Omini Super

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Omini Super

Omini Super

commedia musicale in due tempi di

Reno Bromuro



© - 1977 – 1982 – 1987 – 1992 - 1997- 2002 – Reno Bromuro
via castel di ieri,21/r - 00155 roma
CELL. 3384975407
terza edizione
posizione SIAE n° 35791



P e r s o n a g g i
Giudice
Imputato
Vivien = Ragazza delle poesie e Donna lamentosa
Cantante
Moglie
Marito
Marcello
Roberto
Mario
Pubblico Ministero



Omini Super
primo tempo

Scena prima

Aula del Tribunale affollata di spettatori. Luce fioca opprimente. Il giudice è seduto dietro la cattedra, si vede solo la testa, sembra un "gatto appeso al lardo". L'imputato, sul lato sinistro della stanza, non è più alto di un metro e cinquantacinque. Vociare del pubblico. 

Giudice (Nervosissimo)
I fatti. Ci vogliono fatti, fat-ti!
Imputato
Signor giudice, perché se la prende con me? Se ho sbagliato, l'ho fatto in buona fede. Non credevo... non pensavo...
Giudice
I fatti. I fat-ti! Voglio solo i fatti.
Imputato
Vorrei narrarglieli, ma lei non me lo consente.
Giudice
Silenzio, non m'interrompa! Stia al suo posto, e parli solo se interroga-to.
Dissolvenza in chiusura sull'aula del Tribunale e in apertura so-pra un angolo di strada. Occhio di bue sul volto di Vivien, una fanciulla dai lineamenti fini: occhi grandi e puliti, movenze ag-graziate. Sale una musica elettronica e a percussioni e fa da sottofondo alla poesia. L'aula del Tribunale è completamente al buio.
Vivien
Sulla bilancia della giustizia
ho messo i nostri corpi di amanti poveri
che hanno tanta luce da donare.
Il piatto pendeva dalla parte opposta:
e questa è giustizia?

Dall'altra parte bidoni ricolmi di immondizia
e di cadaveri mascherati da uomini:
la luna non ha sputato nemmeno un piccolo raggio
e questa è giustizia?

Quanta miseria c'è al palazzo della giustizia
ecco perché non mi lamento: tu e io
siamo i più ricchi del mondo.

Dalla bilancia della giustizia
ho tolto i nostri corpi di amanti poveri
e vi ho messo la casa che hai sognato
la casa che ogni giorno sogno:
il piatto pendeva dalla parte opposta,
vi erano bidoni di sterco mascherati da uomini
case vuote, abitate nemmeno da spettri.
Uomini avvolti in una coperta di fango
nascondono la loro volontà, noi sfiancati
ma non domi grattiamo il fango con le unghie
e intoniamo la canzone fatta di parole d'amore.
Dissolvenza in chiusura su Vivien e in apertura nell'aula del tribu-nale.
Giudice
Ho detto, i fatti.

Imputato
Sono questi i fatti. Tutto è cominciato così, signor giudice. Con questa incosciente che diceva poesie per le strade.
Giudice
La poesia non m'interessa. I fatti! Occorrono... ci vogliono i fatti.
Cantante (Avanza a passettini, quasi saltellante, fino al centro dell'aula e comincia a cantare. Gli effetti di luce commenteran-no quanto accade)
In questa società di super-super
di mastodontici giganti non si sa
perché restano in vita chi lo sa
gli omini piccolini a vegetar.
Vanno in giro, per farsi vedere,
con tacchi alti e col cappello
camminando a passettini
come tante formichine.

In questa società automatizzata
immunizzata
pillolizzata
abortizzata
divorziata
ribattezzata
consumistica e benestante
che ci fanno gli omini piccolini
che camminano a passettini
tra i giganti di questa bella e florida società?

Gli omini piccolini
ti aspettano al traguardo
grosso gigante insulso
di questa ipocrita e banale società.
Giudice (Canticchia e batte il ritmo sul banco, con le dita)
Immunizzata
pillolizzata
abortizzata... (Si rende conto di quello che sta facendo, si blocca, siguarda intorno circospetto. Subito serio)
Ma che mi fa fare? Stia al suo posto!
Imputato
Ma io... sto al mio posto, signor giudice.
Giudice
Vorrebbe farmi credere che i fatti sono in una poesia e in una canzo-ne?
Imputato
Purtroppo, signor giudice. Potrei fare di meglio, molto meglio, ma ve-de? Non appartengo a nessun partito politico e non perché sia anarchi-co. Io, signor giudice, sono umanista: esclusivamente umanista!
Giudice
Non sia prolisso, venga al sodo.
Imputato
Vengo, vengo signor giudice.
Giudice
E non s'interrompa. Venga al...
Imputato
... al sodo? Certo!
Giudice
... Stia zitto. Ai fatti.
Imputato
D'accordo, signore. Era mezzagosto, la città era deserta. Si parlava di UFO, di esseri extraterrestri. Avevo conosciuto la ragazza che leggeva poesie per le strade. Poi l'extraterrestre la rapì...
Giudice
... Che?...
Imputato
... Ma subito dopo...
Giudice (Scatta in piedi e con tono autoritario)
Dov'è il marziano? Arrestatelo. E' imputato di ratto a scopo di libidi-ne...
Imputato
... Signor giudice! Subito dopo, pentito, l'ha riportata sulla terra...
Giudice
... Ah! Volevo ben dire! Vada avanti.
Imputato
Poi ebbi modo di incontrare questo menestrello che girava in compa-gnia di un poeta e della sua chitarra...
Giudice
Girava col poeta con la chitarra?...
Imputato
... No. Con la chitarra sua ed un poeta.
Giudice
Chiaro!
Imputato
Limpido e genuino. Così pensai di mettere su uno spettacolo...
Giudice
... Allora l'imputato non è lei!? E' lo spettacolo?
Imputato
Così sembra!
Giudice
Allora per giungere alla verità... per sapere i fatti occorre che si veda lo... spettacolo.
(Voci di dissensi e assenso. Confusione vocale e strumentale)
Imputato
Silenzio! (Sale "Toccata e fuga" di Bach. Silenzio del pubblico)
Silenzio! Quando parla un poeta
bisogna ascoltarlo in silenzio!
Tutto ciò che dice un poeta
è sempre cosa seria e meditata.

Silenzio!
Voglio un mondo che parli
la lingua universale dell'amore.
Voglio scrivere per le strade
sui muri delle case screpolate
sui vetri degli alti grattacieli
sui parabrezza delle auto
sui banchi di scuola
sul volano del tornio
i miei versi che vogliono esaltare
la volontà del poeta: il desiderio
di un mondo che parli la lingua
universale dell'amore.

Voglio affiggere i miei quadri
alle aste delle bandiere abbrunate
per questa inesausta e svogliata società
affinché l'uomo impari a vestire
una camicia bianca, immacolata
per non contaminare il prato
quando vi si rotola per bagnarsi di rugiada.

Voglio che i quadri e i versi
sventolino al sole caldo dell'amore
e tu passando impari a far silenzio
quando parla un poeta.

Silenzio! Quando parla un poeta
bisogna ascoltarlo in silenzio.
(Dissolvenza su tutto. Occhio di bue sul cantante)
Cantante
Stasera, ammore mio, ch'è primmavera
scurdammoce 'è ll'Inferno e pe' 'na sera
trattammoce cumm'a dduje 'nnammurate
dicenno, ammore mio, cumm'a 'na vota.

Stamme 'a sentì pe' 'na vota
'na vota sulamente
e po' senza dì niente
strignete forte a me.
Voglio 'nu poco 'e gioia
voglio 'nu poco d'ammore
voglio pe' n'attimo sulo
godé 'o paraviso cu' tte!
Stamme 'a ssentì pe' 'na vota
'na vota sulamente
e po' senza dì niente
strigneme forte a te.
Voglio pe' 'n'attimo sulo
scurdarme che 'o munno
esiste ancora e 'nzieme cu' te
parlà comm'a 'na vota
comm'a sempe comm'è 
ll'ammore: eterno! Pe' ll'eternità!
Stacco.

Dissolvenza in apertura in una stanza illuminata dalla luce che emana un televisore, situato sulla sinistra del proscenio. Di fronte: due coniugi sdraiati in poltrona seguono lo spettacolo. Mentre ascoltano la canzone il marito fa piedino, distraendo la donna.

Cantante (Nel televisore)
Juorne 'e felicità 'ntiempo 'e stagione
suonne sunnate p'a campagna 'nfiore
parole suspirate, 'na canzone
cantata vocca a vocca, core a core,
ma tutto passa e more
che ce rimasto 'e tanto bene oj né?
Una parola sola
una parola
'nu giuramento
se ll'ha purtate 'o viente
che ce rimasto oj né?
Sultante 'na parola
una sola: Eternamente!
Dint'o ricordo e te turmiente amare
delure suppurtate ore e mumente
'ste lacreme cucente 'nterr'altare
ll'aggie lassate a Dio, ch'a nun me sente,
ma tutto passa e more
d'o bene nuoste che rimasto oj nè?
Una parola sola
una parola
nu giuramento 
se ll'è purtate 'o viento
che 'nce rimasto oj nè?
Sultanto 'na parola
una sola: Eternamente!

Il marito, fa una carezza languida alla donna, che non gli par vero. Lo guarda interrogativo, lui ripete la carezza e lei fa le fusa come una gat-tina. La donna, gioiosamente fa per abbracciarlo, lui si svincola, alzan-dosi di scatto gridando istericamente.
Marito
Aho! E che ti prende? Donna delle caverne, mi vuoi violentare?
Moglie
Ma che vaje dicenne? Se faccio sempre il tuo volere...
Marito
Il mio... volere?
Moglie
Mi pareva...
Marito
Ma fossi impazzita per caso? O solo perché sei colei che porta i soldi a casa, credi di avere dei diritti? (Tossisce)
Moglie
Ma quando mai? Mamma mia quanto sei sprucido!
Marito (Tossisce)
Moglie
Lo vedi? Ma perché t'arrabbi? Lo vedi che quando t'arrabbi ti viene la tosse?
Marito (Tossendo)
Cavernicola!
Moglie
Calmati, vita mia! Te piglio un bicchiere d'acqua...
Marito
... e perché me lo devi prendere tu?
Moglie
... per un atto di gentilezza.
Marito
... e perché devi essere gentile?
Moglie (Si alza, accende la luce)
... Oh, Dio! Pecché, perché... perché ti voglio bene!
Marito
... o perché vuoi... eh? Brutta sozzona! Siamo pari, no? Allora il bic-chiere d'acqua me lo prendo da me.
Moglie
Non ricominciamo con la parità dei diritti. 
Marito
Lo dici tu perché ragioni con i sensi, come i caproni. Come tutti le femmine caprone, che pensano a una sola cosa. E finita! Lo vuoi capire che è finita la pacchia!? La dovete smettere di trattarci come oggetti. Lava, stira, cucina, rammenda i pedalini, corri a fare la spesa. E come se non bastasse, dobbiamo stare pure ai comodacci vostri, per certe cose. Ma che vi siete messe in testa? Noi non siamo oggetti! (Grida come un ossesso) Hai capito, siamo maschi, masculi! Emme, a, esse, ci, u, elle, i. Masculi! (Tossisce)
Moglie (Remissivo)
E nun gridà! Chi ti sente può credere che ti sto scannanne. E poi, ti fa male. Ti viene la tosse. (L'avvicina e fa per coccolarlo) Ma, amore mio, quando mai ho pensato che tu sei un oggetto?
Marito
E che fai? Vuoi violentarmi? Allontanati! Vade retro, Satana!
Moglie
Pure Satana, mò?
Marito
Mi domando e dico: possibile che, solo perché siete femmine, vi dove-te sentire in diritto di fare certe cose. Ma perché, dico io, non ti do-mandi se mi va pure a me?
Moglie
Mi pareva!...
Marito
Che ti pareva e ti pareva!? Per poterle fare certe cose, bisogna essere in due, lo vuoi capire?
Moglie
Mi era parso...
Marito
Lavori troppo di fantasia. Ma guardate un po', adesso pensa pure per me. E che so’ io, un essere vegetante? Sono maschio, lo vuoi capire?
Moglie
Quanto sarebbe stato meglio se non lo fossi stato!
Marito
Ah! Quindi vuoi dire che avresti preferito uno scorbio con le fattezze di maschio pur di fare quelle certe cose, anche quando non ne avesse avuto voglia?
Moglie
Ma che staje dicenne? Nun l'aggie mai pensato!
Marito
Ipocrita! Bugiarda! Sporca femmina materialista, schiavista e... negriera. Ma t'aggiusto io! Con la parità dei diritti, le cose o si fanno in due o non si fanno per niente. Capito, signora cosa?
Moglie
Qua signora cosa e signora cosa? Mò me sò stufata, o ssaje? Me pare-va che tu quello volevi. Mi hai fatto il piedino per tutto il tempo d' ‘a canzone e poi mi hai guardato in un modo, quando mi hai fatto quella carezza...
Marito
... hai capito bene! Solo che io ti ho voluto mettere alla prova... e, in-fatti!
Moglie
Ah, sì! Certe prove a me non servono... (L'afferra con forza, l'abbrac-cia, lo spinge sul tappeto. Il marito tenta di liberarsi: lottano come due maschiacci) 
Marito
Lasciami che chiamo aiuto! Ricordati la parità dei diritti... (Rotolano per terra) 
Moglie
Non me ne frega niente! (Dissolvenza in chiusura lenta)
Marito
Aiuto! Aiuto! Ricordati la pa-ri-tà dei di-rit-ti... (Buio. Luce su...)
Moglie (In piedi, trionfante, con i calzoni al collo, come una sciar-pa e la lingua penzoloni)
Stacco
Luce sul cantante al proscenio, gioco di colori

Cantante
M'avive ditto: Te voglio tanto bene!
e già vedette 'mmiez'o cielo 'o sole.
Pensaje so' fernute tutte 'e pene
pecché 'int 'a vita mia, trasive tu.
Semplicemente 'na telefonata
m'ha ripurtate dint'o core vierne.
Povero core mio 'nnammurate
'e 'na femmena busciarda comm'a te.
M'he lassate!
Pe' telefono, m'he lassate!

Squilla 'o telefono
vaco 'a ssentì chi è che vò parlà
sento 'na voce
'a stessa voce
'a solita voce morbida e flautata
ca me diceva: ammore mio sì tu
pe' telefono me dice: 
nun te voglio bene 'cchiù!
M'he lassato
pe' telefono m'he lassato
Mo m'accumpagna sulamente ll'eco
'e chella voce tennera e flautata
che sensualmente me chiammava: ammore, 
e doce murmurava: voglio bene sulo a te!
Mò 'a stessa voce
chella che m'arrubbato
'o core e ll'anima
pe' telefono m'ha ditto
nun te voglio 'cchiù vedè! 
Stacco

Dissolvenza in apertura su Marito e moglie. Stessa stanza di prima, tre mesi dopo. E' mattino.

Moglie (Gira per casa cantando)
In questa società automatizzata
immunizzata
pillolizzata
abortizzata
divorziata
ribattezzata... (Smette di cantare. Al marito che è dentro) Caro? Dai, scendi dal letto, poltrone! (Riprende a cantare sempre le stesse parole, anche quando il marito parla)
Marito (Entrando. Sbadiglia e si stira)
Sognare... Sognare! Oggi sognare non è più possibile. Però sarebbe bello... mentre stai a letto, al calduccio, allungare una mano, abbassa-re il tasto alla sveglia computer, e dare ordini, mentre in cucina senti già che i congegni elettronici hanno messo in funzione la caffettiera automatica e l'apparecchio per pre-riscaldare il motore dell'auto. Op-pure chiedere che ti venga letto il giornale e la posta dal computer.
Moglie (Smette di cantare e con fare da pantera si avvicina al ma-rito. Gli mette le braccia al collo e fa per baciarlo).
Dormiglione! (Fa le fusa come una gattina vogliosa) Sei tanto, tanto poltrone. (Lo bacia in continuazione sul volto e sul collo. Vorrebbe raggiungere la bocca, ma l'uomo non glielo permette) E pensare che... sei poi faccio tardi in ufficio?...
Marito
Sì,sì,ho capito! Ma,cara,potresti anche svegliarmi con...senza pensare a..
Moglie (C. S.)
Povero cicciolone mio!
Marito (In malo modo)
Mi sono stufato, non ne posso più! Sono venti giorni che non vai in uf-ficio, vuoi che ti licenzino?
Moglie
Ti costa tanto essere più caruccio e... civile?
Marito
Perché sei una parte della civiltà?
Moglie
Certo!
Marito
Non farmi ridere, mezza donna in tutto e per tutto! Sai essere sempre e solo coniglia. Che se ne fa di te, la società?
Moglie
Ti farò vedere se la società sono anch'io! Cavernicolo e plagiatore!
Marito
La società non sa che farsene di un essere vegetante e inquadrato...
Moglie
Inquadrata, eh? Solo perché mi sento femmina e voglio esserlo ad ogni costo? La mia opera, cocco mio; caro il mio maschio... (Sempre come una gatta in amore) sensuale... forte, e...(Il marito la scansa, e-nergicamente) La mia opera, dicevo, non è soltanto valida in seno alla società, ma indispensabile...
Marito
Indispensabile? Addirittura! (Inizia a fare colazione)
Moglie
Certo. Specialmente se consideri che ti elimino... dico elimino, la vel-leità di certi pensierini...
Marito
Lo vuoi capire, donnina che non sei altro, che quelle cose che fai tu le può fare qualunque altra donna? Circuire un maschio, con certe moine subdole, non ci vuole maestria. La maestria sta nel possedere una donna che... magari... in quel momento non ha voglia.
Moglie (Stridula, isterica)
Ecco! Allora è vero che i tuoi pensieri sono sempre rivolti a fare certe cosacce, con donne che non sono io.
Marito
Sei una rompiscatole!
Moglie
Rompiscatole, una che difende i propri diritti e si rende utile alla socie-tà, mettendo fuori combattimento il suo uomo, pur di non fargli fare certe cosacce?... Non solo. Ma evita anche il pericolo delle corna. (Tossisce)
Marito
E non strillare, che ti viene la tosse. Evita il pericolo delle corna, poi! Perché, tu osi pensare che facendomi fare l'amore?...Ma dimme 'a verità, tu pensi pure? Adesso ti faccio vedere io se sei utile alla società... (Cerca di raccattare, per la stanza, i propri vestiti; la moglie lo rincorre, con fare goffamente felino, la lingua penzoloni. Tenta di abbracciarlo e di baciarlo. L'uomo prima è restio, resiste; poi sembra cedere improvvisamente) Mi dai la chiave della porta, tesoro? Vorrei andare a riscaldarti il motore dell’auto. Devi andare in ufficio.
Moglie
Amore ancora una volta e... poi vado.
Marito (Con una calma esasperante)
Dammi la chiave, rompiscatole! Basta con queste scene disgustose. Tutte le mattine e tutte le sere e tutte le notti... Sono stufo, voglio u-scire...
Moglie (Isterica)
So perché vuoi uscire! C'è quella signorinella di fronte, che non aspet-ta altro per poter fare con te le cosacce, brutto sozzone. Lo so, adesso ho capito, cosa fai quando sono in ufficio.
Marito
Non ho bisogno di cercare scuse. E poi...
Moglie
... e poi, e poi?... Amore mio, ti fai influenzare da questa maledetta società!
Marito
E' comodo parlare così, quando chi fatica in casa, non è lui. La devi piantare di trattarmi come il tuo montone personale, chiaro?
Moglie
Calmati, amore mio, non è vero che ti tratto come...
Marito
Allora racconterei frottole?
Moglie
Accendi la radio, con un po' di musica, è più bello!
Marito
Ma sono le sette del mattino!
Moglie
Perché, secondo te, queste cose hanno un orario fisso?
Marito
Sei un'ossessione, non ne posso più! Aiuto! Aiuto, voglio andare a la-vorare fuori, datemi un posto sicuro, in ufficio!
Moglie (Ormai lo tiene ben stretto. E' trionfante: il marito è vinto. Tenta invano di svincolarsi dalla stretta della donna. Mentre lottano, avvinti l'uno all'altra, lui riesce ad afferrare la chiave, svicola da sotto il corpo della moglie e corre verso la porta, ma le gambe non gli reggono e cade bocconi, la testa verso il pro-scenio. La donna gli è subito sopra, famelica e desiderosa) 
Marito
Aiuto! Aiuto! (Con un filo di voce) Così finì il marito che volle esserlo troppo. La mia epigrafe!

Dissolvenza in chiusura sulla stanza e in apertura in una canti-na, linda, illuminata da fari roteanti. Alcuni omini già sono pre-senti, altri arriveranno uno dietro l'altro: parlano fra di loro. Quando la stanza è affollatissima di omini con le rispettive donne, tutte molto alte, tanto da formare coppie paradossali: se la donna è alta verrà accoppiata all'uomo basso, se è bassa, vi-ceversa; entra l'Imputato, azzittiscono di colpo, si alzano in piedi e fanno ala al suo passaggio. Questi va diritto fino ad una cattedra situata sul fondo, di fronte alla platea. Si ferma in pie-di dietro la cattedra, guarda con aria compiaciuta gli astanti e intona: "Super - super per gli omini", seguito da tutti. Ne nasce un coro armonico.

Imputato
In questa società di super super
di mastodontici giganti non si sa
perché restano in vita chi lo sa
gli omini piccolini a vegetar.
Vanno in giro, per farsi vedere,
con tacchi alti e col cappello
camminando a passettini
come tante formichine.
Tutti insieme
In questa società automatizzata
immunizzata
pillolizzata
abortizzata
divorziata
ribattezzata
consumistica e benestante
che ci fanno gli omini piccolini
che camminano a passettini
tra i giganti di questa bella 
e florida società?
Imputato
Silenzio, per favore. (Tutti tacciono) Mettetevi pure comodi. Noi tutti, chi più, chi meno, siamo stati puniti dalle istituzioni perché non siamo stati ligi, in qualche modo, agli obblighi di cittadini. Quindi sappiamo per esperienza che pagando in meno una tassa, ci viene fatto un pi-gnoramento e, magari, da dieci che avremmo dovuto pagare ci è stato tolto cento, con i conseguenti disagi. Questo è solo per i più poveri. Perché noi, amici miei, sappiamo di non evasori, ma vittime innocenti di questa società del benessere. E' giunta l'ora della riscossa! (Una ovazione di assenso) Silenzio, silenzio per favore. Ebbene, da oggi cominciamo a pagare una lira in più su tutto: telefono, gas, luce e... tasse. Ora sappiamo che la legge punisce gli evasori, chi paga di me-no; non chi paga più del dovuto. I computer, amici miei, sono stati programmati ad evidenziare il meno, non il più. Ecco perché paghere-mo in più. (Ovazione) Salteranno i computer, salteranno le istituzio-ne e noi avremo la "nostra" grande vendetta, diventando così (Can-tando), i giganti di questa bella e florida società.
(Cantano tutti)
Gli omini piccolini
ti aspettano al traguardo
grosso gigante insulso
di questa ipocrita e banale società.

Danza descrittiva al ritmo della musica di questa canzonetta: file inter-minabili agli sportelli, gli omini pagano con gioia. Gli impiegati comin-ciano ad innervorirsi, ma loro imperterriti, non mollano. La luce comin-cia a traballare, telefoni che squillano, sirene di pompieri e polizia, i computer impazziscono. Gli omini cantando in coro:"Super-super per gli omini" si avviano, marciando, verso l'uscita 
Stacco
Fine del primo tempo




Omini Super
secondo tempo

Scena prima

Una piazza qualsiasi, avvolta da una luce strana. Ai lati si ergo-no verso il cielo grattacieli di botti. Da tre botti diverse escono Vivien, l'Imputato e il Chitarrista. Il Chitarrista si porta al cen-tro del palco, si siede per terra e suona una melodia romantica. La musica crea un'atmosfera di realtà ovattata, come se tutti i ricordi di una vita vissuta, ai confini della stessa realtà, ritor-nassero alla memoria. Dall'alto delle botti scendono, come ra-gni attaccati al filo, il Giudice, il P. M., la moglie, il marito, il pubblico che segue il processo e inizia una danza descrittiva: l'amore profanato dal sesso dilagante, la giustizia derisa dalla prepotenza di alcuni giudici corrotti, l'abuso di potere da parte di alcuni politici, il dilagare della malavita: rapimenti, stupri, in-fanticidi, furti e rapine a mano armata, spacciatori e tossicodi-pendenti. L'Imputato, passa lentamente, in mezzo a queste ca-tastrofi, cammina come se avesse sulle spalle il peso dell'intero mondo. Inciampa, cade, striscia carponi fino al proscenio, di fronte al chitarrista. Dissolvenza in chiusura e in apertura, solo su Imputato e Chitarrista.

Imputato
Non basteranno le acque di tutta la terra
per lavare la nostra colpa... (Si rialza con forza. Si avvicina al mu-ro, verso destra, si mette seduto appoggiato ad esso. La musica sale forte: una melodia dolce e struggente nello stesso tempo. Tre fari perpendicolari, intrecciati da formare una croce, illumi-nano il Chitarrista, al centro palco verso il fondo, l'Imputato, sulla destra verso il proscenio e Vivien, sulla sinistra verso il proscenio. Tutto il resto rimane strettamente al buio. La musi-ca che suona il chitarrista farà da sottofondo alla poesia, fino alla fine).
Quando nella tua vecchiaia
ricorderai i versi che ti ho scritto
i versi che al telefono ti recitavo
i versi che sopra un nastro registravo
allora la mia adolescenza sarà finita
e disperatamente piangerò l'amore.
Vivien (Invasa da un raggio di luce azzurra e sanguigna)
Quell'amore che ho sempre donato
quell'amore che non ho mai goduto.
Imputato
E le mie mani anchilosate dalla penna
cercheranno di carezzare il tuo corpo
ma non potranno stringerlo.
Vivien
Allora, amore saprò; 
allora, amore saprai;
allora, amore sapremo, tutta la grandezza
di una gioia passata, sprecata, uccisa
da un formale pregiudizio sociale
sciocco, insulso, inutile;
allora dicevo
non avremo lacrime bastanti
per scrostare le nostre anime.
Imputato
Non ci saranno, dicevo, rami robusti
per raddrizzare le dita anchilosate
e i tuoi seni si sentiranno tristi
per non essersi lasciati carezzare.
Vivien
Allora i tuoi occhi capiranno
di aver intravisto, soltanto intravisto
la primavera, e si faranno opachi
per nascondere visioni soltanto sognate.
Imputato
Allora, in me, in te, vivranno l'amore e la pena.
L'amore che io vuotai, come in un'anfora,
nella tua vita; e la pena griderà il suo lamento
nell'anima mia per non aver trovato la forza
di rubarti, strapparti al pregiudizio formale.
Allora, mia cara, vedremo la loro morte
sui tuoi seni avvizziti
nelle mie mani vuote.
Vivien
Allora sarà troppo tardi
e anche se mi chiamerai
e anche se ti chiamerò
Imputato
ci sarà sempre il tuo seno avvizzito
come un fiore non colto a primavera
Vivien
ci saranno sempre le tue mani inutili
ormai, che hanno pensato solo a scrivere,
a gridare al mondo intero
che per un formale pregiudizio sociale
non abbiamo raccolto il fiore più bello della vita
quando il sole era splendido e sincero a primavera...
Imputato
Allora, mia cara, non basteranno
le acque di tutta la terra
per lavare la nostra colpa.

Dissolvenza in chiusura, lenta. Gli effetti di luce si accavalle-ranno con la dissolvenza in chiusura, per lasciare un solo faro che rotea per la platea, fino a fermarsi sul piccolo cantante, en-trato come dal nulla.

Cantante
Tu tiene 'na vucella bella mia
che fà 'ncantà ll'aucielle a primmavera
e comm'a voce ll'anima è sincera
perciò te voglio bene comm'a 'cchè.

Che voce d'argiento
appena te sento
me metto a cantà:
che ll'he dico 'a 'sta nennella
si accunsente e dice sì?
Pupatè tu sì 'na stella
Pupatè me faje murì!

'Nce ll'aggie ditto puro a mamma mia
che voglio bene a te, gioia 'e 'stu core
essa m'ha ditto: embè si è vero ammore
dimme a chi aspiette oj nì, pe' t'ha spusà?

Che voce d'argiento 
appena te sento
me metto a cantà:
Che ll'he dico a 'sta nennella
si accunsente e dice sì?
Pupatè, tu sì 'na stella
jamme a chiesa a ddì de sì!

Dissolvenza in chiusura e in apertura sui grattacieli di botti di-roccati, o screpolati da cima a terra. Una luce nera fa intravede-re un antro con quattro cassonetti della spazzatura, che sem-brano mantenere le mura. Marcello, con gli abiti da barbone, avanza stancamente, rovista tra la spazzatura: cerca fogli di giornali. Ne trova uno appallottolato. Si inginocchia e lo stira. Poi lo stende per terra con meticolosità, come lenzuolo.
Roberto (Si vede solo l'ombra della testa che fuoriesce da uno dei cassonetti)
La storia di un popolo mal compreso, rivive attraverso l'epopea di uno solo dei suoi componenti. Marcello era immigrato nella capitale con la speranza di trovare lavoro.
Marcello (Dopo aver finito di stirare i fogli di giornale ci si stende sopra come fosse un letto)
Songo tre ghiurne, cu' oggi, che nun magne! Tre ghiurne! (Sbadiglia) Chi ala poco vale, o è fame o è sete o è suonne... (Sbadiglia ancora) No, è fame, è fame! Madonna mia aiutame! (Legge i titoli) Rapinata una banca! Inseguiti dalla polizia, i banditi hanno aperto il fuoco, ucci-dendo due passanti... Sommosse di giovani in Olanda, in Svizzera, in Francia... Ma che vogliono? La casa? I giovani reclamano la casa? E il lavoro?... William deve aver provato le mie stesse sensazioni quando scrisse Amleto. Dormire!... Dormire, sognare forse... (E' disteso sui fogli. Si gira e si rigira, non riesce a dormire) Ma pecché nun se pò dormì, quanno 'o stommaco è vacante? (Si ode come salisse dal-la terra, la canzone "Terra mia" di Pino Daniele. L'ombra di Ro-berto si avvicina lentamente a Marcello. La luce mette in evi-denza un uomo in doppiopetto, con cappello a larga tesa. Si china su Marcello, gli soffia nell'orecchio).
Roberto
Sei finito! Fi-ni-to! Che ti serve lottare? Ma hai mai lottato veramente?
Marcello (Cambio di luce. Marcello sta sognando, lo spirito di lui si alza, arranca come se camminasse nel deserto. Il suo posto viene preso da un manichino)
Io vincerò! Devo vincere! Sto studianno, piglierò un diploma e... vedrai se vincerò...
Roberto (Ride)
Ah! Ah! Ah! (A tutto volume la canzone "Terra mia". Marcello cammina stancamente. Cade. E' anelante. Improvvisamente una luce fortissima lo abbaglia, quando diventa più naturale, vede dinanzi a lui Mario)
Marcello
Scusate... vorrei...
Mario (Parla in siciliano)
Me dicesse, me dicesse!
Marcello
Tengo bisogno 'e faticà. So' tante juorne che nun magno!
Mario
E che mestiere vulesse fà, vussia, èh?
Marcello
Mestiere?... Pure 'a pulezzà 'e cessi! Basta che me facite faticà!
Mario
I cessi? E dove sono i cessi qua, èh? Noi sotto gli alberi andiamo, per la campagna. Contadini siamo, èh!
Marcello
Dicene che i contadini hanno bisogno 'e braccia. Io so' pronto pure a zappà.
Mario
A zappà?! (Ride) Che zappi qua, i sassi, èh? (Svanisce in una nuvo-la di luce)
Marcello (Sconfortato)
Madonna mia! Mamma 'a Schiavona bella, famme 'a grazia!
Roberto (Beffardo. Lo seguirà passo dopo passo, come un'ombra )
Non ti ha creduto. Lo voi capì che nessuno te crede! Non te vogliono perché sei napoletano, se fossi di un altro paese!...
Marcello
Allora, come dici tu, essere nato a Napule è 'na disgrazia?
Roberto (C. S.)
Pensa all'Alfa Sud di Pomigliano d'Arco.
Marcello
E che c'entro io, con l'Alfa Sud?
Roberto
L'indice più alto di assenteismo dal... lavoro... (A tutto volume il ri-tornello di "Terra mia". Dissolvenza in chiusura su Marcello e Roberto. Luce su Mario, commenda milanese)
Mario (In milanese)
Tutti ci sfuggono, nessuno più ha voglia di lavorare!
Marcello (Contemporaneamente alla luce, pieno di speranza)
... Eccomi, eccomi! Io voglio faticà.
Mario
Terrone?
Marcello (Con orgoglio)
Sì, terrone. Ma comm''a tutti 'e terrune, comme dicite vuie, chino e volontà. Io voglio faticà. Voglio faticà. Voglio faticà...
Mario
Ho capito. Sembri un disco incantato...
Roberto (C. S. Ridendo)
Ti prende in giro e tu hai fame. Tanta fame! Non è vero forse che son tre giorni che non mangi e dormi sopra i fogli di giornali? E questo per-ché sei napoletano. Se ti fingessi pugliese, calabrese o romano, for-se... Sì, forse romano! Fingiti romano.
Marcello 
Mò ce provo! (A Mario) A dottò, lei non trova manodopera? Ebbene, eccomi qua, pronto arzillo, forte e scattante... Vede che muscoli?
Mario (C. S.)
Un romano nella mia ditta? La mia industria è una cosa seria, sa? E le persone serie le ho trovate solo nel sud, porca la miseria ladra!
Marcello (A Roberto)
Lo vedi che mi hai rovinato? J aggia faticà! Aggia faticà, tengo fame e si nun magno moro!
Roberto (Risentito)
Volevo aiutarti, ma evidentemente non sono ancora riuscito a capire...
Marcello (A Mario)
A dottò, io sono un lavoratore.
Mario (C. S.)
Per amor di Dio! Mi sono bastate le due esperienze passate. Per poco non mi ammutinavano la mia grande industria!
Marcello
La sua?... Grande industria, dottò?
Mario (C. S.)
... Grandissima industria. Oltre cento persone che chiedevano l'aumento del salario e la diminuzione delle ore lavorative...
Marcello
A me, me 'mporta sulo 'e magnà! E pe' 'nu piatto 'e spaghetti...
Mario
Ma sei napoletano! Veramente lo sei?
Marcello
Vo' giuro! Vo' giuro pe' quanto ve voglio bene, cavaliè!
Mario (In napoletano)
Comme, comme, comme!
Marcello
Vo' giuro, 'ncopp''all'anema 'e tutte 'e muorte vuoste! Voglio faticà, e pe' 'nu piatto 'e spaghetti 'o juorno...
Mario (In milanese)
Veramente?
Roberto
Digli la verità. Diglielo che un piatto di spaghetti non ti basta!
Marcello
Sì, cavaliè, 'o giuro. Mbè, si 'nce mettite puro 'na felluccella 'e car-ne!...
Mario (C. S.)
Come?
Marcello
'Na bistecca, cavaliè!
Roberto
E diglielo: per otto.
Mario (C. S.)
Un piatto di spaghetti e una bistecca?
Roberto
... Per otto.
Marcello
Sì, cavaliè, me basta.
Mario (C. S.)
Allora sei assunto. Puoi iniziare domani. Anche subito se vuoi.
Marcello
Cu' 'sta debulezza, cavaliè!? Avrei bisogno di un acconto. Tengo fame e... avesse affittà 'na casarella.
Roberto
E diglielo che è per otto.
Mario (C. S.)
Una stanzetta c'è. Metteremo una brandina nel ripostiglio degli attrez-zi. Così potrai fungere anche da guardiano.
Marcello
Ah no, cavaliè! 'O guardiano no, cu' 'e tiempe che correno! Io non vo-glio murì 'e famme, ma nun voglio manco murì acciso, sparato.

Roberto
Sono curioso di vedere come farete a dormire in otto, in un riposti-glio...
Marcello
Fatte 'e fatte tuoje, ‘nce arrangiammo!
Mario (Che non vede e non sente Roberto)
Ma con chi ce l'hai?
Marcello
Cu' nu scucciatore. 'Nce facite caso cavaliè! Nu scucciatore ca me per-seguita 'a quanno songo nato!
Mario
Per la mia grande industria, ho solo bisogno di un guardiano.
Marcello
E vada pe' 'o guardiano, cavaliè! 

(Dissolvenza in chiusura. La canzone "Terra mia" in crescendo. Marcello è ritornato sui fogli di giornale, a dormire. Dall'altoparlante una voce perentoria e forte)
Voce
Fermo e non fiatare, questa è una rapina.
Marcello (Balzando in piedi, spaventato)
Aiuto! Madonna mia aiutame! Tengo sei figli e 'na suocera a carico. No, no!
Roberto (Più beffardo e sibillino)
Sempre la stessa storia. Cerchi lavoro e preghi Dio di non trovarlo!
Marcello
E che è? E' colpa mia si tengo paura 'e fà 'o guardiano?
Roberto
Tu hai solo una paura: quella di dover lavorare!
Marcello
Mò me ne vaco a Torino e te faccio vedé si tengo voglia 'e faticà. Là sì che trovo 'a fatica! (A Roberto) E tu, famme durmì.

Dissolvenza in chiusura e in apertura su Mario, dirigente FIAT. Il manichino ritorna al posto di Marcello.

Mario (In torinese)
Un napoletano? Ma per amor di Dio! L'avvocato non mi permetterà mai di assumere un napoletano, nella grandissima famiglia...
Marcello
Ma pecché, tenimm' ‘a rogna?
Mario
Peggio! Lavorate una settimana all'anno. Il resto lo passate sotto ma-lattia...
Roberto
Guardate un poco in quale periodo questo cerca lavoro a Torino! Pro-prio adesso che almeno quindicimila persone stanno sotto cassa inte-grazione 
Marcello
E' 'na buscia! Nuje faticammo tutto l'anno. Nun facimmo 'e ferie pe' pigliarce 'a paga doppia...
Roberto
Ma lo vuoi capire? Non perdere tempo. Qui per te è kaput!

(Gioco di luci. Marcello ingoia saliva, incantato da una tavola imbandita. Compare Mario, lui gli si avvicina)

Marcello
Scusate. So' ll'uocchie miei che... vedeno chello che veco, o è mirag-gio? 
Mario (In bolognese, con tendenza gay)
Perché, che cosa vedono gli occhi di questo bel ragazzuolo?
Marcello
Fettuccine, lasagne, tortellini, cannelloni, spaghetti!...
Mario
Certo. E' un ristorante!
Marcello
Faciteme fa 'o cammeriere! Tengo 'na famme! So' molto bravo a servì.
Mario
Di camerieri ne ho fin troppi, caro il mio ragazzuolo!
Marcello
... l'aiuto cuoco?
Mario
Ce l'ho.
Marcello
'O lavapiatti?
Mario
C'è la mia moglie.
Roberto
E' inutile! I-nu-ti-le! Ci hai il marchio! Per te non ci sarà mai lavoro.
Marcello
Basta, basta! Mo me taglio 'e vvene e non se ne parla 'cchiù!

Dissolvenza in chiusura. In apertura su Mario.
Mario (In veneto)
Scusi giovanotto. Ho sentito che cerca lavoro. A Venezia ci ho un... piccolissimo alberghetto sulla laguna. Ho bisogno solo di un cameriere ai piani...
Marcello
... quante camere, tiene 'st'albergo, tre?
Mario
Le va di scherzare al giovanotto?! E' sì, un albergo piccolissimo, ma con trecentosessantacinque stanze...
Marcello
E io, quante n'aggia pulezzà, una 'o ghiurno?
Mario
Nell'anno bisestile, tresentosessantasei!
Marcello
... E vuie me pagate 'o straordinario?
Roberto
Allora ci ho ragione io?! Cerchi lavoro e preghi Dio di non trovarlo...
Mario (In fiorentino, da gay)
Ma no, no, no! Un bel bischero come te, cameriere d'albergo? Io ce l'avrei un bel posticino per te!...
Marcello
E dove? Nel letto?
Roberto
Al camposanto!
Mario (C. S.)
Vedi?... Ho una piccola agenzia di cambio e una gioielleria fornitissi-ma... Col tuo fisico attireresti molte donne... Sei eccezionale e... molto fusto! (Fa per abbracciarlo con languore)
Marcello (Ribellandosi)
Ma che intenzione tieni? Pussa via!
Roberto (Ride a crepapelle)
Mario (C. S.)
Bel bischero, farò la tua fortuna. (Lo abbraccia con foga) Vieni bel fusto! 

Dissolvenza in chiusura e in apertura su Marcello coricato sui giornali.

Marcello (In escandescenza. E' furibondo. Balzando a sedere)
'A carne 'e puorco nun me piace. Nun me piace. Voglio sulo faticà, fati-cà!
Roberto (Acquista autonomia, in veste di poliziotto, a Marcello)
Giovanotto? Giovanotto! Che stiamo facendo? Documenti!
Marcello
Voglio sulo faticà!
Roberto
Documenti prego, e... non spostiamo...
Marcello
Ch'aggie fatto?
Roberto
Vagabondaggio. 

(Stacco. Buio. Si ritorna all'inizio della scena. Marcello si agita sui fogli di giornale. Una flebile luce illumina il volto di Rober-to)

Roberto
Marcello si è svegliato, mentre un gruppo di turisti, poco distante, mangia pagnottelle con la porchetta e bevono vino dei Castelli. Si mette seduto, annusa l'aria come il cane la cacciagione, ignora la sua coscienza, tenta anche di ignorare le grida dello stomaco. Si ri-mette coricato e si gira sul- l'altro fianco, per sognare di non essere nato a Napoli e finalmente, di aver trovato un lavoro.
Stacco

Luce nell’aula del Tribunale. In un angolo, verso il proscenio, il cantante, accompagnandosi con la chitarra, canta, ma forse re-cita col pianto nell'anima.

Cantante 
'Nu libro apierto 'ncopp'a scrivania
'na pagina che parla d'o passato
d''a vita sana 'e tanta gente allera
t'ha fatto venì 'a smania de scappà!
Guagliò, fermete guagliò, pe' carità!
Patete te cerca comm''all'aria
te chiamma cu' passione mamma toia,
tu areto 'o vico, all'ombra 'e 'nu lampione
cu' 'n'accendino e 'nu cucchiaio nire
prepare 'na siringa pe' t'ha fa!
Guagliò, fermete guagliò, pe' carità
jetta tutto e torna a studià!
'A vita è bella proprio pecché è varia
nun 'a jettà comm'a 'nu mezzone
e sigaretta amara e senza filtro,
ritorna a ridere, torna a cantà!
Patete te cerca comm'all'aria
te chiamma cu passione mamma toia
ritorna 'nziem'all'uommene
ritorna a ridere, torna a cantà!
Stacco

La luce sale lentamente, illuminando la Corte, l'Imputato, la Giuria, il Pubblico, dandogli un aspetto ambiguamente spettra-le. Nell'angolo, il cantante è solo un ombra che, dopo il rito del-la preparazione, si inietta il contenuto di una fiala nelle vene. Rock tragico, fino al parossismo, mentre il cantante ha un guiz-zo e poi si accascia. La luce si abbassa a singhiozzi, quasi a manifestare il pianto interiore degli astanti, fino a fermarsi al-l'illuminazione dell'aula, tetra e nello stesso tempo reale.

Imputato (Di fronte al giudice)
Ecco, signor giudice. La mia colpa... la nostra colpa...
(Vocio in sala)
Giudice
Silenzio! (Sbattendo il martelletto) Silenzio o faccio sgombrare l'aula. La corte si ritira per aggiornare il dibattito. (Via, seguito dai componenti la corte)
Imputato (Avanza verso il proscenio, ma inciampa e sbatte contro il muro. Si lascia scivolare, reggendosi con le spalle al muro. Una luce bianco pallida lo illumina)
Si sono divertiti con la nostra fame,
hanno approfittato delle nostre ragazze...
Ieri avevo un'idea per la testa
ieri, avevo un'idea...

Vivien avanza, verso il centro, sotto un raggio perpendicolare di luce rossa. In un angolo un bambino è fermo come una statua; Vivien abbassa la testa sconfortata. Suono lacerante di sirena, grida di spavento, bombe che cadono, bagliori di fiamme e lam-pi di cannonate. Il bambino vaga per il palco chiamando "Mamma!". Un forte boato, il bambino si accascia con un grido disumano.
Buio

Luce rosso sangue investe Vivien interamente, e solo lei. Gli al-tri personaggi agiranno in ombra. Vivien si avvicina al corpo del bambino, lo prende in braccio, si siede e rifulge in una luce lim-pida tra rosso e bianco, ma in modo di non avere il rosa, la "Pietà di Michelangelo". 
Stacco

Dal fondo della platea avanzano, verso il palco, cinque persone (Marcello, Roberto, Mario, Moglie, Marito) in processione con candele accese in mano, recitando come un rosario.

Marcello
Un giorno l'uomo disse a Dio...
Roberto
Mi hai dato, o Creatore, un mondo su cui regnare...
Mario
Un mondo pieno di meraviglie
Moglie
Sulla terra ogni varietà di bellezza
Marito
Prendi, uomo, mi dicesti: dominerai su tutto ciò...
Ripetendo sempre le stesse parole raggiungono il palcoscenico, girano intorno a Vivien, che è seduta per terra, al centro del palco, con la testa penzoloni in avanti, sotto una luce lattea.
Quando il marito dirà la frase: "Prendi, uomo, mi dicesti: domi-nerai su tutto ciò" Vivien avvicinerà ora l'uno ora l'altro:
Vivien (Al Marito)
Ti do piante che fanno semi ed ogni albero che fa frutta, tu stesso da-rai frutta di carne...
Marito (Finge di non capire e continua il suo andare)
Vivien (A Mario)
Ti do piante che fanno semi ed ogni albero che fa frutta, tu stesso da-rai frutta di carne...
Mario (La tratta in malo modo)
Vivien (Alla Moglie)
Ti do piante che fanno semi ed ogni albero che fa frutta, tu stessa da-rai frutta di carne...
Moglie (La blocca, perentoria)
Marcello (Le prende il braccio sinistro, lo alza e lo inchioda ad una croce immaginaria)
Io stupido e cieco, dimenticai le tue parole...
Roberto (Come Marcello, inchioda il braccio destro)
Cominciai ad odiare il mio simile...
Moglie (Come gli altri due, congiunge i piedi di Vivien)
Desiderai la sua terra, la sua ricchezza...
Mario (Sedendo ai pedi della donna in croce)
Volli la sua vita, colli la guerra! (Gli conficca la lancia nel costato)

Lampi accecanti, illuminano il Calvario, mentre le cinque perso-ne continuano a girare ripetendo le medesime parole. Le voci si accavalleranno, fino ad essere incomprensibili, in un crescendo drammatico. Sirene, boati, grida umane di spavento, mentre lampi sinistri illuminano e nascondono la Croce. Da lontano giunge il lamento di un violino, le cinque persone cadono per terra, nelle posizioni più goffe, mentre al violino si sovrappone il canto di un oboe, che rimane in sottofondo fino alla fine. 

Vivien (Libera dalla croce, prima il braccio sinistro, poi il destro, infine i piedi. Si avvicina alle cinque persone, le tocca legger-mente la testa e queste, una dopo l'altra si alzeranno come svegliandosi da un lungo sonno, poi si metteranno a camminare svelte, indifferenti a tutto, per le vie di una città affollatissima)
In una notte come questa
senza suono, immota,
distesa sul gelido marmo
della mia tomba
guardo
la volta nera del cielo.
Lacrime e sangue bagnano
il mio corpo e il marmo
e la terra.

In una notte senza suono
la pioggia
che cade dai miei occhi
ribolle
sul gelido marmo.
Nuvole immobili
inanimate
silenzio!

E' Morte? 
(Le persone che camminavano svelte, quasi correndo, si bloc-cano intronate, nelle pose più goffe)
Odo solo lo stanco respiro
dei miei polmoni
e il grido straziato
di un'anima morente.

In una notte come questa
senza suono, immota
distesa sul gelido marmo
della mia tomba
sento
l'odore della terra
imbevuta di sangue:
è il sangue che sgorga
dall'anima mia che muore.

E voi? (Le persone si animano e riprendono la corsa per la città) Tutto tace! Immobile tempo! (Si fermano, alle spalle di Vivien, stringendosi fino a formare un albero, di cui i corpi saranno il fusto, le braccia i rami e le mani fiori e frutta. Le mani nei mo-vimenti gestuali, ripeteranno gli stessi gesti delle mani di Vi-vien)
Mani rattrappite 
dal non saper più dare.
Mani grasse e robuste
irrobustite dal saper prendere
e togliere
e strozzare:
gigantesche mani
quanto la volta nera del cielo
che vedo
raggomitolata sulla mia tomba. (Si accartoccia a palla. Le persone si sciolgono armoniosamente, a tempo di musica, e diventano strilloni che gridano titoli di giornali, girando come trottola in-torno a Vivien)

Mario
Ancora sfratti a ripetizione...
Marcello
Almeno due famiglie al giorno, vengono sfrattate...
Moglie
La prostituzione dilaga...
Marito
Soprattutto quella politica...
Roberto
Il martire è di moda oggi!
Mario
Rapina a mano armata: due morti.
Moglie
Rivolte studentesche: un poliziotto freddato a bruciapelo.
Marcello
Cerco il valore dell'uomo!
Moglie
Il mondo è pieno di eroi...
Marcello
Vorrei trovare l'uomo.
Moglie
Il mondo è pieno di eroi.
Marcello
Io voglio l'uomo!
Roberto
Buongiorno!
Mario
O buonanotte?! (Si bloccano, intronati)
Vivien
In una notte come questa
un grido scuote
l'immobile universo:
è l'anima mia che è morta! 

(Si alza e si avvia verso il Calvario. Si autocrocefigge. Le perso-ne cadono in ginocchio o coricate ai piedi della croce: in un lampo fulgido, rivive il Calvario. La musica al massimo) 

Stacco
Dissolvenza in apertura nell'aula del Tribunale, come la scena prima.

Usciere
Signori, entra la Corte.
Giudice (Si siede al suo posto. Apre la cartellina che portava sotto il braccio, legge un foglio)
Io non ci capisco più niente. (Vocio di assenso e di dissenso Che confusione! Silenzio o faccio sgombrare l'aula. Silenzio! (Vocio in crescendo) Ascoltiamo il Pubblico Ministero (Il vocio cresce ancora. Battendo forte il martelletto) Silenzio! Sileenziooo!
P.M. (Va verso il proscenio, seguito dal vocio persistente del pub-blico. Si guarda intorno con aria di sufficienza. Il vocio decre-sce. Silenzio)
Signor Presidente, Signori giurati... Questo mio intervento è dovuto più alla mia etica professionale che alla necessità giuridica del fatto in sé. (Pausa. Si deterge il sudore dalla fronte e dalle mani) Dopo anni di mestiere, per la prima volta mi trovo di fronte a un fatto che esula da tutti i problemi più realistici della nostra esistenza. E' assurdo, si-gnori della corte, accettare impunemente uno spettacolo narrato da un megalomane, presuntuoso e pericoloso. Sì, signori della corte, perico-loso per la società. E' inammissibile, inconcepibile vedere circolare nell'ambito teatrale, storie simili. In questa nostra era, in cui tutto è scialbo, pornografico e volgare, lo spettacolo qui narrato, non ha ra-gione di esistere. Non solo. Ma noi come cittadini responsabili, dob-biamo combattere e condannare storie che non trattano la politica... Storie in cui non appare nemmeno un brevissimo nudo, o approccio di coito, escluso quel tentativo forzato della moglie che vuole salvaguar-dare la sua posizione sfiancando il marito, affinché non abbia la forza di tradirla con altre. Signori della corte, non ci sono personaggi omo-sessuali, se non nella mente alienata di un personaggio della fantasia, in cerca di lavoro. Io quale rappresentante della Giustizia... di quella Giustizia che da quanto è emerso in que- st'aula è stata abiurata co-me tutto ciò, che oggi è fonte di commercializzazione e di vita: conte-stazione, pornografia, stupro, furti, rapine e sparatorie... Queste, si-gnori, ci sono state presentate soltanto come denunce dello stato so-ciale imperante, oggi. Ed è per questo che io... che io... (Si asciuga il sudore C. S.) io... con alto senso di giustizia e in tutta coscienza, visto che in questa nostra era l'amore non ha ragione di esistere, chie-do per questo piccolo essere insignificante, se non grande per la sua presuntuosa megalomania, il massimo della pena prevista dalla legge. (Si deterge il sudore C. S.) Chiedo, signori della corte, la distruzione di questo copione; e per il suo autore, la condanna di non scrivere più una sola parola per il teatro, fino a quando vivrà. (Schiamazzo in au-la)
Giudice
Silenzio! Ve vulite sta' zitti? Stavete zitti, sennò ve faccio caccià fore. (Silenzio) Il Pubblico Ministero concluda...
P. M.
Io ho finito, signor presidente. Questo autore deve essere bandito, non può continuare a contaminare il progresso con le sue anticaglie. Gra-zie, signor presidente; grazie, signori della corte!
Giudice
La parola alla difesa. E, per cortesia, silenzio in aula.
Imputato (Si porta al centro. Si schiarisce la voce)
Signor Presidente...
Giudice
... Avevo chiamato la difesa!
Imputato
La difesa sono io.
Giudice
Io nun 'nce capisco 'cchiù niente! Ma che è diventata, 'na pazziella? Dio mio! Dio mio! E' 'gghiut''a fernì 'a legge 'mman''e criature! Ma 'a vulemmo fernì!? Venga l'avvocato della difesa.
Imputato
Non ho avvocato, signor giudice.
Giudice
La legge glielo consente. Nominiamone uno d'ufficio.
Imputato
Non lo voglio! Voglio difendermi da solo!
Giudice
Non si può. La legge dice che deve averne uno.
Imputato
Signor giudice, non è che io ce l'abbia con gli avvocati, ma mi hanno dato troppe fregature...
Giudice
Come sarebbe a dire?
Imputato
Sarebbe a dire che... la prima me la diedero quando avevo diciotto an-ni...
Giudice
La prima che?...
Imputato
... Fregatura, Vostro Onore. Un avvocato mi consigliò - dopo essersi fatto comprare un vestito - , di devolvere i miei diritti d'autore ai diret-ti discendenti.
Giudice
Può essere 'nu poco 'cchiù chiaro? Parla in modo, così contorto, che faccio 'na fatica d''o diavolo pe' capì qualcosa.
Imputato
Chiedo scusa, signor giudice, se parlo come parlo, perché non è tutta colpa mia: è la corrente letteraria italiana che si esprime in questo modo, ed io, signor giudice, ho la sola colpa di seguire la corrente...
Giudice
... e beve l'acqua?
Imputato
Quella poi... Ma veniamo a noi. Avevo le mani bucate, spendevo molto, allora per potermi trovare qualche lira per i figli... l'avvocato mi consi-gliò di delegare a loro i miei utili letterari. Così, oggi, non posso ritira-re i diritti di autore perché l'ultimo dei miei figli è ancora minorenne... Intanto muoio di fame e i figli con me, anche se sulla carta sono ric-chi.
Giudice
Ma non tutti gli avvocati sono uguali! Ci sono anche quelli onesti!
Imputato
Dove, signor giudice?
Giudice
Ci sono, ci sono!
Imputato
Io nun ne conosco. Più tardi, avevo già famiglia, affittai un apparta-mento, l'amministratore era avvocato, mi trovai con lo sfratto per mo-rosità e il pignoramento di quello che avevo in casa. Quel... signore avvocato... non aveva dato una sola lira al proprietario che chiese trentasei mesi di pigione arretrata. Signor giudice, il Pubblico Ministero ha detto che sono un megalomane, presuntuoso, però non ha aggiun-to: fesso. Perché, signor giudice, io sono soprattutto fesso...
Giudice
'O state dicenne vuie!
Imputato
Sì, lo dico io. Lo dico io perché "errare humanum est" ma persevera-re!... Sì, signor giudice, signori della corte: ho perseverato. Avevo una casa bellissima, l'avevo fatta dopo la seconda fregatura... il proprieta-rio mi intimò lo sfratto esecutivo, per necessità personale. Andai da un avvocato per non perdere la casa, c’era il blocco dei fitti. L'avvocato mi convinse di pagare a lui la pigione: gli assegni risultano riscossi dalla sua signora, mentre io mi trovo a vivere in una pensione, a spese della Regione. Ecco signor giudice perché non voglio avvocato. Lo spettacolo mi interessa e voglio che gli uomini mi vogliano bene, quanto io ne voglio a loro. Quindi mi difendo da solo.
Giudice
Ma vuje già avite cumbinato 'nu gran casino cu 'o spettacolo, che vuli-te fà? Ve vulite proprio rovinà?
Imputato
Meglio rovinato da solo, che da un avvocato.
Giudice
Pensateci buono, già avite subito 'nu processo per aver organizzato un’asso-ciazione in difesa degli omini piccolini, che ha creato uno di quei finimondi che si ricorderanno nei secoli a venire...
Imputato
Ma fummo assolti, proprio perché la nostra fu solo una manifestazione per far si che la società si accorgesse della nostra esistenza...
Giudice
Ma avete attentato alla Stato!
Imputato
Fummo assolti, Vostro Onore. E poi, se non sbaglio, qui si sta proces-sando uno spettacolo teatrale...
Giudice
Chesto 'o dicite vuje! Stanno in ballo pure gli omini piccolini... Che combinano solo casini...
Imputato
Ma loro, qui, non c'entrano...
Giudice
C'entrano, c'entrano! Nun l'avite annummenate d'int''o spettacolo?
Imputato
Mi difendo lo stesso da solo!
Giudice
E sia! L'avite vulute vuje.
Imputato
Vorrei chiamare in mia difesa, il cantante piccolino, vice presidente dell'associazione "Super-super per gli omini".
Giudice
Usciere chiami il super... il signor... ( All'imputato) come si chiama?
Imputato
Tappino Vulcano.
Giudice
Mah! Usciere chiami il... signor Vulcano Tappino...
Usciere
Vulcano Tappato, Vulcano Tappino. (Mormorio fra il pubblico)...
Cantante (Avanza verso il banco dei testi, con la chitarra a tracol-la)
Volete che la canti o la suoni, la mia testimonianza?
Giudice
La racconti e... basta.
Cantante (Deluso)
Tutto è cominciato... Ma forse è meglio si 'a canto!
Giudice
Facite comme vi pare, basta che ‘nce sbrigammo. Stammo perdenne 'nu sacco 'e tiempo!
Cantante (Risollevato. Imbraccia la chitarra e canta)
In questa società di super-super
di mastodontici giganti ora si sa
perché restano in vita a cantar
gli omini piccolini e baccagliar.
Vanno in giro, per farsi vedere
con tacchi alti e col cappello
camminando a passettini
come tante formichine. 
(Cantano tutti, compreso il Giudice che si accompagna con il mar-telletto)
In questa società automatizzata
immunizzata
pillolizzata
abortizzata
ribattezzata
consumistica e benestante
che ci fanno gli omini piccolini
che camminano a passettini
tra i giganti di questa bella e florida società?
Gli omini piccolini
t'aspettano al traguardo
grosso gigante insulso
di questa ipocrita
e banale società!
Stacco
Luce sul Giudice, che smania ancora, canticchiando. Batte il martelletto ed è subito serio.
Giudice
Io nun 'nce capisco 'cchiù niente. La testa mi scoppia, ecco perché 'a Corte si ritira e aggiorna il processo fra 'na mezzora.

Stacco
Luce sul Giudice al proscenio. Invaso di luce, sembra una figura diafana. Rivolto alla platea.
Giudice
Signori del pubblico che avete seguito il dibattito. Ho la testa che mi scoppia e la legge mi impone di emettere assolutamente un verdetto. Aiutatemi! Secondo voi, lo spettacolo e quindi il suo autore sono da condannare o da assolvere? E se lo spettacolo e il suo autore sono in-nocenti o colpevoli, perché? Grazie.
Inizia il dibattito interrogatorio con gli spettatori.

Fine
Posizione SIAE n. 35791