Paese piccolo, gente mormora

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PAESE PICCOLO, GENTE MORMORA

 


Commedia supercomica in 3 atti

di Franco ROBERTO

Personaggi:

ALBERTO CARELLI

SANDRA, sua moglie

ERMINIA, sua suocera

CESARE MERLONI, avvocato

LUISELLA RINALDI, segretaria di Alberto

GERARDO FIORITI, amico di Alberto

RAFFAELE TONUSSI, medico

Oggi, in una cittadina

La scena (fissa per i tre atti).

Il salotto di un appartamento al piano terreno.

A destra la porta verso l'Agenzia d'assicurazioni di Alberto Carelli. A sinistra la porta verso il tinello e una camera da let­to. Al fondo la porta verso l'entrata comune e un'altra camera da letto.

Arredamento normale, con apparecchio telefonico sopra un tavolino.

Se è possibile disporre ninnoli, vasi, statuette e cuscini qua e là, per denotare una certa tendenza femminile ai fronzoli, al­l'ordine e alla pulizia difesi anche con irragionevole pedanteria.


ATTO PRIMO

Mattino d'una giornata primaverile. In scena, all'aprirsi del sipario, c'è

Erminia — (45enne burbera ed energica, che in pantofole sta spolverando i mobili con la massima accuratezza e pignole­ria, sino a quando — dopo aver guardato il pavimento — lancia un urlo di raccapriccio).

Sandra — (dall'esterno, urla) Mamma!... (Ed entra da sinistra, allarmata. È una signora 22enne che, solo a causa della pet­tinatura trascurata e dello scialbo vestitino da casa, appare quasi brutta, trasandata) Cos'è accaduto?

Erminia — (inorridita, indica un punto del pavimento, arretran­do) Là!... Guarda là.

Sandra — (guarda il punto indicato. Indignata) Orribile!...

Erminia — Non c'è alcun dubbio che il colpevole è (indica con aria accusatrice la porta di destra) lui!

Alberto — (simpatico e cordiale 25enne, contemporaneamente al «lui» entra da destra e si ferma sulla soglia della porta, impressionato dall'atteggiamento di Erminia e da quello di)

Sandra — (che lo investe) Sì!... Sei stato tu.

Alberto — (smarrito) Io... che cosa?

Erminia — (indica il solito punto del pavimento) A fare quello!

Alberto — (fa l'atto di andare a vedere il punto indicato, ma)

Sandra — (gli urla) Fermo! (Alberto si ferma) Le pantofole! (Gliele indica per terra, accanto alla porta dì destra).

Alberto — (rassegnato) Ah già... (In piedi, quindi a fatica e barcollando, si toglie le scarpe e infila le pantofole) Adesso posso?... (per dire «venire avanti?»).

Sandra — Adesso sì.

Alberto — Grazie. (Va a vedere nel punto che Erminia conti­nua a indicare) Non vedo niente.

Erminia — (maligna) Naturale!... Per tutto ciò che riguarda l'or­dine, e soprattutto la pulizia, tu sci cieco.

Alberto — Mi spiace, ma continuo a non vedere..,

Sandra — (interrompe, sarcastica) L'avrei giurami,,, Hai un cartoncino?... Un biglietto da visita?...

Alberto — (frugandosi nelle tasche) Sì, credo. (Estrae da un taschino un biglietto da visita e lo porge a Sandra) Eccolo,

Sandra — (lo prende, si china e con il biglietto da visita racco­glie un immaginario pizzico di cenere di sigaretta. Solleva delicatamente il biglietto da visita e lo pone davanti al naso di Alberto) Vedi?...

Alberto — (annuisce) ...il biglietto da visita.

Erminia — E la porcheria che c'è sopra, no, vero?

Sandra — Cenere di sigaretta!

Alberto — Va be'... Nemmeno un pizzico.

Erminia — Per impressionarti vorresti vederne un quintale?... Oppure una tonnellata di cenere di sigaretta sparpagliata per tutta la casa?

Alberto — No, ma mi pare che...

Sandra — (interrompe) Basta così! Vieni, mamma... Andiamo a buttarla dove si deve. (Tenendo il biglietto da visita con le due mani dinanzi a sé, e camminando lentamente — quasi solennemente — esce a sinistra, seguita da Erminia al mede­simo passo).

Alberto — (borbotta) Manca solo la banda che suona la mar­cia funebre. (Colpi alla porta di destra) Avanti.

Luisella — (affascinante ragazza I8-20enne, entra da destra) Mi dispiace disturbare, ma...

Alberto — (interrompe) Ferma là, o... (indica per terra, accanto alla porta) ...pantofole! No. Quelle sono le mie scarpe.

Luisella — Non entro, ragioniere. Volevo solo dirle che di là (indica alle sue spalle), in Agenzia, c'è il commendator Filippelli che vuole sapere se nella polizza infortuni e vita del­la sua famiglia possiamo includere anche la suocera.

Alberto(secco) No.

Luisella — Mi chiederà perché.

Alberto — E lei gli spieghi che siccome la suocera è una bestia a parte... Cioè! Per il commendatore, ovvero il genero, la suocera è una parente «d'acquisto»... Che brutto acquisto!... Non è possibile includerla nella polizza «familiare».

Luisella — (insinuante) La sua (indica Alberto) però... Altro che «far parie» della famiglia... Si direbbe che è addirittura «il capo» famiglia. Oh, mi scusi.

Alberto — (sorride) Niente, niente... D'altronde lo sanno tut­ti, in questo nostro paese che si dà le arie da cittadina, che io... Beh... Che due anni fa, sposando Sandra, e poi accet­tando in casa anche sua madre vedova, ho fatto un'asinata. Eppure Sandra era... Era proprio come lei, signorina Luisella.

Luisella — Vuol dire che occupava il mio posto nella sua Agen­zia (indica alle proprie spalle) di assicurazioni?

Alberto — Anche. Ma voglio soprattutto dire che era dolce, premurosa e ordinata come lei.

Luisella — (lusingata) Grazie, ragioniere.

Alberto — Il guaio è che, dopo il matrimonio... Addio, dol­cezza!... Addio, premura!... Le è rimasto solo l'ordine. Un ordine che è un'ossessione, una mania che sua madre accre­sce e rafforza con l'ossessione e la mania della pulizia.

Luisella — (civettuola e attraente) Povero ragioniere... Lei me­riterebbe ben altro.

Alberto — (colpito e un po' attratto) Sì, vero?... (Luisella an­nuisce e i due rimangono un momento incantati a guardarsi negli occhi, sino a quando)

Erminia — (entra da sinistra e urla a Luisella) Lei!... Cosa fa, qui? (Luisella e Alberto sussultano. E mentre Alberto s'al­lontana da)

Luisella — (questa risponde confusa, indicando alle sue spalle) C'è il commendator Suocera... Cioè! Filippelli con la suoce­ra... no! Il commendatore che vuole sapere se la suocera...

Alberto — (interrompe, per aiutarla) Gli risponda come le ho già detto.

Luisella — Subito, ragioniere. Buon... Buongiorno, signora (ed esce a destra).

Erminia — (fulmina Alberto con un'occhiataccia, poi va alla porta di sinistra) Sandra!...

Sandra — (dall'esterno) Sì, mamma (entra da sinistra).

Erminia — (fremente) Non eravate d'accordo, tu e tuo marito, che la sua impiegata non sarebbe mai entrata qui, nell'ap­partamento?

Sandra — Certo. Perché?

Erminia — Un istante fa era un passo dentro a quella porta (la indica).

Alberto — (conciliante) Suvvia, non fate le bambine. È forse l'unico inconveniente, quello d'essere disturbato ogni tanto, compensato dalle molte comodità di avere l'ufficio (indica a destra) comunicante con l'abitazione. (A Sandra) Del re­sto anche tu, se era il caso, venivi di qua a chiedermi spiega­zione, quando eri la mia impiegata.

Sandra — (annuisce, ironica) ...e ancora più sovente ti «distur­bavo» quando diventai la tua fidanzata. (Freddamente, a Erminia) Ci scappava qualche bacetto.

Erminia — (maligna) Appunto. Tanto più che la signorina (in­dica a destra) è piuttosto «piacente». (A Sandra, indicando Alberto) La sua segretaria vorrei sceglierla io.

Alberto — (ironico) E sceglierebbe... «Dracula».

Erminia — Non certo una... «tipa» come... (indica a destra, mentre)

Alberto — (interrompe, esasperato) Signora madre di mia mo­glie, ti proibisco di fare insinuazioni!... E non dimenticare che sei un'ospite in casa mia.

Sandra — (scandisce) Vorrai dire in casa nostra, poiché abbia­mo fatto la comunione dei beni.

Alberto — E va be'!... Allora dirò che è ospite per la mia me­tà, ma ospite è, e non padrona, come si comporta da circa un anno. (Sandra vorrebbe obiettare qualcosa, ma Alberto glielo impedisce) Sì! Sì! Visto che per liberarmi della sua (in­dica Erminia) metà che mi compete, dovrei tagliarla in mezzo...

Erminia — (maligna) Cosa che faresti volentieri...

Alberto — (sospira) Ci rinuncio, e mi rassegno (fa l'atto di se­dere sopra una sedia, una poltrona o sul divano).

Erminia — (urla) No!

Alberto — (rimane immobile, mezzo chinato) Che succede?

Sandra — Non sederti, che si guasta... (secondo dove stava per sedersi, dire: «la fodera della sedia» - «la stoffa» o «la pelle della poltrona» o «del divano»,)

Alberto — (sbuffa) Mi rassegno, sì. Fino a quando avrò la pa­zienza di muovermi qui dentro come un burattino, fra cento rimproveri e mille osservazioni. Non ho neppure più il co­raggio di starnutire, per paura d'essere accusato di sollevare polvere e di diffondere microbi.

Sandra — (acida) E allora?... Che vuoi fare?

Alberto — Per ora non lo so, ma... (afferra dolcemente Sandra per le braccia, e la tiene dinanzi a sé. Affettuoso) Sandra, guardiamoci negli occhi... Sono due anni che siamo spo­sati. Il primo anno è stato un paradiso, senza... (con un cen­no del capo indica Erminia).

Erminia — (melodrammatica) Ma un anno fa, purtroppo, è man­cato il mio povero Temistocle, e... (soffoca un singhiozzo nel fazzoletto).

Sandra — (a Alberto) Potevo lasciarla sola?

Alberto — (s'allontana da Sandra) Sì!... Potevi, e... «dovevi», perché è ancora giovane, e vedrai che presto o tardi si ri­sposerà.

Erminia — (c.s.) Mai!... Temistocle!... Solo Temistocle era ca­pace di comprendermi.

Alberto — ...e sopportarti. Sandra — Alberto!

Alberto — (a Erminia) Anche Temistocle era costretto a non fare un passo in casa senza le pantofole, a non sedersi per non «rovinare» qualcosa, a non appoggiarsi sui cuscini, a non-non-non... A non vivere, insomma?

Erminia — Certo.

Alberto — Allora Temistocle è morto felice! (Erminia vorreb­be obiettare, ma Alberto glielo impedisce) Eh, no!... Io vo­glio vivere! (A Sandra, sincero) Con te, Sandra. Con la Sandra che ho sposato due anni fa, e che non era quella che cir­cola da un anno in questa casa. Altrimenti... (e tace).

Sandra — (aggressiva) «Altrimenti»?...

Alberto — Mi rammarico di aver detto «sì» davanti al curato.

Sandra — (sarcastica) Macché curato!... Non ti ricordi nem­meno che il curato era ammalato, e che ci sposò don Severino.

Alberto — Ah sì, adesso ricordo: don Severino. Mah!... Sarà perché preferivo che ci sposasse don Gerolamo, il curato, che mi conosceva fin da ragazzo, ma quel don Severino non mi piaceva. Meno male che se n'è andato presto.

Erminia — (maligna, a Sandra, indicando Alberto) Ha pure il coraggio di criticare quel simpatico e intelligente giovane sa­cerdote che quella mattina, per giunta, era più bello dello spo­so (indica Alberto, il quale vorrebbe obiettare qualcosa, ma non può, perché Erminia prosegue) Sissignore!... Pallido, ve­stito di nero... Sembravi un condannato a morte.

Alberto — (ironico) «A morte», no; ma all'ergastolo... (an­nuisce).

Sandra — Lo senti, mamma?... Mi insulta continuamente.

Erminia — La colpa è tua, che gli hai permesso di cominciare! Se fosse mio marito... La buon'anima di tuo padre, in casa, non si permetteva neanche di tossire.

Sandra — Papà era un uomo buono, mite.

Erminia — E così viveva in pace.

Alberto — (ironico) Mai come ora (indica il soffitto).

Sandra — Ti proibisco!...

Alberto — (esasperato) Cosa?... Cos'altro mi proibisci?... (si toglie rapidamente le pantofole e infila le scarpe).

Sandra — Dove vai?

Alberto — Oh, non farti... Non fatevi l'illusione che me ne va­da chissà dove. Vado solo via da qui... Me ne vado da... (è vicino alla porta di fondo) ...da questo inferno nel quale ci sono le (indica le due donne) «diavolesse», ma al posto delle fiamme ci sono (le indica per terra) le pantofole! (Ed esce al fondo).

Erminia e Sandra — (si guardano e fanno spallucce, manife­stando così la loro indifferenza, mentre si sente bussare alla porta di destra).

Sandra — (rivolta a destra) Sì?...

Cesare — (fa capolino alla porta. È avvocato e può avere qualsiasi età oltre i 25 anni. Tipo simpatico e cordiale) È per­messo?

Sandra — Venga, avvocato Merloni.

Cesare — (entra e si ferma sulla soglia della porta. Tiene in mano un giornale quotidiano) Grazie.

Erminia — Si è pulite le scarpe?

Cesare — Molto. Sia sul tappeto dinanzi all'entrata dell'uffi­cio, sia sullo zerbino tra l'ufficio e qui (indica il pavimento alle sue spalle).

Erminia — (secca) Allora può entrare.

Cesare — (avanza) Grazie, e buongiorno alle gentili signore.

Erminia e Sandra — (borbottano) Buongiorno.

Cesare — Alberto?

Sandra — È uscito (indica la porta di fondo) un momento fa.

Erminia — (maligna) Lei, avvocato, potrebbe aspettarlo in uf­ficio.

Cesare — (sorride) No-no... Sono il consulente legale della sua (indica a destra) Agenzia d'assicurazioni, ma non mi sono precipitato qui per parlargli di lavoro.

Erminia — (acida) Voleva forse invitarlo ad andare nel solito circolo dei viziosi e oziosi del paese?

Cesare — (sorride) Veramente, signora, un circolo ricreativo per agricoltori e braccianti... Per giunta all'ombra del cam­panile... Non è un luogo di... «perdizione».

Sandra — Comunque lei, avvocato Merloni... Scusi se glielo faccio osservare, ma potrebbe limitare la sua presenza nel­l'Agenzia di mio marito al minimo necessario per sbrigare le pratiche legali.

Cesare — (paziente) D'accordo, signora. Ma io e Alberto sia­mo anche amici. Gli ho pure fatto da testimone di nozze.

Erminia — Personalmente vedrei meglio la sua amicizia con mio genero se anche lei, avvocato, fosse sposato.

Cesare — Destino, signora... Non ho ancora incontrato la co­siddetta «anima gemella». (Ironico) Se in questo piccolo cen-tro, invece, ci fosse un'altra donna come sua figlia, con una madre come lei... scapperei! Cioè, volevo dire «non me la lascerei scappare». In ogni caso starei molto attento, e pren­derei tutte le precauzioni possibili.

Sandra — «Precauzioni»?... (Cesare annuisce) Non capisco che vuol dire.

Cesare — Dunque... (indica il giornale) ...non hanno letto.

Erminia — S'immagini se noi due abbiamo tempo di leggere il giornale!...

Sandra — Solo la pulizia ci porta via l'intera giornata. (Indica il giornale) C'è qualcosa d'importante?

Cesare — Direi di sì. (Le dà il giornale e le indica un articolo) Legga qui.

Sandra — (legge) «Falso sacerdote arrestato». (A Cesare) Embè?... È accaduto a mille chilometri da noi. Quale impor­tanza ha?

Cesare — Legga-legga... E capirà.

Sandra — (legge) «Michele Baretti, truffatore pregiudicato di anni 30, è stato arrestato nella parrocchia dei Santi Martiri. Dalle prime indagini risulta che indossava abusivamente la veste talare, e che si faceva chiamare don Severino. Egli avrebbe ingannato diversi ingenui curati di campagna, per appropriarsi di tutto il denaro contante possibile. Del resto una certa pratica acquisita in un seminario, dal quale era stato espulso per indegnità, gli consentiva di celebrare con discre­ta disinvoltura alcune funzioni. Pare che un paio d'anni fa abbia addirittura sostituito don Gerolamo Zucchi, curato di...» (non dice il nome del paese, ma solleva lo sguardo dal giornale e dice sconcertata) Il nostro. (Riprende a leggere) «...svolgendo per circa un mese tutti i compiti del parroco ammalato. Infatti l'arresto e la confessione di Michele Ba­retti, ex-falso don Severino, porteranno scompiglio in parec­chie famiglie di...» (idem c.s., e sempre più disorientata sus­surra) Qui. (Restituisce il giornale a Cesare) Ma... perché?

Erminia — Ecco... Lei che è pratico... Che è il suo mestiere, insomma... Ci spieghi quali saranno le eventuali conseguenze.

Cesare — Non vorrei sbagliare, ma dei sacramenti amministrati da chi non è veramente sacerdote può essere valido soltanto il battesimo, se è dato con l'intenzione giusta. Ma...

Sandra e Erminia — (preoccupate) «Ma»?...

Cesare — Ma il suo (indica Sandra) matrimonio con Alberto... (scuote negativamente il capo).

Sandra — (allarmata) Il mio matrimonio?...

Cesare — (annuisce) ...è grave.

Erminia — (al/armata) Pe-pe... Pe-perché?

Cesare — È... nullo.

Sandra e Erminia — (boccheggianti) Nullo?!?...

Cesare — (annuisce) Senza il minimo dubbio.

Sandra — Però, anche se ci siamo sposati in chiesa, è stato re­gistrato in Municipio, dall'ufficio Stato civile.

Cesare — Naturalmente.

Erminia — Quindi è tutto a posto, tutto in regola, tutto valido.

Cesare — (scuote negativamente il capo).

Sandra — Per quale ragione?

Cesare — «Vizio di forma». Un importante e inconfutabile «vi­zio di forma» che annulla il primo atto, ovvero il matrimo­nio in chiesa, e di conseguenza annulla anche il secondo at­to, ossia la registrazione allo Stato civile.

Erminia — (dopo una breve pausa, durante la quale — come Sandra —freme di rabbia e si torce le mani, esclama) Il cu­rato, don Gerolamo!... Andiamo subito a sentire lui! (E si lancerebbe verso la porta di fondo, così com 'è in pantofole, se non la fermasse)

Cesare — (che scuote negativamente il capo, e dice) Inutile.

Erminia — Lo dice lei!

Cesare — Sì. Lo dico io che gli ho già parlato, prima di venire qui. Mi ha ricevuto proprio perché ero io, e mi conosce be­ne. (Una pausa) Poverino... Il curato è distrutto. Da ieri, quando questa notizia (indica il giornale che tiene in mano) è rimbalzata da una telescrivente all'altra, il telefono di don Gerolamo squilla in continuazione. E numerosi giornalisti e fotografi insistono per essere ricevuti, per ottenere delle di­chiarazioni, per fotografarlo. (Scuote negativamente il ca­po) Il nostro anziano e buon curato è veramente stordito, inebetito, disperato.

Erminia — E cosa dice?

Cesare — Dice-dice... Balbetta. Farfuglia che lo addolora il disorientamento che proveranno diversi parrocchiani. In com­penso don Gerolamo ringrazia il Cielo che l'unico matrimo­nio celebrato durante la sua malattia da quel falso sacerdote è stato quello di Alberto con lei (indica Sandra).

Sandra — Sì, ma non capisco per quale motivo ringrazi il Cielo.

Cesare — Molto semplice, direi. Se quell'unico matrimonio ora nullo fosse stato di due persone che magari... anche solo al­la distanza di due anni... non vanno più d'accordo, qualcu­no potrebbe approfittare della situazione.

Erminia — «Approfittare»... come?

Cesare — Molto semplice pure questo, direi. Tanto la signora (indica Sandra) quanto Alberto, se volessero... Ripeto: «se volessero»... potrebbero considerarsi liberi da ogni recipro­co vincolo matrimoniale.

Sandra e Erminia — (allibite, ma testarde) Impossibile!

Alberto — (appare e si ferma sulla soglia della porta di fondo: sorride con espressione sarcastica e aria trionfante, batten­do sulla palma della sua mano sinistra un giornale quotidia­no, o meglio il medesimo che ha Cesare).

Cesare — (ironico, indicando Alberto) Possibile-possibile.

Sandra — (timorosa, indica il giornale di Alberto) Hai... Hai letto?

Alberto — (frenando a fatica la grande soddisfazione con toni che, d'ora in poi, saranno sempre sarcastici e pungenti nei confronti delle due donne) Parola per parola... Almeno die­ci volte.

Sandra — E... cosa ne dici?

Alberto — Mah!... Vedendo la faccia che ha tua madre, sup­pongo che Cesare, cioè l'avvocato Merloni, vi abbia già an­che spiegato qual è la logica e giuridica... «conseguenza».

Sandra — (fa l'atto dì avvicinarsi ad Alberto con atteggiamen­to affettuoso e conciliante, dicendo) Suvvia, Alberto... (ma bruscamente, afferrandola per un braccio, la trattiene)

Erminia — Non chiedere pietà!... Da questo momento ritorni a essere mia figlia, soltanto la mia bambina.

Alberto — Perfettamente giusto. (Fa un passo avanti, poi si ferma) Le pantofole!... (E subito) No!... Considerato che non ho camminato sopra del letame, ma sul marciapiede; e che prima di entrare in casa mi sono nettato le suole sul tappe­to... No! Tengo le scarpe, e (saltella di gioia qua e là) cammino-cammino-cammino su questo pavimento. (Si fer­ma e sospira) Bello, eh?... Che piacere!...

Cesare — (a disagio) Io, veramente, avrei da fare diverse cose, e... (indica la porta di destra, per significare «me ne vado»)

Alberto — Nossignore!... Anzi, ti prego di rimanere. Prima di tutto perché sei un amico, poi perché potresti essere utile per «illuminare» le gentili signore (indica Erminia e Sandra) sulle affascinanti «sfumature» della giurisprudenza, ovvero della scienza del diritto e delle leggi.

Cesare — Sinceramente non vorrei che...

Sandra — (interrompe, gentile) Rimanga, avvocato. La prego anch'io. (Ad Alberto) Dal tuo comportamento direi che tu

conosci già qual è la... «conseguenza» di quanto riferisce il giornale.

Alberto — Sì. (A Cesare) Ho incontrato Vincenzo al bar... (A Sandra) L'avvocato Vincenzo Valdieri, suo (indica Cesare) collega e nostro amico. Mi ha spiegato ampiamente ogni co­sa. Dall'arresto del falso don Severino, insomma, io non so­no più niente per te. Non potrei neanche più essere il tuo fi­danzato.

Sandra — Perché?

Alberto — È lampante!... (A Cesare) Spiegaglielo tu.

Cesare — Beh... Siccome Alberto è stato per due anni suo ma­rito... «a tutti gli effetti», come potrebbe — adesso — di­ventare il suo «fidanzato»?

Alberto — (allarga le braccia, come per dirle «Esatto») Eh!... Per due anni siamo vissuti sotto il medesimo tetto. Ora sa­rebbe impossibile sopportare un... un...

Erminia — (prosegue) ...gendarme come me. Questo volevi dire?

Alberto — Forse..., signora.

Erminia — (rivolta agli altri, indignata) Mi chiama «signora»!...

Alberto — Eccome!... Lei non è mica più mia suocera.

Erminia — (colpita, fuori di sé) È il colmo che... Ah, mi sento male (barcolla).

Sandra — (sostiene Erminia, e vorrebbe farla sedere).

Alberto — (urla) No!

Sandra — Perché?

Alberto — Si guasta... (secondo dove stava per sedersi Erminia, dire «la fodera della sedia» - «la stoffa» o «la pelle del­la poltrona» o «del divano»).

Sandra — (fa spallucce e fa sedere Erminia) Vado a prenderti un bicchiere d'acqua.

Erminia — (scrolla negativamente il capo) Sto già bene. (Si alza in piedi e si rivolge a Cesare) Lei che ne dice?

Cesare — La cosa migliore, a mio avviso, sarebbe fare una «pau­sa di riflessione».

Sandra — Si spieghi, per favore.

Cesare — La signora (indica Erminia) potrebbe ritornare nella casa dove viveva con il suo povero marito. (A Erminia) È appena fuori dal paese e sempre a sua disposizione, vero?

Erminia — Sì, ma io non sono il tipo che abbandona il campo di battaglia.

Cesare — Appena il tempo necessario per sbrigare tutte le for­malità, ovvero l'adempimento delle pratiche indispensabili per rifare il matrimonio. Naturalmente dovrebbe accompa­gnarla sua figlia.

Sandra — Io tornare nella mia casa da signorina, come una mo­glie scacciata dal marito?... Mai! Io resto qui. E se a mio marito... Pardon! Al «signor Alberto» dà fastidio la mia pre­senza, se ne vada lui.

Alberto — Un momento!... Questo appartamento comunica con la mia Agenzia d'assicurazioni. È assurdo che deva andar­mene io!

Cesare — (a Sandra, indicando Alberto) Non ha torto, e...

Sandra — (interrompe) Ma è altrettanto assurdo che dopo es­sere stati entrambi qui, più o meno d'accordo, per due anni, non si possa restarci qualche altro giorno ancora, sino a quan­do saranno sbrigate le cosiddette «formalità». Non le pare, avvocato?

Cesare — Beh.. Per me non ci sarebbe nulla di strano, ma ca­pirà, signora... «Paese piccolo... Gente mormora...». Di là (indica a destra), in ufficio, c'è pure un'impiegata, cioè un'e­stranea che potrebbe capire, vedere, parlare... Lei e lui (in­dica Alberto), sotto il medesimo tetto, di giorno... e di notte.

Sandra — (sbotta) Ma è mio marito!

Alberto — (scuote negativamente il capo) C'è il vizio.

Sandra — (aggressiva) Quale vizio?

Alberto — «Di forma». Infatti, che io fossi tuo marito, ti sem­brava, credevi... (Sandra lo fulmina con un'occhiataccia. A Cesare) Diglielo tu.

Cesare — L'avevo già accennato, il «vizio di forma». Vede, si­gnora... Supponendo che Alberto fosse pensionato, e che in questo momento gli venisse un accidente... (Alberto, con una mano, gli fa scherzosamente «le corna») Lei non avrebbe di­ritto alla reversibilità della pensione.

Sandra — E mio marito... Pardon! Il «signor Alberto», che cosa ci perde?

Cesare — La moglie... provvisoriamente.

Sandra — (esasperata) Macché «provvisoriamente»!... Glielo chieda. Sentirà che gliene importa di perdere la moglie. Lo guardi, lo guardi! Sprizza gioia da tutti i pori.

Cesare — Signora si calmi, e rifletta.

Sandra — Che vuole che rifletta?... Sono maritata, e... non lo sono più.

Erminia — Proprio!... È maritata, e... non lo è.

Sandra — Non sono signorina, e non sono... zitella.

Erminia — Sembra un indovinello.

Sandra — Sono stata sposata, non lo sono più, e non sono... vedova.

Alberto — Meno male!

Sandra — Qui sono anche la padrona, ma dovrei... andarmene.

Cesare — Mi consenta di sottolinearle che, per il momento, sa­rebbe l'unica soluzione ragionevole.

Sandra — Lo crede davvero?

Cesare — (annuisce) ...per prevenire le chiacchiere, i pettego­lezzi.

Alberto — (a Sandra, indicando Cesare) Ha ragione.

Sandra — Sentitelo, questo impostore!... Questo Giuda!... «Ha ragione», dice. Perché qui vorrebbe fare il comodo suo, spa­droneggiare. (Ad Alberto) Mi hai preso per una scema?...

Alberto — No, ma...

Sandra — (interrompe) Puoi chiamare la polizia, i carabinieri, altri cento avvocati, ma io — da qui — non mi muovo!

Alberto — Sei testarda, però!

Sandra — Più di un mulo, «signor Alberto»!... Invece tu vor­resti restare qui solo, vero?... Sì, carino!... Magari a fare il comodo tuo con quella là (indica a destra), la mia «sostituta».

Luisella — (s'affaccia bruscamente alla porta di destra) Io non c'entro nei loro pasticci!

Sandra — Ascoltava dietro la porta?

Luisella — Sì!... Ma non sarebbe stato necessario, perché (iro­nica) i toni della sua (indica Sandra) «dolce» voce erano così «forti» che anche dall'ufficio (indica alle sue spalle) non si perdeva una parola.

Sandra — Impertinente!... Si consideri licenziata!

Luisella — Scusi, «signorina». (A Sandra) Dico a lei, «signori­na». Il suo licenziamento, a prescindere da qualsiasi altra con­siderazione d'indole sindacale, non ha alcun valore.

Erminia — Come no?... Mia figlia...

Luisella — (interrompe, sarcastica) Io sono stata assunta dal... (indica Alberto) «signorino», e lei (indica Sandra) non può essere «la signora» del «signorino». (A Cesare) Per favore, glielo confermi lei, avvocato.

Sandra — (ad Alberto) E tu ci lasci trattare così?

Alberto — Mi spiace, ma capirai... Adesso che non ho più la vostra (indica Sandra ed Erminia, ironico) «preziosa» assi­stenza e collaborazione, bisogna che mi tenga ben preziosa la signorina Luisella.

Luisella — Grazie, signorino. (Civettuola e attraente) Sia in uf­ficio, sia qui in casa, mi consideri a sua disposizione... ventiquattr'ore su ventiquattro (guarda Alberto con occhi dol­ci, e Alberto la contraccambia con la medesima espressione).

Sandra — (osserva, freme e sbotta) Mamma!...

Erminia — Sono al tuo fianco, bambina.

Sandra — (decisa) Andiamo!

Alberto — (contento) Allora te ne vai?

Sandra — Perché?

Alberto — Hai detto «Mamma!... Andiamo!».

Sandra — E lo ripeto: «Mamma, andiamo!». Andiamo a but­tare giù la pasta. (Fa uno sberleffo, ovvero una smorfia di scherno ad Alberto, ed esce impettita a sinistra, seguita da)

Erminia — (che fa il medesimo sberleffo ad Alberto, mentre gli altri osservano allibiti, e il sipario si chiude).


ATTO SECONDO

Intorno alla mezzanotte della medesima giornata in cui so­no accaduti i fatti del primo atto. In scena, all'aprirsi del sipa­rio, ci sono Erminia e Sandra.

Erminia — (seduta al margine di una sedia, o di una poltrona, sfoglia nervosamente le pagine di un rotocalco).

Sandra — (cammina avanti e indietro, evidentemente nervosa, guardando sovente l'ora e torcendosi le mani).

Erminia — (dopo qualche momento, sottovoce, concitata, sino a nuovo avviso) Sandra, per favore fermati. Sembri una belva in gabbia.

Sandra — (fremente, ma sottovoce, concitata, sino a nuovo av­viso) E «belva» sono!... Eccome, dopo quanto è accaduto stamani!

Erminia — Comunque devi mantenere, e soprattutto «ostenta­re», una grande calma, frutto di altrettanta indifferenza. Im­para da me, diamine!, che sono tranquillamente seduta.

Sandra — «Tranquillamente»?!?... Ma se stai seduta sopra un angolino, come se fossi sul carboni ardenti.

Erminia — Ho i nervi tesi anch'io, sì, lo ammetto. Però mi con­trollo.

Sandra — Io no!... (Guarda l'ora) È mezzanotte passata, capisci?... Da quando siamo sposati... Cioè! Da quando «crede­vo» d'averlo sposato non è mai stato fuori sino a così tardi. E per giunta senza di me!

Erminia — Dovevi pretendere d'andargli insieme.

Sandra — Ho tentato... Ho pure insistito... E lui mi ha detto: (rifà il verso ad Alberto) «Ma cara... Ho un'Agenzia d'assi­curazioni, io... In paese devo mantenere una certa dignità, un certo contegno... Non posso farmi vedere in giro, e di not­te, con una donna che non è mia moglie». (Indispettita. Vo­ce normale) Ipocrita!... Si burla di me, ma me la pagherà!... Ah, come la pagherà!

Erminia — (indica a destra) Ssst!... Sennò «quella» ti sente e riferisce.

Sandra — (di nuovo sottovoce) Dimmi tu se era il caso... «quel­la» (indica a destra) di trovare la scusa che i suoi genitori sono ospiti di una parente al mare, e che lei ha paura di tra­scorrere la notte sola in casa... e lui, Alberto, di offrirle la possibilità di dormire sul divano, in ufficio... Si direbbe che si sono accordati per farmi infuriare!

Erminia — (annuisce, poi balza in piedi allarmata dalla sua idea, e urla) Sandra!

Sandra — Cosa?

Erminia — «Quella» (indica a destra) potrebbe essere chissà dove con il tuo ex-marito.

Sandra — (allarmata) È vero!... Infatti è dalle nove, quando lui è uscito da qui (ìndica la porta dì fondo), che lei s'è riti­rata di là (indica la porta di destra).

Erminia — Controlliamo se c'è?

Sandra — Sì.

Erminia — Chiamala.

Sandra — Chiamala tu.

Erminia — La moglie «ex» del suo principale sei tu.

Sandra — Ho capito: non osi. (Va ad aprire la porta di destra e si rivolge all'interno, chiamando) Signorina!... Signorina Luisella!...

Luisella — (dall'esterno) Sì?...

Sandra — Venga un momento di qua, per favore. Naturalmente se non sta dormendo. Cioè! Volevo dire «se non la disturba».

Luisella — (c.s.) Affatto. Vengo subito. (Sandra s'allontana dalla porta di destra, dalla quale — dopo un momento — entra Luisella).

Sandra — Credevo che fosse andata a casa a prendersi qualco­sa per la notte.

Luisella — Effettivamente ci sono andata alle sei, appena chiusa l'Agenzia. Ho infilato in una borsa pigiama-spazzolino-dentifricio-saponetta-asciugamani, e alle sette ero di nuovo di là (indica a destra). Alle otto il ragioniere mi ha gentil­mente invitata di qua a cena con loro, e... È tutto.

Erminia — (voce normale, ma ipocrita) S'accomodi.

Luisella — Grazie. (Siede. Erminia e Sandra siedono di fronte a lei).

Sandra — (dopo un momento di evidente, reciproco disagio) Oggi c'è stato veramente un bel sole, eh?...

Luisella — Luminoso...

Erminia — Più che tiepido...

Sandra — Un sole primaverile che preannuncia una estate calda.

Luisella — Eh sì.

Erminia — Non c'è alcun dubbio.

Sandra — (annuisce e, dopo un altro momento di evidente, re­ciproco disagio) Uscendo, alle sei, ha... Ha parlato con qualcuno?

Luisella — Sì.

Erminia — Con chi?

Luisella — Col mio ragazzo.

Erminia — (sorpresa, scandalizzata) Lei, così giovane, ha già un figlio grande?

Sandra — Ma no, mamma... Le signorine moderne come Luisella chiamano «ragazzo» il loro... (Rivolta a Luisella) Di­ciamo «fidanzato»?

Luisella — Beh... Forse... Sì, ci fidanzeremo. Ma per adesso posso solo dire che è il mio ragazzo.

Erminia — (ipocrita) Interessante... E il suo... «ragazzo», sa­peva già?

Luisella — (finta tonta) Che cosa, signora?

Erminia — Suvvia, «signorina moderna»... Non faccia l'in­genua.

Luisella — Ah, ho capito (sorride).

Sandra — Perché sorride?

Luisella — Io sorrido, ma tanti altri ridono.

Sandra — Tanti?

Luisella — (annuisce) Capirà che un caso simile non succede sovente. Soprattutto in un paese come il nostro. Diversi mi hanno fermata. Sanno che sono impiegata nell'Agenzia del «signorino», e allora...

Erminia — (interrompe, a denti stretti) Per cortesia, lo chiami «ragioniere».

Sandra — E cosa volevano sapere le persone che l'hanno inter­pellata?

Luisella — Come lei e sua madre avevano «incassato» il colpo.

Erminia — (non comprende il significato) «Incassato»?!?...

Sandra — Significa «preso», «ricevuto», in gergo pugilistico.

Erminia — Tu come l'hai imparato?

Sandra — Dalla televisione, quando ho assistito a certi incon­tri pugilistici, per fare compagnia ad Alberto.

Erminia — Ah. (A Luisella) E lei come ha detto che abbiamo... «incassato»?

Luisella — Possono immaginarlo.

Sandra — Sì, ma ci farebbe piacere avere una conferma.

Luisella — Ho cominciato col dire che proprio d'amore e d'ac­cordo, da un po' di tempo, in questa casa non si viveva. (Ma­liziosa) Ho sbagliato?

Sandra — (si alza e si sposta, a disagio) Per la verità... no. Ma non ci divide nulla d'importante.

Luisella — (ironica) Neppure la signora (indica Erminia) è... «importante»?

Erminia — (furfante, lancia a Sandra occhiate di disappunto).

Luisella — Poi ho solo detto che loro due, alla notizia che il ragioniere era ridiventato «signorino» sono restate di sasso, allibite, a bocca aperta. (Sorride) Ed è un guaio anche per me.

Erminia — (balza in piedi) Cosa c'entra, lei?

Luisella— È quanto dico anch'io, ma è tremendamente diffi­cile convincere il mio ragazzo. Lui dice che gli andava bene sino a quando il mio principale era sposato. Ma adesso che è scapolo gli dà fastidio. Insomma, (sorride) la gelosia è sem­pre di moda.

Sandra — (maligna) Direi che il suo «ragazzo» ha tutte le ra­gioni per preoccuparsi.

Luisella — (si alza) Si sbaglia!

Sandra — Forse. Comunque è perlomeno strano che lei, stase­ra durante la cena con noi, si sia offerta di fare a mio marito — oltre che l'impiegata-segretaria — anche... diciamo la «go­vernante».

Luisella — (ipocrita) Soltanto perché il ragioniere, improvvi­samente solo e abbandonato, mi fa tenerezza.

Erminia — Macché «solo e abbandonato»!... Ci siamo noi! (In­dica se stessa e Sandra).

Luisella — (c.s.) Però lei (indica Sandra) non può stargli vici­no, altrimenti fa una brutta figura; e lei (indica Erminia) è diventata un'estranea più di me.

Sandra — (esasperata) Sta bene!... Gli faccia pure da governante-cameriera-serva... magari anche da «baby-sitter». A me non importa niente!

Alberto — (entra dalla porta di fondo, seguito da Cesare. So­no entrambi un po' brilli e sorridono tranquilli, beati. Si com­prende che hanno festeggiato con gli amici) Salve!... (A Cesare)

Altro che «solo»!... Da quando sono di nuovo scapolo ho tre donne (le indica) che mi aspettano!... (Ride) Un pa­scià!... Mi sento un pascià!... Peccato che, oltre le donne, non abbia anche il petrolio!... (Ride e avanza un po' malfer­mo sulle gambe).

Cesare — (avanza anch'egli un po' malfermo sulle gambe) Buonasera. Cioè! Buonanotte. (Ride) Abbiamo fatto un po' tardi.

Alberto — Non è vero!... (Con un sospiro s'abbandona sopra una sedia o una poltrona).

Cesare — (ride, e si rivolge a Sandra e Erminia) Ha ragione lui! (indica Alberto e ride).

Sandra — (a Cesare) Mi stupisco, avvocato, di vederla in que­ste condizioni.

Cesare — (ride) E io mi stupisco che lei... si stupisca! (ride con)

Alberto — (il quale guarda verso il fondo) E Gerardo?... Ci ha abbandonati, Gerardo?

Cesare — Nooo... È andato a parcheggiare la macchina.

Sandra — (ad Alberto) Hai invitato gente in casa a quest'ora?

Alberto — Non «gente»... Cesare, che è un amico e un colla­boratore; e Gerardo, che è un amico. D'altronde... che ora è?

Sandra — (guarda l'ora) Mezzanotte e un quarto.

Alberto — Sul serio? (Sandra annuisce) Accidenti come corre il tempo, quando si è... (s'interrompe e cerca di correggersi) ...Si è...

Erminia — (prosegue a denti stretti) ...«allegri», eh?

Alberto — No. Non «allegri». (Una pausa) «Felici». «Fe-li-ci».

Sandra — (fremente, per allontanare Luisella) Hai bisogno della signorina? (indica Luisella).

Alberto — No... (pungente) ...«per ora».

Luisella — Allora vado. (S'avvia verso destra, poi si ferma. Ad Alberto) Semmai mi chiami. (Idem come prima, e malizio­sa) A qualunque ora, e per qualsiasi motivo. (Alberto le sor­ride e annuisce) Buonanotte a tutti (esce a destra).

Sandra — (dopo un momento d'imbarazzo, ad Alberto) Tu, da stanotte... (e tace, torcendosi le mani).

Alberto — Di' pure.

Sandra — (in fretta, quasi in modo incomprensibile) Dormirai nella camera di mamma.

Alberto — (che non ha capito) Che hai detto?

Sandra — (esita a parlare. Allora interviene)

Erminia — (a Sandra) Glielo dico io! (Ad Alberto) «Lei», da stanotte, dormirà nella mia camera (indica il fondo).

Alberto — (divertito) Ah!... (ironico) E «lei», «signora», tor­nerà a casa sua?

Erminia — «Le» piacerebbe, eh?... (Alberto allarga le braccia). Non lo speri!... Dormirò con mia figlia (indica a sinistra).

Sandra — (ad Alberto) Ti dispiace?

Alberto — Al contrario... Più che giusto.

Sandra — (indispettita) Allora... buonanotte! (Ed esce a sini­stra, seguita da Erminia a testa alta, impettita).

Cesare — (sorpreso) E me?... Non mi hanno neppure fatto un cenno del capo. (Scuote negativamente il capo, e sospira) Mah!... Io sono scapolo, forse non me ne intendo di queste situazioni piuttosto delicate e costellate di picche e ripicche... Però direi che tu fai male a soffiare sul fuoco.

Alberto — E io sai che ti dico?... Una saggezza vecchia di se­coli. «Non mettere il dito fra moglie e marito».

Cesare — (risentito) Se vuoi sparisco anche subito.

Alberto — No, Cesare!... Non sei tu che metti il proverbiale «dito» fra me e Sandra.

Cesare — Meno male. Allora chi è che lo mette?

Alberto — La suocera, perdiana!... E bada che non sto sfo­gando rancore di nessun genere contro la madre di Sandra. Approfitto solamente dell'occasione che mi offre il caso.

Cesare — Dunque vuoi proprio ritornare scapolo?

Alberto — (sogghigna) Si vedrà.

Gerardo — (dall'esterno, al fondo) Porta aperta, libero pas­saggio!... (Entra dal fondo, sorridente. È un simpatico, ai­tante ed elegante scapolo sui 25-30 anni).

Alberto — Adesso l'hai chiusa?

Gerardo — Certo. (Divertito) Allora?... Come va la «guer­ra»?... (Si guarda intorno) Non vedo segni sul «campo di bat­taglia».

Alberto — Cosa volete bere?

Gerardo — (s'abbandona sopra una sedia o su una poltrona) Io, niente. Sono pieno sino all'orlo!... (Ride e indica la pro­pria fronte).

Cesare — Basta anche per me. Posso sedere?

Alberto — Come no?... Da dodici ore, in questa casa, c'è la libertà? (Cesare siede).

Gerardo — Ve l'immaginate cosa accadrebbe in paese se il sa­cerdote fasullo, anziché essere stato quel don Severino che ha sposato solo te (indica Alberto) e Sandra, fosse stato il nostro curato don Gerolamo, il quale sposa gente da quarant'anni? (Ride).

Cesare — Succederebbe il finimondo!... Tutti scapoli e nubili, magari con mezza dozzina di figli e uno stormo di nipoti!... Per carità, non supponiamolo neppure per scherzo.

Gerardo — Tanto più che io e Cesare, che scapoli autentici sia­mo, avremmo troppa... «concorrenza». (Ride e si guarda in­torno) E la... «signorina» tua moglie è già... «sparita»?

Alberto — Parla sottovoce, che è andata a dormire... (indica a sinistra) ...con sua madre.

Gerardo — (ironico e malizioso) E tu, poverino, andrai a dor­mire di là (indica a destra), dove mi hai detto che c'è quella cara-dolce-bella Luisella che di notte ha tanta paura? Alberto — Però!... Non hai mica torto.

Cesare — (serio) Non dite sciocchezze, tutt'e due!... (Ad Al­berto) Sino a quando si tratta di aiutarti a cogliere al volo un'opportunità, per ritrovare la serenità d'una vita in due, senza una certa... «appendice», ovvero «un dito fra moglie e marito», io sono tuo alleato. Ma non dimenticare che, per te, deve esistere una sola donna.

Alberto — (divertito) Quale?

Cesare — La moglie.

Alberto — (c.s.) Quando l'avrò!... Non hai sentito che l'intero paese mi chiama «signorino»?

Cesare — Per burla, gli amici.

Alberto — No-no... Anche qualche «aspirante suocera». Sai... Partiti come me si contano sulle dita nell'intera provincia.

Gerardo — (ad Alberto) Non dare retta a questo... (indica Cesare) ...«traditore».

Sandra — (entra da sinistra, in graziosa veste da camera. Per giunta, sìa una più adatta pettinatura, sia un accorto ed ef­ficace trucco del viso, la fanno apparire molto diversa da pri­ma, ovvero attraente, affascinante, incantevole. L'atteggia­mento, inoltre, è estremamente femmineo, quasi provocan­te; e i toni della sua voce sono armoniosamente carezzevoli, vellutati, suadenti) Oh!... Mi spiace disturbarvi.

Gerardo e Cesare — (colpiti dall'avvenenza di Sandra, guardandola incantati, si alzano lentamente in piedi, e farfuglia­no) Buo-buo... Buo-buonasera.

Sandra — (sorride) Carini!.. Forse sarebbe meglio che mi au­gurassero la buona «notte».

Gerardo — (confuso) Eh sì... Buo-buo... Buo-buonanotte.

Cesare — (confuso) An-an... An-anch'io le auguro buo-buo... buo-buonanotte.

Alberto — (seccato, si alza, facendo il verso ai due) «Buo-buo»... «Buo-buonanotte», sì!

Sandra — (a Gerardo) Visto quale «fortuna» ha avuto mio ma­rito?... (Ad Alberto, ironica) Come un bel «tredici» a! To­tocalcio, vero caro?...

Alberto — Già.

Sandra — (a Gerardo e Cesare) E se fosse stata una fortuna anche per me, poter rimediare a un errore di due anni fa?... (A Gerardo) Sono forse così brutta e antipatica da gettare via?

Gerardo — (emozionato, imbambolato) Oh, no...

Sandra — (a Cesare) E per lei?

Cesare — (emozionato, imbambolato) Ne-ne... Ne-neppure, si­gnora.

Sandra — Eh no!... «Signorina» sono e «signorina» desidero essere chiamata. Altrimenti mi sentirei colpevole di chissà che cosa. (Ad Alberto, ironica) Dico bene, caro? (Alberto alza le spalle. Sandra lo indica) Visto?... Di me non gliene im­porta più niente. Quindi sono proprio libera, indipendente, senza nessun controllo, nessuna paura.

Alberto — (agli amici) Non datele retta. Il dispetto... Solo il dispetto la fa parlare così.

Sandra — Errore, caro. Sarebbe troppo facile... Come dire?... «Riconquistarti» in questo modo. E adesso... andate.

Gerardo — (guardandola imbambolato, implora) Nooo...

Cesare — (guardandola imbambolato, sospira) Dove, più bel­lo di qui?

Alberto — (contrariato dall'atteggiamento degli amici, sbuffa).

Sandra — (sorride, ironica) Ma come?... Siete tre «scapoli», e chiedete a me dove potete andare?... (Ride) È il colmo!

Cesare — (dopo un momento d'imbarazzo, durante il quale — come Gerardo — s'è incantato ad ammirare Sandra, si ri­volge ad Alberto e gli dice a malincuore) Allora?... Uscia­mo?...

Alberto — (nervoso) Io no. Ho già bevuto troppo, e... sono stanco.

Cesare — (a Gerardo) E tu?... (Gerardo, che continua ad am­mirare Sandra, non sente) Gerardo!

Gerardo — (sussulta) Che vuoi?

Cesare — Dobbiamo togliere il disturbo.

Gerardo — A chi?

Cesare — (indica Sandra) Alla signora-signorina, e ad Alberto.

Gerardo — (contrariato, ma rassegnato, sospira) Va be'... (E tende la mano verso Sandra) Gentilissima...

Sandra — (gli dà la mano, e Gerardo fa l'atto di baciargliela. Sandra la ritrae) No!

Gerardo — (disorientato) Pe-perché?

Sandra — (sorride) Il galateo insegna che non si bacia la mano alle «signorine».

Gerardo — (deluso, gliela stringe) Giusto-giusto. Buonanotte. (Ad Alberto) Ciao (ed esce al fondo).

Cesare — (a Sandra, con un lieve cenno del capo) Buonanotte. (Ad Alberto) Ciao (ed esce al fondo).

Erminia — (entra a valanga da sinistra, vestita come prima) Se ne sono finalmente andati, quegli intrusi?

Alberto — Ha una bella faccia tosta, «signora», a ostentare che stava di guardia dietro la porta.

Erminia — Sempre all'erta, io!, per proteggere la mia bambina.

Alberto — Stia tranquilla che non corre alcun pericolo, la sua... «bambina». Anzi, libero entrambe, e subito!, dalla mia pre­senza. Buonanotte (s'avvia verso sinistra).

Erminia — (si pone prontamente dinanzi alla porta di sinistra, allargando le braccia) Non di qua!

Alberto — Ah, sì!... (ironico, a Sandra) Stai bene. (S'avvia al fondo. Giunto sulla soglia della porta sì rivolge a Erminia) Anche «lei», naturalmente (sorride ed esce al fondo).

Sandra — (rimane un momento soprappensiero, triste e delu­sa. Poi, senza entusiasmo, dice) Andiamo a dormire anche noi?

Erminia — Non sono mica scema!

Sandra — Che vuoi dire?

Erminia — Io dormo qui! (Indica il divano, una poltrona o una sedia).

Sandra — Non ti riposerai.

Erminia — Lo dici tu!... (Solenne) Il fante si riposa anche in trincea.

Sandra — Lo credo, ma non c'è alcun motivo che...

Erminia — (interrompe) Anche questo lo dici solo tu!... (Sottovoce, concitata) Non trovi che, con noi due di là (indica a sinistra), sarebbe estremamente facile, e comodo... (indica la porta di fondo e di destra, muovendo il braccio, come per dire «Andare da qui a là, o da là a qui?»)

Sandra — (sincera) Ma no!... Non riesco neppure a immagina­re che Alberto sarebbe capace di...

Erminia — (interrompe) Io sì!... Dunque... Ecco cosa faccio. (Prende una sedia e la mette contro la porta di fondo; idem un 'altra sedia contro la porta di destra. Indica le sedie, trion­fante) Sistema d'allarme, brevetto (si batte una mano sul pet­to) Erminia!

Sandra — (sorride) Come vuoi, mamma.

Erminia — Brava! (Le afferra il viso con le due mani sulle guance e la bacia sulla fronte) Sogni d'oro, bambina.

Sandra — Grazie, mamma. Buonanotte.

Erminia — Ciao. (Sandra esce a sinistra. Erminia siede, si rilas­sa un momento, guarda le sedie contro le due porte, sussul­ta, si alza: prende una terza sedia e la pone contro la porta di sinistra. Poi —- a se stessa, ma guardando nel vuoto verso il pubblico — esclama) Non si sa mai! (e siede, mentre si chiu­de il sipario).


ATTO TERZO

A metà mattinata del giorno seguente gli avvenimenti del se­condo atto. La tre sedie sono state tolte dalle rispettive porte. In scena, all'aprirsi del sipario, c'è

Erminia — (la quale, seduta sopra una sedia o una poltrona, sonnecchia ciondolando il capo).

Sandra — (entra da sinistra. A piacere dell'attrice che la im­persona, è vestita in un modo graziosissimo che sottolinea la sua bellezza, come la pettinatura e il trucco del viso che ha mantenuto. Vede Erminia che sonnecchia. S'innervosisce) Mamma!

Erminia — (si sveglia di soprassalto) Eh?... Chi va là?... M'ero assopita un pochino.

Sandra — Figurati!... Non fai in tempo a sederti, che già chiu­di gli occhi.

Erminia — Vorrei vederti al mio posto, dopo una notte come quella appena trascorsa.

Sandra — Non è mica successo niente. Tu sei stata sempre sveglia?

Erminia — Sempre «sveglia-sveglia», no... Ma capirai... Di not­te, anche se nessuno si muove, c'è sempre qualche piccolo rumore, qualche scricchiolio. E io... Zac! Balzavo in piedi.

Sandra — Però, dalle otto e mezza, quando Alberto è andato ad aprire l'Agenzia... (guarda l'ora) ...adesso sono le die­ci... potevi farti almeno un pisolino sul letto, di là (indica a sinistra).

Erminia — (maligna) Per dare una soddisfazione a quei due?... (indica a destra) Mai! (Si alza in piedi) Io sono come torre che non crolla allo spirar del vento. E mezz'ora fa ti ho sen­tita telefonare sottovoce. (Sandra annuisce) A chi?

Sandra — All'avvocato Cesare Merloni.

Erminia — Non ti fidare, di quello!... È troppo amico, e «al­leato», del tuo ex-marito.

Sandra — (maliziosa) Sino a un certo punto.

Erminia — Cosa gli hai detto?

Sandra — Che avevo bisogno di parlargli con urgenza. Di non farsi vedere da Alberto, e di entrare di qua (indica il fondo), dove gli avrei lasciato la porta verso strada socchiusa.

Erminia — E lui?

Sandra — È rimasto un momento perplesso... Turbato, direi, poiché taceva. Poi mi ha sussurrato... (sorride) Chissà per­ché, considerato che lui poteva parlare con voce normale... Mi ha sussurrato: «Vengo subito» con un tono di complicità che... (sorride e tace).

Erminia — Non farti illusioni!... Gli uomini, che mascalzoni!, quando si tratta di combattere contro di noi, sono sempre solidali.

Sandra — (arguta) Vedremo, vedremo... (e si passa una mano sui capelli, assumendo un'espressione maliziosa).

Erminia — (l'ha osservata, sorride e annuisce) Ah, capisco... Da stanotte, quando hai «inalberato» la veste da camera che non avevi mai indossato, i capelli sciolti, il trucco sul viso, un atteggiamento e una voce... «d'assalto», presumi che il tuo ex-marito, magari spronato dalla gelosia...

Sandra — (interrompe) No, mamma. Non presumo niente. Piut­tosto... Non ti pare che se tu tornassi nella casa di papà?... (tace).

Erminia — (decisa) Manco per idea!... Il mio posto èqui, con te.

Sandra — (vorrebbe obiettare qualcosa, ma è impedita da al­cuni leggeri colpi battuti alla porta di fondo. Concitata, ad Erminia) L'avvocato! (Va ad aprire la porta di fondo, nel cui vano appare)

Cesare — (il quale fa un sorriso forzato che sembra una smor­fia di dolore).

Sandra — (sottovoce, come parleranno i tre personaggi, sino a nuovo avviso) Venga.

Cesare — (avanza e chiude la porta alle sue spalle) Quella sulla strada l'ho già chiusa.

Sandra — Grazie.

Cesare — Ah, dimenticavo!... (Alle due donne) Buongiorno.

Erminia e Sandra — Buongiorno.

Sandra — La ringrazio d'essere venuto, e... s'accomodi.

Cesare — (timoroso) Loro sono sicure che lui... (indica a de­stra) ...non verrà di qua?

Sandra — Non è impossibile, ma è poco probabile, perché sta-mani dovrebbe capitargli in Agenzia un ispettore della So­cietà d'assicurazioni che ha preannunciato il suo arrivo da una settimana. Dunque... (gli indica una sedia o una poltro­na) ... prego (Sandra ed Erminia siedono).

Cesare — Grazie (siede).

Sandra — Mi sono permessa di disturbarla solo per conoscere le pratiche da svolgere, e le formalità da adempiere, nel caso che io e Alberto si voglia rifare — o comunque legalizzare — il nostro matrimonio.

Cesare — (evidentemente un po' contrariato) Ah... Lui (indica a destra) ha già cambiato idea, e...

Sandra — (interrompe) Non ancora, ma... (sicura) la cambie­rà. (Ad Erminia) Ti spiace, mamma, lasciarci soli un mo­mento?

Erminia — Tutt'altro. Così vado a prendermi un caffè (si alza ed esce a sinistra).

Sandra — (a Cesare, che ha fatto l'atto di alzarsi) No. Stia co­modo, per favore. Piuttosto... (sorride e, facendogli il gesto minaccioso che si fa a un monello, dice con tono cordialmente burbero) ...lei, avvocato, è un bricconcello.

Cesare — (sussulta) Pe-perché?

Sandra — Ho un dubbio.

Cesare — (confuso) Qua-quale?

Sandra — Che lei, se Alberto volesse proprio... diciamo «rima­nere scapolo»… Avrebbe un certo interesse per me. Sbaglio?

Cesare — (c.s.) No !... Sì!... (si alza in piedi e sospira) ...no (e s'allontana).

Sandra — (si alza e gli si avvicina, quasi affettuosa) Non c'è nulla di male. Del resto, sino a prova contraria, sono di nuovo «signorina».

Cesare — (annuisce, tormentato) ...infatti. (Una pausa) Infatti quando stanotte è improvvisamente entrata di là (indica a sinistra), come... come una dolce visione... io... e non solo io, giacché è stato «incantato» anche Gerardo... mi sono sen­tito una fitta qui (indica il petto all'altezza dello stomaco).

Sandra — (scherzosamente ironica) Non aveva digerito?

Cesare — La prego di non canzonarmi.

Sandra — (seria) E io la prego di perdonarmi.

Cesare — (sorpreso) Che cosa?

Sandra — La mia stupida e ridicola civetteria. Da quella di sta­notte a quella di adesso.

Cesare — (deluso, annuisce) ...capisco. D'altronde, in fondo, se lei fosse veramente diventata — d'un tratto — come vuo­le far credere da stanotte, mi deluderebbe.

Sandra — (lo fissa un momento, contenta. Poi esclama) Gra­zie, Cesare!... (E gli dà un bacio sopra una guancia).

Cesare — (emozionato) Ma io, signora...

Sandra — (interrompe) Mi chiami Sandra, per favore.

Cesare — Con piacere... Sandra. (Sospira) Embè... non ho mai avuto il minimo dubbio che lei ami Alberto, e che non vo­glia perderlo. (Una pausa) Certo che, se ci fosse un figlio, si risolverebbe subito ogni cosa.

Sandra — Crede?

Cesare — Ne sono certo. A responsabilità maggiore, maggiori doveri. E i ripicchi, se ci sono figli, diventano inezie.

Sandra — (soprappensiero) Ha ragione. Purtroppo, sinora... (scuote negativamente il capo. Un momento di tristezza, poi sorride ed esclama) Macché «sinora»!... Sino «a ieri matti­na». «Ora», invece... «Oggi» potrei avere un sintomo che agli uomini fa sempre un certo effetto. (Strizza l'occhio a)

Cesare — (il quale, stupitissimo, balbetta) Da-davvero?!?...

Sandra — (sorride e annuisce) Lasci fare a me. Lei, caro Cesare,

non mi «tradirà», vero?

Cesare — (scuote negativamente il capo) ...ma cosa devo fare?

Sandra — Anzitutto uscire di qua (indica al fondo), entrare in Agenzia e chiedere ad Alberto mie notizie. Con un tono piut­tosto «interessato»... anche «equivoco», direi.

Cesare — (smarrito) E se lui mi dice: «Pensa ai fatti tuoi»?... Devo insistere?

Sandra — Un po', chiedendogli di potermi almeno salutare, poi­ché stanotte lei e Gerardo si sono congedati in un modo strambo e brusco. L'essenziale, insomma, è che Alberto venga di qua con lei.

Cesare — (c.s.) E se non verrà?

Sandra — (ironica) Lei, caro Cesare, ricorderà che è un avvo­cato, e sfoderando la sua «arte di convincimento» gli farà cambiare idea.

Cesare — (annuisce) Senz'altro. (Va al fondo e si ferma sulla soglia della porta) Altrimenti, dopo un sacerdote fasullo, un matrimonio fasullo e un figlio fasullo, sarà fasullo anche un... avvocato (indica se stesso ed esce al fondo).

Sandra — (sorride, poi va alla porta di sinistra e chiama, con tono di voce normale) Mamma.

Erminia — (dall'esterno) Vengo subito.

Sandra — (s'allontana dalla porta, e fa qualche passo, sorri­dendo).

Erminia — (entra da sinistra. Tono di voce normale) Ti stupi­rai, ma non ascoltavo dietro la porta. Sono proprio andata in cucina a prendermi un caffè. Cos'hai saputo dall'avvocato?

Sandra — (evasiva) Nulla. Non sostiene Alberto, ma gli è mol­to amico. Quindi vuole essere considerato neutrale.

Erminia — (categorica) Io sarei riuscita a farlo parlare!

Sandra — Di che cosa?

Erminia — Semplice, bambina!... Di ciò che dice, che ha inten­zione di fare... Anche di ciò che pensa il tuo ex-marito. Eh sì, perché bevendo tra amici la lingua si scioglie, e... Pata­trac! C'è gente che sotto l'effetto dell'alcol ha spifferato se­greti militari, altro che idee per baruffe familiari. (Si sente bussare alla porta di destra).

Sandra — Avanti.

Gerardo — (entra da destra, sorridente) Buongiorno.

Sandra — (mentre Erminia borbotta un «Buongiorno») Buon­giorno. (Gerardo richiude la porta dietro di sé. Delusa) È solo?

Gerardo — Sì. Ero in Agenzia con Alberto, quando è arrivato

Cesare. Loro due si sono messi a parlare, e...

Sandra — (interrompe, ansiosa) Di me?

Gerardo — No. Di una causa per un incendio che pare doloso.

Sandra — (contrariata) Tutto lì?

Gerardo — Già. Ma per loro sembra importante. Comunque io ho approfittato per venire a salutare lei.

Erminia — (aggressiva) Me no?

Gerardo — Anche-anche.

Sandra — E lui, Alberto, non ha nemmeno tentato d'impedir­le di venire da me?

Gerardo — Direi di no, perché mi ha detto: «Vai, vai... Vai a tenerla allegra».

Sandra — (fremente) Sì, eh?...

Gerardo — Sì.

Sandra — (a denti stretti) Molto bene. (S'assicura con un'oc­chiata di avere alle spalle una sedia o una poltrona, poi si porta una mano sulla fronte, e con un lamento chiude gli oc­chi, si lascia cadere seduta e abbandona le braccia ciondo­lanti).

Erminia — (allarmata, si precipita vicino a Sandra, urlando) Bambina!... Bambina mia, cos'hai?

Gerardo — (che ha fatto l'atto di sostenere Sandra, mentre s'af­flosciava) È solo svenuta. Ci vorrebbero dei sali.

Erminia — Ci vuole un medico!... Dica a mio genero... Cioè! Al «signor Carelli», di chiamarlo immediatamente, che io non so il numero, altrimenti lo chiamerei io.

Gerardo — (s'affretta a uscire a destra, chiamando) Alberto!... Alberto!...

Erminia — (s'affanna a dare degli schiaffetti sulle guance di Sandra, la quale rimane immobile).

Alberto — (entra da destra a valanga, ansioso e preoccupato, seguito da Luisella, e da)

Gerardo e Cesare — (i quali si appartano, mentre)

Alberto — (s'inginocchia accanto a Sandra, affettuoso) Sandra... Sandrina... (e anche)

Luisella — (s'avvicina a Sandra, la guarda e osserva, maligna) Oh, guarda... La «signorina» è svenuta.

Alberto — (secco e perentorio, a Luisella) Lei torni in Agenzia!

Luisella — (rassegnata, annuisce ed esce a destra).

Alberto — (si rivolge a Sandra) Sandra... Tesoro...

Erminia — Le proibisco di chiamarla «tesoro»!

Alberto — (scrolla le spalle, ignorando Erminia. Si alza e dice a Gerardo e Cesare) Andate a chiamare il dottor Tonussi. Anzi!... (guarda l'ora) Siccome a quest'ora è nell'ambulato­rio, tre porte a destra della nostra (indica al fondo), preleva­telo e portatelo subito qui. A qualsiasi costo!

Gerardo — Bada che il dottor Tonussi non distingue un mal di pancia da una testa rotta.

Alberto — Però è l'unico medico a portata di mano. Presto!...

Gerardo — Vado io in macchina (esce al fondo).

Alberto — (a Erminia) Ci sono sali in casa?

Erminia — Purtroppo no. Io ho sempre detto di comprarne un boccettino, ma...

Alberto — (interrompe) Aceto!... Almeno quello, c'è?

Erminia — Sì. In cucina, nell'armadietto di... (tace, perché).

Alberto — (si è già precipitato a uscire a sinistra. Quindi)

Erminia — (sospira, avviandosi a sinistra) Vado a darglielo io, sennò fa un disordine che... (ed esce a sinistra).

Cesare — (s'avvicina cautamente a)

Sandra — (la quale apre un occhio, poi tutt'e due, sorride, an­nuisce, strizza l'occhio a Cesare, poi richiude entrambi gli occhi e si rilassa di nuovo).

Alberto — (rientra da sinistra, tenendo in mano una bottigliet-ta aperta d'aceto, che s'affretta a mettere sotto le narici di Sandra. Lo segue)

Erminia — (portando un asciugamano, che si precipita a mette­re intorno al collo di Sandra, come i barbieri mettono ai clienti).

Alberto — (a Erminia) Ma che fa?

Erminia — Sbadato come è «lei», potrebbe anche versare l'ace­to addosso a mia figlia.

Alberto — (sbuffa, poi si rivolge a Sandra, dolcemente sotto­voce) Sandra... Tes... (si riprende) Sandrina...

Sandra — (lentamente, stralunata, apre prima un occhio, poi l'altro e, con un filo di voce) Dove sono?

Erminia — (fa l'atto di precipitarsi ad abbracciare Sandra) Bam­bina mia!... (ma)

Alberto — (glielo impedisce mettendosi davanti, o trattenen­dola per un braccio) Non le tolga l'aria!... (A Sandra) Dico bene? (Sandra annuisce. Quindi Alberto, mentre Cesare fa­tica a darsi un contegno di circostanza — per soffocare il sor­riso — toglie l'asciugamani dal collo di Sandra e lo da, con la bottiglietta dell'aceto, a Erminia. Poi si rivolge a Sandra, premuroso) Sei a casa... Sei solo svenuta, ma adesso stai di nuovo bene, vero? (Sandra scuote negativamente il capo) da un momento all'altro arriverà il dottor Tonussi, e magari non ti prescriverà neppure una medicina, perché stai benone. (Sandra scuote negativamente il capo) Come no?... Vedrai, ve drai... (A Erminia) Le era già accaduto, altre volte, di sveni­re così?

ermìnia — Mai!... È sempre stata bene, dalla nascita al giorno in cui ha... sposato «lei».

Alberto — (controllandosi a stento) Le risponderò appena Sandra si sarà perfettamente ripresa, «signora».

Sandra — (a Erminia, con evidente grande fatica) Vai di là (con un cenno del capo indica a sinistra), mamma. (Erminia vor­rebbe obiettare, ma Sandra implora) Vai, per favore. (Una pausa) Presto ti richiamerò io.

Erminia — (di malavoglia) Se così vuoi... (borbottando) Tanto metterò a posto tutto io (esce a sinistra).

Cesare — (ad Alberto) Beh... Vi lascio soli.

Alberto — No. Meglio di no, per ora. (Si sente bussare alla porta di fondo) Avanti.

Gerardo — (dall'esterno) Prego, dottore.

Tonussi — (entra dal fondo, seguito da Gerardo. Tiene in ma-no una borsa, ed è un medico piuttosto anziano, molto di­stratto e confusionario — ovvero un «caratterista comico» — con occhiali che evidentemente lo aiutano poco, giacché si rivolge ad Alberto che gli va incontro) Buongiorno, signora. Già in piedi? Brava.

Alberto — (afferra la mano destra di Tonussi e lo trascina di fronte a Sandra, mentre Gerardo e Cesare notano — e note­ranno — con espressioni ironiche, il buffo comportamento del medico) Buongiorno, dottore. L'ammalata è qui.

Tonussi — Bene-bene-bene... (A Sandra) Si alzi in piedi.

Sandra — (scuote faticosamente, e negativamente, la testa) Non mi sento.

Tonussi — Possibile?

Alberto — Capirà che alcuni minuti fa, d'un tratto, è crollata.

Tonussi — Già... (Rimane un momento perplesso, poi senten­zia solennemente) Lei è svenuta. (Sandra annuisce. Tonussi si rivolge agli altri) Visto?... Dal giorno in cui ho conseguito la laurea, io... Zac!... Sempre così. Faccio le diagnosi a pri­ma vista. (Sospira) Eh, cari signori... Se il destino non mi avesse confinato in un paesucolo come questo, io... Chissà?... Sarei un luminare della medicina. Purtroppo, invece... Am­bulatorio, poi corri di qua, corri di là... Se almeno i pazienti abitassero tutti dalla stessa parte... Macché!... Permettono che mi sieda?

Alberto — S'immagini, dottore. Prima, però, non vorrebbe dare un'occhiata a... (indica Sandra).

Tonussi — Subito.

Cesare — (indica se stesso e Gerardo) Noi andiamo.

Tonussi — Perché? (Sorride) Ah!... Loro presumono che la si­gnora deva spogliarsi. Nooo... Oggigiorno, con tutte le visi­te che dobbiamo fare, si visita «a vista». In ambulatorio, d'in­verno, non chiedo ai pazienti neppure di togliersi il pastra­no. Non li faccio neanche sedere!... Trac!... Uno sguardo, e scrivo ricette «a raffica». Al massimo... Ecco... (posa la borsa sopra una sedia, afferra il polso sinistro di Sandra e glielo tasta, consultando l'orologio che estrae da un taschi­no e che si porta sotto il naso. Alcuni momenti, poi sussul­ta) Lei è morta!... (Porta l'orologio all'orecchio) No. Ho l'o­rologio fermo. (Lo carica e lo intasca) Comunque la signora sta benissimo.

Alberto — Ma lo svenimento?...

Tonussi — Non ha alcuna importanza, lo, piuttosto... Adesso posso sedere?

Alberto — (indica una sedia o una poltrona) Prego.

Tonussi — Dove?

Alberto — (lo accompagna a sedere) Qui.

Tonussi — (siede, comprimendosi un fianco e facendo una smor­fia di dolore) Ahi... Da qualche tempo ho un dolore qui, che risponde qui (indica la spalla opposta).

Cesare — (spontaneamente) Anch'io.

Tonussi — (lo cerca con lo sguardo) Chi parla?

Cesare — (gli si avvicina) Io, dottore. Sono l'avvocato Melloni.

Tonussi — Euh, la conosco!... (Interessato) E ha pure lei un do­lore qui (indica un fianco) che risponde qui? (Indica la spal­la opposta).

Cesare — Proprio.

Tonussi — (ansioso) Cosa prende?-Cosa prende?

Cesare — (imbarazzato, sorride) Beh... Lei è medico e non ap­proverà... Mia zia, che si vanta d'essere un'esperta erbori­sta, mi ha suggerito un decotto.

Tonussi — Bene-bene... Un decotto. Di quali erbe?

Cesare — Malva-digitale-camomilla e rabarbaro.

Tonussi — (impaziente) Interessante. Però, il decotto, come si fa?

Cesare — (sorride) Mia zia me l'ha fatto imparare a memoria.

Tonussi — (preoccupato) Non sarà mica un «segreto»?

Cesare — Nooo.

Tonussi — (implora) Allora me lo spieghi.

Cesare — Dunque... Prima si fa bollire cinque minuti una man­ciata di malva... Poi si buttano nell'acqua tre pizzichi di di­gitale, un cucchiaino di rabarbaro e un cucchiaio di camo­milla. Altri cinque minuti di bollitura, quindi scolatura.

Tonussi — Magnifico!... E... la «posologia»?

Cesare — Un cucchiaio di decotto al mattino a digiuno, e al­trettanto dopo i pasti principali.

Tonussi — Lei si è attenuto scrupolosamente alle indicazioni di sua zia?

Cesare — Alla lettera.

Tonussi — E il dolore qui (indica un fianco) che risponde qui? (indica la spalla opposta).

Cesare — Raramente si fa risentire.

Tonussi — Ma lei riprende il decotto della zia, e il dolore qui (indica un fianco) che risponde qui (indica la spalla op­posta)...

Cesare — (completa la frase di Tonussi) ...scompare.

Tonussi — Stupendo!... Adesso vorrei che...

Alberto — (interrompe, irritato e nervoso) Dottore... Si deci­da a prescrivere qualcosa per mia moglie.

Tonussi — Subito! (Estrae di tasca il ricettario, una penna a sfe­ra, e scrive rapidamente qualcosa sopra un foglio che stacca e dà ad Alberto) Tenga la ricetta.

Alberto — (la prende e legge) «Dormitant» compresse. A cosa servono?

Tonussi — Lo dice anche il nome!... «Dormitant». La signora ha solo bisogno di riposare. Le faccia buttare giù una com­pressa di «Dormitant» ogni ora... ogni ora, capito? (Alber­to annuisce) Vedrà che dormirà ventiquatr'ore di seguito. (Mentre Alberto, disorientato dall'affermazione paradossa­le di Tonussi, guarda Gerardo e Cesare, i quali allargano le braccia, come per dire «È un medico fatto così!», Tonussi dà il ricettario e la penna a Cesare) Mi scriva la ricetta.

Cesare — (imbambolato) Io?!?...

Tonussi — Certo!... La ricetta del decotto di malva-digitale, eccetera-eccetera.

Cesare — (stupito, esegue, mentre)

Gerardo — (s'avvicina ad Alberto. Sottovoce) Vado in città e ti porto un autentico professore, vivo o morto!

Sandra — (la quale ha udito) No. Grazie signor Fioriti. Mi sento già meglio.

Cesare — (restituisce a Tonussi ricettario e penna) Ecco, dottore.

Tonussi — (prende il tutto, intasca e si alza) Grazie. (Afferra la sua borsa. A Sandra) Allora, signora, mi raccomando... «Faccia bollire una manciata di malva»... Pardon! Prenda una compressa di «Dormitant» ogni ora, e non si sveglierà per ventiquattr'ore. (Si guarda intorno) Dove si esce?

Gerardo — (afferra Tonussi per un braccio e lo trascina al fon­do) Da questa parte. La riaccompagno in ambulatorio.

Tonussi — Molto gentile. (Si ferma e si rivolge indietro) E se avessero ancora bisogno di me, io... volo! (Si volta e urta contro Gerardo, il quale lo spinge finalmente fuori al fon­do, salutando gli altri con un «Torno presto!» ed esce anch'egli al fondo).

Alberto — (s'inginocchia dì nuovo accanto a Sandra, e le stringe una mano) Ti senti davvero meglio? (Sandra annuisce, ed en­trambi rimangono imbambolati a guardarsi negli occhi, men­tre Alberto accarezza la mano di Sandra).

Cesare — (a disagio) Se non posso essere utile, io... vado.

Sandra — No, avvocato. La prego. Lei è quasi di famiglia, e vorrei che sentisse la... «novità» che dirò ad Alberto.

Cesare — (comprende a che cosa allude Sandra, ed è timoroso di venire coinvolto) Veramente... Avrei un impegno che...

Alberto — Suvvia, Cesare!... Se Sandra ti prega di rimanere...

Cesare — (rassegnato, annuisce) ...rimango.

Alberto — (a Sandra) Di' pure.

Sandra — Sì, ma alzati. (Alberto sì alza) Anzi, è opportuno che tu ti segga lì (gli indica una sedia o una poltrona).

Alberto — (sorride, mettendosi davanti alla sedia o alla pol­trona indicata) Temi che la tua «novità» mi faccia svenire?

Sandra — Chissà...

Alberto — Sono un uomo, io!... Dài-dài... Di' quello che ti pare.

Sandra — (lo guarda un momento, poi) Sarò mamma.

Alberto — (mentre Cesare, temendo chissà quale reazione, si copre il viso con le mani e solleva il capo, dice meccanica­mente) Ah, bene... Sarai... (comprende e s'abbandona sulla sedia o sulla poltrona che ha alle spalle) Cooosaaa?!?...

Sandra — (si alza in piedi. Ironica) Visto che facevi meglio se ti sedevi?

Alberto — (boccheggiante, sconvolto) Adesso capisco perché sei svenuta... Succede, nelle tue... «condizioni». Vero, Cesare?

Cesare — (ironico) Euh!... (Alberto si fa aria al viso con una mano).

Sandra — Vuoi che vada a prendere l'aceto per te, ora?

Alberto — (scuote negativamente il capo) ...ma capirai... È una botta. (Una pausa) Perché hai voluto che lui (indica Cesare) rimanesse?

Cesare — (per non essere coinvolto, perentorio) Io non ho sen­tito niente! (Dolce) Se vi fa piacere.

Sandra — Al contrario, avvocato. Desidero che lei senta anche ciò che dirò adesso.

Alberto — (boccheggiante) Un altro figlio?... Cioè! Volevo di­re «cos'altro»?

Sandra — (solenne) Sarà soltanto mio.

Alberto — (sì alza) Che significa?

Sandra — Che non deve assolutamente diventare il reciproco obbligo di «risposarci». Lo alleveremo io e... mamma.

Alberto — (allarmato) Per carità, no!... (Emozionato, entu­siasta) Voglio vederlo diventare grande giorno per giorno... Voglio abbracciarlo quando mi pare... Voglio giocare al cal­cio con lui.

Sandra — (sorridente, ironica) Potrebbe essere una femmi­nuccia.

Alberto — (testardo) C'è anche il calcio femminile!... E se pro­prio non le piacerà giocare al calcio, giocherò anch'io con le bambole. (Sorridono, si guardano negli occhi, poi si ab­bracciano).

Cesare — (sorride, annuisce, e in punta di piedi esce al fondo).

Luisella — (entra da destra, aprendo la porta violentemente. Alberto e Sandra sussultano e si sciolgono dall'abbraccio. Ipocrita e ironica) Oh, scusino!... (Ad Alberto) È arrivato l'ispettore.

Alberto — (contrariato) Adesso non ho voglia di vederlo. (A Sandra) Vai tu, per favore. Ti rivedrà con piacere. Digli che sono dovuto andare improvvisamente a fare una perizia, e pregalo di tornare nel pomeriggio.

Luisella — (maligna) E io che sono la sua impiegata, non lo sapevo che lei era andato a fare una perizia?... Posso dir­glielo io.

Alberto — (burbero e dispettoso) No!... Non ho avuto il tem­po di avvertirla.

Luisella — (sogghigna) Quell'ispettore, se ci crede, è un bel cretino!

Alberto — Lei stia zitta, e lasci fare a mia moglie.

Luisella — Ah!... È di nuovo sua «moglie»?

Alberto — (sorridendo a Sandra) Per mia fortuna... sì.

Luisella — (perfida) Però il nuovo matrimonio, l'unico che sa­rà valido, non è ancora stato celebrato.

Alberto — E a lei che importa?

Luisella — Niente. Ma capiranno... «Paese piccolo, gente mormora»...

Alberto — Signorina Luisella!... Se lei penserà solamente ai fatti suoi, il paese non saprà e la gente non mormorerà.

Luisella — (rassegnata) Ho capito. E stiano tutt'e due tranquilli che da stasera non avrò più paura di trascorrere la notte so­la in casa. (Si volta per uscire, poi si rivolge di nuovo ai due) Sono sì, o no, un'impiegata in gamba?

Alberto — (sincero) Non ho mai detto, e nemmeno pensato, il contrario.

Luisella — Dunque... Come se nulla fosse accaduto?

Sandra — (sincera) Certo, signorina. Infatti non è proprio ac­caduto nulla.

Luisella — Grazie, signora; anche a lei, ragioniere. Sono tran­quilla. (Cede il passo a Sandra) Prego, signora.

Sandra — A presto, caro. (Alberto le sorride e annuisce. Sandra esce a destra, seguita da)

Luisella — (che borbotta) Sarà tranquillo anche il mio ragazzo (e scompare a destra).

Alberto — (soprappensiero, sorride e fa qualche passo. Si sen­te bussare alla porta di fondo) Avanti.

Gerardo — (entra dal fondo) Meno male che la porta verso la strada è sempre aperta, sennò si disturberebbe di più, e... (con disappunto nota l'assenza di Sandra) E Sandra?... È andata a riposarsi? (Indica a sinistra).

Alberto — No-no... S'è ripresa appena via te e quella specie di medico.

Gerardo — Meno male. (Ansioso) Però... ritorna, qui?

Alberto — Certo. È solo andata un momento in Agenzia (indi­ca a destra), ad «allontanare» un ispettore che adesso non voglio vedere.

Gerardo — (contrariato) Allora, malgrado la situazione, ti aiu­ta... Sì, dico... Perché tu non la risposi, spero. (Si riprende) Macché «spero»!... «Vero», volevo dire.

Alberto — Invece sì!... La risposo, e con entusiasmo!

Erminia — (entra impetuosa e aggressiva da sinistra) Nossigno­re!... lo mi oppongo. (Alberto vorrebbe dire qualcosa, ma Erminia glielo impedisce, urlando) Sissignore!... Stavo ascoltando dietro la porta, come al solito. Ho un solo rammari­co!... Quello d'essermi appisolata e svegliata appena un mi­nuto fa, quando «lei» ha dichiarato la sua (ironica) «entu­siastica» intenzione di risposare la mia bambina. Sì, perché dopo che Sandra mi ha «pregata» di andare di là (indica a sinistra), ci sono andata, mi sono seduta accanto alla porta, e purtroppo... Ero stata di guardia tutta la notte, acciden­ti!,... mi sono quasi subito addormentata.

Alberto — (sorride) Perciò non sa che lo svenimento di Sandra è stato probabilmente causato dal fatto che... (tace un atti­mo; poi, sinceramente felice e cordiale) Che «tu, mamma», stai per diventare... «nonna».

Erminia e Gerardo — (ciascuno per motivi diversi, sono sba­lorditi e stupefatti dalla notizia. Quindi entrambi barcolla­no, si portano una mano sulla fronte e s'abbandonano sulla sedia o sulla poltrona più vicina).

Alberto — (sorpreso) Ehi!... Che vi prende?

Erminia — (balbetta) So-so... So-sono felice, io.

Gerardo — (deluso, biascica ironico) Fi-fi... Fi-figurati io.

Sandra — (entra da destra, sorridente) Tutto a posto. L'ispet­tore ritorna nel pomeriggio. (Nota la faccia di Erminia e quel­la di Gerardo) Cos'è accaduto?

Alberto — Niente. Sono felici.

Sandra — Con quella faccia?

Alberto — (allegro) Sarà la vera faccia della felicità!... Ho da­to loro la bella notizia, e... Crak!... Sono crollati.

Gerardo — (si alza) Già... Congratulazioni, «signora» (tende la mano verso Sandra).

Sandra — (guarda la mano tesa) Nooo... (lievemente sarcasti­ca) Un amico come lei... Mi faccia meglio gli auguri (allarga le braccia).

Gerardo — (sorpreso e intimidito) Sì-sì... Con piacere. (Abbrac­cia Sandra, ed entrambi si baciano sulle guance. Sciolto dal­l'abbraccio, Gerardo si rivolge ad Alberto) Eri un bell'im­becille a lasciartela scappare. State bene! (ed esce al fondo).

Sandra — (s'avvicina a Erminia) E tu, mamma?... Non mi dici niente?

Erminia — (si alza a fatica, e abbraccia Sandra) Certo-certo... Dico che... (si scioglie dall'abbraccio, amareggiata) Non ram­menti, bambina, cosa ti ho sempre detto dal giorno che ti sei sposata?

Sandra — Non saprei... Ne hai dette tante... Oh, scusa!

Erminia — È vero, è vero.

Sandra — (ricorda con piacere) Ah, sì!... Adesso ricordo. Mi hai detto, e ripetuto, che tu — i nipotini — avresti solo volu­to vederli ogni tanto, quando sarebbero andati a trovarti.

Erminia — (continua meccanicamente) ...perché solamente ve­dendomi di rado, mi correrebbero incontro, gridando gioio­samente «Nonna!... Nonna!...». Invece, vivendo ogni gior­no con loro... Siccome qualche volta devi rimproverarli... Finisce che considerano la nonna come un mobile di casa, o peggio. Quindi, addio grida gioiose «Nonna!... Nonna!...». (Una pausa) Vado a fare la valigia! (Si avvia verso sinistra).

Alberto — (sincero) Non è il caso di precipitare... Nessuno ti manda via... «nonna».

Erminia — (si ferma e si rivolge ad Alberto, gentile e sorriden­te) Grazie, Alberto. Ma, conoscendomi, è molto meglio che me ne vada subito. Altrimenti potrei lasciarmi tentare, e... No! Meglio così (ed esce a sinistra).

Alberto — Senti... Toglimi una curiosità. Tu, quell'idea di tua madre di non vivere con i nipotini, l'hai davvero ricordata soltanto un momento fa, proprio per caso?

Sandra — (sorride arguta. Poi diventa seria) Il guaio è che... (tace, perché si sente bussare alla porta di fondo).

Alberto — (seccato) Ma casa nostra è un porto di mare!... (Ri­volto al fondo) Chi è?

Cesare — (dall'esterno) Io, Cesare.

Alberto — Vieni!

Cesare — (entra dal fondo) Grazie. Sono ripassato qui davan­ti, e scorgendo la vostra porta verso strada aperta...

Alberto — (annuisce, ironico) Questa volta l'ha lasciata Gerardo.

Cesare — ...ho approfittato per... Per venire ad assicurarmi...

Alberto — (interrompe, ironico) Per le «assicurazioni» altra porta!

Cesare — Per «accertare», intendevo dire... «Appurare», se più ti piace, il totale e perfetto ristabilimento della gentile signo­ra (indica Sandra).

Alberto — E bravo, il nostro Cesare!

Sandra — Sto benissimo, avvocato. (Maliziosa) Grazie anche alla sua premurosa assistenza.

Cesare — (confuso) Oh, io... Non ho fatto niente, io. (Attimo di pausa. Malizioso) E... Gerardo?... Come ha preso, Gerardo, la notizia della vostra... «riconciliazione»?

Alberto — Con vivo compiacimento, dirci. Addirittura con gioia. Avevi dei dubbi?

Cesare — (ipocrita) Per carità!... (Attimo di pausa. Curioso, ma prudente, rivolto a Sandra) E... dopo la sua «lieta no­vella», ci sono altre «novità»?

Sandra — (comprende l'allusione, e sorride) Sì!... Mia madre ci lascia e torna a casa sua.

Alberto — (completa) ...ad aspettare che qualcuno o qualcuno la chiami (rifà il verso a Erminia) «Nonna!.. Nonna!...».

Cesare — (spontaneamente) Bel colpo!... Cioè! Per allentare certe tensioni la signora mamma compie un atto veramente lodevole, encomiabile.

Erminia — (entra da sinistra, abbigliata per partire, portando una valigia).

Alberto — Così presto?

Erminia — (sorride senza acredine) La valigia era già pronta da un pezzo.

Cesare — (s'affretta a prendergliela) Permetta.

Erminia — Molto gentile, avvocato.

Alberto — (a Erminia) Prendo la macchina e t'accompagno a casa io.

Erminia — No. Grazie, ma non è il caso. (A Cesare) Mi accom­pagna sino alla stazione, dove troverò un taxi?

Cesare — Certo, signora.

Erminia — La ringrazio. (Ad Alberto) Tu, d'ora innanzi, stai sempre vicino a lei (indica Sandra). Non lasciarla neppure un momento. Al massimo vai di là (indica a destra), in ufficio.

Alberto — (tende scherzosamente un braccio, e sorride) Lo giuro.

Erminia — (abbraccia Sandra) Vieni a trovarmi presto.

Sandra — Sì, mamma.

Erminia — (si scioglie dall'abbraccio dì Sandra, e si rivolge ad Alberto, sincera) Anche tu.

Alberto — Con piacere... «nonna».

Erminia — (sorride, gli batte cordialmente una mano sulla spalla ed esce al fondo, seguita da)

Cesare — (il quale porta la valigia, e fa un cenno di cordiale saluto verso Sandra e Alberto).

Alberto — (sospira) Finalmente soli!... (e fa l'atto di abbrac­ciare)

Sandra — (la quale lo respinge) No.

Alberto — (sconcertato) Perché?

Sandra — Perché anch'io, adesso, devo andare a fare la valigia.

Alberto — Cosa ti prende?

Sandra — (fa qualche passo, poi si rivolge ad Alberto, decisa) Ti ho mentito.

Alberto — (imbambolato) Eh?...

Sandra — (idem come sopra) Non è vero che aspetto un bambino.

Alberto — (ebete) Ah, non è vero che asp... (con un lamento s'abbandona sopra una sedia o una poltrona).

Sandra — Adesso non svenire tu, e sul serio.

Alberto — (c.s.) Ah, perché il tuo svenimento?...

Sandra — (annuisce) ...finto, fasullo... Come più ti piace.

Alberto — Ma... pe-perché?

Sandra — (sbotta) «Perché-perché-pe-perché»!... Possibile che tu non lo capisca?... Per non perderti!... Adesso, però... (s'avvia a sinistra).

Alberto — (balza in piedi) Dove vai?

Sandra — (si ferma) A buttare qualcosa dentro una valigia. Sai... «Paese piccolo, gente mormora»... Torno a casa dei miei (s'avvia a sinistra).

Alberto — Aspetta. (Sandra si ferma. Le si avvicina, sincero) In queste ore, da ieri, ho pensato a tante cose.

Sandra — Anch'io.

Alberto — ...e ho capito che la famiglia... in due soli... non è una famiglia.

Sandra — (addolcita) C'era mia madre.

Alberto — Ma noi due eravamo lo stesso soli. Invece... Se ci fosse un bel maschietto...

Sandra — No-no... Una femminuccia.

Alberto — «Anche». Ma prima il maschietto.

Sandra — No-no... «Prima» la femminuccia.

Alberto — Be'... Prima il maschietto, o prima la femminuc­cia... I casi sono due.

Sandra — O... «tre», se... gemelli! (Ridono e si abbracciano, mentre il sipario si chiude).

FINE DELLA COMMEDIA