLO - Ah! No!…

AMELIA - È disgustoso!

MARCELLO - No, noi… dobbiamo essere giusti! Mi ha detto: “Occupati di Amelia”, non mi ha detto “Sorvegliala”.

AMELIA - Sì, ma ti ha pure detto: “Con te, se non altro, sono sicuro di lei!…” Che è la stessa cosa! Oh! Mi vendicherò!

MARCELLO - (mostrando il letto) Oh!… Già fatto!… Ah! E poi, perdinci! Ho forse la faccia del tutore, io?… Per chi mi prende?… Per un eunuco?… Cosa pensa, che non abbia la stessa tempra che ha lui?… Lui non ha forse dormito con te?…

AMELIA - Sempre!

MARCELLO - (venendo avanti fino ai piedi del letto) E allora?

AMELIA - (come lui) E allora?

MARCELLO - (addossato allo schienale del letto) Pff!

AMELIA - Pff! (Rimangono un istante silenziosi e preoccupati. Marcello, dopo qualche esitazione, gira la testa verso Amelia che lo guarda scuotendo la sua; Marcello, infastidito, gira di nuovo la testa. Ripetizione dello stesso gioco da parte di Marcello. Amelia risponde con una smorfietta e sporgendo le labbra)

MARCELLO - Oh, oh! È disgustoso lo stesso!…

AMELIA - (scuotendo la testa) Sì.

MARCELLO - (passando a destra) Puoi trovare tutte le buone ragioni che vuoi, ma questo non giustifica!… (Tornando verso Amelia) Un uomo che mi ha dato una prova assoluta di fiducia! Che mi ha detto…

AMELIA - “Occupati di Amelia!…”

MARCELLO - Sì!… Oh! Come siamo potuti arrivare a questo punto? E senza nemmeno rendercene conto!

AMELIA - Capitano certe cose, nella vita!…

MARCELLO - (sedendosi, al 2, sul letto, accanto ad Amelia) Vediamo, ieri… ieri sera, cosa abbiamo fatto?

AMELIA - Come, “cosa abbiamo fatto”? Siamo andati alla fiera di Montmartre con gli amici: Bibichon e tutta la banda.

MARCELLO - Sì… questo me lo ricordo chiaramente…

AMELIA - Siamo saliti sui maiali.

MARCELLO - Ah sì, i maiali! Il mal di mare che mi hanno fatto venire! Quei porci di maiali!

AMELIA e abbiamo lanciato le stelle filanti!

MARCELLO - Come ogni foireman che si rispetti.

AMELIA - Poi siamo andati in giro a far baraonda con le maschere di cartone!…

MARCELLO - Che idiozia!… E ci siamo divertiti a spaventare la gente, inseguendola con le girandole dei fuochi artificiali!

AMELIA - (ridendo e imitando le girandole) Sì! Psss!

MARCELLO - Ah! Ti fa ridere? Che scemenza! No, bisogna proprio essere stupidi!… La sera!

AMELIA - Poi siamo andati a cena all’Abbazia di Thélème; poi abbiamo cenato un’altra volta al Topo Morto; dopo di che siamo andati a bere dello champagne a Pigalle…

MARCELLO - Dopo di che, per i kummel con ghiaccio siamo andati al Royal.

AMELIA - Dopo di che… dopo di che!… Tutto diventa più vago… Mi ricordo di bar, di luci! E ancora champagne!…

MARCELLO - Cominciavamo ad essere un po’ brilli!

AMELIA - Più che brilli, sì!… Vedevo ogni cosa attraverso una nebbia! E quando siamo andati via, ci siamo accorti che la terra girava.

MARCELLO - (staccandosi leggermente dal letto) Guarda un po’, bisogna essere sbronzi per verificare le leggi della natura!

AMELIA - Allora ti ho detto: “Qui le cose vanno male! Non potrei mai fare la scala in questo stato”.

MARCELLO - (afflitto) Già!… E io ti ho risposto: “Andiamo a casa mia… Ti offro l’ammoniaca!…”

AMELIA - Già, l’ammoniaca!

MARCELLO - Oh! Imprudenti parole!

AMELIA - Tanto più che l’ammoniaca non sei riuscito a trovarla!…

MARCELLO - Per niente!

AMELIA - …e l’abbiamo sostituita con lo champagne!

MARCELLO - (tristemente, prendendo meccanicamente la bottiglia vuota sul comodino) Che non deve aver prodotto lo stesso effetto. (Si lascia cadere sul divano, con la testa bassa, i gomiti sulle ginocchia, la bottiglia fra le gambe, tenuta per il collo)

AMELIA - No! Perché dopo, più niente! Il buio più nero!

MARCELLO - (che ha capovolto la bottiglia, tenendola col collo verso terra) Il nulla!… (Ripetendo tristemente e facendo oscillare mollemente la bottiglia col collo in basso) Il nulla!… (Alzando la testa) Ma allora… il resto?… Il resto?…

AMELIA - Quale… resto?

MARCELLO - (si alza e va a posare la bottiglia sul comodino) Come, quale resto? Ma il resto!… (Afferrando Amelia per i polsi) Insomma questa notte… qui… tutti e due… abbiamo… oppure… non abbiamo?

AMELIA - (occhi negli occhi, dopo una breve pausa) Insieme?

MARCELLO - (ansimando) Sì!…

AMELIA - (esita un attimo, poi allargando le braccia) Ah!…

MARCELLO - (indietreggiando e allontanandosi dal letto) Come “Ah”! Non è possibile! Via, non ti ricordi?

AMELIA - Per niente.

MARCELLO - È il colmo!

AMELIA e tu, allora?

MARCELLO - Io nemmeno!

AMELIA - Beh, e allora?

MARCELLO - Ah! Ma tutto sta lì: avere o non avere… come dice Shakespeare! È evidente, perdinci, che se siamo stati soltanto fratello e sorella… Ma lo siamo stati?… Ecco il punto!

AMELIA - (indicando il cielo col capo) Dio solo lo sa!

MARCELLO - (ai piedi del letto) E io lo conosco… non ce lo dirà!

AMELIA - No!

MARCELLO - Insomma, non importa! Prima di tutto, l’essenziale è che Stefano faccia come noi: che non lo sappia!

AMELIA e siccome noi non andremo di certo a dirglielo…

MARCELLO - Di conseguenza, non è successo niente!

AMELIA - Non è successo niente!…

MARCELLO - (venendo avanti al proscenio) Ecco! Non è successo niente!

AMELIA - Ah! Povero Stefano!

MARCELLO - Ci si arrovella e poi, tutto sommato, non è successo niente!

AMELIA - (si è ricacciata sotto le coperte, lasciando cadere la testa sul guanciale) Oh! Come mi sento fiacca!

MARCELLO - Ah! No! No!… Non è il momento!… Ora ti alzi, eh?

AMELIA - Oh! Di già!

MARCELLO - Sì, di già, lo credo bene, di già! Adesso ti porto i vestiti nello spogliatoio e vai a vestirti di là! Forza, spicciati! Spicciati!

AMELIA - Oh! Spicciati, spicciati!

MARCELLO - Sì, spicciati, spicciati! Il vestito? Dov’è il tuo vestito?

AMELIA - Che ne so, io?

MARCELLO - Su, in piedi!… In piedi-in piedi-in piedi!

AMELIA - (obbedendo e rovesciando le coperte) Oh, che seccatura!… (Lancia un grido di sorpresa) Ah!

MARCELLO - Cosa?

AMELIA - (con molta ingenuità) Ho dormito con gli stivaletti! (Si sbellica dalle risa, lasciandosi cadere sulla schiena e agitando in aria i piedi calzati)

MARCELLO - (poco disposto a scherzare) Buffo, proprio buffo!… Ma non ridere, dai! Non ridere!

AMELIA - Non rido, vecchio mio; sono solo meravigliata.

MARCELLO - (cercando con gli occhi il vestito di Amelia) È mai possibile? Insomma il tuo vestito? Dove hai cacciato il tuo vestito?

AMELIA - Ma non lo so, ti dico!

MARCELLO - (trova il cappellino sulla consolle di fondo) Ah, toh! Ecco il cappello!… Ah! E la tua maschera di ieri c’è rimasta impigliata.

AMELIA - No?

MARCELLO - Toh, guarda! (Si mette la maschera sulla faccia e il cappellino di Amelia in testa. Viene in questa maniera fino al proscenio, facendo muovere col mento la mandibola articolata della maschera. Amelia ride. Marcello vede il vestito sul tavolo) Ah! Il tuo vestito!… Sul tavolo!

AMELIA - Sul tavolo?

MARCELLO - (sempre con la maschera sul viso, si mette il cappellino di Amelia sotto l’ascella sinistra) Ti sembra quello il posto dove mettere un vestito?

AMELIA - Oh! Il mio cappellino!

MARCELLO - (precipitosamente tira via il cappellino) Scusami. (Lo passa sotto l’altro braccio)

AMELIA - Ah! Marcello! Marcello! Il mio cappellino!

MARCELLO - (riprendendo in mano il cappellino) Ah! Sei ordinata, tu! (Prende il vestito; dalle pieghe cade una scatoletta lunga) Questo cos’è? (Raccoglie) Ah! La scatola dei fuochi artificiali! Che baraonda, mio Dio, che baraonda!… (Ad Amelia) Su! forza! Spicciati! Spicciati! (Nel camminare incespica nel vestito. Furioso) Ma insomma! (Esce a destra in primo piano)

SCENA SECONDA

Amelia, poi Carlotta, poi Marcello

AMELIA - Spicciati, spicciati! Fa presto lui! Non ho nessuna voglia di spicciarmi-spicciarmi. (Mettendo le gambe fuori dal letto) Ah! Ho le gambe molli! (Salta giù dal letto) Su, un po’ di coraggio!… (Passa davanti al letto) Dov’è la sottoveste? (In questo momento entra Carlotta, che viene decisamente avanti in scena) Oh!

CARLOTTA - Oh!… Scusate!…

AMELIA - (turbata) Sono io!… Io… io venivo…

CARLOTTA - (a disagio anch’essa) La signora… la signora aspetta il signor Courbois?

AMELIA - Eh? Sì… sì, precisamente!

CARLOTTA - Non so se è pronto; vado a vedere.

AMELIA - (passa al 2, davanti a Carlotta, sollevando leggermente la camicia col gesto della parigina che si rialza le sottane lungo la strada per camminare più, spedita) Oh! No, non disturbatelo, ripasserò, signorina!… Ripasserò!

MARCELLO - (tornando come un fulmine) Ecco, se ora vuoi… (Scorgendo Carlotta e passando rapidamente al 2, fra Amelia e Carlotta) Ah!… E voi cosa fate lì?

CARLOTTA - È… è la signora che…

MARCELLO - La signora?

CARLOTTA - …che chiedeva se il signore era in casa!…

MARCELLO - (mentre Amelia, ridendo in sordina, appoggia maliziosamente la schiena contro la schiena di lui) Ancora voi!… Volete lasciarmi in pace?… Chi vi ha dato il permesso di entrare?…

CARLOTTA - (presentandogli un pacco di giornali e di lettere) La posta. L’ha portata adesso il portinaio.

MARCELLO - Beh, non è una buona ragione per entrare qui dentro come in un bar. Su, date qua!… (Le strappa la posta con malumore)

CARLOTTA - (porgendogli una scatola di carta da lettere e un gomitolo di corda abbastanza voluminoso) Questa è la carta da lettere!… E il gomitolo di corda che il signore mi ha ordinato di comprare.

MARCELLO - Bene, non potete metter tutto sul comodino? Non vedete che ho le mani occupate?

CARLOTTA - (va a mettere gli oggetti sul comodino) Sì, signore.

MARCELLO - (seguendola, mentre Amelia si sposta all’estremità sinistra) E portate via la bottiglia di champagne.

CARLOTTA - Sì, signore.

MARCELLO - (venendo avanti) Oca!

CARLOTTA - Sì, signore! (Esce)

MARCELLO - (sul davanti della scena, con la testa girata in direzione della porta) Oca!

AMELIA - (gli si è avvicinata senza che lui se ne accorga, maliziosamente) Senti un po’!… Penso proprio che mi abbia vista! (Scoppia a ridere e torna a sinistra, andando a sedere sulla cassapanca che sta nello strombo della finestra)

MARCELLO - Ah, sì! Brava, lei !… La caccio via, io!

AMELIA - (seduta) Perché?

MARCELLO - Cosi imparerà… ad averti vista! (Torna verso il fondo, oltre il tavolo, e durante le battute seguenti si versa, una tazza di cioccolata)

AMELIA - Sbagli, è graziosa la tua servetta.

MARCELLO - Ah! Se credi che l’abbia guardata…

AMELIA - Come si chiama?

MARCELLO - Non ne so niente! Non gliel’ho chiesto.

AMELIA - Come, non sai nemmeno il nome della tua domestica?

MARCELLO - Io no! Si è presentata ieri mattina, io dormivo, l’ho presa al buio… È la prima volta che la vedo.

AMELIA - Ah, se fossi la tua amante, sai!… Una domestica così!… È un po’ troppo carina per un uomo che vive solo!

MARCELLO - (va a prendere Amelia alla cassapanca) Ah! Senti, vai a vestirti invece di dire delle stupidaggini! Se credi che io sia per gli amori ancillari! (Trascinandola per il polso) Va’! I tuoi stracci sono di là!

AMELIA - (lasciandosi trascinare) Hai ragione. (Facendogli bruscamente lasciare la presa) Ah! Ma a conti fatti!…

MARCELLO - Eh?

AMELIA - Sarò cretina, ma non posso mettermi il vestito!

MARCELLO - Perché?

AMELIA - Come perché? Ma è un vestito da sera, scollato e pieno di paillettes. Non mi vedo tornare a casa vestita così, in pieno mezzogiorno.

MARCELLO - (torna ad afferrarla al polso) Beh, prenderai il metrò.

AMELIA - (liberando di nuovo il polso) Ma no! Ma no! Non fosse che per il portinaio!… E per me stessa, è ridicolo!… No, scrivo un biglietto a papà, che mi mandi un tailleur; gli farai recapitare il biglietto dalla domestica! Ora che mi ha visto, non devo più nascondermi.

MARCELLO - (alzando le spalle) Come vuoi!… Ma perdi un sacco di tempo! (Ritorna accanto al comodino, mentre Amelia va a mettersi al tavolino-scrittoio, disponendosi a scrivere)

AMELIA - (sta cercando qualcosa e mette in disordine tutti gli oggetti che stanno sul tavolino) Ecco! Vediamo un po’!…

MARCELLO - (con inquietudine, mentre la vede mettere in disordine le sue cose) Oh! No! No! Cosa cerchi, cara? Chiedi! Chiedi a me!

AMELIA - La carta!

MARCELLO - Sì, va bene, ma non rompere tutto.

AMELIA - (quasi gridando) La carta!

MARCELLO - (va a prendere la carta da lettere) Ma sì, ecco! Ecco!

AMELIA - Forza! Spicciati-spicciati!

MARCELLO - (imprecando) Spicciati-spicciati! Che modo di parlare!

AMELIA - Ti faccio notare che sei stato tu, poco fa…

MARCELLO - Sì, va bene! Toh! Prendi. (Le getta la carta da lettere)

AMELIA - Grazie! (Pronunziare “grassie”)

MARCELLO - (sgarbato) Ah! “Grassie”! Si sente che vieni dalla campagna![14]

AMELIA - (scrivendo e sillabando mentre scrive) Paparino! Mi trovo in Rùe Cambon, da Courbois, che mi ha ospitata questa notte. Vieni a prendermi e por… (Prende inchiostro) tami un… un tailleur. Ti abbraccio, Amelia.

MARCELLO - (che durante la battuta precedente, dietro il tavolino, in prossimità di Amelia, aveva incominciato lo spoglio della corrispondenza, dà casualmente un’occhiata a quello che Amelia ha scritto) Senza acca.

AMELIA - Come?

MARCELLO - Senza acca, tailleur.

AMELIA - Ah?… Oh! Non importa! È per papà.

MARCELLO - Ah! Bene!… Bene! Io lo dicevo per tailleur! (Va a sedersi sul divano, contro il tavolo)

AMELIA - (prendendo una busta) Ora l’indirizzo: Signor Pochet…

MARCELLO - (che ha aperto un’altra lettera, dopo averle dato un’occhiata) Ah!

AMELIA - (scrivendo) …Rùe de Rivoli… Che c’è?

MARCELLO - Ah! Per la miseria!

AMELIA - Ma che c’è?

MARCELLO - Il padrino! Il padrino ritorna a Parigi!

AMELIA - Chi? Van Putzeboum?

MARCELLO - Sì! Ah! Destino maledetto! Ma cosa viene a fare? Era partito e non doveva tornare più…

AMELIA - Ce l’avremo ancora fra i piedi?

MARCELLO - Ma sì! Toh, ecco la lettera: (Leggendo) “Ascolta, racasso!…” (Parlato) Abita in Olanda…

AMELIA - (terminando in vece sua) Ma è di Anversa.

MARCELLO - Ah! Ah! Lo sai?

AMELIA - Sì, sì, lo so!

MARCELLO - (leggendo) “Ascolta, racasso, ti voglio fare la sorpresa, sono a Parigi da stamattina; spero che saprò vederti questo pomeriggio. Il tuo padrino che ti vuol bene”. (Si alza e si sposta fino alla spalliera del letto; fra i denti) Che animale!… Ah! È proprio una bella sorpresa! (Torna verso il divano)

AMELIA - Ah! Sì!

MARCELLO - “Postscriptum: noi bisogna che tu…”. (Parlato) Cosa? (Leggendo) “Noi bisogna che tu…”? (Ad Amelia) Cosa leggi tu, qui?

AMELIA - (leggendo alle spalle di Marcello) “Noi bisogna che tu…”

MARCELLO - Sì, noi bisogna che tu!

AMELIA e MARCELLO - (leggendo assieme) “Noi bisogna che tu vieni a cena stasera con la tua fidanzata e suo padre, il signor d’Avranches”.

MARCELLO - (si avvicina al letto) Ah! Va bene. (Ad Amelia) Noi bisogna che tu rimani a cena con lui stasera!

AMELIA - Stasera! Non posso!

MARCELLO - Eh, no! Noi bisogna, noi bisogna!

AMELIA - Ma stasera vado a cena con…

MARCELLO - Non m’importa! Disdici! Niente da fare: noi bisogna! Noi bisogna! Ah! Che rompiscatole!

AMELIA - Ah! Sì, proprio!… Bel divertimento essere costretti a mandare tutto all’aria! Insomma, cosa ti devo dire, manderò due righe. Ma se credi che mi diverta!

MARCELLO - (categorico) Ebbene, mia cara! Noi bisogna!

AMELIA - (che ha preso un altro foglio di carta e si accinge a scrivere) Oh, sì! È divertente.

MARCELLO - (afflitto, si accascia ai piedi del letto) Ma cosa viene a fare, santo cielo!… Credevo di essermene liberato così bene! Doveva partire per l’America!…

AMELIA - (scrivendo) Ah! Forse è per questo!

MARCELLO - Cosa?

AMELIA - (idem) Se parte per l’America…

MARCELLO - Ebbene?

AMELIA - (idem) Se deve imbarcarsi a Le Havre…

MARCELLO - Allora?

AMELIA - Allora, è del tutto naturale che passi da Parigi. (Sempre parlando ha preso una busta e ha scritto un indirizzo)

MARCELLO - (fa una smorfia poco convinta, poi) Insomma! Che Dio ce la mandi buona! (Cambiando tono) Beh?… Hai finito? (Amelia, occupata a scrivere, risponde solo con un impercettibile cenno del capo. Più forte) Hai finito? (Stesso gioco) Hai finito?

AMELIA - Ma sì, ho finito.

MARCELLO - (alzandosi e spostandosi verso la testata del letto) E allora dillo!

AMELIA - Ma io l’ho detto!

MARCELLO - Tu?

AMELIA - L’ho detto con la testa.

MARCELLO - Ah! “Con la testa”? (Suona)

AMELIA - (mentre sta per mettere le lettere, ciascuna nella propria busta) Aspetta! Non è asciutto!

MARCELLO - Soffia, allora! (Viene avanti all’estrema sinistra. Amelia soffia alternativamente sulle due buste, tenendone una in ciascuna mano; poi, durante le battute seguenti, introduce in esse le lettere che ha scritto) Avanti!

SCENA TERZA

Gli stessi, Carlotta, poi Irene

CARLOTTA - (mettendo dentro la lesta con circospezione) Posso… posso lo stesso?… Sì?

MARCELLO - Cosa?

CARLOTTA - Posso entrare lo stesso, anche se il signore ha suonato?

MARCELLO - Mi prendete per il bavero?

CARLOTTA - No, signore!

MARCELLO - Oca!

CARLOTTA - Sì, signore.

MARCELLO - Forza! Dovete fare una commissione per la signora.

AMELIA - (a Carlotta, che sta di là dal tavolo) Sì, prendete, figliola! Non è lontano… dovete portare questa lettera all’Hotel Continental…

CARLOTTA - (prendendo la lettera) Sì, signora. (Torna verso il fondo)

AMELIA - Aspettate! Aspettate! Ce n’è un’altra: in Rùe de Rivoli, qui accanto.

CARLOTTA - Ah?… Ah! Beh, allora non è una commissione.

MARCELLO - Come, non è una commissione?

CARLOTTA - Beh… sono due commissioni!

MARCELLO - (guarda il pubblico scuotendo significativamente la testa; poi, trattenendosi) Sentite! Volete togliervi dai piedi?

CARLOTTA - (obbedendo senza premura) Sì, signore.

MARCELLO - (balzando verso di lei e con tutt’altro tono) Volete togliervi dai piedi?

CARLOTTA - (andandosene più in fretta) Sì, signore!

MARCELLO - (sulla soglia della porta di fondo, parlando fuori scena) Oca!

AMELIA - (attraversa la scena dietro Marcello, senza che questi se ne accorga) Ah! Accidenti, io gelo vestita così! (Va di nuovo a letto)

MARCELLO - (sempre parlando fuori scena) Avete capito? Oca! (Chiude la porta e si dirige al tavolino dove pensa di trovare ancora Amelia) Cose neanche da credere, mia cara… (Vedendola a letto) Eh? Ah, no, no! Non vorrai tornare a letto!

AMELIA - Ah! Ma sono tutta gelata, io! E mentre aspetto papà…

MARCELLO - (vuole farla alzare) Non c’è “mentre aspetto papà” che tenga! Su! Su! In piedi!

AMELIA - Oh! Ma senti!…

MARCELLO - In piedi-in piedi-in piedi! (Suonano)

MARCELLO - Zitta! (Entrambi si irrigidiscono e tendono l’orecchio) Hanno suonato.

AMELIA - Sì.

MARCELLO - (avvicinando l’orecchio alla porta) Ma chi sarà che viene a seccarci?

VOCE DI CARLOTTA - Ma di chi chiedete, signora?

VOCE DI IRENE - C’è il signore? C’è?

MARCELLO - (facendo un balzo verso il letto) Porco cane, Irene!

AMELIA - Cosa?

MARCELLO - La mia amante, vattene!

AMELIA - (che si appresta a scendere dal letto) Eh? La signora?

MARCELLO - (le dà una spinta alle spalle, facendola cadere dal letto, con la testa e le mani avanti) Ma vattene, perdio!… Nasconditi!

AMELIA - (cadendo con la testa in basso) Ma dove? Ma dove?

MARCELLO - (ha fatto il giro del letto e si appresta a sciogliere i reggitenda per chiudere le cortine) Non lo so! Lì, sotto il letto! Sbrigati, perdinci!

AMELIA - (mentre sta per scivolare sotto il letto) Ah sì, me ne ricorderò di questa mattina!

MARCELLO - (spingendola due volte col piede, di piatto) Ma vuoi sbrigarti, porco cane! (Scioglie i reggitenda, le cortine si chiudono. Buio. Marcello salta sul letto e vi si distende completamente. Nello stesso momento bussano alla porta)

IRENE - (mettendo dentro la testa) Si può?

MARCELLO - (come se si svegliasse di soprassalto) Chi?… Chi è?

IRENE - (entra; si vede che c’è piena luce in anticamera, mentre nella camera è buio) Oh! Com’è buio!

MARCELLO - Ma chi è… chi è?

IRENE - (mentre chiude la porta) Il cuore non te lo dice?

MARCELLO - (con una voce che vorrebbe essere trepida ed è soltanto tremolante) Oooooh! Irene!

IRENE - Ah! Il cuore gliel’ha detto! (Slanciandosi verso il letto, a tastoni) Ah! Mio caro!… Ma dove sei?

MARCELLO - (con la stessa voce tremolante) Qui! (La mano di Irene, nel buio, urta il viso di Marcello) Oh!

IRENE - Oh! Ti ho messo il dito in un occhio?

MARCELLO - No! È la bocca!

IRENE - (con slancio) Oh! Mio caro!

MARCELLO - Oh! Rirì! (Si baciano)

AMELIA - (spunta da sotto il letto, a mezzo busto; di fronte al pubblico, comicamente) Oh! Come si sta male lì sotto!

IRENE - (liberandosi dalla stretta di Marcello) Ma perché sei così al buio? Aspetta! (Cerca a tastoni l’interruttore elettrico)

MARCELLO - Cosa cerchi?

IRENE - (stesso gioco) L’interruttore.

MARCELLO - Oh! Vuoi accendere?

IRENE - Ma sì, è triste qui! Non ci si vede! (Con civetteria) E ci si rimette!… Io, almeno!

MARCELLO - (sforzandosi di mettersi al passo) Oh! Anch’io.

IRENE - (come sopra) Oh! Tu lo dici per non essere in debito con me.

MARCELLO - (stesso gioco) Ma no, ci rimetto molto più di te!

IRENE - Oh! Sei gentile! (Lo bacia)

AMELIA - (sotto il letto) Ma non hanno ancora finito, là sopra!

IRENE - Insomma! Dov’è l’interruttore?

MARCELLO - Accanto al letto, sopra il comodino.

IRENE - Sopra il comodino, bene! (A tastoni, fa cadere il gomitolo di corda che rotola sotto il letto)[15] Oh, ho fatto cadere qualcosa! È andato sotto il letto! Aspetta! (Si abbassa per raccogliere l’oggetto caduto)

AMELIA - (a parte) Accidenti!

MARCELLO - (arrestando precipitosamente il movimento di Irene) Lascia stare! Lascia stare!

IRENE - Ma è lì…

MARCELLO - (vedendo che si sta abbassando di nuovo, la rialza) Lascia stare, ti dico!… Non ha importanza!… È un gomitolo di corda. Lo raccoglieremo dopo.

IRENE - Ah! Come ti pare.

AMELIA - (in tono canzonatorio) Oh! Che peccato! Avrei ricevuto una visita!

IRENE - (trova l’interruttore che accende il lampadario e non quello della lampada da notte) Trovato. Ecco! (Gira l’interruttore, il lampadario si accende) Ah! Finalmente! Ora ci si vede!

MARCELLO - (facendosi schermo con la mano, come chi è accecato dalla luce) Ah? Credi?

IRENE - Oh! Ti dà fastidio agli occhi?

MARCELLO - Sai, mi sono appena svegliato, e allora…

IRENE - Sono io che ti ho svegliato!… Oh! Mi dispiace!

MARCELLO - Ma no! No! Hai fatto bene! È ora che mi alzi. (Fa l’atto di scendere dal letto dal lato destro)

IRENE - (gli rimette le gambe sul letto) Come hai detto?

MARCELLO - (stesso gioco) Sì, è chiaro, no?…

IRENE - (stesso gioco) Ma niente affatto! Io arrivo e tu mi dici che vuoi alzarti! Ah, sì, davvero gentile!… Mentre io sono qui, vicino a te, tutta felice, fremente di desiderio per te.

MARCELLO - Eh?

AMELIA - (a parte) E allora, capo?

IRENE - (si toglie il cappotto e si accinge a spogliarsi) Neanche per idea! Stavi dormendo? Va bene, dormiremo tutti e due!

MARCELLO - (con un sorriso angosciato) Aha!

IRENE - Come due bravi sposini.

MARCELLO - (stesso gioco) Aha!

IRENE - Non sei contento? (Pronunziare “cotento”)

MARCELLO - Oh! Sì! Sì! Ah! Certo!

AMELIA - Eh! Ci sarà da divertirsi qui sotto!

IRENE - (arrampicandosi sul letto con le ginocchia) Proprio come due bravi sposini!

MARCELLO - Aha?

AMELIA e proprio sopra la mia testa!

IRENE - (saltandogli al collo) Oh! Caro-caro-caro!

MARCELLO - (sforzandosi di mettersi al passo) Oh! la mia Rirì-Riretta!

AMELIA - Ci siamo! Si attacca l’ouverture!

MARCELLO - (mentre Irene, che sta a letto sulla destra, e quindi alla sinistra di Marcello, lo bacia sul lato destro del collo. A parte) Come dà noia in questi momenti sapere che c’è qualcuno sotto il letto!

IRENE - (scende dal letto e va a togliere il cappellino dal tavolo di destra) E ora una cosa che ti farà felice! Ho l’intera giornata per te.

AMELIA - (con tono strascicato) Eh?

MARCELLO - (terrorizzato) Aha?

AMELIA - (a parte) E io, dovrò rimanere qui sotto tutto il giorno?

MARCELLO - Tutta… tutta la giornata?

IRENE - Non mi sembri entusiasta.

MARCELLO - Io? Ah! Beh! Ah! Perbacco!

IRENE - No, davvero, ascolta! Ora che sono qui, accanto a te!…

MARCELLO - Hai ragione! Ma sì! Devo fare il bagno! Vieni! Vieni in bagno… (Fa l’atto di scendere dal letto)

IRENE - (rimettendogli le gambe sul letto come in precedenza) Eh? Ma no! Ma no! Che idea!

MARCELLO - (stesso gioco) Non vuoi venire in bagno?

IRENE - (stesso gioco, con un tono che non ammette repliche) No!

AMELIA - (a parte, con tono esageratamente comico e facendo la boccuccia) Ah! Però sarebbe tanto bello se andasse in bagno!

IRENE - (viene un poco avanti in scena, per cui Amelia si eclissa sotto il letto) Andare in bagno quando si ha una bella camera! Ah! No! No, grazie! (Ritorna da Marcello) Mi fai un po’ di posto nella tua nanna? Io vado a spogliarmi. (Va fino al tavolo e incomincia a sbottonarsi il colletto)

MARCELLO - (con angoscia) Aha?

AMELIA - (compare sotto la spalliera del letto a sinistra) Eh? Queste donne oneste! E poi vi guardano dall’alto in basso!

IRENE - (alle prese con il busto, allacciato sulla schiena) Oh! Questi ganci!… (Salta a sedere sul letto e presenta la nuca a Marcello; questi, occupato a parlare fra di sé, non sembra udirla) Ecco, Marcello, ti spiace?… (Vedendo che Marcello non risponde) Marcello! (Scende dal letto, poi prende bruscamente Marcello per il mento e gli fa girare la testa verso di sé) Ehi, tu! Ma che hai?

MARCELLO - (che immediatamente si è costruito un sorriso) Eh?

IRENE - Non ti va?

MARCELLO - Oh! Ma certo! (Tende le mani per slacciare il gancio)

IRENE - (respingendo la mano di lui) No, no! Hai una faccia da funerale! Ah! Senti un po’, forse per caso, da quando frequenti la signorina d’Avranches?…

AMELIA - Me!

MARCELLO - Oh! Cosa? Cosa? Ma cosa vai a pensare?

IRENE - Ah! Il fatto è che sono troppo buona; mi sono prestata volentieri per il tuo padrino!… Ma forse, giocando così alla fidanzata e al fidanzato… chissà! Forse è capitato che… E questo no, non mi piacerebbe!

MARCELLO - Oh! Io! Io! Con Amelia! Ah, questa! Ah! Ma ti pare possibile?

AMELIA - (distesa sulla schiena, ha metà del corpo fuori dal lato sinistro del letto; mentre Marcello parla, dà con la mano piccoli colpi al materasso) Ehi, senti un po’! Senti un po’, tu là in alto!

IRENE - Ah! Lo spero! D’altra parte non è una donna per te, quella ragazza! Certo, ha un bel musetto…

MARCELLO - (contentissimo di questa concessione, picchiettando con la mano destra il materasso per attirare l’attenzione di Amelia) Ah! Questo sì, sì, proprio un bel musetto.

AMELIA - (afferrandogli il polso e scuotendolo comicamente, tanto che Marcello quasi cade dal letto) Grazie, troppo gentile!

MARCELLO - (lottando per ritrovare l’equilibrio) Ah, ah!… Ah, ah!

IRENE - (afferrandolo per la gamba) Beh? Cos’hai?

MARCELLO - (rimettendosi a sedere) Niente! Niente!… È il materasso che scivola!

IRENE - (alzando le spalle) Oh! (Viene avanti un poco in scena. Marcello approfitta del fatto che lei volta le spalle per dare una pedala di piatto sulla nuca di Amelia che in questo momento, a quattro zampe, si appresta a rientrare sotto il letto)

AMELIA - (che il colpo fa cadere lunga distesa) Oh!

IRENE - (voltandosi al grido soffocato di Amelia) Eh?

MARCELLO - (che ha ripreso la sua posizione primitiva, con l’aria più, naturale del mondo) Niente, niente! Ho detto “oh!”

IRENE - (ritornando in argomento) E poi, cos’è quest’Amelia? Una che faceva la donna di servizio! Una serva!

AMELIA - (ventre a terra, sempre a sinistra del letto, appoggiando i gomiti sul pavimento e il mento sulle mani) Prego, prego, fate pure!

IRENE - E volgare!… Senza stile!…

AMELIA - Basta, basta! Il canestro è pieno!

IRENE - Come le sue mani! Hai visto le sue mani?

MARCELLO - No! No, io…

AMELIA - (guardandosi le mani) Eh? Cos’hanno le mie mani?

IRENE - È una brava ragazza, ma trasandata…

AMELIA - Ah! Ora comincia a scocciarmi, la signora!

IRENE - Si arriccia i capelli con la vaniglia, caro mio! Te l’immagini?

AMELIA e io dovrei rimanere qui a sentire queste cose? Ah! No, perbacco! (Scompare sotto il letto)

IRENE - Vedi, mio caro, la donna che fa per te sono io.

AMELIA - (facendo passare la testa fra i due piedi del letto, di fronte al pubblico) Ma certo! Senz’altro!

MARCELLO - (vedendo che Irene accende la lampada da notte) Cosa fai?

IRENE - Ci sono momenti in cui preferisco l’oscurità. (Accesa la lampada da notte, Irene gira l’interruttore che spegne il lampadario. Semioscurità)

AMELIA - Oh! Il gomitolo!… Aspetta un po’! (Scompare sotto il letto e, durante le battute seguenti, si indovina che sta armeggiando attorno a qualcosa; infatti, senza che la si possa vedere, si scorge di tanto in tanto la sua mano che manipola il copriletto, che pende dalla spalliera)

IRENE - (saltando gioiosamente sul letto) Oh! Caro! Caro!

MARCELLO - Oh! Rirì! Riretta! (Si baciano)

IRENE - (sedendosi, con le gambe sul letto, accanto a Marcello) Si sta bene nel tuo letto!… Ah! Se tu sapessi come ho dormito male stanotte!

MARCELLO - (con santa innocenza) Ah! Non quanto me! Ho lavorato fino a tardi!

IRENE - Io ho avuto degli incubi!… Figurati: sonnecchiavo; e sono stata svegliata di soprassalto da una lunga forma bianca che, alla luce della lampada, agitava delle lunghe braccia… (Senza transizione, baciandolo) Ti adoro!

MARCELLO - (che ha urgenza di conoscere il seguito) Sì, sì!… E cos’era?

IRENE - Mio marito, che si metteva la camicia da notte! Ci crederesti? È una sciocchezza, ma quando uno non se lo aspetta!… Tutta la notte, mi ha ossessionato! (Vedendo il copriletto che scivola giù, tirato da Amelia) Toh, è caduto il copriletto.

MARCELLO - Non fa nulla.

IRENE - E mi sembrava sempre di vedere gli oggetti che si agitavano, i mobili che si muovevano… (Lancia un urlo, vedendo che il copriletto, sotto il quale è nascosta Amelia, avanza nella stanza a balzelloni) Ah! (Salta al di là di Marcello e si precipita all’estrema sinistra della scena, mentre la coperta animata si dirige saltellando verso lo spogliatoio. Un altro grido stridente e prolungato) Aaaaah!

MARCELLO - (saltando sulle ginocchia fino alla spalliera del letto, che non ha abbandonato) Eh? Eh? Cosa c’è?

IRENE - (rincantucciata all’estrema sinistra) Lì!… Lì!… Il tuo copriletto che cammina!

MARCELLO - (a parte, con un riso soffocato) Ah! Diavolo d’una Amelia! (A voce alta, facendo l’innocente) Dove? Non vedo niente!

IRENE - Dio mio! Mi riprende l’incubo!… Oh! Marcello, ho paura!

MARCELLO - (che è andato a raggiungere Irene) Andiamo! Andiamo, su! Per un copriletto che cammina! Capita tutti i giorni. Bisogna essere al disopra di queste cose! Al disopra di queste cose! (Nello stesso momento, dalla porta dello spogliatoio rimasta aperta, si vede il copriletto che, a piccole scosse, ritorna in direzione del letto.[16]

IRENE - (grido stridente) Aaaah!

MARCELLO - (sobbalzando) Eh?

IRENE - Lì! Lì! Eccolo che ritorna!

MARCELLO - Eh?

IRENE - Lì! Lì!

MARCELLO - (smarrito) Il copriletto che se ne torna da solo! (Nel frattempo, il copriletto si è avvicinato a scosse distanziate. Nuova scossa)

IRENE - (lanciando un urlo e precipitandosi sul letto per ridiscendere subito dal lato destro) Ah!

MARCELLO - (facendo come lei) Andiamo, andiamo! (Turbatissimo) Calma… calma, perbacco! (Irene è al 2, più indietro rispetto al tavolo, e Marcello più in avanti)

IRENE - (vede Marcello, che poco tranquillo si dirige con circospezione verso la coperta. Bruscamente, gridando) Marcello! Marcello! Non ti avvicinare!

MARCELLO - (balza indietro al grido di Irene; poi) Via! Via! Cosa penseresti di me se… Nel momento del pericolo un uomo non deve tirarsi indietro! (Marcello si avvicina in punta di piedi alla coperta)

IRENE - (vivacemente, nel momento in cui Marcello si avvicina) Marcello! Marcello! Sta’ attento!

MARCELLO - (nuovo balzo indietro; poi) Ah! Insomma! Via! (Come in precedenza, si avvicina con prudenza al copriletto. Lo considera con lo sguardo, azzarda uno o due timidi calcetti alla coperta con la punta del piede, poi vedendo che niente si muove, dopo un po’ di esitazione, l’afferra per un angolo e, trionfante, lo riporta correndo verso Irene, la quale, durante questo gioco scenico, è venuta avanti fino al proscenio, sulla destra, a rispettabile distanza da Marcello) Ecco!… Lo vedi? Fifona!

IRENE - (con ammirazione) Ne hai del coraggio, tu!

MARCELLO - (con ostentazione, tenendo la coperta in alto col braccio teso) Un uomo non indietreggia mai, nemmeno di fronte a un copriletto. (In questo momento, con una brusca scossa, questo gli viene strappato di mano e va a finire ai piedi del letto)

MARCELLO e IRENE - (lanciando lo stesso grido di terrore) Ah!

IRENE - (correndo in tutti i sensi, agitata) Ah! Dio mio! Aiuto! Aiuto!

MARCELLO - (contagiato dalla paura) Ma non gridare in questo modo! Finisci per influenzare anche me!

IRENE - (stesso gioco, correndo a prendere il suo cappellino sul tavolo) La coperta è stregata! Non voglio rimanere un minuto di più! (Si precipita agitata verso lo spogliatoio, da dove nello stesso momento viene in scena Amelia; sembra uno gnomo mostruoso, ha addosso un accappatoio da bagno, di cui si è messa in testa il cappuccio e sul viso ha la maschera già ricordata; agita con entrambe le mani una girandola accesa e cammina facendosi piccola piccola, procedendo a passi rapidi e dondolanti. Irene, invertendo il camminò) Ah! Aiuto! Aiuto!

CARLOTTA - (entra nello stesso istante) Che c’è? Che c’è?… (Gridando) Ah! Aiuto! Aiuto! (Le due donne si precipitano fuori)

MARCELLO - (agitato quanto loro) Ma fate silenzio, perbacco! Fate silenzio! (Si è rifugiato fra il letto e la finestra, letteralmente ipnotizzato dall’apparizione che ha davanti a sé. Accortasi del suo terrore, per divertirsi, Amelia va a mettersi di fronte a lui, ma dall’altro lato del letto. Marcello avanza precipitosamente fino alla spalliera del letto, come per attraversare la scena. Anche Amelia fa lo stesso dall’altro lato; Marcello torna verso la testata del letto, afferra un guanciale, lo lancia ad Amelia e corre alla cassapanca che sta sotto la finestra: vi sale sopra, avvolgendosi nelle cortine. Amelia, sbellicandosi dalle risa, va a buttare le girandole nel vaso che sta accanto alla porta dello spogliatoio, getta nello spogliatoio la maschera e l’accappatoio)

AMELIA - Beh! Ce l’abbiamo fatta… no?

MARCELLO - (sempre fra le cortine) Eh? Sei tu? Sei tu che ci fai prendere delle paure del genere?… (Scende dalla cassapanca e annoda i reggitenda alle cortine. Piena luce)

AMELIA - Eh sì, bisogna pure che le maschere e le girandole servano a qualcosa!

MARCELLO - (andando verso Amelia) Ah no, senti, è idiota!… Hai visto come hai ridotto quelle povere donne?

AMELIA e lamentati, ti ho salvato la faccia con la signora; senza di me, sarebbe ancora qui, e tu eri piuttosto nelle peste!… Ha avuto un po’ di fifa, eh? Ah! Bene, imparerà a prendermi in giro! Dopo l’accoglienza che le ho fatto in casa mia! Le mie mani, eh? Ma che cos’hanno, le mie mani? (Gliele caccia bruscamente sotto il naso)

MARCELLO - Andiamo, via! (Cambiando tono) Ah! Perbacco, quando ho visto il copriletto che se la filava, ho pensato subito che ci stavi sotto tu!… Ma quando l’ho visto tornare da solo!… Beh, allora…

AMELIA - Hai avuto la tremarella.

MARCELLO - (storditamente) Sì… (Animatamente) Eh! No!… No ma, insomma, non capivo più niente! Io non… Ma come diavolo hai fatto?

AMELIA - Oh! Molto difficile! La signora mi aveva inviato la cordicella, no? Io allora con una forcina ho unito la corda al copriletto, l’ho fatta passare attorno al piede del letto… e arrivata nello spogliatoio, oplà! Ho dovuto solo tirare perché il copriletto tornasse al suo posto. (Va verso il fondo e spegne la lampada da notte)

MARCELLO - (raccogliendo il copriletto e rimettendolo sul letto) Oh, che stupidaggine! Vuoi che te lo dica? È roba da bambini!

AMELIA - (venendo avanti) Beh sì. È l’uovo di piccione.

MARCELLO - (la guarda stupito, poi) Quale uovo di piccione?

AMELIA - Ma, non so! Sei tu che lo dicevi l’altro giorno!

MARCELLO - Io?

AMELIA - Insomma! Bisognava pensarci.

MARCELLO - Ah! L’uovo di Colombo, vuoi dire.

AMELIA - (ritorna verso il letto) Oh! Ma sì, certo! Colombo, piccione, è sempre la stessa bestia.

MARCELLO - La stessa bestia! Evidente! Evidente! (Ripetendo e ridendo sotto i baffi) L’uovo di piccione! (Si sposta sulla destra)

AMELIA - (arrampicandosi sul letto e ricacciandosi dentro) Sono fatta così, io! Sono inventiva!

MARCELLO - Ah! Bambinona!… (Girandosi e scorgendo Amelia a letto) Ah! No, non crederai di rimetterti a letto. Su, su! Forza! In piedi-in piedi-in piedi!

AMELIA - Oh! Ma insomma!…

MARCELLO - Forza, in p… (Una scampanellata che li fa sobbalzare; si guardano)

AMELIA - Hanno suonato.

MARCELLO - Sì. (Va ad ascoltare alla porta di fondo)

SCENA QUARTA

Gli stessi, poi Van Putzeboum

VOCE DI VAN PUTZEBOUM - Dai, dai! Permettete, se vi tico che sono il patrino!

MARCELLO - (con un balzo, alla voce di Van Putzeboum) Porco cane, il padrino! Forza! Sloggia, perdio!… Sloggia.

AMELIA - Ma dove?

MARCELLO - (spingendola alle spalle come all’arrivo di Irene) Sotto il letto, dai! (Sì precipita verso la porta per ascoltare)

AMELIA - (sorreggendosi mentre sta per cadere dal letto sotto la spinta di Marcello) Ah no, perdinci! Ne ho abbastanza! (Si ricaccia nel letto)

MARCELLO - (tornando al letto e ritrovandovi Amelia) Ma vuoi sloggiare? (Nello stesso momento si vede la maniglia della porta di fondo che gira) No, troppo tardi. (Marcello ha appena il tempo di saltare sul letto; con lo stesso movimento, Marcello e Amelia si tirano il lenzuolo sulla testa. Nello stesso preciso momento appare Van Putzeboum)

VAN PUTZEBOUM - (entra giusto in tempo per vedere il gioco del lenzuolo; rimane un istante a bocca aperta, poi fa un gesto con la testa come per dire: “Beh!”; quindi al pubblico, con un gesto promettente della mano) Aspetta un po’! (Si avvicina al letto in punta di piedi; quindi, con brusco movimento, scopre Marcello e Amelia)

MARCELLO e AMELIA - (insieme e vivacemente) Non disturbate!

VAN PUTZEBOUM - (sbalordito, riconoscendo Amelia) La signorina Amelia d’Avranches!

AMELIA - Eh? Sì!… Sì, passavo di qui.

MARCELLO - (ad Amelia, come se la incontrasse per la strada) Ah! Toh! Siete voi! Oh! Come va? (Le tende la mano)

AMELIA - (stringendogli la mano) Che bella sorpresa!

VAN PUTZEBOUM - E nel letto, poi, insieme!

MARCELLO - Oh! Se così si può dire!…

AMELIA - Ero di passaggio! Ero di passaggio!

VAN PUTZEBOUM - (scuotendo la testa con aria canzonatoria) Sì! Sì!… Eh, beh! Eh, beh!

MARCELLO - Cosa?

VAN PUTZEBOUM - Sta bene, dico.

MARCELLO - Sì, mica male, padrino! Anche voi state bene, si vede!

VAN PUTZEBOUM - Piaciuto? Sì? Sì?

MARCELLO - Oh! Padrino!

VAN PUTZEBOUM - (venendo un poco avanti in scena) Ah! Godferdeck! Non sei ancora sposato e già di tua donna approfitti!

MARCELLO e AMELIA - Eh?

VAN PUTZEBOUM - Eh! Beh, racasso!

MARCELLO - (scendendo dal letto) Padrino, vi spiegherò…

AMELIA - (sempre a letto) Vi assicuro, signore, che…

VAN PUTZEBOUM - (alzando le braccia al cielo) Oh là! Ma cosa sono queste storie? Sono affari vostri, sapete?

MARCELLO - (ha preso la giacca del pigiama e se l’è infilata. Viene avanti, al 3) Eh? Sì, lo so.

VAN PUTZEBOUM - (al 2) È come chi dicesse un acconto dietro garanzia!… Lo prendi prima, affari tuoi! (Dirigendosi al letto) E come va, la giovane fidanzata?

AMELIA - (ridente) Lo vedete… padrino!

VAN PUTZEBOUM - Sississì! Ah! Però, che mascalzoncello!… Quand’è che penso che eravate così innocente quindici giorni fa!

AMELIA - (molto santarellina) Io!

VAN PUTZEBOUM - Come dicono a Parigi… ha fatto presto a togliervi la ruggine di dosso!

AMELIA - Oh!

VAN PUTZEBOUM - (a Marcello, dandogli col ventre una botta che lo fa cadere sul divano) Ah! uomo di perdizione!… E il papà allora? Il signor d’Avranches? Cosa ne pensa, lui?

MARCELLO - (animatamente, andandogli incontro) Oh! Non lo sa! Non bisogna dirglielo… e a nessun altro, eh?… Soprattutto… soprattutto a nessun altro!…

VAN PUTZEBOUM - Dai! Dai! Ma cosa pensi? Neanche sono cose da dire, queste.

AMELIA - Comunque, non c’è niente, sapete… Noi… dormivamo.

VAN PUTZEBOUM - (canzonando) Sì! Sì! Questo, io dubito… Ah! Però, no! Ascoltate; vi chiedo davvero scusa di essere entrato… così fin dentro al letto, ma questo, io non sapevo, non è vero?

AMELIA - Oh! Ma…

VAN PUTZEBOUM - Volevo soltanto farvi la sorpresa del mio ritorno.

MARCELLO - Ah! Il fatto è che non me l’aspettavo!… Siete di passaggio a Parigi? Sì!… È evidente.

VAN PUTZEBOUM - Aspetta, aspetta! È qui la sorpresa. Ho pensato: “Veramente, nel ricordo di suo padre e per la sua amicizia, non posso lasciar fare questo matrimonio perché io non ci sia”.

MARCELLO - Eh?

VAN PUTZEBOUM - Allora mi sono arrangiato! Ho mandato il mio rappresentante a sostituirmi in America e dopo le nozze vado davvero a raggiungerlo. Che tu hai afferrato, figlio?

MARCELLO - (sbalordito) Do… do… do…

VAN PUTZEBOUM - Do… do… do… Balbelli, ora?

MARCELLO - Cosa?

VAN PUTZEBOUM - Balbelli?… Sei balbuziente?

MARCELLO - No, dico: do… dopo le nozze?

VAN PUTZEBOUM - Sì… Così potrò consegnarti direttamente il tuo denaro, che io sono depositario.

MARCELLO - Ah, ah? Ah, beh, è una sorpresa!

AMELIA - Certo, per essere una sorpresa…

MARCELLO - È davvero una sorpresa! (Si accascia sul divano)

VAN PUTZEBOUM - (sedendosi sul divano accanto a lui) Sì? Ti piace questo?

MARCELLO - (al 3, sul divano) Oh! Sono raggiante!

VAN PUTZEBOUM - (al 2, sul divano) Ah, beh, questo ti bisogna dire, sapete?… Perché, quando ti guardo non sai che aria lugubre davvero tu hai quando sei raggiante!

MARCELLO - Cosa volete, dipende dal temperamento.

VAN PUTZEBOUM - Sì, questo lo so! Ne ho avuto uno così, quando era allegro… era triste! E gemeva, gemeva!

MARCELLO - Ecco! Vedete?

VAN PUTZEBOUM - E mi leccava! Mi leccava!

MARCELLO - (guardandolo, sbalordito) Eh?

AMELIA - Chi?

VAN PUTZEBOUM - Oh bella! Napoleone primo! Il mio buledog. (Accarezzando meccanicamente la nuca di Marcello) Se aveste visto il muso che aveva!

MARCELLO - (liberando la testa, di malumore) Ma insomma! Andiamo!

VAN PUTZEBOUM - Ah! Quella era una buona bestia!

MARCELLO - Sono veramente felice di ricordarvelo.

VAN PUTZEBOUM - (si alza e sempre parlando si sposta fino al letto per parlare con Amelia) Ma io chiacchiero, chiacchiero, e c’è altro da fare, racasso! Ora che ti ho visto… la tua fidanzata si bisogna vestirsi, no? E io, qui, metto disagio!

MARCELLO - (si è precipitato sul bastone da passeggio e sul cappello di Van Putzeboum che questi, entrando, ha deposto sulla consolle. Glieli passa, quindi, tendendoglieli sopra le spalle e davanti al viso affinché non ritardi oltre la partenza) Oh! Ve ne andate!… di già! Oh! Ma perché?

VAN PUTZEBOUM - (girandosi dal lato di Marcello e prendendo gli oggetti che gli vengono porti) Sì! In attesa voglio saper fare una commissione o due e fra una mezz’ora torno a riprendervi tutti e due. Faremo una spasseggiata fino all’ora di cena, eh, va bene?

MARCELLO - (spingendolo verso la porta senza averne l’aria) D’accordo! Bene! D’accordo!

AMELIA - Ci viziate, davvero! Ci viziate!

VAN PUTZEBOUM - Dai! Dai!… Tutto mio il piacere!… Quindi avvisiamo il papà, no, vi pare? Deve pranzare con noi!

MARCELLO - (come sopra) Intesi, intesi!

VAN PUTZEBOUM - Dai! Non disturbatevi! Per favore!

MARCELLO - (come sopra) D’accordo! Arrivederci! Arrivederci! (Gli chiude la porta alle spalle, poi ad Amelia) Bene! Così siamo proprio a cavallo!

AMELIA - Come te la caverai, adesso?

MARCELLO - (viene avanti in scena) Eh! È finita! Il mio trucco ha fatto cilecca! È un disastro!

AMELIA - (scendendo dal letto e andando da lui) Su, su! Non è il caso di scoraggiarsi!

MARCELLO - (passa all’1) Come? Vuole assistere al matrimonio… E il matrimonio io non glielo posso dare, io! È superiore ai miei mezzi!

AMELIA - Ah sì, perbacco!

VAN PUTZEBOUM - (rientrando come un fulmine) Il papà! È qui il papà!

MARCELLO - Cosa?

AMELIA - Quale papà?

VAN PUTZEBOUM - Il tuo papà di voi; sta salendo le scale!

MARCELLO - Beh! E allora?…

VAN PUTZEBOUM - Ma dai! Nascondetevi!

AMELIA - Io?

VAN PUTZEBOUM - Se vi vede così, si mette in sospetto… Nascondetevi!

MARCELLO - Eh? Ah! Sì! Sì!

AMELIA - (che Van Putzeboum fa passare al 3) È vero! Ah! Povera me!

VAN PUTZEBOUM - (la spinge, seguito da Marcello, verso lo spogliatoio) No! no! Non lasciatevi prendere dallo sconforto! Non è il momento, perbacco! Dai, dai, entrate! (Le indica lo spogliatoio e torna verso Marcello)

AMELIA - (fra i denti, al momento di entrare) Oh!… Che mignatta! (Appena è uscita, Pochet irrompe dal fondo)

SCENA QUINTA

Gli stessi, Pochet

POCHET - Ah! Vi trovo.

MARCELLO - Voi!

POCHET - (all’1) Mia figlia?… Mia figlia è qui?

MARCELLO - Amelia?…

VAN PUTZEBOUM - (animatamente, tirando Marcello per il polso in modo da farlo passare al 3) No, signore, no! Non è qui!

POCHET - Come, non è qui?

VAN PUTZEBOUM - No, sono visitato in tutte le stanze; non c’è!

MARCELLO - Sì, effettivamente, non…

POCHET - Oh, guarda!… Ma dov’è allora?

VAN PUTZEBOUM - Ah! Noi non si saprebbe dire, credete!… (Posando la mano sinistra sulla spalla di Marcello) Marcello però è galantuomo, lo sai, e non dimentica che una racassa è una racassa.

POCHET - Cosa? Cosa! “Una racassa è una racassa”? (A Marcello) Insomma, non importa, vi devo parlare. (Va a posare il cappello sulla cassapanca che è sotto la finestra)

MARCELLO - (circondando familiarmente col braccio sinistro le spalle di Van Putzeboum in modo da condurlo verso la porta) Ah? Ah?… Bene! Allora caro padrino!…

VAN PUTZEBOUM - Cosa?

MARCELLO - Non dovevate fare una commissione? Penso che ora.

VAN PUTZEBOUM - (sottovoce) Oh! Sta’ attento, sai!… Il vecchio ha fiutato qualcosa!… Se ti lascio!…

MARCELLO - No, no! Non abbiate paura!

VAN PUTZEBOUM - (abbozzando l’atto di andare verso lo spogliatoio) Almeno, vado a farla filare, che suo padre non la veda!

MARCELLO - (trattenendolo) No, no! Non inquietatevi, rispondo di tutto.

VAN PUTZEBOUM - Bene! Sono affari tuoi, no? Dunque… Io lo facevo per te.

MARCELLO - Sì, sì, vi ringrazio molto.

VAN PUTZEBOUM - Almeno cerca un po’ di saper mentire.

MARCELLO - Sì, sì, state tranquillo!

VAN PUTZEBOUM - Arrivederci, allora!… A presto, quindi!… (Liberandosi da Marcello e venendo un po’ avanti verso Pochet che sta ai piedi del letto) Signor d’Avranches, stasera ceniamo insieme, d’accordo?

POCHET - (stupito) Io?

VAN PUTZEBOUM - Sì! Siamo intesi con Marcello e la vostra racassa.

POCHET - Eh? Ma allora l’avete vista?

VAN PUTZEBOUM - (turbatissimo) Eh? No, no! Ma suppongo, vero, visto che il fidanzato, lui, viene a cena, la fidanzata deve cenare anche.

POCHET - Ah! Sì. (Viene avanti)

VAN PUTZEBOUM - (a Marcello, sottovoce) Oh! Io me ne vado. È più sicuro.

MARCELLO - Ecco! Ecco! Andate!

VAN PUTZEBOUM - A presto. (Marcello lo accompagna alla porta)

POCHET - (all’1, appena è uscito Van Putzeboum) Beh, cosa significa? È tornato?

MARCELLO - (al 2) Ah! Mi è ricascato fra i piedi!

POCHET - Per molto?

MARCELLO - Eh! Fino al matrimonio! È venuto perché vuol essere presente.

POCHET - No! Che disastro! Come farete?

MARCELLO - Ah! Lo sapessi!

POCHET - (passando al 2) Ah! È un bel guaio!… Oh! È un bel guaio!… Tanto più che questa situazione, per un po’ va bene, ma se dura troppo… finisce per compromettere Amelia.

MARCELLO - (che si è seduto sulla spalliera del letto, coi tacchi sulla rete) In che modo?

POCHET - Diamine! Se si sparge la voce che è fidanzata davvero, la gente si scoraggia!

MARCELLO - (a parte, mezzo ridendo e mezzo scandalizzato, alzando gli occhi al cielo) Oh!

POCHET - Lo credereste che stanotte non è tornata a casa, la bambina?

MARCELLO - (fingendosi stupefatto) No?

POCHET - Proprio così! Ah! Non sono mica contento!

SCENA SESTA

Gli stessi, Amelia, poi il Principe

AMELIA - (con aria furbetta, facendo passare la testa dalla porta socchiusa dello spogliatoio) Buongiorno, papà!

POCHET - Ah!… Eh! Beh, ma! Sei qui, tu?

AMELIA - (entrando) Ma sì, certo! Lo sai bene.

POCHET - Io no! (A Marcello) Ma voi! Cosa mi avete detto?

MARCELLO - (sempre appollaiato sulla spalliera) Non sono stato io! È stato il mio padrino!

AMELIA - Come, non lo sai? Ma se ti ho scritto!

POCHET - A me?

AMELIA - Ma sì! Ma allora, non mi hai portato il tailleur?

POCHET - Io dovevo portarti il tailleur?

AMELIA - Ma sì, insomma, un vestito, non un sarto… Ho solo un abito ma è da sera.

POCHET - (con tono di sorpresa, indicando la camicia di Amelia) Oh!… Vedo!… Ma non ho ricevuto niente… Avranno portato il biglietto quand’ero già uscito.

AMELIA - Allora, cosa vieni a fare?

POCHET - Ad avvertirvi, no? Nel caso dovesse capitare qui.

AMELIA e MARCELLO - Chi?

POCHET - Ma Stefano!

MARCELLO e AMELIA - Stefano? (Marcello è saltato giù dal letto per raggiungere Pochet)

POCHET - Ha finito i ventotto giorni.

MARCELLO - In quindici giorni?

POCHET - Il reggimento è stato sciolto! C’è un’epidemia di orecchioni!

MARCELLO - Oh! Porco cane!

POCHET - E così, di colpo, mi è piombato in casa.

MARCELLO - (spostandosi a sinistra) Oh! Mamma mia! Mamma mia!

AMELIA e tu cos’hai detto?

POCHET - Eh! Naturalmente, ho detto una cosa qualsiasi! Ho detto che eri uscita presto…

AMELIA - Buona questa!

POCHET - Cosa dovevo fare? Bisognava pure salvare la faccia. Ah! Bel mestiere mettermi in situazioni del genere!… Costringere tuo padre a mentire!…

MARCELLO - (arrampicandosi di nuovo sulla spalliera del letto) Oh! Beh…

POCHET - Me! Un vecchio giurato!

AMELIA - Una volta sola non fa vizio.

POCHET - Ah! No, no! Non sono contento! Non è serio! Anche dormire fuori, adesso!…

AMELIA - Oh papà: non abbiamo niente da rimproverarci! Ho dormito qui, ma…

POCHET - (fermandola col gesto) D’accordo! Non voglio sapere niente! (A Marcello, severamente) Non voglio sapere niente!

MARCELLO - (sempre appollaiato sulla spalliera) Ma io non ho aperto bocca!

POCHET - Devi ammettere che non m’immischio mai negli affari tuoi. Ci sono cose nella vita da cui un padre che si rispetti deve tenersi lontano… Non ho mai voluto essere per te né un giudice né un accensore… È vero o no?

AMELIA - È vero.

POCHET - Ma tengo a dirti questo: io, che sono un uomo, mai, capisci, mai, in tutta la mia carriera, salvo nei giorni… in cui facevo il turno di notte, mai ho dormito fuori!… (A Marcello) Mai!

MARCELLO - (come in precedenza) Ci risiamo! Ma io non ho aperto bocca, io!

POCHET - Che tuo padre ti serva di esempio! (Lasciandosi andare) Le mie cosette, io… le facevo di pomeriggio.

AMELIA - (rispettosamente) È vero, papà; è più decoroso!

POCHET - (soddisfatto dell’approvazione) Ah!

AMELIA - (prendendo suo padre per il braccio) Però voglio anche dirti che non è tutta colpa nostra; ieri sera abbiamo fatto bisboccia; eravamo talmente sbronzi!…

MARCELLO - (scendendo dalla spalliera per andare da Pochet) Cioè, se non siamo intontiti…

AMELIA - È un miracolo.

POCHET - (convinto e affettuoso) Ma sì! Ma sì! Non dubito che tu non abbia le tue buone ragioni! Ma sono ugualmente cose che non possiamo raccontare al portinaio! Quindi!…

AMELIA - Beh, sì! Lo so bene.

POCHET - (con un braccio attorno alle spalle di Amelia e l’altro attorno a quelle di Marcello; con slancio) Ah! (Bacia la figlia, poi istintivamente si volta verso Marcello, accenna a baciarlo e resta in sospeso) La giovinezza è volubile! (Nello stesso momento si sente un rumore tra le quinte)

VOCE DEL PRINCIPE - Affittacamere, per favore!

MARCELLO - (risalendo verso il fondo) Cos’è ‘sta roba? Chi grida così in anticamera? (Apre la porta di fondo e la richiude immediatamente) Accidenti! Il principe qui da me!

POCHET - (correndo, agitato) Il principe qui!

AMELIA - (che si trova all’estrema destra) Oh! E io sono in camicia! (Attraversa la scena correndo e va a rifugiarsi dietro la cortina a destra della finestra, di cui slega i reggitenda)

POCHET - (corre al tavolo) Porco cane!… La bugia… la bugia… (Afferra la bugia che è sulla scrivania. Marcello rimane accanto al caminetto)

PRINCIPE - (appare e rimane sulla soglia) Oh! Quanta gente!…

POCHET - (si precipita, al 3, verso il principe con la bugia protesa in avanti) Sire!

PRINCIPE - Ah! Il signor padre! Sì! Di nuovo con una bugia! (Viene un poco avanti)

POCHET - (venendo avanti con lui) Scusate Maestà, non ho fatto in tempo ad accendere.

PRINCIPE - Ma cosa fate sempre con una bugia in mano? È una mania? Un tic? Dite un po’, eh?

POCHET - No, no, Sire!…

PRINCIPE - E poi, per favore! Non sono sire! Sono Monsignore, Altezza! Quindi il sire lasciatelo pure da parte, assieme alla bugia. (Così dicendo gli passa davanti e si porta sulla destra)

POCHET - (che gli è andato dietro, furbescamente) Purché vadano d’accordo!

PRINCIPE - (voltandosi, bruscamente) Eh? Cosa volete dire?

POCHET - È una battuta per far ridere Vostra Altezza. Un sire dovrebbe andare più d’accordo con una verità che con una bugia.[17]

PRINCIPE - (lo guarda con disprezzo, poi) Che idiozia!

POCHET - (sconcertato) Ah?

PRINCIPE - E io vi ho decorato!

POCHET - Sì, Altezza! Commendatore. (Estrae un poco dalla tasca il diploma) Ho ricevuto anche il diploma!

PRINCIPE - Sì, sì… dopo tutto… è per meriti speciali!

POCHET - Monsignore, vogliate credere!…

PRINCIPE - (voltandogli francamente le spalle) Sì, basta! Grazie!

POCHET - (se lo tiene per detto) Bene! (Depone la bugia sul tavolo)

MARCELLO - (sempre nel suo angolo, accanto al caminetto, a parte) Questa, poi! Ma che viene a fare a casa mia?

PRINCIPE - (avanza dall’estrema destra fino in fondo alla scena; nel passare urta quasi Marcello e non sembra nemmeno badargli; Marcello si irrigidisce contro il caminetto) Ma… Non vedo la signorina d’Avranches!

POCHET - (correndo alla finestra) Amelia! Amelia! Sua Altezza ti chiama!

AMELIA - (sottovoce) Ah! No! No!

POCHET - Ma vieni, dunque, su! Quando lo comanda un re!… (Al principe, che sta a destra del letto) Si nasconde, quella cara bambina!

PRINCIPE - Oh! Signorina d’Avranches, ve ne prego!

AMELIA - (dietro la cortina) Oh! Monsignore!…

POCHET - (all’1, ad Amelia, al 2) Su, andiamo! (Al principe) Si sta preparando. (La va a prendere)

AMELIA - (viene presentata dal padre, che la tiene con la mano sinistra; si è messa un reggitenda attorno ai fianchi a guisa di cintura) Oh! Monsignore… veramente!… Sono in camicia.

PRINCIPE - (categorico) Oh! Benissimo, lo vedo! Mi aspettavate.

AMELIA - (sussultando per lo stupore) Io?…

POCHET - (passa al 2, va dal principe, che sta davanti alla spalliera del letto, e gli parla quasi all’orecchio) È un amore la piccina!… Ah! Capisco bene come una testa coronata…

PRINCIPE - (seccamente, facendogli segno col cappello, che tiene in mano, di passare alla sua sinistra) Sì! Va bene! Capite pure!… Ma in silenzio.

POCHET - Ah!… Scusate. (Passa al 3, descrivendo a distanza un semicerchio attorno al principe; nel passare gli fa inchini di corte)

PRINCIPE - (voltando le spalle a Pochet e rivolgendosi poi ad Amelia) Mi avete scritto di venire, sono venuto.

AMELIA - (Stupita) Io?

PRINCIPE - Il generale mi segue… coi tailleur.

AMELIA - Eh?

PRINCIPE - Gli ho detto di prenderne diversi… (con tono di rammarico) non conoscevo la misura!

AMELIA - (con tono di protesta) Oh! Monsignore, c’è stato un errore!… Non vi ho mai scritto una cosa del genere.

PRINCIPE - E come no? Ecco, guardate! (Estrae dalla tasca la lettera che gli è stata recapitata; la apre per leggerla; Pochet, curioso, si avvicina con le mani in tasca e, stando dietro al principe, getta un’occhiata sulla lettera; essendosene accorto, il principe fulmina con un’occhiata di disprezzo Pochet che, capita la lezione, ruota sui tacchi e, guardando il soffitto, si allontana con l’aria più innocente di questo mondo; allora il principe incomincia a leggere la lettera) “Paparino…”.

AMELIA - (scandalizzata) Oh!… E avete potuto credere!…

PRINCIPE - Ma come! È buffo! Mi piace! (Leggendo) “Mi trovo in Rùe Cambon, da Courbois, che mi ha ospitata questa notte”. (Parlato) Courbois, che nome buffo!

POCHET - (ridendo per compiacenza) Sì, vero?

AMELIA - (indicando Marcello che, sentendosi escluso dalla conversazione, ha finito per sedersi sul fondo, accanto alla consolle) È il signore!

POCHET - Sì, è… (A Marcello) Ehi!

MARCELLO - (al richiamo si lancia dall’estrema destra per prendere la bugia; poi corre con questa dal principe e si inchina profondamente) Monsignore!

PRINCIPE - Ancora la bugia!

AMELIA - È il signor Courbois.

POCHET - È… è Courbois.

PRINCIPE - Ah, ah!… Siete voi l’affittacamere?

MARCELLO - (al 3, sbalordito) Eh?

PRINCIPE - Benissimo! (Gli volta le spalle)

MARCELLO - (a Pochet) Come, l’affittacamere?

POCHET - (lo prende per il bicipite e lo fa passare al 4) Zitto, niente rimostranze.

PRINCIPE - (ad Amelia) Dove eravamo rimasti? Ah, sì. (Leggendo) “Vieni a prendermi e portami un tailleur”.

AMELIA - Oh! Monsignore. Questo non lo scrivevo a Vostra Altezza!

PRINCIPE - Eh?

AMELIA - Lo scrivevo a papà.

PRINCIPE - Ma come?

AMELIA - Non lo so. Ho scambiato le buste.

POCHET - (gioviale e con dimestichezza) Ho capito! Sono io, allora, che ho ricevuto la lettera che hai scritto a Sua Altezza!

PRINCIPE - (imponendogli il silenzio con brevi “Ah! Ah!” nervosi e scanditi) Ah!… Ah!… Ah!… (Una pausa. Pochet si arresta di colpo) La signorina saprà benissimo spiegarsi da sé.

AMELIA - Ma, Monsignore, non avrei mai potuto chiamarvi “paparino”!

MARCELLO - (da cortigiano) Non avrebbe mai dato del tu a Vostra Altezza!

PRINCIPE - (come con Pochet) Ah!… Ah!… Ah!…

MARCELLO - (inchinandosi) Scusate!

PRINCIPE - Non impicciatevi voi… affittacamere!

MARCELLO - (a parte) Oh! Perdinci!

POCHET - (a voce alta e per adulare il principe) È evidente, perbacco! Non si parla mai a un principe del sangue prima che vi abbia rivolto la parola. (Al principe, al quale è vicinissimo) Non è forse vero?

PRINCIPE - Beh… dal momento che lo sapete!…

POCHET - Per questo gliel’ho detto.

PRINCIPE - E ora fatelo!

POCHET - Ah? Bene!

PRINCIPE - (alza le spalle, poi si gira verso Amelia col sorriso sulle labbra) Al contrario, è delizioso sentirsi chiamare paparino. È dolce, è affettuoso! È slavo! È delizioso sentirsi dare del tu, per me che odio l’etichetta, il protocollo.

POCHET - (ad Amelia) Ecco, vedi?

PRINCIPE - (a Pochet, per farlo tacere) Ah!… Ah!… Ah!…[18]

POCHET - (tirandosi prudentemente da parte) Sì!… Sì, sì!

PRINCIPE - (ad Amelia) Sono un bravo ragazzo, alla buona, come dite voi!… Mi piace ridere, divertirmi, fare degli scherzi. Ve ne accorgerete, sono uno che scherza sempre!… Alla corte di Palestrìa, sono molto apprezzato per…

AMELIA - Davvero?

POCHET - (che ridendo gli si è avvicinato) Oh! Come vi capisco!

PRINCIPE - (bruscamente a Pochet) Ah!… Ah!… (Pochet, che non se l’aspettava, si gira bruscamente e nel muoversi dà una botta nello stomaco a Marcello che gli sta vicino)

MARCELLO - (ricevendo il colpo nello stomaco, esattamente con lo stesso tono del principe) Ah!

PRINCIPE - (ad Amelia) Anche recentemente, per l’appunto… voi conoscete il grosso Patchikoff?

AMELIA - No.

POCHET - No, non lo…

PRINCIPE - (seccamente) L’ho chiesto alla signorina.

POCHET - No, ma lo so, non lo conosce.

PRINCIPE - Ah!… Ah!… Ah!… (Pochet indietreggia facendo segno con le mani che ha capito)

MARCELLO - (furbescamente, all’orecchio di Pochet) Non si parla mai a un principe del sangue prima che vi abbia rivolto la parola.

POCHET - (a Marcello, imitando il principe) Ah!… Ah!… Ah!… (Ritorna verso il fondo e poco dopo viene avanti in scena)

PRINCIPE - Patchikoff è un ciambellano di corte. Bene, l’altra sera, dopo cena, lo abbiamo preso per le braccia e per le gambe, io con quattro ufficiali, e lo abbiamo buttato in una tinozza piena di acqua gelata.

AMELIA - No!

PRINCIPE - Era furioso! Non osava dire niente ma era furioso! Abbiamo fatto tanto di quel ridere! Ma tanto di quel ridere!… (Cambiando tono e nel modo più naturale) È morto… di congestione!

AMELIA e POCHET - (che è tornato al 3, al suo posto primitivo) No!

POCHET - (che sta davanti alla spalliera del letto, accanto al principe, sbellicandosi per compiacenza) Ah!… Ah! Com’è divertente!

MARCELLO - (passando all’estrema destra) Questo principe è decisamente cretino! (Torna verso il fondo e va a sedersi sulla sedia che sta accanto alla consolle, a lato della porta)

POCHET - (quasi piegato in due dal ridere, sorreggendosi alla spalliera del letto per non cadere) Come è divertente! Com’è divertente!

PRINCIPE - (squadra un istante con disprezzo Pochet che ride scuotendo il petto; quindi) Sentite voi, papà!… Vi faccio grand’ufficiale!… Ma per tutti i santi, andate fuori dai piedi. (Suonano) Ecco, suonano… Dev’essere il generale!… E allora, affittacamere!

MARCELLO - (sul fondo, alzandosi, a parte) Eh, già! È così! Mi prende per il suo lacchè! (Nello stesso momento si apre la porta di fondo e si vede Carlotta che introduce il generale, seguito da un garzone di bottega che porta uno scatolone. Il generale entra; trovando Marcello a destra della porta, gli mette, senza neanche guardarlo, il cappello tra le mani e viene un poco avanti in scena. Marcello guarda il cappello) Oh! benissimo! (Appoggia il cappello sulla consolle)

SCENA SETTIMA

Gli stessi, Koschnadieff, un garzone di bottega

PRINCIPE - Ah, vieni avanti, generale!

KOSCHNADIEFF - (facendo con la mano il saluto militare di Palestrìa) Altessia! (Viene avanti verso il principe)

PRINCIPE - E allora?… Hai portato i vestiti?

KOSCHNADIEFF - (rispettoso) È tutto quello che ho potuto trovare, Monsignore… (Bruscamente, al garzone) Mettete lì, subalterno! (Al principe) Me ne ha dati molti, senza impegno, come dicono. (Al garzone) Andate, dipendente! Li farete riprendere! Per favore!

GARZONE - (dopo aver posalo per terra lo scatolone) Bene, signore! Buongiorno, signori! (Esce)

PRINCIPE - (molto galante, ad Amelia, porgendole la mano) Ecco! Se volete guardare!…

AMELIA - (la mano nella mano del principe, standogli di fronte e volgendo le spalle al pubblico; con le braccia tese e facendo un inchino di corte) Oh! Monsignore, veramente!… (Sempre con la mano nella mano del principe, dopo aver descritto attorno a questi un semicerchio che l’ha portata al 2 e facendo un altro inchino) Oh! Veramente, Monsignore!… (Nel fare l’inchino inciampa col tacco nello scatolone e rischia di cadere)

TUTTI - (avvicinandosi ad Amelia) Oh!

AMELIA - (che ha ripreso l’equilibrio) Non è nulla!

PRINCIPE - (leggendo sullo scatolone il nome del negozio) “Tre Quartieri”. È un buon negozio?

AMELIA - Oh Dio… non è il negozio dove vado io… ma insomma!…

PRINCIPE - Volete vedere se ce n’è uno che vi va bene?

AMELIA - (indicando lo spogliatoio) Volentieri! Se qualcuno vuol portarmi di là la roba… (Parlando si avvicina alla porta dello spogliatoio, passando davanti a Koschnadieff, Pochet e Marcello)

PRINCIPE - (vedendo che Pochet, premurosamente, ha raccolto lo scatolone dei vestiti) Ah!… Ah!… Ah! (Pochet, sconcertato, lascia andare lo scatolone che gli cade con fracasso tra i piedi. Il principe fa allora un cenno imperativo al generale) Koschnadieff! (Il generale raccoglie lo scatolone con premura)

AMELIA - (interponendosi) Oh! Principe! Il generale…

PRINCIPE - Lasciate stare! È qui per questo! Un generale deve pur servire a qualcosa! (Il generale, lusingato, approva con fiero cenno del capo; il principe si sposta a sinistra)

AMELIA - (al generale che le va incontro con lo scatolone) Oh! Sono confusa!

KOSCHNADIEFF - (inchinandosi) Per carità!

AMELIA - Allora da questa parte, generale. (Entra nello spogliatoio)

POCHET - (al generale che, arrivato alla porta dello spogliatoio, non riesce a far passare lo scatolone avendolo presentato dal lato della lunghezza) No, mai in questa maniera, generale! Nell’altro senso!

KOSCHNADIEFF - (a Pochet) Kolaschnick! Uff! Grazie! (Volge lo scatolone verso l’alto ed entra nello spogliatoio)

MARCELLO - (venuto avanti alla sinistra del tavolo) Dite un po’, Pochet…

POCHET - (al momento di uscire, girandosi verso Marcello) Kolaschnick. (Entra nello spogliatoio, seguendo il generale)

SCENA OTTAVA

Il Principe, Marcello

PRINCIPE - (dopo aver camminato avanti e indietro in scena, si porta accanto a Marcello, che, rimasto a bocca aperta dopo l’uscita di Pochet, gli volta le spalle. Bruscamente) E voi? Che fate qui?

MARCELLO - (che ha avuto un sussulto al brusco e tonante richiamo, si gira verso il principe) Io? Niente, Monsignore! Guardo! Perché io in tutto questo, vero?…

PRINCIPE - (passando al 2) Naturale!

MARCELLO - Anzi, se Vostra Altezza permette, io vado a vestirmi.

PRINCIPE - (girandosi a mezzo; sprezzantemente, sopra la spalla) Cosa volete che m’importi?

MARCELLO - No! È che vostra Altezza mi ha chiesto…

PRINCIPE - (sferza l’aria con colpo secco, giungendo con l’indice teso sotto il naso di Marcello, che sbatte le palpebre e tira indietro la testa. Eseguire questo gesto a freddo e dire la battuta solo dopo averlo fatto) È strano! Io conosco… la vostra faccia! (Stesso gioco con l’indice, stesso sussulto da parte di Marcello)

MARCELLO - (lusingato) Ah! Davvero, Monsignore?

PRINCIPE - Ma dove… (Stesso gioco)

MARCELLO - (a parte) Dio mio, che situazione sgradevole!

PRINCIPE - …posso avervi incontrato? Ma non avete prestato servizio…

MARCELLO - In fanteria, a Compiègne.

PRINCIPE - (brusco) No!… No!

MARCELLO - Oh! Scusate!

PRINCIPE - …A Montecarlo!… Hotel de Paris?

MARCELLO - (seccato) Io? Ah! No! No, non sono io.

PRINCIPE - Ah! Allora mi confondo! C’è un sommelier che vi somiglia. (Gli passa davanti)

MARCELLO - Lusingatissimo, Monsignore! Ma è un altro!

PRINCIPE - (che è tornato verso il fondo e osserva l’appartamento) E allora, dite un po’, questa è casa vostra, no?

MARCELLO - Dio mio, sì.

PRINCIPE - Sì!… È brutta.

MARCELLO - Ah?

PRINCIPE - Sì!

MARCELLO - (a parte) Ma insomma, cosa è venuto a fare qui? A prendermi in giro?

PRINCIPE - Bruttissima!

MARCELLO - Dio mio, Monsignore, non dico di no; ma considerato l’affitto, nevvero…

PRINCIPE - Ah?… E… quanto?

MARCELLO - (che non capisce) Monsignore?

PRINCIPE - (ripetendo) E… quanto?

MARCELLO - (con un gesto vago, per dare ad intendere di aver capito) Beh, sapete, Dio mio!… Eh?

PRINCIPE - (irosamente) Quanto costa?

MARCELLO - (con vivacità) Ah! Quanto costa!… Milleottocento franchi!…

PRINCIPE - Al giorno?

MARCELLO - (senza pensarci) Al giorno. (Correggendosi) Eh? No, all’anno.

PRINCIPE - Finalmente!

MARCELLO - Quindi, per milleottocento franchi!…

PRINCIPE - E al giorno?…

MARCELLO - Eh? Ah, al giorno della scadenza?… Beh, mi secca un po’; ma tranne questo!…

PRINCIPE - No!… Quanto fa al giorno?

MARCELLO - Ah! Quanto fa al giorno!

PRINCIPE - Sì!

MARCELLO - Sì! Sì… sì!… (A parte) Ma è curioso, veh!

PRINCIPE - E allora?

MARCELLO - Perbacco! C’è tutto un calcolo da fare!

PRINCIPE - Ebbene, fatelo! (Ritorna verso il fondo)

MARCELLO - “Fatelo!”. Sì, è evidente! È… è una soluzione! (A parte) Incredibile com’è curioso! (Iniziando il calcolo) Milleottocento franchi all’anno, cosa fanno al giorno? (A parte) Non mi aspettavo certo di fare della matematica, oggi!… (A voce alta) Milleottocento… (A parte) Proprio perché è un’Altezza Reale! (A voce alta) In un anno ci sono dodici mesi, se fossero cento franchi al mese, vero?… Se fossero cento franchi al mese…

PRINCIPE - (cammina avanti e indietro, si ferma, riprende a camminare; infine viene avanti) Su! Fate pure con calma.

MARCELLO - (interrotto nel calcolo) Ecco, sì! Vediamo! (Riprendendo) Se fossero cento franchi al mese, moltiplicato per dodici sarebbero eh?… Milleduecento! Semplicissimo!… Ho già milleduecento franchi, li metto da parte. (Fa il gesto di raccogliere con le mani dodici immaginarie monete e di mettersele nella tasca del pigiama) Ecco! Ecco! Bene! Da dodici a diciotto… rimangono… rimangono…

PRINCIPE - Otto!

MARCELLO - Ma no, sei!

PRINCIPE - Ah! Dodici, diciotto! Sì sei! Sei!

MARCELLO - Per piacere, Monsignore! Non ci tengo a fare il calcolo, ma dal momento che me l’avete chiesto, non interferite! Altrimenti non ne usciremo più!

PRINCIPE - Su! Su! Non confondetevi!

MARCELLO - Oh! Non sono io che mi confondo! (Riprendendo) Sei, d’accordo! Ne rimangono dunque seicento! Seicento per dodici quanto fa?…

PRINCIPE - Seicentododici!

MARCELLO - Oh! Monsignore! Per l’amor del cielo!

PRINCIPE - Su! Su! Non confondetevi!

MARCELLO - Dunque, poiché seicento è la metà di milleduecento, se milleduecento fanno cento franchi, allora seicento faranno la metà; ossia cinquanta franchi! È logico.

PRINCIPE - E allora, ci siamo?

MARCELLO - Ci stiamo arrivando! (Ricomincia) Riprendo i cento franchi che mi sono messo in tasca; coi cinquanta che ho già, arrivo a centocinquanta! Ci siamo! (Al principe) Monsignore, ci siamo! Sono centocinquanta franchi! Uff! (Si siede, soddisfatto e sfinito)

PRINCIPE - Al giorno?

MARCELLO - Al giorno. (Correggendosi) No, al mese!

PRINCIPE - Ah? E quanto fa al giorno?

MARCELLO - Quanto fa?… (Guarda scoraggiato il pubblico, poi, al principe) Ci tenete proprio?

PRINCIPE - È evidente! Al mese non m’importa niente!

MARCELLO - Aha!… Mentre al giorno?…

PRINCIPE - È evidente! (Va verso il fondo)

MARCELLO - Sì, sì! Lui preferisce al giorno! È una questione di gusti!… E va bene, continuiamo!… (Si alza, rassegnato) Mi farà venire una congestione, questo principe! (Riprendendo) Vediamo, eravamo arrivati a centocinquanta franchi al mese; quanto fanno al giorno? È semplicissimo! Dato che in un mese ci sono trenta giorni, basta dividere centocinquanta per trenta.

PRINCIPE - Sì!

MARCELLO - Grazie!… Il trenta nel quindici quante volte ci sta?… Il trenta nel quindici quante volte ci sta? Ci sta due volte!… Ecco, scrivo due… e porto trenta! (A parte) Dio mio, com’è difficile quando non si è abituati! (Calcolando mentalmente) Due per trenta sessanta; e per quindici?… Sessanta per quindici?… (Continua a spremersi, si prende la testa con la mano destra, conta mentalmente con le dita della mano sinistra; traccia col piede per terra immaginari segni di divisione, scrive anche delle cifre e poi le cancella con la suola)

PRINCIPE - (bruscamente) E allora, ci siamo?

MARCELLO - (sussultando) Ah! No!… Oh! Che rabbia! Devo ricominciare, adesso!

PRINCIPE - Ma insomma! Non ci siete ancora arrivato?

MARCELLO - Ma sì! Stavo arrivandoci! E voi mi avete interrotto! Aspettate! Aspettate! Ritrovo il filo! Ecco!

PRINCIPE - Quale filo?

MARCELLO - Zitto!… (Contando) Cinque, sì, nove, sette, zero, zero… Ecco! Risulta venticinquemila franchi.

PRINCIPE - Venticinquemila franchi? Al giorno?

MARCELLO - (contemplando per terra la sua immaginaria operazione) Ci deve… ci deve essere un errore!

PRINCIPE - Questo è certo!

MARCELLO - Dio mio! Se penso che c’è gente che guadagna cento soldi al giorno! Centocinquanta franchi al mese! E che… (Bruscamente, con un grido di vittoria) Ah!… Trovato! (Al principe) Trovato, Monsignore! “Centocinquanta franchi al mese, cento soldi al giorno”! Che folgorazione! Sono cinque franchi! Cinque franchi al giorno!

PRINCIPE - Cinque franchi al giorno!

MARCELLO - Giusti giusti! (A parte) Oh! Ma come si giunge più facilmente a un risultato quando non si procede col calcolo!

PRINCIPE - Cinque franchi al giorno, lo affittate per cinque franchi?

MARCELLO - Sì!

PRINCIPE - È evidente che per cinque franchi al giorno non si può avere il palazzo dei dogi!

MARCELLO - (altero, con condiscendenza) No. E poi cosa ne farei?

PRINCIPE - Cinque franchi al giorno, benissimo!… (Passando a sinistra) Lo riferirete al generale, d’accordo?

MARCELLO - Al generale?… Che cosa?

PRINCIPE - (scaldandosi) Che sono cinque franchi al giorno.

MARCELLO - E cosa gliene importa?

PRINCIPE - (irosamente e voce di testa) Lui si occupa di queste cose!

MARCELLO - (a parte) Bisogna proprio avere tempo da perdere!

SCENA NONA

Gli stessi, Pochet, poi Koschnadieff

POCHET - Eccoci qua. Ha scelto.

PRINCIPE - Ah! Sono contento! (Nello stesso momento Koschnadieff esce dalla stanza di destra) Ah! Koschnadieff!

KOSCHNADIEFF - (fermandosi al 4, sul vano della porta dello spogliatoio) Altessia?

PRINCIPE - Moia marowna! Tetaieff polna coramai momaiuk scrowno? (“Vieni avanti! Lo ha trovato il vestito che desiderava?”)

KOSCHNADIEFF - Stchi! A spanié co tènia, Monsignore, co rassa ta swa lop! (“Certo! Un tailleur, Monsignore, che le va a pennello!”)

PRINCIPE - Benissimo!

GENERALE (con la mano sulla fronte, in atteggiamento militare) Swoya Altessia na buk papelskoya mimi? (“Vostra Altezza non ha più bisogno di me?”)

PRINCIPE - Nack. (“No.” Il generale si inchina, torna verso il fondo e va a prendere il cappello) Ah! (Il generale viene avanti al 2) Wulia mawolsk twarla tschikopné, qui, all’affittacamere… (“Volete dare all’affittacamere…”)

MARCELLO - (al 3, sentendo che si parla di lui) Ci siamo! Ancora con “l’affittacamere”!

PRINCIPE - Quantci prenscia. (“Venti franchi.” Si sposta all’estrema sinistra)

GENERALE Oh! Stchi! (“Oh! Sì!” Fruga nel taschino del panciotto, estrae il borsellino e prende venti franchi)

MARCELLO - (a Pochet, al 4) Ma cosa dice ancora di me? Cosa dice?

GENERALE (mettendo un luigi in mano a Marcella) Quantci prenscia; ecco!

MARCELLO - (sbalordito) Cos’è questo?

POCHET - (faceto) Prensci prenscia; è un luigi.

MARCELLO - Un luigi! (Al principe) Beh! Cosa volete che ne faccia?

PRINCIPE - Per l’affitto, no?

MARCELLO - Come, per l’affitto? Ah, beh! Sua Altezza vuole scherzare?

PRINCIPE - Cosa? Cosa? Sono cinque franchi, ve ne do venti!

GENERALE Ve ne diamo venti!

MARCELLO - (va verso il principe, passando davanti al generale) Eh? Ma figuriamoci! Ma niente affatto!… Non voglio niente! Che idea!

PRINCIPE - Come? Cosa? Che?

MARCELLO - (riscaldandosi e volendo assolutamente costringere il principe a riprendersi il luigi) Io non affitto camere! Riprendetevi il denaro!

PRINCIPE - (scandalizzato da questa disinvoltura nei suoi riguardi) Oh! Oh! Oh!

GENERALE (prendendo Marcello per il braccio e facendolo passare al 3) Che modi sono questi? Quando Sua Altezza…

POCHET - (stesso gioco, facendolo passare al 4) Eh! Non complicate le cose!…

MARCELLO - (furioso) Ma non voglio il suo luigi!

POCHET - (togliendogli di mano il luigi) Ebbene, questa non è una buona ragione per fare tante storie. (Al principe, tendendogli la mano che tiene il luigi, come per renderglielo) Vogliate scusare, Monsignore… questa mancanza di educazione!… (Si mette il luigi nel taschino) Ahi là, là!

PRINCIPE - (da lontano a Marcello) Sono molto scontento, sappiatelo! E a casa vostra non tornerò mai più! Avete capito? Mai più.

POCHET - (a Marcello) Ecco…

MARCELLO - (a parte) Ben detto!

PRINCIPE - E adesso andate! Vi ho visto fin troppo!

MARCELLO - Devo andarmene?

POCHET - (esagerando nel senso del principe, per servilismo) Sì, andatevene! È meglio. (Al principe) Non è vero?

PRINCIPE - Sì!… E anche voi.

POCHET - Ah! Anch’io?

PRINCIPE - Sì! Tutti e due!

POCHET - Bene!… Bene, bene!…

MARCELLO - (si piega in due ridendo nervosamente) Ah, ah! È il colmo… Mi mette alla porta in casa mia!…

POCHET - (prendendo Marcello per il braccio) Andiamocene, visto che ci tiene!… (Si dirigono sottobraccio verso lo spogliatoio)

PRINCIPE - (urlando fino a farli sussultare) No!

POCHET e MARCELLO - (sentono l’urlo e si girano) Eh?

PRINCIPE - Fuori!… Ho pagato l’affitto!…

MARCELLO - (cambiando direzione assieme a Pochet; ridendo come prima) Ha pagato l’affitto! La faccenda sta diventando comica! Parola mia, sta diventando comica!…

POCHET - (a Marcello) E dove si va adesso?

MARCELLO - Non lo so!… Andiamo in guardaroba.

POCHET - Andiamo in guardaroba!… Conteremo la biancheria!…

MARCELLO - Ecco! Conteremo la biancheria. (Escono dal fondo)

GENERALE (con la mano alla fronte, al principe che cammina nervosamente avanti e indietro) Swoya Altessia na iabo dot scialipp as madie? (“Vostra Altezza ha ordini da darmi?”)

PRINCIPE - (fermandosi, dopo un secondo di esitazione) Nack. (“No.”)

GENERALE Lovo, sta Swoya Altessia lo madiet, me pipilski teradief. (“Allora, se Vostra Altezza lo permette, io mi ritiro.”)

PRINCIPE - Bonadia Koschnadieff! (“Buongiorno, Koschnadieff!”)

GENERALE Arwaluck, Motiarnié! (“Arrivederci, Monsignore!” Il generale esce)

SCENA DECIMA

Il Principe, poi Carlotta

PRINCIPE - (che ha ripreso a camminare avanti e indietro) Sì, questa Amelia è veramente deliziosa, ma non capisco perché ha scelto un affittacamere simile! (Si siede sul letto, dal lato destro. Nello stesso momento bussano alla porta dello spogliatoio) Avanti! (Entra Carlotta, con due lenzuola piegate sul braccio) Ah!… La cameriera!… Cosa volete?

CARLOTTA - (che è entrata decisamente in scena e viene a trovarsi a un metro circa dal principe) Vengo a fare il letto!

PRINCIPE - (indifferente) Ah? (Considerando Carlotta) Fatevi un po’ vedere… fantesca!

CARLOTTA - (avanzando di un passo) No, Carlotta!

PRINCIPE - Sì, “fantesca” è un nome generico.

CARLOTTA - Non so cosa sia.

PRINCIPE - (tendendole la mano) Bene! Non ha nessuna importanza. (Attirandola a sé) Siete molto carina, lo sapete?… Per essere una cameriera!

CARLOTTA - (in piedi, fra le gambe divaricate del principe) Beh! Sì, ma se voi rimanete sul letto, non potrò mai cambiare le lenzuola.

PRINCIPE - Io sono il principe Nicola di Palestrìa!

CARLOTTA - Non dico di no; ma non riesco a cambiarle lo stesso.

PRINCIPE - (toglie le lenzuola di mano a Carlotta e le getta sul letto accanto a sé; poi, con le mani sui fianchi della cameriera) Venite un po’ qui, voglio guardarvi.

CARLOTTA - (ridendo) Ah! Beh! Avete uno strano modo di intendere il mio lavoro!

PRINCIPE - (stuzzicato, facendola sedere sul ginocchio sinistro) E allora, piccina mia, che mi dici?

CARLOTTA - Divertente, il vecchietto!

PRINCIPE - (facendola saltare col ginocchio) Che mi dici, che mi dici, piccina mia?

CARLOTTA - (dandogli dei buffetti sulla guancia con ambedue le mani) Eh, eh! Nicolino!

PRINCIPE - Ah, ah! Buffissimo! Mi piace farmi mancare di rispetto in questi momenti! (Si rovescia indietro e trascina su di sé Carlotta) Carlotta! (Pronunziare “Carloot…ta”. Seconda sillaba lunga, terza sillaba breve)

CARLOTTA - (imitando il principe) Nicoola!

SCENA UNDICESIMA

Gli stessi, Amelia

AMELIA - (è senza cappello, ma vestita con un modesto tailleur che non le sta né bene né male. Giunge dallo spogliatoio giusto in tempo per assistere alle effusioni della coppia e si ferma sconcertata) Oh! Monsignore! Vi chiedo scusa! (Fa l’atto di tornare sui suoi passi)

PRINCIPE - (mettendosi a sedere) Eh?… Niente affatto! Niente affatto! (Col tono più naturale, indicando con la mano destra, a mo’ di giustificazione, Carlotta, che tiene sempre avvinta) Vi… vi aspettavo. (Facendo ruotare Carlotta e dandole una bella botta sui fianchi) Su! Vattene adesso… cameriera!

CARLOTTA - (sbalordita) Ah!… Però, che banderuola! (Esce dal fondo)

PRINCIPE - (affettuosamente, tendendo le braccia dal punto in cui si trova) Amelia!

AMELIA - (avvicinandosi al principe e con un pizzico di ironia) Temo, Monsignore, di avervi disturbato.

PRINCIPE - Niente affatto! Niente affatto!… Come dite voi in Francia: stavo palpando… in attesa della festa.

AMELIA - (facendo un altro passo verso il principe) Bravo! Vostra Altezza è padrone della nostra lingua.

PRINCIPE - (eccitato) Ah! Tacete! Non dite niente! (Sempre seduto sul letto, tendendo la mano sinistra verso Amelia) Ecco! Venite qui!

AMELIA - (mette la mano destra in quella del principe e nello stesso tempo fa un inchino di corte) Per obbedienza, Monsignore!

PRINCIPE - Oh! Ma perché vi siete messa questo vestito?

AMELIA - Non mi va molto bene.

PRINCIPE - Ma perché?

AMELIA - Monsignore, me lo avete detto voi!…

PRINCIPE - Eh! Per provarlo! Ma poi? Ah! Eravate più confortevole prima! Insomma, forse è meglio andare per gradi! (Bruscamente, facendola sedere sul ginocchio sinistro) Oh! Piccina mia! Allora, che mi dici?

AMELIA - (sorridendo, a disagio) Eh, Monsignore… niente!…

PRINCIPE - Io sono il principe di Palestrìa.

AMELIA - Lo So.

PRINCIPE - E allora, che mi dici, piccina mia?…

AMELIA - (ridendo) Beh… ecco!

PRINCIPE - (rapito) Incantevole! Incantevole! (Cambiando tono) Cosa stavo dicendo?

AMELIA - Monsignore diceva… (imitando l’accento e il vocione del principe) diceva: “E allora, che mi dici, piccina mia?”

PRINCIPE - (ridendo forte) Ah! Sì! Piccina mia, e allora che mi dici? (Ridono assieme)

SCENA DODICESIMA

Gli stessi, Pochet, seguito da Marcello

POCHET - (entrando come un fulmine) Presto, presto!

MARCELLO - (entrando come un fulmine anche lui) Putzeboum! C’è Putzeboum!

PRINCIPE - Eh?

AMELIA - (subito in piedi) Putzeboum!

PRINCIPE - (che non ha mai abbandonato i fianchi di Amelia, attirandola a sé) Beh? E allora? Cosa, Putzeboum? Che c’è ancora, con questo Putzeboum? Non c’è dunque modo di stare un minuto tranquilli?

AMELIA - (sulle ginocchia del principe) Putzeboum! Ma come lo sapete?

POCHET - (in fretta) Stavo per uscire; l’ho visto sulle scale.

MARCELLO - (in fretta) Sta salendo; fra un minuto sarà qui!

AMELIA - (alzandosi con un salto) Ah! Porco cane!

PRINCIPE - (attirando Amelia a sé) Beh, per noi è lo stesso!…

AMELIA - (rialzandosi subito) Oh no, Monsignore, no! Non deve vedervi.

PRINCIPE - Perché? È un terrorista?

AMELIA - No! No!

PRINCIPE - (vuole attirarla a sé) Allora, me ne infischio!

MARCELLO - Ah! Sì, ma noi no! (Suonano)

AMELIA - Ecco, suonano! È lui!

POCHET - Venite! Venite!

AMELIA - Presto, Monsignore, presto!

MARCELLO - Presto, andate di lai Andate di là![19]

PRINCIPE - (trascinato da tutti verso lo spogliatoio) Oh! È una cosa spiacevole! Se è uno scherzo, mi sembra stupido.

AMELIA - Monsignore! Monsignore! Vi prego!

TUTTI - Venite! Venite! (Amelia e il principe scompaiono nello spogliatoio)

POCHET - (sul vano della porta dello spogliatoio, a Marcello) Vedete? Vedete cosa facciamo per voi?

MARCELLO - Sì! Va bene! Ne parleremo più tardi!… (Sente parlare in fondo alla quinta, spinge in fretta Pochet nello spogliatoio) Presto! (Scompaiono nello spogliatoio)

SCENA TREDICESIMA

Carlotta, Van Putzeboum, poi Stefano

CARLOTTA - Ah! Bene! Entrate, signore, dal momento che siete il padrino!

VAN PUTZEBOUM - Eh! Sì, certo! (Entra e crede di trovare gli ospiti) Dai, dai! Non siete ancora pronti? (Non vedendo nessuno) Ma… Ma dove sono?… (Chiamando) Ehi! Racassa!

CARLOTTA - (che è già in anticamera, riappare) Signore?

VAN PUTZEBOUM - Racassa di casa!

CARLOTTA - (a parte, venendo un poco avanti in scena) Ma come mi chiama?

VAN PUTZEBOUM - (all’1) Dove sono, che qui c’è nessuno?

CARLOTTA - Oh! Ma guarda!… Erano qui adesso!

VAN PUTZEBOUM - Ma non sono più!

CARLOTTA - (fa l’atto di andare nello spogliatoio) Vado a vedere di là!… (Suonano) Oh! Scusate! Hanno suonato! (Cambia direzione ed esce dal fondo durante la battuta che segue)

VAN PUTZEBOUM - Bene! Sì! Andate!… (Quando Carlotta è uscita, al pubblico) Vuoi scommettere che è ancora da qualche parte a fare carezze alla fidanzata? Ah! Questo è un uomo di temperamento, mio figlioccio! Questo si sa proprio dire! (Si è spostato all’estrema sinistra)

VOCE DI STEFANO - Ma sì… Ma sì!… È inutile annunciarmi!…

VOCE DI CARLOTTA - Ma signore!…

VAN PUTZEBOUM - Cos’è questo, eh? Questa voce, io conosco!

STEFANO - (entrando decisamente in scena) Buongiorno, Marcello! (Vede solo Van Putzeboum) Ah! Vi chiedo scusa!

VAN PUTZEBOUM - Signor Chopart!

STEFANO - (che non afferra) Cosa?… (Ricordandosi) Ah! Sì!…

VAN PUTZEBOUM - Cosa fate qui? Davvero vi credevo soldato.

STEFANO - (va a posare il cappello sul tavolo) Libero! Sono libero!… A causa degli orecchioni!…

VAN PUTZEBOUM - Guarda! Guarda!

STEFANO - Ah, che bella malattia!

VAN PUTZEBOUM - Già… e siete venuto a trovare il vostro futuro cugino.

STEFANO - (che sulle prime non capisce) Il mio fu…? Ah, sì, sì!… Non c’è?

VAN PUTZEBOUM - Certo! L’avranno pure avvertito!

STEFANO - E voi? Amelia mi aveva scritto che eravate partito per l’Olanda.

VAN PUTZEBOUM - Sì, partito lo ero!… Ma anche ritornato, sono.

STEFANO - Ah!

VAN PUTZEBOUM - Sì… Questo mi costa davvero molto disturbo, eh sì, ma ho pensato che dispiacerebbe a Marcello se non fossi presente al suo matrimonio.

STEFANO - (sbalordito) Eh?

VAN PUTZEBOUM - Quindi, per ricordo di suo padre, mi sono arrangiato, no? E quindi ecco: per il matrimonio rimango.

STEFANO - (a parte) Oh, santo cielo! (Forte) E Marcello? Marcello cos’ha detto?

VAN PUTZEBOUM - Marcello? Oh! Questo lo ha profondamente toccato, sapete?…

STEFANO - (non credendo alle proprie orecchie) Ah? Ah, ah!

VAN PUTZEBOUM - Sì! Questo io ho sentito!

STEFANO - Oh! Poverino! Che guaio, Dio mio! Che guaio!

VAN PUTZEBOUM - Ed è fra tre settimane il matrimonio, a quanto pare.

STEFANO - (sempre più sbalordito) Ah, ah!

VAN PUTZEBOUM - Sì. (Con malizia) Ed anche penso io che non è troppo presto… (ride) perché…

STEFANO - (drizzando le orecchie) Perché cosa?

VAN PUTZEBOUM - (facendo la persona discreta) Eh? No, niente… Non so dirtelo.

STEFANO - (fiutando la verità) Come?… Ma sì, ma sì, come?

VAN PUTZEBOUM - No, no! Non so! Mi ha fatto promettere che io dica a nessuno.

STEFANO - Oh! Sì, sì!… Ma insomma, a me…

VAN PUTZEBOUM - Sì, questo è vero!… A te… Tu non sei tutti! Lo so! Sei il suo migliore amico; lui ti vi dice tutto; quindi… siccome a te ve lo dirà lui, non è vero?…

STEFANO - (sulle spine) Ma certo, certo!

VAN PUTZEBOUM - Sì, ma solo tu prometti non lo dici a nessuno?

STEFANO - (mordendo il freno) Ma sì! Eh, via! Perbacco!

VAN PUTZEBOUM - Ah! Perché tu capisci, potrebbe essere un litigio con Marcello, e io, io non voglio litigi, intesi?

STEFANO - (stesso gioco) Ma sì! Ma si!

VAN PUTZEBOUM - Eh, beh… Questo dico proprio fra di noi: credo che è veramente ora che si sposino!…

STEFANO - Eh?… Perché?

VAN PUTZEBOUM - Perché lui non può più aspettare, no? E la piccina pure!… (Estasiato) E le tortorelline hanno già approfittato!

STEFANO - (facendo un balzo) Cosa dite?

VAN PUTZEBOUM - Sì, perché poco fa li ho trovati a letto qui!…

STEFANO - A letto!

VAN PUTZEBOUM - Sì… bella questa! No?

STEFANO - (scoppiando) Ah! Perdio!

VAN PUTZEBOUM - (facendo un balzo indietro) Che c’è?

STEFANO - (prendendolo per il bavero e scuotendolo come un albero) Li avete trovati a letto?… Li avete trovati a letto?…

VAN PUTZEBOUM - (cercando di liberarsi) Ehi! Lassiatemi!

STEFANO - (stesso gioco) Li avete trovati…

VAN PUTZEBOUM - (liberandosi con un brusco movimento) Ma a voi cosa importa?

STEFANO - (risalendo con rabbia verso il fondo) Ah! Sporcaccioni! Sporcaccioni! Sporcaccioni!

VAN PUTZEBOUM - Dal momento che si sposano, dai! Davvero, cosa ti sa importare?

STEFANO - Se penso che mi sono fidato di lui!… Che gli ho affidato Amelia pensando: “Con lui posso stare tranquillo!…”

VAN PUTZEBOUM - Ah! Gotferdom! Ah! Se avessi saputo sapere!

STEFANO - (venendo avanti, in prossimità di Van Putzeboum) Ecco!… Ecco chi sono gli amici!…

VAN PUTZEBOUM - (lagnoso, supplicando) Chopart! Per carità, Chopart!

STEFANO - (con una sgarbatezza furiosa che fa balzare indietro Van Putzeboum) Ah! Non seccatemi col vostro Chopart! Non esiste più Chopart! (Camminando avanti e indietro) Ah! Sporcaccioni! Sporcaccioni! Sporcaccioni!

VAN PUTZEBOUM - Ma com’è puntiglioso con sua cugina!

STEFANO - (giunto al letto) Non faccio a tempo a voltarmi che li trovano a-letto-insieme! (Scandisce le sillabe delle ultime parole picchiando pugni rabbiosi sul materasso)

VAN PUTZEBOUM - No… senti… senti… Non bisogna giudicare così…

STEFANO - Oh! Oh!

VAN PUTZEBOUM - Dopo tutto, se erano a letto, può darsi…

STEFANO - (schernendolo) Può darsi cosa? Può darsi cosa?

VAN PUTZEBOUM - (da sciocco) Non so dire! Forse erano esauriti!…

STEFANO - (imitandolo) Esauriti! Esauriti!… Ah! Ah! Siete voi che mi sembrate esaurito!… Oh! Ma non finirà così!… Oh, me la pagheranno! (Parlando, è passato all’estrema destra)

VAN PUTZEBOUM - Eh? Ah! No! No! Senti, questo no!… Ah! Sì! Se avessi saputo!… Senti! Cosa mi hai promesso, che se ti dicevo, non avresti detto a nessuno!…

STEFANO - (con un ghigno nervoso) Ah! Ah sì, questo sì che m’importa! (Torna verso il fondo all’estrema destra; poi viene avanti nel mezzo della scena)

VAN PUTZEBOUM - (torna verso il fondo parallelamente a Stefano ma dall’altro lato del tavolo, poi viene avanti assieme a lui) Ah! No! No! Questa sì è cosa brutta!… Questo è mettermi nei pasticci, sai? E questo io non voglio!…

STEFANO - (andando avanti e indietro senza ascoltarlo) Oh! Sporcaccioni! Sporcaccioni!

VAN PUTZEBOUM - Senti, Chopart! Questo tu non sai fare!… Ho fatto uno sproposito… non avrei dovuto dirti… ma anche tu, sai, mi hai promesso…

STEFANO - Certo! Certo!

VAN PUTZEBOUM - Ho la tua parola, Chopart… questo tu non devi fare… questo tu non devi, Gotferdom!… E poi, insomma, dal momento che si sposano!

STEFANO - (afferrandolo per i risvolti della giacca) Si sposano!… Si sposano!… Pezzo di f… (Bruscamente, imprimendo un secco movimento ai risvolti della giacca, fa fare una piroetta a Van Putzeboum che si allontana; poi, colpito da un’idea luminosa) Oh! Questa gliela faccio! (Continua ad arzigogolare fra sé e sé)

VAN PUTZEBOUM - (dopo aver ripreso in qualche modo l’equilibrio, si avvicina a Stefano e gli batte adagio sulla spalla) Chopart! Andiamo! Rispondi!

STEFANO - (si gira verso di lui, lo squadra una seconda volta, poi come un uomo che prende una determinazione) E sia! Avete ragione! Ve l’ho promesso, d’accordo! Non dirò niente.

VAN PUTZEBOUM - (sollevato da un peso) Ah! Finalemente!

STEFANO - (sardonico) È giusto, è giusto!

VAN PUTZEBOUM - Tanto più che, ripeto, forse non c’è stato niente!

STEFANO - (come sopra) Ma si! Ma sì!… Pensandoci bene, perbacco… forse erano soltanto esauriti!

VAN PUTZEBOUM - Ma certo!

STEFANO - (digrignando i denti) Ma è chiaro, poveri ragazzi!

VAN PUTZEBOUM - (si asciuga la fronte e si sposta a sinistra) Uff! Che caldo che ho!

STEFANO - (a parte) Ah! Mascalzoni!… Ah, me la pagherete! E… salato! (Punteggia l’ultima parola con un gesto a pugno chiuso, pieno di minaccia)

VAN PUTZEBOUM - (a parte) Per fortuna che, in fondo, a questo gli si dà a bere qualsiasi cosa!

SCENA QUATTORDICESIMA

Gli stessi, Marcello, Amelia, Pochet

MARCELLO - (uscendo dallo spogliatoio) Ma che mi dicono, voi, padrino?…

VAN PUTZEBOUM - Ah! Eccolo!

MARCELLO - (scorgendo Stefano, a parte, in fretta) Porco cane! Stefano! (Forte, andando da lui) Tu! Tu qui? (Spostandosi passa al 2, in modo da trovarsi fra Stefano e Van Putzeboum)

STEFANO - Sì, io! Io!

AMELIA - (comparendo, seguita da Pochet) Stefano!

POCHET - Voi?

STEFANO - Io![20]

AMELIA - (buttandoglisi fra le braccia) Ah! Stefano mio!

STEFANO - Ameliuccia mia! (La bacia. Poi, a parte) Sgualdrina! (A Marcello) Il mio buon Marcello!

MARCELLO - E come va?

STEFANO - Bene, come no!… Ah!

MARCELLO - (stringendogli la mano con esagerazione) Ah! Come sono contento!

STEFANO - A chi lo dici!… (Fra i denti) Brutto porco!…

POCHET - Siete contenti di rivedervi?

STEFANO - Io? Contentissimo!

MARCELLO - (come un lampo, sottovoce a Putzeboum) Non una parola a questo qui! Non una parola di quel che sapete!

VAN PUTZEBOUM - (sottovoce) Eh? Ah! Sì, certo, perbacco… Non sono nemmeno da dire, queste cose!

MARCELLO - (sottovoce) Oh, mi raccomando!

VAN PUTZEBOUM - (sottovoce) Mi credi tanto sciocco da andarglielo a raccontare?

MARCELLO - (sottovoce) Ah! Non si sa mai! (A parte) Uff! Ora sono tranquillo! (Torna da Stefano che parla con Amelia con sorrisi pieni di veleno)

STEFANO - (con tono ipocrita) E dimmi, non ti ha dato troppo fastidio?… È stata buona? Ragionevole? Sì?

MARCELLO - Oh! È stata buonissima!

POCHET - (credendo di portare l’argomento migliore) Basta dire che sono sempre stati assieme.

STEFANO - Ah, sì?

POCHET - Non si sono mai lasciati… quindi!…

STEFANO - (al 3, unendo in uno stesso abbraccio Marcello, al 2, e Amelia, al 4) Ma certo, è ovvio! (A denti stretti) Questi cari amici!

VAN PUTZEBOUM - (vedendoli riuniti e tutti dediti alle loro effusioni, li raggiunge percorrendo la ribalta; si mette fra Marcello e Stefano, proprio di fronte ad essi e volgendo le spalle al pubblico) Ascoltate, figlioli miei, ero tornato a prendervi, ma vedo che Marcello non si è ancora vestuto.

MARCELLO - Scusatemi! Ho sempre avuto gente; ma farò presto!

VAN PUTZEBOUM - Lascia stare! Lascia stare! Del resto Amelia vorrà certamente restare un po’ con suo cugino, che non vede da quindici giorni!…

AMELIA - Oh, certo!…

VAN PUTZEBOUM - Sì… e allora a cosa servo io? Non so aiutare Marcello a vestirsi, e ancor meno servo per i vostri sfoghi cuginali!… Quindi, essendo di troppo…

TUTTI - (protestando ironicamente) Oh! Oh!

VAN PUTZEBOUM - Sì! Sì! Questo è comprensibile! Eh! Beh, succede proprio che volevo andare dal parrucchiere!… Per una barba, no?

MARCELLO - Ah sì!… Una barba!

VAN PUTZEBOUM - Una barba, sì! Avevo pensato di rimandare a domani, ma poiché questo succede, ho tempo, no?… Quindi vi ritrovo fra una mesora a casa di Amelia… d’accordo davvero?

TUTTI - (accompagnandolo, quasi spingendolo, nella fretta di vederlo partire) Ma certo! D’accordo! D’accordo!

VAN PUTZEBOUM - Dai! Dai! Non accompagnatemi!… (A Marcello) Tu ti vesti… e voialtri, vi sfogate! A presto!

TUTTI - A presto! A presto! (Van Putzeboum esce; tutti vengono avanti ma, quasi subito, Van Putzeboum riappare)

VAN PUTZEBOUM - Sentite, non c’è qualcuno che sbarbifica, nei dintorni?

MARCELLO - (che non ne può più) Oh! Sì è proprio qui accanto a noi![21]

AMELIA - Ecco, di fronte! Proprio qui di fronte!

VAN PUTZEBOUM - Ah! Bene! Bene! A quest’ora ci sarà, sì?

MARCELLO - Sì, sì! Andate pure! Se non c’è adesso ci sarà senz’altro quando sarete arrivato, ve lo garantisco!

VAN PUTZEBOUM - Perfetto! Grazie! A presto! (Esce)

SCENA QUINDICESIMA

Gli stessi, meno Van Putzeboum

MARCELLO - (all’1) Uffa! Che rompiscatole! (A Stefano, al 2) Eh? Hai visto?

AMELIA - (al 3) È tornato!

STEFANO - (fa l’innocente) Ma sì, sono rimasto di stucco! Cosa fa qui? Lo credevo in Olanda.

MARCELLO - Ah, caro mio, non me ne parlare!

AMELIA - È tornato indietro per il matrimonio.

STEFANO - (fingendo di cadere dalle nuvole) Ma cosa mi dite?

POCHET - E verrà ad assistere alla cerimonia.

AMELIA e MARCELLO - Già.

STEFANO - Oh! Santo cielo! Oh, poveri ragazzi! (A Marcello) Ma allora, sei fritto?

MARCELLO - (con un gesto sfiduciato) Ah!… Se non avviene un miracolo… (Va ad addossarsi allo schienale del letto)

POCHET - …è spacciato!

STEFANO - Oh! Ma niente affatto! Non è il caso di lasciarsi abbattere. Bisogna trovare una soluzione! Questo miracolo, lo dobbiamo compiere!

MARCELLO - Ma come? Come?

AMELIA - Cosa proponi?

STEFANO - Ah! Non so! Ma non sarà mai detto ch’io lasci un amico… (con intenzione) un buon amico come te, nell’imbarazzo. (Così dicendo stringe la mano di Marcello fino a farlo gridare)

MARCELLO - (che non può reprimere un gridolino di dolore) Ah, ah! (Facendo muovere le falangi indolenzite) Il mio caro Stefano!

STEFANO - (con un sorriso che la dice lunga) Sì! Vecchio mio… (Cambiando tono) Ecco, sinceramente, secondo me c’è una sola cosa da fare: lui vuole assistere al matrimonio? E va bene, questo matrimonio… (con energia) dobbiamo darglielo!

MARCELLO - (lasciando la spalliera del letto e avanzando verso Stefano) Eh? Tu vorresti ch’io sposassi Amelia?

AMELIA - Vorresti sposarmi a Marcello?

MARCELLO - Ah! No! Voglio molto bene ad Amelia, ma da questo a sposarla!…

POCHET - (con dignità e come se l’argomento non ammettesse repliche) Ma come? Io ho pure sposato sua madre!

MARCELLO - Ah! Non dico di no, ma Amelia!… Ah! No!

STEFANO - Ma no! No! Non si tratta di questo! Eh! Sì, grazie tante! Lasciarti Amelia! Lei, così buona!… Così onesta!… Così fedele! (Ad ogni aggettivo, dà un bacio ad Amelia, più con la voglia di morderla che di baciarla)

AMELIA - (alle parole “così fedele”, a disagio) Taci! Taci!

MARCELLO - Sì, taci!

STEFANO - (compiacendosi di girare il coltello nella piaga) No, no! Ci tengo a dirlo!… Bene, dobbiamo fare uno scherzo al padrino? E facciamolo! (Prende per mano Amelia e Marcello e li fa avanzare un poco) Ecco qua: io proporrei…

TUTTI - (ansiosi) Cosa?

STEFANO - (a Marcello) …di andare in Municipio con Putzeboum per fargli toccare con mano e di fare le pubblicazioni.

MARCELLO - (sussultando per la sorpresa) Sul serio?

AMELIA - Ma allora… questo è il matrimonio!

STEFANO - Ma no, sono solo le formalità… obbligatorie del matrimonio, ma che non per questo rendono obbligatorio il matrimonio stesso. Il tuo padrino viene convinto, ed è nelle nostre mani.

AMELIA e MARCELLO - (che non capiscono) Già!

POCHET - (con ammirazione) Stupefacente!

MARCELLO e AMELIA - Cosa?

POCHET - (sconcertato) Eh?… Non so!… Quel che lui ha pensato.

MARCELLO - (alzando le spalle) Ah! Beh!…

AMELIA - Ma dai, papà!

MARCELLO - Su, circolate!

STEFANO - Seguitemi bene!… In Municipio, io prendo in affitto il salone delle feste per la data fissata.

TUTTI - Sì.

STEFANO - Ecco! Ho affittato, quindi sono in casa mia, faccio quello che voglio!

TUTTI - Sì.

STEFANO - Allora faccio venire un amico; toh, uno della Borsa, Totò Béjard per esempio.

MARCELLO - Totò Béjard?

STEFANO - Sì! Tu non lo conosci. (A Pochet e ad Amelia) Voi non lo conoscete.

POCHET - In Borsa, conosco Chaminet.

STEFANO - Ah, sì? Bene, non è lui. (Riprende il discorso) Io dico a Totò Béjard, che è un umorista a freddo… gli dico: “Tu fai il sindaco”! Lui si mette la sciarpa e quindi, davanti al padrino lì convenuto, celebriamo le tue nozze con la qui presente signorina Amelia d’Avranches, coperta di fiori d’arancio.

TUTTI - (estasiali e saltando di gioia) Ah! Ah! Ah! Bravo! (Marcello, Amelia e Pochet fanno un girotondo rumoroso e allegro attorno a Stefano)

STEFANO - (mentre gli altri gli danzano attorno, scuote il capo e sorride in maniera significativa) Sì, vecchio mio! Balla! Balla!

MARCELLO - (stringendo con effusione le mani di Stefano) Ah! Stefano, mi salvi la vita. Che amico! Ah! Che amico!

STEFANO - (sardonico) Ma sì… come lo sei tu per me.

MARCELLO - Ah! Come ringraziarti?

STEFANO - Lascia stare!… Mi ringrazierai dopo! (Riprende il girotondo attorno a Stefano)

SIPARIO


ATTO TERZO

PRIMO QUADRO

All’alzarsi del sipario, gli invitati sono seduti qua e là nella sala, in attesa della cerimonia che si sta preparando. Gaby è entrata e sta passando fra le sedie.

SCENA PRIMA

Mouilletu, Valéry, Mouchemolle, Gaby, invitati, invitate

MOUILLETU - (a Gaby, col tono di un ritornello abituale) Sulle panche, signore e signori! Le sedie e le poltrone sono per il corteo.

GABY - (passa alla fila seguente, lungo la panca che sta dietro le sedie) Scusatemi tanto, non lo sapevo! Scusate, signore. (L’uomo si alza) Scusate, signora. (La donna si alza)

SIGNORE (al suo vicino) È alle tre la cerimonia, vero?

VICINO - Se gli sposi non sono in ritardo, è alle tre. (Nel frattempo sono entrati, sottobraccio, Valéry e Mouchemolle; passano rasente il fondo parlando a voce alta)

VALÉRY - Sì, vecchio mio! E i camerieri sono piombati tutti insieme sullo sbronzo e l’hanno sbattuto fuori senza dire né ai né bai.

MOUCHEMOLLE - Ah! Buona questa!

VALÉRY - (a Mouilletu) Ah! Dite! È qui che si fa il matrimonio del signor Courbois?

MOUILLETU - È qui, signore.

GABY - (che è seduta all’estremità della panca, dal lato del pubblico, fa dei cenni a Valéry e a Mouchemolle) Ehi!… Pssst!

MOUCHEMOLLE - (allegramente) Ah, guarda! C’è Gaby!

VALÉRY - (stesso gioco) Ah! Gaby! (Valéry entra nella fila di Gaby) Oh! Eccoti qua!

GABY - Naturale!

MOUILLETU - (vedendo che Mouchemolle si sta infilando fra le sedie) Non sulle sedie! Sulle panche!

MOUCHEMOLLE - (con tono canzonatorio) Oh! Grazie, amico mio. (Esce dalla fila di sedie ed entra nella fila seguente, seguendo Valéry)

VALÉRY - (disturbando le persone che occupano l’estremo della panca) Scusate, signore! Scusate, signora!

MOUCHEMOLLE - (sgattaiolando dietro di lui e passando fra le due persone) Scusate!… Scusate!

VALÉRY - Buongiorno, Gaby!

MOUCHEMOLLE - Come va? (Non trovando posto a sedere su questa panca, la scavalca e si siede sull’ultima)

GABY - Buongiorno, ragazzi! Non avete voluto mancare allo sposalizio, eh?

VALÉRY - Naturale!

MOUCHEMOLLE - Ma guarda! Ci sei anche tu!

GABY - Puoi capire! È l’attrazione del giorno!

VALÉRY - Però è incredibile, no?

GABY - Cosa?

VALÉRY - Ma questo matrimonio!

MOUCHEMOLLE - Marcello sposare Amelia!

GABY - Pare che sia uno scherzo.

VALÉRY - Come, uno scherzo? Lo si credeva all’inizio. Ma ora non ci sono più dubbi, dai! Visto che il matrimonio si fa.

GABY - Ma no, ma no! Marcello ieri ha passato la serata al Tabarin e ci ha assicurato che è uno scherzo che fa al suo padrino!… Per una questione di eredità!

VALÉRY - No, no! È a voi che ha fatto lo scherzo! Ma come è possibile? In Municipio!…

GABY - Ah! Non so! Io ti dico soltanto quel che ci ha detto! (Continuano a chiacchierare)

SCENA SECONDA

Gli stessi, Cornette, poi il Sindaco

CORNETTE - (una spalla più alta dell’altra, accorrendo dal fondo) Mouilletu! Mouilletu!

MOUILLETU - (in piedi sulla pedana, occupato a mettere ordine sul tavolo del sindaco) Ah! Signor Cornette!

CORNETTE - Buongiorno, Mouilletu! Il capo ha chiesto di me?

MOUILLETU - Oh sì… potete ringraziarmi; vi ho salvato la faccia dicendo che vi avevo già visto.

CORNETTE - Oh! Grazie!… Mi sono trattenuto più di quanto volessi.

MOUILLETU - Al caffè, scommetto.

CORNETTE - Stavo facendo una briscola con Jobinet.

MOUILLETU - (cercando di ricordare) Jobinet?

CORNETTE - Il contabile, qui di fronte… Jobinet, lo sapete bene… quel mattacchione!… Jobinet, delle pompe funebri.

MOUILLETU - Ah! Sì!… E allora? Avete vinto almeno?

CORNETTE - No!… Non c’è da stupirsi, è gobbo!

SINDACO - (mettendo dentro la testa dalla porta di destra) Cornette!

CORNETTE - (con premura) Eccomi, signor sindaco!… Eccomi! (Il sindaco è rientrato, Cornette corre a raggiungerlo nel suo ufficio)

SCENA TERZA

Gli stessi, Pasqualina, Gismonda, poi due fotografi

VALÉRY - (scorgendo Pasqualina e Gismonda che, alle ultime battute, sono arrivate da sinistra e attraversano il fondo) Toh, ci sono anche Pasqualina e Gismonda.

GABY - Ah! Sì… (Facendo loro dei cenni) Ehi!…

VALÉRY e MOUCHEMOLLE - (allo stesso modo) Op! Op!

PASQUALINA - (a Gismonda) Ah! Eccoli là, gli amici!

GISMONDA - Toh! Come va?

GABY - (fa segno che vadano da lei) Venite qui?

GISMONDA e PASQUALINA - Sì.

MOUILLETU - (alle due donne che si infilano fra le sedie) Non sulle sedie, signore, non sulle sedie!

PASQUALINA - (con tono ironico) Cos’ha, quello lì?

GISMONDA - Oh, beh, se non c’è posto…

PASQUALINA - (viene fino al proscenio) Se andassimo un po’ a metterci laggiù in fondo? Di là il corteo si dovrebbe veder meglio…

VALÉRY - Oh!… Se volete!

GABY - Per me, ci sto.

MOUCHEMOLLE - Andiamo! (I due uomini si dirigono verso la panca di sinistra, mentre le donne li seguono più adagio, conversando)

GABY - Siete rimasti fino a tardi, stanotte?

PASQUALINA - Non parlarmene: fino alle sei di mattina!…

GISMONDA - Ci siamo lasciati dandoci l’appuntamento qui; ma tutta la banda era talmente a terra che sono sicuramente rimasti a letto.

VALÉRY - (accanto alla panca addossata al muro) Ci mettiamo qui?

PASQUALINA - Sì! Qui va benissimo.

GISMONDA - A quanto pare il sindaco lo fa un certo Totò Béjard.

VALÉRY e MOUCHEMOLLE - Totò Béjard?

PASQUALINA - Sì, uno della Borsa.

GABY - (a Valéry) Ecco! Vedi? (Alle due donne) È vero che Marcello ha detto, a proposito del matrimonio, che è solo uno scherzo che lui fa al suo padrino?

PASQUALINA e GISMONDA - Verissimo!

GABY - Ecco!

VALÉRY - Cosa vuoi che ti dica, non riesco a mandarla giù!

FOTOGRAFO - (tiene la macchina sottobraccio e, per passare, fende l’assembramento che, formato da Valéry, Gaby, Pasqualina, Gismonda e Mouchemolle, ostruisce il passaggio) Scusino, signori! Scusino! (A parte) Accidenti, quante sottane! (Giunto accanto a Mouilletu, al proscenio, a destra) Scusate, il corteo entra di là, vero?

MOUILLETU - Naturale! Da dove volete che entri?

FOTOGRAFO - Il fatto è che vorrei prenderlo proprio di fronte… Sono il fotografo del “Mattino”.

MOUILLETU - Ah!… Molto bene, signore!…

SECONDO FOTOGRAFO - (compiuto lo stesso percorso del collega, appare alle spalle di questi e si rivolge a Mouilletu) Ehi, voi!… (Riconoscendo l’altro fotografo, che si è voltato) Toh! Voi qui?

PRIMO FOTOGRAFO - Sì, vengo per il “Mattino”.

SECONDO FOTOGRAFO - Ed io per il “Giornale”.

I DUE FOTOGRAFI - (in coro) Naturalmente! (Vanno verso il fondo. Durante le battute precedenti, Mouilletu si è spostato a sinistra passando dietro i fotografi)

VALÉRY - (a Mouilletu, che gli è giunto accanto) Ehi, voi, sentite!

MOUILLETU - Signore?

VALÉRY - È alle tre il matrimonio, no?

MOUILLETU - Sì, signore.

SINDACO - (dalla porta, mettendo dentro la testa) Mouilletu! Mouilletu!

MOUILLETU - Eccomi, signor sindaco! (Il sindaco rientra nel suo ufficio)

TUTTI - (stupiti) Mouilletu?

MOUILLETU - (avvicinandosi a Valéry, per scusarsi) Scusate!

GABY - (trattenendolo per la manica) Dite un po’! “Mouilletu”, è a voi che ha fatto questa domanda?[22]

MOUILLETU - Sì, signora! È il mio nome.

GABY - (ridendo) Che strana idea!

MOUILLETU - (mentre il gruppo ride) Non ne sono particolarmente orgoglioso!… Chiedo scusa! (Li lascia per andare dal sindaco)

MOUCHEMOLLE - Oh! Bene, se è alle tre mancano tre minuti…

VALÉRY - Non può tardare molto.

GISMONDA - D’altronde, quando siamo arrivati, c’erano già delle vetture che stavano entrando.

VALÉRY - Oh! Bene, allora!… (Nello stesso momento si sente nell’atrio l’orchestra che attacca la marcia del “Profeta”)

GABY - La musica! La musica!

GISMONDA - Gli sposi! Gli sposi stanno arrivando!

TUTTI - Gli sposi!

MOUILLETU - (uscendo dall’ufficio del sindaco e correndo verso l’entrata) Il corteo, signore e signori! C’è il corteo! (Mouilletu scompare nell’atrio)

I DUE FOTOGRAFI - (che erano appostati nell’atrio, accorrendo in scena) Il corteo! Arriva il corteo! (Un fotografo si mette contro il sipario a sinistra; l’altro sale su una panca. Entrambi hanno la macchina puntata verso l’ingresso)

GABY - Andiamo a vedere l’entrata. Andiamo a vedere l’entrata.

TUTTI GLI AMICI - Andiamo! Andiamo! (Salgono sui gradini dell’arco, che ostruiscono completamente. Nella sala, la gente è in piedi sulle panche)

MOUILLETU - (ritornando dall’atrio e spingendo la gente che ostacola l’ingresso) Signori, fate posto! Fate posto per il corteo! In fila!

GABY - (indicando la panca di sinistra) Là! Là!

TUTTI GLI AMICI - Arrivano, arrivano! (Gaby, Gismonda e Pasqualina salgono sulla panca. I due uomini, in piedi davanti alle ragazze, si stringono loro contro. Nello stesso momento, entra il corteo. In testa, Amelia, in abito da sposa, dà il braccio al padre che è in abito da cerimonia, con il cappello in mano e la croce di commendatore di Palestrìa al collo. Dietro, Marcello dà il braccio a Virginia Pochet, sorella di Pochet. Dietro, Adone, in smoking, dà la mano a una bimbetta di sei anni, che porta un mazzolino di fiori da damigella d’onore. Dietro, i quattro testimoni: Stefano, Van Putzeboum, Koschnadieff e Bibichon. Poi gli invitati: Valcreuse, Yvonne, Boas e Palmira)

MOUILLETU - (ricevendoli sul vano della porta) Da questa parte, signori! Da questa parte!

VOCI - (fra il pubblico) Oh! Come sta bene!… Che bel vestito!… Una figurina perfetta!… (Vengono avanti sulla sinistra, poi si spostano a destra attraversando la scena, guidati da Mouilletu. I fotografi scattano istantanee. Nel momento in cui Amelia passa davanti a Valéry, Gaby e compagnia… ognuno le fa un complimento: “Oh! Deliziosa!… Stupenda!… Hai un vestito che ti va proprio a pennello… Complimenti!…” eccetera. A tutti, Amelia risponde con un “Grazie… Grazie mille…”)

MOUILLETU - (spostandosi sulla destra, alla testa del corteo) Da questa parte, signori!

AMELIA - (che è giunta con Pochet fino al proscenio, a sinistra, si ferma vedendo che la faccia di Pochet si contrae per l’emozione) Piangi, papà?

POCHET - (che nasconde male il turbamento) No!… Sì!… Cosa vuoi, l’emozione!… Non sono proprio lacrime; è un po’ come quando sbucci una cipolla sotto il naso, ti viene…

AMELIA - Sì! Sì!

POCHET - Nevvero, sentire la propria figliola in fiori d’arancio… così… sotto lo sguardo della gente!…

AMELIA - Ma dal momento che è uno scherzo…

POCHET - Lo so, ma ugualmente!… (Si soffia il naso fragorosamente, poi) Ah! Il matrimonio è una gran bella istituzione!

AMELIA - Su, calmati!…

MOUILLETU - (dall’estrema destra, vedendo che nessuno lo ha seguito) Avanti, signori! Avanti!

POCHET - Siamo qui! (Il corteo procede fino al tavolo del sindaco)

VIRGINIA - (A Marcello, a cui dà il braccio; parla seguendo gli altri) Vi dirò, dipende! A domicilio, per le unghie, chiedo otto franchi; ma per gli amici, cinque.

MARCELLO - Oh, molto interessante!

ADONE - (Trascinando la bambina che cammina guardando dietro di sé) Vieni avanti, mocciosa! Perché ti fai tirare?

BAMBINA - Ma sì, vengo!

ADONE - (Indispettito) Oh! Anche ‘st’idea, però, di appiopparmi la figlia della portinaia che fa la damigella d’onore! Mi sento ridicolo! (Vanno a sedersi sulle due sedie all’inizio della prima fila)

MOUILLETU - (Indicando a ognuno il proprio posto) La sposa qui, lo sposo lì.

VAN PUTZEBOUM - (a Stefano) È arrivato il gran giorno, eh? Saranno commossi i miei cari ragazzi!

STEFANO - Sì!… (A denti stretti) Quei cari ragazzi!…

MOUILLETU - Il padre qui! La mamma…

POCHET - La mamma? Non c’è…

VIRGINIA - No, io sono la zia.

MOUILLETU - Va bene! La zia lì.

GENERALE (a Bibichon, sulla sinistra della scena) Sì, se sono testimone lo devo a Sua Altezza Reale che mi ha delegato.

BIBICHON - Veramente!… Beh, nel mio caso dipende… (Dandosi un colpo sulla coscia) dalla mia rispettabilità.

MOUILLETU - I testimoni!

STEFANO, VAN PUTZEBOUM, KOSCHNADIEFF e BIBICHON - (avanzando) Eccoci! Eccoci!

MOUILLETU - (indicando i loro posti) I testimoni della sposa da questa parte; i testimoni dello sposo da quest’altra!

VAN PUTZEBOUM - (vedendo che Adone ha preso il suo posto) Dai, racassi! Sloggiate, su! (Adone va a sedersi sulla prima sedia della seconda fila; la piccina rimane in piedi, accanto ad Amelia)

YVONNE - (a Boas che, dietro, dà il braccio a Palmira. Tutti e quattro sono all’estrema sinistra) Dì un po’, questo matrimonio non fa venir voglia anche a te di sposarti?

BOAS - Con te?

YVONNE - Con me.

BOAS - Beh, sai, ci devo pensare.

PALMIRA - Io, se lo volessi, dovrei dire solo una parola, non è vero carino?

VALCREUSE - Ah, possibile! Ma non con me, in ogni caso!

PALMIRA - Animale! L’altro giorno dicevi…

VALCREUSE - Scusami, l’altra notte!… E di notte si dicono molte cose…

BOAS - (terminando il pensiero di Valcreuse) …per cortesia.

MOUILLETU - Il paggio e la damigella?

BAMBINA - (precipitandosi verso Adone e tirandolo per la mano) Siamo noi, mio caro!

ADONE - (trascinato dalla picchia) Oh, no! “Mio caro” no! Ma guarda un po’ sta specie di scarafaggio!… Mi fa sudare, mi fa!

MOUILLETU - (indicando la panca alla destra della scena) Il paggio e la damigella lì.

ADONE - (alla piccina, sedendosi a destra della panchina) Oh! Ma a che ora ti mettono a letto?

BAMBINA - Alle otto, ragazzo mio!

ADONE - Oh! Sentitela! ‘Sto biberon. Ma vedi di tenerlo chiuso!

BAMBINA - Cosa?

ADONE - Il becco.

MOUILLETU - (al resto del corteo) Se volete prendere posto sulle sedie… (Boas, Palmira, Valcreuse e Yvonne si siedono ai posti indicati) Il signor sindaco verrà fra un istante. (Entra nell’ufficio del sindaco. Conversazione generale in sordina)

MARCELLO - (dopo una pausa, a Stefano) Senti…

STEFANO - Eh?

MARCELLO - (a Stefano) È veramente Totò Béjard, il sindaco?

STEFANO - (con un tono che la dice lunga ma la cui intenzione sfugge a Marcello) È Totò Béjard, certo.

MARCELLO - Senti, Amelia!

AMELIA - Eh?

MARCELLO - Il sindaco è veramente Totò Béjard.

AMELIA - Eh, sì, lo so.

POCHET - (curioso) Cosa? Che c’è?

AMELIA - No, niente! Mi ha detto che il sindaco è Totò Béjard!

POCHET - Ah! Sì! (Voltandosi verso Virginia) Il sindaco è Totò Béjard!

VIRGINIA - Eh?… Beh, e allora?… Cosa me ne importa, a me?

VAN PUTZEBOUM - Come voi dite, il borgomastro? Totò Béjard?

STEFANO - (un po’ sconcertato) Eh? No, sì! Non ha importanza. (Una pausa. Poi la brigata di Yvonne, Palmira, Boas e Valcreuse scoppia a ridere fragorosamente)

YVONNE - Che idiota sei!

BOAS - (ridendo) Oh! Senti, non si può più essere spiritosi, adesso?

AMELIA - (si alza e si gira, tenendo un ginocchio sulla poltrona e ridendo per compiacenza) Cosa, cosa? Che c’è?

BOAS - (ridendo) Niente, niente!

PALMIRA - (ridendo) È Boas che fa dello spirito di cattivo gusto!

AMELIA - (curiosa) Ah! Cosa? Cosa?

VALCREUSE - Ha chiesto…

YVONNE - Ha chiesto…

PALMIRA - Ha chiesto…[23]

YVONNE - (cedendo la parola a Palmira) Dillo tu!

PALMIRA - No, tu!

AMELIA - Beh, e allora? Cosa ha chiesto?

VALCREUSE - (alzandosi) Ha chiesto perché non ti sei messa in testa delle arance.

AMELIA - Oh! Com’è fine! Oh! Com’è spiritoso! (Torna a sedersi)

POCHET - (alzandosi e girandosi verso di loro) Chi l’ha trovata? Ser Pente?… Ah! È molto distinta, senz’altro.

BOAS - (abbastanza soddisfatto di sé) Beh, mio Dio!…

POCHET - Su, su! Circolare! In dove pensate di essere, eh? In dove pensate di essere?[24] (Torna a sedersi. Si sentono gli altri che ripetono in sordina ridendo: “In dove pensate di essere”. Una pausa)

VALÉRY - (seduto sull’ultima panca, a Gaby) Beh! Basta chiederglielo… (Chiamando Bibichon) Ehi! Bibichon!

BIBICHON - (alzandosi) Eh?

VALÉRY - Ci sei anche tu, domani, alla cena di Fifì-salsiccia?

BIBICHON - Ah! No.

GABY, PASQUALINA, VALÉRY, GISMONDA e MOUCHEMOLLE - (insieme) Ah?

YVONNE - (alzandosi) Non ci sei?

BIBICHON - No.

PALMIRA - (alzandosi) Noi sì. (Le donne tornano a sedersi)

BIBICHON - Oh, ma non fa niente! M’invito da solo, si mangia troppo bene da lei!

GABY - Bravo!

BIBICHON - Ma certo! (si risiede e torna ad alzarsi subito dopo; a quelli del fondo) Ehi!… Grazie dell’informazione. (Si siede. Mouilletu esce dall’ufficio del sindaco e sale sulla pedana)

ADONE - (alla bambina che gli parla all’orecchio) Eh?… Cosa dici? (La bambina torna a parlare) Eh!… Ah no, perdinci!… Fra poco! Quando usciamo.

AMELIA - Che c’è?

ADONE - No, niente!

AMELIA - Ma cosa?

ADONE - Niente, è la mocciosa che… (Non osando terminare la frase a voce alta, si alza e va a parlare sottovoce ad Amelia, dopo di che viene avanti per ritornare al suo posto)

AMELIA - (mentre Adone viene avanti) Beh, e allora? Accompagnala, caro!

ADONE - Io? Ah! No, senti! Per chi mi prendi? (Si siede)

POCHET - (alzandosi, curioso, ad Amelia) Eh? Cosa c’è?

AMELIA - Niente, papà. È la piccina che… (Gli parla sottovoce)

POCHET - Ah?

ADONE - (con tono indignato) Sì!

POCHET - Beh, e allora? È umano.

AMELIA - (dirigendosi verso Mouilletu che sta in piedi sulla pedana di mezzo) Sentite, per favore!

MOUILLETU - Signorina?…

AMELIA - Ci potreste indicare… (Termina la frase sottovoce all’orecchio di Mouilletu)

ADONE - (seccato, mentre Amelia parla sottovoce a Mouilletu) Oh, com’è divertente!

MOUILLETU - Oh! Niente di più semplice, signorina. (Indicando Adone) È per il signore?

ADONE - (furioso) Eh? Ma no! Ma no!

MOUILLETU - (scendendo dalla pedana del sindaco) È per la piccola damigella! Ecco, da questa parte, signorina. (Precedendo la fanciulla, si dirige verso la fila di sedie)

BAMBINA - (che già seguiva Mouilletu, accorgendosi che Adone non l’accompagna, gli corre incontro e lo tira per la mano) E allora? Vieni?

ADONE - Non mi seccare!

AMELIA - Ma… cosa? Valle dietro, no?

ADONE - Io?

POCHET - Un paggetto non abbandona mai la sua damigella d’onore.

ADONE - Ma no! Accidenti!

AMELIA - Vai, ti dico… non puoi lasciare sola la bambina.

ADONE - (arrabbiandosi) Oh!

POCHET - Insomma, non muori mica!

ADONE - (lasciandosi trascinare dalla piccina, e brontolando) Eh? Che figura ci faccio adesso? Che figura ci faccio?

MOUILLETU - (infilandosi fra la prima e la seconda fila di sedie, seguito dalla bambina e da Adone, con tono pomposo e ritmato) Lasciate passare la damigella d’onore! Lasciate passare la damigella d’onore! (Nella fila ognuno si alza per lasciarli passare)

ADONE - (furioso) Oh! Che grana! (Alla bambina) Ma tu non potevi pensarci prima?

MARCELLO - (nel momento in cui Adone gli passa dietro) Vai, vai, piccolo Soleilland.

ADONE - (infuriato) Oh! Sì! Oh!

MOUILLETU - Da questa parte, ecco, da questa parte!

ADONE - Brutta mocciosa! (Giunto sulla soglia della porta di fondo, Mouilletu, con grandi gesti, gli indica il cammino da prendere. Adone è sulle spine) Sì, va bene; mica tanti gesti, signore!… Lo troverò senz’altro! Grazie! Brutta mocciosa! (Escono)

VAN PUTZEBOUM - (che si è alzato quando Adone si è incamminato e lo ha seguito con gli occhi, a Stefano che si alza anche lui per sgranchirsi le gambe) Dov’è che vanno quelli?

STEFANO - Niente, è la piccina che… (Termina la frase all’orecchio di Van Putzeboum)

VAN PUTZEBOUM - Ah! Sì, sì… Meneken… Meneken… Piss!…

STEFANO - Indovinato.

VAN PUTZEBOUM - (allegro e prendendo Stefano per il braccio) Oh! Questo è davvero un matrimonio molto parigino! (Si spostano all’estrema sinistra)

MARCELLO - (abbandonato sulla poltrona, dopo una pausa, guardando l’orologio) Non faccio per dire, ma ci fa aspettare, Totò Béjard!

AMELIA - A chi lo dici!… Sai, io… non ho niente in contrario a sposarmi, ma non bisogna dimenticare che alle quattro ho appuntamento col principe a casa mia.

MARCELLO - Alle quattro?… Oh! Hai un buon margine.

AMELIA - Il fatto è che, da quando la faccio languire, la poverina…

MARCELLO - Quale… poverina?

AMELIA - Eh! Sua Altezza!… È femminile.

MARCELLO - Ah?… Giusto!

MOUILLETU - (salendo sulla pedana) Il signor sindaco. (Avanza e va a sedersi al tavolino più vicino al proscenio mentre Van Putzeboum e Stefano riprendono precipitosamente i loro posti)

SCENA QUARTA

Gli stessi, il Sindaco

Il sindaco, che ha sulla bozza frontale sinistra un’enorme natta, entra in finanziera, cinto della sciarpa, seguito da Cornette. Sale sulla pedana mentre Cornette va a sedersi al suo tavolino, sul fondo. Tutti si alzano. Il sindaco si inchina leggermente per salutare l’uditorio, poi, con gesto circolare della mano, fa segno ad ognuno di sedere. Tutti si siedono, tranne Pochet che guarda distrattamente verso l’ingresso.

SINDACO - (con la mano tesa verso Pochet, per fargli segno di sedere) Signore!

AMELIA - (a Pochet, indicandogli il sindaco) Papà!

POCHET - Oh! Scusate! (Credendo che il sindaco gli tenda la mano) Piacere.

SINDACO - No, è per pregarvi di sedere.

POCHET - (sedendosi) Oh! Scusate. (Il sindaco si siede e si china verso Cornette per fargli qualche raccomandazione)

MARCELLO - (sottovoce a Stefano) Senti un po’!… È Totò Béjard?

STEFANO - (con uno sguardo beffardo) Sì, è Totò Béjard. (Marcello si alza e va a guardare il sindaco più da vicino)

SINDACO - (alzando la testa) Che c’è?

MARCELLO - (in tono scherzoso) Niente, niente! (A Stefano, andando a sedersi) La faccia è perfetta! Sei sicuro di lui, almeno? Non farà scherzi? Non si metterà a ridere?

STEFANO - (perfido) No, no, sta’ tranquillo!… Non farà scherzi.

SINDACO - (alzandosi, a Marcello) Prego, se volete… (Vedendo che Marcello non l’ascolta) Ehi, voi, sposo!

AMELIA - (dando una gomitata a Marcello) Marcello!

MARCELLO - Eh? Io?…

SINDACO - (con tono amabilmente canzonatorio) Voi evidentemente! Non ci sono altri sposi! (terminando) …se volete dirmi nome e cognome!

MARCELLO - (a Stefano, alzandosi) È straordinario!

STEFANO - Vero?

MARCELLO - (con la falda del cappello contro la guancia sinistra per nascondere la voglia di ridere, che il suono della voce rivela) Giuseppe Marcello Courbois.

SINDACO - (lo guarda sbalordito, poi) Che cosa vi fa ridere?

MARCELLO - (scherzando, fra i denti) Procedete, è perfetto!

SINDACO - (lo considera un istante, un po’ stupito, poi ad Amelia) E voi, signorina? (Amelia si alza per rispondere. Pochet, con un gesto, la fa sedere di nuovo e si avanza verso il tavolo del sindaco)

POCHET - Clementina Amelia Pochet!

SINDACO - No, non voi! È alla signorina che ho fatto la domanda.

POCHET - (tornando a sedersi) Ah! Scusate.

AMELIA - (alzandosi) Clementina Amelia Pochet. (Si siede)

POCHET - (dirigendosi al tavolo del sindaco) Eh?… E io cosa ho detto?

SINDACO - (che comincia a irritarsi) Sì, va bene.

POCHET - Voi capite, nevvero, sono io che le ho dato questi nomi… È mia figlia e quindi… li conoscevo prima di lei.

SINDACO - (alza gli occhi al ciclo, poi) Signore, vi prego!

POCHET - Continuate, signor sindaco! Continuate! (Torna a sedersi)

VAN PUTZEBOUM - (a Stefano) Come? “Pochet, Pochet”? Credevo che si chiamasse d’Avranches.

STEFANO - Eh?… Sì, è… è un titolo papale; non si menziona negli atti.

VAN PUTZEBOUM - (stupito) Ma, senti, senti!

SINDACO - Ora diamo lettura dell’atto di matrimonio! (A Cornette) Leggete, Cornette! (Il sindaco torna a sedersi e, durante le battute seguenti, ascolta la lettura tenendo il gomito destro sul tavolo e la mano a visiera sopra gli occhi)

MARCELLO - È stupefacente, questo Totò! Si direbbe che non abbia fatto altro in vita sua.

CORNETTE - (col gomito sinistro sul tavolo e la testa appoggiata alla mano, comincia a leggere l’atto) “Il cinque maggio dell’anno millenovecentootto, alle tre del pomeriggio, davanti a noi, sindaco dell’ottavo arrondissement di Parigi, sono comparsi in questo Municipio per essere uniti in matrimonio: il signor Giuseppe Marcello Courbois, nato a Parigi il 6 aprile 1879, benestante, con domicilio in Rùe Cambon 27, (La voce diminuisce a poco a poco di intensità e alla fine viene ad essere solo un mormorio, in modo da non coprire la voce dei personaggi che, tuttavia, devono dare l’impressione di parlare a mezza voce) celibe…”[25]

AMELIA - (a mezza voce, a Marcello, mentre Cornette prosegue la lettura) Ehi! Marcello, hai visto la natta?

MARCELLO - (come sopra) Quale natta?

AMELIA - (idem) La natta del sindaco.

MARCELLO - (idem) Ah! E me lo chiedi?

AMELIA - (idem, a Pochet) Hai visto la natta, papà?

POCHET - (idem) Eh?

AMELIA - (idem) La natta del sindaco!

POCHET - (idem) Ah, beh! Lo credo! È enorme!

AMELIA - (idem) Come un uovo di… di colombo. (A Marcello) Ah! Lo vedi che non dico più piccione?

MARCELLO - (idem) Oh! In questo caso puoi dire come vuoi! (A Stefano) Non me l’avevi detto che Totò Béjard aveva una natta.

STEFANO - (idem) Sta’ zitto! È falsa! È tutta una montatura.

MARCELLO - (idem, sbellicandosi) No! (Ad Amelia) Senti, Amelia! La natta del sindaco! Pare che sia falsa.

AMELIA - (idem) Ma no! (A Pochet) Oh! Papà, la natta del sindaco!… È falsa.

POCHET - (idem) Non è possibile! (Alzandosi) Oh! Che strano! (Tira fuori di tasca gli occhiali a stanghetta, di tartaruga, se li fissa al naso e si porta vicinissimo al sindaco per guardare meglio la natta)

SINDACO - (sentendosi osservato, alza improvvisamente la testa e si trova faccia a faccia con Pochet) Che c’è?…

POCHET - (indietreggiando istintivamente) Niente!… Niente, niente! (Fa col gomito un gesto in direzione del sindaco, con ammiccamenti vari, come per dire: “Ah! Mattacchione!”, poi va a sedersi. Il sindaco alza le spalle, poi riprende la primitiva posizione. Ad Amelia, sedendosi di nuovo) Curioso! Avrei giurato che era autentica!

VIRGINIA - (a Pochet) Cosa? Cosa avresti giurato che era autentica?

POCHET - La natta del sindaco… pare che sia falsa.

VIRGINIA - No! (Ai vicini di sinistra) Ah! La natta del sindaco è falsa!

KOSCHNADIEFF - (indifferente) Ah!

PALMIRA - (chinandosi verso Pochet) Cosa, cos’è falsa?

POCHET - La natta del sindaco. È falsa!

TUTTA LA FILA DI PALMIRA - Impossibile!

YVONNE - (passando la notizia alla terza fila) Ah! La natta del sindaco è falsa.

TUTTA LA TERZA FILA - Ma no!

SECONDA FILA - Sì.

UNO O DUE PERSONAGGI DELLA QUARTA FILA - Che c’è? Che c’è?

TERZA FILA - La natta del sindaco è falsa.

UNO DELLA QUARTA FILA - Cosa? La natta? Ah! (Ci si sussurra la notizia: “La natta del sindaco è falsa… la natta è falsa… è una falsa natta!” Ognuno vuol vedere più da vicino; tutti quelli della prima fila, meno Van Putzeboum che sonnecchia e Stefano che sa come stanno le cose, si alzano e avanzano fino al tavolo del sindaco per esaminare meglio la famosa natta; quelli della seconda fila si alzano e si chinano in avanti. Nelle altre file, qualcuno sale sulla panca. Improvvisamente il sindaco alza gli occhi, vede tutta quella gente che lo circonda e si raddrizza lentamente; ciò determina un movimento contrario negli altri, che indietreggiano a misura che il sindaco rialza il busto, e retrocedono tutti fino ai loro posti)

SINDACO - (con voce forte) Ma insomma! Che c’è?

TUTTI - Niente!… Niente-niente! (Tutti si sono nuovamente seduti, tranne Koschnadieff che rimane in piedi)

SINDACO - Che cosa avete, voi?

KOSCHNADIEFF - (che non ha capito niente) Pare che sia falsa.

SINDACO - Cosa?

KOSCHNADIEFF - Non lo so! (Si risiede)

SINDACO - (a Mouilletu) Che matrimonio! Mio Dio, che matrimonio!

CORNETTE - (aumentando il volume della voce, verso la fine del contratto) “Dichiariamo pubblicamente in nome della legge che il signor Giuseppe Marcello Courbois e la signorina Clementina Amelia Pochet sono uniti in matrimonio”.

KOSCHNADIEFF - Bravo!

SINDACO - Silenzio! (A Pochet) Alzatevi! (Marcello, Pochet e Amelia si alzano. Agli sposi) Sedetevi! (Si siedono tutti e tre. A Pochet) No, alzatevi!

AMELIA, MARCELLO e POCHET - (alzandosi) Ah!

SINDACO - (a Marcello e Amelia) Sedetevi! (Si siedono tutti e tre. A Pochet) Ma no, alzatevi! (Si alzano tutti e tre)

MARCELLO - Ma insomma dobbiamo alzarci o dobbiamo stare seduti?

SINDACO - (a Marcello) Parlo al signor Pochet! Sedetevi!

AMELIA, MARCELLO e POCHET - (sedendosi) Ah, bene.

SINDACO - (a Pochet) E voi, perché vi sedete?

POCHET - Ma scusate! Avete appena detto: “Parlo al signor Pochet! Sedetevi!”.

SINDACO - Ma sì! “Parlo al signor Pochet! Sedetevi, voi sposi; e voi, signor Pochet, restate in piedi”.

POCHET - Ah! Bene!

MARCELLO - Eh, bastava dirlo!

SINDACO - (a Pochet) Signor Amedeo Pochet…

POCHET - Sono io!

SINDACO - (con un sospiro di insofferenza) Sì, sì! Lo sapevo! Voi acconsentite al matrimonio di vostra figlia Clementina Amelia Pochet col signor Giuseppe Marcello Courbois?

POCHET - Con gioia.

SINDACO - (alza gli occhi al cielo, fa un sospiro, poi) Non dite “con gioia”.

POCHET - Io dico quel che penso.

SINDACO - Può darsi, ma nessuno vi chiede le vostre impressioni intime. Dite “sì o no”!

POCHET - Ma certamente!

SINDACO - Ma no, non “certamente”! È sì o no?

POCHET - Ma sì, perbacco! Se siamo venuti per questo!

SINDACO - (sul punto di perdere le staffe) Va bene! D’accordo! Ora do lettura… (Nello stesso momento compaiono sul fondo Adone e la bambina, accolti da un “ah!” generale che tronca la parola al sindaco)

AMELIA - (a Adone che, preceduto dalla bambina, passa fra la prima e la seconda fila di sedie) E allora! È fatta?…

ADONE - (tornando al suo posto) Sì! Oh! Una bella scocciatura!

SINDACO - (tentando di parlare) Ora vi do…

POCHET - Avesse soltanto dieci anni di più, la troverebbe affascinante.

SINDACO - Ora vi do lettura…

BIBICHON - (venendo un po’ avanti in scena, con tono ironico) Per me, basterebbero cinque!…

KOSCHNADIEFF - (ridendo) Oh! Oh! Oh! (Tutte queste battute fra Amelia, Adone, Pochet, Bibichon e Koschnadieff si devono scambiare senza preoccuparsi delle battute del sindaco che le inserirà come potrà)

SINDACO - (con un forte pugno sul tavolo) Avete finito?!…

BIBICHON - (tornando precipitosamente al suo posto) Oh!

POCHET - (alzandosi e girandosi verso l’uditorio) Andiamo, ragazzi!… Eh, ragazzi?… Siamo nella sin-dacheria!

SINDACO - (con tono brusco e autoritario) Sarebbe ora che lo ricordiate!

POCHET - (all’uditorio) Giusto, ricordatelo… rie… ricordatevelo!

SINDACO - Volete tacere?

POCHET - (scandendo ogni sillaba) Ri-cor-da-te-ve-lo! (Al sindaco) Ecco fatto!

SINDACO - Sì, va bene! Tacete!

POCHET - Sì.

MARCELLO - È stupefacente, Totò Béjard! Una naturalezza! Un’autorità!

SINDACO - Vi darò lettura degli articoli del codice concernenti i diritti e i doveri reciproci degli sposi.

POCHET - (alzandosi in parte e girandosi verso l’uditorio) Ascoltate bene, ragazzi!

SINDACO - (con meno voce) Silenzio!

POCHET - (che già faceva l’atto di sedersi, alzandosi) Silenzio!

SINDACO - (più forte a Pochet) Silenzio!

POCHET - (al sindaco) È quello che ho detto! (All’uditorio) Silenzio!

SINDACO - Voi!

POCHET - Ah? Io! (A se stesso, sedendo) Silenzio!

VAN PUTZEBOUM - Che raganella, il padre, però!

SINDACO - (leggendo gli articoli del codice) “Articolo 212: gli sposi si devono mutua assistenza, soccorso, fedeltà. Articolo 213: il marito deve protezione alla moglie, la moglie obbedienza al marito. Articolo 214: la moglie deve abitare nel domicilio del marito e seguirlo ovunque egli giudichi opportuno risiedere; il marito deve accoglierla nella propria casa e fornirle tutto il necessario secondo le proprie capacità e il proprio stato. Articolo 226…”

MOUILLETU - (nel momento in cui il sindaco dice “Articolo 213…” e mentre continua a leggere gli articoli del codice, presenta un vassoio d’argento alla bambina) Piccola damigella, se volete…

ADONE - Ah! Altra grana: la questua della mocciosa. (Adone e la piccina, che gli dà il braccio, seguono Mouilletu che li conduce dal generale; incomincia la questua, che continua in avanti fino a Van Putzeboum)

MOUILLETU - (ripetendo in sordina lo stesso ritornello ogni volta che presenta il vassoio a un nuovo personaggio) Per i poveri dell’arrondissement!… Per i poveri dell’arrondissement!… (Nel momento in cui il sindaco pronuncia “Articolo 226…”, la bambina, che ha finito di fare la questua nella prima fila e si appresta a passare alla seconda, inciampa col piede nella gamba della sedia di Van Putzeboum e cade a terra lunga distesa, mentre il vassoio e le monete si sparpagliano da ogni parte)

ADONE - Benone!

MOLTE VOCI INSIEME - Cosa c’è? Cosa succede?…

SINDACO - (tentando di dominare con la voce il tumulto) “Articolo 226: la moglie non può testimoniare senza l’autorizzazione del marito”. (Tutti contemporaneamente e mentre il sindaco legge)

ADONE - È la bambina che ha fatto una tombola.

AMELIA - (che è subito venuta avanti) E tu non la puoi tenere? (Alla bambina) Ti sei fatta la bua?

YVONNE - Ti sei fatta male?

BAMBINA - (che hanno aiutato a rialzarsi) No, no!

SINDACO - (picchiando numerose volte sul tavolo per cercare di ottenere silenzio) Insomma, signori!…

ADONE - (senza ascoltare il richiamo del sindaco) Naturalmente! Lei non guarda dove mette i piedi! (Alla bambina) Ma non puoi guardare dove metti i piedi? (Nel frattempo le monete vengono raccolte e rimesse nel vassoio)

SINDACO - (furioso) Oh! Ma cosa succede, insomma?

ADONE - (ritornando, assieme alla bambina, al suo posto) È la piccola che è caduta, col vassoio e tutti i soldi)

SINDACO - (severamente) Non è una buona ragione per disturbare la cerimonia!

ADONE - (alla piccina, facendola sedere con modi bruschi sulla panca) Ecco, vedi? Disturbi la cerimonia. (Attraverso il vano dell’arco si vede nell’atrio Irene che è venuta con discrezione ad assistere alla cerimonia)

SCENA QUINTA

Gli stessi, Irene

IRENE - (nell’atrio, rivolgendosi a un fotografo che nello stesso momento sta uscendo di scena) È qui la sala dei matrimoni?

FOTOGRAFO - Sì, signora, è qui.

SINDACO - (impone silenzio a Marcello e Amelia che, davanti al tavolo, gli spiegano quel che è accaduto) Insomma, siete pronti ora?

MARCELLO e AMELIA - (tornando in fretta ai loro posti) Sì, signor sindaco! Eccoci!

SINDACO - Signor Marcello Courbois!

MARCELLO - Sono pronto, signor sindaco!

AMELIA - (mentre torna al suo posto, scorgendo Irene sul fondo) Ah! La signora!

SINDACO - Acconsentite a prendere in moglie…

AMELIA - (a Marcello) Guarda un po’! C’è la signora!

SINDACO - …la signorina Clementina…

MARCELLO - (voltandosi verso il lato che lei gli indica) Chi?… Irene?…

SINDACO - …Amelia…

AMELIA - Sì.

SINDACO - …Pochet?

MARCELLO - (voltando le spalle al sindaco, ad alta voce, congiungendo le mani per la sorpresa nel vedere Irene) Ma no!

TUTTI - (mentre Marcello e Amelia salutano col capo Irene) Eh?

SINDACO - (equivocando sulla risposta di Marcello) Come no?

MARCELLO - (girandosi in seguito all’esclamazione del sindaco) Cosa? Ah! Ma certo, naturalmente…

SINDACO - Come “naturalmente”? Acconsentite sì o no?

MARCELLO - Ma sì! (Salutando con brevi gesti Irene, che risponde al saluto) Buongiorno… Buongiorno!…

SINDACO - Signorina Clementina Amelia Pochet!

AMELIA - (che non ha sentito che le veniva rivolta la parola, a Marcello) È stata gentile a venire. (Manda sorrisi e brevi saluti col capo a Irene)

SINDACO - (ripete, vedendo che Amelia non lo ascolta) Signorina Clementina!… Clementina! Amelia!… Signorina Pochet!

POCHET - (alla figlia, richiamandola alla situazione) Amelia!

AMELIA - Eccomi! Eccomi!

SINDACO - (a Mouilletu) Ma chi è tutta quella gente?

POCHET - Sta’ attenta a quello che fai!

AMELIA - Sì, sì. (A mezza voce, a Pochet) C’è la signora laggiù in fondo, la signora de Prémilly!

POCHET - La signora? No? C’è la signora?… Oh! Guarda, è vero! (Con molti inchini rivolti a Irene ma sottovoce) Ah! Signora!… Buongiorno, signora! (Pochet, Amelia e Marcello si occupano solo di Irene)

SINDACO - Insomma, signorina Pochet, tiriamo sera?

AMELIA - Eccomi! Eccomi, signor sindaco!… (Indicando con la testa Irene che è andata a sedersi a capo dell’ultima panca, dal lato del pubblico) C’è la signora e…

SINDACO - (troncandole la parola) Sì, va bene! (Cambiando tono) Signorina Clementina Amelia Pochet, acconsentite a prendere per marito il signor Marcello Courbois?

AMELIA - Ma è naturale!

SINDACO - Che razza di risposta!

AMELIA - Scusate!… Sì, signor sindaco! Sì.

SINDACO - In nome della legge… dichiaro il signor Giuseppe Marcello Courbois e la signorina Clementina Amelia Pochet uniti in matrimonio.

KOSCHNADIEFF - (a piena voce) Bravi!

TUTTA LA BRIGATA - (trascinata dal generale) Bravi!

SINDACO - (picchiando sul tavolo e con energia) Signori! Signori! Qui non siamo a teatro!

STEFANO - (alzandosi, a parte, con gioia mal contenuta) Oh, è fatta!

MARCELLO - Cosa dici?

STEFANO - (affettando indifferenza) Eh? Niente; ho detto: “È fatta”.

MARCELLO - Ah! Sì, è fatta! (Ad Amelia) È fatta! (A Irene, da lontano, a voce bassa ma decisa, agitando in aria il cappello come un tamburello basco) È fatta! (Sorridendo, Irene fa segno di sì)

MOUILLETU - Se gli sposi vogliono venire a firmare l’atto!… I signori parenti?… I signori testimoni? (Tutta la prima fila si alza e va a firmare al tavolo di Cornette, tranne Pochet e Amelia che vanno al tavolo di Mouilletu. Adone va a sedersi al posto di Van Putzeboum e la bambina si arrampica sulle ginocchia di Palmira, seduta sulla prima sedia della seconda fila)

SINDACO - (indicando il punto sul registro dove Amelia deve firmare) Ecco, (con intenzione) signorina! Se volete firmare qui… (Dopo che Amelia ha firmato) Grazie… signora! (Mentre Amelia va verso il fondo per firmare sull’altro registro e incrocia Marcello che ha appena firmato sul registro di fondo, Pochet firma sul registro di Mouilletu e, cedendo la penna a Marcello, va a sua volta verso il fondo. Il sindaco si china su Marcello mentre questi firma) I vostri amici, signor marito, non sono del tutto a posto col cervello.

MARCELLO - (firmando) Perdonateli! Non sono capaci di rimanere seri, come fate voi.

SINDACO - Come?

MARCELLO - (indietreggiando verso la propria poltrona) Siete stato meraviglioso, signor Totò! Meraviglioso! (Nello stesso momento, Van Putzeboum, terminato di firmare sul registro di fondo, passa fra Marcello e il tavolo del sindaco per andare al tavolo di Mouilletu)

SINDACO - Cosa? Cosa? Totò?

MARCELLO - (con un dito sulla bocca) Ssst! (Indicando Van Putzeboum che sta firmando, a bassa voce) Il padrino! È quello il padrino! Ssst!

SINDACO - (a voce alta) Non capisco quel che dite.

MARCELLO - (sulle spine) Sì, sì, va bene!

SINDACO - (insistendo) Cosa, “il padrino, il padrino”?

VAN PUTZEBOUM - (la cui attenzione è stata attirata dall’apostrofe) Come?

MARCELLO - (afferrando per il braccio Van Putzeboum con la mano sinistra e facendolo passare alla sua destra) Ma niente! Niente di niente!

SINDACO - (a parte) Ma questi sposi vengono di sicuro dal manicomio!

MARCELLO - (a Stefano, che torna dopo avere firmato) Che canaglia il tuo Totò Béjard! Si diverte a farmi rigar dritto!

STEFANO - (senza scomporsi) Te l’ho detto: gli piace scherzare a freddo.

MOUILLETU - (dopo le firme, agli sposi) Gli sposi vengano avanti; il signor sindaco vuole felicitarsi con loro. (Tutti riprendono i propri posti. Adone e la bambina si precipitano al loro posto; Marcello e Amelia, i soli in piedi, si avvicinano al tavolo del sindaco)

SINDACO - Signore e signora Courbois!…

MARCELLO - (chinandosi verso il sindaco e vivacemente, a mezza voce) Niente scherzi, eh?

SINDACO - (sbalordito e a voce alta) Eh?

MARCELLO - No, no, niente! Ci siamo capiti…

SINDACO - (lo guarda un istante, alza gli occhi al cielo sospirando, poi riprende) Signore e signora Courbois! Benché forse non abbia trovato in voi… (sottolineando le parole) e nei vostri amici…

MORMORIO NELL’UDITORIO - Eh?

SINDACO - (sottolineando ancora di più) …quella serietà che avevo il diritto di attendermi in una cerimonia come questa…

MORMORIO NELL’UDITORIO - Oh!

SINDACO - …ciò non m’impedisce di conformarmi alle usanze. E risparmiandovi un lungo discorso, vorrei solo pregarvi, signore e signora Courbois…

KOSCHNADIEFF - Bravo!

SINDACO - (guarda severamente il generale, poi) …di gradire i voti sinceri che il sindaco formula per la vostra felicità.

TUTTI - Bravo!

AMELIA - Vi ringrazio molto, signor sindaco.

MARCELLO - E io pure! Vogliate credere… (Chinandosi e a mezza voce) Sì, poco fa vi ho detto: “È il padrino!” perché è a lui che facciamo lo scherzo.

SINDACO - (assentendo senza capire) Sì, sì! (Dopo una pausa) Quale scherzo?

MARCELLO - (gli dà col cappello un colpetto sullo stomaco) Su, mattacchione!

SINDACO - (scandalizzato) Eh?

MARCELLO - Comunque, avete recitato benissimo! Un attore meraviglioso! (Torna al suo posto ridendo)

SINDACO - Cosa?

AMELIA - (quasi salendo sulla pedana) Come per la natta!… Ah! Che idea divertente! (A queste ultime parole, contraendo le dita con gesto rapido, finge di afferrare la natta del sindaco e torna subito al suo posto)

SINDACO - (furioso) Ehi, dico, signora! (A parte, esasperato) Oh! Ma questi sposi mi stanno proprio seccando! (Di malumore, all’uditorio) Signori, buonasera! (Seguito da Cornette, torna nel suo studio, mentre l’uditorio, deluso per il mancato divertimento, rumoreggia un po’)

MOUILLETU - (abbandona il proprio posto e si avvicina un poco agli sposi) Signori, la cerimonia è terminata; potete mettervi lì per ricevere i saluti degli invitati. (Tutti si alzano; l’orchestra attacca la marcia nuziale di Mendelssohn)

MARCELLO - Vieni, Amelia! Attenta allo strascico!

AMELIA - Dillo a papà. (A Pochet) Papà, non pestarmi il vestito.

POCHET - Niente paura! Prendo le mie distanze. (Marcello si mette al 2, davanti alla prima sedia della seconda fila. Amelia all’1, alla sua destra. Comincia la sfilata davanti agli sposi: per primo Pochet, poi Virginia, dopo aver baciato gli sposi, vanno a mettersi dopo di loro per ricevere a loro volta le felicitazioni; passano quindi Adone e la bambina)

AMELIA - (dopo aver baciato la bambina, a Adone) Abbi cura della bambina. Se ha bisogno di qualcosa…

ADONE - Ah! No, grazie. L’ho appena fatto. (Continua la sfilata; passano Van Putzeboum, Stefano, il generale e Bibichon. Nel frattempo, gli invitati delle altre file sono andati verso il fondo per venire nuovamente avanti sulla destra e passare davanti agli sposi e ai parenti. Dopo di che tornano verso il fondo all’estrema sinistra ed escono nell’atrio passando attraverso l’arco. Mouilletu, a destra, assicura il servizio d’ordine. Ognuno, passando, fa un complimento al marito e alla moglie; alcuni stringono loro la mano, altri li baciano. Si sentono frasi come “Ah! Tutti i miei auguri, mio caro!… Beh, senti, non ti annoi di certo!… Cara, sei stata stupenda!… Falla felice!… Che vestito, cara, un sogno!” e, continuamente il ritornello di Pochet agli invitati: “Verrete al linc, eh? Da Gilet; venite al linc?”[26] La sfilata non deve avvenire troppo in fretta, si ha tutto il tempo. Il dialogo è affidato alla fantasia degli interpreti. A poco a poco, tutti gli invitati raggiungono l’atrio, tranne Stefano che, dopo essere tornato come tutti verso il fondo a sinistra, fa il giro dal fondo e torna a mettersi contro il sipario a destra)

SCENA SESTA

Pochet (all’1), Amelia (al 3), Irene (al 4), Stefano (al 5), Mouilletu (che è sul fondo a mettere in ordine i registri), poi Van Putzeboum

IRENE - (che arriva per ultima seguendo la sfilata) Buongiorno, Marcello!

MARCELLO - Ah! Eccoti qua!

IRENE - Sì, ho voluto vedere.

AMELIA - Buongiorno, signora! La signora sta bene? (A suo padre) Papà, la signora!

POCHET - (passa voltando le spalle al pubblico e facendo molte riverenze a Irene; arriva al 3) La signora, sì… sì… Ho visto poco fa… E la signora viene al linc, sì?

IRENE - Grazie, Pochet! No, veramente!

POCHET - Oh, signora, è da Gilet! La signora non vorrà rifiutare! Solo per un dito di madera e un boccone.

IRENE - Grazie, Pochet! No, veramente!

POCHET - (passandole davanti con molte riverenze, spalle al pubblico, e arrivando al 4) Oh! Sono contristato! Sono contristato!

IRENE - Mi dispiace, mio povero Pochet.

MARCELLO - (passando il braccio attorno a quello di Amelia) Hai visto, eh? Quando ci hanno uniti?

IRENE - Sì, sono venuta per questo; mi è sembrato buffissimo!

MARCELLO - Sì, effettivamente, è stato divertente.

IRENE - Beh, è andata! E il padrino l’ha bevuta?

MARCELLO - Eccome!

POCHET - È caduto in pieno nella panna!

IRENE - Allora, finiti i guai, finite le seccature?

MARCELLO - (con calore) Finiti i guai, finite le seccature! (Riso sardonico di Stefano in un angolo. Marcello ride anche lui) Ah! E cos’ha poi da ridere, quello là?

IRENE - Ora sei ricco.

MARCELLO - Oh! Rirì! (Vuole baciarla)

IRENE - (indietreggiando) Oh!

MARCELLO - Beh, cosa c’è? È il matrimonio, no?

IRENE - Ma sì, hai ragione! (Si lascia baciare da Marcello)

AMELIA - (vedendo Van Putzeboum che arriva dall’arco, a Marcello) Attenzione! Il padrino!

MARCELLO - Oh! (Si sciolgono)

IRENE - (sottovoce a Marcello, lasciandolo) Ti aspetto nell’atrio. (Torna verso il fondo a destra, attraversa, ed esce dall’arco)

VAN PUTZEBOUM - (è venuto accanto al gruppo e segue con gli occhi Irene che se ne va. Quando è uscita, volgendo le spalle al pubblico, si dirige verso Marcello) Che succede ancora, adesso?

MARCELLO - Niente! Niente! Una parente di provincia!

POCHET - Una sorella di latte.

VAN PUTZEBOUM - Ah, sì? Ti felicito! Si fanno mica male, in provincia.

MARCELLO - Vero?

VAN PUTZEBOUM - Ma non è finita, racasso, ora che la gente è partita, io ti faccio davvero anche i miei complimenti.

MARCELLO e AMELIA - Oh, padrino… grazie!

POCHET - Venite al linc naturalmente.

VAN PUTZEBOUM - (avvicinandosi a Pochet) Come puoi pensare che no! Anche gli sposi vanno! Voi venite, eh?

MARCELLO - Oh! No, no, gli sposi non si fanno vedere al lunch! Vanno a casa… Voi comprendete, vero?

VAN PUTZEBOUM - (malizioso) Sì, sì, comprendo. Dai! Dai! Ma prima, tu lo permetti, un baso, eh?

MARCELLO - (lo fa passare al 2, spingendolo verso Amelia) Oh!… Basate, padrino! Basate!

POCHET - Niente da fare! Ha un’incontinenza, quello lì!

MOUILLETU - (arriva dal fondo a destra e viene avanti al 4; a Marcello) Il vostro certificato di matrimonio.

MARCELLO - (sconcertato) Il mio ce… (Agitando il foglio all’altezza del viso e in direzione di Stefano, in guisa di comica minaccia) Ah! Quel diavolo di Ste… (A Mouilletu) Grazie, amico mio! (Gli mette in mano una moneta)

MOUILLETU - Grazie, signore! Tanti auguri! (Torna verso il fondo)

MARCELLO - Il certificato di matrimonio! (Verso di Stefano) Quel diavolo di Stefano ha pensato a tutto!

STEFANO - (con un tono che la dice lunga) A tutto!

VAN PUTZEBOUM - (che si è avvicinato a Marcello, con curiosità) A tutto cosa?

MARCELLO - (colto in fallo) Eh? A tutto… a tutto… niente. (Lo fa passare al 3, alla sua sinistra. Nello stesso momento, il generale, arrivando dal fondo, viene avanti all’1 tenendo aperto il cappotto di Amelia, pronto a metterglielo sulle spalle)

KOSCHNADIEFF - Signora, se posso…

AMELIA - Ah! È giusto! (A mezza voce a Marcello, indossando il mantello che il generale le porge) Bene, io me la batto col generale; Sua Altezza mi aspetta.

MARCELLO - Ah! Sì.

AMELIA - (con una riverenza) Mio marito permette?

MARCELLO - Come no?

AMELIA - Siamo degli sposi poco comuni! (Al generale) Siete pronto, generale?

KOSCHNADIEFF - Sono ai vostri ordini. (Tornano verso il fondo a sinistra)

VAN PUTZEBOUM - (vedendoli partire si muove per raggiungerli, attraversando la scena sul davanti) Eh? Cosa? Ve ne andate?

AMELIA - (mentre se ne va) Sì, sì!

MARCELLO - (che è tornato verso il fondo seguendo Amelia) Sì, va avanti! Avanti! Io la raggiungo dopo.

VAN PUTZEBOUM - (che è così giunto sul fondo) Ah! Bene! Allora vado a prendere il paltò! Ora che hai osservato il patto, vado in albergo e ti porto l’assegno.

MARCELLO - (spingendolo fuori macchinalmente) D’accordo, d’accordo!

POCHET - (che durante le battute precedenti è tornato sul fondo dalla destra e da qui si è spostato a sinistra) Ah! Bene! Se tutti se ne vanno, me ne vado anch’io.

MARCELLO - (stesso gioco) D’accordo! D’accordo! (Van Putzeboum esce)

POCHET - Da Gilet, eh? Ci troviamo da Gilet.

MARCELLO - D’accordo, da Gilet! Io non ci vengo! Ma buon appetito!

POCHET - Grazie. (Esce)

SCENA SETTIMA

Marcello, Stefano, poi il Sindaco, poi Irene, poi Van Putzeboum, Bibichon, Mouilletu e una parte degli invitati

Mentre Stefano si è spostato leggermente a sinistra, sul davanti della scena, pressappoco all’estremità della panca dei paggetti, Marcello viene un poco avanti e si ferma all’altezza dell’ultima panca, piegando leggermente le ginocchia e appoggiandosi le mani sulle cosce; guarda Stefano con malizia.

MARCELLO - Ehe!

STEFANO - (replicando a sua volta) Ehe!

MARCELLO - (come sopra) Fatta!

STEFANO - (stesso gioco) Fatta!

MARCELLO e STEFANO - (ridendo entrambi come due complici) Eh! Eh! Eh! Eh! Eh!

MARCELLO - (si toglie il cappello che si era tenuto in testa e lo posa sull’ultima panca; si lancia raggiante verso Stefano) Ah! Grazie, mio buon Stefano! Grazie!

STEFANO - Sei contento, eh?

MARCELLO - Se lo sono! Ah!… Ma hai visto, eh? Hai visto com’è andata bene?

STEFANO - (freddamente ironico) Eh, sì!

MARCELLO - Come l’ha bevuta, il padrino! Ah! Che bello scherzo! Che bello scherzo! (Accompagna ogni “che bello scherzo!” con un forte colpo sulla schiena di Stefano, all’altezza delle spalle)

STEFANO - (a sua volta, come Marcello) Ah! Sì, un bello scherzo! Un bello scherzo!… E anche più bello di quel che tu immagini!

MARCELLO - (stesso gioco di prima) Oh! No! (Colpo) Oh! No!

STEFANO - (stesso gioco di Marcello) Oh! Sì! Oh! Sì!

STEFANO e MARCELLO - (di fronte, ridendosi reciprocamente in faccia) Eh! Eh! Eh! Eh! Eh!

MARCELLO - Trovare uno scherzo più bello di questo non si poteva! Far credere al padrino che il matrimonio è vero!

STEFANO - Sì, sì!… Se ne poteva trovare uno più bello!

MARCELLO - (come sopra) Oh! No! Oh! No!

STEFANO - (come sopra) Oh! Sì! Oh! Sì!

STEFANO e MARCELLO - (ridendo) Eh! Eh! Eh! Eh! Eh!

STEFANO - Quello di far credere a te che il matrimonio è falso.

MARCELLO - (non comprende e ride ancora) Sì!… Eh? Cosa?

STEFANO - Credevi che fosse uno scherzo? E invece è vero, vecchio mio! È vero!

MARCELLO - (diventando ansioso) Eh?

STEFANO - Mi hai portato via l’amante, eh? Sei andato a letto con lei, eh?

MARCELLO - Come? Lo sai?

STEFANO - Lo so!

MARCELLO - (non potendo reprimere un gesto di nervosismo) Acc…!

STEFANO - Bene, vecchio mio, vacci ancora a letto, se vuoi! Non devi più preoccuparti; ora è tua moglie; l’hai sposata!

MARCELLO - (tentando di prenderlo per il collo) Cosa dici?

STEFANO - (che ha evitato il colpo abbassandosi bruscamente e passando sotto le braccia tese di Marcello) Buonasera! Molto piacere… (Giunto quasi all’arco) Occupati di Amelia!

MARCELLO - (come impazzito, si precipita per seguirlo) Stefano! Stefano!

STEFANO - (nel vano dell’arco, con voce lontana) Occupati di Amelia! (Scompare)

MARCELLO - (barcollando come un ubriaco) Stefano! Stefano! Aspetta! (Vedendo il sindaco che, cappello in testa, esce dal proprio ufficio e si sta mettendo i guanti) Ah! Totò Béjard! (Si precipita da lui) Venite qui, voi! Venite, presto! (Lo prende per il bavero)

SINDACO - (spaventato) Eh?

MARCELLO - (scuotendolo) Cosa c’è di vero in questa faccenda?

SINDACO - (liberandosi) Cosa? Che vi prende ancora?

MARCELLO - Il mio matrimonio! È vero? È vero che ho sposato Amelia?

SINDACO - Come, se è vero? Ma certo che è vero!

MARCELLO - Cosa dite?

SINDACO - Ma allora, cosa credete di aver fatto?

MARCELLO - Io! Io ho sposato… Ma non voglio! Io voglio divorziare!

SINDACO - (passandogli davanti come per andarsene) Non è affar mio.

MARCELLO - (al 2, afferrandolo per la finanziera e attirandolo a sé) Allora voi non siete Totò Béjard?

SINDACO - Io!… (Chiaramente) Io sono il sindaco dell’arrondissement!…

MARCELLO - (sentendosi male) Il sindaco dell’arr… ah! Ah! (Si lascia cadere in avanti; il sindaco ha appena il tempo di prenderlo fra le braccia)

SINDACO - Eh? Via! Su! Su!

IRENE - (arrivando dal fondo a destra) E allora, caro amico… È così che?…

MARCELLO - (sconvolto) Irene! Ho sposato Amelia!

IRENE - (all’1, con un sussulto) Cosa dite?

SINDACO - (a Marcello sempre abbandonato sul suo petto) Coraggio, signore!…

MARCELLO - Stefano ha abusato della mia fiducia. Mi sono sposato con Amelia d’Avranches!

IRENE - Vi siete?… Ah! Ah! (Si accascia nelle braccia del sindaco)

SINDACO - (con un personaggio in ciascun braccio) Ah! Dio mio! Anche lei! (Chiamando) Aiuto! Gente! Mouilletu! Cornette! Aiuto! (Ai richiami del sindaco e al grido dei due amanti nell’atto di perdere i sensi, da ogni parte accorre gente)

TUTTI - (arrivando) Cosa c’è? Cosa c’è?

MARCELLO - (allo stremo) Ho sposato Amelia!

TUTTI - Eh?

MARCELLO - (idem) Ho sposato Amelia d’Avranches.

BIBICHON - (all’1) Cosa dici?

VAN PUTZEBOUM - (che è accorso dal fondo ed è venuto avanti a destra) Ma cosa è questo, racasso?

MARCELLO - (passando un braccio attorno al collo di Van Putzeboum, con voce disperata) Ah! Padrino mio!… Ho sposato Amelia d’Avranches!

VAN PUTZEBOUM - Ebbene, allora? Questo io lo so bene, Gottferdom!

BIBICHON - Porco cane! E io che ho firmato Bibichon! (Mentre il sipario cala, Marcello ripete lamentosamente: “Ho sposato Amelia d’Avranches!”)

SECONDO QUADRO

All’alzarsi del sipario il principe, in mutande, cammina con impazienza avanti e indietro sulla scena. Gli abiti sono stesi sul divano accanto alla finestra. Il letto, senza essere disfatto, attesta per un certo disordine che qualcuno vi si è coricato.

SCENA PRIMA

Il Principe, poi Amelia e Koschnadieff

PRINCIPE - (dopo essere andato avanti e indietro una o due volte, con visibile impazienza, arrestandosi improvvisamente) Ma perdio! Cosa sta combinando quella? Cosa sta combinando? È incredibile il tempo che ci vuole per sposarsi. (Suonano) Ah! Suonano!… Forse!… Sì, è lei! (Va incontro ad Amelia e si ferma stupito vedendo comparire il generale tutto solo) Beh? E allora?

KOSCHNADIEFF - (all’1, col cappello in mano, salutando militarmente con la mano libera, alla maniera dava) Ecco la sposa, Monsignore!

PRINCIPE - Finalmente!

KOSCHNADIEFF - (va fino alla porta di sinistra e parla in quinta) Signorina d’Avranches, se volete… (Si tira da parte per lasciarla passare)

AMELIA - (entrando di colpo) Monsignore, vi chiedo scusa se… (Gridolino soffocato di sorpresa) Ah!

PRINCIPE - Eh?

AMELIA - Oh! Niente… È l’abbigliamento di Monsignore… Non mi aspettavo di vederlo vestito così!…

PRINCIPE - (dando un’occhiata al proprio abbigliamento) Ah!… Mi son messo così per guadagnare tempo. (Credendo di sciorinare una galanteria) Quando ci si annoia, bisogna pur fare qualcosa!

AMELIA - (sconcertata) Ah?

PRINCIPE - Lasciateci, Koschnadieff!

KOSCHNADIEFF. Sì, Monsignore! (Saluta militarmente ed esce)

AMELIA - (pudicamente) Oh! Monsignore, a casa mia… non contateci! Vostra Altezza avrebbe dovuto venire a prendermi… non credevo avesse l’intenzione di… qui…

PRINCIPE - (brusco ma fanciullone) Beh, e allora? Non si sta forse bene a casa vostra? I vostri amici sono occupati altrove.

AMELIA - Non dico di no! Ma le convenienze!

PRINCIPE - (con disinvoltura) Eh! Non siamo qui per osservare le convenienze! (Con lirismo) Pensate: mi fate languire da un’eternità! (Senza transizione, molto terra-terra) Toglietevi il vestito!

AMELIA - (sconcertata) Eh?… Ah… Di già!

PRINCIPE - (golosamente) Il giorno delle nozze si è sempre impazienti!… (Tende le mani come per afferrarla)

AMELIA - (sfugge con un leggero scarto della persona) Oh! Monsignore! (Per cambiare argomento) Vado a togliermi il velo. (Va verso il caminetto e, durante le battute che seguono, si toglie il velo davanti allo specchio)

PRINCIPE - (che ha seguito Amelia e le parla quasi nel collo, con eccitazione) Se sapeste!… Se sapeste con quale impazienza ho contato i minuti! Ho cercato di dormire un po’, aspettandovi; mi sono disteso sul vostro letto…

AMELIA - (con un leggero sussulto, per la meraviglia) Eh?… Con gli stivaletti?

PRINCIPE - (sorpreso da questa interruzione, si guarda i piedi calzati, poi con l’aria più naturale di questo mondo) Sì, con gli stivaletti! Ma non ho potuto… L’amore mi ha tenuto sveglio!

AMELIA - (un po’ ironica) Ah! Molto gentile! (Cambiando tono) Oh! Come sono spettinata!

PRINCIPE - (lirico e appassionato) Siete adorabile! Vorrei vedervi coi capelli che vi cadono sulle spalle!

AMELIA - Eh?

PRINCIPE - (con foga selvaggia) Come una criniera! Mi piace tanto! Camminare a piedi nudi tra i capelli sciolti della donna amata!

AMELIA - (descrivendo un semicerchio attorno al principe e facendo un inchino leggermente ironico) Che raffinatezza!… Ma a Parigi non è ancora di moda! (Avanza fino ai piedi del letto)

PRINCIPE - (vedendo che lei tenta di slacciarsi il vestito, si precipita) Oh! Permettete che vi aiuti?

AMELIA - Volentieri, Monsignore, perché da sola, veramente!…

PRINCIPE - (slacciando il vestito ad Amelia, che sta in piedi di fronte al letto) Sì!… Oh! Com’è suggestivo!… È come se fosse la mia prima notte di nozze.

AMELIA - (prendendolo in giro) Per procura.

PRINCIPE - (molto aristocratico) Il diritto del signore. (Riprendendo a slacciare) Fa molto Luigi XV. (Si punge) Oh! (Si porta vivacemente alle labbra il dito ferito)

AMELIA - (con comica serietà, come se dovesse insegnargli qualcosa) È una spilla.

PRINCIPE - (inchinandosi) Sono contento di saperlo… (Sempre slacciando) E come è andata? Bene?…

AMELIA - Cosa?

PRINCIPE - Il matrimonio… con l’affittacamere.

AMELIA - (sorridente) Vi ho già detto, Monsignore, che non è un affittacamere!

PRINCIPE - (stesso gioco) Eh! Sì, lo so! Ma insomma! Quando l’ho conosciuto credevo che lo fosse! E così ce l’ho in bocca!

AMELIA - (ironicamente) Ah! Beh, se ce l’avete in bocca!

PRINCIPE - E allora, ditemi! È riuscito bene?

AMELIA - Cosa?

PRINCIPE - Il tiro. (Pronunzia “tirro”)

AMELIA - (imitandolo) Il tirro?

PRINCIPE - Sì!… Il padrino è caduto nella… tagliuola… come dite voi!…

AMELIA - (liberata completamente dai lacci e dai ganci, tende le braccia al principe perché l’aiuti a sfilare le maniche) Come un sol uomo!

PRINCIPE - (rovesciando, mentre parla, le maniche del vestito) Bravi! Trovo la cosa molto divertente! Un affittacamere, che non ha la lista civile e quindi non ha appannaggi, e sa inventare un trucco come questo! Adoro le burle; per cui sono felice di avere ordinato al generale di servizio…

AMELIA - (lasciando cadere il vestito a, terra) Oh! Siete stato molto caro; ne siamo lusingati.

PRINCIPE - Sì? (Vedendo il vestito a terra, che forma un cerchio attorno ai piedi di Amelia, con voce burbera) Venite fuori di lì! (Amelia scavalca il vestito e passa a sinistra. Il principe raccoglie il vestito e lo depone su un angolo del divano) E lui com’è andato? Bene?

AMELIA - Chi?

PRINCIPE - Il generale.

AMELIA - Ah!… Oh! Benissimo!

PRINCIPE - (aggiustando il vestito sul divano) Non mi meraviglio! È molto decorativo! Chissà che figura farebbe in una guerra… ma in un corteo!… (Si volta e vede Amelia svestita, che gli volge in parte la schiena e tiene le mani pudicamente incrociate sul petto; estasiato) Ah! Santa Icona! Madonna mia! (Con le mani dietro la schiena, avanza a passi di lupo fino ad Amelia e chinandosi su di lei la bacia sul collo) Ah!

AMELIA - (sobbalzando) Oh! Monsignore! Mi solleticate!

PRINCIPE - (ha come un fremito lubrico, poi) Anche voi!

AMELIA - (stupita, mostrando le mani per attestare che non l’ha toccato) Io, Monsignore?…

PRINCIPE - (eccitatissimo, coi gomiti aderenti al corpo e battendo l’aria con le mani alla maniera slava) Ah! Taci! Taci!…

AMELIA - (canzonandolo) Oh! Ma come? Monsignore mi da del tu?

PRINCIPE - (abbracciandola) Oh! Piccina mia! Allora, che mi dici? (La bacia sul lato sinistro del collo)

AMELIA - (mentre lui la bacia) Ah! Ah!… Il vostro vezzo! (Campanello) Suonano.

PRINCIPE - (al suono del campanello, rialzando vivacemente la testa, senza abbandonare Amelia) Eh?

AMELIA - (tendendo l’orecchio) Hanno suonato.

PRINCIPE - (allo stesso modo) Ma chi?…

AMELIA - Non so! Oh! Ma c’è la ragazza di cucina, che è rimasta a sorvegliare la casa! Li manderà via!

PRINCIPE - Ah! Bene!… (Ripiombando nel collo di Amelia) Oh! Picci…!

VOCE DI MARCELLO - Amelia! Amelia!

PRINCIPE e AMELIA - (nel momento in cui si apre la porta, all’unisono) Non si entra! (Si staccano)

SCENA SECONDA

Gli stessi, Marcello

MARCELLO - (sempre in abito da cerimonia, senza cappotto e col cappello in testa, all’1, entrando come un fulmine) Amelia! Amelia!

AMELIA - (al 2) Eh? Tu!

PRINCIPE - (riconoscendolo) Ah! L’affittacamere!

MARCELLO - Cosa?

PRINCIPE - (al 3) E allora, siete contento?

MARCELLO - Contento! Mi chiede se sono contento… (Ad Amelia) Amelia! Amelia! Che tegola!… Una tegola dal quarto piano!

AMELIA - Una tegola dal quarto piano?

MARCELLO - Ci è cascata sulla testa.

PRINCIPE - Una tegola dal quarto piano; non è cosa di tutti i giorni.

MARCELLO - Ah! Tu non sai!…

AMELIA - Ma cosa? Cosa?

MARCELLO - Siamo sposati! Legalmente sposati!

PRINCIPE - Eh?

AMELIA - Cosa dici?

MARCELLO - Totò Béjard non era Totò Béjard! Era il sindaco!

AMELIA - Questa poi! Tu vuoi scherzare! E cosa significa?

MARCELLO - Significa che Stefano era stato avvertito della sciocchezza che abbiamo fatto!… Ha saputo che noi due…

AMELIA - No!

MARCELLO - Sì!

AMELIA - Ah! Porco cane!

MARCELLO - E allora si è vendicato, il mascalzone! Il mio migliore amico! Ci ha sposati! Per davvero!

AMELIA - (che non può credere alle sue orecchie) Tutti… tutti e due?

MARCELLO - Sì, tutti e due! La cerimonia era vera! Il sindaco era vero! Tutto era vero! Io sono tuo marito e tu sei mia moglie!

AMELIA - (col groppo in gola, come se avesse appreso una disgrazia) Possibile? Ma allora!… Allora sono la signora Courbois?

MARCELLO - Certo!

AMELIA - (cambiando bruscamente dì tono) Ah! Mio caro! Mio caro! Che bellezza! (Salta al collo di Marcello e lo bacia)

MARCELLO - (inebetito) Cosa dici?

PRINCIPE - (molto gentleman) Ah! Signore, tutti i miei complimenti e i miei auguri di felicità!

MARCELLO - Eh?

AMELIA - (che è al 2, un po’ arretrata rispetto a Marcello, presenta quest’ultimo al principe) Mio marito. (Guardando teneramente Marcello e ripetendo a se stessa la parola che la manda in sollucchero) Mio marito! (Presentando il principe) Sua Altezza, il principe reale di Palestrìa.

MARCELLO - (gli occhi fuori dalle orbite) Cosa?

PRINCIPE - (Fa tre passi per avvicinarsi a lui, gli stringe cordialmente la mano) Molto piacere, signore! (Torna, un poco verso il fondo)

MARCELLO - (lo guarda mentre torna verso il fondo, letteralmente rincretinito, poi con tono affermativo, al pubblico) Io impazzisco.

AMELIA - (andando verso Marcello) Oh! Vedrai! Vedrai che donnina fedele, ordinata, che donnina di casa tu avrai!

PRINCIPE - (che sta al 2, arretrato rispetto a Marcello, le dà un colpetto sopra il gomito) Di casa!

MARCELLO - Come “che donnina…”?

AMELIA - (subito pudica) Ah! Ma guarda! Son qui mezza nuda… Oh! Veramente!… (Risale fino al corridoio del letto, a prendere una vestaglia per rivestirsi)

PRINCIPE - (a Marcello, dirigendosi verso Amelia) Veramente! Oh! Vogliate scusarla, signor Amelia!

MARCELLO - Come mi chiama?

PRINCIPE - (ad Amelia) Permettete che vi aiuti a indossare il vostro kimono?

AMELIA - (mettendosi la vestaglia, aiutata dal principe) Volentieri, Monsignore… Grazie! (Viene avanti fino al 2) Adesso, Monsignore, dovete andarvene.

PRINCIPE - (sbalordito) Cosa?

AMELIA - Sono desolata, ma la mia nuova situazione!…

PRINCIPE - (non credendo alle proprie orecchie) Eh? Ma come!… Sono venuto qui apposta per… (Con un cenno del capo indica il letto)

AMELIA - (facendo un passo indietro in direzione del marito e per richiamare il principe alle convenienze) Monsignore!

PRINCIPE - Ah! Ma è molto seccante! Cosa c’entro io, se!… Eravamo d’accordo che!…

AMELIA - (nuovamente indietreggiando, con molta dignità) Ve ne prego! (Posando la mano sulla spalla di Marcello) Mio marito!

MARCELLO - (a bocca aperta) Ah!

PRINCIPE - (rimane un istante sconcertato, poi allargando le braccia mentre si inchina) È giusto!… Vi faccio le mie scuse!… È evidente che!… Credetemi, signore, se sono qui non è per… per… Sì!… (A freddo, passa fra Amelia e Marcello, risale fino al mobile che è sul fondo a sinistra, su cui stanno la sua bombetta e i suoi guanti, li prende unitamente al bastone da passeggio, si mette la bombetta sotto un braccio e il bastone sotto l’altro braccio, infila rapidamente i guanti; poi, prendendo la bombetta in mano, si avvicina ad Amelia, davanti alla quale si inchina) Signora, vi presento i miei rispetti!

AMELIA - (facendo l’inchino) Monsignore! (Il principe, dimenticando di essere in mutande, si mette il cappello in testa e, col bastone in mano, si dirige verso la porta)

MARCELLO - (che è rimasto come ipnotizzato dalla scena alla quale ha assistito, sbarra bruscamente la strada al principe) Ma no! Ma no! (Passa al 2, mentre il principe si ferma) Volete prendermi in giro? Pensate forse che le cose rimangano come sono? E che io accetti questo matrimonio!

AMELIA - Ma come? Dal momento che è fatto!

MARCELLO - Cosa me ne importa? Lo mandiamo a monte! Voglio il divorzio! (Il principe è andato a posare bastone e guanti ma non il cappello, che tiene in testa fino alla fine)

AMELIA - (al 3) Il… il divorzio?

MARCELLO - Assolutamente!

AMELIA - (molto lentamente, molto freddamente, ma decisa) Oh no!… Oh! no-no-no-no-no!… Io sono contraria al divorzio!… E anche il papà!

MARCELLO - Per quello che me ne importa! Sono stato raggirato, il matrimonio è nullo!

AMELIA - Chi l’ha detto?

MARCELLO - La legge è precisa! Il matrimonio non è valido se non si è consenzienti.

AMELIA - (con logica implacabile) Beh?… Tu sei consenziente, dal momento che hai risposto di sì.

MARCELLO - Perché si è abusato della mia credulità!

AMELIA - Può darsi! Comunque hai risposto di sì e non c’è niente da fare, non c’è niente da fare!

MARCELLO - (fuori di sé) Questo è troppo!

PRINCIPE - (battendo leggermente sulla spalla di Marcello, che gli volta la schiena, occupato com’è nella discussione con Amelia) Sentite, mio povero affittacamere! Io credo che…

MARCELLO - (si gira verso il principe) E anche voi, principe, eh? Non rompetemi le scatole! (Si sposta di poco verso il fondo)

PRINCIPE - (con un sussulto di dignità ferita) Cosa? Io sono il principe di Palestrìa!

MARCELLO - Ah, sì? Bene! Ma guarda caso qui non siamo in Palestrìa! (Venendo avanti) No! No! Ma mi vedete, voi, marito di Amelia d’Avranches?

AMELIA - (caricandosi) Ehi! Senti un po’, non sarà perché sei mio marito che…

MARCELLO - (senza ascoltarla) Una donna conosciuta da tutta Parigi per i suoi amanti!

AMELIA - Ah! Ma!…

MARCELLO - Una donna che nel giorno stesso delle nozze ho scoperto in intimità col principe di Palestrìa!

PRINCIPE - Ma… senza secondi fini!

MARCELLO - (sapendo in che conto tenere l’affermazione) Sì-sì! Sì-sì! Ed è a una donna come questa che dovrei dare il mio nome!

AMELIA - (spalle al pubblico, viene a mettersi in faccia a Marcello) Ah! Adesso basta! Bada che non finisce così! (Passa al 2)

MARCELLO - Ah no, non finisce così!

AMELIA - (leggermente arretrata rispetto al principe, gli mette la mano destra sulla spalla sinistra) Bada che c’è il principe!

PRINCIPE - (che non ci tiene affatto ad avere dei guai in simili circostanze) Io?

MARCELLO - Ah! C’è il principe? Ah! Va benissimo! Ti faccio vedere subito che non finisce così!… Non

troverò mai più un’occasione come questa! (Parlando, va alla finestra e l’apre con gesto rapido)

PRINCIPE - (precipitandosi verso di lui, seguito da Amelia) Cosa? Cosa?

AMELIA - Cosa fai?

PRINCIPE - (afferrandolo ai fianchi) Disgraziato!

MARCELLO - (cercando di liberarsi) Ah! Lasciatemi, voi!…

PRINCIPE - (trattenendolo) Volete gettarvi dalla finestra?

MARCELLO - (stesso gioco) Eh? No! Io no!

PRINCIPE - (indietreggiando istintivamente) Eh?

AMELIA - E Chi?

PRINCIPE - Noi?

MARCELLO - (che si è liberato dalla stretta del principe) No, questi! (Parlando, raccoglie sul divano i vestiti del principe e li getta dalla finestra)

PRINCIPE e AMELIA - Ah! (Marcello si slancia verso la porta mentre, con movimento inverso, il principe si precipita alla finestra attraverso la quale sono scomparsi gli abiti)

PRINCIPE - (sporgendosi alla finestra) I vestiti! Ha gettato i miei vestiti dalla finestra!

AMELIA - (correndo incontro a Marcello) Marcello! Marcello!

PRINCIPE - (correndo alla porta di sinistra) Affittacamere! Ehi! Voi, affittacamere! (Giungono entrambi alla porta e la trovano chiusa dall’esterno col chiavistello)

AMELIA - (con un gesto di dispetto) Ci ha chiusi dentro! (Si sposta a destra)

PRINCIPE - (venendo avanti fino al proscenio, a sinistra) Ha osato rinchiudere il principe di Palestrìa!

AMELIA - Animale!

PRINCIPE - (precipitandosi verso lo spogliatoio) Per di qua!

AMELIA - Ma no! È lo spogliatoio, non ha uscite.

PRINCIPE - Oh!… Un delitto di lesa maestà come questo! In Palestrìa sarebbe frustato sulla pubblica piazza e inviato sulle galere!

AMELIA - Eh, sì! Ma in Francia!… Sotto Fallières![27] (Parlando, si è diretta verso la finestra)

PRINCIPE - Ma per Giove! Non posso restare qui, sequestrato e senza vestiti!

AMELIA - (bruscamente, scorgendo Marcello dalla finestra) Oh, eccolo! (Chiamando) Marcello!… Marcello!

PRINCIPE - (corre in direzione della finestra, fino al corridoio fra il letto e il muro) Come? Lo vedete?

AMELIA - È entrato qui di fronte, al commissariato di polizia.

PRINCIPE - Dal commissario?

AMELIA - Cosa starà combinando?

PRINCIPE - (venendo avanti a sinistra) Ebbene! Meglio così. Provi a far venire il commissario! E io faccio arrestare lui! Permettersi di rinchiudere il principe reale di Palestrìa!

AMELIA - (avanza fino alla spalliera del letto) Ah! Ma fate attenzione, Monsignore! Dovete pensare che ora lui è il marito.

PRINCIPE - E allora? Questo è un agguato! (Pronunzia “acquato”)

AMELIA - Accidenti! Vuol far constatare l’adulterio in flagrante!

PRINCIPE - Ma è terribile! Ci sarà uno scandalo! E nella mia situazione!… Nei riguardi del mio governo!…

AMELIA - (avvicinandosi al principe) Ma no! Ma no! Quello s’illude! Per far constatare un flagrante adulterio, bisogna fare una domanda al presidente del tribunale; senza un’ordinanza il commissario si rifiuterà di intervenire!

PRINCIPE - Non importa! Non voglio restare più a lungo prigioniero qui dentro! Non fosse che per la mia dignità!… (Tono brutale) E allora? Non ci sono uscite?

AMELIA - (gesto evasivo, poi) C’è la finestra.

PRINCIPE - (fa una smorfia, poi) Grazie tante! Dal secondo piano!

AMELIA - Oh… è il primo dopo l’ammezzato.

PRINCIPE - (stesso gioco) Quanto a saltare giù, è la stessa cosa… e col selciato, poi!…

AMELIA - (come fosse un’attenuante) Oh! È solo macadam!

PRINCIPE - (gira gli occhi dal suo lato, poi) È preferibile?

AMELIA - (fa una smorfia, poi) Dipende dai gusti.

PRINCIPE - (bruscamente, colto da un’ispirazione) Sapete? Dovreste mettervi alla finestra e fare segni alla gente che passa.

AMELIA - (tirandosi indietro, con un inchino) Grazie!… Mille grazie! Per farmi avere delle storie con la questura!… No, grazie!

PRINCIPE - (senza più risorse) E allora?

AMELIA - (alzando le braccia) Eh, “allora”! Allora, non c’è che da rassegnarsi. (Si siede sul divano ai piedi del letto)

PRINCIPE - (scombussolato) Oh! (Nello stesso momento si sente un rumore di voci che si avvicinano a poco a poco alla porta di sinistra)

AMELIA - (alzandosi bruscamente) Ascoltate!

PRINCIPE - (tendendo l’orecchio) Cos’è?

AMELIA - È lui che torna!

PRINCIPE - Torna!

AMELIA - E non è solo! C’è gente con lui.

PRINCIPE - (ruotando sui tacchi) Oh! (Si precipita nello spogliatoio chiudendo la porta dietro di sé. Appena è scomparso, si sente la chiave che gira nella serratura; la porta si apre e compare Marcello)

SCENA TERZA

Gli stessi, Marcello, il Commissario

MARCELLO - Avanti, signor commissario! (Ad Amelia) Cara amica, sono desolato, ma!…

COMMISSARIO - (parlando in quinta) Voi due, sorvegliate le uscite! (Compare il commissario; ha il cappello in testa e in mano la sciarpa)

AMELIA - (al 3, al commissario, all’1) Desiderate, signore?

COMMISSARIO - (sussulta per lo stupore, trovandosi Amelia di fronte; si toglie il cappello) Una signora! (Ad Amelia) Scusatemi, signora! È il signore che… (A Marcello) Beh, dov’è lo scassinatore?

MARCELLO - Lo scass…

AMELIA - (troncandogli il discorso) Quale scassinatore?

COMMISSARIO - Ma, non so!… Il signore mi aveva detto!…

MARCELLO - Ah! Vi ho detto… vi ho detto!… Perché se non lo avessi detto non sareste venuto! Ma qui c’è un solo scassinatore, quello del mio onore!

COMMISSARIO - (aggrottando le sopracciglia) Cosa?

MARCELLO - Vi prego di constatare che l’amante della signora è qui presente, nello stesso giorno delle nozze! (Amelia alza le spalle e si sposta a destra, davanti al letto)

COMMISSARIO - Eh?

MARCELLO - Constatate, signore: il letto sfatto! L’abbigliamento della signora… (prendendo in mano il vestito da sposa sull’angolo del divano) …e il vestito da sposa è li, ancora caldo! (Rimette il vestito sulla spalliera del letto)

COMMISSARIO - (sconcertato ed esitante) È… è vero, signora?

MARCELLO - (oltre il divano) Osereste negare?

AMELIA - Ebbene, sì! Hai ragione! Meglio il divorzio che una vita così. (Siede sul divano, accavalla le gambe e con tono di sfida) Ebbene sì, signore, è vero. (Il commissario, davanti alla confessione, si inchina allargando le braccia)

MARCELLO - (trionfante) Finalmente!

COMMISSARIO - E… il vostro complice?

AMELIA - (indicando con gesto indifferente, sopra la spalla) Di là! Nello spogliatoio!… (A parte, con disinvoltura, mentre il commissario va verso lo spogliatoio) Dopo tutto, con un principe!… (Fa schioccare la lingua)

COMMISSARIO - (nel dirigersi verso lo spogliatoio, ha rimesso il cappello in testa; spinge la porta) Uscite, signore! Sappiamo che siete lì! (Viene avanti a sinistra, mentre Marcello si allontana un po’ nel corridoio fra il muro e il letto, non lontano dalla spalliera. Una pausa. Subito, giungendo da destra, compare il principe, sempre nello stesso abbigliamento; si è abbassato sul naso la tesa del cappello e dentro il cappello ha fatto passare la cravatta, cercando in questo modo di coprire il viso; viene avanti con la testa piegata sulla spalla destra)

PRINCIPE - Bene! Sono qua.

MARCELLO - Vi prego, constatate com’è vestito il signore!

PRINCIPE - (di rimando) Permette? Il signore ha gettato i miei vestiti dalla finestra!

COMMISSARIO - (quasi sotto il naso del principe e con tono brutale e sbrigativo) Se li ha gettati, vuol dire che non li avevate addosso!… Il vostro nome! (Viene avanti un poco a sinistra)

PRINCIPE - Impossibile!… Viaggio in incognito!

COMMISSARIO - (credendo che il principe si prenda gioco di lui e col tono di chi non sopporta le spiritosaggini) Cosa?

MARCELLO - Basta così! Il signore è Sua Altezza Reale il principe Nicola di Palestrìa!

COMMISSARIO - (facendo un balzo indietro) Eh? (Istintivamente si toglie il cappello)

PRINCIPE - (con disprezzo) Ah! (Con gesto di malumore, manda il cappello indietro sul capo; ciò fa cadere la cravatta)

MARCELLO - Constatate, signor commissario! Constatate!

COMMISSARIO - (che da quell’orecchio non ci sente più, viene avanti a sinistra) Oh no… Oh, no-no!

MARCELLO - (sbalordito) Eh?

COMMISSARIO - No-no-no-no-no-no! Un’Altezza Reale! Grazie! L’immunità diplomatica!… Po-po-po-po! Non ho voglia di creare complicazioni al governo!

MARCELLO - (attraversa la scena e va dal commissario) Cosa dite?

COMMISSARIO - (senza toccarlo, allontanandolo col gesto) Oh! Arrangiatevi! Arrangiatevi! La cosa non mi riguarda!

PRINCIPE - (stupito anche lui per il rovesciamento della situazione, ma felice di approvare il commissario) Naturalmente!

MARCELLO - (che non crede alle proprie orecchie) Ma, signor commissario, io sono il marito offeso e… COMMISSARIO - Ah! Cosa volete che vi dica? (Con la più totale malafede) Prima di tutto, non ne so niente, io. Quali prove ho?

PRINCIPE - (al 3) Eh, già! Quali?

MARCELLO - Come? Quali prove? Ma cosa vi occorre? Guardate come si presenta la signora! Il principe è senza vestiti…

COMMISSARIO - (troncandogli brutalmente il discorso, faccia a faccia con Marcello) Siete stato voi… che li avete gettati dalla finestra.

PRINCIPE - (con lo stesso tono) È lui che li ha gettati dalla finestra!

MARCELLO - (sbalordito di doversi difendere) Questo prova che non li aveva addosso…

COMMISSARIO - (allargando le braccia) Bella prova!

PRINCIPE - (alzando le spalle) È un’osservazione idiota.

MARCELLO - (indicando Amelia seduta sul divano) E poi la signora ha confessato!… Cosa vi occorre di più?

COMMISSARIO - (furioso per l’insistenza di Marcello, assume un tono di importanza e va a mettersi, come un gallo da combattimento, a contatto di petto con Marcello) Ah! E poi, chiuso! Non devo prendere lezione da voi!

MARCELLO - Eh?

PRINCIPE - Era ora!

COMMISSARIO - (sempre a contatto di petto, il viso contro il viso di Marcello, sbalordito; gira quindi attorno a lui in modo da spostarsi al 2) Potete considerarvi fortunato se non vi denuncio per falsa dichiarazione a pubblico ufficiale.

MARCELLO - Me?

COMMISSARIO - Sì, voi! Sì, voi! Perché, in definitiva, dov’è lo scassinatore, eh? Dov’è?

MARCELLO - (completamente a terra) Ma io… ma io…

COMMISSARIO - Sì! Bene, che non accada più! (Ritorna verso il principe)

PRINCIPE - Bravo!

MARCELLO - (rimane un istante come annientato, poi al pubblico) Ecco qua! Becco e bastonato!

COMMISSARIO - (al principe, rimanendogli accanto e chinando la schiena fino alla cintura di lui) Oh! Monsignore! Sono desolato! Supplico Vostra Altezza di voler accettare le mie scuse. (Rialzando un poco la schiena) Tutta colpa di questo inetto.

PRINCIPE - (colpendo l’aria col dito, in un gesto brusco, sotto il naso del commissario) Voi!… Vi farò commendatore dell’ordine di Palestrìa!

COMMISSARIO - (commosso) Eh? Io? Monsignore! (Sprofondandosi in inchini) Oh! Monsignore! Quale onore! Come posso esprimere a Vostra Altezza!…

PRINCIPE - (respingendolo col gesto) Sì, va bene, andate! (Gira i tacchi e non si occupa più di lui)

COMMISSARIO - (con il più basso servilismo) Sì, Monsignore. (Inchinandosi profondamente) Monsignore! (Un passo indietro. Nuovo saluto ad Amelia) Signora! (A Marcello, esattamente con lo stesso tono con cui ha detto “Monsignore!” e “Signora!”) Idiota!

MARCELLO - (girandosi in parte verso di lui) Cosa?

COMMISSARIO - (con lo stesso movimento, nuovo passo indietro, nuovo e ultimo saluto) Monsignore! (Rialzandosi e girando i tacchi, verso le quinte) Venite, voialtri! Di scassinatori, qui, non c’è neanche l’ombra! (Esce)

MARCELLO - (che non si è ancora riavuto) Ah sì! Questa è grossa!

AMELIA - (al principe che cammina nervosamente avanti e indietro in scena) Monsignore, mi dispiace che per causa mia!…

PRINCIPE - (al 2, ad Amelia, al 3) Sì, oh! (A Marcello, all’1) Avete fatto un bel mestiere, voi! (Torna verso il fondo)

MARCELLO - Sì, sì, Monsignore! Avete ragione! Dato che indiscutibilmente godete di un privilegio… che avete tutti i diritti! M’inchino e vi faccio le mie scuse.

PRINCIPE - (che non ha cessato di camminare e ora si è avvicinato a Marcello) Protesterò domani… alla Presidenza!… (Ritorna verso il fondo)

MARCELLO - (sempre a sinistra della scena) Oh! La Presidenza… in questa faccenda, sapete!…

PRINCIPE - (venendo avanti, a Marcello) Mi dispiace che la mia situazione non mi consenta di dare alla vostra condotta il seguito che meriterebbe! (Ritorna verso il fondo)

MARCELLO - Dispiace anche a me, Monsignore.

PRINCIPE - (sempre nervoso) Sì!

AMELIA - Monsignore, calma!

PRINCIPE - (quasi gridando) Sono calmo! (Continua a camminare)

MARCELLO - Comunque, visto che il colpo è fallito, devo dire che mi dispiace che ci sia andata di mezzo proprio Vostra Altezza; ma non avevo scelta.

PRINCIPE - (sempre camminando) No, no, permettersi!…

AMELIA - E tutto questo per colpa di Stefano!

MARCELLO - Ah, sì! Me la lego al dito, questa!

AMELIA - E io no?

PRINCIPE - (si avvicina bruscamente, al 2, a Marcello, all’1, e gli si mette di fronte) Ma insomma! Non penserete che io debba restare qui in camicia e mutande! Datemi un vostro vestito… e me ne andrò!

MARCELLO - Non ne ho!

PRINCIPE - Non mi riguarda! Trovatene uno! Datemi il vostro. (Così dicendo gli tira, scuotendola, la manica del vestito all’altezza del bicipite)

MARCELLO - (si libera e passa al 2) Ah! Certo, figuriamoci!

PRINCIPE - (ritornando alla carica) Su! Su!

MARCELLO - (difendendosi) Ma no!… Ma no!… (Sentendo un rumore di voci in quinta, con tono imperioso al principe) Silenzio!

PRINCIPE - (sconcertato) Cosa? (Amelia, il principe e Marcello prestano orecchio)

VOCE DI STEFANO - Il signore e la signora sono in casa?

MARCELLO - (ad Amelia) È Stefano, parola mia!

AMELIA - Ha il coraggio di venire qui a prenderci in giro!

MARCELLO - Ah bene, me la pagherà, per quel che ha fatto! (Il principe, all’1, un poco spostato verso il fondo, Marcello, al 2, in mezzo alla scena, Amelia, al 3, più avanti)

SCENA QUARTA

Gli stessi, Stefano

STEFANO - (in abito da cerimonia come in Municipio, compare e si ferma, col cappello in testa e le mani in tasca, nel vano della porta) Buongiorno, sposini!

AMELIA - Tu!

MARCELLO - (avanzando verso di lui a passi lenti, come una belva) Che cosa vieni a fare? (Il principe si sposta un poco sulla destra)

STEFANO - (con tono distaccato e sarcastico) Niente! A vedere se tutto va come desiderate. Se siete felici.

MARCELLO - Se siamo felici? Ah! Canaglia! (Lo prende per il braccio e brutalmente lo fa passare alla sua sinistra)

STEFANO - (al 3) Beh, e allora?

MARCELLO - (al principe) Monsignore! Avete visto “La palla al piede”?[28]

PRINCIPE - (che non capisce) La palla al piede? Cosa? Quale piede?

MARCELLO - (frugandosi nella tasca posteriore dei pantaloni) Ebbene! Ne reciteremo una scena per voi! E non per scherzo stavolta!

STEFANO - (che non capisce dove Marcello voglia arrivare) Cosa dice?

MARCELLO - Voi avete bisogno di un vestito, Monsignore!

PRINCIPE - Certo, per Giove!

MARCELLO - Benissimo! (A Stefano) I tuoi pantaloni! Dammi i pantaloni!

STEFANO - (che pensa faccia per scherzo, con tono beffardo) Cosa?

MARCELLO - (ha tolto dalla tasca una rivoltella e la punta su Stefano) I pantaloni, o sparo!

PRINCIPE - (che si trova sulla linea del tiro, fra Marcello e Stefano) Ehi! Là! Ehi! Là! (Va precipitosamente verso il fondo e si mette accanto al caminetto)

STEFANO - Ah! Vuoi scherzare?

MARCELLO - Ah, io scherzo? Toh! (Spara in aria)

STEFANO - (con un balzo all’indietro) Ah!

AMELIA - (cadendo sul divano, ai piedi del letto) Ah!

PRINCIPE - (viene avanti all’1) Ah! (Nello stesso tempo, un pezzo di gesso si stacca dal soffitto e cade a terra)

AMELIA - (di fronte al guasto) Oh! Il mio soffitto! (Si è alzata, e viene avanti un poco a destra)

MARCELLO - Sì, oh beh, il tuo soffitto… al diavolo! (A Stefano) Forza! I pantaloni, o ti uccido come un cane.

STEFANO - (supplicando) Marcello…

MARCELLO - (agitando la rivoltella puntata su Stefano) Ti decidi?…

STEFANO - (terrorizzato) Sì!… Sì-sì! (È in piedi davanti al divano, sbottona velocemente le bretelle)

MARCELLO - Su! Su! Più in fretta.

STEFANO - (togliendosi precipitosamente i pantaloni) Ecco! Ecco! (Passa i pantaloni a Marcello che li prende con la mano sinistra, senza cessare di tenere Stefano sotto tiro)

MARCELLO - (gettando dietro le spalle i pantaloni al principe) Ecco! Prendete, Monsignore!

PRINCIPE - Grazie!… (Infila in gran fretta i pantaloni) Oh, oh! Si strapperanno!

MARCELLO - (a Stefano) E ora la giacca! Il panciotto!

STEFANO - Marcello, andiamo!

MARCELLO - Mi vuoi dare la giacca e il panciotto?

STEFANO - (togliendosi giacca e panciotto) Ecco! Ecco! (a parte) È pazzo! Completamente pazzo! (Dà il panciotto e la giacca a Marcello)

MARCELLO - (gettando i vestiti al principe) Ecco, Monsignore! (Bruscamente) Monsignore! Già che ci siamo, volete anche le mutande?

PRINCIPE - No, grazie! Ho le mie, e sono anche più belle.

STEFANO - (si avvicina, misero e supplichevole, ad Amelia, che sta all’estrema destra) Amelia, ti prego!

AMELIA - (passando, al 3, davanti a Stefano) Oh! Io non c’entro! Io non c’entro!

MARCELLO - (dirigendosi verso il principe che indossa i pantaloni di Stefano ma non ha ancora messo né il panciotto né la giacca) Ed ora, Monsignore, scusatemi! Ma per il progetto che sto meditando, la presenza di Vostra Altezza è di troppo!

PRINCIPE - Comprendo!… Il signore mi sostituirà.

MARCELLO - L’avete detto, Monsignore!

PRINCIPE - Benissimo! Io scappo. Arrivederci! E buona fortuna! Arrivederci, Amelia!

AMELIA - (facendo la riverenza) Arrivederci, Monsignore!

PRINCIPE - (è andato fino alla porta, ha spinto un battente e sta per uscire; poi, come se gli venisse in mente qualcosa, fa dietrofront e, fatti due passi, a freddo, si rivolge a Stefano che se ne sta penosamente all’estrema destra, appoggiato contro il letto, facendosi schermo col cappello a cilindro tenuto contro il ventre) Cocoì, boronzoff! Papepètt alagoss!

STEFANO - Cosa?

PRINCIPE - Lamolek! Grobubul! (Esce)

STEFANO - (vedendo il principe andarsene con la sua roba) Ma guarda un po’! Mi porta via i vestiti e mi insulta anche! (Vuoi correre dietro al principe) Ehi, voi, laggiù!

MARCELLO - (arrestando il suo slancio con la minaccia della pistola) Non muoverti, o ti fulmino.

STEFANO - (indietreggiando, torna nella posizione primitiva) Ehi! Ma dove vuoi arrivare?

MARCELLO - (prendendo la mano di Amelia) Dove voglio arrivare? Voglio farti pescare in flagrante adulterio con mia moglie.

AMELIA - Ecco!

MARCELLO - (con la mano sinistra nella mano destra di Amelia, avanza, come Amelia, a passi lenti e cadenzati in direzione di Stefano) Ah! Tu sei l’amante di mia moglie!

AMELIA - (stesso gioco) Ah! E ti fai sorprendere con lei il giorno stesso delle nozze!

STEFANO - (a bocca aperta, si è accasciato, di fronte a loro, sul bordo del letto) Eh?

MARCELLO - (allo stesso modo) Ah, ti trovano in mutande nella camera nuziale!…

AMELIA - (allo stesso modo) Ah! E Amelia è con te, in sottoveste!

STEFANO - (al pubblico, disperato) Sono matti! Sono matti!

MARCELLO - (con un ginocchio sul divano accanto al letto) Bene! Il commissario, ora!

AMELIA - (appoggiata con le due mani all’estremo della spalliera) Il commissario! (Nello stesso momento bussano alla porta)

MARCELLO - (prestando orecchio) Chi è?

VOCE DEL COMMISSARIO - (con lo stesso tono di Marcello e Amelia, come un’eco della loro voce) Il commissario!

MARCELLO e AMELIA - (con lo stesso inchino) Eccolo!

STEFANO - (inebetito) Ah!

SCENA QUINTA

Gli stessi, il Commissario

MARCELLO - (va ad aprire la porta al commissario) Avanti! Avanti, signor commissario! Arrivate a proposito: parlavamo di voi.

COMMISSARIO - (entra; ha i vestiti del principe piegati sul braccio; stupito) Di me? (Cercando con gli occhi il principe) Sua Altezza! Sua Altezza è ancora qui?

MARCELLO - No, è appena uscito.

COMMISSARIO - Ah! Gli riportavo i vestiti; li avevano portati in commissariato.

MARCELLO - (prendendo i vestiti) Bene! Glieli faremo avere. (Va a metterli su una sedia accanto al caminetto)

COMMISSARIO - (che è venuto un poco avanti, scorgendo Stefano sempre meschinello nel suo angolino, inchinandosi) Signore!

STEFANO - (inchinandosi anche lui) Signore!

COMMISSARIO - (alludendo al suo abbigliamento) Il… il caldo… senz’altro!

STEFANO - (molto a disagio) Il caldo, sì, sì!

MARCELLO - (che è venuto un po’ avanti, al 3) Oh! Non vi ho presentati! (Presentando) Il signor Stefano de Milledieu, il mio migliore amico!… Il signor commissario del quartiere!… (Scambio di saluti) Ed ora, signor commissario, vogliate constatare che ho sorpreso mia moglie in flagrante adulterio.

COMMISSARIO - (sussultando per lo stupore) Eh? Di nuovo?

AMELIA - Sì, signor commissario.

STEFANO - (supplichevole) Marcello!

MARCELLO - Basta! (Al commissario) Poco fa avevo sbagliato! L’amante di mia moglie non era il principe; era questo signore! (Designa col dito Stefano)

COMMISSARIO - (contento della sostituzione) Ah! Finalmente!

STEFANO - (precipitandosi al 3) È falso!

AMELIA - Nient’affatto, signore! Lo devo riconoscere!

STEFANO - (indignato) Oh!

AMELIA - Del resto, tutta Parigi ve lo può dire.

STEFANO - Oh!

COMMISSARIO - Questa confessione mi basta.

MARCELLO - Vogliate constatare.

COMMISSARIO - Dov’è l’occorrente per scrivere?

AMELIA - (risale verso la porta dello spogliatoio) Da questa parte, signor commissario.

COMMISSARIO - Venite. (Ritorna verso il fondo)

STEFANO - (va verso il fondo assieme al commissario; giunto sul vano della porta) Protesto! È un’infamia! Io sono un cittadino della Repubblica!

COMMISSARIO - Oh! Questa, signore, non è una buona ragione! (Furioso, Stefano si mette in testa il cilindro, nel quale, dopo essersi spogliato, aveva gettato le bretelle; queste pertanto pendono in parte fuori dal cappello, sul collo di lui. Tutti e tre entrano nello spogliatoio)

MARCELLO - (viene avanti) Finalmente! Sono vendicato!

SCENA SESTA

Gli stessi, Van Putzeboum

VAN PUTZEBOUM - Ah! Sei, qui, racasso! Scusami se torno a seccarti; ma un telegramma ho ricevuto che bisogna che parto stasera. Allora, ti ho portato in fretta l’assegno.

MARCELLO - L’assegno?…

VAN PUTZEBOUM - Del fidecommesso, no? Tu hai soddisfatto le condizioni, qui c’è il denaro: un milione e duecentomila franchi di capitale, più gli interessi composti, duecentosettantamilanovantatré franchi e cinque.

MARCELLO - (un po’ sconcertato da questa valanga di cifre) Cosa? Cosa?

VAN PUTZEBOUM - (consegnandogli l’assegno) Oh! Questo è il conto! Questo è il conto!

MARCELLO - (dando un’occhiata all’assegno) …novantatré franchi e cinque… Sì, sì!… Esatto!

AMELIA - (compare alla porta dello spogliatoio) Ah! Il padrino! (Viene avanti al 3)

MARCELLO - (che ha visto Amelia) E ora, padrino mio, ho l’onore di annunciarvi…

VAN PUTZEBOUM - (inchinandosi anticipatamente) Complimenti! Dunque, eh?…

MARCELLO - No! No!

VAN PUTZEBOUM - (rimangiandosi le felicitazioni) Ah?

MARCELLO - …il mio prossimo divorzio con la signorina Amelia d’Avranches, coniugata Courbois, che ho sorpreso in flagrante adulterio col signor Stefano de Milledieu, il mio migliore amico.

VAN PUTZEBOUM - Eh?

MARCELLO - (ad Amelia) Non è così?

AMELIA - Verissimo.

VAN PUTZEBOUM - (vorrebbe riprendere l’assegno che Marcello tiene sempre in mano) Ah! Ma allora…

MARCELLO - (allontanando la mano di Van Putzeboum e mettendo l’assegno nella tasca interna della giacca) Ah! Scusate, padrino!… Le condizioni non sono state soddisfatte?

VAN PUTZEBOUM - (con malizia) Per questo!… Sono state soddisfatte addirittura prima!

MARCELLO - Allora, la faccenda non vi riguarda più! (Escono nello stesso istante dallo spogliatoio Stefano e il commissario, che discutono)

STEFANO - Ma infine, signor commissario!…

COMMISSARIO - No, signore! La cosa non mi riguarda! La cosa non mi riguarda! (Ha in mano il taccuino, su cui termina di scrivere)

MARCELLO - Su, padrino, venite! (Van Putzeboum e il commissario escono e si fermano sul vano della porta, sentendo la voce di Stefano)

STEFANO - (che è venuto avanti al 5) È un’infamia! (A Marcello) Me ne renderai conto!

MARCELLO - Ai tuoi ordini. Arrivederci, Amelia! (La bacia)

AMELIA - Arrivederci, Marcello.

STEFANO - (vedendo che tutti stanno per andarsene) Beh, e io, allora, che faccio?

MARCELLO - (prendendo Amelia per le spalle e spingendola gaiamente verso Stefano) Ebbene, vecchio mio! Occupati di Amelia! (Esce preceduto da Van Putzeboum e dal commissario)

STEFANO - (sbalordito, lasciandosi cadere sul divano) Cos’ha detto?

AMELIA - (sedendoglisi sulle ginocchia) Occupati di Amelia!

STEFANO - (confuso) Ah!

SIPARIO


[1]“Amelia!… Non capisco… statura”: nell’originale il gioco è fra “je crois” (da “croitre”, crescere) e “je crois” (da “croire”, credere), foneticamente uguali:

ÉTIENNE - […] Amélie!… Je croîsl Je croîs encorel

AMELIE - Hein! En quoi?

BIBICHON - En Dieu?

ÉTIENNE - […] Non! En mon pantalon! J’ai encore grandi!

[2] “Ser Pente Boas”: la freddura “idiota” di Bibichon, nell’originale, è la seguente: egli chiama Boas “Gueuldeb”, sottintendendo “gueule de bois”, e giocando sull’analogia di “bois” e “Boas”. “Gueule de bois”, letteralmente “a gola di legno”, è un’espressione di gergo che designa quella particolare secchezza della bocca e in genere il complesso di disturbi che conseguono a una sbornia.

[3]Le ultime quattro battute vanno pronunziate insieme.

[4]Le ultime quattro battute vanno pronunziate insieme.

[5]Le ultime sei battute vanno pronunziate insieme.

[6]Le ultime due battute vanno pronunziate insieme.

[7] Le ultime sette battute vanno pronunziate insieme.

[8] Come… Messina: nell’originale “Comme l’avenue de Messine!”, gioco di parole intraducibile che storpia “…la venue du Messie”. L’avenue de Messine esiste davvero a Parigi. Germain diceva la battuta con particolare bravura, tanto che Adolphe Brisson lo ricorda nella sua recensione. La traduzione deve accontentarsi di una storpiatura, senza poter rendere il gioco di parole.

[9] Che… baso: nell’originale: “biser” e “bise”, forme di gergo per “baiser” (verbo e sostantivo) e non storpiature come, inevitabilmente, nella traduzione.

[10]Perdio… ragazze: nell’originale, alla domanda di Van Putzeboum “Vous devez aimer les bijoux”, Amelia risponde: “Tu parles!”, e cerca poi di rimediare in questo modo: “(vivement) Non, je dis: (Parlant comme avec une pomme de terre trop chaude dans la bouche et bien à la file) U-arles, eu-arles, eu-erles, è-erles, des perles… […] Des perles… des diamants, ça n’est pas pour les jeunes filles”.

[11] Le ultime tre battute vanno pronunziate insieme.

[12] Le ultime tre battute vanno pronunziate insieme

[13] Però… mezzogiorno: gioco di parole intraducibile in italiano. Nell’originale: “MARCEL - […] Tout de méme il est midi!… Et midi, c’est une heure!… (Comme se répondant à lui méme) Non, midi, c’est pas une heure; c’est midi!…”

[14] Grazie… campagna: nell’originale:

AMÉLIE - Merci! (Prononcer “Berci”)

MARCEL - (maussade) Ah! “Bercy”! Charenton, oui!

[15] In realtà il gomitolo non cade; durante le battute precedenti, Irene l’ha fatto sparire sotto il cuscino senza che il pubblico se ne accorga. [N.d.A.]

[16] Il trucco si potrebbe eseguire come lo descrive il personaggio, ma si presenterebbero diversi inconvenienti, il più grave dei quali sarebbe che la cordicella si rompesse a causa dell’attrito, dato l’angolo acuto che essa forma girando attorno al piede del letto; ciò impedirebbe il proseguimento dell’azione. Il trucco si farà dunque in questo modo: nella parete a cui è addossato il letto, sotto il medesimo e a sinistra, nell’angolo formato dal piede del letto col telaio, si apriranno due fori paralleli in senso orizzontale, distanti cinque o sei centimetri l’uno dall’altro e a un’altezza di circa trentacinque centimetri dal suolo, cioè all’altezza del saccone. Di fronte a questi fori, a ogni traversina del saccone, che dev’essere di legno e cavo, si inseriranno due anelli a vite. Sul rovescio del copriletto imbottito, dal lato della testata, a dieci centimetri dal bordo, alla metà esatta del bordo stesso, si cuciranno solidamente due fettucce di stoffa molto resistenti, lunghe otto centimetri e larghe quattro, disposte parallelamente a cinque o sei centimetri di distanza nel senso della lunghezza del copriletto. A ognuna delle fettucce si fisseranno solidamente due anelli da tenda, quattro in tutto, il secondo cinque centimetri sotto al primo. Si compreranno due gomitoli di solido spago; la lunghezza di ciascuno di essi dovrà essere maggiore della distanza che corre fra la testata e la spalliera del letto e fra la spalliera del letto e l’interno dello spogliatoio. Dal retroscena si farà passare ciascuna cordicella nei fori praticati nella parete e quindi nei corrispondenti anelli a vite del sommier, facendo in modo di non imbrogliare le cordicelle. Le due cordicelle parallele gireranno dall’esterno, quindi attorno al piede sinistro del letto; le si faranno poi risalire lungo il davanti del letto, passare sopra la spalliera, scivolare sotto il copriletto, per attaccarli prima al secondo anello e poi al primo, per il quale si è riservato un po’ di filo prima di fare il nodo, della rispettiva fettuccia. Dopo di che, tirare il bordo del copriletto in modo che ricada sul davanti del letto, nascondendo così la cordicella al pubblico e nello stesso tempo permettendo ad Amelia di tirare la coperta a sé quando sta sotto il letto. Per il resto, il macchinista incaricato della manovra deve solo lasciare il filo quando Amelia se ne va con la coperta e tirare il filo a sé quando deve far tornare il copriletto. Assicurarsi che tutto funzioni bene prima di alzare il sipario e anche che la cordicella passata negli anelli a vite non scorra per terra, per evitare che Amelia quando scivola sotto il letto vi s’impigli.

AVVERTENZA - Per non danneggiare la scena, la tela si logora con l’uso, e per favorire la manovra, si consiglia di fissare dietro la scena, nel punto in cui sono praticati i fori, una piccola armatura in legno, anch’essa forata; nei fori si incasseranno degli occhielli di vetro o di metallo, e ciò permetterà alla cordicella di scivolare più facilmente.

[17] Purché… una bugia: nell’originale il gioco di parole, tra “sire” (“sire”) e “cire” (“cera”), si articola nelle seguenti battute:

POCHET - […]. Pour que ça fonde.

LE PRINCE - […]

POCHET - C’est uti mot pour faire rire votre Altesse: “Sire… bougie… la cire dans la bougie… la bougie dans la cire… ça fonde…”

Il duplice significato di “bugia”, in italiano, consente di rendere in libertà il gioco di parole.

[18] Tutta la scena deve essere recitata da Pochet rimanendo sempre vicinissimo al principe, così da ricevere ogni volta gli “Ah!… Ah!… Ah!…” quasi sulla faccia [N.d.A.]

[19] Le ultime quattro battute vanno pronunziate insieme.

[20] Van Putzeboum all’1, Marcello al 2, Stefano al 3, Amelia al 4, Pochet al 5. [N.d.A.]

[21] Sentite… accanto a noi: nell’originale:

VAN PUTZEBOUM - Dites donc, il n’y a pas un raseur près d’ici?

MARCEL - (excédé) Oh! Pas loin!

Gioco di parole, intraducibile in italiano e di cui Feydeau ha già fatto uso, (per es. in “Sarto per signora”, atto I, scena 11) tra i due significati di “raseur”: “barbiere” e, familiarmente, “seccatore”.

[22] Mouilletu… domanda: la ragione dello stupore, e poi del riso, dei personaggi è nell’allusione erotica implicita nel nome “Mouilletu”, ossia “Mouillestu?” (“Ti bagni?”)

[23] Le ultime tre battute vanno pronunziate insieme.

[24] In dove pensate di essere: nell’originale, Pochet dice: “Où croyezvous donc z’ètre!”, facendo una liaison (“z’étre”) che è nella parlata popolare.

[25] Diamo qui di seguito l’atto di matrimonio per esteso: “Il cinque maggio dell’anno millenovecentootto, alle tre del pomeriggio, davanti a noi, sindaco dell’ottavo arrondissement di Parigi, sono comparsi in questo Municipio per essere uniti in matrimonio: il signor Marcello Courbois, nato a Parigi il 6 aprile 1879, benestante, con domicilio in Rùe Cambon 27, celibe, figlio primogenito legittimo di fu Giuseppe Courbois, banchiere, e di fu Carolina Emiliana Toupet, sua moglie; e la signorina Clementina Amelia Pochet, nata a Parigi il 20 marzo 1886, abitante a Parigi, Rùe de Rivoli 120, figlia primogenita di Augusto Amedeo Pochet, di cinquantaquattro anni, già vigile urbano, stesso domicilio, e di fu Maria Teresa Laloyau, sua moglie. Il padre è presente e consenziente; dopo aver ricevuto dai contraenti, uno dopo l’altro, la dichiarazione che essi desiderano contrarre matrimonio dichiariamo pubblicamente in nome della legge che il signor Giuseppe Marcello Courbois e la signorina Clementina Amelia Pochet sono uniti in matrimonio” [N.d.A.]

[26] Linc: Pochet intende dire, evidentemente, “lunch”, colazione.

[27] Armand Fallières, presidente della Repubblica francese dal 1906 al 1913, in carica pertanto al tempo della prima di “Occupe-toi d’Amelie”!

[28] La palla al piede: è “Un fil à la patte”, una commedia dello stesso Feydeau, rappresentata nel 1894, dove nel terzo atto avviene uno scambio di pantaloni in circostanze del tutto simili a queste. “Avoir un fil à la patte” si dice per indicare la situazione di uno che si trova a dover mantenere un impegno a cui rinuncerebbe volentieri.