Oltre l’ombra del melo

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Due atti e un epilogo

di Giuliana Borgioli Rovelli

Personaggi:

Giannella

Martino Righi

Teresa

Enrico

La Zia

Cesco

Gin

Hostess

Giannella bambina

Martino bambino

Amici di « Teatro »,

vi presento una storia d'amore e per piacere non ridete prima di averla letta! Per lo meno non prima di aver letto questa pagina in cui vi spiego com'è nata dentro di me.

Stufa di trovarmi immersa in una ossessionante ondata di violenza, di contestazione e di sesso condito in tutte le salse, con contorno di deviazioni e aberrazioni, nauseata da quest'orgia inutile e oscena che minaccia di travolgere ì nostri figli (noi, dovremmo essere im­munizzati dall'età!) ho avuto una reazione.

Ed eccovi « OLTRE L'OMBRA DEL MELO » dove non c'è neppure un bacio, dove l'amore alberga al di sopra dei dilaganti ombelichi e se ne sta là dove, se­condo me, dovrebbe stare: nel cuore!

Apposta la parola fine, però, mi è venuto un attacco di vergogna alla rovescia, mi sono sentita anacronistica, e ho preso i fogli e li ho ficcati in un cassetto, e ho cominciato un'altra storia dove il protagonista si droga ed è persino sospettato di omosessualità. A metà del secondo atto l'ho piantata lì e per purificarmi mi sono riletto « Oltre l'ombra del melo ». Mi ha fatto l'effetto

che non lo avessi scritto io, mi sono commossa, mi è piaciuto, mi è sembrato di respirare una boccata d'aria pura. Allora ho pensato che magari anche voi l'avreste letto con simpatia, come rileggere da adulti un diario giovanile, come piangere al cinema per « Love story », come ricordarsi del primo amore.

E vi prego di avere simpatia per Giannella, Martino ed Enrico, e tutti gli altri: io li amo, tutti.

                                                                                                                                   

                                                                                                                  Giuliana Borgioli                                                                                                                                                                                                                                                 

28 settembre  1974


ATTO PRIMO

Epoca attuale.

Palcoscenico idealmente diviso in 4 settori che saranno di volta in volta illuminati per lo svolgersi del flash back.

All'estrema sinistra degli attori, verso il fondo del pal­coscenico, la sala d'attesa di un aeroporto: un diva-netto, un posacenere, riviste, il manifesto d'una com­pagnia aerea.

All'estrema destra degli attori, verso il proscenio, un angolo del giardino della casa di Giannella: una pan­china sotto un melo, un tavolinetto, un cesto col la­voro a uncinetto già iniziato (fisso per i 2 Atti).

Sempre a destra, verso il fondo, zona libera per lo svol­gersi di alcuni flash back.

All'alzarsi del sipario è illuminato l'aeroporto. È in scena Giannella, seduta sul divanetto. Ha circa 32 anni, è alta, sottile, elegante ma senza fronzoli. Avrà sopra­bito e cappello, porterà, sotto il soprabito il vestito oc­corrente per il primo F. B. (più giovanile) e togliendo il cappello scioglierà i capelli sulle spalle.

In scena, in piedi accanto a lei, è anche Cesco, l'an­ziano autista del Paese.

Voce altoparlante  Il volo numero 305 da Londra delle ore 16,30 arriverà alle 17.20. Il volo numero 305 da Londra delle ore 16 e 30 arriverà alle 17 e 20,

Cesco Cinquanta minuti di ritardo! Ma è quasi un'ora. E poi dicono che a viaggiare in aereo si risparmia tempo.

Giannella Avranno trovato un po' di nebbia- Ma non mi dispiace aspettare. È bello qui, c'è tanta gente, tanta vita.

Cesco Certo, non è come al Paese. Lei è così sola in quella casa tanto grande.

Giannella Tra poco non sarò più sola. Lo sa, vero, Cesco? A lei non sfugge niente di quel che succede ai Paese.

Cesco Se lo so! Lo sanno Lutti. E sono tutti contenti. Certo, quando morì il vecchio dottore fu un gran do­lore; praticamente aveva fatto venire al mondo mezzo paese, lui. Ma quando arrivò il dottor Enrico a pren­derne il posto e si innamorò di lei, a noi ci. sembrò la mano del destino. Lei era rimasta così sola, dopo la morte della Vecchia, oh, mi scusi, di sua zia. L'inglesina e il dottore... proprio come al cinema!

Giannella (ridendo)  Mi chiamate ancora l'inglesina? Non lo sapevo, Cesco. Sono cresciuta in paese, con la zia; a volte non mi ricordo neppure che non ci sono nata. Mi sembra...

Voce altoparlante  Il volo numero 305 da Londra delle ore 16,30 è previsto in arrivo per le 17 e 20.

Giannella Enrico sarà così impaziente di arrivare.

Cesco Eh,  si  sa,  l'amore...  Ma  quando  si  sposerà... a   proposito,  signorina   Giannella, posso   chiederle quando?

Giannella Questo, al paese, non l'hanno ancora scoperto? Presto, Cesco, prestissimo. Un paio di mesi, va bene? Enrico è impaziente, gliel'ho detto...

(Flash back.

Si illumina la zona libera nella quale tre gradini rap­presentano la porta di casa di Giannella. È in scena Enrico, il dottore. Ha circa 35 anni, è un bel ragazzo dall'aria solida e posata. Entra in luce Teresa, domestica di Giannella, circa 45 anni, aria accomodante e serena)

Teresa Buona sera. La signorina viene subito. Si ac­comodi dottore. Vuol bere qualcosa?

Enrico No, grazie, Teresa. Come sta?

Teresa La  signorina?  Bene, che diamine, lo sa  anche lei, l'ha vista stamattina.

Enrico È vero, già. Vuol dire di scendere?

Teresa Vado, vado. (Esce dalla luce. Enrico parla rivolto verso l'alto, con voce gaia)

Enrico Giannella, vuoi scendere o devo venire su a prenderti? Se non faccio in fretta, la fruttivendola partorirà il suo bambino senza di me. Sono un me­dico te lo sei scordato?

    (Giannella scende i gradini sorridendo, composta. Enrico l'abbraccia, le passa una mano sui capelli. Lei si svincola con grazia decisa)

Giannella Sei diventato così impaziente.

Enrico Ho avuto pazienza per due anni. Tutta la mia riserva l'ho usata aspettando che ti accorgessi di me. Adesso non posso più aspettare.

Giannella Neanche il bambino della fruttivendola può aspettare.

Enrico Scappo. Avevo voglia di vederti. Non ti vedevo da tanto tempo.

Giannella Da stamattina.

Enrico Era solo stamattina? Beh, mi pareva un secolo. Sono venuto per chiederti se non ti sembra l'ora di preparare i documenti per sposarci.

Giannella Adesso?

Enrico Ah. io ti trascinerei davanti al parroco anche adesso, ma parlavo dei documenti. Sposarci appena sono pronti. Se ti lascio qui, alle prese coi docu­menti, mi sentirò più tranquillo fino al mio ritorno.

Giannella Parti?

Enrico Devo andare a Londra per un congresso. Non posso proprio mancare, ci saranno tutti i luminari della mia specializzazione. Cinque o sei giorni...

Giannella Passeranno presto...

Enrico Presto? Per te, forse. Tu sai essere sempre cosi serena, cosi arrendevole. Mi sono innamorato di te per la tua tranquilla serenità, per questo tuo passare nella vita sfiorandola appena e facendotene appena sfiorare, ma... (mentre lei parla, Giannella esce dalla luce e torna - con soprabito e cappello - alla sua pan­china dell'aeroporto) ...a volte desidererei che... ti la­sciassi un po' coinvolgere, ecco. A volte mi viene il sospetto che tu ti lasci trascinare perché è più facile dire di sì che resistere, per forza di inerzia e non per convinzione. Che tu non sia cresciuta del tutto, mal­grado tu non sia poi così giovane. Ho l'impressione che tu sia rimasta assurdamente ferma in un tempo che non ho conosciuto e del quale sono un po' ge­loso. Possibile che niente possa increspare questo lago tranquillo che è la tua vita, Giannella? (pausa) Sono uno stupido, non ascoltarmi. Appena pronti i docu­menti ci sposiamo. Ho fretta, Giannella...

(Luce sull'aeroporto, dove Giannella prosegue il di­scorso con Cesco)

Giannella Un paio di mesi, penso. Enrico è impaziente.

Cesco Bellissimo, un paio di mesi. Dico, non mi farà il torto di noleggiare le macchine in città, eh?

Giannella Non le farò questo torto, Cesco. stia tran­quillo. Si consideri prenotato fin da ora.

Cesco Mi fido di lei e del dottor Enrico. Adesso, se non le dispiace restare un po' sola, vorrei andare a parcheggiare la macchina che ho fasciato in sosta vie­tata. Tutto questo ritardo... (Passa una Hostess)

Cesco  Signorina, scusi signorina.

Hostess  Prego, signori.

Giannella Stiamo aspettando il volo 305 da Londra. £ previsto altro ritardo, oltre quello annunciato?

Hostess  Speriamo di no. Con quell'aereo arriva Dick Avaltona, sa, l'attore, quello che deve fare un film in Italia con Fellini...

Cesco Ho letto qualcosa.

Tinsi. - C'è un mucchio di gente, ad aspettarlo. Fotografi, giornalisti. Fanno una gran confusione.

Giannella Qui è abbastanza tranquillo.

Hostess E si sentono benissimo gli annunci dell'altopar­lante. Se ci dovessero informare di un ulteriore ri­tardo, verrà annunciato subito.

Giannella Grazie, signorina.

Hostess Il tempo è buono, non ci sono pericoli. Solo un po' di traffico, lassù. Non le resta che aspettare tranquilla.

Giannella È quel che farò. Ancora grazie. (La hostess esce a destra sorridendo per salutare)

Cesco Allora vado, sennò prendo davvero la multa.

(Cesco si avvia a destra e si ferma nella zona libera che si illumina, perché ha incontralo Martino Righi. Martino è un giovane di 25 anni, è vestito in maniera disinvolta, ma elegante. Ha gli occhiali. Ha in  mano  l'attrezzatura  occorrente a  un  giorna­lista - blocco, matita - e la borsa a tracolla. Si guardano e siriconoscono dopo un istante. Martino tende la mano)

Cesco Ma tu... sì certo, sei Martino Righi, il figlio del Righi su al paese... Lì, per lì, con gli occhiali non ero certo...

Martino (si toglie gli occhiali)  Così va meglio? Sono proprio Martino Righi, caro Cesco.

Martino  e

Cesco (insieme)  Che ci fai, qui? (si mettono a ridere)

Cesco Sono arrivato prima io e sono più vecchio. Ho la precedenza. Che ci fai, qui?

Martino Ah ah, Cesco, mi stupisci. Non vorrai farmi, credere che non sei più il depositario dei segreti di tutto il paese. Non puoi essere cambiato così in un paio d'anni. Mi daresti una grossa delusione.

Cesco Olà, Martino Righi, ci diamo delle arie? Ten­tiamo di sfottere il vecchio Cesco?

Martino Neanche per sogno. Constatavo che c:è qual­cosa di cui non sei informato, ecco.

Cesco Effettivamente è così.Si parla poco di te, al paese, chissà perché. Dopo la morte di tua madre, mi dispiacque molto, era una brava donna, tua madre...

Martino Grazie, Cesco.

Cesco Dopo, tu non ti sei fatto più vedere. Tuo padre se ne sta solo il più possibile. Abbiamo saputo che ti eri laureato, che lavoravi, e basta. Allora, che ci fai, qui?

Martino Ti svelerò il segreto. Se tu leggessi qualche giornale, ogni tanto, ti saresti accorto che in fondo a qualche articolo c'è una firma, quella di un certo Martino Righi.

Cesco Ahhh.

Martino E siccome faccio il giornalista, mi hanno man­dato qui per cogliere al volo qualche frase storica che non mancherà di essere pronunciata dal grande divo...

Cesco Dick Avaltona.

Martino Bravo, Cesco, sei informato.

Cesco Ce l'ha detto una hostess pochi minuti fa. Arriva da Londra, ma l'aereo e in ritardo, quasi un'ora.

Martino Chi stai aspettando?

Cesco Io, nessuno. Ho accompagnato qui la signorina Giannella che aspetta il fidanzato da Londra.

Martino Giannella, fidanzata? Mi sembra impossibile. Non ho mai pensato a lei come a una donna eguale alle altre, che si fidanza e si sposa.

Cesco Beh, non è mica una ragazzina. Ha qualche an­netto più di te, no? Me la ricordo, tanto tempo fa. quando ti prese sotto la sua protezione. Chissà che ci aveva visto in te? Sembravi uno sgorbio nero, eri piccolo, quanti anni avevi?

Martino Otto o nove anni. Il figlio del Righi e l'inglesina. Già. Come mi spronava. Aveva visto dentro di me anche quel che io non sapevo di avere. Come sa­peva essere severa a volte, e così bambina, a volte. Dovevamo essere buffi.

Cesco Eravate buffi. Tu eri molto piccolo anche per la tua età, e lei era già alta, così magra, con quei vestiti, da lutto che la smagrivano ancora di più...

Martino Sempre aggrappato alla sua mano,

Cesco La vecchia ti odiava. È morta, lo sai? La curava il dottore nuovo che sì è innamorato di lei. E ora si sposano.

Martino Giannella sposata. Non riesco a immaginarmela.

Cesco Beh, immaginatela, invece. Ha già prenotato le mie macchine. A proposito, ho la macchina in sosta vietata. Vado, sennò mi danno la multa. Ci vedia­mo, eh?

Martino Certo, Cesco, ci vediamo.

Cesco Arrivederci.

(Esce dalla luce. Martino resta fermo come in ascolto di una voce interna. Muove qualche passo per uscire dalla luce e chiama)

Martino Giannella...  Giannella...

(Luce su Giannella all'aeroporto, dove sta leggendo una rivista. Alza la testa al richiamo e ascolta. Alla voce maschile adulta, come evocata dal pensiero di Giannella, si sovrappone la voce di Martino bambino)

Martino (bambino) Giannella... Giannella...

(Luce sul bambino nella zona del melo e panchina. È in piedi. Entra in luce Giannella giovinetta. Deve avere 7-8 anni più del bambino. 8-15 - oppure 10-16 anni)

Giannella (bambina) Sono qui, Tatti. Piano, se no ti sente la zia...

Martino (b.)  Mi manda via anche oggi?

Giannella (b.)  Non ti manderà via mai più. Ci ho pen­sato io.

Martino (b.)  Ma tu non hai paura di lei?

Giannella (b.)  Qualche volta credo di sì. Ma vedi, Tatti, quando uno è convinto di essere dalla parte giusta, deve dimenticarsi di aver paura e combattere per ot­tenere quello che vuole.

Martino (b.)  Perché non vuole che io stia con te, Giannella? E tu, perché mi vuoi bene? (Giannella siede sulla panchina e il bambino si ac­coccola ai suoi piedi)

Giannella (b.)  Oh, Tatti, che domanda! Chissà perché si vuoi bene a qualcuno. Forse perché tu sei un bambino solo e io sono una ragazza sola.

Martino (b.)  Sei più sola di me. Hai soltanto la Vecchia.

Giannella (b.)  (ridendo) Non farti sentire da lei. Lo sa che tutti in paese la chiamano la vecchia, ma si ar­rabbia Io stesso. Avevo solo lei, quando sono morti i miei genitori in quel terribile incidente. Ma ora ho te. Tatti.

Martino (b.)  Io sono così povero, e piccolo, e a casa mia dicono che tu sei ricca e istruita.

Giannella (b.)  Oh. ricca! E istruita! Un po' più di te. certo. Sono più grande e sono avanti nella scuola. Studierai, anche tu, Tatti, ti aiuterò io.

Martino (b.)  Credi che diventerò come te?

Giannella (p.)  Molto meglio di me, vedrai. Tu sei un uomo.

Martino  (b.)  Ti sposerò, da grande.

Giannella (b.)  (ridendo) Dovrei fermare gli anni, per aspettarti.

Martino (b.)  Lo farai?

Giannella (b.)  Ci proverò, va bene? Ma ora, sotto coi compiti. Per adesso quelli sono più importanti di tutte le nostre chiacchiere.

Martino (b.)  Per me, sei più importante tu, Giannella. (Luce sull'aeroporto e Giannella che legge, mentre la voce infantile ripete)

Martino (b.)  Giannella... Giannella...

(Si sovrappone la voce adulta che ripete)

Martino Giannella... Giannella…

(E Giannella smette di leggere e resta in ascolto. Luce sull'angolo melo dove Martino adulto sta chiamando. Martino vestito più giovanile. Ha 18 anni. Entra in luce Teresa.)

Teresa Beh, ti sembra la maniera di gridare? La vecchia dorme, me la svegli e poi sono guai per tutti, anche per te.

Martino Per carità, Teresa, lasciamola dormire. Dopo tanti anni che mi vede per casa, dovrebbe aver im­parato a sopportarmi. Hai imparato anche tu, no?

Teresa Sei cresciuto nella mia cucina, mangiando i mici dolci. O imparavo a sopportarti, o ti avvelenavo. Ho preferito imparare,

Martino (abbracciandola)  Va là, che sei una vecchia sen­timentale. Mi coccolavi, ammettilo.

Teresa Non volevo rendere le cose più difficili alla mia signorina, ecco tutto, caro galletto presuntuoso. Cosa credevi, eh?

Martino (scherzando)  Vediamo un po'... sei una zitellona convinta, e quindi...

Teresa Guarda che uno scapaccione te lo rifilo lo stesso, anche se sei cresciuto.

Martino Provaci.

Teresa Non mi tentare.

Martino Zitella convinta, però, lo sei. Non puoi negarlo. Non hai mai guardato un uomo in vita tua.

Teresa E tu che ne sai?

Martino L'avrei saputo. Qui si sa. tutto di tutti. Quindi, Teresa, non avevi mire segrete su di me.

Teresa Sentilo, il pulcino!

Martino Prima hai detto galletto.

Teresa Galletto, pulcino, sempre di quella famiglia, sei.

Martino E tu sei una chioccia. Ecco perché coccoli me,

coccoli Giannella, e se lei te lo permettesse, scom­metto che coccoleresti anche la vecchia. Chi-oc-cia! Chi-oc-cia!

(Ride, si alza e imita lo sbattere delle ali di una gallina. Teresa gli corre dietro intorno all'al­bero, ridendo)

Teresa Se ti acchiappo, se ti acchiappo...

(Nel correre Martino va a sbattere contro la vecchia che entra in luce in quel momento. Attimo di gelo e imbarazzo)

Martino Oh, mi scusi signora, io...

Zia La scuola non ti ha migliorato l'educazione vedo!

Martino Stavamo scherzando.

Zia Ho sentito. Noto che hai un certo successo con le donne di famiglia. Quasi con tutte.

Martino Cercavo Giannella.

Zia Anch'io. Ma se tu sei qui, penso che dovrò ri­nunciare alla sua preziosa presenza.

Martino Dopo vado via subito. Devo solo dirle una cosa.

Zia  Lo conosco il tuo subito. Sbrigati.

Martino Certo, signora.

Zia E sbrigati anche tu, Teresa. (la vecchia esce dalla luce, pausa)

Martino Chissà perché la Vecchia mi odia così.

(Teresa imbarazzata)

Teresa Vedi, Martino, lei non è riuscita ad ottenere quello che hai tu: l'alletto della signorina. Non stiamo a cercare di chi sia la colpa. Badiamo ai fatti. Forse lei pensa che se quel giorno tu non fossi saltato nel nostro orto, tutto avrebbe potuto essere diverso. E poi, forse, io sono soltanto una vecchia chioccia sen­timentale e tu, semplicemente, le urti i nervi.

Martino Se Giannella non mi avesse sempre aiutato, di­feso, protetto... Me lo disse tanti anni fa e me lo ri­cordo ancora: « devi dimenticarti che hai paura, quan­do fai una cosa giusta ». Ed è riuscita a convincermi che studiare, cercare di uscire da questo mio limite di essere «il figlio del Righi» fosse giusto. Inten­diamoci, non è stato facile neanche per me. Sai che qui non ho amici, oltre lei? Mi guardano tutti come una bestia rara nella gabbia dello zoo. Ma lei mi ha convinto. Tu che ne dici. Teresa?

Teresa Dico che oggi sei più chiacchierone del solito, e hai sentito la Vecchia? Sbrigati. Teresa... E poi. ho da fare in cucina. La signorina vuole che prepari un dolce speciale.

Martino Quando te lo ha chiesto?

Teresa Ma... stamattina presto.

Martino Non aveva dubbi, lei! Dimmi, Teresa, avrei po­tuto deluderla?

Teresa Non so di cosa stai parlando, ma no, ragazzo mio, non puoi deluderla. Tu conti molto, per lei. Che ci ha trovato in te, poi! Mah...

Martino Non fare la brontolona. Chiamala, piuttosto, ho una cosa importante da dirle.

Teresa C'entra il mio dolce?

Martino   Segreto. Va, chiamala.

Teresa Eccola, sta arrivando. Io vi lascio. Vado a tener buona la vecchia.

Martino Grane, Teresa.

Teresa (imbarazzala)  E... senti, Martino. Lei... tu...

Martino Sì?

Teresa Niente. Vado. (Esce dalla luce mentre si avvi­cina Giannella, col viso ansioso. Resta un po' in­dietro)

Martino (sorridendo, trionfante)  Ce l'abbiamo fatta! (Giannella allarga le braccia e Martino ci si rifugia dentro per un caldo casto abbraccio. Poi lei lo stacca da sé, lasciandogli le mani sulle spalle e scuotendolo dolce­mente)

Giannella Tu. Ce l'hai fatta, tu. Tu, capito?

Martino (trasognato)  Giannella, pensa, il figlio del Righi è tornato al paese con il suo diploma di maturità in tasca.

Giannella E smettila di dire « il figlio dei Righi ». Tu sei Martino. Martino Righi, e basta. Se tuo padre ha... se lui è...

Martino Se mio padre è una vecchia spugna alcolizzata, vuoi dire?

Giannella Smettila. Tu ce l'hai fatta, no?

Martino Con te. Tu mi hai aperto il cuore e la mente, tu mi hai tirato fuori quello che, forse, avevo dentro, o forse mi hai dato un po' di quello che c'è dentro di te. Mi hai sempre raccontato cose meravigliose che io, prima, non capivo. Non mi hai mai trattato come il figlio del Righi... Quanta pazienza hai avuto, cara. Quanta pazienza contro l'ottusità dei miei, con­tro i musi della vecchia, e anche contro la mia pi-grizia mentale... E quanta forza! Con la tua forza tran­quilla ti sci messa contro tutti, per me, per portarmi fino qui. A me non è arrivato che l'eco, così smorzalo, delle lotte che tu, lo so, hai dovuto combattere per portarmi fin qui. Perché? Adesso puoi dirmelo, il perché ?

Giannella (sorride)  Tatti.

(Pausa. Si guardano qualche secondo vi silenzio come se qualcosa aleggiasse fra di loro. Martino alza una piano e senza avvicinarsi, la passa sulla faccia di Giannella in una lunga carezza. Poi resta a guardare la sua mano. in silenzio. Lei inghiotte a vuoto, ha voglia di piangere; manda indietro la ciocca ribelle dei suoi capelli, e riesce fi­nalmente a trovare la forza di parlare con tono quasi normale)

Giannella Forse perché tu sei un ragazzo solo, e io una rag... una donna sola.

Martino Hai me, Giannella.

Giannella (riprendendosi)  Avevo, te. Perché tu non ti fermi mica qui, sai? No, mio caro fannullone. Questo è solo l'inizio. Da domani io mi metto in moto...

Martino Ooh!

Giannella Non ci credi? Anche tu pensi che io non sappia vivere fuori dell'ombra di questo melo? Perché non mi agito, perché non amo la compagnia rumorosa, perché non mi piace anelare in giro, pensi anche tu che sia una specie di... zitella del secolo scorso, incapace di vivere la vita degli altri?

Martino No, Giannella, non lo penso.

Giannella Credi anche tu che siano veri soltanto i senti­menti, i pensieri, di quelli che sentimenti e pensieri li urlano forte perché tutti li sentano?

Martino No. Giannella, non lo credo.

Giannella Perché ci sono alcuni che preferiscono...

Martino Io lo so come sei. cara. Sono cresciuto con te, te lo sei dimenticato?

Giannella (calmata)  No, non me ne sono dimenticata. Scu­sami. Hai fame?

Martino Fame da lupo. Stamattina sono partito digiuno, e non sono ancora andato a casa.

Giannella E io che... oh, povero Tatti.... Teresa, Teresa!

(Teresa da fuori luce)

Teresa Tutti urlano, oggi. Che c!è? Vengo.

Giannella Porta un po' di merenda. Sbrigati. (a Martino) Siediti, Teresa farà presto, la conosci. E farò presto anch'io. Andrò in città, mio padre aveva tanti amici, li cerchérò, mi. darò da fare, Appena sarò riuscita a farti entrare nella redazione di un giornale... Un gior­nale importante, sai?

Martino Deve essere importante?

Giannella Oh sì. Devi cominciare bene. Lavori, ti paghi l'università e fra qualche anno ce l'hai fatta del tutto. Ne sono sicura.

Martino Perché ne sei così sicura, Giannella?

(Entra in luce Teresa con un vassoio e sopra un panino e un bic­chiere di latte)

Teresa Ti rispondo io! Perché sei sempre così affamato che se vorrai riempirti lo stomaco dovrai lavorare sodo! Tieni.

(Scoppiano tutti a ridere e restano a guar­darlo mentre lui beve avidamente il latte, poi attacca il panino. Se occorre, parli pure mangiando.)

Teresa (a Giannella) Lei dovrebbe imparare qualcosa da lui, adesso: a mangiare! È sempre qui, bianca e magra. Diglielo tu. Martino, che pensi a ingrassare un po’:...

Martino Non brontolare. Teresa, e lasciala in pace. La mia Giannella è perfetta così: la mia meravigliosa, perfetta ragazza bianca. Se quando torno la trovo di­versa, te la faccio pagare.

Teresa (a Giannella.)  Se ne va?

Giannella Sì, cara, ma non subito. È stato promosso, sai? Ha preso la maturità.

Teresa Maturo, lui? Ma se ha ancora il latte sulle labbra.

Giannella (con un sussulto)  Stavo spiegandoti...

Martino Che questo latte è buonissimo. Me ne dai un altro bicchiere, brontolona?

Teresa Intanto mangia. E se questa maturità era così importante, godetecela. È estate, andate al mare, pren­dete le biciclette e andatevene. Per un paio di mesi non pensate a niente. Avrà tanto tempo, lui, da fa­ticare e stare lontano... Ve lo siete meritato, no? Tutti e due.

Giannella Teresa!

Teresa Teresa, Teresa! Sono stufa di avervi fra i piedi, anche lei, signorina Giannella, si. Due mesi di pace...

Giannella Teresa!

Teresa (buttandola sul ridere)  Avrò pure il diritto di starci un po' anch'io, all'ombra di questo melo, che è il posto più bello dell'orto, o no?

Martino E io ce la vedo, la tua vecchia, che ti lascia qui a riposare.

Teresa Alla vecchia ci penso io.

Giannella Grazie. Teresa.

Teresa Dammi 'sto bicchiere, che vado a riempirtelo. Via, al mare, al mare. (esce dalla luce. Pausa)

Martino Mi piace, il mare. Con te. E il sole, e la vita. Mi piace vivere, oggi, Giannella. Avremo una magni­fica estate, se Teresa ci aiuta a fuggire da qui.

Giannella Ma io non sono prigioniera qui. Tatti, lo sai. Sono fatta così.

Martino Vorrà dire che userai le ali, una volta tanto. Tutti le abbiamo, me l'hai insegnato tu. Magari un po' atrofizzare dal poco uso.., basterà un po' di eser­cizio. Al mare, in bicicletta, io e te, Giannella, ci pensi?

Giannella Ci penso, certo. Ma, Tatti, non... non sarebbe meglio che tu festeggiassi la tua estate con qualche altra ragazza, che so, un'amica...

Martino (ridendo ignaro)  Ma la mia amica, la mia ra­gazza, sei tu, non lo sai? Non discutere, te lo proi­bisco. È estate ed è vacanza. Vieni, Giannella.

(Buio sul melo per lasciar uscire Martino e per dare il tempo a Giannella di infilarsi un gol fino. Si riaccenderà la luce su Giannella che lavora all'uncinetto con un gira­dischi accanto, canzone dell'epoca: ad esempio « Non mi scorderò mai » di Aznavour. Da fuori luce la voce di)

Cesco Non si affatichi, signora. Vado io.

Zia Non sono ancora moribonda, Cesco, badate ai fatti vostri. Voglio dire io due parole a mia nipote. Aspettatemi qui.

(La zia entra in luce, camminando appoggiata a un bastone. Giannella smette di lavorare, per guardarla).

Giannella Siediti, zia. Si sta bene qui.

Zia Non ne dubito. Solo che ti avevo fatto dire da Teresa di prepararti per accompagnarmi in città dal­l'ortopedico.

Giannella Me ne sono dimenticata. Scusami.

Zia  Andrò da sola. Potrà aiutarmi Cesco, per le scale.

Giannella (alzandosi)  No, no, zia, vengo subito.

Zia Così, senza cambiarti?

Giannella (guardandosi l'abito)  Cosa c'è che non va?

Zia Tutto, non va. Ma non puoi comprarti qualche vestito decente? Andare dal parrucchiere? Truccarti un po'? Sembri una martire, una morta. Sei ricca, non lo sai? Te l'ho amministrato bene, quello che t'ha lasciato tuopadre. Ora sei ricca, anche se pare non te ne importi. E sei maggiorenne da un pezzo, ormai. Adesso che potresti fare quello che vuoi, non vuoi fare più niente.

Giannella Quando volevo veramente fate qualcosa, l'ho fatto, tuo malgrado. Sto bene così. Non preoccuparti, zia.

Zia Perché non dovrei? Credi che sia piacevole ve­derti sempre qui sola, in silenzio, con quello stupido e inutile lavoro in mano, senza altro scopo che la­sciar passare il tempo?

Giannella Ho tutto quello che mi occorre.

Zia Davvero? Intendi dire l'aureola della martire sa­crificata da me? La gente chiacchiera, in paese, non lo sai? Vedi di non renderti ridicola.

Giannella Ridicola? Sono maggiorenne da un pezzo, me l'hai appena fatto notare. Non sarebbe più ridicolo se mi comportassi come una ragazzetta smaniosa, se andassi a ballare, se mi lasciassi corteggiare?

Zia Lo sapevo che avresti fatto finta di non capire. (pausa) E va bene, Giannella. Resta qui, come vuoi. (pausa) Non sono mai riuscita ad arrivare al tuo cuore, vero?

Giannella No, zia.

Zia Tu mi odii, vero?

Giannella Non dire stupidaggini, zia.

Zia Giusto. Anche l'odio è un sentimento, e tu non senti niente, invece. (pausa) In che cosa ho sbagliato, Giannella?

Giannella Oh zia, per favore. Cesco ti sta aspettando per portarti in città, e la tua artrite non guarirà stando qui a fare un processo al passato. Il passato è inutile, del resto.

Zia  Ne sei convinta del tutto?

Giannella Non fraintendere, come sempre.

Zia Credo che il guaio sia qui, Giannella, che non ho mai frainteso niente. Forse sono l'unica che ha visto sempre, molto chiaramente, dentro di te. Se tu non avessi alzato questa barriera, fra noi due, forse le cose avrebbero potuto essere diverse.

Giannella Tu  credi?

Zia Non soltanto, lo credo. Ne sono convinta. Sei la figlia di mia sorella e io le volevo bene, era molto più giovane di me e più bella. No, non le somigli, solo quando sorridi me la ricordi un po'. Non sor­ridi spesso, d'accordo. E nemmeno io. Ma credi che quando rimanemmo sole, tutte e due, e venimmo qui, io avessi tanti motivi per sorridere? Ero spa­ventata, come te, e in più avevo la responsabilità di tutto. Tu eri molto giovane, e io ero già vecchia. Non ci siamo incontrate. Non abbiamo avuto pazienza, forse.

Giannella Ti prego, zia. Cesco ti sta aspettando.

Zia Certo, me ne vado. Ti lascio qui, sola, come de­sideri. Ma... dietro quel tuo aspetto fragile, come sai essere dura, Giannella. Molto più di me. Non mi hai mai dato niente, tu. Io, almeno, ti ho regalato una estate.

Giannella Cosa stai dicendo?

Zia Quel che ho detto. Credevo te ne fossi resa conto. Quell'estate che ti ho regalato, quella della maturità. Non mi lasciai incantare dalle chiacchiere di Teresa, Feci finta di non capire e di non vedere. Hai avuto la tua estate, Giannella.

Giannella È passata da un pezzo, quella stagione.

Zia Ne potrai avere altre. Diverse, certo. Ma più... adatte, ecco.Puoi essere felice, mia cara, se ti stacchi da questo albero, se esci da questo orto, e cominci fi­nalmente a vivere.

Giannella Ognuno di noi. ha un suo concento del « vi­vere ». A me piace questo.

Zia Va bene, Giannella, va bene. Basta così. Ma, al­meno, ci ho provato.

Giannella Ecco, mettiti la coscienza in pace... Che c'è, Cesco?

(Entra in luce Cesco con una lettera in mano)

Cesco Disturbo? È che... si fa tardi, signora, E poi, Teresa mi ha dato questa lettera per la signorina. (gliela porge)

Zia E noi ce ne andremo a far curare le mie vecchie ossa. Andiamo, Cesco. E tu, rientra in casa, comincia a far fresco. Bastano i miei, di reumatismi, in famiglia.

Giannella Tra un momento, zia. Arrivederci.

Cesco Buona sera, signorina Giannella.

Giannella Buona sera.

 

(Zia e Cesco escono. Giannella apre la sua lettera e legge a voce alta)

Giannella Mia cara Giannella...

(si sovrappone la voce di Martino fuori scena)

Martino (fuori scena)  Mia cara Giannella, sono quasi sicuro che sarai seduta sotto il nostro melo a leg­gere la mia lettera e immagino benissimo la tua faccia assorta, semicoperta dai capelli. (Giannella manda in­dietro i capelli commossa) Adesso tu manderai in­dietro la ciocca ribelle, in quel gesto che non ho di­menticato, come non ho dimenticato niente, di te. Lo so, non ti scrivo spesso. Ma tu che hai vissuto, sia pure per poco, con tuo padre - qui se io ricor­dano ancora, sai? - la vita di redazione, sai come sia senza orari, e come sia difficile restare soli con se stessi e coi propri ricordi. È stato molto duro, qui, i primi tempi,  come puoi immaginare. Non ti ho scritto per questo, per non l'attristarti troppo. Mi sono sentito solo ed estraneo, il provinciale alla riscossa... Ora va molto meglio, anche se è difficile e faticoso, a volte. Firmo qualche articolo, niente di importante, ma è l'inizio, no? Spero di non deluderti, Giannella. Studio e riesco a frequentare l'università abbastanza regolarmente. Ma, se devo essere sincero, e stasera ho cominciato a scriverti proprio perché avevo den­tro un tremendo bisogno di sincerità, mi mancano le nostre chiacchierate sotto il melo, mi. manca la tua forza, la tua dolcezza, mi manca lo sprone che tu sei sempre stata per me. In questo momento vorrei avere dieci anni, appoggiarti, la testa in grembo e ascoltare la tua voce. Vorrei che tu mi tenessi per mano. Quelle mani che mi hanno guidato, che sono state per me tenere, e forti, calde e protettive. Stai piangendo, Giannella? Credo che nessuno, all'infuori di me, ti abbia mai visto piangere, e anche queste lacrime come quelle del nostro passato, resteranno un segreto fra te, me e il nostro melo. Non preoccuparti troppo per me: comunque, ce la farò. Spero di poter venire presto a trovarti. Ti racconterò tutto. Ti abbraccio. Martino.

(Giannella appoggia la  testa indietro e  chiude gli occhi). Via Luce.

Luce su angolo ufficio di Martino. Un tavolo,  una macchina da scrivere,  un telefono, due sedie.  Martino è seduto alla scrivania,  mentre sulla scrivania è seduta Gin, sua collega:  giovane, moderata, elegante e spiritosa.

Gin (ridendo sardonica)  Martino, Martino! La « rab­bia gelida e incisiva » - il direttore ha detto così - tu ce l'hai soltanto quando scrivi per il giornale. Nel tuo intimo sei un provinciale, conformista, sentimen­tale, retrogrado...

Martino E ho una buona scorza. Buona abbastanza da assorbire i tuoi insulti.

Gin Proprio perché sei un provinciale. Mi hai catalogata pressappoco come « elemento di sesso femmi­nile, sui vent’anni, belloccia, ambiziosa, prototipo di ragazza moderna e spregiudicata »... Gli insulti te li aspetti, da me, altrimenti resteresti deluso.

Martino E tu non mi deludi mai. Ma se la piantassimo di stuzzicarci e andassimo a mangiare una pizza? Offro io.

Gin Perché?

Martino Perché due lire ce l'ho. oggi. Mi hanno pagato il servizio sui campi di calcio periferici.

Gin Lo so. Ti chiedevo perché hai precisato che of­fri tu.

Martino A volte mi stanchi, sai? E che ne so, perché ho precisato.

Gin Perché quando sei al verde la pizza la pago io, e tu non riesci a scordartelo, ecco perché. Sci un con­formista, ecco perché.

Martino Piantala,

Gin Allora hai finito di mandar soldi a quella san­guisuga di tuo padre per fargli comprare il suo pezzo di terra? Se il suo sogno di fare il proprietario ter­riero si è avverato, potrai comprarti un vestito de­cente, penso.

Martino Piantala, per favore.

Gin Per me, puoi portare questo maglione vita na­tural durante, se ti fa piacere. Ma ho intenzione di invitarti a casa mia, j. miei danno un party. Ci sarà un mucchio di gente « su », gente che conta. E non ti puoi presentare così, loro ci tengono all'eleganza.

Martino Perché sei sicura che verrei al tuo party?

Gin Non è il mio party, è dei miei genitori... e io da brava, affettuosa figlia di famiglia, sarò presente. Mi ci annoierò sicuramente, ma non lo darò a vedere. Sono bravissima in queste cose, io. Vecchia abitu­dine. A. te sarà utile, invece, avere dei contatti im­portanti, e - se ti conosco abbastanza - ti ci troverai benissimo. Mi pare di sapere, non ricordo più chi me l’ha detto, che sei cresciuto con un paio di zi­tellone in una villa « bene », su al tuo paese. Anzi, che avevano qualcosa a che fare con il giornale... Ah, ricordo adesso: sei un maledetto raccomandato di ferro!

Martino Smettila, Eugenia, non sei divertente.

Gin   Gin. Mi chiamo Gin, io.

Martino D'accordo, Gin. Non sei divertente lo stesso. E non verrò al tuoparty, non mi comprerò un ve­stito nuovo, manderò ancora soldi a mio padre perché la terra non è stata pagata tutta, e sarò ancora sempre in bolletta... Però, oggi, quanto basta per pagarti la pizza ce l'ho, pertanto se vuoi mangiarla, vieni. Ho fame.

Gin (quasi duramente)  Non sono il tuo tipo, vero?

Martino (stupito)  Che discorsi fai? Nessuno è il tipo di nessuno. Non credo alla storia delle due mezze mele che si riuniscono e formano una unità tanto fe-lice quanto insipida e noiosa... Io sono per il rischio... E, a parte questo, che c'entra?

Gin   Perché stai con me?

Martino (stupito) Ma... sto con te come con tutti gli altri colleghi, mi pare. Quando ne ho tempo, quando ne ho voglia...

Gin Di più...

Martino   Non me n'ero accorto.

Gin Oh, beh, allora...

(Pausa piuttosto lunga. Si accendono una sigaretta, fanno  qualche  boccata,  ma senza imbarazzo,  sono colleghi, abituati a stare insieme. Gin parlerà all'improvviso, come per cogliere Mar­tino a guardia scoperta)

Gin Com’è, lei?

Martino  (soprappensiero,   senza  muoversi)     È  così  diversa  da  tutte,  che...  (cambiando  tono)  Ma  di  chi diavolo stai parlando? Lei, chi?

Gin Oh, una lei qualunque. Stavo tentando di sco­prire se hai qualche passione segreta o se sei libero di accettare le mie... proposte. Diciamo la mia... « corte » per le tue retrograde orecchie... Ti sto fa­cendo la corte, stupido, non ti sei accorto neanche di questo?

Martino (buttandola sul ridere)  Un bel modo di corteg­giare un ragazzo povero e onesto, prossimo laureato, con carriera promettente:  insultandolo!

Gin Fa parte del prototipo, no?

Martino Dai, prototipo, ho fame.

Gin  No, sul serio, Martino. Ti piaccio?

Martino   Ma che discorsi fai? Stasera, Eugenia,..

Gin Gin.

Martino   Gin, se 'sto nomignolo stupido ti piace.

Gin Mi piace. Mi hanno sempre chiamata così, fin da piccola, quelli che mi volevano bene. Te, ti hanno sempre chiamato Martino? È un nome così serio, così adulto... sicuramente i tuoi...

Martino (ridendo)  I miei! Carissima, elegantissima, ric­chissima Gin, io sono nato pressapoco in una stalla, sai? Solo che non ero il bambino Gesù e non c'era tempo per i teneri vezzeggiativi... Però, più tardi...

Gin Sì, più tardi?

Martino Niente. Vogliamo andare, Gin? È tardi, siamo rimasti solo noi, qui.

Gin Hai paura? O è il tuo conformismo provinciale che si risente? Non per me, spero. Io non sono nata in una stalla, neanche pressappoco. E nel nostro am­biente si comincia presto a considerarci superiori alle convenienze e alle convenzioni. Peccato che è difficile fermarsi, una volta cominciato coll'infischiarsene! Non sono una santarellina, come avrai sentilo dire in giro.

Martino Non ascolto mai le chiacchiere.

Gin Lo so. per questo te l'ho spiegato io. Per farti sapere che « puoi osare », capito?

Martino  (ride)

Gin Dai, provinciale, offrimi 'sta pizza. E anche una birra grossa così. A furia di parlare m'è venuta sete.

Martino (si alza e passa un braccio attorno alle spalle della ragazza, mentre si avviano all'uscita) Non più di una, però. Non posso permettermelo.

Gin Andiamo. Cerchérò di accontentarmi. Per adesso.

(escono ridendo e)

SIPARIO

FINE PRIMO ATTO


SECONDO ATTO

(Luce sull'aeroporto dove Giannella è sempre in attesa. Sta fumando una sigaretta colla rivista abbandonata in grembo.

Entra in luce la)

Hostess È rimasta sola, signorina?

Giannella L'autista è andato a spostare la macchina che aveva lasciato in sosta vietata.

Hostess Ormai non manca molto all'arrivo del suo aereo. È stanca di aspettare?

Giannella No. Davvero. Il tempo è volato, senza che me ne accorgessi. Pensavo a tante cose... Vuole una sigaretta?

Hostess No, grazie. Sa, il regolamento. Se avesse voglia di un caffè il bar è qui vicino, lo sa?

Giannella Lei è molto gentile, signorina.

Hostess (ridendo)  Direi molto invidiosa, invece. Vor­rei sedermi lì, dove ora è lei, fumare una sigaretta, e... avere il tempo di lasciar passare... il tempo. Sono così stanca di vivere in corsa.

Giannella E io cerco di imparare adesso, pensi.

Hostess. (ridendo)  Non lo faccia! Comunque, auguri, signorina!

Giannella Anche a lei. (Hostess esce dalla luce) Sto cer­cando di imparare, per Enrico.

(Luce sulla zona libera dove un lavalo e due sedie rappresentano l'interno della casa. Enrico e Teresa sono seduti, Enrico finisce di scrivere una ricetta e la porge a Teresa)

Enrico Mi raccomando a lei, Teresa. Che venga ri­spettato l'orario delle iniezioni. È importante.

Teresa Se la caverà?

Enrico La sua padrona ha una volontà di ferro. Chissà che non la spunti anche contro questa nemica.

Teresa È dura, questa, e invincibile. Molto più di quella là, che lavora all'uncinetto, mentre la mia vecchia... poveretta.

Enrico Chi?

Teresa Poverette tutte e due, ecco.

Enrico Avevo avuto l'impressione, da che vengo qui a curare la signora, che lei patteggiasse sfacciatamente per la giovane. Scusi se sbaglio.

Teresa Certo, le voglio un gran bene, l'ho vista cre­scere. Ma certe volte mi fa una rabbia: Eccola là, fredda come il marmo, mentre questa qua, povera donna...

Enrico È vecchia, Teresa. Arriva per tutti la fine del tempo. E noi cerchéremo di dargliene il più possi­bile, d'accordo? Mi raccomando le iniezioni.

Teresa Stia tranquillo, dottore.

Enrico Torno domani. Arrivederci.

(Buio sul tavolo,  mentre Enrico si sposta sotto il melo dove Giannella lavora all'uncinetto.

Enrico lascia cadere pesantemente la  borsa a terra, Giannella non se ne accorge. Lui si avvicina e saluta)

Enrico Buona sera, signorina Giannella. (lei sobbalza, carne impaurita)

Giannella Mi ha spaventata. Non l'avevo sentita arrivare.

Enrico (ridendo)  Col fracasso che ho fatto? Se me l'avesse detto un'altra non ci avrei creduto. Da lei l'accetto per buona, la conosco abbastanza.

Giannella Mi conosce abbastanza?

Enrico Oh! certo, da quando vengo qui lei mi avrà detto cento parole in tutto, compresi i buongiorno e i buona sera. Ma, le donnette che vengono in ambulatorio non sono campioni di discrezione, gliel'assicuro.

Giannella Ma non c'è niente di interessante in me, mi pare.

Enrico Ah, questo lo dice lei. Ma io so tutto. Che lei è il ritratto di suo padre, il famoso giornalista in­glese; che ha perduto i genitori quando era ancora una bambina. So quello che ha fatto per quel ragazzo, il figlio dei Righi. A proposito, non si vede da un po' di tempo, dicono.

Giannella  (lo guarda e riabbassa la testa sul lavoro)

Enrico Mi stoimpicciando dei fatti altrui, vero?

Giannella Sono fatti del paese, li sanno tutti. Non si vede da un po' di tempo, infatti. Sa come succede. Le ami­cizie dell'infanzia si smarriscono per strada...

Enrico (ridendo)  Meglio così, si lascia posto alle ami­cizie nuove. (serio) Parlo in generale, si capisce, non per lei. Lei, perché non ha amici? Perché non si comporta come le altre ragazze, non va a ballare, alla spiaggia, al cinema...?

Giannella La zia è molto ammalata. Proprio lei l'ha di­menticato, dottore?

Enrico Mi chiamo Enrico, se non lo sapeva. E non parlo diadesso che ha la scusa della zia ammalata, parlavo di sempre.

Giannella Ma chi le ha dato il permes... (altro tono) Eb­bene, c'è chi ama i balli, la compagnia, le spiagge, e io no. Questo le suggerisce qualche diagnosi, dottore?

Enrico Mi chiamo Enrico, le ho detto. Può chiamarmi per nome, sa? Non sono poi tanto vecchio, ho solo un paio d'anni più di lei.

Giannella Anche questo gliel'hanno detto le sue don­nette all'ambulatorio? Dovrò venirci anch'io, qualche volta, potrebbe essere interessante.

Enrico Beh, ho detto un mucchio di stupidaggini. Chissà perché. È che lei, Giannella... (pausa) Ha dei meravigliosi capelli... (pausa) Me ne vado. (si avvia, poi torna indietro) Ma stasera passo a prenderla e la porto in città, andiamo al cinema. Non protesti. Or­dine del medico. (Improvvisamente Giannella scop­pia in una allegra giovane risata, ed è evidente il ri­flesso sulla faccia di  Enrico)

Giannella D'accordo, dottore, grazie.

Enrico Proprio non le piace, il mio nome?

Giannella Oh, è un bellissimo nome. Solo che...

Enrico Va bene, Giannella, va bene così. Sono un tipo paziente, io. Imparerà. Intanto vada a farsi bellis­sima per stasera. Voglio farmi invidiare da tutti.

(Teresa entra in luce sulle ultime parole)

Teresa E ora scappi, prima che lei ci ripensi. Su, che è tardi e la cena è pronta.

Enrico Scappo. A più tardi, (Esce. Pausa)

Teresa Le farà bene uscire un po'. Svagarsi.

Giannella Oh, era più facile dire di sì che discutere.

Teresa Ah, per questo.

Giannella Cosa credevi, anche tu? Ma chi ce lo ha man­dato, qui? A parlare, parlare... è ottuso, a non ca­pire che non ne avevo nessuna voglia. Se si aspet­tava qualche reazione, beh, è stato deluso. Vado al cinema, d'accordo. Al cinema tacerà, spero.

Teresa Ah.

Giannella Su, non fare quella faccia. Lo sai che soprat­tutto mi piace stare qui con te. Come sta la zia? Con tutte le sue chiacchiere, il dottore questo non me l'ha detto.

Teresa Vada su a vederla, signorina.

Giannella Certo, ci vado tatti i giorni, no? Teresa Sì, per andarci, ci va.

Giannella Cosa vorresti, anche tu? Che mi mettessi, im­provvisamente, a recitare nel ruolo dell'adorata nipotina al capezzale della zia morente? Non ci riesco, lo sai.

Teresa Lo so.

Giannella È troppo tardi. Troppo tardi per tutto. (pausa) Ero così giovane, quando rimasi sola, te ne ricordi? E lei era grigia e dura, e aveva quella voce fredda e metallica che mi spaventava. Dopo la tenerezza dei miei, che avevo perduto, ebbi lei. Lei, Dio mio, e io avevo tanto bisogno di,..

Teresa Venga a cena, adesso. Si fredda tutto. E poi farà tardi, e farà aspettare il dottore. Ho l'impres­sione che dovrà imparare a uscire con lui. Mi sembra un tipo deciso, che sa ottenere quello che vuole.

Giannella Oh, imparerà anche lui, a rinunciare. Ci sono tante cose a cui si deve rinunciare, .anche se non ci piace, non ci piace affatto.

Teresa Lei non ha mai rinunciato del tutto, vero, si­gnorina Giannella?

Giannella Che stai dicendo?

Teresa Niente d'importante. Pensavo ad alta voce. Io... Lei è un po' come una figlia, per me, lo sa?

Giannella Che discorsi fai, stasera. Teresa! Il dottore ti ha contagiato con la sua mania di chiacchierare? An­diamo in casa, a cenare.

Teresa Certo, è tardi.

(Buio sul melo. Pausa. Luce sul tavolo e le sedie dell'interno. Giannella è seduta e sta facendo colazione. Avrà cambiato golfino per dare l'idea del passar del tempo. Da fuori scena arriva la voce di)

Martino Giannella! (Giannella balza in piedi mentre il ra-gazzo entra in luce. Ha un maglione di evidente fat­tura casalinga. È imbarazzato) È troppo presto? Sono arrivato adesso. Ciao.

Giannella Ciao. Non c'è nessun treno, a quest'ora.

Marino Sono venuto in automobile. Uno scassone di quarta mano. vedessi. Io... me la sono comprata. Non potevo proprio farne a meno. Al giornale mi man­dano qua e là come una trottola. (pausa) A rate.

Giannella (ridendo) - A rate, certo. E... quel coso, quel maglione, anche quello l'hai comprato a rate?

Martino Me l'ha fatto mia madre.

Giannella Lo immaginavo. Vieni. Facciamo colazione in­sieme e intanto mi racconti qualcosa. Non ci vediamo da un bel po' di tempo, eh? (pausa) La zia è am­malata e non scende e Teresa è andata a fare una commissione. Siediti. Staremo tranquilli. (Pausa. Mar­tino siede, lei gli versa il tè, gli avvicina la tazza)

Martino Mi ero quasi dimenticato di quanto si sta bene. qui.

Giannella È passato un bel po' di tempo. Ma ora sei qui,e qui non è cambiato niente. Forse tu, ma qui no, niente.

Martino Sono passato dal retro. Non ho visto il melo. C'è sempre?

Giannella Certo. Sempre. E io seguito asedermi sulla vecchia panchina... Le donnette dell'ambulatorio par­leranno di me come d'una vecchia zitella, seduta sotto un melo, a tentare di ritrovarci chissà cosa.

Martino Perché proprio all'ambulatorio?

Giannella Oh, da quando la zia si è ammalata abbiamo sempre il dottore per casa. Mi riferisce spesso i com­menti delle sue"« donnette », le chiama così. A volte mi fa ridere..

Martino Le immagino, le chiacchiere. Non è cambiato niente. Non si è neanche rotto quell'orribile vaso imitazione cinese che tua zia adora e che tu odiavi tanto. Lo odii ancora?

Giannella  Certo, e inutilmente. Come vedi, è sempre lì... Prendi il tè, non farlo raffreddare.

Martino Sì. ...Il tè non mi piaceva, ti ricordi? Mi hai insegnato tu, a berlo.

Giannella E allora bevilo. Hai fame?

Martino No, stavolta no. Mi piacerebbe che Teresa mi sentisse rispondere una volta tanto « non ho fame ». Magari, ci resterebbe male.

Giannella Si, caro... Credo che tu sia mancato molto a Teresa. Si era abituata alia tua presenza. (pausa)

Martino Hai poi usato le tue ali, Giannella?

Giannella Cosa vuoi dire?

Martino Parlavo in generale, non so bene. Mi sono ri­tornare in mente le tue parole: « tutti abbiamo le ali, basta avere il coraggio di usarle ». Io ho tentato, al­meno. Oh, piccoli, rapidi voli, magari senza risul­tati. Ma l'importante è tentare.

Giannella Certo.

Martino Tu sei rimasta ferma, vedo. Non sci cambiata affatto. Non sei cambiata, vero, Giannella? (abbassa la testa e lei gli posa una mano sul braccio)

Giannella Che c'è, Tatti?

Martino Il piccolo Tatti... Sono ritornato Martino per tutti, sai? Da quanto tempo nessuno mi ha più chia­mato col mio diminutivo infantile... Non l'ho detto a nessuno che tu mi chiamavi così. Me l'ha quasi chiesto, ma non ho potuto...

Giannella Avanti, Tatti. Dillo tutto insieme. Dimmelo. (pausa)

Martino Mi sposo. (Giannella chiude gli occhi di colpo e annaspa con le mani alla ricerca di un appiglio. Lui è a testa bassa e non se ne accorge) Non dici niente? Sei la prima a saperlo, dopo la sposa, si capisce. Di' qualcosa, che sono troppo giovane, che non ho ab­bastanza soldi. Avanti, parla. (pausa) Mi mancano solo due esami, li darò, stai tranquilla. Al giornale vado forte, per me spendo pochissimo. Prenderò la laurea, stai tranquilla.

Giannella Si, certo. Tatti. Sei sempre stato un bravo ra­gazzo. Spero che tu sia felice.

Martino Ci proverò, ad esserlo. Benché mi pare che si dia troppa importanza alla felicità. Ci sono altre cose, nella vita.

Giannella Certo, Tatti.

Martino C'è della gente che non è mai stata felice, nel senso delirante che di solito intendiamo per feli­cità; eppure è felice perché non sa che non lo è stata.

Giannella Certo, Tatti.

Martino I discorsi strani sono sempre stati la mia spe­cialità, vero? Tu. cara, come stai? Come va? La ma­lattia della vecchia ti dà molto da fare? Come stai?

Giannella  Alla zia ci pensano il Dottore e Teresa. Sai che noi due... insomma non mi dà molto da fare. E

io sto bene. Sì, certo, stobene.

Martino Sono contento. Salutami Teresa, io devo scap­pare. Ho fatto un salto appena arrivato perché volevo che lo sapessi da me, per primo, del... (arrivano sotto il    melo, si fermano, lei si appoggia al tronco) Ma prima di partire, passo a salutarti.

Giannella Sì, certo, Tatti, passa a salutarmi.

(Martino le resta fermo davanti a guardarla scrutatore)

Martino Mi sembra impossibile che io debba... Giannella tu credi che... Giannella, noi...

Giannella Vai, che fai tardi.

(Martino si china a sfiorarle il viso con un bacio, ed esce subito dalla luce.

Giannella torna al tavolo della colazione che si illumina, allontana con un gesto le tazze e appoggiandosi sul tavolo comincia a piangere con forti singhiozzi. Entra in luce la Zia, evidentemente ammalata e af­faticata, appoggiandosi al bastone e resta a guardarla con faccia appenata)

Zia Giannella smettila, per piacere.

Giannella Che ci fai, qui?

Zia Ti ho sentita piangere, da sopra. Non ti avevo mai vista piangere.

Giannella Ecco, adesso mi vedi. Goditi il tuo trionfo. Po­trebbe essere l'ultimo.

Zia  Smettila, Giannella, per piacere.

Giannella (che ha completamente perduto il controllo)  Do­vresti essere contenta. Si sposa. Si sposa. Sono io la prima a saperlo, dopo la sposa, si capisce. « Ce la farò, prenderò la laurea, stai tranquilla »... Come se a me importasse qualcosa, della laurea. Io vorrei soltanto... oh, tante cose impossibili. Avere vent'anni, e non essere una vecchia ragazza che lui vuole dimenticare insieme agli anni di povertà e di fatica...

Zia Smettila, Giannella.

Giannella « Sei sempre stato un bravo ragazzo, Tatti ». Un bravo ragazzo che mi sta spezzando il cuore. Na­turale, no?

Zia Smettila, Giannella.

Giannella « Vedi di non renderti ridicola *, è stato sem­pre il tuo ritornello, in tutti questi anni. Avrei do­vuto disubbidirti; usare le mie ali, e non l'ho fatto. Forse mi sarei resa ridicola e forse no, chissà? Forse avrei potuto... Ma no, non l'ho fatto. Non mi sono resa ridicola, puoi, morire in pace. Nessuno lo sa, fuorché tu ed io. E nessuno lo saprà mai, perché siamo due morte, ormai. Sì, sono morta anch'io. Molto più di te che respiri ancora. Perché io lo amo il figlio del Righi, come dici tu, lo amo il mio Tatti. Mio, zia, l'ho costruito io, ne ho fatto un uomo io, zia, tuo malgrado. E lo amo. Sono vecchia? E va bene, lo amo lo stesso.

Zia Giannella, smettila, per piacere.

Giannella Se n:è andato, finalmente per te, e non tornerà, lo so benissimo. E te ne stai andando anche tu, fi­nalmente per me. Perché ti odio, lo capisci? Non sei mai riuscita a farmi sentire meno sola, c'è riuscito soltanto lui. Credi che ti avrei sopportato, davvero lo credi, se non avessi avuto lui? Il mio Tatti, il mio ragazzo. Gli ho preparato la strada per andarsene, perché era giusto, non t'illudere che l'abbia fatto per te, zia. E lui se n'è andato, è giusto. Ma io sono morta, morta, morta.

(Entra Teresa, tutta eccitata, e parla ancora prima di aver afferrato il significato della scena. La zia ha la faccia terrea)

Teresa Ho incontrato per la strada... Oh, mio Dio, che è successo? Su, su, non faccia così, signorina Giannella. La signora è molto ammalata, non doveva scen­dere. (si divide fra le due donne, cercando, invano, di aiutarle) Signorina Giannella! Ma cosa è successo, si può sapere? Non faccia così, su. Pensi alla signora, che è ammalata.

Zia Non fa niente, per me, ormai.

(Teresa aiuta Giannella a rialzarsi. Restano in piedi, tutte e tre, a guar­darsi in silenzio. Quando parla la Zia, la sua voce è vibrante di pena e di affetto)

Zia  Non sei morta, mia cara, ti sembra soltanto. Credo che il peggio sia passato. Non le avevi mai dette a nessun'altra che a te stessa, queste cose, in quelle interminabili ore passate là, all'ombra del melo. Ora le hai urlate, le hai tirate fuori, te ne sei liberata, ed eri finalmente viva. Eri viva, capisci? (Giannella comincia ad ascoltare) Ora puoi imparare a vivere, tu hai tempo. Io no. Ma se sono servita a questo, non me ne importa. Non ti ho mai giudicata. Ho cercato, a modo mio, di aiutarti. Con pena, con rabbia, a volte... Non ci sono riuscita, ma ho cercato, credimi.

Forse quando era troppo tardi, quando la barriera fra noi due era troppo alta e nessuna di noi due aveva più la forza di superarla, ma ho cercato di farlo. Per piacere, Giannella, credimi. Che tu mi odii o no, non ha più molta importanza, oramai, se questo può servire a farti sentire viva. (pausa) Ma, Giannella, non rifugiarti ancora all'ombra del melo. Non stare lì a rimuginare dentro di te la tua delusione per l'uno e il tuo odio per l'altra, cioè per me. Io non sarò più qui ad impedirtelo, ma non restare nel­l'ombra, Giannella.

Giannella Zia, ti prego, zia. Non cercare di commuovermi.

Zia Lasciami parlare. Potrei non avere più il tempo per farlo. (Giannella la un gesto come per dire « ma che dici? ») Forse ho sbagliato tutto, quando volevo im­pedirti di provare un sentimento non adatto a te. Nessuno dovrebbe Inserirsi nei sentimenti degli altri. Ho ottenuto soltanto il risultato di impedirti di vi­vere. Ma oggi, con questa nuova, lucida visione delle cose che mi viene, forse, dalla consapevolezza che sto per andarmene... oggi voglio dirti una cosa, Giannella.

Sei ancora in tempo. Sei giovane, Giannella, hai sol­tanto 32 anni. Non è una eternità, quella che ti di­vide dal ragazzo che ami. Ragazzo? È un uomo, ormai, lui, e tu hai soltanto qualche anno di più... Ebbene, nessuna legge ti obbliga ad averne qualcuno di meno... (pausa) Perché non l'ho detto prima? Stai pensando questo? Non chiedermelo, a modo mio sto chieden­doti scusa... capisci? E sto cercando di dirti questo, Giannella: Mostrati come sei, finalmente. Forse la tua paura è stata la sua stessa paura. Prova. Ci avrai provato, almeno. Santo Iddio, cosa ti sto dicendo! Ma, per favore, Giannella, vedi di...

Giannella « di non rendermi ridicola »!

(La zia tace, come impaurita dalla reazione di Giannella. Ma inaspetta­tamente Giannella si mette a ridere, piano, come placata)

Giannella  Oh zia, zia!

Teresa Adesso ride! Ah, questa poi.

Giannella Avremmo dovuto parlarci prima, noi due; avevi ragione. Avremmo potuto comprenderci.

Zia (stanca)  Avremmo potuto.

Giannella Potrai perdonare... Tutto?

Teresa Ma che discorsi! In tutte le famiglie c'è qualche discussione. Ci si perdona sempre, vero, signora?

Zia (stanca)  Reciprocamente.(pausa) Sono molto stanca, ora. Accompagnami di sopra per favore, Teresa. E tu, cara, ricordati quello che ti ho detto.

Giannella È troppo tardi. Ma, grazie di avermelo detto. (pausa) Posso salire da te, dopo che ti sarai riposata?

Zia  Vieni. Ti aspetto.

(Zia e Teresa escono dalla luce.

La luce sfuma su Giannella fino al buio.

Luce sulla panchina vuota dell'aeroporto, poi sul melo, poi sull'angolo tavolo.

Mentre  la luce si sposta,  lentamente,  si  sente  la voce di)

Giannella (fuori scena)  Voleva aspettarmi, ne sono si­cura. Ma si vede che eravamo destinate a sfiorarci appena, nel cammino della vita. Elei concluse la sua, così, con quelle parole. Non tornai che di rado all'ombra del melo, questo almeno glielo dovevo, ma non feci altro. I miei primi passi nella vita erano tra­ballanti come i primi passi di una bambina, e avevo paura che quel mio precario equilibrio potesse spez­zarsi. Chissà dov'era, cosa faceva, Martino, mentre io tentavo di usare le mie ali. Non scrisse neanche un rigo per la morte della zia. nessuno mi parlò di lui. Chissà dov'era...

(Luce sulla panchina vuota dell'aeroporto, poi ancora sul melo, dove Martino, in piedi, si guarda intorno, ansioso. Entra in luce Teresa)

Teresa Ti ho visto dalla finestra. Non hai ancora per­duto l'abitudine di saltare il cancello? Perché non hai suonato?

Martino Cercavo Giannella.

Teresa Non c'è.

Martino Lo vedo. Ma che hai, Teresa? Non mi saluti nemmeno? Sono anni che non ci vediamo.

Teresa Perché sei ritornato?

Martino Cercavo Giannella, Come stai, Teresa?

Teresa Sto bene.

Martino E... lei?

Teresa Sta bene anche lei.

Martino Ma che c'e? Non sei più la mia cara, tenera chioccia? Non lo sapevo, sono venuto appena ho sa­puto della morte della vecchia. E l'ho saputo per caso, stamattina, lo sai che ho perso i contatti con la gente diqui. Non ho nemmeno pensato a telefonare. Sono salito in macchina e sono corso qui. Sarei venuto prima, lo sai, Dov'è Giannella? Perché non vuoi che le parli?

Teresa Ti ho detto che non c'è.

Martino Mi sembra impossibile correre qui e non tro­varcela. Ce l'ho trovata sempre.

Teresa Cesco l'ha accompagnata dal Notaio; doveva fir­mare un mucchio di documenti. E poi, come sarebbe a dire, impossibile non trovarla qui?

Martino Non mi dirai che è cambiata, eh?

Teresa È cambiata, sì. Non è più una ragazzina, neanche lei, per starsene qui, ad aspettare chissà che. La pa­drona è sempre stata lei, lo sai, ma finché c:cra la vecchia, non c'era bisogno che pensasse a niente. In questi mesi, invece, di cose a cui pensare ne ha avute, eh sì.

Martino Posso entrare ad aspettarla? Posso aspettar­la qui ?

Teresa Credi che sia bene?

Martino Ma sai che sei strana, Teresa? Sei diversa an­che tu, accidenti. La morte della vecchia ha cam­biato tutto, allora. Ma non siamo più amici, noi due?

Teresa (addolcita) Certo che siamo amici, stupido d'un ragazzo. (gli scompiglia affettuosamente i capelli) In fondo, tu non ne hai colpa.

Martino Colpa di che?

Teresa Di niente. Volevo dire, se non lo avevi saputo, che era morta, Giannella ha sofferto, anche se tu non ci crederai.

Martino Beh, io...

Teresa Tu, tu. Certo, ti faceva filare. Ma prima di mo­rire era cambiata. Beh, vai adesso.

Martino Mi mandi via?

Teresa Chissà quando rientrerà, la signorina! Firme, contratti. Poi ha detto che andava dal parrucchiere, e magari dalla sarta. Rientrerà molto tardi.

Martino Teresa, tu vuoi farmi credere troppe cose, tutte insieme. A una Giannella che si occupa di affari, che va dal parrucchiere, che si compra i vestiti in sar­toria. Non ci riuscirai mai. lo sai. (pausa) Per me. lei. sarà sempre com'era quei giorno, sotto il melo, coi capelli sciolti, il solito golfino, e quei suoi occhi, tra­sparenti. Avevo sempre pensato che. in qualunque momento tossi ritornato, l'avrei ritrovata qui, sempre eguale. (pausa) Vedi, il giovane e brillante Martino Righi, appena entra qui perde tutto il suo raziocinio e ricomincia a sognare, come il bambino che qui è cresciuto. (pausa) Beh, vado. Salutala per me. Glielo dici che sono venuto appena ho saputo? Salutala per me. Diglielo... (esce dalla luce mentre Teresa, rimasta sola, smentisce col capo)

Teresa No. Dio mi perdoni, ma non glielo dirò.

(Luce sulla panchina vuota dell'aeroporto, mentre la voce di Giannella ripete)

Voce di Giannella Chissà dov'era... Non ne seppi più niente. Credevo di averlo dimenticato, cioè credevo di aver imparato a vivere con quel ricordo, dentro, ben nascosto in fondo. C'era Enrico, ormai. Non avrei più sentito quella cosa che avevo provato per lui, ma anche quel sentimento che provavo per Enrico po­teva bastare: un placido, tenero affetto, adatto ad una vecchia ragazza in arretrato coi tempi. Avrei potuto far felice Enrico, ed esserlo anche, forse. Mi pareva di aver diritto ad un po' di felicità, per fragile e ri­flessa che fosse. Così, quel giorno... (Luce sui tre gradini che rappresentano la casa. Giannella è sul secondo con un vaso imitazione cinese fra le braccia. Entra in luce Enrico)

Enrico Ciao, buon giorno. Cos'è quell'orrore... scusa, quel meraviglioso coso che stringi al cuore?

Giannella Non è un coso. È un'ossessione.

Enrico Mi diventi ermetico-spiritosa. Chi l'avrebbe detto ?

Gian (ridendo)  Stavo cercando il posto migliore per mandarlo in pezzi. L'ho sempre odiato. Epesa, anche. (lui glielo toglie di matto e lo posa a terra)

Enrico Ecco fatto. Per un momento m'era venuto l'atro­ce sospetto che ti piacessero 'sti cosi. Non ti avrei sposata, lo sai? (lei resta in bilico con un piede su un gradino)

Giannella Cos'hai detto?

Enrico Se smetti di fare la cicogna, e posi anche l'altro piede - ecco - brava - così, te lo ridico. Non te l'ho mai detto che ti facevo la corte con intenzioni serie?

Giannella No.

Enrico Beh, adesso lo sai. E poi... il paese mormora.

Giannella Ma se io non ho mai...

Enrico Appunto. Alla rovescia. « La signorina è troppo sola, la signorina si deve sposare ». E mi guardano con certi occhi! Se non ti sposo subito, perdo tutte le clienti. (Le prende la mano con una tenerezza che smentisce il tono scherzoso. Lei tace, assorta) Allora, vuoi mandarmi in rovina? (Pausa. Lei accetta il tono scherzoso)

Giannella Mai una cosa simile! Piuttosto ti sposo subito. (Enrico respira. È emozionato e non vuol darlo a ve­dere. Riprende il tono allegro)

Enrico Subito no. Abbiamo una cosa urgente da fare, prima.

Giannella Importante?

Enrico Spaccare il coso-quasi-cinese. Vieni. (Giannella scende dai gradini e si ferma davanti a lui, sorridendo) Ti ho mai detto che hai dei bellissimi capelli?

Giannella Me l'hai detto.

Enrico Ti ho mai detto che da domani ti mando l'infermiera a farti le iniezioni? Sei troppo magra, troppo bianca...

(Pausa. Via la luce  e luce sul melo. Si sente a scena vuota la)

Voce di Martino  La mia Giannella è perfetta così. La mia meravigliosa *ragazza bianca ».

(Via luce dal melo, e ritorna la luce su Enrico e Giannella)

Enrico Te l'ho mai detto?

Giannella Mi hai detto anche questo.

Enrico E... che sono innamorato, che mi sono inna­morato di te appena ti ho visto, e che ogni giorno sono sempre più innamorato, te l'ho mai detto?

Giannella No, questo non me lo avevi detto. (lui l'attira a sé)

Enrico Ma lo sapevi, vero? (lei si svincola, con grazia)

Giannella Oh, io ho un cervello di gallina. Se le cose non me le spiegano con le illustrazioni, non le capisco.

Enrico Adesso hai capito. Credi che potrò farti felice?

Giannella Che domande?

Enrico Non mi hai risposto.

Giannella (sorridendo)  Perché ne fai troppe. Su, corri, adesso, se no perdi davvero tutte le clienti.

Enrico Va bene, Giannella. vado.

(Enrico esce dalla luce e lascia Giannella che rimane im­mobile fino al buio.

Luce sulla panchina, dove arriva Giannella, prende il lavoro ad uncinetto e si mette a lavorare. Entra in luce Teresa)

Teresa Telegramma da Londra, signorina. Scommetto che è del dottore.

Giannella Non ci vuole molta fantasia per immaginarlo, visto che Enrico è a Londra. (lo apre) Proprio lui. Vuole che gli vada incontro all'aeroporto. Ma non posso, Teresa. Non so neanche dov'è, l'aeroporto.

Teresa Se non lo sa lei, lo saprà l'autista. Prenderà una macchina, immagino.

Giannella Credi che Enrico si offenderà, se non ci vado?

Teresa Ah, guarda lì. Mi sbaglio, o è il suo fidanzato? Certo che si offenderà, non le ha mai chiesto niente e lei neanche questo vuol fare, per lui. Perciò lei adesso si alza, si fa bella, e intanto io vado da Cesco a dirgli di essere qui con la macchina per le due e mezzo. Va bene? Ma dico io, se...

Giannella Non t'arrabbiare, Teresa. Ci vado, ci vado.

(Giannella si alza e mentre si avvia le avanza incontro Cesco, sorridente)

Cesco Disturbo? Buon giorno, signorina. Come va, Teresa?

Giannella Buon giorno, Cesco. Teresa Giusto tu. Bravo.

Cesco La sente, signorina? È il primo complimento che mi fa, in trent'anni che le faccio la corte. Mi ha sempre detto di no, lo sa?

Teresa Va là. che se ti avessi detto di sì saresti scap­pato come una lepre. Tu non hai la vocazione del marito, hai quella del chiacchierone. Che sei venuto a fare, eh?

Giannella Ma Teresa, io devo...

Teresa Oh, che me lo scordavo. Devi...

Cesco Devo consegnare una scatola alla signorina. L'ho lasciata in casa. Un altro vestito, eh? Da qualche tempo in qua è diventata un'altra, così elegante...

Giannella Grazie, Cesco. Devo pagare qualcosa?

Cesco Metto in conto, poi sistemo tutto con Teresa.

Teresa Ti sistemerei volentieri una volta per tutte, se potessi.

Giannella (ridendo)  Io vado a cambiarmi. Teresa ti ac­cordi tu con Cesco per l'aeroporto?

Teresa Ci penso io. Corra. (Giannella esce di scena) Guardala lì; mi fa una rabbia, certe volte. Il Dottore le ha fatto un telegramma, dice di andargli in­contro all'aeroporto, e lei sai cosa ha detto? Che non ci andava perché non sapeva dov'era!

Cesco Il Dottore?

Teresa Ma no, lui è a Londra, lo sanno tutti. Dell'ae­roporto, parlava. Ce l'accompagni tu, vero? Dovresti essere qui per le due e mezza.

Cesco Certo, sono a disposizione. Ma davvero?...

Teresa Non andarlo a raccontare in giro, adesso. Lei... è fatta così, ecco. Io, ai miei tempi, avrei attraver­sato il fuoco a piedi scalzi, se il mio uomo mi avesse chiesto di raggiungerlo.

Cesco Sarà che è mezza inglese... Dicono che gli in­glesi sono freddi...

Teresa (a mezza bocca)  Mezza inglese e mezza fredda.

 Cesco Che dici?

Teresa Niente di   importante. Andiamo. Puntuale, mi raccomando. Anzi, un po' in anticipo, prima che lei ci ripensi.

Cesco Ci  tieni  a  questo  fidanzato,  eh?   Quasi  quasi penso che il dottor Enrico piaccia anche a te.

Teresa Perché no? Qui serve un cambiamento, caro mio. Sempre donne sole, in attesta casa?! Un uomo è quel che ci occorre.

Cesco Anche a te? Io sono sempre pronto!

Teresa Anch'io! A suonartele, se non smetti di fare il pagliaccio, alla tua età.

Cesco  Scappo, allora. Sei sempre stata svelta di mano, lo so.

Teresa  Vieni prima in cucina a bere un caffè.

Cesco  Lo sapevo che non sei cattiva come vuoi sem­brare. Andiamo...

(Le ultime battute sono dette sul­l'uscita dei due. Appena usciti)

SIPARIO
FINE SECONDO ATTO

EPILOGO

(Sala d'attesa dell'aeroporto.

Via dal palcoscenico panchina, melo, gradini, sedie, per lasciar posto alla scena.

Aggiungere un qualche elemento della sala d'attesa, un paio di poltroncine, un altro portacenere. Giannella sarà senza soprabito e senza cappello che sono posati sul divanetto, accanto a lei. Ha un bel vestito, elegante, ma senza fronzoli. Martino è vestito come nel primo atto, quando ha in­contrato Cesco, con la stessa roba in mano. È nella stessa posizione del primo atto e ripete con lo stesso tono)

Martino Giannella... Giannella! (si muove e va a fer­marsi davanti a Giannella seduta, che chiude gli. occhi, come avesse visto un fantasma) Riapri gli occhi, non sono un fantasma. Su, Giannella, riaprili. (lei lo guarda) Visto che sono vero?

Giannella Ciao, Tatti, non avrei mai creduto...

Martino E che dovrei dire, io? Per me, essere qui è normale. Passo metà della mia vita fra aeroporti e sta­zioni. Ma tu... Sei sola?

Giannella  Sono sola. Martino Che ci fai, qui?

Giannella  Sto aspettando il mio... un amico che arriva da Londra.

Martino Stavi per dire qualcos'altro. (pausa) Non mi hai neanche stretto la mano. (pausa) L'aereo da Londra è in ritardo. Posso sedermi qui, vicino a te? Poi me ne vado, stai tranquilla. (pausa) Ti sei dimenti­cata di avere gli occhi trasparenti? (lei si abbandona un po', come stanca)

Giannella Oh, Tatti, io... Niente.

Martino Ho incontrato Cesco. È sempre il solito chiacchierone. E tu sei sempre la stessa, per me, anche se sei così elegante, ora. Me l'aveva detto Teresa, quan­do venni a trovarti al paese, dopo la morte della vec­chia, e io non volevo crederle. Tu non c'eri, eri andata dal notaio e dal parrucchiere, e io non...

Giannella Quando? Davvero venisti da me?

Martino   Non lo sapevi?

Giannella No.

Martino Teresa ce l'aveva con me, l'avevo capito. Mi cacciò quasi via. Era passato qualche mese, ma io l'avevo saputo solo quella mattina. Corsi subito, e tu non c'eri.

Giannella Tatti. Non hai scritto più. Io capivo, certo. Ho sempre capito. Sei un uomo sposato, ora, hai la tua...

Martino (stupito)  Ma io non mi sono sposato. Non sa­pevi neanche questo? (lei balza in piedi)

Giannella Mi hai spezzato... Niente. (si risiede) Da chi avrei potuto saperlo, se non da te?

Martino Quella ragazza... non era nulla di speciale per me. Chissà se puoi capire. Fu la prima a darmi un po' di calore umano, quando io mi sentivo solo e senza più radici. Riusciva a farmi ridere, quando la paura e la fatica mi mettevano voglia di piangere... e di scap­pare, di rinunciare a tutto... di ritornare a casa, da te. Tu non avresti voluto che io rinunciassi... e io non volevo deluderti. Poi ci sono state altre ragazze, certo. Ma quella di cui ti parlai... Beh! quando tutti finì in niente, mi vergognavo troppo per venirtelo a dire, mi capisci?

Giannella (con una specie di risata singhiozzo)- Ma non ne avevi nessuna necessità, nessun obbligo! Anche se ti ho fatto da sorella maggiore, in realtà non ero niente per te, proprio niente.

Martino Seguiti a dire questa parola « niente »... e te ne stai lì, rigida e distante. Oh, Giannella, cosa ci è accaduto?

Giannella Niente, niente. (Le prende le mani che lei tiene rigidamente in grembo unite)

Martino Che ci fai, qui, in attesa di un uomo che non sono io? Lo so, me lo ha detto Cesco. Non prender­tela con lui, lo sai com'è fatto... Lui ci considera, tutti noi del paese, come la sua famiglia... (lei ritira le mani) È passato tanto tempo. Troppo, sicuro. Ma io, in fondo, avevo la certezza che avrei sempre po­tuto ritrovarti, là, sotto il melo. È stato egoismo, forse. O forse soltanto fiducia. H tu non mi hai aspet­tato. Me l'avevi promesso, ti ricordi?

Giannella Oh, quelle promesse...

Martino Che ci fai, qui, Giannella?

Giannella Se non fossi stata qui, non mi avresti cer­cata. Lo trovo troppo comodo parlare di fiducia, di promesse... Non mi avresti cercata,, se non fossi sta­ta qui.

Martino La tua ferrea logica di sempre! Ma hai ragione, come sempre. Non ti avrei cercata, forse, non oggi. Ma lo sai, perché? Perché io non ti ho mai perduta. Ti ho sempre portata con me.

Giannella Ohhh!  Parole.

Martino Non fare così, cara. Tu non sei mai stata così. Cos'è che ti rende rigida e fredda, con me? Sono Martino, il tuo Tatti.

Giannella Ti prego.

Martino Pensarti nel nostro orto, dove avrei sempre po­tuto ritrovarti, era una cosa. Ma saperti qui, in at­tesa d'un uomo che non sono io... Non posso sop­portarlo.

Giannella Ti prego.

Martino Credimi. Ho incontrato tante donne, qualcuna mi ha amato, io ho creduto di amarne qualche altra. Ma, in fondo al cuore, malgrado il silenzio, la lon­tananza, ho sempre avuto te. Solo che... credevo che fosse il sogno d'un ragazzo, e mi accorgo adesso che non c'era niente di infantile nel mio sentimento per te. Era amore, Giannella. A sedici, a diciotto anni, a venti, come adesso. Amore, hai capito?

Giannella Non dire più niente, per piacere.

Martino Perché? Non lo avevo capito, ecco tutto. Ma adesso lo so. E cosa può impedirmi di dirtelo? Era amore. La zia doveva averlo capito, ecco perché mi mandava via, appena poteva. Tu no?

Giannella No. Io no.

Martino E quell'estate. Giannella? Il regalo di Teresa per la maturità. Te ne ricordi?

Giannella Non era soltanto un regalo di Teresa.

Martino Non sono più stato felice, come allora. Puoi credermi? E tu avevi qualcosa, negli occhi, che al­lora non capivo, ma che oggi capisco. Era felicità, anche la tua. Se tu lo sapevi. Giannella... perché tu lo sapevi, vero? (le prende le mani) Dimmi qual­cosa. Non aver paura di me, Giannella. Poi me ne vado, se vuoi. Ma rispondimi. Lo sapevi? (lei gli ap­poggia la testa sulla spalla, quasi una resa ai suoi sen­timenti)

Giannella Forse sì. No. Sì. Non lo so.

Martino  (stringendole la testa contro di sé)  Che risposta buffa dalla mia logica Giannella!  Ma se lo sapevi, non potevi aiutarmi? Io ero così giovane... (Alla parola « giovane » Giannella si rialza di scatto, ri­prendendo il controllo. Lui la guarda stupito)

Voce altoparlante;

È in arrivo il volo 305 da Londra. È in arrivo il volo 305 da Londra.

Martino Annunciano il tuo aereo. Già, era anche il mio. Avrei dovuto intervistare il grande Avaltona... e ho solo voglia di piangere. Buffo, no? Martino Righi, la brillante promessa del giornalismo italiano, il dongio­vanni della redazione... non è riuscito ad ottenere una parola  dalla  donna  che  ama.  Neanche  una  parola.

(pausa) Devo andarmene, vero? Io... io spero che tu sia felice, amor mio. (tende le mani e Giannella ci si aggrappa)

Giannella No, non andartene. Non posso sopportare che tu te ne vada.

Martino Giannella!

Giannella Non dire niente, non dire più niente. Tu non lo sai che fatica mi è costata restare lì, fredda e rigida, mentre dicevi le parole che avevo aspettato tanto.

Martino Allora non mi ero sbagliato quell'ultimo giorno sotto il melo! Mi sembrava impossibile, eppure... E non mi hai fermato, non mi hai dato nessuna scelta... (lei lo respinge)

Giannella Non c'era scelta. Ma non farmi dire più niente. Ti prego, vai via.

Martino Mi mandi via, ora?

Giannella Ti avevo aspettato tanto tempo. Pensavo che quando saresti tornato tutto sarebbe stato diverso, che i nostri rapporti non sarebbero più stati quelli del « ragazzo e la signorina », che avremmo comin­ciato a essere finalmente un uomo e una donna. Non osavo pensare più in là, semplicemente un uomo e una donna. E quanta fatica mi ci era voluta per ar­rivare a pensare a questo, non te lo potrai mai imma­ginare. Poi tu arrivasti, e mi dicesti che ti sposavi. Che dovevo fare? Che dovevo dire? Augurarti di es­sere felice... E fu esattamente quello che feci. Ma non capisci?

Martino No.

Giannella Enrico ha avuto tanta pazienza. Tutti questi anni. Io ero morta e lui ha avuto pazienza.

Martino   Mi mandi via?

Giannella Tu non puoi capire. Ho raggiunto finalmente un porto sicuro. Enrico è il mio porto tranquillo, adatto a me. un porto dove non c'è mai vento. Enrico è...

Martino Ma  tu...

Giannella Io stavo imparando a camminare, a usare le mie ali, se vuoi. L'avevo promesso alla zia. Lei capiva, sai? Tu non hai fatto in tempo a saperlo, ma lei era cambiata e capiva. Io ero incerta, Impaurita, sola... E Enrico mi ha preso per mano e mi ha accompa­gnato verso il mio porto tranquillo. E ora l'ho rag­giunto.

(Mentre Giannella parla, dalla parte opposta alla sua entrano Enrico e Cesco.

Durante le battute di Enrico e Cesco, Martino e Giannella resteranno al loro posto immobili uno di fronte al­l'altra)

Enrico È proprio là dove dicevi tu, Cesco. Sarà stanca di aspettare. Tutto questo ritardo. Ma... c:è qualcuno con lei.

Cesco Già, è il figlio del Righi. L'ho incontrato prima. Gliel'ho detto io che la signorina era qui, ad aspet­tare lei.

Enrico E' Martino Righi, il giornalista?

Cesco Proprio lui. Sa, è del paese. La signorina l'ha conosciuto quando era piccolo e...

EnricoHo sentito qualcosa.

Cesco Lei non l'ha mai incontrato, vero? Eh no, se ne andò prima del suo arrivo. Ma che combinazione, per la signorina, incontrarlo proprio la prima volta che viene all'aeroporto.

Enrico Proprio una felice combinazione, sì.

Cesco Lui mi diceva, prima, che sul suo aereo c'era un attore e che doveva intervistarlo. C'era?

Enrico C'era.

Cesco Non vuole conoscere Martino? Anche Teresa gli voleva bene. Era un bravo ragazzo. E mi sembra che lo sia ancora.

Enrico Ne sono sicuro.

Cesco La signorina non gliene ha mai parlato?

Enrico Non molto. Tu la conosci. Ma a me piacciono i suoi silenzi.

Cesco Sì, la conosco. Ma lui! Sapesse quanti anni le ha girato per casa. Da piccolo piccolo, a quando è di­ventato un ragazzone così. La vecchia gli faceva gli occhiacci, ma la signorina e Teresa lo proteggevano sempre. Andiamo?

Enrico Aspettiamo qui, Cesco. È meglio. Lasciamo che si salutino senza importuni, è tanto tempo che non si vedono.

Cesco Importuni? Ma è la sua fidanzata, no? Mi ha noleggiato le macchine per il matrimonio.

Enrico Aspettiamo. (Restano lì fermi. Cesco scettico, Enrico pensieroso, mentre Martino e Giannella riprendono il loro colloquio)

Martino E va bene, Giannella, l'hai raggiunto. Se è que­sto che volevi dalla vita, solo questo, l'hai raggiunto. Ma prima di andartene nel tuo porto tranquillo, ri­spondimi; credi che ti ho detto sempre la verità, anche se era magari la mia verità? Credi a quello che ti ho detto fino ad ora, a tutto, parola per parola? (pausa) Rispondimi!

Giannella    Sì. Sì. E ora lasciami andare.

(Con un singhiozzo si muove, va verso la panchina. Prende la sua roba. Poi va verso Enrico che si muove verso di lei, e si incontrano in centro. Martino e Cesco fermi al loro posto)

Enrico Giannella, sono qui. Non mi avevi visto?

Giannella No, scusami. Non ti avevo visto.

Enrico Stai piangendo.

Giannella No. (Enrico le passa un dito sul viso)

Enrico La tua faccia dice di sì. Eppure... Cosa c'è, mia cara? (pausa)

Giannella Credi che riuscirai a farmi felice, Enrico?

Enrico (commosso)  Una volta questa domanda io l'ho fatta a te, e tu non mi hai voluto rispondere. Io posso dirti solo che ci proverò.

Giannella Sei così buono con me, Enrico.

Enrico E facile essere buoni con te. Andiamo, adesso. Cesco sta aspettando.

Giannella Sì, andiamo. (Fa un passo e poi si ferma. Parla rapida e sopra-tono) Io venderò la casa, con l'orto e il... e tutto. Andremo ad abitare in un altro posto.

Enrico Andiamo, adesso.

Giannella No, aspetta. Non ti ho chiesto nemmeno se hai fatto buon viaggio, né come è andata al Congresso, nemmeno se...

Enrico Smettila.

Giannella Non ti ho neanche chiesto se pioveva, a Londra. Dicono che piove sempre, in questa stagione.

Enrico Andiamo, adesso. (La prende per il braccio e si muovono. Martino chiama subito)

Martino Giannella. (Indi si slancia in avanti e si ferma davanti a lei. Enrico si fa indietro di un passo) È vero? No, non occorre che tu lo ripeta. Dio, tutti questi anni. Abbiamo perduto tutti questi anni. Io da una parte e tu dall'altra, perché non abbiamo avuto il coraggio di dircelo. Ma adesso...

Giannella Adesso vai via, ti prego. Io... (accenna vaga­mente a Enrico) io sono in compagnia, vedi. (Mar­tino guarda appena Enrico)

Martino Andar via? Credi davvero che potrei soppor­tare di perderti un'altra volta?

Giannella E' troppo tardi.

Martino Sei sempre stata la mia ragazza, malgrado tutto. Lo sei sempre stata, Giannella.

Giannella (già arresa tenta l'ultima difesa)  Sono troppo vecchia, per te. Troppo vecchia.

Martino Cosa?!  Era per  questo? Non dirlo mai più, capito? Tu, la mia meravigliosa ragazza bianca. Mai più. Vieni!

(La prende per mano e lei si trasfigura in un radioso sorriso. Lei parla ad Enrico voltata in­dietro, mentre Martino la conduce via)

Giannella Perdonami, Enrico. Lo amo tanto. Forse me ne pentirò e forse no. Forse sarò felice e forse no. Forse sarà faticoso e difficile. Ma lo amo tanto. Per­donami.

(Si avvia con lui alla loro uscita e restano fermi dopo un paio di passi, dando le spalle a Enrico e Cesco)

Cesco Ma che fa, dottore, la lascia andare?

Enrico Sì.

Cesco La raggiunga, si muova, si sbrighi,

Enrico No.

Cesco Ma, santo cielo, lei è...

Enrico Hai visto la sua faccia, tu? Io sì. Non avrei mai creduto che si potesse leggere tanta felicità, su una faccia. Era viva, finalmente.

Cesco Cose da romanzo. Dia retta a me, che sono vec­chio. Lei hail diritto di raggiungerla e riportarla qui. Se no, ci vado io. (Enrico lo ferma)

Enrico Lasciala andare. Non crederai che sia facile. Che non me ne pentirò. Ma vedi, ho capito all'improv-viso una cosa importante: che nessuno, per nessun motivo, neanche per amore, ha diritto di negare ad un'altra creatura la sua occasione di felicità; lunga, breve, fragile, amara che sia, bisogna lasciargliela vi­vere. Non è facile... ma... lasciamola vivere.

(Si av­viano dalla loro parte, mentre Martino e Giannella si avviano dall'altra. Appena la scena è vuota)

SIPARIO

FINE