Olimpia

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OLIMPIA

O gli occhi azzurri dell’Imperatore

Commedia in tre atti

di FERENC MOLNAR

Traduzione di Balla e De Vellis

PERSONAGGI

OLIMPIA

LINA

ALBERTO

EUGENIA

KOVACS

KREHL

GENERALE

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Siedi e ascolta. La principessa Olimpia non fa onore a sé stessa.

Alberto                          - (con rimprovero) Lina!

Lina                               - Confesso di aver detto una cosa un po' forte, ma l'ho detta con intenzione. Tu sai meglio di me quanto sia severo, in casi simili., l'Imperatore.

Alberto                          - Spiegami un po' questa terribile frase: «non fa onore a sé stessa». Devi moti­varla.

Lina                               - Lo so. Ecco la motivazione. La prin­cipessa Olimpia, prima dama di Corte della principessa ereditaria, civetta con un qualun­que capitano degli usseri, in una stazione ter­male austriaca. E la terra non trema sotto i loro piedi. (Alberto trae grandi boccate di fumo) Vedo il tuo silenzio, per quanto ti avvolga in una nuvola di fumo. (Ad un cenno di Alberto) No, no: hai taciuto, segno, dunque, che l'ac­cusa non è infondata. Con un capitano di non so quale reggimento degli usseri. Il signor Kovacs. Non è neanche « de Kovacs » ed è qui da due settimane appena. Lo conoscono da due settimane, ma ha fatto molta strada. Eppure, la madre di Olimpia, è una donna cauta. E lo tollera! Suo padre è un principe Piata Ettingen, generale di cavalleria, aiutante di campo di Sua Maestà. E sua figlia osa far questo. Che di­rebbe Filippo, se lo sapesse? Lui che lottò, di­rei come un leone, per riuscire ad elevare sua figlia fino a quel posto. Beh! Che rispondi?

Alberto                          - Ti sarebbe piaciuto sedere in quel posto?

Lina                               - Infatti. Perché negare? Ma io mi comporterei in altro modo.

Alberto                          - Lina, tu stai per cacciarti in un intrigo molto pericoloso. Lina, tu hai perduto il senso della misura. Lina, non contare su me. Non tollero il tono con cui parli di Olimpia, te lo dico chiaramente. Non lo tollero! Olimpia è una donna candida e glaciale e la sua purezza' è al disopra di ogni critica. Proprio per questo è diventata quello che è: il modello della mae­stosità statuaria. E non so come osi adoperare, parlando di una dea greca, la parola «civet­tare». E poi, dove l'hai imparata?

Lina                               - Perdonami. Anche Olimpia è una creatura umana. Lo so, perché è mia parente. Aveva venti anni quando sposò il principe Orsolini e dopo un anno rimase vedova. Pensaci bene. Sono passati undici anni ed essa...

Alberto                          - ...vive come una santa. (In tono perentorio) Come una santa!

Lina                               - Appunto per questo non dovrebbe smettere proprio ora. Riconosco che ha una vita difficile... Per una donna così bella, strana, interessante...

Alberto                          - (impaziente) Insomma, qual'è l'accusa concreta?

Lina                               - Il capitano. Quel rozzo capitano ma­giaro, che ogni giorno giuoca a bridge con sua madre.

Alberto                          - In modo eccellente. Giuoca come un demonio.

Lina                               - E balla.

Alberto                          - Sì. Balla benissimo la csardas. Il valzer meno bene.

Lina                               - E va a cavallo con Olimpia.

Alberto                          - Meravigliosamente, quantunque con troppa audacia. Non sarebbe possibile ca­valcare con più coraggio.

Lina                               - A me il suo ardimento è antipatico. Un soldato deve essere ardito in guerra.

Alberto                          - Non ha la pazienza di attendere. Per cento anni, non vi saranno guerre. Quando lo guardo cavalcare, provo piacere ed ammira­zione.

Lina                               - Come? Anche tu lo adori? Ma lo adorano dunque tutti!

Alberto                          - E tu?

Lina                               - A me è indifferente. Per me, è un soldato fra milioni di soldati dell'Imperatore. Un plebeo magiaro.

Alberto                          - Ed è questa l'accusa che gli fai?

Lina                               - No. Tu sai benissimo qual'è la mia accusa. Perciò sono seduta con te, quasi appar­tata in questo salottino. Quello che è accaduto nel pomeriggio di oggi, oltrepassa tutti i limiti. Nel pomeriggio di oggi, alle corse dei signori, a cui tu naturalmente non hai partecipato...

Alberto                          - Che significa quel «natural­mente? ». Non vi ho partecipato perché non vo­levo. Ti prego, che intendi dire col tuo « na­turalmente? ». Forse ho paura di montare a ca­vallo ?

Lina                               - Questo proprio non l'ho detto.

Alberto                          - E che vuol dire quel « proprio? ». È incredibile, il linguaggio pungente che usi quando parli con me.

Lina                               - Non ti fermare su ogni parola, Al­berto.

Alberto                          - Che significa «su ogni parola?».

Lina                               - Non vuoi ascoltarmi? (Alberto le fa cenno di parlare) Insomma, alle corse di oggi, il capitano ha vinto il primo premio.

Alberto                          - Con pieno diritto.

Lina                               - Questo non mi interessa. Che la ca­valleria vada bene a cavallo, è un dovere. Ma sulla sua spalla svolazzava un doppio nastro, coi colori Ettingen: rosso e azzurro. I colori di fa­miglia della bella dama di Corte. Se lo era ap­puntato per civetteria. E poi, quel saluto mili­tare che ha fatto quando ha ricevuto il pre­mio... e quella selvaggia galoppata fino al palco di Olimpia... si sarebbe detto un attacco simbo­lico. Io le ero seduta vicino e l'ho vista arros­sire. Tutti lo hanno visto.

Alberto                          - Chi ha arrossito?

Lina                               - Olimpia. Il capitano era già rosso, quando giunse fino a noi, avendo sulla spalla i colori della famiglia: rosso e azzurro. Questa è un'ostentazione, caro Alberto, ed egli ha osato sfarla, perché è incoraggiato dal fatto che sono sempre insieme, ogni giorno. Non capisco né la principessa Ettingen, né Olimpia. L'ebbrezza del potere ha tolto loro il giudizio. Credono di potersi permettere tutto. Ma se lo venisse a sa­pere l'Imperatore... se venisse a sapere anche la metà... anche la decima parte... (Breve pausa).

Alberto                          - Cara Lina, non contare su me. lo non ne parlerò, con loro. Questo è certissimo.

Lina                               - - Perché anche tu hai paura del vec­chio Ettingen. Sì. L'aiutante di campo di Sua Maestà è una potenza.

Alberto                          - Senti, Lina. Ho un'idea. Smettila. Ti ho ascoltata, ma ora ti propongo di metter termine a questa azione che dura da vari anni e che si è conclusa con tuo danno, perché non sei diventata tu, dama di corte, ma Olimpia. Lasciami in pace, con tutti questi intrighi. Io sono un loro amico e tu mi torturi inutilmente... Non dirò neanche una parola. Non lo sperare. La lingua non mi ha mai tradito, e in tutta la vita non ho mai fatto un pettegolezzo. (Dopo breve pausa) È fantastico... Io avrei paura di montare a cavallo?

Lina                               - Lo chiami un pettegolezzo?

Alberto                          - E che cos'è, allora?

Lina                               - Critica. Il mio cuore batterà fino alla morte, per l'interesse della famiglia reale. La principessa ereditaria diventerà imperatrice e allora Olimpia assurgerà alla maggiore potenza femminile della monarchia. Purtroppo! Ma se non farà onore a sé stessa, allora quella... quel­la... (Entra la principessa Eugenia Ettingen; Lina continua senza batter ciglio) ... quella stu­penda, straordinaria donna, piena di dignità... Cara Eugenia, parlavo di Olimpia e dicevo ap­punto ad Alberto il mio pensiero in merito alla stupenda prospettiva che ha di diventare la mag­giore potenza femminile...

Eugenia                         - Lina, tu non ne pensi una parola. Certo dicevi qualche cattiveria. Ma sono entrata all'improvviso e hai cambiato il senso della fra­se. Ti conosco.

Lina                               - Perché questo tono?

Alberto                          - (a parte) Io avrei paura di mon­tare a cavallo?

Eugenia                         - Se lo vuoi sapere, ti dirò che adopererò sempre questo tono. Ti controllo continuamente. Non credere, nemmeno per un istante d'esser libera dalla mia vigilanza.

Lina                               - Perché?

Eugenia                         - Mi pugnaleresti subito. Che hai in mano?

Lina                               - Un ventaglio. Perché?

Eugenia                         - Voglio vedere se non è un pu­gnale.

Lina                               - Cara, vorresti punzecchiarmi ?

Eugenia                         - Soltanto punzecchiarti, cara? Ma io speravo di averti già punta...

Lina                               - Oh, non me ne accorgo nemmeno...

Eugenia                         - Peccato. (Siede).

Lina                               - Voialtri Ettingen siete tutti nervosi, perché avete molti nemici. Ne avete tanti, perché la vostra famiglia ha sempre grandi successi.

Eugenia                         - Bene, bene. Noi Ettingen siamo tutti nervosi. (Breve pausa).

Alberto                          - Faccio una proposta: non ti ec­citare, Eugenia. Concedete una piccola tregua al vostro duello.

Eugenia                         - Questa serata mi ha molto stan­cata.

Lina                               - Si vede.

Eugenia                         - Grazie. Se volete saperlo, mi stanca i nervi, quel continuo mescolarsi col po­polo. Il popolo non è fatto per me. Ma oggi non si poteva evitare. È il compleanno dell'Im­peratore.

Lina                               - Che abbia lunga vita!

Eugenia                         - Tutti quegli sguardi ammirati e bramosi, la deferenza del pubblico di questa cittadina verso noi che rappresentiamo, per così dire, la corte imperiale! Oh come mi ha stan­cata. E come è dolce, rimanere qui, in questo angoletto. È veramente gentile, che il direttore dell'albergo ci abbia riservato, per questa sera, il salottino. È un rifugio.

Alberto                          - Ho guardato a lungo tua figlia, Eugenia. Non è mai stata così bella. Queste due settimane le hanno molto giovato.

Lina                               - Gli sports, le lunghe gite, le caval­cate...

Eugenia                         - Ma ora basta. Dopodomani sare­mo a Venezia.

Lina                               - Che delizia!

Alberto                          - Anche qui è bello.

Eugenia                         - Ci si sta bene, ma c'è troppa gen­te. Borghesia. Non posso sopportare questa co­munanza. A Venezia, ci troveremo fra estranei, in incognito. Ma qui è gente nostra: industriali, banchieri. Vi sono perfino dei giornalisti. Nella stessa acqua in cui mi bagno io. Ecco il terri­bile delle sorgenti termali. Si può chiudere in un recinto il mare, i monti, i boschi, per rima­nercene fra noi; ma le sorgenti termali, no. Se si potesse portarle via di qui, con delle tuba­zioni, lontane dal popolo...

Alberto                          - Bisogna riconoscere che il popolo è stato molto gentile alla festa di oggi.

Eugenia                         - Sì, non si può negare. Sono felice che l'Imperatore sia così amato. È stato molto piacevole come ultimo giorno. Mio marito giun­gerà domattina alle sette col diretto di Vienna. Ti prego, Alberto, conduci qui mia figlia. An­ch'essa dev'essere stanca.

Lina                               - Tua figlia era bellissima, nel pome­riggio di oggi...

Eugenia                         - Credi? (Ad Alberto che si avvia) Alberto, vuoi giuocare per un'ora a brigde?

Alberto                          - Non ho nulla in contrario.

Eugenia                         - È mezzanotte passata. Dalle nove, cerco di combinare una partita senza riuscirvi.

Alberto                          - Quanti siamo, finora?

Eugenia                         - Due.

Lina                               - Ed io?

Eugenia                         - Perché lo chiedi? Sai che con te non giuoco.

Lina                               - Naturale. Per te occorre un capitano.

Eugenia                         - Sicuro. Tu non sai giuocare. Il capitano, invece, è un maestro. Giuoca addirit­tura come un angelo. Alberto, cercami il capi­tano Kovacs e poi, quando saremo in tre ve­dremo a chi concederemo l'onore di fare da quarto.

Lina                               - Lo ami tanto?

Eugenia                         - Non lo amo, lo adoro.

Lina                               - Perché perde sempre.

Eugenia                         - Anche per questo. Ma soprattutto perché è un tipo magnifico. Nella vita politica non amo i magiari, ma soltanto essi sanno produrre un esemplare simile. Duro, e nello stesso tempo flessibile. Direi come l'acciaio. E con che gentilezza, con che modestia si comporta nell'alta società! Parla tedesco senza nessun accen­to e francese come un parigino. E il russo poi...

Lina                               - Lo avrà studiato...

Eugenia                         - Non basta studiare... Occorre possedere uno speciale talento. E il suo modo di cavalcare... Conducilo qui, Alberto. Fa presto.

Alberto                          - Dove devo andare a cercarlo?

Lina                               - Nelle vicinanze di Olimpia. (Alberto esce tentennando il capo come per disappro­vare le allusioni di Lina).

Eugenia                         - Che hai detto? Se non sbaglio avresti intenzione di burlarti di noi.

Lina                               - Cara Eugenia, entrerò d'un balzo in argomento. Ascoltami. Tua' figlia esagera. Te Io­dico a costo di farmi uccidere da te: tua figlia esagera.

Eugenia                         - E tu esageri quello che lei esa­gera, sottolineandolo.

Lina                               - Non occorre: salta all'occhio anche senza di me. Quando oggi il capitano galoppava così selvaggiamente dinnanzi al palco, coi colo­ri della vostra famiglia, fra il pubblico vi è sta­to un vero mormorio.

Eugenia                         - Sei tu, forse, che hai mormo­rato.

Lina                               - Non sono stata l'unica. I giornalisti prendevano note nei taccuini. E loro due sono diventati rossi. Inoltre, ho sentito dire che an­che lui si prepara a partire per Venezia. Tirai le somme...

Eugenia                         - Non tiro somme. A te non può importare, tutto questo. (Nervosa) Lina... che hai detto? Che facevano i giornalisti?

Lina                               - Prendevano note sui loro taccuini.. Anzi ho osservato che avevano dei mozziconi di matita.

Eugenia                         - Come fai a sapere, fra tanti bor­ghesi, quali sono i giornalisti?

Lina                               - Chi scrive in un taccuino con un mozzicone di matita è certo un giornalista. Pen­sa a tuo marito e a Sua Maestà.

Eugenia                         - Provvederò presso la direzione dell'albergo. Ah! questo poi no! Ti ringrazio di avermi avvisata. Questo poi no! Una volta, dieci anni fa, fu stampato il nostro nome su un giornale per colpa mia, a causa di un'eredità..» Volevo avvelenarmi, allora.

Lina                               - Vedi?

Eugenia                         - L'Imperatore non mi. guardò per quindici giorni, e non guardò mio marito per due mesi. Meglio non pensarci. La posizione di mio marito fu seriamente scossa, allora. (Si mette le mani sul cuore) Mi viene ancora il bat­ticuore quando vi penso.

Lina                               - Vedi che bisogna stare attenti?

Eugenia                         - Non c'è bisogno di farmelo notare. Olimpia è più orgogliosa e più riservata di suo padre. Ha sempre saputo e saprà sempre fino a che limite può giungere.

Lina                               - Non lo sapevi neanche tu, quando eri giovane.

Eugenia                         - Tu eri innamorata di mio ma­rito. Eppure oggi sono io, sua moglie.

Lina                               - Perché mai ho oltrepassato i limiti.

Eugenia                         - O perché, forse, non li ha oltre­passati mio marito.

Lina                               - Eugenia', questa non è più una pun­zecchiatura: è una pugnalata.

Eugenia                         - Ti fa male, almeno, cara?

Lina                               - Non quanto vorresti. (Entrano Olim­pia e Alberto).

Alberto                          - Uno degli ordini è eseguito. Ecco la dea greca.

Eugenia                         - E l'altro?

Alberto                          - Non era nelle vicinanze...

Lina                               - Mi meraviglio.

Olimpia                         - Abbiamo incaricato quell'amba­sciatore francese di cercarlo. È già andato a prenderlo al bar.

Eugenia                         - (ad Alberto) Hai ordinato il ta­volino ?

Alberto                          - Sì. Giuocheremo in sala di let­tura. Lì saremo soli. (A Lina che vuol parlar­gli) Ti prego, lasciami. Ho paura di montare a cavallo? Lo so, l'ho già sentito. (Seggono in si­lenzio).

Eugenia                         - Non è vero che questo silenzio e questa tranquillità sono riposanti?

Olimpia                         - Provo un vero senso di sollievo. La maggior parte dell'elemento borghese sta per andar via. Finalmente.

Lina                               - Che bella festa, quella di stasera, no?

Olimpia                         - (fredda) Sì. (Pausa).

Lina                               - Sua Maestà è così popolare... Anche tu l'hai constatato, non è vero?

Olimpia                         - (fredda) Sì. (Pausa).

Lina                               - Sei stanca?

Olimpia                         - (c. s.) Sì.

Lina                               - Sei un po' fredda, con me. Anche tu mi odi?

Olimpia                         - Sono nervosa.

Eugenia                         - La vicinanza del popolo. Olim­pia davvero non lo sopporta.

Olimpia                         - Non lo sopporto. Non lo posso neanche vedere.

Eugenia                         - Oh se si potesse portar via di qui l'acqua termale! 0 se, almeno, non ne avessi bisogno. Ma che fa il capitano? Viene o non viene ?

Alberto                          - Certamente lo stanno festeggian­do. È l'eroe del giorno. Lui sì, che è un ardito cavaliere. Oggi, nel pomeriggio, ha messo in giuoco la sua vita. Ma non c'è da stupirsi. (A Olimpia) Eri spaventosamente bella. Si capiva che fosse così ardito. Non ti pare?

 Olimpia                        - No. È un cavaliere ed ha caval­cato da pari suo. (Breve pausa. Entra Kovacs).

Kovacs                          - (rimane in posizione di attenti) Principessa, l'ambasciatore francese mi ha co­municato l'ordine di presentarmi a Vostra Ec­cellenza.

Eugenia                         - Finalmente l'hanno trovato!

Kovacs                          - Oh prego! Mi hanno trovato su­bito.

Eugenia                         - E viene soltanto ora? Forse si sarà fatto pregare...

Kovacs                          - Oh!

Eugenia                         - Lo merito, perché l'ho viziata.

Alberto                          - Tutti lo viziano.

Lina                               - Tutti, tutti.

Eugenia                         - Immagina perché l'ho fatta chia­mare?

Kovacs                          - (sorride) Per una partita?

Eugenia                         - Infatti. Alberto si è procurato un magnifico tavolino in un angolo tranquillo della sala di lettura, ma giuocheremo soltanto per un'ora, perché mi sento stanca. (Si alza) Andiamo. Venga, caro maestro delle carte. Que­sto è l'ultimo giorno: non sciupiamo un tempo tanto prezioso.

Lina                               - Con che passione lo dici!

Eugenia                         - Si tratta del giuoco, che, per me, rappresenta quello che i romanzieri chiamano « una grande passione! »     (ad Alberto) Ti pre­go, Alberto, conduci anche l'ambasciatore in sala di lettura.

Kovacs                          - (a parte a Olimpia) Voglio par­larle. (Olimpia non risponde).

Alberto                          - Andate pure. Ve lo condurrò su­bito. (Esce da destra).

Eugenia                         - (a Olimpia) Tu assisterai al giuo­co, non è vero?

Olimpia                         - (a Eugenia, trattenendola) Ti pre­go, mamma... un momento solo... prima di en­trare.

Eugenia                         - Giuoca per me Lina, finche non verrò.

Lina                               - Come? Ora vuoi che giuochi?

Eugenia                         - Scusa. Non giuoco « con te », ma tu puoi giuocare «per me». Va e giuoca male, per farmi arrabbiare. Ecco una buona occasio­ne. (Si avvicina ad Olimpia. Lina e Kovacs via a sinistra).

Olimpia                         - Hai visto come mi sono compor­tata con Lina?

Eugenia                         - Hai fatto benissimo.

Olimpia                         - Mentre mi accompagnava qui, Al­berto mi ha avvertito che Lina ordisce qualche intrigo. Alberto è un amico fidato, un buon parente e un uomo fedele. Lina è pericolosa. Stasera si è fatta presentare un giornalista e un fotografo.

Eugenia                         - Ti ringrazio dell'informazione, figliuola mia. Provvedere energicamente. Ma ora siamo obiettivi. Sai che di ciò non ti ho mai parlato. Ora però ti dico: sta attenta, con quel capitano degli usseri. Sii saggia. Per la prima volta vedo che sei imprudente. Noi siamo sotto il terribile controllo dell'invidia. Intere fami­glie ci spiano, per scoprire se commettiamo il minimo errore. Di Lina non ve n'è una sola, ma mille. Tutta Vienna è un'immensa Lina. Devo aggiungere altro?

Olimpia                         - No, mamma. E ti ringrazio sin­ceramente.

Eugenia                         - Ho sentito che anche lui vuol ve­nire a Venezia.

Olimpia                         - Chi te lo ha detto?

Eugenia                         - Lina.

Olimpia                         - Ed essa come lo sa?

Eugenia                         - Lo ignoro. Lina è capace di chiac­chierare perfino con un impiegato dell'ufficio viaggi. Lo sa. Questo è un fatto. E sta tran­quilla, che non è donna da serbare il segreto. Il capitano non deve venire a Venezia. Il ca­pitano non deve venire in nessun posto, dove giamo noi. È una cosa che bisogna finire per sempre. Avrebbe già dovuto finire.

Olimpia                         - Non c'è mai stato nulla...

Eugenia                         - Appunto per questo. È evidente che è innamorato e non è capace di nascon­derlo. È una cosa che non si può tollerare... non si può permettere. Pensa agli occhi azzurri freddi e spietati dell'Imperatore. Mi passa un brivido per la schiena.

Olimpia                         - Dunque?

Eugenia                         - Devi proibirglielo. Francamente, onestamente, ma spietatamente. Bisogna finir­la. E subito. Perché chiudi gli occhi? (Olimpia non risponde) Ti sarà difficile?

Olimpia                         - Sì.

Eugenia                         - È necessario.

Olimpia                         - Lo so.

Eugenia                         - E subito.

Olimpia                         - (turbata) Mamma... devo confes­sarti ancora una cosa...

Eugenia                         - Ahi!

Olimpia                         - Niente «ahi» mamma. Ho scrit­to una lettera al babbo... nell'interesse del ca­pitano.

Eugenia                         - E non mi avevi detto nulla...

Olimpia                         - No. Ho voluto farlo da sola. Sai che l'Imperatore cerca1 un maestro d'equitazio­ne per l'arciduchessa Eleonora... sai quanti ne ha respinti, finora. Vuole un uomo perfetto, ac­canto alla sua figliuola preferita.

Eugenia                         - E tu hai raccomandato il capi­tano.

Olimpia                         - Ho scritto al babbo che «io» lo prego di farlo. Sai che se «io» chiedo qualche cosa al babbo... (La guarda) Ho fatto male?

Eugenia                         - No, cara, hai fatto bene. Hai re­so un servigio a Sua Maestà. Sua Maestà non potrebbe trovare un maestro di equitazione più perfetto per la sua figliuola preferita. Era tuo dovere, anzi. Il capitano è un gentiluomo dalla testa ai piedi. L'Imperatore ti sarà grata... Ma...

Olimpia                         - Ma?...

Eugenia                         - È un motivo di più per allon­tanarlo da te. Se volessero malignare, potreb­bero dire che lo hai raccomandato per ragioni sentimentali. E lui... quell'ufficiale... lo sa?

Olimpia                         - No. Volevo dirglielo soltanto a cose concluse. Tenevo a fargli una sorpresa. Sì... ad un tratto mi è venuto il desiderio di fare qualcosa per quel poverino, qualcosa di meritevole... volevo aiutarlo. Mi sedetti e scrissi al babbo. Da quel momento sono più tranquil­la, quando egli mi fissa col suo sguardo fedele ed estatico. (Con calore) Sento di aver fatto qualcosa per lui.

Eugenia                         - Motivo di più per allontanarlo.

Olimpia                         - Lo so, mamma.

Eugenia                         - E subito. Se permetti ti dò un consiglio... basandolo sulla mia esperienza gio­vanile... non basta soltanto ferirlo. Non si può torturare un uomo, bisogna essere umani; bi­sogna ucciderlo. L'uomo è una selvaggina nobi­le; e la donna deve essere un cacciatore nobile. Qualche volta, basta una sola parola, per atter­rare un essere: ma deve colpire al cuore. Ca­pisci, figlia mia?

Olimpia                         - Capisco, madre mia... Ti prego, mandalo subito qui. (Eugenia esce in fretta da sinistra. Olimpia attende immobile e rigida. En­tra Kovacs che si ferma sull'attenti).

Kovacs                          - Che desidera da me, prego? Poco fa mi ha detto che voleva parlarmi. Loro par­tono. Domani sera.

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - Scusi... Mi permetterò di farmi ve­dere a Venezia.

Olimpia                         - Lei ha già il biglietto?

Kovacs                          - Sì.

Olimpia                         - Dove lo ha comprato?

Kovacs                          - All'ufficio viaggi.

Olimpia                         - Non è possibile che si faccia ve­dere a Venezia.

Kovacs                          - Pensavo che... come scorta...

Olimpia                         - Viaggeremo con mio padre.

Kovacs                          - Le ho detto che ho la fortuna di conoscere l'eccellentissimo principe. L'anno scorso a Karlsbad, abbiamo spesso fatto delle passeggiate insieme.

Olimpia                         - A Venezia non le faranno. Lei do­vrà evitare anche il paese dove noi siamo.

Kovacs                          - Ma io l'amo fino a morirne.

Olimpia                         - Appunto per questo.

Kovacs                          - Non sono più un bambino. Tra po­co, fra i miei capelli neri ne spunteranno dei bianchi. Questo sentimento segna la fine della mia vita... È l'ultima occasione che ho di dir­glielo.

Olimpia                         - (glaciale) E che desidera?

Kovacs                          - Non capisco la domanda.

Olimpia                         - Chiedo: che desidera? Qual'è il suo scopo?

Kovacs                          - Il mio scopo? Se lei vuole, posso spegnere il sole o dar fuoco al mondo...

Olimpia                         - (lo interrompe) No, no... lasci i melodrammi. Restiamo nella1 realtà.

Kovacs                          - Da quando l'amo, non vivo più nella realtà. Io...

Olimpia                         - Ho chiesto: qual'è il suo scopo?

Kovacs                          - Il mio scopo? Dinnanzi a Dio, agli uomini e alla legge...

Olimpia                         - (lo interrompe) Alt. Il suo di­scorso comincia come se... (Lo fissa molto se­vera) ...come se alludesse ad un matrimonio.

Kovacs                          - Infatti.

Olimpia                         - Lei è pazzo  - (Pausa).

Kovacs                          - Mi perdoni... Perdoni la mia fan­tasia!

Olimpia                         - Dovrei lasciarla qui, su due pie­di, se non avessi ancora qualcosa da dire.

Kovacs                          - Riconosco d'aver sperato l'impos­sibile.

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - La scongiuro! Se potessi essere il suo umile schiavo...

Olimpia                         - Una relazione?

Kovacs                          - Perché dice così?

Olimpia                         - Bisogna dare un nome a tutto... È necessario finirla.

Kovacs                          - Come è mutato il suo tono.

Olimpia                         - Occorre badare ad ogni parola. Matrimonio? Suppongo che fosse uno scher­zo... Una relazione? (Lo guarda cupa) E chi sono io?

Kovacs                          - Una donna.

Olimpia                         - Ma non per lei, capitano.

Kovacs                          - Allora... io...

Olimpia                         - Basta, la prego. Eliminiamo da noi freddamente ogni sciocca poesia... Non è il caso di fare una così detta conversazione. Coloro che vogliono avvicinarsi, discorrono.

Kovacs                          - Ma io... Io conosco... conosco un suo sentimento...

Olimpia                         - (lo interrompe) Lo sto ucciden­do, proprio in questo istante... devo impedirgli di diventar grande e di sopraffarmi.

Kovacs                          - Dunque, mi ama.

Olimpia                         - Perché lei si renda conto che tutto è finito, confesso anche questo. Sì... sen­tivo un desiderio... Lo sento ancora, per lei. Ma deve rimanere allo stato di desiderio. Saprò dominarlo.

Kovacs                          - Perché?

Olimpia                         - Perché non sono una piccola bor­ghese. Sono un essere superiore, io, e credo nella mia superiorità, anche biologica. Sono più di un essere umano. Noi siamo costretti ad agire così, quando intorno a noi un misero mon­do impazzisce.

 Kovacs                         - Ma ieri ancora... quando eravamo a cavallo, vicini... quando mi ha fissato... E anche ora... i suoi occhi hanno un linguaggio diverso.

Olimpia                         - Io « devo » vivere così.

Kovacs                          - Da dieci anni.

Olimpia                         - Da undici.

Kovacs                          - E mai nessuno?...

Olimpia                         - Non posso mentire dinnanzi a lei. Lei, per me, è come un medico qualun­que... o un servo. Dopo la morte di mio ma­rito... una volta... qualcuno entrò nella mia vita.

Kovacs                          - Chi?

Olimpia                         - Certo si sorprenderà che io ri­sponda alla sua grottesca domanda. Ma deve sa­pere a chi ha osato offrirsi, capitano Kovacs. Una volta... mi ha amata un re.

Kovacs                          - Come è diventata pallida!

Olimpia                         - È il grande ricordo... E ora ei metta al mio posto, e da questa altezza guardi giù, fino al signor Kovacs. Comprende?

Kovacs                          - Comprendo. (Aggressivo) Ma io la voglio ugualmente. (Le si avvicina) Non ce­do! Nulla al mondo potrà scacciarmi.

Olimpia                         - Plebeo!

Kovacs                          - (china il capo. Pausa) Sono un plebeo, sì. Ma sento il mio sangue pulsare ugualmente. E lei ha ballato con me.

Olimpia                         - Perché è un ufficiale. Se fosse vescovo, le bacerei la mano. Bacerei l'anello, come ho ballato con la sua divisa; non con lei.

Kovacs                          - (con amara ironia) E per quelle poche stellette le brillavano tanto gli occhi?

Olimpia                         - No. (Coraggiosamente) Mi inte­ressava il suo tipo... uno strano tipo del po­polo.

Kovacs                          - Non è vero. Io interessavo i suoi sensi.

Olimpia                         - Tutto è lecito, ai morituri. (Bre­ve pausa) I miei sensi? Può darsi che io impaz­zisca, una volta, e che rubi una pietra preziosa nel negozio di un gioielliere. Può darsi anche che, una volta o l'altra, faccia giustiziare qual­cuno, per una mia leggerezza... questo lo posso immaginare... ma i miei sensi? Non vorrà cre­dere?... Fantasia da plebeo (Kovacs tace a denti stretti e la guarda negli occhi) Finiamola. Inu­tile che si crucci. Ho provveduto a risarcirla.

Kovacs                          - (con amarezza) Risarcirmi?

Olimpia                         - Appunto. Forse, in questa stessa ora, in questo stesso momento, Sua Maestà l'Im­peratore parla di lei. Una volta, in sua pre­senza abbiamo ricordato che l'Imperatore cer­ca un maestro di equitazione per la sua pre­diletta figlia l'arciduchessa Eleonora. Così co­minciano le grandi carriere. Ho scritto a mio padre, e fra cento e cento, lei sarà il prescelto.

Kovacs                          - È così che mi ripaga?

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - Mandandomi a fare lo stalliere... Eh già! Solo un plebeo è adatto...

Olimpia                         - A fare il servo. Certo. (Nervosa) Ma a che giova parlare più a lungo? Si osservi, si esamini freddamente. I suoi modi sono gen­tili ma plebei. La sua abilità, la sua astuzia, la stessa adorazione che ha per i cavalli... tut­to è da plebeo. (Kovacs le si avvicina. Essa indietreggia) Soltanto quest'audacia non è ple­bea. (Kovacs rialza il capo) I miei antenati avrebbero fatto impalare i suoi padri, se aves­sero osato elevare tanto le proprie ambizioni... A me, purtroppo, non sono rimaste che le pa­role... Plebeo! Rientri fra i suoi simili... ple­beo dorato.

Kovacs                          - (sottovoce ma, energico) A un me­dico potrebbero forse interessare le cause del suo contegno aggressivo. C'è chi gode, tortu­rando a sangue un uomo... è un bisogno pato­logico molto noto... non voglio dirne il nome.

Olimpia                         - Che misera e gretta fantasia. È addirittura comica! Non essere capace di cre­dere che lo scaccio, semplicemente. Per far questo bisogna essere ammalati? Vada, vada, povero figliuolo! È stato un capriccio. Neanche. Qualunque cosa sia stata, ormai è finita. (Breve pausa. Passa al voi) Dimenticate. Bevete dei li­quori forti... il vostro aspetto è abbastanza piacente... amate delle belle donne, ma... lag­giù, a casa vostra. (Pausa).

Kovacs                          - (quasi sull'attenti) Posso andare, principessa?

Olimpia                         - Sì. (Entra Eugenia).

Eugenia                         - Olimpia, è molto tempo che sei qui, appartata. (Silenzio) E lei? Venga capi­tano. L'attendiamo impazienti.

Kovacs                          - Mi rincresce; non posso, princi­pessa. Mi congedo rispettosamente (Si inchina rigido).

Eugenia                         - Dove va?

Kovacs                          - A bere dei liquori forti e ad ama­re delle belle donne. (Esce in fretta da destra. Breve pausa).

Eugenia                         - Però è fantastica, questa partita. Eravamo in tre: io, Alberto e il capitano. E aspettavamo l'ambasciatore. Ci ha fatto avver­tire che sarebbe venuto subito. È giunto in que­sto momento, e ora è il capitano che se ne va. Così siamo di nuovo in tre. Dalle nove cer­co di organizzare una partita senza poter riu­nire più di tre giuocatori. Ci sarebbe Lina; ma io con lei non giuoco.

Olimpia                         - È di proposito, che parli della tua partita con tanti dettagli?

Eugenia                         - Sì.

Olimpia                         - E perché?

Eugenia                         - Mi pare che la tua faccenda sia così ben sistemata, che non è più il caso di parlarne neanche fra noi.

Olimpia                         - Perché non dovremmo parlarne?

Eugenia                         - Lo hai ucciso?

Olimpia                         - Sì.

Eugenia                         - Allora... (Breve pausa) O vuoi alleggerirti un po' l'anima? Se è così, parlia­mone. (Pausa) Ti fa male?

Olimpia                         - Sì.

Eugenia                         - Devi essere stata molto spietata.

Olimpia                         - Non lo sono mai stata tanto.

Eugenia                         - Ah sì?

Olimpia                         - Meno non sarebbe servito a nulla.

Eugenia                         - Ah sì?

Olimpia                         - Se lo fossi stata meno, domani m'avrebbe perdonata. Bisognava offenderlo co­me una donna può offendere un ufficiale.

Eugenia                         - E...?

Olimpia                         - L'ho fatto. (Pausa) Perché taci? Ti dispiace per lui?

Eugenia                         - No. Ti ammiro. Sei forte! Ma come sei riuscita?

Olimpia                         - Lo amo. Altrimenti non sarei stata capace di ucciderlo. Io credo nelle ragioni per le quali l'ho ucciso. Credo nella disugua­glianza degli uomini... credo che egli mi con­tamini col suo solo desiderio... in questo cre­do! Sì. Credo!

Eugenia                         - E ora... ti fa male?

Olimpia                         - Più di quanto mi aspettassi. Ma deve essere così. Sono riuscita perfettamente.

Eugenia                         - Insomma, tutto è finito.

Olimpia                         - Per sempre. L'ho giustiziato come lo zar Pietro il Grande giustiziò il figliuolo che amava, convinto di agire nell'interesse dello Stato.

Eugenia                         - Sempre la storia degli uomini eccelsi ci fornisce un esempio che tranquillizza il nostro spirito.

Olimpia                         - Cara madre, tutto questo è tal­mente finito, che stanotte dormirò tranquilla per la prima volta, da due settimane. Lo con­fesso. (Entra Lina).

Lina                               - Eugenia, credo che finalmente la tua partita è organizzata. Di là sono già in due, Alberto e il francese. Tu sei la terza... E dov'è il capitano?

Eugenia                         - Nel salone da ballo, credo.

Lina                               - (a Olimpia) Come? Non giuoca?

Olimpia                         - Non so. (Nervosa) Perché lo chie­di a me?

Eugenia                         - Rinunzio alla partita, Olimpia. Andremo a dormire.

Olimpia                         - Sì, mamma. Anch'io sono stanca. Prima finisco questa sigaretta'.

Eugenia                         - Ti prego, Lina... Resto qui io con Olimpia. (Aspetta che Lina se ne vada ma essa non si muove) Fa le mie scuse al francese, e dì ad Alberto che ci vedremo domattina alla sta­zione. Mio marito arriva alle sette precise.

Lina                               - Insomma, la partita...

Eugenia                         - Non si fa. (Pausa) Buona notte, Lina.

Lina                               - Buona notte. Non vorrei essere in­discreta, ma da tutta questa situazione, intuisco che deve essere accaduto qualche cosa... qual­che cosa di molto giusto, che mi fa felice.

Eugenia                         - Buona notte, Lina.

Lina                               - Buona notte. Verrò anch'io alla sta­zione.

Eugenia                         - Alle sette di mattina?

Lina                               - Che vuoi farci? È il cuore che me l'ordina. Cara Eugenia, so di darti un piccolo dispiacere... ma ti confesso che sono ancora in­namorata di tuo marito. (Via in fretta da sini­stra. Breve pausa).

Eugenia                         - Vuoi passeggiare un po' nel par­co con me?

Olimpia                         - No.

Eugenia                         - Vuoi andare a dormire?

Olimpia                         - No. Sarei rimasta volentieri in sala da ballo. La luce, il rumore, la musica mi farebbero bene... Ma ormai siamo alla fine del­la festa...

Eugenia                         - Già, non ci sono più che poche persone, e noi non possiamo essere le ultime. Vuoi bere qualche cosa? Un buon liquore?

Olimpia                         - Io no. Ma se tu vuoi...

Eugenia                         - Non oso. Ho già fumata un ava­na molto forte, e il cuore mi palpita. (Pausa) Dio mio! Dopo domani Venezia. Come sono contenta. Arriveremo presto... troveremo il Ca­nal Grande che si bagna nel sole... È bello, la mattina presto, a Venezia, in gondola lungo il Canal Grande, fra i palazzi. È una visione sem­pre fresca e sempre nuova. Mi fa ricordare il tuo povero marito e la sua famiglia1. Gli Orsolini furono dogi. Regnavano lì... In fin dei con­ti, era il tuo regno, anzi, il tuo impero. Che bei sogni in quella piccola nave... (Da destra entra Krehl, tenente colonnello dei gendarmi, in alta tenuta, e si ferma rigido dinnanzi ad Eugenia che lo guarda fredda) Prego...

Krehl                             - Devo chiederle mille scuse, eccel­lentissima signora principessa. Benché qualche ora fa abbia avuto la fortuna di esserle presen­tato... ripeto: Giovanni Farkass Krehl, tenente colonnello degli imperiali regi gendarmi, co­mandante generale della zona. Chiedo rispetto­samente che mi venga concessa la grazia di ri­ferire su una cosa importante. (Batte i tacchi) Ai suoi ordini.

Eugenia                         - Dica.

Krehl                             - Se mi comandasse di parlarle a quattr'occhi, sarei egualmente ai suoi ordini.

Eugenia                         - Questa signora è mia figlia.

Krehl                             - Obbedisco. (A Olimpia) Giovanni Farkass Krehl, tenente colonnello degli I. R. gendarmi. Eccellenze, narrerò loro, parola per parola, quanto è accaduto. Vengo direttamente, senza essermi fermato un solo istante, dalla ca­bina telefonica. Sono stato informato dal mio ufficio che alle 24,40 avevano telefonato da Vienna, chiedendo un colloquio personale con me. Il sottufficiale di picchetto ha risposto che non ero in ufficio, ma che questa sera ero di servizio qui, per la festa del genetliaco di Sua Maestà. Due minuti dopo ricevuto il rapporto, ossia alle 24,42, sono stato chiamato al telefono qui in albergo. Era la1 Direzione Generale della Polizia di Vienna, la quale mi ha comunicato quanto segue: « Ci risulta che Mejrovszky, il famoso avventuriero internazionale, è costì. Bi­sogna vigilarlo, e, al primo sospetto d'un ten­tativo di fuga, arrestarlo. Un ufficiale della Po­lizia è già partito da Vienna e sarà da voi do­mattina per dirigere le ulteriori operazioni».

Eugenia                         - Sì... va bene... ma scusi: come c'entriamo, noi?

Krehl                             - L'avventuriero in questione è qui, in divisa di ufficiale degli usseri, secondo una sua abitudine. Il capitano Kovacs non è affatto capitano, e nemmeno Kovacs, ma Mejrovszky. È un pregiudicato, ben noto alla polizia di tutte le capitali del mondo. In questi ultimi tempi, ha ingannato l'Ambasciatore di Parigi. È un avventuriero internazionale, sotto l'aspetto di un vero signore, baro, ladro ferroviario e topo d'albergo. Parla undici lingue. (Breve silen­zio).

Eugenia                         - L'am... l'am... l'ambasciatore francese ce lo ha presentato... (Si aggrappa alla poltrona).

Krehl                             - Come poteva saperlo, l'ambascia­tore?

Olimpia                         - E lei, che desidera da noi, adesso?

Krehl                             - La mia situazione è molto deli­cata. Ho avuto la fortuna di vedere spesso le Loro Eccellenze in compagnia del capitano... la mattina a cavallo, la sera al tavolino da giuo­co. Conosco i miei doveri verso la famiglia dell’Aiutante di Campo di Sua Maestà... ecco perché, prima di agire, comunque, ho creduto di dover informare le Loro Eccellenze... Del resto, lo avrei fatto ugualmente, anche se le istruzioni di Vienna, non fossero state precisamente queste: «Salvaguardare assolutamente le perso­ne di alto grado che soggiornano costì ». I due agenti, che erano al ballo, ora lo sorvegliano. Non può fuggire!

Eugenia                         - (semisvenuta) Grazie... La rin­grazio molto... È terribile! (Piccola pausa) Olimpia...

Olimpia                         - È un colpo mortale...

Krehl                             - Eccellenze...

Eugenia                         - Prima di tutto, ci lasci sole un momento, la prego... Poi parleremo... Solo un momento, affinché possa riavermi... Qui biso­gna agire con molta saggezza... Niente scandali!

Krehl                             - È così!

Eugenia                         - Dio mio! (Barcolla).

Olimpia                         - Mamma!

 

Eugenia                         - E fra poche ore giunge tuo pa­dre... Alle sette precise. E i giornalisti che pren­dono appunti... Dobbiamo parlare di tutto que­sto... su, nel nostro appartamento... No, non è possibile!... Lei torni qui, poi, senza dar nell'occhio. Dica fuori che ha bisogno di chieder­mi una raccomandazione... la grazia d'un in­tervento presso il Capo di Gabinetto di Sua Maestà.

Krehl                             - Come comanda, Eccellenza. Fra quanti minuti devo tornare?

Eugenia                         - Cinque... quattro... solo che possa respirare una boccata d'aria.

Krehl                             - (saluta ed esce a destra).

Eugenia                         - Una boccata d'aria... Andiamo nel parco... Oh Dio... (Si avvia ma ad un tratto si ferma, getta un grido e barcolla).

Olimpia                         - Mamma! Mamma! Che hai?

Eugenia                         - La tua lettera! Solo ora me ne rammento! Forse, in questo istante tuo padre è dinnanzi all'Imperatore... e gli raccomanda con fervore di affidare la sua figlia prediletta a... a un ladro che è già stato in carcere! Aria! Aria! Un po' d'aria, ti prego... Vieni... (Si avvia).

Olimpia                         - Bisogna dimostrare che siamo forti, mamma. Potremmo ancora incontrare qualcuno... Passiamo di là... per la sala di let­tura... (La sostiene).

Eugenia                         - Sì... giusto... E bisogna sorride­re... Sorridi!

Olimpia                         - Bene, mamma. Sorrido... Ma sor­ridi anche tu!

Eugenia                         - Subito, figlia mia. Aspetta un momento... (Si sforza di sorridere) Va bene così?

Olimpia                         - Abbastanza, mamma cara...

Eugenia                         - Allora facciamo presto, figlia mia, finché son capace di sorridere... (Esce in fretta da sinistra con un ghigno amaro. Olim­pia la segue subito).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Lo stesso ambiente, dieci minuti dopo. Quan­do il sipario si alza da sinistra entrano Eugenia e Olimpia.

Eugenia                         - Grazie a Dio mi sono un po' ria­vuta... solo fisicamente, si capisce. (Siede e tira un sospiro di sollievo) Non avrei mai creduto che fosse tanto importante, avere abbastanza aria fresca. Per quanto tempo abbiamo passeg­giato in giardino?

Olimpia                         - Dieci minuti.

Eugenia                         - Forse il maresciallo dei gendar­mi è già tornato.

Olimpia                         - Tenente colonnello...

Eugenia                         - Sia pure: tenente colonnello. (Fa la solita smorfia di sorriso).

Olimpia                         - Scusa mamma, mi pare che tu sorrida ancora.

Eugenia                         - Non è un sorriso... è una contra­zione nervosa... è involontaria. Aspetta... (Si sforza) Ora non sorrido più?

Olimpia                         - Un po' meno, mamma.

Eugenia                         - Lo spillo col monogramma, c'è?

Olimpia                         - Non manca nulla, mamma. Sta tranquilla. I gioielli di valore sono nella cas­setta di sicurezza... e dei piccoli, non ne man­ca neanche uno. Ho contato minuziosamente ogni perla e ogni pietra.

Eugenia                         - E terribile! Ed ha il coraggio di dire che conosce anche il babbo... Che hanno passeggiato insieme a Karlsbad. (Piangendo) Certo il babbo non avrà fatto come noi... lo avrà tenuto un po' più a distanza.

Olimpia                         - (impaziente) Bene, bene. Ma ora che decideremo, mamma?

Eugenia                         - (si asciuga gli occhi) Saprò; que­sto è certo... fra cinque minuti, saprò che cosa devo decidere. In questo momento non posso prendere nessuna iniziativa. Purché la polizia, frattanto non guasti tutto. Che bisogna agire, è indiscutibile. Occorre agire. Sì! È prima di ogni cosa, devi confessare tutto.

Olimpia                         - Non vi è nulla da confessare.

Eugenia                         - Che c'è stato, fra voi?

Olimpia                         - Niente.

Eugenia                         - Quante volte «niente»?

Olimpia                         - Niente! Niente! Per esagerare molto, dirò: un po' di flirt.

Eugenia                         - Che disgrazia! Quando tuo padre verrà a sapere chi è quell'uomo...

Olimpia                         - Se penso al momento in cui verrà a saperlo... Non mi brucio le cervella solo perché voglio troppo bene al babbo.

Eugenia                         - (in tono di rimprovero) E a tua madre?

 Olimpia                        - Oh! (L'abbraccia. Si baciano. Olimpia si asciuga gli occhi).

Eugenia                         - E la Corte?... e Lina?... (Grida) Lina! Lina! E le altre centomila «Line »! e Sua Maestà! Se penso ai suoi freddi occhi azzurri, preferirei subito avvelenarmi. In simili casi, Sua Maestà non usa riguardi neanche per la sua stessa famiglia. È veramente sublime, nella sua crudeltà. (Grida) E tuo padre! Tuo padre! Tuo padre che ha fatto entrare, di contrabbando, un ladro nell'imperial regia famiglia! Questo è un po' più del flirt! Che cosa gli hai scritto? Almeno, lo hai raccomandato freddamente?

Olimpia                         - Se anche lo avessi raccomandato freddamente, tu conosci il babbo e sai com'è quando «io» gli chiedo qualche cosa. Ma l'ho raccomandato caldamente.

Eugenia                         - Che grado di calore?

Olimpia                         - Ho scritto: «Babbo, in questa occasione devi dimostrarmi il tuo affetto ».

Eugenia                         - Eri pazza!

Olimpia                         - No. Ma in un modo o nell'altro, quel sentimento doveva prorompere.

Eugenia                         - E ti sei sfogata!... Ti sei sfogata bene... Non v'è che una speranza: che tuo padre non abbia ricevuta la lettera. (Dopo una breve pausa grida) Santo Dio! Non l'avrai assicurata?

Olimpia                         - Sì.

Eugenia                         - (sorride spasmodicamente) Mi meraviglio di non aver già scelto la soluzione più semplice: dieci grammi di morfina e tutto sarebbe sistemato per sempre. Se non pensassi a tuo padre... sarei già all'altro mondo. Siamo rovinati. (Mutando tono) Confessa tutto.

Olimpia                         - Non v'è altro.

Eugenia                         - (accennando col dito, incredula) Olimpia...

Olimpia                         - Te lo giuro. Tu mi conosci.

Eugenia                         - Ti conosco e ti credo, figlia mia.

Olimpia                         - (come schermendo sé stessa) Un plebeo... un plebeo placcato d'oro... Oh come sono stata saggia a non cedere...

Eugenia                         - Ma che saggia!... Non sarebbe lo stesso, forse? (Bussano. Sospira) Il gendarme! Avanti!

Krehl                             - (entra da destra) Mi sono già per­messo di ritornare due volte.

Eugenia                         - Ero uscita un po' all'aria aperta, e mia figlia era andata su, per guardare i gioielli.

Krehl                             - Spero che non manchi nulla.

Eugenia                         - Non manca nulla. (Piangendo) Ha rubato soltanto la felicità della nostra vita. (Subito si riprende e si asciuga le lacrime) Dun­que, la prego... (D'improvviso) Nessuno potrà sentirci, qui ?

Krehl                             - Il ballo è terminato. (Apre la ten­da al fondo. Si vede il parco) Nel parco non c'è anima viva... Silenzio e buio. (Richiude la tenda).

Eugenia                         - Eccoci dunque. Guardiamo i fatti a mente serena e lucida. I fatti sono: con mia figlia, flirt; con me, bridge. Lei mi guarda sen­za capire. Forse non sa che cosa è un flirt?

Krehl                             - Certo che lo so, Eccellenza. Ho quattro figli (Olimpia trasalisce spaventata).

Eugenia                         - Questo non c'entra. Lei è in er­rore. Chiamiamo flirt, quell'innocente civette­ria...

Krehl                             - Oh pardon! Mille scuse. Lo so: il flirt è quella piccola, soave, innocente civet­teria...

Eugenia                         - È così.

Krehl                             - Sì capisce. Come sono sciocco. Chiedo scusa. Avevo confuso col bridge.

Eugenia                         - (trasalisce spaventata) Lei cade nuovamente in errore. Il bridge è un giuoco di carte. (Krehl la guarda stupito) Il bridge è un innocente giuoco che si fa in quattro. Il flirt è un giuoco, egualmente innocente, che si fa in due.

Krehl                             - Grazie. Prego scusare la mia igno­ranza... Ma sa, vivo in provincia...

Eugenia                         - Insomma; bridge da parte mia., da parte «mia», signor tenente colonnello... e flirt, purtroppo, da parte di mia figlia. Badi di essere molto cauto, perché potrebbe pagare a caro prezzo le confidenze familiari che ora le facciamo. Non mi piace esagerare, ma l'avverto che un'imprudenza potrebbe costarle la vita. Mi ha detto che ha dei figli, non è vero?

Krehl                             - Sì.

Eugenia                         - Dunque, lei è padre e soldato. Parliamoci come se Sua Maestà sedesse qui e ci guardasse coi suoi freddi occhi azzurri. (Krehl si mette sull'attenti) Fra noi, niente segreti, niente menzogne, niente finzioni. Olimpia, esponi chiaramente, come se fossi dinnanzi al medico.

Olimpia                         - Ho accolto quell'uomo con una leggera, fugace simpatia. La sua divisa mi ispi­rava fiducia. Un ufficiale! Ma ora comprendo che egli ha interpretato male la mia bontà ed è diventato impertinente. È diventato sfaccia­to... Allora l'ho offeso e l'ho messo alla porta. Siamo a questo punto.

Eugenia                         - Comprenderà che in una circo­stanza simile, non si può agire secondo le re­gole normali. È così?

Krehl                             - Sì, principessa.

Eugenia                         - Allora, non si stupisca di quanto le dirò. Senza quell'uomo, non possiamo deci­dere nulla. Le ho già detto di non stupirsi. Non è vero? Eppure lei mi guarda di nuovo, senza comprendere. Pare che questa sia la sua abitu­dine. Ma non fa nulla. Bisogna chiamarlo su­bito.

Krehl                             - Chi?

Eugenia                         - Quell'uomo.

Krehl                             - Quell'avventuriero?

Eugenia                         - Proprio lui.

Krehl                             - In questo momento è nel ristorante. Posso farlo condurre qui?

Eugenia                         - Lei non deve «farlo condurre». Lei invece, uscirà, cercherà un ragazzo e gli dirà: andate dal signor capitano Kovacs e di­tegli che la principessa lo aspetta per il bridge.

Krehl                             - (sull'attenti) Uscirò, cercherò un ragazzo e lo manderò dal signor capitano Ko­vacs, per annunziargli che la principessa lo de­sidera per un flirt... pardon, per un bridge.

Eugenia                         - Precisamente. (Krehl esce in fret­ta da destra).

Olimpia                         - E io, mamma?

Eugenia                         - Tu rimani qui.

Olimpia                         - Mamma!

Eugenia                         - Resta. Non voglio che tu mi con­traddica. Ho assunto il comando e voglio co­mandare io. (Pausa di attesa. Rientra Krehl).

Krehl                             - Il ragazzo è andato a chiamarlo.

Eugenia                         - Allora aspettiamo. (Pausa).

Krehl                             - Spero che le acque termali radio­attive della nostra amena stazione abbiano gio­vato alla salute della principessa.

Eugenia                         - Mi hanno fatto molto bene. (Pausa).

Krehl                             - (a Olimpia) Anche a lei, princi­pessa?

Eugenia                         - Specialmente a lei. (Pausa).

Krehl                             - Possiamo sperare che nella prossi­ma stagione si degneranno nuovamente di ono­rare la nostra amena sorgente termale?

Eugenia                         - Certo. In linea di massima, non andremo mai in altro posto che non sia questo. Può immaginarlo. (Krehl si inchina. Lunga pausa).

Olimpia                         - (sottovoce) Forse, si dovrebbe far sedere quel gendarme.

Eugenia                         - (sottovoce) No, no. Stia pure in piedi. (Breve pausa. Bussano) Avanti. (Entra Kovacs che sembra di buon umore).

Kovacs                          - Bacio le mani. Dunque, si fa il bridge? Così tardi? Giocheremo ancora una partita? (Nessuna risposta. Silenzio penoso. Kovacs si guarda intorno sorridendo. Vede Krehl) Che vuol dire, questo?

Krehl                             - Krehl, tenente colonnello dei gen­darmi, comandante in capo della zona. In no­me della legge, le ordino di dirmi le sue gene­ralità. (Kovacs lo guarda stupito) Le ripeto l'or­dine! (Kovacs muto per lo stupore guarda le due donne) Voi siete Mejrovszki, l'avventuriero. Baro, ladro ferroviario, topo d'albergo.

Kovacs -                        - Impazzite?

Krehl                             - Voi siete l'avventuriero Mejrov­szki.

Kovacs                          - E voi prendete un granchio così formidabile, che, secondo le mie previsioni, entro 48 ore andrete in pensione.

Krehl ........................... - Voi siete l'avventuriero Mejrovszki. Alle sette giungerà da Vienna un certo signore, col vostro incartamento.

Kovacs                          - Un signore? Da Vienna?

Krehl                             - Un agente della polizia di Vienna. È già nel direttissimo. Potrete quindi negare fino alle sette; però, fino a quell'ora, sarete mio ospite. Negate ancora? (Kovacs guarda i pre­senti indeciso) Tanto, non significa nulla. Alle sette saranno qui le vostre impronte digitali. Ebbene? (Kovacs si stringe nelle spalle nervo­samente) Siete Mejrovszki? Sì?

Kovacs                          - (alza le spalle. Con voce sommessa) Sì.

Krehl                             - Finalmente! (Movimento generale).

Kovacs                          - Ha ragione. Tanto, non significa nulla.

Krehl                             - In nome della legge, vi prendo sot­to la mia custodia. Ma poiché col vostro con­tegno impertinente, avete osato portare turba­mento nelle più alte sfere...

Eugenia                         - Bene, bene, signor tenente co­lonnello; non bisogna essere sgarbati. (A Ko­vacs) Lei si domanderà che cosa c'entriamo noi.

Kovacs                          - Non me lo domando.

Eugenia                         - Non se lo domanda! (Inghiotte).

Kovacs                          - No; perché lo so.

Krehl                             - (adirato, afferra con un brusco movi­mento la spada a metà fodero) Compor­tatevi...

Eugenia                         - La prego di non far rumore... specialmente quel rumore di oggetti metallici. Non è una questione da risolvere con le armi. (A Kovacs) Dunque... come cominciare? È molto difficile.

Kovacs                          - L'aiuterò io. Dal momento che sanno già chi sono... Ebbene sì. Sono Mejrov­szki, varie volte condannato, espulso dall'Au­stria...

Krehl                             - Lo sappiamo. Conosciamo la vostra biografia. La cosa è chiara. Anche senza le vo­stre spiegazioni vi arresterò e vi farò portare in prigione.

Eugenia                         - Non lo arresterà e non lo «farà portare »... non si può! Sono convinta che de­sidera uno scandalo... uno scandalo di Corte, di cui parlerà tutto il mondo! Faccia bene atten­zione: lei è soldato e ha dei figli... Quest'uomo... bisogna lasciarlo scappare: è il mio desiderio! In qual modo? Questo riguarda lei: la tecnica le sarà nota, immagino!

Krehl                             - (sull'attenti) Ho compreso.

Eugenia                         - (a Kovacs) Ha sentito?

Kovacs                          - Sì. Scappare...

Eugenia -                       - Precisamente!

Kovacs                          - Ma io non scappo.

Eugenia                         - Non scappa?!

Kovacs                          - No.

Eugenia                         - Dice che non scappa?

Kovacs ........................ - Non è neanche il caso di parlarne. Ho forse commesso qualche cosa? Qui non mi può accadere nessun guaio. Qui c'è giustizia, ci sono avvocati e tribunali. Ho scontato rego­larmente le mie condanne, fino all'ultimo mi­nuto. Se il signor tenente colonnello mi arre­sterà, potranno tenermi in prigione qualche giorno, per porto abusivo di uniforme, contrav­venzione ali articolo 115... tre o quattro giorni di cellulare, al massimo... E per falso nome, contravvenzione all'articolo 247, qualche altro giorno... in tutto una settimana, sì e no, forse nemmeno. Qui, i miei conti sono stati saldati al centesimo, e a nessuno manca nulla. Ho bal­lato... non è un reato! Sono andato a cavallo... neanche questo è un delitto. Ho giuocato... ma lei, principessa, è testimone che ho perduto sempre, e che proprio lei è stata tanto fortu­nata da vincere il mio denaro!

Eugenia                         - Si può sopravvivere, a una cosa simile ?

Krehl                             - No, principessa.

Kovacs                          - Non scappo, me ne vado. Anzi, vado direttamente nelle redazioni dei giornali. (Le due signore, spaventate, si agitano) ... fra una settimana al massimo. Mi rivolgerò ai gran­di giornali stranieri. Tutto il pubblico qui, mi è testimone. Non dico che sia una notizia di interesse mondiale, ma molti, moltissimi la leg­geranno. Le mie memorie! Le avventure austria­che di Mejrovszki nei Circoli di Corte! Mejrovszki... che forse, a quest'ora, è già stato no­minato maestro di equitazione della figlia pre­diletta dell'Imperatore!... grazie alle sue rela­zioni a Corte! Oh, sarà una interessante serie di articoli, non è vero? E coi nomi per esteso... Di solito, per cose simili, ricevo un lauto com­penso da un certo giornale straniero che tira un milione di copie, nei giorni feriali, e ancora di più nei festivi...

Krehl                             - Insomma, vorresti fare un ricatto, mascalzone ?

Kovacs                          - Sì.

Krehl                             - (fa l'atto di gettarglisi addosso) Ti farò a pezzi!

Eugenia                         - No, no! Lasci pure che proponga il ricatto: non aspettavo altro, da quando è en­trato! Non potevo certo essere la prima ad offri­re... ringrazio Dio che finalmente ci siamo giun­ti! (A Kovacs) Dunque, signor filibustiere? Vedo che siete un ' uomo intelligente e moderno. Quanto volete, per sparire e tacere eternamente?

Kovacs                          - Ècco: sono disposto a partire do­mani. Telegraferò dalla Svizzera che son caduto da cavallo, mi sono spezzate le gambe e non posso più fare il maestro d'equitazione... man­derò anche un certificato medico... Sono dispo­sto a dare delle garanzie che non si saprà mai nulla. Il capitano Kovacs fu! Parte, si rompe le gambe, non esiste più. E non mi servirò mai, in seguito, di questo nome e di questa divisa...

Eugenia                         - Quanto vuole?

Kovacs                          - Non voglio danaro!

Eugenia                         - Dio santo! E che vuole?

Kovacs                          - (guarda Olimpia. Silenzio penoso) Amo la principessa... (Krehl afferra con gran fracasso la sciabola).

Eugenia                         - Lasci quella benedetta sciabola, per amor di Dio! Sangue freddo! (A Kovacs) Dite pure, figliuolo. Parlare è permesso.

Kovacs                          - (a Eugenia) Principessa, io sono vittima del mio amore, nel vero senso della pa­rola. Ero venuto qui per «lavorare», come di­ciamo noi... e avrei dovuto rimanere solo qual­che giorno... il tempo necessario per agire, e poi dileguarmi. Ma ho fatto fiasco. Mi sono in­namorato, non ho concluso nulla di buono, e non sono stato capace di ripartire, quantunque avessi previsto l'inevitabile finale! Me lo aspet­tavo da due giorni... ma sono pazzo! Sì, tanto innamorato, non sono stato mai, in vita mia!

Eugenia                         - (dopo breve pausa. Gelida) In­somma, che volete?

Kovacs                          - (guarda Olimpia) Potrei dirlo sol­tanto alla bella principessa.

Krehl                             - (afferra la sciabola) Ti taglio a quarti!

Eugenia                         - Lei non taglia né a quarti né in ottavi. E non si dimeni tanto perché, veramen­te, potrebbero capitarle dei guai!

Krehl                             - (stupito) A me?

Eugenia                         - Sì, a lei. Anche la mia pazienza ha un limite!

Krehl                             - Vostra Eccellenza si esprime come se l'accusato fossi io!

Eugenia                         - Potrebbe diventarlo... Ho detto! (Silenzio grave. Olimpia piange sommessamen­te) Inutile singhiozzare! In questo momento gio­chiamo tutto per tutto. Si può parlare aperta­mente perché quel filibustiere lo sa meglio di noi! Tuo padre è aiutante di campo di Sua Mae­stà e tu sei dama di corte della futura Impera­trice... È un momento decisivo, per la nostra vita; bisogna agire e subito!

Olimpia                         - Mamma... che intendi per «agi­re »?

Eugenia                         - Non sono disposta a dare spie­gazioni!

Olimpia                         - Non comprendo che cosa desideri,, mamma.

Eugenia ....................... - Non desidero nulla... E ti richia­mo all'ordine per questa tua domanda. Qui, ora, tutto è affidato a te. Se vuoi uno scandalo mondiale, io e il tuo povero padre ti ci segui­ remo. Partiremo per sempre... andremo nel­ l'America del Sud... 0, piuttosto, non partire­ mo, perché tuo padre non sopravviverebbe. Ma se anche sopravvivesse un solo minuto, quel mi­nuto lo impiegherebbe a distruggere tutta la sua famiglia! Sai che non esagero!... Il signor Mej­ rovszki, coi nostri colori... Il signor Mejrovszki, uomo di fiducia della famiglia Imperiale... il signor Mejrovszki, tuo ballerino preferito... (A un cenno di Olimpia) Sì, sì, so quello che vuoi dire: mi aspettavo la tua osservazione... mio compagno di gioco... ma me lo hai presentato tu!... Bene, bene! Mi aspettavo anche la tua seconda osservazione: ho sempre vinto io... Fa lo stesso! Non v'è scelta! Subire le conseguenze? No! Piuttosto la morte! (Silenzio).

Krehl                             - (sull'attenti) Principessa, io vado. Ma resterò tutta la notte nelle vicinanze, ai suoi ordini. (S'inchina e si avvia).

Eugenia                         - Vada all'inferno!

Krehl                             - (si volta) Comanda?

Eugenia                         - Nulla.

Krehl                             - M'era sembrato che Vostra Eccel­lenza avesse detto qualche cosa. Non ho sentito bene...

Eugenia                         - (molto nervosa) Ho detto qualche cosa in rapporto alla mia momentanea indigna­zione... Ma ora mi sono calmata e non potrei ripeterla perché manca lo scoppio dell'ira. Mi guarda di nuovo senza comprendere. Stia tran­quillo: così va bene. Può andare. (Krehl saluta in silenzio ed esce in fretta a destra. Pausa).

Kovacs                          - Se m'è lecita una modesta doman­da: che cosa ha intenzione di rispondermi, la bella principessa?   - (Pausa).

Olimpia                         - (semisvenuta) Mamma... che ri­sponderesti tu, ora, al mio posto?

Eugenia                         - (guarda Kovacs con l'occhialino) Come posso rispondere, se questo signore non s'è rivolto a me? Se l'avesse fatto, temo che avrei saputo come regolarmi, trattandosi... (Con le lagrime nella voce) dell'onore di una fami­glia che ha sei secoli di nobiltà. Ma, a me, non ha chiesto nulla!

Kovacs                          - (decisamente) No! (Pausa).

Olimpia                         - È terribile! (Pausa).

Eugenia                         - Ecco uno dei rarissimi casi nei quali una madre non può sacrificarsi per la pro­pria figliuola... (Pausa).

Olimpia                         - (con voce sommessa) Ti prego, mamma, lasciami sola con lui...

Eugenia                         - Non hai paura?

Olimpia                         - No.

Eugenia                         - Bene. Ti lascio... se proprio lo vuoi. Saprai difenderti fino all'estremo. Sono qui accanto; se avrai bisogno di me, mi chia­merai. (Si baciano. Eugenia esce piangendo da sinistra. Lunga pausa).

Olimpia                         - (sottovoce) Che cosa vuole?

Kovacs                          - (sottovoce ma deciso) Lei.

Olimpia                         - Mascalzone! Avanzo di galera! (Kovacs china il capo) Perciò voleva parlarmi con tanta urgenza?

Kovacs                          - Appunto.

Olimpia                         - Prevedeva i gendarmi...

Kovacs                          - Sì. Avrei potuto fuggire durante il pomeriggio. Non l'ho fatto. Un plebeo l'a­vrebbe fatto.

 Olimpia                        - No, non un plebeo... ritiro... Macché! (Lo guarda).

Kovacs                          - Non temo il suo sguardo! Si tratta di ben altro, ora. Sono stato smascherato... Un avanzo di galera! Che sollievo! (Sospira) Ora possiamo parlarci in altro tono, cara! Non pre­go più: esigo! Come sfavillano i suoi occhi! Co­nosco ogni suo pensiero! In questo momento., sarebbe capace di farmi rinchiudere nel carcere della fortezza per lasciarmici morire lentamente di fame.

Olimpia                         - Proprio così! Parola per parola...

Kovacs                          - Ma non si può, cara! Il Medio Evo è finito!

Olimpia                         - La prego, non continui una con­versazione che avevo cominciata con un altre» uomo. Parli in nome suo, da ricattatore, da fi­libustiere...

Kovacs                          - Il suo volto esprime orgoglio e do­lore. Gli aristocratici si avviavano al patibolo, così, al tempo della rivoluzione francese...

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - ... con gioia e ribrezzo... (Olimpia lo guarda stupita) ... felici di potersi sacrificare per il loro re.

Olimpia                         - La mia sofferenza m'innalza al di­sopra di tanto sudiciume!

Kovacs                          - Bella frase, ma un po' melodram­matica! Dunque, principessa; si sente proprio martire ?

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - Mi meraviglio che non pensi al suicidio!

Olimpia                         - Se potesse salvare i miei genitori, il buon nome della Casa Imperiale, e il mio, l'avrei già fatto. Ma rovinerei ogni cosa. Prefe­risco guardare il boia negli occhi.

Kovacs                          - Desidera un buon liquore, alcoolico?

Olimpia                         - Che proposta infame!

Kovacs                          - L'idea non è mia, ma è ottima.. Stordisce...

Olimpia                         - Perché non addirittura un narco­tico? Una martire che prima si addormenta...

Kovacs                          - Gliel'ho proposto soltanto perché mi stupisco che lei sopporti questa situazione.

Olimpia                         - Quello che lei fa ora con me, po­trebbe farlo anche un brigante armato delle montagne balcaniche. Non mi sporca!

Kovacs                          - Ne ho piacere! Strano, come lei sappia guardarmi coraggiosamente negli occhi

Olimpia                         - È inutile continuare a recitare... L'ufficiale degli usseri non c'è più. Siamo due estranei: l'aggressore e la vittima.

Kovacs                          - Un'ora fa mi amava...

Olimpia                         - Non lei, l'altro.

Kovacs                          - E si possono scindere?

Olimpia                         - Sì. (Breve pausa).

Kovacs                          - Vorrei... scusi! È l'altro che vor­rebbe pregarla di sedersi.

Olimpia                         - Non faccia complimenti. Rifiuto.

Kovacs                          - Faciliterei la situazione, se fossi più sgarbato?

Olimpia                         - Sì. (Siede) Ecco.

Kovacs                          - Allora vuol dire che posso tratte­nermi ancora un po'.

Olimpia                         - Si risparmi l'ironia. Non sono io, che agisco qui...

Kovacs                          - E chi?

Olimpia                         - Una prigioniera che è in suo po­tere! Brigante! La borsa o la vita, eh?

Kovacs                          - Sbaglia! Voglio soltanto la sua vita... la sua vita di un'ora... io... come uomo...

Olimpia                         - Lei non è un uomo... è una scia­gura! Le appartengo come il naufrago appar­tiene al mare in burrasca.

Kovacs                          - Se m'è lecito interessarmi a Vostra Eccellenza, qual'è il suo ultimo desiderio?

Olimpia                         - Rivolgerle qualche domanda... (Kovacs fa cenno di chiedere) Ha mai assassi­nato?

Kovacs                          - No.

Olimpia                         - (con sollievo) Ha solo truffato... rubato?

Kovacs                          - Sì.

Olimpia                         - Gioielli, si capisce...

Kovacs                          - Soprattutto.

Olimpia                         - Alle donne?

Kovacs                          - Quelle me li davano...

Olimpia                         - Non capisco. Li rubava?

Kovacs                          - Solo quando non me li davano con piacere.

Olimpia                         - Con piacere?!

Kovacs                          - Non è possibile che lei comprenda una cosa simile.

Olimpia                         - E faceva loro proposte di matri­monio?

Kovacs                          - Si comincia sempre così!

Olimpia                         - E si finisce?

Kovacs                          - Con asportare oggetti di valore.

Olimpia                         - E qui... che voleva?

Kovacs                          - Una collana di perle.

Olimpia                         - Da me ? (Si prende la collana).

Kovacs                          - No. Da lei nulla. Mai!

Olimpia                         - Un ladro sentimentale! Che so­maro!

Kovacs                          - La volevo da sua madre...

Olimpia                         - Perciò perdeva sempre al gioco?

Kovacs                          - Già.

Olimpia                         - E montava sempre a cavallo in­sieme con me?

Kovacs                          - (dopo una pausa) No. Con lei...

Olimpia                         - (lo interrompe) Grazie. Non vo­glio discorrere. Risponda alle mie domande!

Kovacs                          - Pronti!

Olimpia                         - È rimasto tanto tempo, in carce­re? Molte volte?

Kovacs                          - Molte!

Olimpia                         - E... e... indossava il camiciotto degli ergastolani?

Kovacs                          - Sì.

Olimpia                         - Orribile! al petto...

Kovacs                          - Non io: l'altro! (La toglie sorri­dendo e la sfoglia).

Olimpia                         - Dove ha imparato a cavalcare?

Kovacs                          - In America.

Olimpia                         - Come si chiamava allora?

Kovacs                          - Monsieur Legrand.

Olimpia                         - Che mestiere faceva?

Kovacs                          - Il cavallerizzo. In un circo equestre.

Olimpia                         - Chi era suo padre?

Kovacs                          - Un calzolaio di Riga.

Olimpia                         - E dove ha imparato a portare il costume ?

Kovacs                          - La divisa, vuol dire?

Olimpia                         - Ormai non è più una divisa! Non osi chiamarla così, dinnanzi alla figlia d'un vec­chio soldato! Dove ha imparato a portarlo?

Kovacs                          - L'uomo non ha bisogno di « impa­rare» a portare un costume. È questione di ta­lento... (Pausa) Ha altre domande?

Olimpia                         - No.

Kovacs                          - Sa tutto, ora? È soddisfatta?

Olimpia                         - Sì. (Trasalisce spaventata) Oh Dio... viene qualcuno!

Kovacs                          - Stia tranquilla, principessa. Fin­ché vive quel tenente colonnello dei gendarmi, qui non entra nessuno! (Pausa) Il tempo passa...

Olimpia                         - Ordini... disponga... Che aspetta?

Kovacs                          - Una buona parola. Potrò sentirla?

Olimpia                         - No.

Kovacs                          - Uno sguardo...

Olimpia                         - No.

Kovacs                          - Mi ama?

Olimpia                         - No.

Kovacs                          - E l'altro... quello di ieri?

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - Ma che cosa può mutare, un co­stume, di ciò che si ama, in un essere? Quasi sempre, le nostre azioni non sono che un « co­stume». Lei stessa è un esempio di questa ve­rità.

Olimpia                         - Io?

Kovacs                          - Un'ora fa, era lei, che indossava l'abito del boia!

Olimpia                         - Sì.

Kovacs                          - Ma dentro, vi si celava una donna, coi suoi desideri... E dentro questa mia vita sbagliata da ladro, non potrebbe forse celarsi un uomo degno d'essere amato?

Olimpia                         - Brigante!

Kovacs                          - Non mi rimproveri: risponda!

Olimpia                         - No!

Kovacs                          - È questo il suo programma?

Olimpia                         - Sì. (Breve pausa).

Kovacs                          - Il tempo passa. Chiedo una buona parola!

Olimpia                         - No!

Kovacs                          - Ha ancora pochi minuti. Poi, qui, non vi sarà più la donna, ma la principessa.

Olimpia                         - Mascalzone!

Kovacs                          - Ma non è meglio che io sia un bri­gante e un mascalzone, piuttosto che l'altro?

Olimpia                         - No!

Kovacs                          - Chi preferirebbe che fossi?

Olimpia                         - Un cinese col quale non potessi parlare.

Kovacs                          - Perché?

Olimpia                         - La mia sofferenza sarebbe pura.

Kovacs                          - Così non lo è?

Olimpia                         - No.

Kovacs                          - Perché mi ama.

Olimpia                         - Sì... no... Non lei., l'altro!

Kovcas                          - E io, come uomo...

Olimpia                         - Le ho già detto che lei non è un uomo. È una sciagura... è la violenza...

Kovacs                          - E non la interessa, principessa, una situazione così nuova; subire la violenza di colui che si ama?

Olimpia                         - (si alza) Non continui a tortu­rarmi!

Kovacs                          - Mi sia lecito considerare le sue parole come una sollecitazione.

Olimpia                         - Non ne posso più!

Kovacs                          - (le afferra una mano) Non tremi! Ormai non sono più un plebeo. Ha paura?

Olimpia                         - (rialza il capo) No!

Kovacs                          - (l'abbraccia teneramente) Ormai si tratta di un brigante... meglio così! Un buon vecchio brigante, a cui si è già quasi abituati... Si potrebbe dire: il brigante di famiglia... che si ama un pochino, non è vero?

Olimpia                         - (tremando) No! No! (Piange) Vo­glio soffrire!

Kovacs                          - No, cara! Questo non sarà!

Olimpia                         - Non lo dica! Voglio la sofferenza pura! La prego, mi aiuti! Mi faccia disgustare di lei! Sia cattivo, sgarbato, rozzo...

Kovacs                          - Non ci penso nemmeno! (La bacia a lungo) Soffre?

Olimpia                         - (piegandosi sulla sua spalla) No, mascalzone! (Dopo una pausa) Mascalzone!

Kovacs                          - (le sussurra gentilmente) Abbia la la cortesia di ripeterlo, per non dimenticare che le ho usato violenza... (La bacia).

Olimpia                         - (rimane immobile e lo guarda) Mascalzone!

Kovacs                          - (con voce sommessa) Dove devo attenderla? Ho un'ora di vita. All'alba devo sparire.

Olimpia                         - Lei...

Kovacs                          - (le afferra le mani) Zitta! Olimpia   - (sottovoce) Non è un uomo, è un carnefice!

Kovacs                          - Un carnefice! Una sciagura! Un brigante! Il mare in burrasca...

Olimpia                         - Un assassino!

Kovacs                          - (tenendola ancora per mano solleva la tenda del fondo e guarda fuori sulla terrazza buia. Nessuno. Oscurità, silenzio) Di qui... attraversiamo il parco di corsa... via... lonta­no... (Le getta improvvisamente addosso il suo mantello da ufficiale e tenendola abbracciata per la vita la trascina fuori).

Olimpia                         - (frattanto con voce fievole) Bri­gante! Assassino! Mascalzone! (La tenda si ri­chiude dietro di loro. Pausa).

Eugenia                         - (entra da sinistra. Si guarda intorno. Siede. Comincia a leggere una rivista. Sospira. Poi continua a leggere. Bussano) Chi è? (En­ tra Krehl). ,,

Krehl                             - (si ferma irrigidito e aspetta in silen­zio. Eugenia lo guarda e poi continua a leggere. Pausa). Oso annunziarle che... che... mi è sembrato di scorgere due ombre fuggenti attra­verso la terrazza... una donna e un uomo...

Eugenia                         - (abbandona la rivista in grembo) Quanti figli ha?

Krehl                             - Quattro, principessa.

Eugenia                         - Quanti anni ha, il minore?

Krehl                             - Cinque.

Eugenia                         - E il maggiore?

Krehl                             - Quattordici.

Eugenia                         - È un maschio?

Krehl                             - Sì. (Eugenia continua a leggere. Pausa) Nelle due ombre ho decisamente rico­nosciuto...

Eugenia                         - (solleva lo sguardo dalla rivista) Farò di quel ragazzo un generale. Non su­bito... col tempo... Per ora, lo metteremo in un collegio militare. Il primo di settembre, si pre­senterà a me, a Vienna.

Krehl                             - Come comanda, principessa. (Eu­genia riprende la lettura. Pausa) Nelle due om­bre ho decisamente riconosciuto...

Eugenia                         - Lei certo avrà sonno...

Krehl                             - Ai suoi ordini... (Eugenia ripren­de la lettura. Pausa) Nelle ombre...

Eugenia                         - (alza gli occhi) Quando si ha son­no si va a dormire, signor tenente colonnello! (Krehl rimane immobile sull'attenti. Eugenia si alza e gli si avvicina. Con molta dignità) Noi due, ora, andremo a riposare, signor tenente co­lonnello... Lei, con l'orgoglio di aver fatto un sacrificio per i suoi figli. E per ciò che lei fa, nella sua qualità di padre, l'invidia molto una madre, alla quale il destino ha negato di poter compiere questo dovere! (Gli porge la mano da baciare) Addio! (Krehl le bacia la mano a lungo. Eugenia, ritirandola) Addio! E grazie per quella lagrima ardente che ha lasciato cadere sulle mia mano, signor tenente colonnello! (Commossa, esce quasi svolazzando da sinistra. Krehl le getta uno sguardo entusiasta, poi gira sui tacchi ed esce in fretta da destra).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena, la mattina dopo. La tenda dal fondo è tirata da una parte e lascia vedere la terrazza piena di sole, con le scalinate che scendono, a destra e a sinistra, nel parco. Al­beri, fiori. Al centro del salotto, tavola appa­recchiata per la colazione, con fiori e quattro sedie. Poltrone a bracciuoli in primo piano, a destra e a sinistra. All'alzarsi del sipario, Euge­nia siede sola a tavola. Fa colazione, beve il tè, spalma il burro sul pane. Dopo entra Olimpia,).

Olimpia                         - Buon giorno, mamma.

Eugenia                         - Buon giorno, cara figliuola.

Olimpia                         - Perché non mi hai svegliata, sta­mani? Così non ho potuto trovarmi alla stazio­ne quando il babbo è arrivato.

Eugenia                         - Dormivi tanto profondamente, che mi rincresceva svegliarti.

Olimpia                         - Sai quanto sono felice di andare a ricevere il babbo. Il suo volto severo si ri­schiara, quando mi vede, e allora comprendo veramente come egli mi ami.

Eugenia                         - Parli di lui come se invece di es­sere tuo padre fosse... tua madre.

Olimpia                         - Voglio molto bene al babbo.

Eugenia                         - Vi siete già veduti?

Olimpia                         - Solo un momento. Mi ha baciata ed è corso a cambiarsi. Sono contenta di non avergli parlato: non sono capace di mentire.

Eugenia                         - Parlerò io, cara figlia, parlerò io. (Fissa continuamente Olimpia) Il babbo ha una cera magnifica.

Olimpia                         - Sì, grazie a Dio.

Eugenia                         - Un fisico eccellente. Ha 58 anni, ne dimostra 40, ma potrebbe dire di averne 35. Siedi, cara. Tuo padre verrà a momenti. Vuol prendere un bagno nell'acqua radioattiva. Gli piace quest'acqua, e ha fiducia nel suo potere. Siedi, cara figliuola. (Olimpia siede) Un po' di tè? (La scruta).

Olimpia                         - Grazie.

Eugenia                         - (mentre le versa il tè) Non t'ho più vista da ieri sera... Perciò ti guardo...

Olimpia                         - Non così!

Eugenia                         - Che cosa, non così?

Olimpia                         - Il tè.

Eugenia                         - (aggiunge un po' d'acqua) An­cora un po' d'acqua bollente. Ora, va bene?

Olimpia                         - Sì, grazie.

Eugenia                         - (guarda verso la terrazza) Il sole era tanto caldo all'alba, che, secondo me, oggi sarà una giornata afosa. Mi sono svegliata alle quattro...

Olimpia                         - Ah sì?

Eugenia                         - ...e non sono più riuscita ad ad­dormentarmi. Ho pianto.

Olimpia                         - Perché?

Eugenia                         - Ero inquieta.

Olimpia                         - E ora ti sei calmata?

Eugenia                         - Questo, forse, non si può pro­prio dire, ma vedo l'avvenire un po' più roseo di quanto non lo vedessi all'una dopo mezza­notte. E se non sbaglio... anche sul tuo volto... leggo una certa fiducia... (Aspetta una risposta che non viene) Però, non so se leggo bene. (So­spira) Sono così ottimista, io... (Scruta atten­tamente Olimpia) Credi che la mia calma1 sia giustificata ?

Olimpia                         - Una goccia di latte, per favore.

Eugenia                         - (si alza, prende la piccola lattiera) Ecco una goccia di latte. (Senza mescere, con la mano alzata) Non rispondi alle domande di tua madre? (Non ricevendo risposta versa il lat­te) La vita delle donne è un continuo sacrifi­cio... Vuoi che spalmi un po' di burro sul pane?

Olimpia                         - Sì, te ne prego.

Eugenia                         - (mentre spalma il burro) Però, credi a me, vi sono segreti che possono essere accolti solo nel cuore di una mamma.

Olimpia                         - Non tanto.

Eugenia                         - Che cosa, non tanto?

Olimpia                         - Burro.

Eugenia                         - Va bene, figliuola mia. Va bene. (Sospira) Ne metterò poco. (Spalma il burro) Quando non esisteva ancora la chiesa, il cuore della mamma era l'unico confessionale.

Olimpia                         - Che bella immagine, mamma! È una vera poesia.

Eugenia                         - (con le lacrime nella voce) Io non ti domando nulla. Ecco il tuo panino, cara. Non ti domando nulla... e ti ho messo poco burro. A questo mondo, solo la madre ha dei doveri... Puoi mangiare, cara; il burro è fre­schissimo. (Con voce piagnucolosa) Pare che una madre non abbia diritti... (Breve pausa. Nervosa) Non rispondi? (Nessuna risposta) I fi­gli vivono la loro vita... (Breve pausa) ...e le madri sono sempre in angoscia... e con le la­crime agli occhi domandano... (Quasi pian­gendo) ...perché non posso sapere da mia figlia proprio quello che più di tutto desidererei sa­pere? (Pausa) È una madre che lo chiede... è una madre che lo chiede sempre più insisten­temente... (Pausa) e la risposta? Silenzio.

Olimpia                         - Nella maggior parte dei casi, è così. (Entra Lina).

Lina                               - Disturbo?

Eugenia                         - Né più né meno di tutte le altre volte, cara Lina. (Spalma il burro con rabbia).

Lina                               - (siede per fare colazione. A Olimpia) Tuo padre è bello e fresco come quando era giovane e io ero innamorata di lui. Eugenia, visto che ti ci trovi, metti un po' di burro anche a me. Stanotte, a un tratto, vi siete riti­rate...

Eugenia                         - Mi sentivo stanca. Quel miscuglio di gente che si trovava alla festa m'aveva fatto venire mal di capo.

Lina                               - Non mettere così poco burro. Amami un po' più.

Eugenia                         - Credevo che volessi dimagrire.

Lina                               - Ti farebbe piacere, se ve ne fosse un po' meno, di Lina?

Eugenia                         - Ti prego, cara. (Spalma rabbio­samente) Ecco!

Lina                               - (a Olimpia) Anche a te doleva il capo?

Eugenia                         - Sì.

Olimpia                         - No.

Lina                               - Sì o no?

Olimpia                         - La mamma mi vizia...

Lina                               - Chiedevo soltanto, perché mi è sem­brato di vederti passeggiare nel parco...

Eugenia                         - Per qualche minuto. Avevo biso­gno di respirare... Non mi sentivo bene.

Lina                               - Però, sei andata a dormire tardi.

Eugenia                         - Sono rimasta un po' a leggere in sala di lettura.

Lina                               - Anch'io, non ero capace di dormire. Faceva troppo caldo. Sono stata tutta la notte alla finestra.

Eugenia                         - Sei stata alla finestra?

Lina                               - Sì. E ho guardato fuori.

Eugenia                         - Hai guardato fuori?

Lina                               - È tanto bello, questo parco, la not­te... I suoi grandi alberi scuri... le ombre... i cespugli... l'erba... Se si rimane in ascolto, si odono strani fruscii...

Eugenia                         - Fruscii?

Lina                               - Sì, come se delle ombre scivolassero sotto gli alberi, sussurrando.

Eugenia                         - Molto poetico.

Lina                               - È poetico... però dà un senso di si­curezza, che un ufficiale dei gendarmi vada su e giù dinanzi alla casa, come una sentinella. Sembra che sia stato ordinato per un riguardo a noi.

Eugenia                         - Oh sì. Hanno molti riguardi qui, per noi.

Lina                               - (dopo breve pausa) Il capitano non si è ancora fatto vedere?

Eugenia                         - No.

Lina                               - (a Olimpia) Non andate a cavallo, stamani?

Olimpia                         - Non credo. C'è il babbo... (Il ge­nerale Ettingen viene dalla terrazza. Con vera gioia) Eccolo! (Si alza).

Generale                        - (entra. A Olimpia) No, no, non vi disturbate. Ti darò ancora un bacio, perché tu sei il mio orgoglio. (La bacia e la fa dolce­mente sedere) Continuate. (Siede anche lui vol­gendo le spalle alla terrazza. Entra Alberto).

Alberto                          - Buon giorno, Filippo.

Generale                        - Buon giorno, Alberto. Siedi.

Alberto                          - Grazie. Ho già fatto colazione.

Lina                               - A letto, naturalmente.

Alberto                          - Non «a letto naturalmente», ma a letto. Faccio così da 40 anni.

Lina                               - Naturalmente.

Alberto                          - (furioso) Che vuol dire questo «naturalmente?». È talmente straordinario far colazione a letto? Perché cominci così presto?

Generale                        - Lina! Con tutta la mia autorità militare, gli dò ragione. La tua frase era pun­gente. Come si dice: pungente o tagliente?

Eugenia                         - Tagliente.

Generale                        - (molto energico) La tua frase era tagliente!

Lina                               - Se lo dici tu... (Con entusiasmo) Tu hai sempre ragione. In tutto il mondo, solo tu hai sempre ragione.

Generale                        - Lina, non essere sensuale.

Eugenia                         - (al generale) Vuoi mangiare qual­che cosa?

Generale                        - (molto energico) No, grazie. È escluso, prima del bagno. (Guarda Eugenia) Credi che debba mangiare?

Eugenia                         - Sì.

Generale                        - (c. s.). Mangio.

Eugenia                         - Un po' di prosciutto?

Generale                        - Escluso! Prosciutto alla matti­na? Bisogna essere pazzi!

Olimpia                         - Se sapessi come è buono, babbo.

Generale                        - (e. s.) Se è tanto buono, dam­mene un po'. (Allunga la mano) Prenderò il bagno più tardi. Senza insalata.

Olimpia                         - (offrendo) Con un po' di insa­latina.

Generale                        - (molto energico) Con insalata. (Si serve) Rimanendo qui un giorno solo, voglio approfittare e prenderò due bagni.

Olimpia                         - È troppo!

Generale                        - (con voce squillante) Prenderò un solo bagno! In mattinata. (Prende la sua taz­za di tè) Bacio le mani! (Beve un sorso) Cre­dete, non c'è maggior riposo, per un generale, che ricevere ordini dagli altri. Accanto a questi due angeli, mi riposo dal troppo comandare... Ordinate pure, care... non temete.

Alberto                          - (siede a destra) È strano che vi sia da criticare se si fa colazione a letto...

Lina                               - Chi ha criticato?

Eugenia                         - Finitela, per favore! È in onore di Filippo, che bisticciate?

Generale                        - Lina non muta mai. A vent'an-ni era uguale...

Lina                               - Ti ringrazio. Poco fa dicevo che nean­che tu sei affatto cambiato da quando eri gio­vane.

Generale                        - Lina, non essere sensuale!

Eugenia                         - Hai fissato la cabina per il bagno?

Lina                               - Questa cabina serve per deviare il discorso dalla sensualità?

Eugenia                         - Appunto. Hai fissato la cabina?

Generale                        - No. (Energico) E non la fisso neppure. Se voglio prendere un bagno, vi « de­ve» essere una cabina per me. (Indignato) Do­vrei forse mettermi in fila per prenotarmi?

Eugenia                         - Altrimenti, non ne troverai di libere.

Generale                        - (molto energico) Allora la pre­noterò. Vi passeremo con Alberto. Bisogna sem­pre dar retta alle donne. Poca frutta cotta per piacere.

Eugenia                         - È squisita!

Generale                        - (c. s.) Molta, moltissima frutta cotta! (La prende).

Lina                               - Di', Filippo, come puoi rimanere senza queste due donne, anche un sol giorno?

Generale                        - Come?! (Energico) In nessun modo! E tu, come puoi resistere senza fare os­servazioni, anche per cinque minuti?

Eugenia                         - Lina è così esperta della vita, così saggia, e dotata di tanto spirito critico, che, se non ci gratificasse continuamente delle sue os­servazioni, si potrebbe credere che non ci ama!

Lina                               - Sei ingiusta, mia cara!

Alberto                          - (a parte, ma forte) Trovare da ridire perché si fa colazione a letto! Cosa v'è di strano? Anche il Principe di Galles lo fa... lo Zar Alessandro, pranzava perfino, a letto... Na­poleone, invece, è nato nella sala da pranzo. Ognuno ha i suoi gusti!

Generale                        - Basta! Basta! Abbiatevi i miei ringraziamenti per quanto avete già fatto! Ma per oggi, il mio fabbisogno di litigi familiari è stato rifornito! Non sento la voce che più vor­rei udire!

Eugenia                         - Olimpia oggi è taciturna. Non risponde nemmeno alle domande di sua madre!

Generale                        - (a Olimpia) Eppure, ho una buona notizia per te. Perché te ne stai così in silenzio, cara figliuola?

Olimpia                         - Ti guardo, babbo. Guardo i tuoi begli occhi severi.

Generale                        - Severi? Se faccio di tutto per essere gioviale! Sono di buon umore, perché ti porto una lieta notizia.

Alberto                          - Io sono colpevole di litigi fami­liari ?!

Generale                        - (subito) Lina, non gli rispon­dere. Lo ha chiesto a sé stesso!

Alberto                          - Il colpevole sono io!

Generale                        - Vedi che s'è già risposto ? Punto e basta! Ora permetterete anche a me di par­lare? Sì? (A Lina) Me lo consenti?

Lina                               - Filippo! Ma...

Generale                        - Bene, bene! Cara Olimpia, cre­do che diverrai subito più allegra, appena avrai ascoltato quanto segue: al momento stesso in cui ho ricevuto la tua lettera, mi sono fatto annun­ziare a Sua Maestà.

Olimpia                         - Caro babbo!

Generale                        - Ho riferito quanto m'avevi scritto ed ho soggiunto: se mia figlia parla così di I Andrea Kovacs, è segno che egli possiede almeno il doppio delle qualità che essa gli attribuisce. Mia figlia è cauta come un ambasciatore. Sua Maestà mi ha ringraziato e ha detto: (Tutti si chinano verso il generale con molta attenzione) « Sono commosso che sua figlia pensi a me, anche durante il riposo estivo» (Volge intorno uno sguardo trionfante. Tutti si raddrizzano) Che delicatezza, eh?... Continuò:      - (Tutti si protendono come prima) « È molto gentile, da parte di sua figlia. Lei sa quanto io ami l'Arciduchessa Eleonora, e quanto mi preoccupi ili pensiero di trovarle un maestro irreprensibile ». S. Maestà ha detto questo. Forse non proprio così parola per parola... può darsi che la forma] della frase fosse diversa... ma garantisco del suol contenuto. (Si guarda attorno trionfante).

Eugenia                         - (con la mano sul cuore) Oh Dio!!

Olimpia                         - L'Imperatore è il primo gentiluomo d'Europa!

Generale                        - Questa è una locuzione presa dai giornali. Avresti dovuto accogliere le sue parole! con maggior calore! La voce di Sua Maestà tremava, quando mi ha detto: «Grazie, Ettingen. Grazie assai». (Si porta la mano agli occhi)m Sono un vecchio soldato. Per me, la benevolenza del mio Imperatore è tutto!

Eugenia                         - E l'hai, interamente...

Generale                        - ... nonostante tutti i nostri ne-l mici. Non potrei desiderare di più. Interrompo un momento il mio racconto perché voglio ringraziare solennemente la mia cara figlia... (Sii alza subito imitato dagli altri) ... che mi ha dato! occasione di rendere un così gran servigio al mio Imperatore. Figlia mia benedetta! Hai aiutato! anche tuo padre e hai reso più salda la posizione di colui che molti non vorrebbero più vedere accanto a Sua Maestà! Abbiti i miei più calorosi ringraziamenti. (Si asciuga una lacri­ma) Ma procediamo! (Tutti seggono).

Eugenia                         - Bevi il tè. Si raffredda!

Generale                        - (energico) Se parlo, non posso bere! (Silenzio) Devo bere? (Le signore accennano di sì col capo) Bevo! (Beve. Breve pausa)Dunque, questo è accaduto ieri mattina. Nel pomeriggio verso le cinque, Sua Maestà mi hai fatto un'altra dichiarazione, che si ricollega alla» prima. Eravamo in carrozza, al Prater...

Lina                               - Che ha detto, in carrozza?

Generale                        - L'Imperatore mi ha sempre onorato della sua benevolenza e ha sempre manifestato la sua soddisfazione per la mia famiglia,! Anche altre volte vi ha elogiate. Ma ieri, nel pomeriggio...

Lina                               - In carrozza...

Generale                        - ... in carrozza, a un tratto ricominciò a parlare e... e... Non comprendo perché hai sottolineato «in carrozza»...

Lina                               - Io ho sottolineato?

Generale                        - Sì, se vuoi saperlo, eravamo in carrozza. Gli sedevo accanto!

Lina                               - Lo so.

Generale                        - E allora, che vuoi?

Lina                               - Io?

Generale                        - (tentenna il capo disapprovando. Poi prosegue) Ad un tratto ricominciò a par­lare e disse: « Le sue dame non solo si compor­tano in modo esemplare, ma sono anche le si­gnore più intelligenti dell'Austria». Ha detto così. (A Lina) In carrozza!

Lina                               - Ti prego...

Generale                        - E pronunziando queste parole, il suo volto cupo assunse una espressione di te­nerezza...

Eugenia                         - (felice) Un'espressione di tene­rezza?!

Generale                        - Non credo di sbagliarmi.

Eugenia                         - (c. s.) Oh!

Generale                        - E poi ha detto: (Cava di tasca un taccuino. Tutti si protendono ansiosi. Anche Alberto si alza e si avvicina) Parola per parola! (Mette gli occhiali e legge) « Ettingen, lei è il mio consigliere fedele. Non mi sono mai pentito d'averle dato retta. Ma so che anche lei ha un consigliere: la sua bella e savia figliuola. Ettin­gen, se sua figlia giudica un uomo degno di di­ventare il maestro della mia adorata Eleonora, io accetto quell'uomo. Sono sei mesi che cerco un maestro d'equitazione per l'Arciduchessa, e che lo cerco invano, quantunque nello stesso tempo, abbia facilmente trovato tre volte un Presidente dei Ministri per l'Ungheria, e quat­tro per l'Austria. Sono convinto d'avere, ora, l'uomo ideale. Ho scritto il suo nome. Dica a sua figlia, che le sono molto grato». (Guarda intorno commosso. Silenzio profondo. Ripone il taccuino) «Che le sono molto grato!» (Si asciuga una lacrima. Le signore fissano le tazze) Scusate le mie lacrime. Sono un vecchio soldato! (Kovacs appare sulla terrazza e si ferma. Il ge­nerale si accorge che le signore guardano verso il fondo e si volta. Breve pausa).

Kovacs                          - Eccellenza! Andrea Kovacs, capi­tano del ventisettesimo Usseri, si presenta umil­mente! (Eugenia si alza lentamente con una mano sul cuore. Olimpia la imita. Breve pausa).

Generale                        - (sempre rivolto a Kovacs dice con molta cordialità) Perché tanta solennità, ca­pitano? Entra e di' semplicemente: «Buon gior­no! » (Gli porge la mano. Kovacs gliela stringe e poi si inchina profondamente) Non sapevo nemmeno che tu conoscessi le mie signore...

Lina                               - Oh, lo conosciamo! Anzi, lo cono­sciamo benissimo!

Kovacs                          - (bacia la mano a Eugenia) Ho avu­to la fortuna... (Bacia la mano a Olimpia) ... dal primo giorno... (Bacia la mano a Lina e si av­vicina ad Alberto) Sua Eccellenza il conte Dupuy mi ha presentato alle principesse. (Ad Alberto) Buon giorno...

Alberto                          - (gli stringe la mano) Buon giorno, capitano.

Generale                        - Vedi? Non me l'avevan scritto!

Kovacs                          - Non sono un personaggio tanto importante...

Generale                        - Abitualmente mi scrivono delle lettere così brevi... Con quei caratteri tanto alti, riescono a mettere due frasi in quattro pagine! Siedi!

Kovacs                          - Grazie! (A passi decisi va a sedere nella poltrona di sinistra).

Generale                        - (lo guarda sorridendo) Ti ho portato una notizia sensazionale!

Kovacs                          - Ah!

Generale                        - Olimpia mi ha scritto che tu non sapevi nulla e che voleva farti una sorpresa. Non voglio guastare la sua gioia. Te la comu­nicherà lei stessa. Faccio bene, figlia mia?

Olimpia                         - Come sempre, babbo!

Generale                        - (a Kovacs) Da quanto tempo sei qui?

Kovacs                          - Due settimane.

Generale                        - L'anno scorso, a Karlsbad, se ben ricordo, ti fermasti solo pochi giorni...

Kovacs                          - Cinque.

Generale                        - Poi sparisti improvvisamente...

Kovacs                          - (sorride imbarazzato) Sì. (Eugenia ed Olimpia che lo guardavano ricominciano subito a far colazione molto assorte).

Generale                        - Misteri, eh? La gioventù... (Alle signore) Guardatelo! È l'unico uomo col quale sono stato capace di passeggiare per ore ed ore, a Karlsbad, mentre voi eravate in Isvizzera.

Lina                               - Passeggia molto bene...

Generale                        - Fu difficile, abituarci, ma poi vi riuscimmo. Spero che tu abbia fatto buona com­pagnia alle signore, come la tenesti a me. Mi raccontava sempre cose interessanti. Perfino bar­zellette. Ed è riuscito a farmi ridere di cuore. Hai viaggiato tutto il mondo, tu, eh?

Kovacs                          - Sì. Viaggiando, l'uomo impara.

Generale                        - Verissimo. (Silenzio penoso).

Lina                               - E ha imparato anche le lingue, viag­giando?

Kovacs                          - No, ho fatto solo un po' di eser­cizio. Ma per la grammatica, bisogna rinchiu­dersi fra quattro mura. Stando in solitudine, in due mesi, si riesce ad apprendere una lingua.

Generale                        - Non vorrai farci credere d'avere studiato in un chiostro!

Kovacs                          - (ridendo) Questo no! (Tutti rido­no nervosamente. Eugenia continua dopo gli altri e smette a uno sguardo severo del generale).

Lina                               - Eugenia afferma che le lingue non si possono imparare.

Eugenia                         - Io ho detto questo?!

Lina                               - Ieri sera. E hai soggiunto: «Ci vuole un talento speciale ».

Eugenia                         - Può darsi che lo abbia detto e può anche darsi che non lo abbia detto!

Lina                               - Quando andaste a giocare... (Pausa penosa).

Kovacs                          - Giocare: questo sì, che l'ho impa­rato sui piroscafi...

Eugenia                         - Ah?

Kovacs                          - Sì.

Generale                        - Hai giocato con lui?

Eugenia                         - (con un sorriso forzato) Oh sì!

Generale                        - È addirittura un maestro, nelle carte. A Karlsbad s'è preso tutto il mio de­naro... (Eugenia trasalisce).

Lina                               - Eugenia glielo ha rivinto!

Eugenia                         - (c. s.) Infatti...

Generale                        - (a Kovacs) Sicché, hai avuto disdetta ?

Kovacs                          - Molta. O meglio, era la princi­pessa, che aveva fortuna.

Eugenia                         - Una fortuna enorme!

Generale                        - A Eugenia piace assai vincere.

Lina                               - È una cosa piacevole! (A Kovacs) Non le pare?

Kovacs                          - Non sempre. A volte, giunge il mo­mento in cui non è piacevole... (Pausa penosa).

Generale                        - E la mia Olimpia continua a ta­cere. Tace ed è di malumore.

Olimpia                         - Per caso, babbo!

Generale                        - Fin quando ti tratterrai qui?

Kovacs                          - Parto oggi.

Generale                        - Per dove?

Kovacs                          - Confesso che non lo so ancora. An­drò verso il nord...

Lina                               - Perché?

Generale                        - Non sono domande da fare, Li­na. Dietro queste cose, c'è sempre una donna...

Kovacs                          - Nella Prussia orientale, in questa stagione, vi sono le corse.

Generale                        - (agli altri) Che cavallerizzo, eh? Merita proprio quel... (Si mette la mano sulla bocca) Taccio! Non voglio tradire il segreto! Faccio bene, figliuola?

Olimpia                         - Sì, babbo.

Lina                               - Ieri ha vinto il primo premio alle corse dei signori.

Alberto                          - E con pieno diritto!

Generale                        - Erano interessanti, le corse?

Alberto                          - Molto!

Generale                        - Naturalmente, tu non vi avrai preso parte! (Alberto adirato volge le spalle).

Lina                               - Lo vedi, che era naturale?

Generale                        - (si alza. A Kovacs) Mi rincresce di non aver assistito alle tue prodezze! Ma mi rallegro di rivederti ancora, e... (Porta la mano sulla bocca) Non ho detto nulla! (Kovacs si in­china militarescamente) Questa volta, però, non mi sfuggirai come l'anno scorso. T'invito fin d'ora. Nel prossimo inverno, voglio vederti a Vienna.

Kovacs                          - La ringrazio per il grande onore, i Se mi sarà possibile lasciare la guarnigione...

Generale                        - Ti sarà possibile! Ti sarà possibile! (Lo squadra) Sei un magnifico campione! I Non puoi immaginare quanto me ne rallegri! I

Kovacs                          - La ringrazio infinitamente, Eccellenza. (Breve pausa).

Generale                        - Hem... una domanda, Eugenia, f Ora, su due piedi, non ricordo più. Devo o non | devo prenotare la cabina?

Eugenia                         - Devi.

Generale                        - Grazie. Allora vado. (A Kovacs) Tu che fai?

Kovacs                          - Ero venuto per accomiatarmi dalle j principesse.

Generale                        - Allora accomiatati. Andiamo Alberto? (A Kovacs) Mi raccomando, tieni allegre le signore; tanto stasera partiremo!

Lina                               - Che peccato! (Le battute che seguo­no sono dette molto in fretta).

Eugenia                         - Peccato che tu non venga con noi!

Lina                               - Non vedo perché non potrei.

Eugenia                         - Se non sbaglio, devi fare ancora una settimana di cura!

Lina                               - Cara Eugenia, per quanto riguarda la mia cura...

Generale                        - (perentorio) Alt! (Silenzio istantaneo. Ambedue tacciono. Prende Lina per un braccio e la trae in disparte) Cara Lina, la tua cura la racconterai a me. (Si avviano adagio adagio verso la terrazza, a sinistra) E mi spie­gherai anche perché, poco fa, hai sottolineato \ le parole «in carrozza». (Alberto li segue).

Lina                               - lo? Io ho sottolineato?

Generale                        - Proprio tu! (Imitandola) « in carrozza... ».

Lina                               - Ti assicuro che l'ho ripetuto macchi­nalmente.

Generale                        - E perché l'hai ripetuto? (Allontanandosi dalla terrazza si sente ancora) «In carrozza...» «Il tuo tono era beffardo» ecc...

Eugenia                         - (quando è tornato il silenzio, dopo una pausa) Che vuol dire, tutto questo?

Kovacs                          - Non comprendo la sua domanda, I principessa!

Eugenia                         - Che accade?

Kovacs                          - Nulla di straordinario, mi pare.!

Eugenia                         - Lei è ancora qui! Non è partito?! E osa anche avvicinarsi a mio marito...

Kovacs                          - Sua Eccellenza m'ha fatto l'onore di ricordare che l'anno scorso a Karlsbad...

Eugenia                         - (ironica) Ha giocato con lui! Io... io... (A Olimpia) Mi rivolgo a te per ottenere qualche schiarimento!

Olimpia                         - Se i briganti hanno un onore,) avrebbe dovuto partire all'alba!

Kovacs                          - (china il capo) Non ne ho avuto! la forza!

Olimpia                         - Vuol proprio uccidermi? Orai davvero non c'è altro da fare!

Kovacs ........................ - (piano, modesto) Principessa avrà una sorpresa spiacevole... (Pausa) Non so­no Mejrovszky... non sono un avventuriero...

Eugenia                         - E chi è, allora?

Kovacs                          - Il capitano Andrea Kovacs. (Eu­genia piomba a sedere. Olimpia alza il capo di scatto e lo guarda selvaggiamente. Pausa. Sem­plice e disinvolto) Andrea Kovacs, capitano del Ventisettesimo Usseri. Ho fatto un piccolo scherzo; ma, insomma, sono veramente un truf­fatore perché mi sono spacciato per un brigan­te! È un caso raro, nella storia della logica, che un uomo, facendosi credere un truffatore, diventi automaticamente tale.

Olimpia                         - Questo non lo credo!

Kovacs                          - Se ne convincerà col tempo!

Eugenia                         - Lei è sì sfacciato, che ora è capace di inventarne un'altra! (Lo guarda) Si spieghi!

Kovacs                          - È stato uno scherzo... uno scherzo da plebeo... una piccola punizione! Lei m'ha offeso... non nel mio onore... ma in un posto molto profondo... al cuore, principessa! Quan­do mi consigliò di andare a bere dei liquori forti... e di amare molte belle donne... decisi di... (Tace. Pausa).

Olimpia                         - Che decise?

Kovacs                          - Ieri sera entrai al caffè, nella ca­bina telefonica. In verità non c'è cosa più sem­plice al mondo... Chiamai quel gendarme, gli dissi che parlava la Polizia, da Vienna... «Io» dissi a lui che Kovacs era Mejrovszky! Ecco tut­to! Il resto, lo conoscono.

Olimpia                         - Mentisce!

Kovacs                          - Oh no. Sono scherzi che, altre vol­te, ho fatto per il primo di aprile... ora non mi sono attenuto a quella data...

Eugenia                         - Perché? Che scopo aveva?

Kovacs                          - L'ho già detto: punire! Si vergo­gnavano di un plebeo? Bene! Ho servito loro un avventuriero. Oh, lo sapevo, che con questo avrebbero parlato!

Eugenia                         - Tutta colpa di quello stupido gen­darme!

Kovacs                          - Non è stupido, poveretto! Ma non è ancora nato un gendarme che non caschi in un tranello simile!

Eugenia                         - (sta per cominciare un lungo discor­so) Protesto energicamente... (Il generale torna dalla terrazza).

Generale                        - Vengo a dirvi di non attender­mi. Ho avuto subito la cabina. Rimarrò nel ba­gno almeno un'ora. Dove ci ritroveremo, poi?

Eugenia                         - Dove comandi tu, Filippo!

Generale                        - Io comanderò dopo. Prima fa' tu una proposta.

Eugenia                         - Propongo di passeggiare nella Kurhaus, dove tu ci raggiungerai.

Generale                        - Benissimo! Fra un'ora, dunque. (A Olimpia) Sa già il segreto?

Olimpia                         - Non ancora.

Generale                        - Perché lo torturi? Tua madre dice, molto saggiamente: bisogna ucciderlo, un uomo, non torturarlo. (A Kovacs) Oggi mi da­rai la rivincita. Voglio approfittare della tua disdetta! Giocherai con me. (A Eugenia) Anche suo padre, era un eccellente giocatore, ma di questo ragazzo non si sarebbe pensato. Era un giovane ufficiale così serio e riflessivo...

Kovacs                          - La mia modestia non mi ha per­messo di dire alle signore che sono stato allievo di Vostra Eccellenza.

Generale                        - Sicuro, sicuro! Alla scuola militare. Non dico che fosse il mio migliore allievo...

Kovacs                          - Oh no!

Generale                        - ...ma senza dubbio, era fra i mediocri. Se suo padre non fosse stato un mio camerata, allora... A proposito: dov'è ora, tuo padre?

Kovacs                          - A riposo. È tornato al suo villag­gio, fra la plebe, a fare il contadino.

Generale                        - E sta bene, il mio vecchio ami­co? (Lo prende a braccetto).

Kovacs                          - Grazie a Dio, gode ottima salute.

Generale                        - (con molta cordialità) Quando gli scrivi, fagli i miei più affettuosi saluti. (Sul­la terrazza appare Krehl. Tutti lo guardano. Krehl sembra molto stupito) Che c'è figliuolo?

Krehl                             - Eccellenza... Giov. Farkas Krehl, tenente colonnello dei gendarmi imperiali, co­mandante della 9a zona, si presenta umilmente.

Generale                        - Desidera qualche cosa? (Krehl fissa Eugenia).

Eugenia                         - Perché guarda «me?». Desidera qualche cosa da «me?».

Krehl                             - Principessa...

Eugenia                         - Ebbene? (Con un'occhiata gli ri­caccia in gola le parole che sta per dire).

Krehl                             - Volevo... ringraziare... rispettosa­mente...

Eugenia                         - Ah sì? Filippo, sono stata tanto ardita, da fargli balenare la speranza di un tuo interessamento per suo figlio. Ha un ragazzo di 14 anni, grazioso, di molto talento, che vorreb­be diventare generale.

Generale                        - Bravo!

Eugenia                         - Non subito! Col tempo. Vorrei dimostrare la mia gratitudine al tenente colon­nello che ha protetto Olimpia e me con vera abnegazione. Tutte e due ti preghiamo molto..-

Generale                        - Volentieri, angelo mio! Mi con­gratulo con lei che ha saputo conquistare due protettori come mia moglie e mia figlia! Si pre­senti a me col ragazzo, il primo di settembre. Le sono riconoscente d'aver vegliato alla sicu­rezza delle mie signore... (Krehl si inchina mu­to) ...sebbene non ve ne fosse bisogno. Sanno proteggersi da loro stesse, senza alcun dubbio!

Eugenia                         - Mi guarda di nuovo senza com­prendere. Non è la prima volta; ma ciò non toglie nulla ai suoi meriti! Lei è una eccellente persona ed un eccellente funzionario.

Kovacs                          - Anch'io, l'ho messo alla prova, stanotte. L'ho chiamato a telefono come se par­lassero da Vienna, e l'ho incaricato di sorve­gliare il capitano Kovacs che non era un uffi­ciale degli usseri, ma un famoso truffatore.

Generale                        - (ride) Magnifico! Sei l'unico uo­mo capace di farmi ridere! E ti ha sorvegliato?

Kovacs                          - Per un po', sì; poi ha smesso. (Krehl lo guarda) La principessa ha ragione. A volte, guarda senza comprendere!

Generale                        - (energico) Noi abbiamo una gen­darmeria eccellente: seria, coscienziosa, piena di tatto. Mi rallegro, signor tenente colonnello!

Krehl                             - (fa il saluto e si avvia per uscire).

Kovacs                          - Ciao!

Krehl                             - (si ferma confuso) Ciao! (Esce).

Kovacs                          - (a Eugenia) Avrebbe voluto guar­dare di nuovo, ma non ha osato.

Generale                        - (a Eugenia) Pare che abbia paura di te! (Guarda l'orologio) Dunque, alle undici e mezzo alla Kurhaus, sì?

Eugenia                         - Così hai ordinato!

Generale                        - Precisamente! (Esce. Pausa. Olimpia a sinistra, rigida, guarda lontano. Ko­vacs rimane immobile a destra. Eugenia che ha accompagnato il generale sulla terrazza, torna e si avvicina a Kovacs che china il capo).

Eugenia                         - Assassino!

Kovacs                          - No, principessa. L'apparenza in­ganna. Neanche colui, che per denaro conficca il coltello nel corpo di un altro, è sempre un assassino!

Eugenia                         - E che cos'è allora?

Kovacs                          - Un chirurgo! (Pausa).

Eugenia                         - Oggi la giudico ancora più colpe­vole di stanotte. Un momento m'era venuto vo­glia di raccontare tutto a mio marito... (Guar­da Olimpia) Tutto quello che so, s'intende... E a lei, non sarebbe rimasto altro che cacciarsi una palla in testa! (Breve pausa) Anche ora, avrei voglia di raccontargli... (Olimpia dà un urlo) Finalmente, hai risposto alla domanda di tua madre! (Esce dalla terrazza, stizzita. Pausa).

Olimpia                         - Lei...

Kovacs                          - Scusi se la interrompo subito. Chi è «lei?» (Olimpia lo guarda stupita) Chi è il «lei» con cui parla? Mejrovszki o Kovacs?

Olimpia                         - Come?

Kovacs                          - Bisogna scindere. Il felice Mejrov­szki non esiste più. Con l'infelice capitano ha rotto ogni rapporto iersera. Con chi parla ora?

Olimpia                         - Con l'uomo che, mediante una menzogna, ha abusato della mia fiducia...

Kovacs                          - Della sua fiducia?

Olimpia                         - Cioè, della situazione... (Impac­ciata) Fa lo stesso! Insisto sulla parola «men­zogna ».

Kovacs                          - Dunque?

Olimpia                         - Dunque, non ha nessun valore ciò che...

Kovacs                          - Non ha valore. Infatti.

Olimpia                         - Se non sa nemmeno quello che volevo dire!

Kovacs                          - Nulla ha valore! (Breve pausa).

Olimpia                         - Pare che non voglia rivelare i pensieri...

Kovacs                          - Preferirei tacere.

Olimpia                         - (sommessa) È infelice?

Kovacs                          - No!

Olimpia                         - Felice?

Kovacs                          - Abbastanza. M'è riuscito di interessare una spirito aristocratico al pensiero democratico.

Olimpia                         - (nervosa) Sicché, la sua felicità è | esclusivamente di carattere social-politico?

Kovacs                          - Sì!

Olimpia                         - Mentisco!

Kovacs                          - Può darsi! (Breve pausa).

Olimpia                         - E quali sono i suoi progetti?

Kovacs                          - Parto.

Olimpia                         - Per dove?

Kovacs                          - Non so... andrò lontano... Ad ogni modo manterrò la promessa di Mejrovszky e non indosserò più la divisa. (Olimpia alza il ca­po e lo guarda stupita) Ho giocato con la mia dignità e ho offeso questa divisa. Non sono un [ uomo gretto, né un sentimentale, ma... (Si por­ta la mano al petto) .. .a « questa » bisogna credere, o non bisogna portarla. E bisogna pagare ogni scherzo... Si troverà un altro, per inse­gnare l'equitazione alla piccola arciduchessa! (Pausa).

Olimpia                         - Vorrei rivolgerle una domanda... strana...

Kovacs                          - Dica.

Olimpia                         - Mi ama?

Kovacs                          - Sì.

Olimpia                         - Grazie.

Kovacs                          - Prego!

Olimpia                         - (china il capo) Che ha fatto di me ?

Kovacs                          - M'aveva offeso e mi sono vendi­cato. Lo dovevo a tutti i plebei del mondo.

Olimpia                         - (ripete a occhi chiusi macchinal­mente) Che ha fatto...

Kovacs                          - L'ho punita!

Olimpia                         - Era una... punizione?

Kovacs                          - Sì. (Pausa).

Olimpia                         - (con voce quasi impercettibile) Ti amo... mascalzone!

Kovacs                          - (molto modestamente) Mi permet­ta, principessa, di prendere umilmente con­gedo...

Olimpia                         - La vedrò in autunno... a Vienna?

Kovacs                          - No, cara. Mai più! (Batte gli spe­roni ed esce dalla terrazza. Olimpia rimane im­mobile al suo posto con gli occhi chiusi).

FINE