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(1937)

Un atto di Sabatino LOPEZ

da 7 COMMEDIE IN UN ATTO

Rizzoli Editore Milano - 1967

PERSONAGGI

BORTOLO DÀVALI

PAOLA DÀVALI

CARLO BRANCATI

NATALINA

BATTISTA

In Lombardia. Oggi.


In casa Dàvali, nello studio-salotto del padrone, gros­so cotoniere lombardo. Mobili pesanti, porte massicce, libreria ben fornita, apparecchio telefonico sulla scrivania. È un pomeriggio domenicale di primavera.

BATTISTA      (un ometto anziano, che è il fattorino di studio, spolvera i libri, li rimette al loro posto, soddisfatto)    Là.  Là.  Là.

NATALINA     (entra furiosa, sbatte la porta dietro di sé, dicendo)    Che crepi!

BATTISTA      (senza punto scaldarsi)  Oé, dite a me? No, vero?

NATALINA     No, Battista: voi non mi avete fatto nulla di male. Quell'altra, la signorina, ch'è diven­tata un diavolo.

BATTISTA      Se dicevate ch'era tanto una buona ra­gazza!...

NATALINA     Sì, ma da qualche mese si è mutata: da così a così.

BATTISTA Eh, sarà l'amore. (E ride dicendolo.)  All'età della signorina tutto si spiega con quello: "M'ama, non m'ama...", come dice la canzone di quella ragazza che sfoglia la margherita. O a voi, quand'eravate innamorata, non vi faceva quell'ef­fetto? C'è chi diventa tutto zucchero e chi tutto arsenico.

NATALINA     Io non so che ce l'abbia lo spasiman­te, ma se c'è, poveretto lui: io non ci faccio più vita. - Voi non avreste sentito di qualche casa do­ve occorra una brava donna, di mezza età, senza strascichi di marito o di figlioli?

BATTISTA      (ride)  Perché, la brava donna sareste voi?

NATALINA     (offesa)  Io, io... Non credete? Pane e buone maniere mi bastano, ma esser trattata co­me uno si merita.

BATTISTA      E non vi dispiace lasciare il padrone? Tanto tempo che ci state...

NATALINA     Eh sì... quando venga il primo di giu­gno son cinque anni, e mi dispiace, perché è buo­no, non posso dire diversamente. Ma anche lui! da un po' di tempo in qua non si sa che cosa gli pigli a un tratto. A tavola con la figliola si scam­biano sì e no venti parole.

BATTISTA      (filosofo)  I signori: stravaganze dei si­gnori. Sono tutti così. Voi ci vivete e vi stupisce?

NATALINA     Sarà come dite voi, ma io ne ho ab­bastanza e vorrei cambiare. Davvero, sapete: se a volte venite a conoscere che qualche buona fa­miglia cerca una cameriera...

(Il telefono squilla sulla scrivania.)

BATTISTA      (che ha finito il suo lavoro, saluta Natalina agitando la mano e se ne va).

NATALINA     (solleva il ricevitore e discorre al tele­fono)  Chi parla?... - Sì, casa Dàvali... - Vuole la signorina? gliela chiamo.

PAOLA           (entra di furia, le toglie di mano il ricevitore)   Che premura quando si tratta di curio­sare al telefono! Vada pure.

NATALINA     (avrebbe voglia di dirle il fatto suo, ma borbotta)    Meglio che non risponda.  (Esce.)

PAOLA           (curva al telefono, pronta. Voce piuttosto bassa, tono risoluto)  Sì, sono io. - Sì, ma pre­sto. - No, non ho paura di nessuno, ma presto. - Sì, ho capito - Ho capito, ho capito - Oh! per quel che hai da fare... Non ti credo ma non vuol dire. (Concede ma senza convinzione.)  Vabbene, vabbene, ti crederò. - Rimandato di un'ora: d'accor­do. (Beffarda)  Se il signore non comanda altro, sarà servito. Bada però che...

(Ha sentito aprire la porta donde era uscita Natalina sbattendo, si volge, vede Dàvali - il padre - rompe la comunica­zione.) 

Oh, buongiorno, papà.

DÀVALI         Buongiorno, Paola.

PAOLA           Da dove vieni?

DÀVALI         Dalla Falce d'oro, dove ho fatto colazio­ne con Brancati e con un cliente di riguardo, un grosso cotoniere di Bergamo, che tu non cono­sci... Ma l'avevo detto a Natalina che non sarei venuto a colazione.

PAOLA           Sì sì, difatti. - Chi ha pagato, tu o il cliente?

DÀVALI         (che si è seduto presso il telefono)  Io, io. Ma da dividersi con Brancati perché è spesa di rappresentanza - paga la Casa. Ma tu hai interrot­to la tua conversazione...

PAOLA           Perché avevo finito.

DÀVALI         Se vuoi richiamare e riprendere, io aspet­to di là.

PAOLA           No, quello che importava ce lo siamo det­to. E non saprei nemmeno quale numero chia­mare...

DÀVALI         (che non ci crede)     Ah! ecco.

PAOLA           ... Perché la persona non chiamava da ca­sa. (Accenna ad avviarsi.)

DÀVALI         Ma guarda! - Dove vai?

PAOLA           Di là: penso che tu abbia da scrivere. (E fa un passo.)

DÀVALI         No, niente da fare, férmati. (E la trattie­ne col braccio. Uno sguardo sintetico.)  Questo è l'abito nuovo eh? - bello - e ti sta bene. - Che te ne hanno detto gli altri?

PAOLA           Quali altri?

DÀVALI         Non so, gli altri. Io non m'intendo di vestiti.

PAOLA           Questo? è già la terza volta che lo metto. - Ma tu mi guardi così poco...

DÀVALI         Mi piace. Intonato e originale. Vuoi pro­prio far colpo.  (E la fissa.)

PAOLA           (sguardo cattivo)    Su chi?

DÀVALI         Ahhh! Fino a dire chi, non mi arrischio, tanto più che se butto fuori il nome e dò nel segno, mi puoi sempre rispondere che  ho sbagliato.

PAOLA           Prova:  non ti costa nulla.

DÀVALI         Nonò. Nessuna indiscrezione: io non so­no ammesso alle tue confidenze. Oh, non me ne offendo né me ne stupisco, perché sono soggetto alla legge comune.

PAOLA           La quale sarebbe?...

DÀVALI         "Il padre sempre l'ultimo a sapere". Pen­sa poi noi due... (S'interrompe, svia.)  Fammi il pia­cere, non mi girare attorno e siedi. Lì... o lì... dove vuoi, purché tu ti sieda.

PAOLA           Bada  però che in  tribunale...  (Sospende.) 

DÀVALI         (non capisce)     Be'?

PAOLA           ... In tribunale il giudice, il presidente… sì quello che interroga, dice all'imputato: "Alza­tevi". Tu invece... Ero in piedi e mi ordini di met­termi a sedere. Ma non vuol dire, comincia una buona volta questo benedetto interrogatorio. Tu lo rimandi, di giorno in giorno, d'ora in ora, ma oggi la voglia di chiedere, di sapere, di farmi dire non la reggi. Ti si vede a fior di pelle. Dal mo­mento che hai dettò che non hai nulla da fare... (E siede.)

DÀVALI         Ma sì, è domenica, ho tutta la giornata a tua disposizione. (E accende una sigaretta.)

PAOLA           Io tutta la giornata no, perché poi devo uscire... ma un'ora e anche due... Così se n'esce fuori una buona volta e non si gioca più a na­scondiglio.

DÀVALI         (rabbioso, getta via la sigaretta).

PAOLA           No, perché non fumi?  Fuma, fuma pure.

DÀVALI         (un po' acre)  Ti ringrazio del permesso, ma... la gola mi brucia. Comincia tu: sto qui a sentire.

PAOLA           Ah,  non domandi?

DÀVALI         No, tu dici quel che credi di dire - prefe­risco - e poi parlo io.

PAOLA           "L'accusa ha la parola". - Dunque - come hai detto prima: "Tu vuoi far colpo" - giochiamo a carte scoperte: tu ti sei accorto... o ti hanno av­visato, o quantomeno sospetti, che quello che tu chiami il colpo, sia già fatto. - Eh! sì il colpo è fatto perché, da parte mia, oggi si tratta di segui­tare a piacere a uno che piace a me e non piace a te. - Mi sono spiegata.

DÀVALI         (è una sfinge)     Va'  pure avanti.

PAOLA           Invece a te piacerebbe un altro. Perché anche tu avevi fatto la tua scelta; che ha il gran difetto di essere la tua, e d'ordinario quello che piace al padre... o alla madre, non piace al figlio... o alla figlia. E viceversa. Il tuo candidato...

DÀVALI         Se non sai chi è! (Alza le spalle.)

PAOLA           Lo so e non sbaglio. Tu manovravi come quelli delle sartorie: giù stoffe, giù stoffe - te ne fanno vedere cento di cento tinte - ma battono sempre su di una e ti mettono e rimettono sotto gli occhi sempre quella: "Solida; colore che non smonta; resiste alla polvere; scelga lei, ma io pren­derei questa"; e se non te lo dicono, te lo fanno capire. Ma io, nei negozi, ho il brutto vizio di prendere sempre quell'altra. Per fare di mia te­sta. Perché diffido del gusto degli altri. - Vuoi ora che ti dica il nome di quello che piace a te? Effe-a fa. esse-ci...

DÀVALI         Basta.

PAOLA           Vedi che sapevo? - Bene educato, laurea­to, figlio unico, resiste alla polvere, ma non mi va.

DÀVALI         (sempre freddo)  Perché ti va quell'al­tro che si chiama... Forza: questo è il momento di metter fuori il nome di quell'altro...

PAOLA           Se lo sai!

DÀVALI         Ufficialmente no, ma ho paura di saperlo.

PAOLA           Sì sì, è proprio lui.

DÀVALI         Ah! - Mi oppongo. - In modo assoluto. E irrevocabile.

PAOLA           Eppure ha le sue qualità. È intelligente... È bello, o per lo meno interessante. Famiglia ri­spettabile...

DÀVALI         Ah! la famiglia sì, ma lui no. (Ora dà fuori.)  Lui è un dissipatore, un giocatore, un li­bertino, che ti vuol mangiare i soldi.

PAOLA           (tranquilla)     Non direi. - E mi ama.

DÀVALI         (torna freddo)    Sì sì:  per i soldi.

PAOLA           Certo i soldi non guastano; anzi fanno go­la a molti - e anche a lui - ma, secondo te, se non fossi ricca, io non potrei piacere per quello che sono?

DÀVALI         Come no! Ma quello lì, tira ai soldi... Ama te - se ti ama - coi tuoi soldi, per i tuoi soldi. I suoi li ha finiti e ha dato sotto anche a quelli del­la sorella... (Paola vorrebbe ribattere)  ... una par­te almeno, una grossa parte - làsciati servire, no­tizie precise. - E suo padre ha stampato sui gior­nali una diffida. - Il tuo... sì, lui... Filippo il bello... sì è ridotto a questo: che il padre ha dovuto di­chiarare pubblicamente che non riconosce i debi­ti del figliolo. Bollato: lo ha dovuto bollare. Peg­gio assai che un fallito, molto peggio. Se vuoi leg­gere qui... (Apre il cassetto e ne trae un giornale.)

PAOLA           (gli fa cenno che non occorre)  Visto: già visto da un pezzo.

DÀVALI         (sbalordito)  Ah! - E non ti ha fatto im­pressione?

PAOLA           Come no! ma Filippo mi piace. E quegli altri non mi piacciono.

DÀVALI         Che bel carattere il tuo! Sei irremovibi­le. Vi siete combinati bene. Allegria, allegria: c'è la dote della tua povera mamma; sotto, dàtele sot­to. Dacché lei è morta, è raddoppiata, triplicata, per interessi non toccati e per il cresciuto valore degli immobili; e tu sei padrona di tutto - figùrati se non si è informato; fino al centesimo! - dunque sotto. In un anno o due ti divora la dote.

PAOLA           (sempre leggera di tono e decisa)  Non ac­celeriamo i tempi. Sì, credo anch'io che da princi­pio ci darà qualche morsino; ma poi si adatterà a lavorare anche lui.

DÀVALI         (con un ghigno)  Cosa? Va', non mi far ridere!

PAOLA           O non lavorerà: staremo a vedere.

DÀVALI         Tu sei già sotto il suo malefico influsso... Tu non migliori lui: lui rovina te. Sei diventata arida e spavalda fino a un punto che non credevo.

PAOLA           (man mano si accalora)  Ecco: non crede­vi; e quello è il guaio. Se in questo mondo ci si conoscesse meglio, tutto andrebbe meglio, ma tu non hai fatto nulla o non abbastanza per conoscer­mi e per sapere. Ecco: almeno "tentar di sapere", perché questo è amore: il resto è niente. Buona tavola, buona maestra di piano e canto, buona Miss, il medico al primo sospetto di febbre... ma sapere, tentare di sapere, di arrivare a capire quel che c'è qui dentro (si batte la fronte)  no, quello mai niente.

DÀVALI         Oé, oé, qui si cambian le parti. La requi­sitoria la fai tu a me. È un vecchio sistema che conosco perché ho più anni di te - questo alme­no lo ammetti? o brava! - inventare, catalogare, aggravare le presunte colpe dell'avversario - sa­rei poi io l'avversario - per tentare di metterlo dalla parte del torto. (Si solleva di scatto.)  Ma quello lì, finché comando io, tu non lo sposi!

PAOLA           (tranquilla)  Ma comandare, non puoi co­mandare più perché sono maggiorenne. Io lo vo­glio e non c'è niente da fare.

DÀVALI         (gelido)    E se gli sparo addosso?

PAOLA           (altrettanto gelida)  Prova. - Forse gli rendi un servizio. E forse uno anche a me. - No, non diciamo parole grosse e inutili. Sono sbaglia­ti toni e vocaboli, da parte mia e da parte tua. Tolleriamoci, visto che non c'è altro da fare. Cam­biare, tu o io, non mi par più possibile. Tu sei convinto che mi romperò il collo: può darsi, ma ormai non mi fermo: potessi, non mi fermo: po­tessi, non mi vorrei fermare. - Mah! chissà, in fondo alla via forse ci arriverò senza rovina.

DÀVALI         Tu insomma ti vuoi sottoporre ad una esperienza in carne viva... e io dovrei stare immo­bile a guardare. Eh no, cara, sbagli. Fino a tanto che io sono qui, ti considero una malata e ti cu­ro. Cominciamo: oggi tu non esci di casa.

PAOLA           In castigo! "I bambini cattivi, senza frut­ta." Be', se non è che questo, non ci guastiamo per così poco. (Si accosta all'apparecchio.)  Per­metti, telefono? Disdico l'appuntamento che ave­vo preso con l'innominato... Appuntamento per istrada: perché finora almeno - domarti non garan­tisco - sono una ragazza di quelle che si chiamano perbene e non dànno anticipi. (Solleva il rice­vitore per parlare, poi lo depone.)  Ma no, che aspetti. C'è sempre tempo a disdire.

DÀVALI         E quando vi vorreste sposare?

PAOLA           Ah, presto, prestissimo. Abbiamo già fat­to le carte. Lui risulta effettivamente scapolo... -No, sai la gente... alle volte ti potevano aver detto che è anche ammogliato, e ti rassicuro.

DÀVALI         Siamo a questo! Alle pubblicazioni? Di nascosto,  in  silenzio...

PAOLA           No, oggi o domani al più tardi te lo avrei detto. Le pubblicazioni, del resto, non sono un fat­to definitivo, sono un passo; e se ti diverte avre­mo ancora tempo a discutere tra noi.

DÀVALI         Vedrai che per quel che mi riguarda, io stringo i tempi e risolvo. Entro ventiquattr'ore. Anche prima.

PAOLA           Tanto meglio. (E si avvia.) 

DÀVALI         Dove vai?

PAOLA           In camera mia. Obbedisco. Eh! ti ho pro­messo di non uscire, non esco. (Va via e richiu­de la porta dietro di sé.)

DÀVALI         (le dice minaccioso ma senza grida)  Ah sì? Ti servo subito, cara..

(Torna all'apparecchio, forma un numero, aspetta, poi domanda) 

Sei tu, Brancati? - Sì, sono io: puoi venire qui da me? - Sì, in casa: c'è premura. Bravo. Non occorre che tu dica, a chi ti apre, che ti ho mandato a chia­mare. No, ci vieni come di tua iniziativa. - Non è indispensabile, ma, se prendi una macchina, natu­ralmente fai più presto. - Sì, ho proprio bisogno di te. . Bravo. (Depone il ricevitore.)  "Fine della prima parte. Pochi minuti d'intervallo e - comin­cia la parte seconda". (Suona.)

NATALINA     (batte con le nocche alla porta)  È per­messo?

DÀVALI         Avanti, Natalina.

(Natalina entra, Dàvali non sa cominciare.)

                     Stamani... non è venuto nessuno?

NATALINA     Nossignore.

DÀVALI         Né per me né per la signorina?

NATALINA     No,  nessuno.

DÀVALI         Telegrammi, lettere a mano, niente?

NATALINA     Niente. C'è stato Battista, come tutte le domeniche, ha levato la polvere come fa di so­lito per aiutarmi, e se n'è andato. Era passato pri­ma dallo studio, ma dice che di posta non c'era nulla.

DÀVALI         (a mezza voce, come tra sé, tamburellan­do sulla scrivania)  Tutto bene - tutto bene - tutto bene.

(Alza gli occhi e fissa Natalina che è anco­ra immobile in attesa di ordini.) 

Dovete fare una cosa, voi: tirarmi giù la valigia, quella più gran­de a soffietto.

NATALINA     Sissignore.

DÀVALI         (tamburella ancora. Torna a fissarla)  Ci mettete dentro un vestito, un paio di scarpe, due o tre camicie, calze, fazzoletti... svelta eh! Poi ven­go di là e chiudo.

NATALINA     Ma il signore pranza in casa o parte prima di pranzo? Dico per la cuoca e per l'appa­recchio di tavola.

DÀVALI         Non è ancora deciso, ma credo prima.

NATALINA    Anche la signorina parte con lei?

DÀVALI         Perché?

NATALINA     Ho visto che tirava fuori i vestiti.

(Suonano alla porta.) 

Oh, mi scusi, devo andare ad aprire perché sono sola della servitù.

DÀVALI         (si alza in piedi, si stira e si raddrizza)  Ci siamo!

NATALINA     (rientra)  C'è il signor Brancati. Dice se può.

DÀVALI         (senza muoversi)  Avanti, Brancati, entra pure.

(Natalina esce.)

BRANCATI     (elegante, snello, grigio alle tempie, cin­quantenne)    Che c'è di nuovo? Che cosa accade?

DÀVALI         Niente. Accòmodati.

BRANCATI     Come niente? Ci siamo lasciati che non è un'ora, mi chiami di premura e mi vuoi far credere...? E basta guardarti. Hai una faccia...

DÀVALI         Che faccia ho?  Livida?

BRANCATI     Non hai la tua solita faccia. Che ti è successo?... (Ma Dàvali non parla ancora, e Bran­cati incalza.)  Ci credi? per istrada ho fatto un mondo di supposizioni...

DÀVALI         Férmati su di una e vediamo se indovini.

BRANCATI     Tarlini. - Eh? Tarlini ti ha scritto che non ci paga. (Dàvali tace.)  È così?... Vero?... "Chi tace..." Io te l'avevo detto: "Quello è un lestofan­te, non ce ne fidiamo..." e invece tu...

DÀVALI         E invece io mi son sempre fidato: di tut­ti, tutta la vita. Si nasce! - Ma non è Tarlini... e non si tratta d'affari. Altra cosa, altro genere di roba. - Paola non ti ha detto nulla?

BRANCATI    Quando?

DÀVALI         Quando l'hai vista l'ultima volta. Ieri, ier l'altro... Non ti ha messo a parte di cose sue, non ti sei accorto...

BRANCATI    Di nulla. Sono al buio.

DÀVALI         Be': t'illumino con quattro parole: Paola è innamorata di quel mascalzone di Cartaveglì.

BRANCATI     (dolorosamente colpito)  Che?! Ma no, non è possibile.

DÀVALI         (conferma)  Di Filippo Cartavegli; lo vuo­le sposare e lo sposa. Che ne dici? Sei sbalordito anche tu. Senza parole. Io, vedi... Se fossi io... (Svia.)  Ecco, mi spiego. Se si trattasse di affari, come tu credevi, allora - tu e io siamo soci - preoc­cupazioni, responsabilità, provvedimenti anche estremi sarebbero da dividersi metà per uno, co­me abbiamo sempre fatto. Tra soci chi si tira in­dietro è un pagliaccio o un poco di buono. Ma una figliola non è merce comune. E dunque uno solo decide. (Tranquillo, lento)  E sei tu, perché la figliola... non è mia: è tua.

BRANCATI     (si sbianca, sussulta)    Che dici, che di...?

DÀVALI         (freddo, inesorabile)  Che la figliola è tua - e che da cinque anni io lo so.

BRANCATI     (cerca di prendere il di sopra)  Ma questo è pazzesco, è fantastico. Tu sospetti da cin­que anni e soltanto ora...?

DÀVALI         Nooo, non sospetto: lo so. Dalla persona meglio informata: da mia moglie, dalla "povera Giulia", come dici tu e come ho detto sempre io fino ad oggi. Perché io, con voi, sono stato perfet­to. Eh? Sì o no? E anche con Paola, perfetto. Gran­de, magnanimo no, non pretendo, ma perfetto, corretto sì... per necessità, perché fino all'ultimo giorno che visse la "povera Giulia" (sorride sar­casticamente)  io non avevo saputo, né sospettavo. Mi fidavo... Com'hai detto tu ora?... "Ti sei sem­pre fidato"... Avevo torto, ma mi fidavo. C'è volu­ta la setticemia... Sicuro. Venne la setticemia, e la "povera Giulia" morì. E tu eri lontano... molto lontano, per quel grosso affare nostro a comune... (Ride ancora.)  Avevamo tutto a comune, l'ufficio, gli affari, la moglie... E non tornasti che dopo ot­to mesi. Fu la setticemia: sicuro! si sentì morire e fu presa da una smania infrenabile di parlare di di di... - C'è chi tutta la vita è sincero e chi per un solo minuto, tanto quanto basta per darti una coltellata. - Tu che dici, che delirava? No, era in sé. - Che mentiva? No. Perché sarebbe stata così perfida se non fosse stato vero, in punto di mor­te? No; che le avevo fatto di male, io, che giustifi­casse una vendetta? Avevamo vissuto quasi vent'anni assieme: rispetto, devozione, fedeltà da par­te mia, tenuta alta in palma di mano... non le pia­cevo, pare, o per lo meno le eri piaciuto più tu, ma questo non sarebbe bastato a farla mentire. - Sta' tranquillo: Paola è figlia tua. (Ora gli va di contro e quasi gli mette le mani sul viso.)  E tu l'hai sempre saputo!

BRANCATI     (perso)  Ma io ti dò parola...

DÀVALI         Di che? No, non dar parole quando non servono... Quando servono... Già, tu quel giorno non c'eri: e non ci fosti, per un pezzo. Ah, se tu fossi stato qui non ti salvavi! Ma che cosa potevo fare io contro lei e contro te, che cosa potevo? Strappare dal letto un cadavere e precipitarlo giù dalle scale? Urlare alla gente: "Voi non sapete che questa donna..." e alla ragazza in lacrime: "Vedi, tua madre..." No, eh, non c'era niente da fare. - E con te? Piantare la casa e venirti ad agguanta­re in America? Niente, nemmeno questo: bisogna­va ingozzare e mettere il lutto. - E dopo cinque anni, a lei, avevo quasi perdonato. A te no, mai... Sapessi quel che ho pensato per te, contro di te -ridurti alla miseria, ecco... me con te, perché eri e sei il mio socio. Io non so chi mi abbia tratte­nuto... O lo so: l'immagine di mia madre che mi appariva, immagine d'una bontà senza limiti. - E poi, quel lasciarti il dubbio che io sapessi o po­tessi venire a sapere un giorno, mi pareva già una vendetta; e quel tenermi io la tua figliola, se­guitare a tenermela io - che mi voleva bene e le volevo bene - un castigo per te. - Ma oggi no - ca­ro il mio bell'ometto - perché è un'altra cosa. C'è un fatto nuovo. E in quel fatto io non c'entro per nulla. E dunque io faccio le valigie e vi pianto, te, la tua Paola e il suo... quel che è, quel che sarà. Voi vi siete rivelati uno degno dell'altra, e dunque stringetevi insieme, che formerete una famiglia modello. Io ho di che vivere e me ne vado. I con­ti, le somme, il dare e l'avere lo vedremo un altr'anno... o non lo vedremo mai più, non me ne importa. Tutto al diavolo. Quanto a dire a tua fi­glia ch'io non sono nulla per lei, pensi tu, le dici quello che vuoi tu - che tu sei suo padre, che la povera Giulia era... o non era... quello che vuoi tu, quello che ti conviene. Ma ora basta: finito di tor­mentarmi, di simulare, di soffrire. A suo tempo ti sei divertito:  ora cercherò di divertirmi io.

BRANCATI     No, no, Dàvali, non dire così, non nego più, mi arrendo. Non cerco attenuanti, e ce ne sarebbero tante... La vicinanza di ogni ora, la gio­ventù, non si sa come accade... non si sa... Vuoi por­tarmi alla rovina? rovinami. Mi vuoi uccidere? non mi difendo.

DÀVALI         (sogghigna)  Dopo cinque anni? Non fa­re lo scemo! No, soltanto questo voglio e preten­do, che tu mi liberi di Paola, la quale si rivela degna di te, e di sua madre, che vi somiglia nel corpo e nell'anima: l'eredità, il sangue, c'è, c'è, so­no veri, sono veri. Io vi metto tutti fuor dalla mia casa e dalla mia vita... Tu, che prima... e dopo sei tornato e sei rimasto con me, e mi hai parlato tranquillo ogni giorno e hai continuato a dividere il mio guadagno e qualche volta i miei pasti. Ver­gogna, vergogna!

BRANCATI     Che ne sai tu? Come fai a giudicare? Anni, anni di spasimo per poche ore di tormenta­ta passione, ecco quello che mi è toccato. Perché tutto era finito da tanto tempo. Non c'era rimasto che il rimorso. - Lasciarti - prima - senza che tu ne potessi vedere un motivo giustificabile, era dif­ficile; eppure avevo tentato - se ti ricordi, ho ten­tato. Dopo, restare con te era il solo modo di poter vedere Paola. - Ma ora che posso fare? Come potrei spiegare un tuo abbandono, una fuga? Che cosa posso dire io e con quale autorità, a Paola, per strapparla via da quella canaglia? Io, per lei che non sa, sono uno qualunque.

DÀVALI         (freddo)  Ma tu le dici chi sei... Dammi retta: è il minor male. Oggi è giorno di bucato, si mette tutto in chiaro.

BRANCATI     Ma come? Io dovrei esser feroce, inu­mano contro la viva e contro la morta.

DÀVALI         Ah sì? E lei, la tua morta non è stata inu­mana contro me, contro Paola e anche contro te? Egoista. Non ha pensato che a sé, all'anima sua. Quando ha sentito che se ne doveva andare, allo­ra si è liberata del suo peso. Giù la zavorra, per veder di volare: non si bada a schiacciare chi è . sotto. Figurarsi, c'ero io! Giù la confessione, il pentimento per la speranza di un perdono in ter­ra e di una grazia in cielo. Anche con la figliola - mia no, sua - anche con lei egoista, spietata, per­ché io che ero venuto a sapere avrei potuto dir­le tutto, e poi buttarla in mezzo alla strada. Ma no: mi sapeva buono... (sarcastico)  tanto buono, ed è andata via tranquilla, poverina. "Addio, ad­dio: se ci si rivede, ci si rivede. Speriamo, sai, Dio è misericordioso e alla Paola ci pensi tu." E io ho combattuto, ho sofferto, ma ci ho pensato. (Si frega le mani.)  Ma ora basta. Il giochetto è finito. Di mio, Paola non ha nulla: nemmeno il colore dei capelli. Si vuol rovinare? faccia quello che crede. Io ti scarico la partita. Guarda, se te la vuoi portar via subito, è di là. E se no, te la mando. (Una smorfia di disgusto.)  Biancheria sporca, non la tocco nemmeno col piede.

PAOLA           Posso entrare, papà? (Schiude la porta, entra, fa un passo e vede Brancati.)  Oh, c'è anche lei qui! L'hai chiamato o è venuto da sé?

DÀVALI         L'ho proprio chiamato io. Avresti qual­che cosa in contrario?

PAOLA           Oh, niente: chiedevo. (Leggerissima)  È na­turale che tu abbia ricorso a lui per consulto e per rinforzo. Se non dici a lui i tuoi crucci, a lui socio, amico, commensale... a chi? - Mi siedo? mi siedo.  (E siede.)   Naturalmente tu gli avrai detto... O non c'è stato il tempo e gli hai ancora da dire?...

BRANCATI     Oh Paola, Paola... ho saputo adesso... Come fai male!... Non c'è logica, non c'è senti­mento, non c'è dignità... Tu bella, ricca, giovanis­sima, tu che potresti...

PAOLA           (interrompe tranquilla, volgendo sempre la parola a Dàvali)  Ecco, vedi, è d'accordo con te. Ma non c'era da dubitarne un minuto: perdere la testa per uno sregolato, tra lo smargiasso e il don­giovanni, uno che non sa misurarsi nelle spese, che non è né laureato in scienze commerciali, né notaio... Ecco: questa del notaio era la professio­ne ideale di un marito per una ragazza come me. Se fossi normale... Ma io sono pazza frenetica e perciò illogica e insanabile. (A Brancati)  Lei non ha mica consigliato a papà di farmi vedere da un qualche luminare del manicomio? No? Bravo, Per­ché sarebbero denari gettati. Nessuno mi giudi­ca e mi condanna più severamente di quello che mi condanno io. Ma non c'è che fare. Come uno che zoppica perché ha un piede che non funzio­na. In me non funziona qualche rotella. Va bene così? Oooh! Allora, quando l'ammalata ammette di essere ammalata, basta: no? Piuttosto appro­fittiamo di un lucido intervallo - mio, si capisce -  di un momento di calma, e ragioniamo, e pren­diamo una  buona decisione.

                     (Dàvali la fissa con tanta insistenza che pare non possa avvertire nem­meno le parole: lo interessano, specialmente, il tono e la faccia.) 

Ho veduto di là Natalina ch'era tutta affannata a stirarti un abito, a mettere in ordine una valigia, due valigettine. - Dice che tu vai via. (Aspetta invano la conferma.)  Per affari? - No, vero?  Il viaggiatore per la casa  Dàvali e Brancati... è stato sempre lui (lo indica col viso), che ha maggior prestigio... (corregge)  ... prestan­za... sì, la figura, più snello... e più fanfarone - (A Brancati)  Scusi, sa - Per affari no.

(Breve attesa per conferma o per smentita.) 

Tu dunque andre­sti via per non avere ancora a combattere con me: per chiudere. Bene o male, ma finire: "Ah, ti vuoi proprio affogare, affogati".

(Dàvali seguita a fissarla muto e immoto.) 

È questo? - Il pensiero che determina il tuo atteggiamento e la tua risoluzione è questo, no? - Parla: non mi fissare a quel modo.

DÀVALI         Avanti, va' in fondo.

PAOLA           Se è così, come credo io, sono qui a pro­porti la soluzione più comoda per te, nella forma più semplice e immediata. Vado via. E tu resti. Mi carico sulle spalle tutta la responsabilità per­ché l'iniziativa risulti mia. Io lascio casa tua - ca­sa nostra - e vado a un albergo, a una pensione, o vado addirittura... tanto è questione di giorni, che ci sposiamo. Ci penserò su. - A questo modo si provvede anche al poi. Se non vorrai più saperne di me, - non muterai? - tutti diranno che l'avrò meritato. E se invece tu dovessi mutare più tardi e riconciliarti con me, rassegnarti almeno, tu pie­gheresti soltanto accettando il fatto compiuto. È meglio, molto meglio... - Brancati, dal momento che l'hanno chiamato per consiglio, dia anche lei il suo parere: altrimenti che ci sta a fare?

DÀVALI         (violento)  Lascialo stare, lui, e senti qua me. (Più calmo)  Siamo arrivati presto alle ulti­me spiegazioni: stringi i tempi anche tu. Bene. Spogliamoci di tutti i rispetti umani, di tutte le ipocrisie; tanto non c'è più altro a fare. L'uno o l'altra che parta, la cosa non ha importanza. Im­porta, anzi occorre, che ci dividiamo. Tanto, anche se restassimo uno accanto all'altra, siamo già divisi e come!... fra te e me, c'è l'abisso. E non da oggi, da settimane, da mesi.

PAOLA           (per interrompere)  Ma perché...?

DÀVALI         Io non ti ho interrotto, non m'interrom­pere tu. - Siamo potrei dire nemici, dirò divisi, forse irreparabilmente, per sempre. E allora, o tu o io... come preferisci. Conviventi, nemmeno un'ora di più. - Però...

(Si leva, le va faccia a faccia, la fa alzare dalla sedia, le solleva il viso, le fissa gli occhi negli occhi.) 

Però io ho il diritto - diritto pieno, assoluto - di sapere dalla tua bocca... dalla tua bocca per quale oscuro rancore, oltre il fatto che io contrasto il tuo matrimonio pazzesco, ti sei messa contro di me.

PAOLA           (balbetta)  Per niente, papà.

DÀVALI         (non la lascia e quasi le soffia sillabando sulla  bocca)     Non è vero.

PAOLA           Quando ti dico niente...

DÀVALI         (più semplice, tirato via)  Non c'è altro, assolutamente?

PAOLA           No, non c'è altro.

DÀVALI         (la distacca da sé, la respinge, quasi la but­ta via). E allora vattene. Tu. Che non ti abbia mai più a vedere. Sei perfida, ingrata, corrotta fi­no alle midolla.

PAOLA           (si vuota, si libera)  Ah sì? Io, io corrotta; e voi?

DÀVALI         (senza rompere la foga della figliola, tra lo stupore e lo sdegno, dice e ripete)  Che dici? Che dici?

PAOLA           ... avete proprio diritto di alzare la voce, - voi...

DÀVALI         Che dici?

PAOLA           ... voi, tutti quanti, vivi e morti... sì, sì an­che i morti... (È fuori di sé.)  Tutti campioni per­fetti, tu e... non voglio dire, non mi far dire... tu... e quell'altro lì.. Lo sapevi e tacevi per tenerti ac­canto il socio e i guadagni..

DÀVALI         Che dici?

PAOLA           Sì, il socio e i guadagni... Lo sapevi... e ave­te finto di no, soltanto per voi, per salvare la fac­cia, la vetrina... E mi avete ridotta così... Quando ho capito... Che potevo fare?... Avete bruciato in me ogni buon istinto, frantumato ogni fede, ogni pietà... Mi son buttata tra le braccia di uno qua­lunque, del peggiore, di uno senza scrupoli, pur di andare via. Via di qui... a qualunque costo... via da te, via da voi...

DÀVALI         (la riafferra ai polsi)  Che?... che...? Hai sospettato... Ti hanno fatto credere... E tu hai cre­duto! Vili infami... Sei avvelenata... Ecco, ti han­no avvelenata... No, è falso, è falso! Tua madre è stata sempre una santa donna, e io... (ormai sen­za fiato)  e io...

PAOLA           Tu no...? No? Non è vero?

DÀVALI         Ti giuro... ti giuro... (L'ha lasciata, bar­colla.)

PAOLA           (tra lo spasimo e la gioia)  Ah, papà! e io ho potuto... io ti ho detto...! Papà mio!... Perdona­mi! Sì, avvelenata, ero avvelenata... Tu ora mi hai salvata... Andiamo via... (Piange, ride.)  Non eravero, non era vero... Via, via, guarita: mi hai gua­rita. Dove vuoi tu... Col mio papà caro che mi ha guarita. Col mio papà.

(Gli si è buttata ai piedi, gli abbraccia le ginocchia, gli bacia furiosamente le mani. Brancati, solo, immobile, nel fondo, pian­ge silenzioso.)

F I N E