Ottavia
Di Vittorio Alfieri
PERSONAGGI
NERONE
OTTAVIA
POPPEA
SENECA
TIGELLINO
Scena, la Reggia di Nerone in Roma
ATTO I
SCENA I
NERONE, SENECA
Seneca
Signor del mondo, a te che manca?
Nerone
Pace.
Seneca
L'avrai, se ad altri non la togli.
Nerone
Intera
l'avria Neron, se di abborrito nodo
stato non fosse a Ottavia avvinto mai.
Seneca
Ma tu, de' Giuli il successor, del loro
lustro e poter l'accrescitor saresti,
senza la man di Ottavia? Ella del soglio
la via t'aprì: pur quella Ottavia or langue
in duro ingiusto esiglio; ella, che priva
di te così, benché a rival superba
ti sappia in braccio, (ahi misera!) ancor t'ama.
Nerone
Stromento già di mia grandezza forse
ell'era: ma, stromento de' miei danni
fatta era poscia; e tal pur troppo ancora
dopo il ripudio ell'è. La infida schiatta
della vil plebe osa dolersen? osa
pur mormorar del suo signor, dov'io
il signor sono? — Omai di Ottavia il nome,
non che a grido innalzar, non pure udrassi
sommessamente infra tremanti labra,
mai profferire; — o ch'io Neron non sono.
Seneca
Signor, non sempre i miei consigli a vile
tenuto hai tu. Ben sai, com'io, coll'armi
di ragion salde, arditamente incontro
al giovenile impeto tuo mi fessi.
Biasmo, e vergogna io t'annunziava, e danno,
dal repudio di Ottavia, e più dal crudo
suo bando. In cor del volgo addentro molto
Ottavia è fitta: io tel dicea: t'aggiunsi
che Roma intera avea per doni infausti
di Plauto i campi, e il sanguinoso ostello
di Burro, a lei sì feramente espulsa
con tristo augurio dati: e dissi...
Nerone
Assai
dicesti, è ver; ma il voler mio pur festi. —
Forse il regnar tu m'insegnavi un tempo;
ma il non errar giammai, né tu l'insegni,
né l'apprend'uomo. Or basti a me, che accorto
fatto m'ha Roma in tempo. Error non lieve
fu l'espeller colei, che mai non debbe,
mai stanza aver lungi da me...
Seneca
Ten duole
dunque? ed è ver quanto ascoltai? ritorna
Ottavia?
Nerone
Sì.
Seneca
Pietà di lei ti prese?
Nerone
Pietade?... Sì: pietà men prese.
Seneca
Al trono
compagna e al regal talamo tornarla,
forse?...
Nerone
Tra breve ella in mia reggia riede.
A che rieda, il vedrai. — Saggio fra' saggi,
Seneca, tu già mio ministro e scorta
a ben più dubbie, dure, ed incalzanti
necessità di regno; or, men lusingo,
tu non vorrai da quel di pria diverso
mostrarmiti.
Seneca
Consiglio a me, pur troppo!
chieder tu suoli, allor che in core hai ferma
già la feral sentenza. Il tuo pensiero
noto or non m'è; ma per Ottavia io tremo,
udendo il parlar tuo.
Nerone
Dimmi; tremavi
quel dì, che tratto a necessaria morte
il suo fratel cadeva? e il dì, che rea
pronunziavi tu stesso la superba
madre mia, che nemica erati fera,
tremavi tu?
Seneca
Che ascolto io mai? l'infame
giorno esecrando rimembrar tu ardisci? —
Entro a quel sangue tuo me non bagnai;
tu tel bevesti, io tacqui; è ver, costretto
tacqui; ma fui reo del silenzio, e il sono,
finch'io respiro aura di vita. — Ahi stolto,
ch'io allor credetti, che Neron potria
por fine al sangue col sangue materno!
Veggo ben or, ch'indi ha principio appena. —
Ogni nuova tua strage a me novelli
doni odiosi arreca, onde mi hai carco;
né so perché. Tu mi costringi a torli;
prezzo di sangue alla maligna plebe
parran tuoi doni: ah! li ripiglia; e lascia
a me la stima di me stesso intera.
Nerone
Ove tu l'abbi, io la ti lascio. — Esperto
mastro sei tu d'alma virtù: ma, il sai,
ch'anco non sempre ella si adopra. Intatta
se a te serbar piacea l'alta tua fama,
ed incorrotto il cor, perché l'oscuro
tuo patrio nido abbandonar, per questo
reo splendore di corte? — Il vedi: insegno
io non Stoico a te Stoico; e sì il mio senno,
tutto il deggio a te solo. — Or, poiché tolto
ti sei, qui stando, il tuo candor tu stesso;
poiché di buono il nome, ov'uom sel perda,
mai nol riacquista più; giovami, il puoi.
Me già scolpasti dei passati falli;
prosiegui; lauda, e l'opre mie colora;
ch'è di alcun peso il parer tuo. Te crede
men rio che altr'uom la plebe; in te gran possa
tuttor suppon sovra il mio cor: tu in somma,
tal di mia reggia addobbo sei, che biasmo
di me non fai, che più di te nol facci.
Seneca
Ti giova, il so, ch'altri pur reo si mostri:
divisa colpa, a te men pesa. Or sappi,
ch'io, non reo de' tuoi falli, io pur ne porto
la pena tutta: del regnar mi è dato
il miglior premio; in odio a tutti io sono.
Qual mi puoi nuova infame cura imporre,
che aggiunga?...
Nerone
Ei t'è mestier dal cor del volgo
trarre Ottavia.
Seneca
Non cangia il volgo affetti,
come il signore; e mal s'infinge.
Nerone
All'uopo
ben cangia il saggio e la favella, e l'opre:
e tu sei saggio. Or va'; di tua virtude,
quanta ella sia, varrommi, il dì che appieno
dir potrò mio l'impero: io son frattanto,
il mastro io sono in farlo mio davvero,
l'alunno tu: fa' ch'io ti trovi or dunque
docile a me. Non ti minaccio morte;
morir non curi, il so; ma di tua fama
quel lieve avanzo, onde esser carco estimi,
pensa che anch'egli al mio poter soggiace.
Torne a te più, che non ten resta, io posso.
Taci omai dunque, e va'; per me t'adopra.
Seneca
Assolute parole odo, e cosperse
di fiele e sangue. — Ma l'evento aspetto,
qual ch'ei sia pure. — Ogni mio aiuto è vano
a' tuoi disegni, e reo. Che a sparger sangue
Neron per sé non basti sol, chi 'l crede?
SCENA II
NERONE
Nerone
— E con te pur la tua virtù mentita,
altero Stoico, abbatterò. Punirti
seppi finor coi doni: al dì, ch'io t'abbia
dispregievole reso a ogni uom più vile,
serbo a te poi la scure. — Or, qual fia questa
mia sovrana assoluta immensa possa,
cui si attraversan d'ogni parte inciampi?
Ottavia abborro; oltre ogni dir Poppea
amo; e mentir l'odio e l'amore io deggio?
Ciò che al più vil de' servi miei non vieta
forza di legge, il susurrar del volgo
fia che s'attenti oggi a Neron vietarlo?
SCENA III
NERONE, POPPEA
Poppea
Alto signor, sola mia vita; ingombro
di cure ognora, e dal mio fianco lungi,
me tieni in fera angoscia. E che? non fia,
ch'io lieto mai del nostro amor ti vegga?
Nerone
Lunge da te, Poppea, mi tien talvolta
il nostro amor; null'altro mai. Con grave
e lunga pena io t'acquistava; or debbo
travagliarmi in serbarti: il sai, che a costo
anco del trono, io ti vo' mia...
Poppea
Chi tormi
a te, chi 'l può, se non tu stesso? è legge
ogni tuo cenno, ogni tua voglia in Roma.
Tu in premio a me dell'amor mio ti desti,
tu a me ti togli; e il puoi tu appien; com'io
sopravvivere al perderti non posso.
Nerone
Toglierti a me? né il pur potrebbe il cielo.
Ma ria baldanza popolar, non spenta
del tutto ancor, biasmare osa frattanto
gli affetti del cor mio: quindi m'è forza,
che antivedendo io tolga...
Poppea
E al grido badi
del popolo?
Nerone
Mostrar quant'io l'apprezzi
spero, in breve; ma a questa Idra rabbiosa
lasciar niun capo vuolsi: al suolo appena
trabalzerà l'ultima testa, in cui
Roma fonda sua speme; e infranta a terra,
lacera, muta, annichilata cade
la superba sua plebe. Appien finora
me non conosce Roma: a lei di mente
ben io trarrò queste sue fole antiche
di libertà. De' Claudi ultimo avanzo
Ottavia, or suona in ogni bocca; il suo
destin si piange in odio mio, non ch'ella
s'ami: non cape in cor di plebe amore:
ma all'insolente popolar licenza
giova il fren rimembrar debile e lento
di Claudio inetto, e sospirar pur sempre
ciò che più aver non puote.
Poppea
È ver; tacersi,
Roma nol sa; ma, e ch'altro omai sa Roma,
che cinguettar? Dei tu temerne?
Nerone
Esiglio
lieto troppo, ed incauto, a Ottavia ho scelto.
Intera stassi di Campania al lido
l'armata, in cui recente rimembranza
vive ancor d'Agrippina. Entro quei petti,
di novità desio, pietà fallace
della figlia di Claudio, animo fello,
e ria speranza entro quei petti alligna.
Io mal colà bando a lei diedi, e peggio
farei quivi lasciandola.
Poppea
Tenerti
dee sollecito tanto omai costei?
Oltre il confin del vasto impero tuo
che non la mandi? esiglio, ove pur basti,
qual più securo? e qual deserta piaggia
remota è sì, che t'allontani troppo
da lei, che darsi il folle vanto ardisce
d'averti dato il trono?
Nerone
Or, finché tolto
del tutto il poter nuocermi le venga,
stanza più assai per me secura ell'abbia
Roma, e la reggia mia.
Poppea
Che ascolto? In Roma
Ottavia riede!
Nerone
A mie ragion dà loco...
Poppea
Ove son io, colei?...
Nerone
Deh! m'odi...
Poppea
Intendo;
ben veggo;... io tosto sgombrerò...
Nerone
Deh! m'odi:
Ottavia in Roma a danno tuo non torna;
a suo danno bensì...
Poppea
Vedrai tu tosto,
ch'ella vi torna al tuo. Ti dico intanto,
che Ottavia e me, vive ad un tempo entrambe,
non che una reggia, una città non cape.
Rieda pur ella, che Neron sul seggio
locò del mondo; ella a cacciarnel venga.
Di te mi duol, non di me no, ch'io presso
d'Otton mio fido a ritornar son presta.
Amommi ei molto, e ancor non poco ei m'ama:
potess'io pur quell'amator sì fermo
riamare! Ma il cor Poppea non seppe
divider mai; né vuole ella il tuo core
con l'abborrita sua rival diviso.
Non del tuo trono, io sol di te fui presa,
ahi lassa! e il sono; a me lusinga dolce
era l'amor, non del signor del mondo,
ma dell'amato mio Neron: se in parte
a me ti togli; se in tuo cor sovrana,
sola non regno, al tutto io cedo, al tutto
io n'esco. Ahi lassa! dal mio cor potessi
appien così strappar la immagin tua,
come da te svellermi spero!...
Nerone
Io t'amo,
Poppea, tu il sai: di quale amor, tel dica
quant'io già fei; quanto a più far mi appresto.
Ma tu...
Poppea
Che vuoi? poss'io vederti al fianco
quell'odiosa donna, e viver pure?
poss'io né pur pensarvi? Ahi donna indegna!
che amar Neron, né può, né sa, né vuole;
e sì pur finger l'osa.
Nerone
Il cor, la mente
acqueta; in bando ogni timor geloso
caccia: ma il voler mio rispetta a un tempo.
Esser non può, ch'ella per or non rieda.
Già mosso ha il piè ver Roma: il dì novello
qui scorgeralla. Il vuol la tua non meno,
che la mia securtà: che più? s'io 'l voglio;
io non uso a trovare ostacol mai
a' miei disegni. — Io non mi appago, o donna,
d'amor, qual mostri, d'ogni tema ignudo.
Chi me più teme ed obbedisce, sappi,
ch'ei m'ama più.
Poppea
... Troppo mi rende ardita
il temer troppo. Oh qual puoi farmi immenso
danno! il tuo amor tu mi puoi torre... Ah! pria
mia vita prendi, assai minor fia il danno.
Nerone
Poppea, deh! cessa: nel mio amor ti affida.
Mai non temer della mia fede: al mio
voler bensì temi d'opporti. Abborro,
io più che tu, colei che rival nomi.
Da' suoi torbidi amici appien disgiunta,
qui di mie guardie cinta la vedrai,
non tua rival, ma vil tua ancella: e in breve,
s'io del regnar l'arte pur nulla intendo,
ella stessa di sé palma daratti.
ATTO II
SCENA I
POPPEA, TIGELLINO
Poppea
Comun periglio oggi corriam; noi dunque
oggi cercare, o Tigellin, dobbiamo
comun riparo.
Tigellino
E che? d'Ottavia temi?...
Poppea
Non la beltà per certo; ognor la mia
prevalse agli occhi di Nerone: io temo
il finto amor, la finta sua dolcezza;
l'arti temo di Seneca, e sue grida;
e della plebe gl'impeti; e i rimorsi
dello stesso Nerone.
Tigellino
Ei da gran tempo
t'ama, e tu nol conosci? Il suo rimorso
è il nuocer poco. — Or, credi, a più compiuta
vendetta ei tragge Ottavia in Roma. Lascia
ch'opri in lui quel suo innato rancor cupo,
giunto al rio nuziale odio primiero.
Questo è il riparo al comun nostro danno.
Poppea
Securo stai? non io così. — Ma il franco
tuo parlar mi fa dire. Appien conosco
Nerone, in cui nulla il rimorso puote:
ma il timor, di', tutto non puote in lui?
Chi nol vide tremar dell'abborrita
madre? di me tutto egli ardea; pur farmi
sua sposa mai, finch'ella visse, ardiva?
col sol rigor del taciturno aspetto
Burro tremar nol fea? non l'atterrisce
perfin talvolta ancor, garrulo, e vuoto
d'ogni poter, col magistral suo grido,
Seneca stesso? Ecco i rimorsi, ond'io
capace il credo. Or, se vi aggiungi gli urli,
le minacce di Roma...
Tigellino
Ottavia trarre
potran più tosto ove Agrippina, e Burro,
e tanti, e tanti, andaro. A voler spenta
la tua rival, lascia che all'odio antico
nuovo timor nel core al sir si aggiunga.
Ei non svelommi il suo pensier per anco;
ma so, che nulla di Neron l'ingegno
meglio assottiglia, che il timor suo immenso.
Roma, Ottavia chiamando, Ottavia uccide.
Poppea
Sì; ma frattanto un passeggiero lampo
può di favor sforzato ella usurparsi.
Ci abborre Ottavia entrambi: a cotant'ira
qual ti fai scudo? il voler dubbio e frale
di un tremante signore? A perder noi
solo basta un istante; a noi che giova,
se cader dobbiam pria, ch'ella poi cada?
Tigellino
Che un balen di favore a lei lampeggi,
nol temer, no: di Neron nostro il core
ella trovar non sa. Sua stolta pompa
d'aspra virtù gli incresce; in lei del pari
obbedienza, amor, timor gli spiace;
quell'esca stessa, ove ei da noi si piglia,
l'abborre in lei. — Ma pur, s'io nulla posso,
che far debb'io? favella.
Poppea
Ogni più lieve
cosa esplorar, sagace, e farmen dotta;
antivedere; a sdegno aggiunger sdegno;
mezzi inventar, mille a Neron proporne,
onde costei si spenga; apporle falli,
ove non n'abbia; quanta è in te destrezza,
adoprar tutta; andar, venir, tenerlo,
aggirarlo, acciecarlo; e vegliar sempre: —
ciò far tu dei.
Tigellino
Ciò far vogl'io: ma il mezzo
ottimo a tanto effetto in cor già fitto
Neron si avrà; non dubitar: nell'arte
di vendetta è maestro: e, il sai, si sdegna
s'altri quant'ei mostra saperne.
Poppea
All'ira
tutto il muove, ben so. Meco ei sdegnossi
del soverchio amor mio poc'anzi; e fero
signor già favellava a me dal trono.
Tigellino
Nol provocare a sdegno mai: tu molto
puoi sul suo cor; ma, più che amor, può in lui
impeto d'ira, ebrezza di possanza,
e fera sete di vendetta. Or vanne:
meco in quest'ora ei favellar qui suole:
ogni tua cura affida in me.
Poppea
Ti giuro,
se in ciò mi servi, che in favore e in possa
nullo fia mai ch'appo Neron ti agguagli.
SCENA II
TIGELLINO
Tigellino
Certo, se Ottavia or trionfasse, a noi
verria gran danno; ma, Neron mi affida.
Troppo è il suo sdegno; troppa è l'innocenza
d'Ottavia; scampo ella non ha. — Grand'arte
oggi adoprar con esso emmi pur d'uopo:
al suo timor dar nome di consiglio
provido; e fargli, a stima anco dei saggi,
parer giustizia ogni più ria vendetta. —
Signor del mondo, io ti terrò; sol io
terrotti, e intero. Intimorirti a tempo
e incoraggiarti a tempo, a me s'aspetta.
Guai, se vien tolto a te il timor del tutto!
Al mal oprar qual più ti resta impulso;
qual freno allora al ben oprar ti resta?
SCENA III
NERONE, TIGELLINO
Tigellino
Signor, deh, perché dianzi non giungevi?
Udito avresti il singhiozzar di donna,
che troppo t'ama. Aspra battaglia han mosso
nel cor tenero e fido di Poppea
dubbio, temenza, amore. Ah! puoi tu tanto
affligger donna, che così t'adora?
Nerone
Cieca ella ognor di gelosia non giusta,
veder non vuole il vero. Amo lei sola...
Tigellino
Gliel dissi io pur; ma chi calmar può meglio
le fere angosce di timor geloso,
che riamato amante? A lei, deh, cela
quella terribil maestà, che in volto
ti lampeggia. Acquetare ogni tempesta
del suo sbattuto cor, tu il puoi d'un detto,
d'un sorriso, d'un guardo. Osai giurarle
in nome tuo, che in te pensier non entra
di abbandonarla mai; che ad alto fine,
bench'io nol sappia, in Roma Ottavia appelli;
ma non a danno di Poppea.
Nerone
Tu il vero,
fido interprete mio, per me giurasti.
Ciò le giurai pur io; ma sorda stette.
Che vaglion detti? Il dì novel che sorge,
compiuto forse non sarà, che fermo
fia d'Ottavia il destino, e appien per sempre.
Tigellino
E queta io spero ogni altra cosa a un tempo,
ove mostrar pur vogli Ottavia al volgo
rea, quanto ell'è.
Nerone
Poich'io l'abborro, è rea,
quanto il possa esser mai. Degg'io di prove
avvalorare il voler mio?
Tigellino
Pur troppo.
Tener non puoi quest'empia plebe ancora
in quel non cal, ch'ella pur merta. Ai roghi
d'Agrippina, e di Claudio, è ver, si tacque:
tacque a quei di Britannico: eppur oggi
d'Ottavia piange, e mormorar si attenta.
Svela i falli d'Ottavia, e ogni uom fia muto.
Nerone
Mai non l'amai; mi spiacque ognora e increbbe;
ella ebbe ardir di piangere il fratello;
cieca obbedir la torbida Agrippina
la vidi; i suoi scettrati avi nomarmi
spesso la udii: ben son delitti questi;
e bastano. Già data honne sentenza;
ad eseguirla, il suo venir sol manca.
Roma saprà, ch'ella cessava: ed ecco
qual conto a Roma del mio oprare io debbo.
Tigellino
Signor, tremar per te mi fai. Bollente
plebe affrontar, savio non è. Se giusta
morte puoi darle, or perché vuoi che appaia
vittima sol di tua assoluta voglia?
De' suoi veri delitti in luce trarre
il maggior, non fia 'l meglio? e rea chiarirla,
qual ella è pur, mentre innocente tiensi?
Nerone
Delitti... altri... maggiori?...
Tigellino
A te narrarli
niun uomo ardì: ma, da tacersi sono,
or che da te repudiata a dritto,
più consorte non t'è? Stavasi in corte
l'indegna ancora; e dividea pur teco
talamo, e soglio; e si usurpava ancora
gli omaggi a donna imperial dovuti;
quando già in cor fatta ella s'era vile
più d'ogni vil rea femmina; quand'era
già entrato in suo pensiero e il nobil sangue,
e il suo onore, e se stessa, e i suoi regi avi
prostituire a citarista infame,
ch'ella adocchiando andava...
Nerone
Oh infamia! Oh ardire!...
Tigellino
Eucero schiavo, a lei piacea; quindi ella
con pace tanta il suo ripudio, il bando,
tutto soffriva. Eucero a lei ristoro
del perduto Nerone ampio porgea;
compagno indivisibile, sollievo
era all'esiglio suo;... che dico esiglio?
recesso ameno, la Campania molle
nelle lor laide voluttà gli asconde.
Tra l'erba e i fior, là di fresc'onda in riva,
stassi ella udendo dalla imbelle destra
dolcemente arpeggiar soavi note
alternate col canto: indi l'altezza
già non t'invidia del primier suo grado.
Nerone
Potria smentir di Messalina il sangue,
chi d'essa nasce? — Or di'; possibil fora
prove adunar di ciò?
Tigellino
Di sue donzelle
conscia è più d'una; e il deporran, richieste.
Detto io mai non l'avrei, se Ottavia mai
avuto avesse l'amor tuo. Ma, stolto!
che parlo? Ove ciò fosse, ove mertato
ella avesse il tuo cor, non che mai farti
oltraggio tal, pensato avrialo pure?
Ragion di stato, e mal tuo grado, in moglie
costei ti diede. Ella di te non degna
ben si conobbe, e quindi il cor suo basso
bassamente locò.
Nerone
Ma oscuro fallo,
temo, che il trarlo a obbrobriosa luce...
Tigellino
L'infamia è di chi 'l fece.
Nerone
È ver...
Tigellino
Sua taccia
abbia ognun dunque: ella di rea; di giusto
tu, che senza tuo danno esserlo puoi.
Nerone
— Ben parli. In ciò, senza indugiar, ti adopra.
SCENA IV
SENECA, NERONE, TIGELLINO
Seneca
Signor, già il piè nella regal tua soglia
pone Ottavia: se infausta, o lieta nuova
io ti rechi, non so. Me non precorre
invido niun di tale onore: a tristo
augurio il tengo.
Nerone
Or, Tigellino, vanne;
miei comandi eseguisci: — e tu, ricalca
l'orme tue stesse; Ottavia incontra, e dille,
ch'io solo qui sola l'aspetto.
SCENA V
NERONE
Nerone
È rea
Ottavia assai; qual dubbio v'ha? sol duolmi
che a convincerla primo io non pensai.
E fia pur ver, ch'altri ad apprender abbia
mezzi a Neron per atterrar nemico? —
Ma presso è il giorno, ove, a disfar chi abborro,
non fia mestier che dal mio soglio un cenno.
SCENA VI
NERONE, OTTAVIA
Ottavia
Tra 'l fero orror di tenebrosa notte,
cinta d'armate guardie, trar mi veggo
in questa reggia stessa, onde, ha due lune,
sveller mi vidi a viva forza. Or, lice
ch'io la cagione al mio signor ne chiegga?
Nerone
— Ad alto fine in marital legame
c'ebber congiunti i genitori nostri
fin da' più teneri anni. Ognora poscia
docil non t'ebbi al mio volere in opre,
quanto in parole: assai gran tempo io 'l volli
soffrir; più forse anco il soffria, se madre
di regal prole numerosa e bella
fossi tu stata almeno; ond'io ne avessi
ristoro alcun di affanni tanti. Invano
io lo sperai; sterile pianta, il trono
per te d'eredi orbo restava; e tolto
m'era, per te, di padre il dolce nome. —
Ti repudiai perciò.
Ottavia
Ben festi; ov'altra,
troppo più ch'io nol fui, felice sposa
farti di cari e numerosi figli
lieto potea, ben festi. Altra che t'ami
quant'io, ben so, non la trovasti ancora,
né troverai. Ma che? mi opposi io forse
ai voler tuoi? Nel rimirarti in braccio
d'altra, ne piansi; e piango. Altro che pianto,
e riverenza, e silenzio, e sospiri,
forse da me s'udia giammai?
Nerone
Dolcezza
hai su le labra molta; in cor non tanta.
Traluce ai detti il fiel: tu mal nascondi
l'ira, che in sen contro Poppea nudrisci;
e celasti assai meno altre superbe
tue ricordanze di non veri dritti.
Ottavia
Deh! scordarti tu al par di me potessi
questi miei dritti, veraci pur troppo,
poi ch'io ne traggo sì veraci danni!...
D'odio e furor lampeggiano i tuoi sguardi?
Ah! ben vegg'io, (me misera!) che abborri
me più assai, che marito odiar non possa
steril consorte. Oh me infelice donna!
più ognor ti offesi quant'io più ti amai.
Ma, che ti chiesi? e che ti chieggo? oscura
solinga vita, e libertà del pianto.
Nerone
Ed io, pur certo che d'oscura vita
ti appagheresti meglio, a te prescritta
l'avea; ma poi...
Ottavia
Ma poi, pentito n'eri:
e, ch'io non fossi abbastanza infelice,
nascea rimorso in te. De' tuoi novelli
legami aver me testimon volevi:
qui di tua sposa mi volevi ancella;
favola al mondo, e di tua corte scherno
farmi volevi. Eccomi dunque ai cenni
del mio signor: che degg'io fare? imponi. —
Ma in tua corte neppur misera appieno
farmi tu puoi, se col mio mal ti appago.
Or, di': sei lieto tu? placida calma
regna in tuo core? ad altra sposa al fianco,
securo godi que' tranquilli sonni,
che togli altrui? Quella Poppea, che orbata
d'un fratello non hai, più ch'io nol fea,
ti fa beato?
Nerone
— In quanto pregio debba
il cor tenersi del signor del mondo,
mai nol sapesti; e il sa Poppea.
Ottavia
Poppea
prezzar sa il trono, a cui non nacque: io seppi
apprezzar te: né al paragon si attenti
meco venirne ella in amarti. Ottiene
ella il tuo cor; ma il merto io sola.
Nerone
Amarmi,
no, tu non puoi.
Ottavia
Ch'io nol dovrei, di' meglio:
ma dal tuo cor non giudicar del mio.
So, che fuor me ne serra eternamente
il sangue, ond'esca; e so, che in me tua immago,
contaminata del sangue de' miei,
loco trovar mai non dovria: ma forza
di fato è questa. — Or, se il fratello, il padre,
da te svenati io non rimembro, ardisci
tu a delitto il fratello e il padre appormi?
Nerone
A delitto ti appongo Eucero vile...
Ottavia
Eucero! a me?...
Nerone
Sì; l'amator, che merti.
Ottavia
Ahi giusto ciel! tu l'odi?...
Nerone
Havvi chi t'osa
rea tacciar d'impudico amor servile:
or, per ciò solo io ti ritraggo in Roma.
O a smentirlo, o a riceverne la pena,
a qual più vuoi, ti appresta.
Ottavia
Oh non più intesa
scelleraggine orrenda! Ov'è l'iniquo
accusator?... Ma, oimè! stolta, che chieggo? —
Nerone accusa, e giudica, ed uccide.
Nerone
Or vedi amore! odi il velen, se tutto
dal petto al fin non ti trabocca; or, ch'io
le tue arcane laidezze in parte scopro.
Ottavia
Misera me!... Che più mi avanza? In bando
dal talamo, dal trono, dalla reggia,
dalla patria; non basta?... Oh cielo! intera
mia fama sola rimaneami; sola
mi ristorava d'ogni tolto bene:
sì preziosa dote erami indarno
da colei, che in non cal tenne la sua,
invidiata: ed or mi si vuol torre,
pria della vita? Or via; Neron, che tardi?
Pace, il sai, (se pur pace esser può teco)
aver non puoi, finch'io respiro: i mezzi
di trucidar debole donna inerme
mancar ti ponno? Entro i recessi cupi
di questa reggia, atro funesto albergo
di fraude e morte, a tuo piacer mi traggi;
e mi vi fa svenare. Anzi, tu stesso
puoi di tua man svenarmivi: mia morte,
non che giovarti, è necessaria omai.
Del sol morir dunque ti appaga. Ogni altra
strage de' miei ti perdonai già pria;
me stessa or ti perdono; uccidi, regna,
e uccidi ancor: tutte le vie del sangue
tu sai; già in colorar le tue vendette
Roma è dotta: che temi? in me dei Claudi
muore ogni avanzo; ogni memoria e amore
che aver ne possa la tua plebe. I Numi
son usi al fumo già dei sanguinosi
incensi tuoi; stan d'ogni strage appesi
i voti ai templi già; trofei, trionfi
son le private uccisioni. — Or dunque
morte a placarti basti: or macchia infame
perché mi apporre, ov'io morte sol chieggo?
Nerone
— In tua difesa intero a te concedo
questo nascente dì. Se rea non sei,
gioia ne avrò. — Non l'odio mio, ma temi
il tuo fallir, che di gran lunga il passa.
SCENA VII
OTTAVIA
Ottavia
Misera me!... Crudo Neron, pasciuto
di sangue ognor, di sangue ognor digiuno!
ATTO III
SCENA I
OTTAVIA, SENECA
Ottavia
Vieni, o Seneca, vieni; almen ch'io pianga
con te: niun con chi piangere mi resta.
Seneca
Donna, e fia ver? mentita accusa infame...
Ottavia
Tutto aspettava io da Neron, men questo
ultimo oltraggio; e sol quest'uno avanza
ogni mia sofferenza.
Seneca
Or, chi mai vide
insania in un sì obbrobriosa, e stolta?
Tu vivo specchio d'innocenza e fede,
tu pieghevole, tenera, modesta,
e ancor che stata di Nerone al fianco,
pure incorrotta sempre; e a te fia tolta
or tua fama così? non fia, no; spero.
Io vivo ancora, io testimonio vivo
di tua virtù; spender mia voce estrema
in gridarti innocente udrammi Roma:
chi fia sì duro, che pietà non n'abbia?
Deh! non mi dir (che mal può dirsi) or quanta
sia l'amarezza del tuo pianto: io tutto
sento e divido il dolor tuo...
Ottavia
Ma invano
tu speri. Nulla avermi tolto estima
Neron, fin ch'ei la fama a me non toglie.
Tutto soggiace al voler suo: te stesso
tu perderesti, e indarno: ah! per te pure
tremar mi fai. Ma in salvo, è ver, che posta
da lunga serie di virtudi omai
è la tua fama: il fosse al par la mia!...
Ma, giovin, donna, infra corrotta corte
cresciuta, oh cielo! esser tenuta io posso
rea di sozzo delitto. Altri non crede,
né creder de', ch'io per Neron tuttora
amor conservi: eppur, per quanto in seno
in mille guise egli il pugnal m'immerga,
per me il vederlo d'altra donna amante
è il rio dolor, che ogni dolor sorpassa.
Seneca
Neron mi serba in vita ancora: ignota
m'è la cagion; né so qual mio destino
me dall'orme ritrae di Burro, e d'altri
pochi seguaci di virtù, ch'ei spense.
Ma pur Neron, per l'indugiarmi alquanto,
tolto non m'ha dal suo libro di morte.
Io, di mia mano stessa, avrei già tronco
lo stame debil mio; sol men rattenne
speme, (ahi fallace, e poco accorta speme!)
di ricondurlo a dritta via. — Ma, trargli
di mano almeno un innocente, a costo
di questo avanzo di mia vita, io spero.
Deh, fossi tu pur quella! o almen potessi
risparmiarti l'infamia! Oh come lieto
morrei di ciò!
Ottavia
... Nel rientrare in queste
soglie, ho deposto ogni pensier di vita
Non ch'io morir non tema; in me tal forza
donde trarrei? La morte, è vero, io temo:
eppur la bramo; e sospiroso il guardo
a te, maestro del morire, io volgo.
Seneca
Deh!... pensa... Il cor mi squarci... Oimè!...
Ottavia
Sottrarmi
il puoi tu solo; dalla infamia almeno...
L'infamia! or vedi, onde a me vien: Poppea
bassi amori mi appone.
Seneca
Oh degna sposa
di Neron fero!
Ottavia
Ei di virtù per certo
non s'innamora: prepotenti modi,
liberi, audaci, a lui son esca, e giogo;
teneri, a lui recan fastidio. Oh cielo!
io, per piacergli, e che non fea? Qual legge
io rispettava ogni suo cenno: io sacro
il suo voler tenea. Di furto piansi
l'ucciso fratel mio: se da me laude
non ne ottenea Neron, biasmo non n'ebbe.
Piansi, e tacqui; e non lordo di quel sangue
crederlo finsi: invan. Ognor spiacergli,
era il destin mio crudo.
Seneca
Amarti mai
potea Neron, s'empia e crudel non eri? —
Ma pur, ti acqueta alquanto. Ecco novello
già sorge il dì. Tosto che udrà la plebe
del tuo ritorno, e rivederti, e prove
darti vorrà dell'amor suo. Non poco
spero in essa; feroci eran le grida
al tuo partire; e il susurrar non tacque
nella tua breve assenza. Iniquo molto,
ma tremante più assai, Neron per anco
tutto non osa; il popol sempre ei teme.
Fero è, superbo; eppur mal fermo in trono
finor vacilla: e forse un dì...
Ottavia
Qual odo
alto fragore?...
Seneca
Il popol, parmi...
Ottavia
Oh cielo!
alla reggia appressarsi...
Seneca
Odo le grida
di mossa plebe.
Ottavia
Oimè! che fia?
Seneca
Che temi?
soli noi siam, che in questa orribil reggia
paventar non dobbiamo...
Ottavia
Ognor più cresce
il tumulto. Ahi me misera! in periglio
forse è Neron... Ma chi vegg'io?
Seneca
Nerone;
eccolo, ei viene.
Ottavia
Oh, di qual rabbia egli arde
nei sanguinosi occhi feroci! — Io tremo...
SCENA II
NERONE, OTTAVIA, SENECA
Nerone
Chi sei, chi sei, perfida tu, che intera
vaneggi Roma al tuo tornare; ed osi
gridar tuo nome? Or qui, che fai? che imprendi
con questo iniquo traditore? entrambi
state in mia possa. Invan la plebe stolta
vederti chiede. Ah! se mostrarti io deggio,
spero, qual merti, almen mostrarti; estinta.
Ottavia
Di me, Neron, come più il vuoi, disponi.
Ma di ogni moto popolar, deh! credi
che innocente son io. Nulla (tel giuro)
chieggo, né spero, io dalla plebe: e dove
nuocerti pur, mal grado mio, potessi,
col mio supplizio il non mio error previeni.
Nerone
Rea, qual ti sei, pria di punirti, io voglio
che ogni uom te sappia.
Seneca
Ed ingannar tu speri
con sì turpe menzogna il popol tutto?
Nerone
Tu pur, tu pure, instigator codardo
dei tumulti, che sfuggi; ascoso capo
di ribellanti moti; all'ira mia
tu pur vendetta un dì sarai; ma poca.
SCENA III
TIGELLINO, NERONE, OTTAVIA, SENECA
Tigellino
Signor...
Nerone
Che rechi, o Tigellin? favella.
Tigellino
Vieppiù feroce la tempesta ferve:
rimedio sol, resta il tuo senno. — Appena
ode la plebe, che un sovran comando
Ottavia in Roma ha ricondotto, a gara
chiede ogni uom di vederla. In te cangiato
credono, stolti, il tuo primier consiglio:
e v'ha chi accerta, che di nuovo accolta
nel tuo talamo l'hai. Chi corre insano
al Campidoglio, e gioia sparge, e voti;
altri di alloro trionfal corona
ripon sopra le immagini neglette
di Ottavia: altri, ebro d'allegrezza, ardisce
atterrar quelle di Poppea: tant'oltre
giunge l'audacia, che infra grida ed urli
nel limo indegnamente strascinate
giacciono infrante. Ogni più infame scherno
di lei si fa: colmo è Neron di laudi:
ma in bando almen voglion Poppea: né manca
chi temerario anco sua morte grida.
Inni festivi, e in un minacce udresti;
poi preghi, indi minacce, e preghi ancora.
Arde ogni cor; dell'obbedire è nulla.
Tentan duci e soldati argine farsi
alla bollente rapidissim'onda;
invan; disgiunti, sbaragliati, o uccisi,
è un sol momento. — Omai, che far? Che imponi?
Nerone
Che far?... Si mostri or questa Ottavia al volgo;
su via, si mostri; — indi si sveni.
Ottavia
Il petto
eccoti inerme: svenami, se il vuoi.
Pur che a te giovi!... Alla infiammata plebe
mostrami spenta: ogni colpevol gioia
rintuzzerai tosto così. Sol chieggio,
che un'urna stessa il freddo cener mio
di Britannico in un col cener serri.
Base al tuo seggio alta e perenne il nostro
sepolcro avrai. Perché più indugi? or questo
mio capo prendi; al tuo furore il debbo.
Seneca
Se perder vuoi seggio ad un tempo e vita,
Neron, sicuro è il mezzo; Ottavia uccidi.
Nerone
Vendetta avronne ad ogni costo.
Ottavia
Ah! mille
morti vogl'io, non ch'una, anzi che danno
lieve arrecare al signor mio.
Tigellino
Ma il tempo
più stringe ognora. Odi tu gli urli atroci?
Impeto tal non vidi io mai; di tanto
meno affrontabil, chi di gioia è figlio.
Sceglier partito è forza.
Ottavia
E dubbio fia?
Nerone, a tor per ora ogni tumulto,
ei t'è mestier l'uccidermi, o l'amarmi:
l'uno, né mai pur finger tu il potevi;
l'altro brami, è gran tempo: osa tu dunque;
svenami; ardisci: o se da ciò l'istante
fausto or non è, temporeggiar momenti
ben puoi. La plebe credula, e ognor vinta
pur che deluso sia l'impeto primo,
per te s'inganni: è lieve assai; sol basta,
ch'io m'appresenti in placida sembianza,
come se in tuo favor tornata io fossi;
sol, ch'io mi finga tua. Così la calca
fia spersa tosto; ogni rumor fia queto;
tempo così di sguainar tua spada,
e di segnar tue vittime t'acquisti.
Nerone
A Roma, io sì, te mostrerò: ma pria
chiarir voglio, se in Roma il signor vero
son io. — Tu corri, Tigellino, al campo;
tacitamente i pretoriani aduna;
terribil quindi esci improvviso in armi
sovra gli audaci; e i passi tuoi sien morte
di quanto incontri.
Tigellino
Io l'ardirò; ma incerto
ne fia l'evento assai. Feroce l'atto
parrà, col ferro il rintuzzar la gioia.
E se in furor si volge? è breve il passo. —
Mal si resiste a una città: supponi
ch'io co' miei forti cada; in tua difesa
chi resta allora?
Nerone
È ver... Ma, il ceder pure
parrebbe...
Tigellino
Or credi a me: periglio grave
non far di lieve: il sol tuo aspetto forse
può dissiparli appieno.
Nerone
... Io di costei
rimango a guardia. In nome mio tu vanne,
mostrati lor: ben sai che sia la plebe;
seco indugiar fia il peggio. A piacer tuo,
fingi, accorda, prometti, inganna, uccidi:
oro, terror, ferro, parole adopra;
pur che sien vinti. Va', vola, ritorna.
SCENA IV
NERONE, OTTAVIA, SENECA
Nerone
Seneca, e tu, guai se d'uscir ti attenti
della reggia:... ma statti da me lungi,
ch'io non ti vegga. Iniqui voti intanto
fare a tua posta puoi; spera, desia;
già già si appressa anco il tuo dì.
Seneca
Lo aspetto.
SCENA V
NERONE, OTTAVIA
Nerone
E tu, fia questo il tuo trionfo estremo,
godine pur; che breve...
Ottavia
Il dì, ma tardo,
anco verrà, che Ottavia a te fia nota.
SCENA VI
POPPEA, NERONE, OTTAVIA
Poppea
Dimmi, o Nerone: al fianco tuo m'hai posta
sul trono tu, perch'io bersaglio fossi
alla insolenza del tuo popol vile?
Ma che veggio? mentr'io son presa a scherno,
tacito, e dubbio, e inulto, stai tu appresso
alla cagion d'ogni tuo danno? In vero
signor del mondo egli è Nerone! il volgo
pur la sua donna a lui prefigge.
Ottavia
Hai sola
tu di Nerone il core: omai, che temi?
Io prigioniera vile, io son l'ostaggio
della ondeggiante fé d'audace plebe.
Ti allegra tu: queta ogni cosa appena,
le tue superbe lagrime rasciutte
tosto saranno con tutto il mio sangue.
Nerone
Tosto in luce verran gli obbrobri tuoi;
Roma vedrà qual sozzo idol s'ha fatto.
Gli avuti oltraggi, a te, Poppea, verranno
ascritti a onor; a infamia sua gli onori.
Ottavia
E se pur v'ha chi me convincer possa
d'infamia a schiette prove, io già t'ho scelta,
in mio pensier, Poppea; giudice sola
te voglio. Il variar del cor gli affetti,
tu sai qual sia delitto, e qual mercede
a chi n'è rea si debba. — Ma innocente
io son, pur troppo, anco ai vostr'occhi. Or via,
tu, che sì altera in tua virtù ti stai;
tu, né pur osi or sostener miei sguardi.
Nerone
Che ardisci tu? Del tuo signor rispetta
la sposa; trema...
Poppea
Eh lascia. Ella ben sceglie
il suo giudice in me: qual mai ne avrebbe
benigno più? Qual potrei dare io pena
a chi l'amor del mio Neron tradisce,
quale altra mai, che il perderlo per sempre?
e pena a te, qual fia più lieve? il vile
tuo amor, che ascondi invano, appien ti fora
per me concesso il pubblicarlo: degna
d'Eucero amante, degnamente io farti
d'Eucero voglio sposa.
Ottavia
Eucero è velo
a iniquità più vil di lui. Ma teco
io non contendo: a ciò non nacqui: ardita
non son io tanto...
Nerone
A chi se' omai tu pari?
Te fa minor d'ogni più vile ancella
tua turpe fiamma: appien dal prisco grado,
dalla tua stirpe appien scaduta sei.
Ottavia
Tu meno assai mi abborriresti, s'io
scaduta fossi or d'ogni cosa; o s'anco
tu il pur credessi. Ma, se il vuoi, ti dono,
tranne sol l'innocenza, ogni mia cosa. —
Crudel Neron, qual che tu sii, né posso
cessar d'amarti, né arrossirne: immensa
ben m'è vergogna in ver, rival nomarmi
di Poppea: ma nol son; mai non ti amava
costei: tuo grado, il trono, e quanto intorno
ti sta, ciò tutto, e non Nerone ell'ama.
Nerone
Perfida, or ora...
Ottavia
E tu, quand'io t'impresi
ad amar, tale, ah! tu non eri: al bene
nato eri forse: indole tal ne' primi
anni tuoi, no, mai non mostrasti. Or, ecco
chi cangia in te l'animo, e il cor; costei
ti affascinò la mente; ella primiera,
ella ti apprese a saporare il sangue:
l'eccidio ell'è di Roma. Io taccio i danni
miei, che i minori fieno: ma sanguigno
corre il Tebro per te; fratello, e madre...
Nerone
Cessa, taci, ritratti, o ch'io...
Poppea
Lo sdegno
merta costei del signor mio? Gli oltraggi
son le usate de' rei discolpe vane.
Se offendermi ella, o se prestarle fede
potessi tu, solo un de' motti suoi
punto m'avria. Che disse? ch'io non t'amo?
Tu sai...
Ottavia
Tu il sai più ch'egli: ei lo sapria,
se il trono un dì perdesse: appien qual sei
conosceriati allora. — Ahi! perché il trono,
sola cagion per cui Neron mi abborre,
era mia culla? ah! che non nacqui io pure
di oscuro sangue! a te spiacevol meno,
meno odiosa, e men sospetta io t'era.
Nerone
Meno odiosa a me? tu sempre il fosti;
e il sei vieppiù: ma, omai per poco.
Poppea
E s'io
avi non vanto imperiali, nata
di sangue vil son io perciò? Ma, s'anco
il fossi pur, non figlia esser mi basta
di Messalina.
Ottavia
Avean miei padri regno;
noti ad ogni uomo i loro error son quindi:
ma, degli oscuri o ignoti tuoi chi seppe
cosa giammai? Pur, se librar te meco
alcun si ardisse, a Ottavia appor potria
gli scambiati mariti? avanzo forse
son io d'un Rufo, o d'un Ottone?
Nerone
Avanzo
di morte sei, per breve tempo. Omai
del tuo perire, incerto è solo il modo;
ma nol cangi, che in peggio. — Esci; e frattanto
t'abbian tue stanze: va'; ch'io più non t'oda.
SCENA VII
NERONE, POPPEA
Nerone
Poppea, te meglio, e il tuo Neron conosci.
Roma dovessi a fuoco e a sangue io porre,
meco il mio impero seppellir dovessi,
non ti fia fatto oltraggio più (tel giuro)
per cagion di costei; né a me di mano
ella fia tratta mai. — Ti acqueta; in calma
ritorna; in me ti affida...
Poppea
Altro non temo,
che di morir non tua...
Nerone
Deh! cessa. Insorto
rapidamente è il rio tumulto, e ratto
disperderassi: all'opra anch'io mi accingo. —
Secura sta': d'ogni tua ingiuria e danno
vendicator me rivedrai, fra breve.
ATTO IV
SCENA I
POPPEA, SENECA
Poppea
Da me che vuoi?
Seneca
Scusa, importuno io vengo:
ma forse, io vengo in tuo vantaggio...
Poppea
Or, donde
tal cura in te dell'util mio? Mi fosti
amico mai, né il sei? Cagion qual altra,
che di volermi nuocere?...
Seneca
Giovarti
mai non vorrei, per certo, ove non fosse
misto per or di Ottavia il minor danno
all'util tuo. Pietà della innocente
illustre donna, amor del giusto, e lungo
tedio d'ingrata vergognosa vita,
parlar mi fanno: ad ascoltar ti muova
tuo interesse, e null'altro.
Poppea
Udiam: che dirmi
puoi tu?
Seneca
Che molto increscerai tu tosto
a Neron, s'ei pur vede il popol fermo
tenacemente in odiarti. Il vero
ti dico in ciò: sai ch'io Neron conosco,
Roma, i tempi, e Poppea.
Poppea
Tutto conosci,
fuorché te stesso.
Seneca
Al mio morir vedrassi,
s'io me pure conobbi. Odimi intanto,
odimi, prego. — A tua rovina or corri
col bramar troppo tu d'Ottavia i danni.
Roma te sola e del ripudio incolpa,
e dell'esiglio suo: se infamia, o pena
maggior le tocca, ascritta a te fia sempre.
Quindi l'odio di te, già grave, in mille
doppi or si accresce, e il susurrare. Ancora
spersa non è l'ammutinata plebe:
ma pur, poniam che il sia: non riede il giorno,
ch'ella temer vie più si fa? Poppea,
trema per te; che il tuo Nerone è tale
da immolar tutto, per salvar se stesso.
Esca è forse ad amore ostacol lieve;
ma invincibile ostacolo, ben presto
lo spegne in cor che non sublime sia.
Or, non farti lusinga: assai più in conto
(e di gran lunga) tien Nerone il trono,
ch'ei non ti tiene. E guai, se a tale eletta
lo sforza Roma.
Poppea
Ed io Neron più assai
tengo in conto, che il trono. Ov'io credessi
porlo per me in periglio... Ma, che narri?
assoluto signor non è di Roma
Nerone? e fia ch'ei curi un popol vile,
pien di temenza, che a Tiberio, a Caio
muto obbedia?...
Seneca
Temerlo assai tu dei,
se non fai che Neron per sé ne tremi.
Osa pur, osa; il freno sol che avanza,
togli a Neron; ne proverai tu prima
i tristi effetti. Inutil tutto è il sangue,
che alle fatali nozze tue fu sparso,
se aggiunger v'osi oggi d'Ottavia il sangue.
Mira Agrippina: ella il feroce figlio
amava sì, ma il conoscea; né il volle
mai dall'angoscia del rival fratello
liberar, mai. Sua feritade accorta
prevalse poscia; e il rio velen piombava
all'infelice giovinetto in seno.
Vana fu l'arte della madre; e il fio
tosto ella stessa ne pagava. Allora
di sangue in sangue errar vieppiù feroce
Neron vedemmo. Ottavia or sola resta,
freno a tal mostro; Ottavia, idol di Roma,
e di Neron terrore. Ottavia togli;
fa', ch'ei di te sia possessor tranquillo;
sazio tosto il vedrai. Cara ei ti tiene,
perché a lui tante uccision costasti;
ma, se un periglio, anco leggier, gli costi,
spento è l'amore. Allor mercede aspetta,
quella, onde avaro mai Neron non fia;
a chi più l'ama più crudel la morte.
Poppea
Ecco Neron; prosiegui.
Seneca
Altro non bramo.
SCENA II
NERONE, POPPEA, SENECA
Nerone
Perfido; ed osi al mio divieto?...
Poppea
Ah! vieni;
vieni, ed udrai...
Nerone
Che udir? fra poco anch'egli
la ragion stessa, che alla plebe appresto,
udrà da me. — Ma, oh rabbia! ancor non cessa
il popolar tumulto: i preghi chiusa
trovan la via: verrà tra breve il ferro,
e sgombrerassi ampio sentiero. Acqueta
l'alma, o Poppea: domani al ciel risorte
tue immagini vedrai: nel fango stesso,
ma d'atro sangue intriso, strascinate
vedrai le altrui.
Poppea
Che che ne avvenga, Roma
sappia or da te, ch'io non ti ho chiesto sangue
ad espiare il ricevuto oltraggio;
benché a soffrir grave mi fosse. Ardisce
pur crude mire la ria plebe appormi:
e costui pure, il precettor tuo, m'osa
ciò appor, bench'ei nol creda. Io te, mio primo
Nume, ne attesto: il sai, s'altro ti chiesi,
che l'esiglio d'Ottavia. Erami duro
vedermi innanzi ognor colei, che s'ebbe,
non lo mertando, il mio Neron primiera:
ma, del suo esiglio paga, a' suoi delitti
stimai che pena ella ben ampia avesse,
nel perder te: pena, qual io...
Nerone
Deh! lascia
parlar Seneca, e il volgo. A Roma or ora
chiaro farò, qual sia quest'idol suo.
Seneca
Bada, Neron; più che ingannar, t'è lieve
Roma atterrir: l'uno assai volte festi;
l'altro non mai.
Nerone
Ma, di te pur mi valsi
ad ingannarla io spesso; e a ciò pur eri
arrendevole tu...
Seneca
Colpevol spesso
anch'io: ma in corte di Nerone io stava.
Nerone
Vil servo...
Seneca
Il fui, finch'io mi tacqui; or sorge
il dì, ch'io sciolgo a non più intesi detti
libera lingua. Al mio fallire ammenda
fian lieve i detti, è ver; ma in fama forse
tornar potrammi alto morire.
Nerone
In fama
io ti porrò, qual merti...
Seneca
Infin che grida
di plebe ascolto, che il furor tuo crudo
col tuo timor rattemprano, t'è forza
soffrirmi ancora: e l'irritarti intanto
giova a me molto; e il farti udir sì il vero,
che al ritornar del tuo coraggio io cada
vittima prima: e, se me pria non sveni,
Ottavia mai svenar non puoi, tel giuro.
Io trar di nuovo, e a più furore, io posso
la già commossa plebe; appien svelarle
io posso i nostri empi maneggi: io, trarti,
più che nol credi, ad ultimo periglio. —
Io di Neron fui consigliero; e m'ebbi
vestito il core dell'acciar suo stesso.
Io, vil, credei per compiacerti, o finsi
creder, (pur troppo!) del perduto trono
reo Britannico pria; quindi Agrippina
d'avertel dato; e Plauto e Silla rei
d'esserne degni reputati; e reo
di più volte serbato avertel, Burro:
ma, reo stimai me più di tutti, e stimo;
e apertamente, a ogni uom che udire il voglia,
in vita, e in morte, io 'l griderò. Tua rabbia,
sbramala in me; securo il puoi: ma trema,
se Ottavia uccidi: io te l'annunzio; tutto
sovra il tuo capo tornerà il suo sangue.
Dissi; e il dir m'importava. — A me in risposta
manderai poscia, a tuo grand'agio, morte.
SCENA III
NERONE, POPPEA
Poppea
Signor, deh! frena il furor tuo...
Nerone
Tai detti
scontar farotti in breve. — Oh rabbia!... Oh ardire!
Finché non giungon l'armi, io son qui dunque
minor d'ogni uomo? Or da ogni parte ho stretta
di diversi rispetti: ad uno ad uno,
costor che a un tratto io svenerei, m'è forza,
con lunghi indugi, ad uno ad un svenarli.
Poppea
Oh quai punture al cor mi sento! oh quanto
meco mi adiro! Io son la ria cagione
d'ogni tuo affanno, io sola.
Nerone
A me più cara
sei, quanto più mi costi.
Poppea
È tempo al fine,
tempo è, Neron, ch'alto rimedio in opra
da me si ponga, poiché sola io 'l tengo.
Queta mai non sperar l'audace plebe,
finch'io son teco. Ah generosa prole,
qual darle io pur di Cesari son presta,
Roma or la sdegna. Alla prosapia infame
di egizio schiavo un dì pervenga, è meglio,
la imperial possanza. — Animo forte,
qual non m'avrò fors'io, sveller può solo
or da radice il male. — Ancor ch'io presti
velo, e non altro, al popolar tumulto
che altronde vien, pure in mio core ho fermo,...
ahi, sì, pur troppo!... e il deggio, e il voglio...
Nerone
Ah! cessa.
Tempo acquistar m'era mestier col tempo;
e già ne ottenni alquanto. Omai, che temi?
trionferemo, accertati...
Poppea
Deh! soffri,
che, s'io pure a' tuoi piedi ora non spiro,...
l'ultimo addio ti doni...
Nerone
Oh! che favelli?
deh! sorgi. Io mai lasciarti?...
Poppea
A te che giova
meco infingerti? Appien fors'io non veggo,
signor, che tu, sol per calmar miei spirti,
or di celarmi il tuo timor ti sforzi?
Non leggo io tutti i tuoi più interni affetti
nel volto amato? occhio di donne amante,
sagace vede. — Attonito, da prima,
dalle insolenti popolari grida
fosti, al tornar di Ottavia; or, crescer odi
l'ardire; onde atterrito...
Nerone
Atterrito io?...
Poppea
So, che il forte tuo core ognor persiste
nella vendetta: ma, son dubbi i mezzi:
e intanto esposto a replicati oltraggi
rimani tu. Le irriverenti fole
per anco udir di un Seneca t'è forza:
ben vedi...
Nerone
Atterrito io?
Poppea
Sì; per me il sei: —
né in te potrebbe altro timor; tu tremi,
che il popolar furore in me non cada. —
Amar potresti, e non tremare? Il tuo
stato mi è lieve argomentar dal mio.
Del tuo periglio, e di tua immago io piena,
e di me stessa immemore, ad un lampo
di passeggiera pace, or non mi acqueto.
Ai terror nostri io vo' dar fine, e trarre
te d'ogni rischio, a costo mio. Per sempre
perder ti vo', per conservarti il core
del popol tuo.
Nerone
Ma che? mi credi?...
Poppea
Ah! lascia:
farti in tuo pro forza vogl'io: son ferma
di abbandonare il trono tuo; sbandirmi
di Roma; e, s'uopo fia, dal vasto impero.
Quella che il volgo in seggio or vuole, in seggio
donna rimanga, poiché il volgo è fatto
l'arbitro del tuo core: abbiasi il trono,
(ma questo è il men) del mio Nerone ell'abbia,
e il talamo, e l'amore... Ahi me infelice!..
così tu pace, e sicurezza avrai. —
Sollievo a me, s'io pur merto sollievo,
e s'io posso non tua restare in vita,
bastante a me sollievo fia, l'averti,
col mio partir, tolto ogni danno...
Nerone
Ai preghi
del tuo consorte arrenditi; o i comandi
del tuo signor rispetta. A me non puoi,
neppur tu stessa, toglierti; né il puote
umana forza, se il mio impero pria
non m'è tolto, e la vita. All'ira immensa
ch'entro il petto mi bolle, alla vendetta
ch'esser de' tanta, (anch'io lo veggio) i mezzi
son lenti; e il paion più: ma il venir tarda
nocque a vendetta mai?
Poppea
Credi, a salvarti,
o a più tempo acquistar, giovar può solo
il mio partir: vuoi che sforzata io parta,
mentre il posso buon grado? Il popol s'ode
ciò minacciare; e la minor fia questa
di sue minacce: a Ottavia altro marito
sceglier pretende, e che con essa ei regni.
Sta il trono in lei; tu il vedi. Or, ch'io ti lasci
scambiar Poppea pel trono? Ah! Neron, prendi
l'ultimo addio...
Nerone
Non più: troppo m'irrìta...
Poppea
E s'anco il dì pur giunge, ove tu palma
abbi d'Ottavia, e della plebe a un tempo,
odio pur sempre ne trarrai, non poco.
E allor; chi sa? ne incolperesti forse
la misera Poppea. Quel ch'or mi porti
verace amor, chi sa se in odio allora
nol volgeresti, ripentito? Oh cielo!...
a un tal pensier di tema agghiaccio. Ah lungi
io da te morrò pria;... ma intero almeno
così il tuo amor ne porto io meco in tomba...
Nerone
Basta omai, basta; in me già l'ira è troppa...
d'abbandonarmi ogni pensier deponi.
E Roma, e il mondo, e il ciel nol voglian, mia
sarai tu sempre: a te Neron lo giura.
SCENA IV
TIGELLINO, NERONE, POPPEA
Tigellino
Viva Neron.
Nerone
Gli hai tu dispersi? spenti?
Signor son io di Roma? — E che? tu torni
senza sangue sul brando?
Tigellino
Ancor di sangue
tempo non è: ma ben si appressa, io spero.
Pur, grand'arte esser vuole: io fei più grida
sparger fra 'l volgo: or, che ti appresti forse
a ripigliare Ottavia; ov'ella possa
d'alcune taccie di maligne lingue
purgar sua fama: or, che gli oltraggi insani
fatti a Poppea, destato a nobil ira
aveano il cor d'Ottavia stessa; e ch'ella
di pace in Roma apportatrice riede,
non di scompiglio...
Poppea
E crede il popol stolto,
ch'io la di lei pietà?
Nerone
Sempre arte, sempre?
non ferro mai?...
Tigellino
La men probabil cosa,
vera talvolta al popol pare. O stanco
fosse, o convinto, a queste varie voci,
ei rattemprò di sua ribelle gioia
il gran bollore in parte. Il dì frattanto,
si muore; e fian segnal funesto l'ombre
di ragioni ben altre. Già già taciti
i pretoriani schieransi; proscritte
già son più teste. Il nuovo sol vedrassi
sorger nel sangue; e nel silenzio, quindi.
Ma, se pur spento ogni tumulto affatto
doman tu vuoi; se a breve gaudio falso,
lungo terribil lagrimar verace
vuoi che sottentri; ad evidenza piena
or t'è mestiero trar le accuse gravi
già intentate ad Ottavia: in altra guisa
mai non verresti del tuo intento a fine.
Tutti uccider non puoi...
Nerone
Men duol.
Tigellino
Ma tutti
convincer puoi. L'ultima strage è questa,
ove adoprar l'arte omai debbi.
Nerone
Vanne,
poich'è pur forza; e le intentate accuse
caldamente prosiegui. Andiam, Poppea;
vendetta avrem di quest'iniqua. Intanto
il dì verrà, che a compier mie vendette,
più mestier non mi fia l'altrui soccorso.
ATTO V
SCENA I
OTTAVIA
Ottavia
Ecco, già il popol tace: ogni tumulto
cessò; rinasce il silenzio di morte,
col salir delle tenebre. Qui deggio
aspettar la mia sorte; il signor mio
così l'impone. — Or, mentre sola io piango,
che fa Nerone? In rei bagordi egli apre
la notte già. Securo stassi ei dunque?
sì tosto? appieno?... E in securtà pur viva!
Ma, a temer pronto, e a distemer del pari,
nulla ei più crede ad un lontan periglio:
di un tanto error, deh, non glien torni il danno! —
Fra disoneste ebrezze, e sozzi giuochi
di scurril mensa, or (qual v'ha dubbio?) orrenda
morte ei mi appresta. Il fratel mio già vidi
cader fra le notturne tazze spento;
scritto in note di sangue a mensa anch'era
d'Agrippina l'eccidio: ognor la prima
vivanda è questa, che a sue liete cene
imbandisce Neron; le palpitanti
membra de' suoi. — Ma, il tempo scorre; e niuno
venire io veggio,... e nulla so... Del tutto
Seneca anch'egli or mi abbandona?... Ah, forse
più non respira... Oh cielo!... ei sol pietoso
era per me... Neron già forse in lui
il furor suo... Ma, oh gioia! Eccolo, ei viene.
SCENA II
OTTAVIA, SENECA
Ottavia
Seneca, oh gioia! ancor sei dunque in vita?
Vieni, o mio più che padre... E che? nel volto
men tristo sembri: oh! che mi arrechi?
Seneca
Intatta,
godi, è pur sempre la innocenza tua.
Le tue tante virtù d'alcun lor raggio
infiammato a virtude hanno i più bassi
servili cori. Infra martìri atroci,
fra strazi orrendi, le tue ancelle a un grido,
tutte negaro il tuo supposto fallo.
Marzia fra loro era da udirsi: in fermo
viril libero aspetto (e da far onta
a noi schiavi tremanti) in Neron fitti
gl'imperterriti sguardi, ora a vicenda
Tigellino, or Nerone, ad alta voce
mentitor empi iva nomando: e piena
di generosa rabbia, inni solenni
di tua santa onestà cantando, salda
ella ai tormenti, da forte spirava.
Ottavia
Misera! ahi degna di miglior destino!...
Ma ciò, che vale? A ricomprar mio sangue,
havvi sangue che basti?
Seneca
Or, più che pria,
scabro a Neron fassi il versarlo. Hai tratto
lustro ed onor donde sperò l'iniquo
che infamia trar tu ne dovresti, e morte.
Eucero stesso, benedire ei s'ode
il suo morire. Or giuramenti orrendi,
per cui sua testa agli infernali Numi
consacra; or spande liberi, e feroci
detti, che attestan tua virtude; or giura
più a grado aver e funi, e punte, e scuri,
che l'oro offerto di calunnia in prezzo.
Di Tigellino ei le promesse infami
chiare ad ogni uomo fa; lo ascoltan pieni
d'inusitato orror gli stessi feri
suoi carnefici, e quasi le lor mani
trattengon, mal lor grado. In fretta io vengo
il grato avviso a dartene.
Ottavia
Deh! mira,
chi viene a me: miralo, e spera.
Seneca
Oh cielo!
SCENA III
TIGELLINO, OTTAVIA, SENECA
Tigellino
Il tuo signor ver te m'invia.
Ottavia
Deh! rechi
tu almen mia morte? Or che innocente io sono,
grata sarammi.
Tigellino
Il tuo signor per anco
tal non ti crede; e, ad innocente farti,
non bastava il munir di velen pria
Eucero, e tutte le tue conscie ancelle,
sì, che ai martìr non resistesser: gli hai
tolti ai tormenti, ma a te stessa il mezzo
di scolparti toglievi...
Ottavia
Or, qual novella
menzogna?...
Tigellino
Omai vieta Neron, che fallo
non ben provato a te si apponga. Or altra,
ben altra accusa or ti s'aspetta; e il reo,
non fra' martìr, ma libero, e non chiesto,
viene a mercé.
Ottavia
Qual reo? Parla.
Tigellino
Aniceto.
Seneca
D'Agrippina il carnefice!
Ottavia
Che sento?
Tigellino
Quei, che Neron d'alto periglio trasse:
fido era allora al suo signor; tu, donna,
traditor poscia il festi. Ei ripentito,
vola or sull'orme tue; primo ei s'accusa;
e tutto svela: ma non men sua pena
ne avrà perciò.
Ottavia
Quale impostura?...
Tigellino
Ei forse
l'armata, ond'è duce in Miseno, a un cenno
tuo ribellar non prometteati? — E dirti
deggio, a qual patto?
Ottavia
Ahi! lassa me! Che ascolto?
oh scellerata gente! oh tempi!...
Tigellino
Impone
a te Nerone, o di scolparti a un tempo
dei sozzi amori, e de' sommossi duci,
e degli audaci motti, e delle tante
tese a Poppea, ma invano, insidie vili,
e del tumulto popolare; o vuole,
che rea ti accusi: a ciò ti dona intero
questo venturo dì.
Ottavia
...Troppo ei mi dona. —
Vanne, a lui torna: e pregalo, ch'ei venga
qui con Poppea. Narrar vo' solo ad essi
i miei tanti delitti: altro non chieggo:
tanto impetrami; va'. Dell'onta mia
lieta a gioìr venga Poppea; l'aspetto.
SCENA IV
OTTAVIA, SENECA
Seneca
E che vuoi far?
Ottavia
Morir; sugli occhi loro.
Seneca
Che parli?... Oimè! tel vieterà, se il brami...
Ottavia
E un sì gran dono da Neron vogl'io? —
Ad altri il chieggo; e spero...
Seneca
Erami noto
Nerone assai; ma pur, nol niego, or sono
d'atro stupor compreso. Ognor più fero
ch'altri nol pensa, egli è.
Ottavia
— Seneca, ad alta
impresa, io te nel mio pensiero ho scelto.
S'hai per me stima, amor, pietade in petto,
oggi men puoi dar prova. A me già fosti
mastro di onesta, e d'incorrotta vita;
di necessaria morte esser mi dei
or tu ministro.
Seneca
Oh ciel!... Che ascolto?... Morte
d'impeto insano esser de' figlia?
Ottavia
A vile
tanto mi hai tu, che d'immutabil voglia
non mi estimi capace? Or, non è forse
morte il minor dei minacciati danni?
ch'altro mi resta? di'. — Tu taci?
Seneca
...Oh giorno!
Ottavia
Su via, rispondi: altro che far mi avanza?
Seneca
...Mi squarci il cor... Ma, poss'io mai sì crudo
esser da ciò?...
Ottavia
Saviezza in te fallace
or tanto fia? Puoi dunque esser sì crudo
da rimirarmi straziata in preda
della rival feroce, a cui mia vita
poco par, se mia fama in un non toglie?
Lasciarmi esposta alle mal compre accuse
d'ogni ribaldo hai core? alla efferata
del rio Nerone insaziabil ira?
Seneca
...Oh giorno infausto! Or perché vissi io tanto?
Ottavia
Ma, e che t'arresta?... e che paventi?... Ancora
forse hai speme?
Seneca
Chi sa?...
Ottavia
Tu, men ch'ogni altri,
speri: Neron troppo conosci: hai fermo
tu per te stesso (e certo a me nol nieghi)
sfuggir da lui con volontaria morte:
tu, fermo in ciò, da men mi credi; e m'ami?
Tremendo ei m'è, fin che dell'alma albergo
queste misere mie carni esser veggio.
Oh qual può farne orrido strazio! e s'io
alle minacce, ai tormenti cedessi?
se per timor mi uscisse mai del labro
di non commesso, né pensato fallo,
confession mendace?... Da lunghi anni
uso a mirar dappresso assai la morte,
tu stai securo: io non così; d'etade
tenera ancor, di cor mal fermo forse;
di delicate membra; a virtù vera
non mai nudrita; e incontro a morte cruda
ed immatura, io debilmente armata:
per te, se il vuoi, fuggir poss'io di vita;
ma, di aspettar la morte io non ho forza.
Seneca
Misero me! co' miei cadenti giorni
salvar sperava i tuoi. Dovea la plebe
udir da me le ascose, inique, orrende
arti del rio Neron;... ma invano io vissi:
tace la plebe; ed altro omai non ode
che il timor suo. Di questa orribil reggia
mi è vietato l'uscire... Oh ciel! chi vale
contro empio sir, s'empio non è?
Ottavia
Tu piangi?...
Me dall'infamia, e dai martìr, deh! salva:
da morte, il vedi, ogni sperarlo è vano.
Salvami, deh! pietade il vuole...
Seneca
E quando..
io pur volessi,... in sì brev'ora,... or... come?...
Meco un ferro non ho; giunge a momenti
Nerone...
Ottavia
Hai teco il velen sempre: usbergo
solo dei giusti in queste infami soglie.
Seneca
Io,... con me?...
Ottavia
Sì; tu stesso, altra fiata,
tu mel dicesti. I più segreti affetti
del travagliato animo tuo, qual padre
tenero a figlia, a me svelavi allora.
Rimembra, deh! ch'io teco ancor ne piansi. —
Ma, il nieghi? Io già maggior di me son fatta.
Necessità fa prodi anco i men forti.
Giunge or ora Nerone; al fianco ei sempre
cinge un acciaro: io mi v'avvento, e il traggo,
e men trafiggo... La mia destra forse
mal servirammi: io ne farò pur l'atto.
Di aver tentato di trafigger lui,
mi accuserà Nerone: e ad inaudita
morte dannar tu mi vedrai...
Seneca
Deh! donna,
quai strali di pietade a me saetti?...
Per me il vorrei... Ma,... t'ingannasti; io meco
non ho veleno...
Ottavia
...E ognor non rechi in dito
un fido anello? eccolo; il voglio...
Seneca
Ah! lascia...
Ottavia
Invano... Io 'l tengo. Io ne so l'uso: ei morte
ratta, e dolce rinserra...
Seneca
Il ciel ne attesto...
deh! ten prego,... mel rendi... Or, s'altra via...
Ottavia
Altra non resta. Eccolo schiuso... Io tutta
già sorbita ho coll'alito la polve
mortifera...
Seneca
Me misero!...
Ottavia
Gli Dei
t'abbian mercé del prezioso dono,
opportuno a me tanto... Ecco... Nerone.
A liberarmi... deh!... morte... ti... affretta.
SCENA V
NERONE, POPPEA, TIGELLINO, OTTAVIA, SENECA
Nerone
Cagion funesta d'ogni affanno mio,
dalle mie mani al fin chi ti sottragge?
chi per te grida omai? Dov'è la plebe? —
Ben scegliesti: partito altro non hai,
che svelarti qual sei: far chiaro appieno
a Roma, e al mondo ogni delitto tuo;
me discolpar presso al mio popol, darti
qual t'è dovuta, con infamia, morte.
Seneca
Più non mi pento, e fu opportuno il punto.
Ottavia
Nerone, appien già sei scolpato; godi.
Già d'esser stata tua, d'averti amato,
data men son debita pena io stessa.
Nerone
Pena? Che festi?
Ottavia
Entro mie vene serpe
già un fero tosco...
Nerone
E donde?...
Poppea
Or mio davvero,
Nerone, tu sei.
Nerone
Donde il velen?... Tu menti.
Tigellino
Creder nol dei; severa guardia...
Seneca
E puossi
deluder guardia; e il fu la tua. Gli Dei
scampo ai giusti non niegano.
Ottavia
Mi uccide
il tosco in breve; e tu il vedrai: pietoso
ecco chi 'l diede; anzi, a dir ver, gliel tolsi.
Caro ei l'avrà, se nel punisci; io quindi
nol celo. Mira; in questa gemma stava
la mia salvezza. Di tua fede in pegno,
il dì delle mortali nozze nostre,
tal gemma tu darmi dovevi...
Nerone
Il veggio,
l'ultima è questa, e la più orribil trama
per far che Roma mi abborrisca. Iniquo,
tu l'ordisti; ma or ora...
Poppea
Alla tua pena
ti sottraesti, Ottavia; invan sottrarti
speri all'infamia.
Ottavia
A te rispondo io forse? —
Tu, Nerone, i miei detti ultimi ascolta.
Credimi, or giungo al fatal punto, in cui
cessa il timor, né il simular più giova,
ov'io pur mai fatto l'avessi.. Io moro:
e non mi uccide Seneca:... tu solo,
tu mi uccidi, o Neron: benché non dato
da te, il velen che mi consuma, è tuo.
Ma il veleno a delitto io non t'ascrivo.
Ciò far tu pria dovevi; da quel punto,
in cui t'increbbi: eri men crudo assai
nell'uccidermi allor, che in darti a donna,
che amarti mai, volendo, nol sapria.
Ma, ti perdono io tutto; a me perdona,
(sol mio delitto) se il piacer ti tolgo,
coll'affrettare il mio morir poch'ore,
d'una intera vendetta. Io ben potea
tutto, o Neron, tranne il mio onor, donarti;
per te soffrir, tranne l'infamia, tutto...
Niun danno a te fia per tornarne, io spero,...
dal... mio... morire. Il trono è tuo: tu il godi:
abbiti pace... Intorno al sanguinoso
tuo letto... io giuro... di non mai... venirne
ombra dolente... a disturbar... tuoi... sonni...
Conoscerai frattanto un dì costei. —
Nerone
Più la conosco, più l'amo; e più sempre
di amarla io giuro.
Seneca
In cor l'ultimo stile
questi detti le piantano: ella spira...
Poppea
Vieni; lasciam questa funesta stanza.
Nerone
Andiamo: e sappia or Roma tutta, e il campo,
ch'io costei non uccisi: e in un pur s'oda
il delitto di Seneca, e la morte.
SCENA VI
SENECA
Seneca
Te preverrò. — Ma l'altre età sapranno,
scevre di tema e di lusinga, il vero.
FINE