Pamela divorziata

Stampa questo copione


PAMELA DIVORZIATA

Commedia in quattro atti

di PIETRO SOLARI

PERSONAGGI

PAMELA

GIACOMO

LA ZIA

SALERNO

DOMENICO

FRANCESCHINO

IL FACHIRO

DON PEPE DE BISDOMINI

UNA SORELLA

UNA SEGRETARIA

NATALE PINCHERLONI

UN FATTORINO

DOLLY

DUE USCIERI CHE NON PARLANO

UN CLIENTE

UN NOTAIO

UN AVVOCATO

UN OPERAIO

LA PORTINAIA

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena rappresenta Una sala adorna, se così si può dire, di mobili futuristi. S'avverte subito che non ci troviamo in una stanza messa insie­me da un amatore, ma in una specie di mostra. E' difatti una stanza-reclame del costruttore di mobili Giacomo Neri, in casa sua.

Due porte, una a sinistra e una, comune, a destra. Una grande finestra in fondo.

Quando si leva il sipario Giacomo è alle prese con un vecchio è ragguardevole signore, entrato in quella stanza qualche minuto prima con l'in­tenzione d'acquistarla. Ora è già perplesso e Giacomo provvede con la sua infiammata elo­quenza a disgustarlo del lutto.

SCENA PRIMA Giacomo - II cliente

II cliente                       - (disorientato) Vedo vedo vedo. E... i disegni sono suoi?

Giacomo                       - Disegni, fabbricazione, stoffe, so­prammobili: tutto mio. Non c'è bisogno di dirle che la fabbricazione non è a serie,

II cliente                       - Ci credo senz'alno   - (pausa). De­v'esser difficile trovarne molti.

Giacomo                       - Di questi mobili?

Il cliente                        - No, di questi clienti (risoluto, indicando un mobile). Questa tavola mi piace.

Giacomo                       - (soave) Abbia pazienza, non è una tavola. E' una poltrona.

Il cliente                        - Oh, domando scusa. Perche... vede... non saprei veramente come dire...

Giacomo                       - Dica pure liberamente. Non mi offendo. Devo ogni giorno demolire dei pre­concetti passatisti, dei pregiudizi piccolo-borghesi, delle prevenzioni a volte perfino intelligenti: ci ho fatto un po' il callo. Ve­diamo un poco: lei vuoi certamente dire che a questi mobili manca un requisito essenzia­le: la praticità.

Il cliente                        - Ecco.

Giacomo                       - Perfettamente. Manca al punto che lei, come cento altri, mi confonde una tavola con una poltrona. Ma la colpa non èdei mobili: è dei clienti, diciamo pure degli uomini in genere. Tutti siamo talmente abi­tuati da millenni alla forma di una tavola che abbiamo perduto la nozione del prodi­gioso ritrovato, della mirabile invenzione che è una tavola. Tutto è ovvio, risaputo, stereotipato, tutto risponde a schemi, ad abi­tudini, a idee ricevute e accettate senza con­trollo o discussione: sicché nessuno di noi vede più il miracolo continuo, pauroso, os­sessionante di ciò che esiste, di ciò che na­sce, di ciò che è creato, di ciò che si tra­sforma, di ciò che...

Il cliente                        - (poggiando i piedi in terra e tiran­do giù l'altro dalle nuvole) Io dicevo sem­plicemente che una tavola dev'essere una tavola.

Giacomo                       - Già: così un uomo è un uomo, il fuoco è il fuoco, questa lampada è una lam­pada, e i mobili sono mobili. Mobili! Ma i vostri vecchi mobili borghesi per esempio, non sono, lasciatemelo dire, che dei cadaveri di mobili. I miei mobili invece sono vivi, dinamici polidimensionali. Questa tavola? Voi siete stanco? Sognate una poltrona che vi accolga, vi abbracci, vi culli: e voi avete dinanzi a voi una tavola! Che cosa paghe­reste per mutarla in una poltrona?

Il cliente                        - Scusi, o se io avessi addirittura la poltrona?

Giacomo                       - Ogni fedel minchione è capace di aver la sua poltrona. Ma questo mobile mio, no. Guardate          - (si siede sulla tavola che sotto il suo peso si allunga trasformandosi in una poltrona).

Il cliente                        - Finito?

Giacomo                       - Finito.

Il cliente                        - Molto interessante.

Giacomo                       - (scaldandosi) Voi avete creato, avete creata una poltrona.

Il cliente                        - (modesto) Io...

Giacomo                       - Voi, voi, potete creare, quando vi pare. Perche io vi ho insegnato a creare,

II cliente                       - Molto molto interessante. Sta bene. Acquisto la stanza.

Giacomo                       - Non m'importa un fico secco di vendervi la stanza. Che cosa credete, che io sia un mercante? Mi importa di persuader­vi, di aprirvi gli occhi, di farvi conoscere la vita creata minuto per minuto, dinamica­mente (aggressivo, mostrandogli un fiore) Che cosa è questo?

Il cliente                        - (candido) Una rosa.

Giacomo                       - (didattico) Nossignore: è un mira­colo. E che cos'è per esempio, quel signore vestito di nero, laggiù, in istrada? è pure lui un miracolo. La storia meravigliosa di quell'uomo e dei due che lo accompagnano chi la sa? (perentorio) Chi la sa? Nessuno. Nessuno. Chi sa, chi può sapere chi sono quei tre uomini? Donde vengono? Dove vanno? Vanno a un duello, a un battesimo o a un funerale? Può darsi che allo svolto della cantonata un'auto li investa. Credono di avere trent'anni di vita (fatale) e fra dieci secondi saranno morti!

Il cliente                        - No!

Giacomo -                     - Non si preoccupi, sono già in sal­vo. Sono entrati nel portone, (entra improv­visamente da sinistra, Pamela. Il cliente ri­mane sbalordito ad ammirarla) Oh.

SCENA SECONDA Pamela - Giacomo - II cliente

Pamela                    - Oh! Domando scusa.

Il cliente                        - (a Giacomo, con galanteria indi­retta) Vedo che in casa sua i miracoli non si contano. La sua signora?

Pamela e Giacomo        - (ridono insieme di cuore. Ma Pamela arrossisce).

Pamela                    - (con precipitazione) No, no, no. Non sono sua moglie.

Giacomo                       - Per carità. Questa è semplicemente Pamela, Meluccia, come la chiamiamo in casa, (a Pamela) Stiamo parlando d'affari.

Pamela                          - Pare una fatalità. Ogni volta che entro qui stai sempre parlando d'affari.

Il cliente                 - Evidentemente il Signore ha molti affari.

Pamela                          - Uhm! Non creda. Anzi non ne ha affatto. Per questo non fa che parlarne.

Giacomo                       - (tossisce minacciosamente).

Pamela                          - (arrossendo, visibilmente impacciata si avvia a sinistra, con un bell'inchino al cliente).

Il cliente                        - (s'inchina).

Giacomo                       - (con minacciosa tenerezza) Vai, vai dalla zia, Meluccia.

Pamela                          - (a schizzo) Melone(via)

II cliente                       - (rimane con la spiacevole sensazio­ne d'aver commesso una gaffe) Le do­mando scusa. Capisco che la mia domanda deve essere stata indiscreta e inopportuna. Forse, imbarazzante.

Giacomo                       - Quale domanda?

Il cliente                        - Se la signorina non fosse...

Giacomo                       - Ah... no: è stata 'soltanto una do­manda imprevedibile. Ne a me né a Pamela era mai passato per la mente che qualcheduno potesse scambiarci per marito e moglie. E' una mia cuginetta in quarto o quinto gra­do che è cresciuta con me da bambina. E' tornata dal collegio da pochi giorni e... (ri­mane fortemente imbarazzato).

Il cliente                        - (imbarazzato per riflesso) Già, già, già.

 Giacomo                      - ... e... già... non c'è che dire... ormai è una donna: una donna che potreb­be benissimo diventare la moglie di qual­cuno - (riflessione). Miracolo preoccupante. Basta, per tornare al nostro affare...

Il cliente                        - Lo ritengo concluso. Non mi re­sta che consegnarle l'assegno.

SCENA TERZA Salerno - II cliente - Giacomo

Salerno                          - (entra come un bolide dalla comune, seguito dai due uscieri) Alto là. (prende, o meglio strappa di mano al cliente l'assegno e lo consegna ai due uscieri). Uscieri, se­questrate!

Il cliente                 - Ma che maniera è questa... Mi fa specie! (a Giacomo) Chi è questo signore?

Giacomo                       - E' precisamente quel signore se­guito da due giovanotti in grigio, con la pa­glietta... che a casa mia non si tiene in te­sta... (toglie il cappello ai due cafoni) quei tre che le mostravo poco fa in istrada e che non si sapeva né chi fossero, ne dove andas­sero. Ora si sa benissimo.

Salerno                          - Io ho acquistato tutte le sue cam­biali e benché lei non m'abbia mai visto sa benissimo chi sono e che cosa son venuto a fare. Uscieri, fate il vostro dovere. Comin­ciate intanto a metter fuori il cartello: Est Locanda (gli uscieri eseguono).

Giacomo                       - Ha già deciso d'affittarlo?

Salerno                          - Subito.

Giacomo                       - E la pigione, ei può sapere?

Salerno                          - Le interessa?

Giacomo                       - Moltissimo.

Salerno                          - Ebbene, per non discutere, il nuo­vo inquilino pagherà quanto il vecchio.

Giacomo                       - Vede che ci s'intende? Per mille lire lo tengo io.

Salerno                          - Come mille lire? Duemila.

Giacomo                       - Ne pagavo mille, lei mi dice che non aumenta un soldo al nuovo inquilino...

Salerno                          - E chi le dice che io aumenti al nuo­vo inquilino? Io aumento al vecchio.

Il cliente                        - Prima che lor signori s'infervo­rino nella discussione, mi vuoi favorire il mio assegno... o i mobili, a sua scelta...?

Salerno                          - I 'mobili sono miei. E l'assegno è sotto sequestro.

Il cliente                        - Sta bene. Allora non mi resta che andarlo ad annullare alla banca.

Salerno                          - La diffido formalmente.

Il cliente                 - La saluto distintamente, (a Gia­como) Brutto miracolo    - (via).

Salerno                   - Cosicché, a parte la questione del fitto, sulla quale finiremo certo per inten­derci, lei non ha nulla ida dirmi o da darmi?

Giacomo                       - Moltissime cose, tanto da dirle, che da darle: ma nessuna adatta a migliorane le nostre relazioni. Perciò ponga senz'altro l'i­potesi che la sua presenza qui mi sia gra­dita.

Salerno                          - Allora se lei vuoi essere così gentile di permettermi...

Giacomo                       - La prego. Faccia come se fosse in casa sua.

Salerno                   - (dettando all'altro) Una tavola.

Giacomo                 - E dagli. E' una poltrona.

Salerno                   - (autoritario) Scrivi: una tavola priva d'equilibrio: lire dodici.

Giacomo                       - Dodici lire!

Primo Usciere          - Una poltrona. Venticinque lire.

Giacomo                       - E' un armadio. Costa duemila e cinquecento lire.

Primo Usciere          - Un pianoforte, tremila lire.

Giacomo                 - Disgraziato. E' una credenza.

Primo Usciere          - Allora metti settanta lire.

Salerno                   - Non vi lasciate commuovere. Fate il vostro dovere (si sente bussare o suonare). Avanti (entra un fattorino con un gran maz­zo di fiori. Non sa a chi rivolgersi).

SCENA QUARTA Salerno - Giacomo - Fattorino

Salerno                   - Che c'è? Chi cerchi?

Fattorino                 - Per favore, la signorina Lilli Bislilli?

Salerno                   - Qui non ci sono bislilli.

Giacomo                 - Ma che maniera è questa? Che ne sa lei se c'è o non c'è? Chi la autorizza a dare informazioni sulla gente che c'è o non c'è in casa mia? Lei badi a sequestrare e stia zitto.

Salerno                          - Io...

Giacomo                       - Lei è un asino!

Salerno                   - Si spieghi con un esempio.

Fattorino                 - Allora la signorina Bislilli abita o non abita qui?

Salerno                   - Abita qui? Tanto meglio.

Giacomo                 - Nossignore che non abita qui. Ma devo dirlo io e non lei.

Salerno                          - Per me torna perfettamente lo stesso. Ora dobbiamo fare una visitina alle altre stanze. Se lei vuole averela compiacenza di presenziare...

Giacomo                 - Prego. Badi solo a chiudere le porte. Le correnti d'aria mi danno fastidio. E tu, fila, rompiscatole. (rio Salerno e gli uscieri a sinistra).

Fattorino                       - Basta, ci sarà uno sbaglio, (av­viandosi per uscire vede una fotografia, di Pamela al muro) Ma no che non c'è sba­glio. Ecco lì un. ritratto della signorina Bi­slilli.

Giacomo                 - Quale ritratto? .

Fattorino                 - Questo.

Giacomo                       - Quello?

Fattorino                       - Questo.; questo. La signorina Lilli Bislilli, stella eccentrica.

Giacomo                 - Tu farnetichi. Quello è il ritratto di un'educanda.

Fattorino                       - Le artiste si fanno fotografare in tutti i modi. Sono un po' della partita. Ne ho conosciuta una, si figuri, che si faceva fo­tografare in costume di prete copto. E poi Bislilli è un nome d'arte. Questa stella ec­centrica si chiama... aspetti... è un nome buffo... Papera... no: Pamela... no, Papera... che dico? Pamela, ecco: Pamela. Il cognome non me lo ricordo.

Giacomo                       - (subitamente e profondamente, inte­ressato, prende per un orecchio il ragazzo e lo porta in mezzo alla scena) Vieni un po' qua. Questa faccenda è tutt'altro che chia­ra. Chi ti ha dato questi fiori? Fa vedere. Fa vedere, dico, (legge il biglietto nascosto fra i fiori) « A Lilli Bislilli, sicura promessa dell'arte italiana, devotissimamente, Don Pepe de Bisdomini ». Bene, bene, bene. E tu co­nosci questa Lilli Bislilli? Eh, sì che la co­nosci: se la riconosci nel ritratto! E poi vieni qui#a colpo sicuro. T'hanno detto di portare qui i fiori?

Fattorino                       - No, veramente: i fiori sono stati mandati al teatro.

Giacomo                       - Al teatro. Benissimo: c'è un teatro. Che teatro?

Fattorino                 - II « Varietà dell'Arena ».

Giacomo                 - II « Varietà dell'Arena ». Beno­ne. Dove la signorina Lilli Bislilli fa la stella eccentrica e dove gli ammiratori le mandano i fiori. Magnificamente. À questo punto in­tervieni tu e porti i fiori a casa, per zelo tuo.

Fattorino                 - Non per zelo mio... per la man­cia sua.

Giacomo                 - Non pensare alla mancia, adesso, che te ne darò una io che la signorina Lilli Bislilli non si sarebbe nemmeno sognata di dartela. Ora rispondi a me. La signorina Pa­mela o Lilli Bislilli, la conosci bene. E' que­sta?

Fattorino                       - (comincia a sospettare che ci siano per aria dei calci destinati al suo sedere) Può darsi che mi sbagli...

Giacomo                       - Non ti sbagli, non ti sbagli. Tu la conosci bene. Benissimo.

Fattorino                       - Benissimo, così così. Non canta che da due sere.

Giacomo                       - Ah, canta. Non balla.

Fattorino                       - Qualche piroetta, la cc mossa »... ma canta. Niente di straordinario, sa. Fa il terzo numero.

Giacomo                       - Al « Varietà dell'Arena ».

Fattorino                       - (interdetto) Già, al « Varietà dell'Arena ». Non vorrei che lei si fosse of­feso perché ho detto che non è niente di straordinario. Bisogna tener conto che è ap­pena una principiante. L'essenziale è che pro­metta bene. E poi c'è stoffa, creda a me, c'è stoffa... vedrà che carriera...

Giacomo                       - Non t'ho chiesti i tuoi pronostici.

SCENA QUINTA La Zia - Giacomo - II fattorino

La Zia                           - (entrata da sinistra) Giacomino, stanno sequestrando tutto, perfino la mia camera da letto.

Giacomo                       - Lascia che sequestrino anche i muri. (al fattorino) Va bene. Puoi andare. Che aspetti ?

Fattorino                       - Aspetto il tram...

Giacomo                       - (fa per allungargli una pedata. Via il fattorino da destra).

La Zia                           - Perfino la gabbia del canarino, col canarino e tutto... che cannibali!...

Giacomo                       - Lascia perdere. Qui c'è di peggio.

La Zia                           - Gesù, che è successo?

Giacomo                       - Quella sciagurata di Pamela s'è messa a fare la... la... è inutile usare eufe­mismi... S'è messa a fare la cocotte.

La Zia                           - Giacomo!

Giacomo                       - La canzonettista. Fa lo stesso.

La Zia                           - Esagerazioni.

Giacomo                       - Ah, dunque, tu sei al corrente?

La Zia                           - Come, vuoi che io non lo sapessi?

Giacomo                       - Dal momento che non lo sapevo io! Ah, così avete combinato tutto fra di voi. Io, l'unico uomo della casa, qua dentro conto zero. Io non esisto. A me si dice a cose fatte. Anzi, non lo si dice affatto. Lo devo scoprire da me, per combinazione, (chiama come un energumeno) Pamela! Se io non l'avessi scoperto...

La Zia                           - Ti si sarebbe detto oggi, Giacomo, sii ragionevole. Con la rovina alle porte, con gli uscieri in casa, con la fabbrica fallita, che potevamo fare?

Giacomo                       - Tutto, meno prostituire la ragazza. Pamela!

La Zia                           - Tu dici delle parole a vanvera. Gra­zie a Dio, che sei tu il primo a non essere persuaso di quello che dici. Povero angelo. (entra Pamela)

SCENA SESTA Giacomo - la Zia - Pamela

Pamela                          - (senza nessuna convinzione) Che bei fiori.

Giacomo                       - Venga avanti l'angelo, venga avanti la stella eccentrica, venga avanti. Si produca La signorina Lilli Bislilli, la sicura promessa dell'arte italiana, venga a spiegarci chi è questo « devotissimo » Don Pepe de Bisdomini che le manda idei fiori.

Pamela                          - (finta scema) Li ha mandati lui?

Giacomo                       - No. Sono un omaggio mio.

Pamela                          - Molto gentile da parte sua.

Giacomo                       - Io ti domando ehi è questo insigne cretino, questo titolatissimo rammollito. Chi è? Che fa? Da dove è uscito? Dove lo avete conosciuto? Chi te lo ha presentato, scia­gurata ?

Pamela                          - Nessuno.

Giacomo                       - Come, nessuno? Qualcuno te lo deve aver presentato.

Pamela                          - S'è presentato da sé.

Giacomo                       - Di bene in meglio. E' inaudito, è incredibile che una ragazza, quindici giorni dopo che è uscita dal collegio, si metta a fare la sciantosa di varietà, abbia un pro­tettore, un amante...

La Zia                           - Giacomo!

Pamela                          - Vergognati, vergognati! (piagnu­cola).

Giacomo                       - Vergognati, tu! E tu, (alla zia) più di lei. Tu che dovevi vegliare su di lei, tu, che hai un'età, un'esperienza, permetti che una ragazza si rovini, si perda...

Pamela                          - (scattando) Non devi insultarmi così prima di aver saputo come stanno esat­tamente le cose. Questo signor de Bisdomini...

Giacomo                       - (con sovrano disprezzo) Don Pepe.

Pamela                          - ...questo signore m'ha udita canta­re e s'è offerto di farmi entrare in arte. E siccome è un uomo d'affari...

Giacomo                       - Puliti, i suoi affari!

Pamela                          - ... così s'è offerto di anticipare le spese per le mie toilettes e le mie lezioni di canto. Naturalmente non lo ha fatto per nulla.

Giacomo                 - A me lo vieni a dire. Allora tu sai anche per che cosa lo ha fatto?

Pamela                          - Sicuro che lo so. Oh, bella! S'è ri­serbata una percentuale su tutti i contratti che farò nei primi cinque anni. E poi, la zia, è stata d'accordo con me.

La Zia                           - Sicuro!

Giacomo                       - Cento volte peggio.

Pamela                          - E poi tu non devi considerarmi una bambina. Poco fa, quando quel signore ha chiesto se per caso io fossi la tua signora, ti sei messo a ridere come se io fossi una tua pronipote. Come se io non potessi diventare la signora di qualcuno. Magari di questo signor de Bisdomini, che mostra tanta sim­patia per me.

Giacomo                       - Oca, dieci volte oca. Illusa. O peg­gio, molto peggio che illusa: senza illusio­ni. Questo è un calcolo meschino, basso, su­dicio. ..

La Zia                           - Giacomo, smettila.

Pamela                          - (piange. La zia la consola. Un lungo silenzio gravido di tempesta. S'affacciano a sinistra, ufficiosi e glaciali, i due uscieri e Soler no.

SCENA SETTIMA Gli stessi - Salerno - Gli uscieri

Salerno                          - Signor costruttore, c'è di là un letto che sembra un canterano.

Giacomo                       - (allo sbaraglio) E' una scrivania.

Salerno                          - (all'usciere) Allora scrivi: una cas-sapanca: trentadue lire, (via)

La Zia                           - Tu dovresti capire che Pamela ha agito a fin 'di bene. Del resto dimmi tu che cosa può fare una ragazza educata in col­legio, dove non le hanno insegnato altro che a dipingere, a suonare il piano e a cantare, se si trova al punto di doversi guadagnare onestamente la vita...

Giacomo                       - Va a finire al « Varieté », vero? Questo è un modo di guadagnarsi onestamen­te la vita?

 Pamela                         - Io sono una brava ragazza.

Giacomo                       - Ora capisco le tue continue assenze, svergognata.

Pamela                          - Io non ho fatto nulla di male, non voglio sentirmi chiamare con questi nomi, zia.

Giacomo                       - Per esempio: dove siete state ieri sera fino all'una?

La Zia                           - Ma a teatro, te l'ho pur detto.

Giacomo                       - (prende un giornale e legge) Aspet­ta. « Ieri sera dinanzi a un teatro gremito in ogni ordine di posti dal più scelto pubblico della capitale si rinnovò il trionfale successo della indiavolata stella eccentrica Lilli Bislilli... » Anche indiavolata; benone « ...re­centemente rivelatasi come una delle più in­teressanti affermazioni della nostra ribalta di attrazione ». Hai capito?! E tutto questo men­tre io stavo a fare l'elenco dei debiti. Del resto non c'è che dire: è la pura verità: ieri sera siete state a teatro. E sta bene. Allora la prima conseguenza da tirare è questa, che io per voi non esisto. E sta bene. Ma vivad­dio!... (ha uno scatto e alza la mono per dare un pugno sulla tavola)

Pamela                          - (vittima felice, martire gaudiosa, da prendere a schiaffi) Sì, Giacomo. Battimi, battimi, ma non mi chiamare con quei nomi.

Giacomo                       - Neanche questa, soddisfazione. Del resto non c'è bisogno di prenderla così sul tragico. Il mondo è abbastanza grande. Fate le vostre valigie e andatevene con Dio. Gia­como è morto.

La Zia                           - Giacomo!

Pamela                          - Lo vedi come ci tratta? Quella è la porta: andatevene. Vi caccio di casa...

Giacomo                       - Io non vi caccio. Vi aiuto ad an-darvene, secondo il vostro desiderio, che è una cosa molto diversa. E del resto è anche l'unica soluzione. Vi pare possibile dividere la vostra vita fra il varieté dell'Arena e casa mia? Che io debba mantenere una scian­tosa...

Pamela                          - Non sarebbe la prima volta!...

La Zia                           - Tu stai zitta.

Giacomo                       - Una sciantosa di famiglia!

Pamela                          - (polemica) Io mi son messa a la­vorare per non esserti di peso. Questa è la ri­compensa.

Giacomo                       - Ebbene, quando sarai fuori di qui non mi sarai più di peso. Via, via. Aria. E andiamo pure a preparare le valigie che qui c'è già il cartello dell'appigionasi, (spinge le due donne verso la porta dì sinistra. La zia ha un fiero ritorno polemico)

La Zia                           - Giacomo, vergognati!

Pamela                          - Zitta, zietta. Non gli dare soddisfa­zione. Non ci vuole più? E noi ce ne an­diamo. Vedremo poi chi se ne pentirà. Credi (sempre alla zia) che ce n«e pentiremo, noi? Povero cocco. Lo voglio veder piangere in ginocchio a domandar perdono, (comincia a raccogliere della roba) Prendi il panierino da lavoro, zia. In ginocchio, in ginocchio. Il vaso con la rosa è mio. Prendi. Giusto lo la-scieremo a lui. Fuori di casa? Sissignore. Subito. Fra mezz'ora. Zia, non dire una pa­rola. Lascia fare a me. Come se dovessimo morir di fame senza di lui, eh? Stai fresco. Il servizio da caffè è mio. Meitti via. In gi­nocchio lo voglio vedere, a domandar per­dono piangendo... piangendo. Non ti dimen­ticare il canarino, zia.

La Zia                           - Lo hanno sequestrato quegli assas­sini, Melticcia.

Pamela                          - Sequestrato? (Pamela che ha, detto tutta la sua tirata con le lacrime in gola, alla ferale notizia del sequestro del canarino scoppia a piangere. La zia piange con lei).

Giacomo                       - Io dovrei piangere! Io.

Pamela                          - Non t'illudere mica che io pianga per te, sai. Piango per il canarino.

Giacomo                       - Ho la testa che mi scoppia.

Pamela                          - Povera bestia, (applicabile al cana­rino e a Giacomo) Dico pel canarino, non per te. (altro pianterello. La zia le si avvi­cina per consolarla) No, zia, non farmi coraggio. La situazione in cui mi ritrovo mi avvilisce e mortifica al maggior segno. Se potessi lusingarmi d'esser creduta innocente, mi getterei ai suoi piedi a domandargli pietà ; ma sapendo che nell'animo suo è la certezza della mia reità, è inutile tanto il tacere, quanto il giustificarmi. Povera Pamela! E qual colpa è la tua? Quella d'essere nata troppo tardi, in un inondo che più non t'intende, (si sente sviolinare un pezzo di Pergolesi) Odi? Pame­la ama queste musiche antiche: e non. è colpa sua se in casa son preferiti gli intonarumori. Quando queste musiche rivivono, Pamela, sul palcoscenico, vive anch'essa, mentre finge soltanto di vivere: e qui, dove dovrebbe vi­vere davvero, finge finge, ma non può vivere.

Giacomo                       - Per questo, prepariamoci a-sgom­berare.

Pamela                          - No: dì piuttosto ch'io mi prepari al­la morte. Non sarà vero che io soffra un insulto non meritato. Tre cose amo in questa vita: la zia...

Giacomo                       - ... il canarino e i marrons glacés.

Pamela                    - ... la zia, te, che non te lo meriti, e il mio onore. Fra te e mia zia potreste di­spuntare nel cuor mio il primo luogo: ma l'onore vi supera tutti e due: e se in grazia vostra sarei disposta a soffrir moltissimo, quando trattasi dell'onore non soffro niente. Condannami a qualunque pena, riconoscerò te solo per mio giudice: ma. se col cacciarmi di casa tenti disonorarmi, non so che farò. Vuoi liberarti di me? Ti libererò con la mia morte. Ma voglio morire in questa casa, ma T'oblio morire onorata... (piangendo se ne va. Giacomo si prende a pugni. Si abbassa per pochi secondi il sipario. Il teatro resterà in penombra, mentre In musica continuerà il pezzo di Pergolesi fino alla fine).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 Sono trascorsi pochi minuti. La scena e la stessa, benché il sequestro l'abbia profondamen­te trasformata. I mobili parte hanno mutato po­sto, parte sono accatastati, parte portati via. Su una sedia superstite è seduto Giacomo.

SCENA PRIMA Pamela - Salerno - Giacomo

Giacomo                       - (vedendo ricomparire Salerno e gli uscieri che escono da sinistra) Che altro desidera lei? Le faccio imballare le pareti e i pavimenti? Che cerca?

 

Salerno                          - Una corda per impiccarmi. Se tut­ta questa paccottiglia mi (rutta diecimila lire per cinquantamila che mi costano le cambiali, è un affare.

Giacomo                       - (si alza; sul punto d'uscire) Lei ha troppa fretta, caro signor...

Salerno                          - Salerno.

Giacomo                       - Tanto tanto piacere. Lei è prote­stante?

Salerno                          - No. Perche?

Giacomo                       - Mi pareva. Dal nome. Lei ha trop­pa fretta, caro signor Salerno. A me, per esempio, questa paccottiglia frutterebbe centomila lire. Perché io la so vendere e lei no. Ma lei ha fretta.

Salehno                         - Sicuro che ho fretta. Non posso la­sciare il mio denaro in villeggiatura. A pro­posito. Doveva venire il mio notaio. Se fosse qui lui non sarebbe difficile intendersi.

Giacomo -                     - Ci pensi. Trovi lei una forma. Se ci tiene, sa? Per me vado a preparar le va­ligie, (s'avvia. Fermandosi indeciso) Senta, quel canarino...

Salerno                          - Se lei ci tiene, se lo rivuole...

Giacomo                       - No, no. Lasciamo "stare. Anzi, lo portino via subito. Via, via! Sciocchezze! (esce)

Salerno                          - Ebbene, vediamo, quanto fa in tut­to? Cinquemila duecento trenta e settantadue. (come fra se) Col canarino, mettiamo seimila tonde, (scaldandosi) Hai capito? Questo è un trabocchetto. E' una. truffa. E' una grassa­zione. Seimila lire, per cinquantamila lire di cambiali... (il secondo usciere ha intro­dotto de Bisdomini, elegantissimo e rammol­lito).

SCENA SECONDA De Bisdomini - Salerno

Salerno                          - Che cosa vuole, lei?

De Bisdomini                - Ho visto il cartello che l'ap­partamento è d'affittare. Vorrei vederlo.

Salerno                          - Abbia pazienza un istante, (si guar­da intorno come cercando qualche cosa. La vista dei mobili lo mette in furore. Scatta) Ma guardate, che roba! Ma io domando e dico se è concepibile che un uomo si metta di proposito a massacrare dell'eccellente le­gname per ridurlo a questo modo. Che ci stanno a fare le autorità? Come si permette un «simile sperpero di ricchezza? E poi chi vi dice che così tranquillo come pare, costui di punto in bianco non diventi pericoloso a se e agli altri? E intanto, dico io, dove si trova il fesso capace di comprare questa porcheria?

De Bisdomini                - (che non ha sentito) Molto interessanti, questi mobili. Son da vendere, per caso ?

Salerno                          - (durissimo) No.

De Bisdomini                - Peccato. Mi piacciono molto. Li avrei acquistati con piacere.

Salerno                          - Non sono da vendere come mobili. Sono da vendere come opere d'arte. Le dico questo per evitare delle discussioni inutili. Vengono molti a vedere, si mettono da un punto di vista piccolo-borghese, e se ne vanno scandalizzati, oppure offrono dodici lire per una tavola che ne vale duemilacinquecento. Gente che non capisce nulla d'arte. Gente senza cultura, senza gusto, senza sensibilità. Vada a parlare a costoro di dinamismo, di linee di forza, di compenetrazione di piani: tempo sprecato. Ma prego, signore, si ac­comodi.

De Bisdomini                - Dove?

SCENA TERZA Gli stessi - Pamela - Giacomo

Pamela                          - (entra di punto in bianco e si trova dinanzi De Bisdomini. Reciproca meraviglia, benché di diverso valore. De Bisdomini è felice, Pamela furibonda) Lei qui, signor Bisdomini? Lei non ricorda i nostri patti. La prego di ricordarsene (gli accenna la porta)

De Bisdomini                - Domando scusa... Io non ve­nivo a trovar lei. Per quanto questo non sia gentile a dirsi. Venivo semplicemente a visi­tare l'appartamento che a quanto ho letto è d'affittare. La signorina lo lascia?

Pamela                          - E' da affittare appunto perché la signorina lo lascia. Quando la signorina lo avrà lasciato, lei lo potrà visitare con suo comodo. La signorina lolascerà fra un mese. Dunque, favorisca...

De Bisdomini                - Ma la prego...

Pamela                          - Le ho detto...

Salerno                          - Un momento, un momento. Calma.

Pamela                          - Le ho detto e le ripeto di uscire. E prenda, questi sono i suoi fiori. Lei si è sba­gliato di molto, di moltissimo, signor mio. E si risparmi di mandarne degli altri. E quanto alle nostre relazioni d'affari, gli avvocati si sprecano. Via, via. Aria, come dice Giacomino, aria!

Salerno                          - Abbia pazienza, qui stiamo par­lando d'affari.

De Bisdomini                - II signore...

Pamela                          - Se ne vada.

De Bisdomini                - Sono mortificato. Io non vedo...

Pamela                          - Se ne vada.

De Bisdomini                - Io la prego...

Pamela                          - Se-ne-va-da.

De Bisdomini                - (esce).

 

Salerno                          - Ma è possibile? L'unico cliente, l'unico imbecille, lei me lo caccia via così?

Giacomo                       - (entrando) Chi è stato qui? Chi è uscito? Chi faceva tutto quel chiasso?

Pamela                          - Nessuno. Si discuteva così amiche­volmente col signor...

Salerno                          - L'unico cliente me lo caccia via come un ladro, (al primo usciere) Come si chiamava ?

Giacomo                                 - Insomma si può sapere?

Salerno                          - Aspetti, era un nome buffo. De Prosdocimi. No... Aspetti. Pistolomini.

 Giacomo                      - Che? Chi?. De Bisdomini! Lui! Qui! Ah, Pamela! Di questo non ti credevo capace.

Pamela                          - Capace di che cosa? Che cosa ho fatto, io? Viene uno a vedere l'appartamen­to perché legge « est locanda » e la colpa è subito la mia. Più che cacciarlo via, che cosa potevo fare?

Salerno                          - E già: ha ragione; adesso, uno per­ché viene a comperare i mobili, ammazzatelo. Gettatelo giù per le scale. Sparategli dalla fi­nestra. Ma come? Viene quel magnifico bec­caccione, s'innamora di questa bella roba e, nossignore, me lo mettono alla porta. Io mi meraviglio di lei. Lei permette che la stia signora...

Giacomo                       - Eccone un altro. Non è la mia si­gnora.

Salerno                          - Sua sorella, sua cognata, quello che è...

Giacomo                       - Non è nulla per me.

Salerno                          - Tanto peggio. E lei permette che una donna che non è nulla per lei, una qua­lunque. ..

Giacomo                       - Badi come parla.

Salerno                          - Diciamo un'estranea. Lei permette che un'estranea cacci via i clienti a quel modo. E' troppo, francamente, (si sente suo­nare) Sta a vedere che ha avuto la buona idea di tornare. Forse è lui.

Giacomo                                 - Magari.

Pamela                          - Io me ne vado.

Giacomo                       - Fermati.

Una voce                       - Il signor notaio.

Salerno                          - Oh, bravo. Lo stavo aspettando (a Giacomo) E' quello che ci vuole per noi. Ve­drà che ci intenderemo. Fallo passare.

SCENA QUARTA Gli stessi - II Notaio

Notaio                           - (entrando) Domando scusa...

Salerno                          - Prego. Ma lei non è il notaio Rossi che io attendevo.

Notaio                           - No: io sono il notaio Bianchi. C'è una bella differenza. Lei è il signor Giacomo Neri?

Giacomo                       - Giacomo Neri, sono io. In che pos­so servirla?

Notaio                           - Credo di portarle una notizia che le recherà grande dolore.

Pamela                          - Oh, Dio!

Giacomo                       - Tu, stai zitta. Oggi è la giornata delle buone notizie. Coraggio.

Notaio                           - Suo zio Antonio, poveretto...

Giacomo                       - (sbalordito) Mio zio Antonio?

Notaio                           - Sì, Antonio Spazzola: suo zio.

Giacomo                       - Mai sentito nominare. Che gli è successo?

Notaio                           - II poveretto, che da lungo tempo era minato da un male che non perdona...

Giacomo                       - Ebbene? Parli pure senza perifra­si. Non è per durezza di cuore: ma mi sento di apprendere una disgrazia senza battere ci­glio.

Notaio -                         - II poveretto è morto            - (lunga pausa) lasciando lei erede universale.

Salerno                          - (inspirato) Uscieri, levate i sigilli!

Giacomo                       - Meluccia, prega la zia di venir qui. Tu sapevi che avevamo uno zio, Antonio Spazzola?

Pamela                          - No.

Giacomo                       - E allora perché piangi? Non è più di moda. Va. (Pamela si rasserena istantanea­mente e esce a sinistra).

Notaio                           - Si deve trattare d'una fortuna più che discreta. Le basti dire che suo zio è morto a Boston.

Salerno                          - Uno zio d'America. Ce n'erano an­cora.

Giacomo                       - Solo che io non sapevo d'averne uno. L'esistenza di questo signor Spatola.

Notaio                           - Spazzola.

Giacomo                       - Sicuro, Spazzola... m'era sconosciu­ta. Ora sentiremo la zia, che conosce tutte le parentele di tutta la città. Del resto, se lei dice che questo zio esisteva davvero...

Salerno                                     - E ne vuol dubitare ancora? Uscieri, insomma, delle sedie: dico delle sedie picco­lo-borghesi; per sedersi, (gli uscieri escono e ritornano opportunamente con sedie non futuriste).

Notaio                           - Devo ancora dirle... Posso parlare liberamente?

Giacomo                       - Dica, dica pure. Il signore è di casa.

Notaio                           - Nel testamento è anche ricordata una cuginetta, la signorina Pamela.

Giacomo                       - Meno male. Questo è un grande sollievo. Un pensiero di meno per me. Me ne potrò liberare del tutto senza metterla in mezzo ad una strada o su un palcoscenico.

Notaio                           - (soave) Alla condizione che lei la sposi.

Giacomo                       - Che io sposi chi?

Notaio                           - La signorina Pamela, credo bene la signorina che era qui poco fa. Un piacevole sacrificio, immagino.

Giacomo                       - Lei immagini quello che vuole. Se il testamento è condizionato da questa clau­sola, io non accetto.

Salerno                          - Uscieri rimettete i sigilli, (a Gia­como) Ma ragioni vai momento. Dare un cal­cio ad una fortuna simile, rifiutare una mo­glie come quella! (o Pamela ch'è rientrata) Signorina Pamela, felicitazioni e auguri. Cen­to di questi giorni.

SCENA QUINTA Gli stessi - la Zia

Pamela                          - Che cosa?

La Zia                           - (allarmatissima) Giacomo, chi è mor­to? Parla!

Giacomo                       - Non è il caso di allarmarsi. E' un parente che nessuno idi noi conosce, lo zio Antonio Spazzola, di Boston, (la zia rimane calmissima) lo conosci tu? io non l'ho mai visto né conosciuto! Però mi nomina erede universale.

La Zia                           - Ah, sì? (scoppia irrefrenabilmente a piangere).

Notaio                           - Lo vede? Povera signora! E' la voce del sangue. Si calmi, la prego, si calmi. La avverto, signore, che non abbiamo molto tem­po da perdere. Occorre che il matrimonio av­venga fra otto giorni e che lei parta subito do­do per Boston a liquidare. Mi faccia sapere le sue decisioni. E intanto i miei migliori au­guri: siano felici, (lascia una carta da visita ed esce)

 

Giacomo                       - Le mie decisioni! No, no e poi no. Cento volte no. Del resto anche Pamela deve essere del mio parere, non è vero?

Pamela                          - Ma che cosa si vuole da me, zia?

Giacomo                       - Un'inezia: che tu diventi mia moglie.

Pamela                          - (melodrammatica) Piuttosto la morte! (via, a sinistra)

La Zia                           - Povera creatura. Sfido io. Questo satanasso non fa che maltrattarla, minacciarla, impaurirla, cacciarla di casa, e poi se la vorrebbe sposare di prepotenza e pretenderebbe che fosse contenta, (esce indignatissima)

Giacomo                       - Darei la testa nel muro.

Saerno                           - Via, via. Coraggio.

Giacomo                       - Coraggio? Ma che cosa crede, lei? Già Io sposare Pamela di prepotenza! Dio mi fulmini se io ho mai pensato una volta in vita mia a fare una corbelleria simile. Io sposarla! Io sposare Pamela!

Salerno                          - Intanto lei non se l'aspettava.

Giacomo                       - Non m'aspettavo che cosa?

Salerno                          - Un fiasco di quel genere.

Giacomo                       - Ma lo sa lei che io non l'ho mai considerata una donna? Pamela per me è come un mobile, un oggetto di casa...

Salerno                          - Bene, bene. Non s'inquieti. Anzi se ne rallegri. Tante seccature di meno.

Giacomo                       - Sicuro. Chi m'avrebbe dato, per esempio, i denari per andare a Boston?

Salerno                          - Ma io, io! Le pare che io sia capace di lasciare un uomo come lei in imbarazzo in una occasione simile? Ma prima di tutto io sono un uomo di cuore! Quanto occorre?

Giacomo                       - Non s'incomodi. Occorre soltanto che lei si decida a mettere o a togliere i sigilli.

Salerno                          - Si decida prima lei ad accettare questo matrimonio. Occorrono i miei buoni uffici? Come mediatore so il fatto mio. Ec­comi qua.

Giacomo                       - Anche lei, insomma è congiurato a farmi questo bel servizio.

Salerno                          - S'intende. Per il suo bene. E per il bene di tutti. Non dica subito di no. Ne discuta, esamini, rifletta. Ne parli a quattro occhi con, la signorina Pamela, (chiamando) Signorina Pamela! (appena Pamela entra, Sa­lerno se ne va facendo finta di niente. Pa­mela è entrata da sinistra col cappello e un valigettino in mano)

SCENA SESTA Giacomo - Pamela

Giacomo                                 - Dove vai?

Pamela                          - Me ne vado. E giuro di non mettere più piede in questa casa. Non dimenticherò mai che mi hai cacciata come una serva.

Giacomo                       - Non credere, fuori di qui, di fare quel che ti pare. Io esisto sempre.

Pamela                          - Io non voglio fare nulla di male.

Giacomo                       - Quello che hai fatto è male. Lo capisci?

Pamela                          - Io lo facevo a fin di bene. Nessuno crede che un'artista possa essere una brava ragazza spinta dal bisogno.

Giacomo                       - No. non lo crede nessuno.

Pamela                          - Non lo credi nemmeno tu?

Giacomo                       - No. Una brava ragazza in quell'am­biente non può rimanere tale due settimane.

Pamela                          - Ma se tu mi scacci, dove vado?

Giacomo                       - Chi ti ha cacciata?

Pamela                                     - Tu.

Giacomo                       - Io? Io ho urlato un po' per farmi sentire. E' una cosa molto differente. Ti pare che si possa cacciar di casa una ragazza su due piedi?

Pamela                          - Non si può. Ma tu l'hai fatto.

Giacomo                       - Andiamo. Tu sai che io non sono cattivo e che in fondo ti voglio bene. Ti volevo bene.

Pamela                          - Anch'io. Molto bene.

Giacomo                       - Ora, capisci, la vita ci chiede che noi cambiamo la natura di questo affetto. Io ti ho sempre voluto bene come un fratello maggiore e ho sempre considerato il tuo af­fetto come quello di una sorella. Mi sbaglio?

Pamela                          - (piena di pudiche ma tenaci resistenze pregiudiziali) D'una cugina. Mettiamo di una cugina. In quinto grado.

Giacomo                       - Tu, ora, sei una donna. Non brut­ta. Diciamo pure tutt'altro che brutta. Bella, diciamolo pure... (queste concessioni avven­gono in seguito alla controscena di Pamela) Gli uomini ti notano...

Pamela                          - Non mi parlare degli uomini. Gli uomini sono dei... dei... Se tu sapessi le cose che mi dicono a teatro.

Giacomo                       - (furioso) Non mi parlare del teatro.

Pamela                          - No, no, no.

Giacomo                       - E trattiamo come in affari. Come se trattassimo una partita di legname. Carte in tavola. C'è nessun uomo nella tua vita? Ami nessuno? Hai mai amata nessuno? La verità. Fuori.

Pamela                          - No, ti giuro, Giacomo, nessuno.

Giacomo                       - Nessuno? Giura.

Pamela                          - Nessuno. Solo...

Giacomo                       - Ah, vedi.

Pamela                          - No no no, nessuno come immagini tu. In collegio...

Giacomo                       - Ebbene, in collegio?

Pamela                          - In collegio c'era molto tempo per sognare. E io sognavo d'un uomo ideale... non ridere... e... e... ero innamorata di lui.

Giacomo                       - Lui, chi? Com'era, chi era costui?

Pamela                          - Un uomo coi baffi alla Douglas e la « cinquecento nove »: insomma un artista.

Giacomo                       - Mi sembra un po' impreciso.

Pamela                          - Guai se l'ideale non fosse impre­ciso. Non lo ai troverebbe mai.

Giacomo                       - (sempre arcigno) Sta bene. Allora ci sposeremo, (le da un bacio glaciale in fronte. Pamela, divenuta improvvisamente ar­dita, risponde con un bacio sulla bocca. En­tra la sia).

SCENA SETTIMA Gli stessi - la Zia

La Zia                           - Figli miei. Dio sia lodato. Era sem­pre stato il mio sogno.

Giacomo                       - Zia, non dire sciocchezze. Nessu­no di noi ci avrebbe mai pensato se non fosse stata la morte dello zio Antonio... come si chiamava ?

Pamela                          - Povero, caro zio.

La Zia                           - Povero zio Antonio, (si terge una lacrima) Se non era lui...

Giacomo                       - Già. Povero zio. Mah. Spazzola! Spazzola! E' la vita. Dammi quella valigia.

Pamela                          - (con debole ma ingiustificata resistenza) Noo, Giacomo.

Giacomo                       - (non prevedendo la resistenza di lei prende il valigino che si apre. Cadono a ter­ra dei pacchetti di lettere con nastri di colore) E queste?

Pamela                          - No, non leggere. Non devi leggere.

Giacomo                       - Cosa? (leggendo) « amore, amore, amore mio sconfinato » Ah, vivaddio, ma tu dunque sei impastata di menzogne. Mi giuri in quest'istante che non hai mai amato nes­suno e hai in mano una valigia piena di lettere d'amore. Chi è costui? Ami, chi sono costoro? Tante lettere a un uomo solo non è possibile. Per spedirle ci vorrebbe un capitale.

Salerno                          - Un capitale? Son qua io. Finanzio io. Quanto occorre?

Pamela                          - Non ti posso dire. Non ti posso dire, Giacomo.

Giacomo                       - Sono un illuso, uno stupido, un cieco. Signor Salerno, la prego, sequestri tutto.

Pamela                          - Ebbene, te lo dirò. Ma non t'arrab­biare.

Giacomo                       - Non mi far uscir dai gangheri. A chi erano dirette tutte queste lettere senza indirizzo? A chi erano dirette?

Pamela                          - Se te lo dico, non ti secchi?

Giacomo                       - Ti dico di no.

Pamela                          - Me lo prometti?

Giacomo                       - (al calar bianco) Ti dico che non m'arrabbio. Fuori. Chi era costui?

Pamela                          - Quello della « cinquecentonove » e dei baffi alla Douglas. Quello che non esi­steva.

La Zia                           - Dio sia lodato!

Giacomo                       - (categorico) Pamela, sei un'oca.

Salerno                          - Sembrano già marito e moglie. Ehi, giovinetti, levate i sigilli.

                                                              Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La medesima scena. Luce, fiori, tavole con rinfreschi. Non è un giorno come tutti gli altri. Sono in iscena a metter ordine due donne. Una è la portinaia, l'altra una sguattera che non parla.

Portinaia                        - Lesta, che la signora deve essere qui a momenti. E anche gli sposi non devono tardare molto a tornare (suonano).

(La portinaia va ad aprire e torna con un uomo vestito da operaio, che in realtà è il

conte don Pepe de Bisdomini); Ah, è per la luce? Ma io non vi so dire quello che c'è da fare. Aspettate che torni la signora.

De Bisdomini                - So io quello che devo fare. La signora zia è andata in municipio?

Portinaia                        - No. Ma voi la conoscete?

De Bisdomini                - Son vecchio di casa. Ho già messo molta elettricità in quest'appartamen­to. Solo che non m'è riuscito di stabilire un certo contatto che volevo. Basta. E così si stanno sposando sul serio?

Portinaia                        - Come sarebbe a dire, sul serio? Con più di mezzoquintale di confetti»

 

(L'altra donna introduce Domenico, Franceschino e il Fachiro, artisti di varietà e com­pagni di lavoro di Pamela).

Domenico                     - La signorina Bislilli?

Portinaia                        - La signorina chi?

Domenico                     - La signorina Lilli Bislilli.

De Bisdomini                - (volgendosi dal suo lavoro) Sta qui, sta qui.

Portinaia                        - Per me si chiamano Neri. Che so io di Lilli e di Bislilli. Lor signori sono invi­tati? Devono aver pazienza: gli sposi non sono ancora tornati.

Franceschino                 - Aspetteremo. Avete tutto? Il fachiro, ha tutto?

Il fachiro                       - Ecco gli aghi, il cesto del ser­pente e il piffero.

Domenico                     - E questa è la mia famosa salo­pette musicale.

Franceschino                 - Ecco la mia superba colle­zione di spade e coltelli. Dico, quattro con­fetti ce li guadagneremo bene, anche senza la formalità dell'invito.

Fachiro                          - Peccato che Lilli si sposi. L'avrei presa molto volentieri con me. Mi ci ero affe­zionato. L'avrei presentata in tutti i varietà dei due inondi infilzata d'aghi come un cu­scinetto. C'è stoffa, c'è stoffa, per piantar aghi         - (fa con tutte e due le mani un gesto ieratico, come per accarezzare un mastodon­tico sedere sospeso a mezz'aria).

Domenico                     - Anch'io le voglio bene a quella ragazza. Ha orecchio e gusto. Una bella salo­pette anche a lei e là! si sarebbe fatto un « duo » eccentrico di prim'ordine. Ma. Prima venne quel cretino di quel suo protet­tore, quel De Prosdocimi...

De Bisdomini                - (come sopra; mellifuo) De Bisdomini...

Domenico                     - Ah, Io conosci, quel macaco? Dopo, eccoti il matrimonio. Peccato, pec­cato.

Fachiro                          - Peccato davvero. Ma Lilli è una furbacchiona. Ha capito che al giorno d'oggi una cocottina navigata, se vuoi fare carriera, non ha che da far l'ingenua.

Franceschino                 - Bell'ingenua. Io credo che mettesse più corna a quel disgraziato -di quel Piccolomini...

De Bisdomini                - (come sopra) De Bisdomini...

Franceschino                 - Bisdomini, mezzomini e caz­zabubboli e quello che ti pare. Chiamalo come vuoi a casa mia sarà sempre un cor­nuto. Ebbene, vogliamo fare un po' di prove?

Domenico                     - Vediamo un po'. Io attaccherò una marcetta eccentrica, con salopette e fi­schio, a solo ballabile.

Franceschino                 - Io ingoierò tutte le posate del rinfresco.

Fachiro                          - Io, per attirare l'attenzione dei si­gnori invitati, comincerò a fare il morto.

Domenico                     - Ma... A uno sposalizio non ti pare un po' triste?

Fachiro                          - Ah, non ne abuserò. Conosco le con­venienze. Un quarticello d'ora di catalessi cadaverica: non più. Poi mi passerò le guan-cie con uno stile infocato e in ultimo incan­terò il serpente (prende il cesto del serpente sul quale comincia a suonare il piffero al modo degli incantatori indiani).

Franceschino                 - (si mette a mangiar delle paste, torna la portinaia).

Portinaia                        - Ohe, finché non ci sono i padroni, io non conosco invitati. Le paste non si toc­cano.

Franceschino                 - Non è per commettere un'in­delicatezza. Tutt'al contrario. E' appunto perché sono un po' delicato di stomaco che non posso ingoiare le spade a digiuno, così nude e crude. Mi si mettono sullo stomaco. (Domenico tenta degli accordi sulla sua salo­pette. Il fachiro che ha iniziato l'incanta­mento si volta risentito).

Fachiro                          - Finiscila, ti prego, con questi orri­bili accordi. Mi guasti l'incantesimo. Il mio caro Fifì è meglio d'un critico musicale: se non gli dai per lo meno Wagner non si la­scia incantare (guarda interessantissimo nel canestro e ne estrae una corda) oh! oh! oh! Sfido io! E' una corda. Ma dov'è andato il mio Fifì? Ogni tanto si permette il lusso d'an­dare a prendere una boccata d' aria, senza il mio permesso. Il mio caro, il mio lungo Fifì... (Gli altri non gli badano e continuano a preparare i loro ferri e strumenti. La porti­ naia non è stata a sentire tutti i discorsi che si son tenuti e la sguattera è in cucina. Il fa­chiro comincia con molta calma a cercare il serpente sotto i mobili fischiando come se chiamasse un cagnolino e ogni tanto chiama « Fifì » e dal fifi passa naturalmente ad un altro fischio. La cosa finisce per interessare la portinaia).

Portinaia                        - Oh, insomma io non voglio bestie qui. Delle paste rispondo io.

Fachiro                          - Non abbiate paura, la mia donna, non mangia paste, (fischia)

Portinaia                        - E di là per terra è pieno di fiori. Dico intendiamoci, che non vada proprio ad alzare la zampa... mi capite.

Fachiro                          - Non ha mai alzato la zampa in vita sua. E' educatissimo. (riprende a fischiare)

Domenico                     - Dicono che quella di Lilli sia stata un'improvvisa fortuna; qualche cosa come un'eredità.

Franceschino                 - Beata lei che ha finita que­sta barbara vita appena cominciata. Mah, un'eredità non capita tutti i giorni. Il mio ideale, sai quale sarebbe? Ereditare un buon capitale di sterline d'oro, ingoiarmelo... per­che una banca più sicura di questa non saprei dove trovarla... e ritirarmi in campagna. Lì tirar fuori una sterlina al giorno per la spesa, e con queste maledette spade segarci la lat­tuga e l'insalata del mio orticello: perche io vorrei il mio orticello.

Domenico                     - O, ragazzi, ecco il madro. (entra da destra le zia). Franceshino, il Fachiro, Domenico - Signora.

La Zia                           - Che fate qui? Chi vi ha invitati?

Domenico                     - Signora, lei mi pare un po' troppo attaccata alle formalità. Ho sempre creduto che un gentiluomo potesse recarsi al matri­monio d'una cara compagna di lavoro, a fa­re i suoi auguri e a mangiare due confetti, senza commettere un delitto.

La Zia                           - Vi ringrazio del gentile pensiero. Ed eccovi i confetti. A patto che non vi facciate vedere. Lo sposo è un ragazzo molto curioso.

Domenico                     - Sarebbe geloso, forse?

Fachiro e Franceschino - (scoppiano a ridere con manifesta irriverenza. Se ne offendono la zia e De Bisdomini che si volta risentito. Franceschino per tutta risposta ricomincia a pulire le spade e il fachiro a fischiare).

La Zia                           - Chi sono questi due signori?

Domenico                     - Non li ha conosciuti a teatro? Mi permetta, (presentando) II celeberrimo Kufri Matachi, incantatore mondiale di serpenti esteri e nazionali e fachiro indiano.

Il Fachiro                      - (con spiccato accento napoletano) Ai suoi comandi.

Domenico                     - ... e il famoso Kiamamono Kioto, ingoiatore di spade.

La Zia                           - (alla portinaia) Mettete via le po­sate, (a Franceschino e al Fachiro) Tanto pia­cere, (di nuovo a Marìantonia) Avete trava­sato il Marsala dalla damigiana? Svelta riem­pite le bottiglie, (via la portinaia. Al Fa­chiro) Scusi, che ha perduto?

Fachiro                          - Nulla, nulla, non s'incomodi. Sto chiamando Fifì. Quando chiamo viene sem­pre.

La Zia                           - Queste bestie finiscono sempre in cu­cina. Le conosco bene. Marcantonia!

Portinaia                        - (entra tenendo in mano, come un tubo di gomma, il serpente. Non se ne av­vede) Che c'è? Se devo travasare il mar­sala non posso dar retta a lei. Abbia pazien­za, una non si può fare a pezzi.

La Zia                           - C'è che questi signori hanno fretta, molta fretta... (ad un tratta vede il serpente e grida. La portinaia fa per soccorrerla e le mette il serpente sotto il naso. Altro urlo della zia, e, appena se ne avvede, Mariantonia getta a terra il serpente)

Fachiro i                        - Eh, un po' più di garbo, povera bestia: est modus in rebus! Le potete rompe­re la spina dorsale, (prende il serpente gli fa delle moine e lo mette nel canestro)

La Zia                           - Oh, Gesù, che spavento!

Mariantonia                   - Mi tremano le gambe.

La Zia                           - (si getta a sedere sulla sedia che trova più vicina. Combinazione, su questa sedia Domenico ha posato pochi istanti prima la salopette, che sotto il peso della zia si risente su tutti i toni) Uh, ci mancava que­st'altra, adesso.

Domenico                     - Ed in mezzo a tanti strilli dov'è mai Lilli Bislilli? (Improvvisamente entra Pamela in abito nuziale, sostenuta da Dolly. E' più bianca del suo abito)

Pamela                          - (vacillando arriva a metà scena) Zia», zia mia! (sviene. Confusione, gridi, azioni disordinate)

La Zia                           - Meluccia, creatura mia.

Doixy                            - Non è nulla.

Franceshino                   - Una sedia.

Domenico                     - Largo, non soffocatela.

La Zia                           - Bisogna aprirle l'abito. Soffoca.

Dolly                             - Un po' d'acqua sulle tempie.

La Zia                           - Ma, per amor del cielo, che cosa è stato?

Dolly                             - Nulla. L'emozione. Ma che qualcuno si muova. Una boccetta di sali.

Fachiro                          - E' una parola. Nelle commedie, quando la /prima fattrice sviene c'è sempre qualcuno pronto con la boccetta dei sali. Nella vita è un'altra cosa. I sali non ci sono mai. Io credo anzi che i sali non esistano. Esiste tutt'al più l'aceto.

Mariantonia                   - Ecco l'aceto.

La Zia                           - Meluccia!

Franceschino           - (al fachiro) Quando dirà: « Mio Dio, dove sono? » noi filiamo in cucina a osservare le posizioni e attendere gli eventi. Questo matrimonio, sia detto fra me e te, non mi piace. Invece dei confetti c'è il caso di rimediare le sorbe.

La Zia                           - Coraggio, Meluccia, ora viene Giacomino tuo.

Dolly                      - Per amor del cielo non le parlate di Giacomo. La volete uccidere?

La Zia                           - Madonna santa, che è successo? Dove è Giacomo? Perché non è qui con sua moglie?

Dolly                             - Silenzio. Rinviene. Non una parola su Giacomo.

Pamela                          - Mio Dio, dove sono?

Franceschino                 - « Jamme, Pasca! ». (i tre ar­tisti si squagliano all'inglese da sinistra, portandosi paste e bottiglie).

La Zia                           - Sei con la zia tua, tesoro. Coraggio, non è nulla. Un goccio di marsala.

Pamela                          - Zia, zia,i quanto sono infelice. Quan­to sono infelice! Povera Meluccia, trattata peggio d'una sgualdrina!

Dolly                             - Non t'affaticare, cara, non parlare. Racconterò io tutto alla signora. Calmati, cara. Poco fa, trovandomi per combinazione in Municipio... ecco, non precisamente per combinazione. Di regola io vado ad assistere a tutti i matrimoni. Oh, sposare! E' sempre stato il mio ideale. Basta, ero lì, quando vedo che fra le altre coppie di sposi c'è an­che Lilli Bislilli a braccio di un signore che non conosco. Tento di richiamare la sua at­tenzione, chiamandola: Lilli, Lilli, quando il numeroso pubblico che assisteva alla rap­presentazione, dico, alla cerimonia, riconob­be in Pamela la « stella » eccentrica che ha trionfato all'Arena. Non c'è voluto altro: s'è improvvisata una specie di dimostrazione: « Viva Lilli Bislilli! ». E battimani e giù fiori e confetti. Creda, una cosa veramente commovente. Lo sposo, invece di sentirsi lu­singato e di fare una bella riverenza al pub­blico, come facciamo noi quando ci battono le mani, infuriato come una belva, piantò la sposa su due piedi, prese sottobraccio i testi­moni e se li portò via. E la povera Lilli, rossa di rabbia e di vergogna, fu abbandonata a me e svenne fra le mie braccia.

La Zia                           - Tutto qui? Credevo chissà che cosa. Calmati, tesoro. Ora viene Giacomino tuo e tutto si chiarirà. Coraggio, figlia mia.

Pamela                          - (languida e fatale) No, zia, fra me e Giacomo tutto è finito. Per sempre.

Dolly                             - Se non è ancora cominciato nulla. Al­meno...

 La Zia                          - Sciocchezze, ragazzate, dispetti di innamorati.

Pamela                          - Parlo tremendamente sul serio. Ho deciso.

La Zia                           - Che cosa hai deciso?

Pamela                          - Di chiedere il divorzio.

La Zia                           - Sì, cara, come vuoi. Ora, lasciami andare a preparare la camera nuziale, (via)

Pamela                          - Nessuno mi capisce. Nessuno, nes­suno, (minaccia di un secondo svenimento. De Bisdomini accorre e la prende fra le braccia. Ma Pamela rinviene subito).

Pamela                          - Lei, ancora! Son curiosa di sapere che cosa è venuto a fare qui.

De Bisdomini                - (miserabile) Sono venuto a... ad aggiustare la luce.

Pamela                          - Ecco: ognuno può insultare come vuole una donna come me, ognuno può co­prirla di fango, schernirla con questi sangui­nosi sarcasmi. E' giusto. E' giusto. Del resto che cosà sono io? Non sono che una canzonettista, una sciantosa. Una sciantosa ognuno la può perseguitare. Non può nemmeno rispondere: Per chi mi prende, signore?

De Bisdomini                - Io non la perseguito. Se ma è vero il contrario. Cieca, mia non vede che io (a Dolly) io l'amo come un pazzo.

Dolly                             - Me? e perché non me l'ha mai detto?

De Bisdomini                - ... questa ingrata, questa in­grata.

Pamela                          - Dovrei anche essergli grata.

De Bisdomini                - M'ha ridotto un disgraziato, un asino.

Dolly                             - Che cosa non può l'amore! '

De Bisdomini                - Già, e coprirla di seta è stati un coprirla di fango.

Pamela                          - Ho già dato ordine che le sue toilettes le vengano pagaie. Con gli interessi.

Dolly                             - Caio amico, queste cocottine del giorno d'oggi hanno un modo di trattare i loro amanti, che se uno non è più che svelto, fi­nisce per sposarle. Lei mi fa l'effetto che farà questa fine.

De Bisdomini                - Ma domani! Ma oggi stesso!

Dolly                             - Lo dicevo io: l'occhio clinico!

Pamela                          - Non posso passare tutta la giornata in Municipio a sposare. Oggi ho sposato ima volta, basta.

De Bisdomini                - (miserabile) Potrò rivederla qualche volta?

Pamela                          - Non se ne vada. Avrei piacere che mio marito la trovasse qui. Sa come ci si ar­rabbierebbe. E' un ragazzo così ingenuo, che è capace di crederla un rivale pericoloso. Quanto sono stupidi questi uomini intelli­genti! Quasi quanto voi altri, (via maestosa­mente incurante)

Dolly e De Bisdomini   - (rimangono a guardarsi sbalorditi).

De Bisdomini                - (si china a raccogliere i suoi fer­ri. Entra come una ventata Giacomo, seguito dall'avvocato. De Bisdomini non si fa ve­dere)

Dolly                             - La sposa s'è ritirata in questo istante nei suoi appartamenti. Tanti, tanti auguri. (s'inchina e se ne va. De Bisdomini, preso il tempo, fila anche lui)

Giacomo                       - Ma non lo senti lo scherno negli au­guri, di chiunque sia informato di questo in­decoroso matrimonio? Può un uomo resistere a questa valanga di ridicolo?

Avvocato                                - E dalli a drammatizzare. Questo matrimonio non è stato che una formalità, per entrare in possesso di quei Collaretti, che non sono uno scherzo. Con la formalità contraria, ti liberi: un buon divorzio e in un mese, col suo consenso, sei libero come prima.

Giacomo                       - II suo consenso! Lì, ti voglio!

Avvocato                      - Ma che, è forse innamorata di te?

Giacomo                               - Pamela? Che! Puro calcolo.

Avvocato                      - E tu non sei innamorato di lei.

Giacomo                                 - Io!?

Avvocato                      - Va bene, va bene. Puro calcolo an­che da parte tua. Dunque. Io vado al con­solato americano per il visto al tuo passa­porto. Tu firma e falle firmare queste do­mande di divorzio. Al resto penso io.

Giacomo                       - (urlando) Pamela! Sta bene. Noi siamo d'accordo. Arrivederci! (via l'avvocato da destra) Pamela!

Pamela                          - (entrando) M'hai chiamata? (tra se) Adesso mi tira il collo.

Giacomo                       - Non hai sentito?

Pamela                          - Ho sentito urlare il mio nome, (tra se) .Non me lo tira!

Giacomo                       - Devo parlarti.

Pamela                                   - Ti ascolto, (a parte) Crepa!

Giacomo                       - Senti, cara, questo non è il tono migliore per intenderci.

Pamela                          - Cambialo.

Giacomo                       - Vieni qua. Siedi.

Pamela                          - Ti sento benissimo anche in piedi.

Giacomo                       - Come vuoi. Dunque...

Pamela                          - Dunque... (a parte) Non sa da che parte incominciare.

Giacomo                       - (passeggia e si concentra).

Pamela                          - Vedo che come succede a tutti gli artisti, il principio ti viene difficile. Se permetti ti do una mano io. Cominciamo prima col discorsetto che volevo tenerti io: dopo, con più calma, parlerai tu. Io dunque ho intenzione di chiederti un consenso che tu sei lontanissimo dal supporre e, certo, lon-tanissimo dal darmi.

Giacomo                       - Teatro, niente.

Pamela                          - Non si tratta di teatro. Si tratta del consenso alla domanda di divorzio che in­tendo presentare al primo tribunale capace di mettere fra te e me la maggiore distanza possibile.

Giacomo                       - Firma qui. (le da le carte dell'av­vocato)

Pamela                          - Che cos'è?

Giacomo                       - La domanda di divorzio. La mia domanda di divorzio.

Pamela                          - (prendendo con grande buona grazia la penna) Dove?

Giacomo                       - Qui, e qui, e ancora qui.

Pamela                          - Ecco fatto. E ora? (rimangono a guardarsi sbalorditi e totalmente disoccupati)

Giacomo                       - E' fatto tutto. Non c'è altro, (ad un tratto, come assalito da un lucida e im­provvisa pazzia, prende una sedia e la schianta)

Pamela                          - Che fai? Che cos'hai?

Giacomo                       - Ho questo: che mi sento come un uomo che va per alzare un peso di piombo e lo trova di cartone. Ho che credevo di do­vere combattere dio sa che battaglia per strapparti il consenso e invece ho vinto...

Pamela                          - Tu?!

Giacomo                       - ... Io, io!... senza colpo ferire. E così ho bisogno di ristabilire l'equilibrio, rompendo qualche cosa. Dovrei romperti la testa. Mi accontento di fracassare una sedia. E' il meno che si possa pretendere da un uomo nelle mie condizioni.

Pamela                          - Ma prego. Se non vuoi altro, (gli offre una seconda sedia)

Giacomo                       - (fracassa anche questa)

Pamela                                   - Va meglio, caro? Ti senti sollevato? Son brutte malattie. Ma è passato, vero? Oh... E allora, qua la mano.

Giacomo                       - (prende la mano che Pamela gli offre e la stringe. Ma non rinunzia ad attirare a sé Pamela non come uno che abbraccia, ma come uno che ha intenzione di stritolare: con rabbia, con furore compresso, come se an­che Pamela fosse una sedia da fracassare. Pa­mela ha un risolino di scherno che è anche di trionfo. Ella ha troppo istinto per non ca­pire che il sopravvento è ormai il suo e chequella furia è buonissimo segno. Se gridasse, griderebbe di piacere. Ma si trattiene e quan­do Giacomo la lascia, si riassetta la veste, contegnosamente)

Giacomo                       - No, mi ci vuole almeno un arma­dio da sventrare, da diroccare.

Pamela                          - (candidamente perfida) Lascia stare i mobili. Li rovini abbastanza quando li co­struisci. Sfogati sulle paste. Me ne offri?

Giacomo                       - (sempre furioso) Prego, (esegue)

Pamela                          - (stessa tattica) Grafie. Come mi sta l'abito?

Giacomo                       - (guardando altrove) Magnifica­mente.

Pamela                          - Credi che possa andare per la scena?

Giacomo                       - (intontito) Per la scena?

Pamela                          - (mondana, con un a voi » caricato) Amico mio, perché vi meravigliate? Sono sì o no una donna libera, una divorziata ? Torno al teatro. Mi pare che il ragionamento fili.

Giacomo                       - Fila benissimo. Ma è necessario che fili anche tu, che filiate anche voi, al più presto. La nostra situazione è assurda. Per­ché è evidente che se tu rimani un'altra ora in questa casa e mi parli di teatro, io mi re­golo ancora come mi sarei regolato ieri, o tre mesi fa.

Pamela                          - Vale a dire?

Giacomo                       - (calmo) Vale a dire: ti prendo a schiaffi.

Pamela                          - Nooo. Una divorziata può benissimo cantare in un teatro idi varietà senza render­ne conto a nessuno, e meno che a tutti al marito, cioè: all'ex-marito. E poi, pensa, non sarebbe peccato abbandonare una carriera co­minciata col successo che ho avuto io?

Giacomo                       - Già: t'hanno applaudito persino in municipio. Ma non t'illudere di tornare in quel... in quel teatro fino a quando porti il mio nome... perché, in questo momento, tu ti chiami Pamela Neri, capisci? cioè, fino a quando non sei veramente una divorziata. Fino al giorno in cui queste carte non ci tor­nano indietro con la sentenza che ci libera dalla nostra catena, tu resti qui e sei quella che eri: un'educanda, cioè una collegiale che ha bisogno d'essere educata, di ricevere una educazione: e continui ad obbedire. Obbe­dire.

Pamela                          - Obbedire: umilmente. Sta bene. Ma dopo?

Giacomo                       - Dopo... farai la... la... la divor­ziata come vorrai.

Pamela                          - E canterò.

 

Giacomo                       - Per me, fino a perdere la voce.

Pamela                          - E avrò una « cinquecentonove ».

Giacomo                       - Anche un autocarro, se credi.

Pamela                          - E delle toillettes, (allegrissima) a proposito di toilettes, sai chi era venuto qui - figurati: travestito da elettricista - per farmi gli auguri? Un uomo che io avevo messo alla porta - e che ho messo alla porta anche oggi - e che metterò alla porta sem­pre, fino a che non sarò una divorziata in regola.

Giacomo                       - Insomma, chi è venuto?

Pamela                          - II mio « manager », quello che ha anticipato i denari per le mie toilettes: De Bisdomini.

Giacomo                               - Ha fatto bene ad anticipare1 anche la sua partenza. Perché, per quanto travestito da operaio elettricista, avrei saputo ricono­scerlo: e una conversazione a quattrocchi, fra me e lui, non so per chi sarebbe stata piacevole.

Pamela                          - Bella giornata, oggi, vero?

Giacomo                       - (non risponde)

Pamela                          - E' proprio la stagione ideale per chi parte in viaggio di nozze. Forse è per questo che stamattina per sposare bisognava fare la coda, (pausa) Mi dai una sigaretta?

Giacomo                       - Da quando in qua ti sei messa a fumare? (le da una, sigaretta e l'accende)

Pamela                          - Fin dalla più tenera infanzia. In collegio fumavamo tutte. Ma se tu non vuoi...

Giacomo                       - Io!? Per me...

Pamela                          - (tossisce maledettamente. E' la prima volta in vita sua che fuma)

Giacomo                       - (le batte sulla spalla come si fa coi bambini e le indica il soffitto. Pargoleggian­do) Guarda, guarda: un bell'angioletto che vola. Oh, brava. Prendi un po' di rosolio.

Pamela                          - Grazie. Non prendo che wisky. In collegio non bevevamo altro.

Giacomo                       - (versando del wisky) Senza soda?

Pamela                          - Puro, (beve e finisce di strozzarsi)

Giacomo                       - Ti lascio qui la bottiglia. Quando l'hai finita, le altre sono nell'armadio del mio studio. I sigari sono qui.

Pamela                          - Mi lasci sola? (con disprezzo) Mi tratti come se fossi tua moglie.

Giacomo                       - Mi dispiace tanto, signora. Ma devo preparare le valigie. Vediamo. Io resterò a Boston quindici giorni...

Pamela                          - (molto stupita) Parti?

Giacomo                       - Come sarebbe a dire, parto? L'eredità chi la va a ritirare?

Pamela                          - (allibita. Si « scopre »)

Giacomo                       - Che cosa, tu?

Pamela                          - Dove resto io?

Giacomo                       - Resti qui.

Pamela                          - Vai solo? Non m'avevi promesso di portarmi con te?

Giacomo                       - II diavolo t'ha abbandonata. E que­ste carte? Ma siamo o non siamo divorziati, o sul punto di esserlo? Che vorresti fare un viaggio di divorzio accoppiato al viaggio di nozze? Ti rendi conto?

Pamella                         - (fanciullesca e piagnucolosa) E io come posso restar sola? Anche senza che io sia tua moglie, tu mi devi proteggere, non mi devi lasciare qui sola, esposta agli insulti di tanti mascalzoni, di quel viscido de Bisdomini che mi perseguita. Giacomo, difendi­mi tu. (gli si mette fra le braccia. Fortissimo imbarazzo di Giacomo. Entra l'avvocato che interpreta a modo suo quella stretta).

Avvocato                                - Oh!...

Giacomo                       - Oh, oh, un corno. Cosa vuoi dire questo oh? Che cosa credi?

Avvocato                      - Lo sai che io non credo a niente. Faccio l'avvocato.

Giacomo                       - Sei stato al consolato americano?

Avvocato -                    - Ho trovato chiuso. Domattina.

Giacomo                       - Prendi queste carte. Sono firmate da me e da lei. E inizia gli atti immediata­mente.

Pamela                          - (con un grido) No, Giacomo.

Avvocato                      - Non capisco nulla.

Giacomo                       - Prendi le carte e agisci, (via l'av­vocato. A Pamela) E tu che cosa credevi, che cosa credi, di poter giuocare a palla con un uomo come me? Adesso fila anche tu. E le­vati quell'abito. E guai a te «e ti vedo fu­mare o bere un'altra volta. E smettila con miei muso. Se vuoi essere perdonata devi obbedire. Ob-be-di-re: capisci?

Pamela                          - (annichilita, in apparenza) Sì.

Giacomo                       - E star zitta.

Pamela                          - Sì.

Giacomo                       - E non fumare.

Pamela                          - No... dico: sì, sì.

Giacomo                       - E non bere wisky.

Pamela                          - Sì, Giacomo.

Giacomo                       - E adesso dietrofront, avanti, mar­che! Che cosa aspetti?

Pamela                          - Si muove prima il piede sinistro, vero? (esce militarmente), (la portinaia introduce un operai elettricista che comincia a lavorare. Giacomo a poco a poco si persuade che sia De Bisdomini e co­mincia a fremere).

 

Giacomo                       - Ah, lei! Bravo! Conosce de Bisdomini?

Operaio                         - Io? No!

Giacomo                       - Ma lo conosco bene io, quantunque non l'abbia mai visto. E sono sicuro che se lo strozzassi questo mi farebbe bene.

Operaio                         - Scusi, dice a me?

Giacomo                       - A lei, a lei. E vorrei sapere da lei se un uomo simile merita la forca o l'erga­stolo.

Operaio                         - Per me faccia lei.

Giacomo                       - E' un sudicione.

Operaio                         - (disinteressato) Ah, sì?

Giacomo                       - Un delinquente. Un farabutto.

Operaio                         - Scusi, ma a me che me ne importa?

Giacomo                       - (passando all'offensiva diretta) Sco­priti, vigliacco, (salta addosso all'operaio e fa per strozzarlo. Accorre tutta la casa) Tu sei De Bisdomini.

Operaio                         - Lei è pazzo. Io sono l'elettricista.

La Zia                           - Giacomino, sei impazzito?

Portinaia                        - Questo è l'elettricista del ne­gozio qui all'angolo. Si calmi.

Giacomo                       - Lo strozzo. Lo strozzo. Lo strozzo!

La Zia                           - Giacomo, hai perduta la testa?

Pamela                          - Vergogna, vergogna. E io dovrei es­sere la moglie di un energumeno simile? La moglie di un pazzo?

Giacomo                       - Ed io il marito di una donna che il giorno del matrimonio riceve in casa di nascosto i suoi amanti travestiti da operai.

Pamela                          - (piange) I miei amanti! Mascalzone! Vigliacco! Vigliacco!

Operaio                         - (riassestandosi) Ma almeno, lei, lisapesse distinguere, gli amanti di sua moglie.

Giacomo                       - Lei stia zitto e se ne vada, e sia contento d'andarsene coi suoi piedi invece che coi miei.

Operaio                         - (tenuto dal Fachiro e da Domenico, mentre Franceschino e l'avvocato tengono Giacomo) Impari a tenere la contabilità esatta delle sue corna, se non vuole che io gliele rompa.

Giacomo                       - Lasciatemi.

Operaio                         - E impari a conoscere la gente.

Fachiro                          - (all'operaio, portandolo via) Pian­tiamola, piantiamola...

Operaio                         - (sulla porta) Cornuto! (via)

Giacomo                       - Lasciatemi, vi dico. Lasciatemi. Gli rompo la faccia.

La Zia                           - Madonna santa, tenetelo!

Pamela                          - I miei amanti! I miei amanti!

Domenico                     - (lasciato l'operaio, va da Giacomo) Si calmi, signore, si calmi,

Giacomo                       - Cosa fa qui, lei? Chi è lei? Chi sono loro, qui? Che cosa vogliono? Chi l'ha invitato lei?

Domenico                     - La prego, la prego. Non sono un invitato. Venivo semplicemente per suonare alle sue nozze e non per essere suonato. Si calmi.

Giacomo                       - Le mie nozze! Belle nozze! Le mie nozze con una sciantosa. Le mie nozze con una... con una sgualdrina.

Pamela                          - Io ti cavo gli occhi! Ti cavo gli occhi! Ti cavo gli occhi!

(altri tengono Pamela, altri Giacomo. La zia urla, tutti danno fondo alle interiezioni ed esclamazioni di cui è ricca la lingua italia­na. Quando fra Pamela singhiozzante e Gia­como col fintone s'è ristabilita una certa di­stanza, entra Salerno in abito da cerimonia)

Salerno                          - Che ossa è successo? Giacomo! Si­gnorina Pamela!

La Zia                           - Nulla, nulla: uno stupido malinteso. Un equivoco.

Pamela                          - Un equivoco, chiamarmi così, senza, sottintesi, una... una sgualdrina di fronte a tanta gente! Povera Pamela, povera Meluccia! (piange)

Salerno                          - Ma no, non è possibile. Dica lei, signor Giacomo, che non è vero. La calmi lei. Non è possibile che il signor Giacomo, un perfetto gentiluomo, abbia pronunziata una parola simile parlando di sua moglie.

Giacomo                       - Non è mia moglie... Grazie a Dio.

Pamela                          - Io non sono più sua moglie. Io sono una... una... una...

Giacomo                       - Io non ho detto questo.

Pamela                          - Avresti la faccia di negarlo, ora?

Giacomo                       - Ripeto che non l'ho detto. Non è possibile.

Pamela                          - Non è possibile: ma intanto l'ha detto. Zia, hai sentito anche tu.

La Zia                           - Io non ho sentito.

Pamela ?                        - Anche tu, anche tu...

Salerno                          - Ma se anche l'avesse detto non in­tendeva dirlo. E' persuaso del contrario. Su, su. Mettiamoci una pietra sopra. Nel matri­monio le parole non hanno peso. Oh! Via. Qua la Mano. Armonia. Armonia. Pace. Concordia. Amorevolezza. Oh, bravi! Senza quei visi d'arme. Pace, pace. Così. E adesso mettetevi sottobraccio come due bravi ragazzi e venite con me in municipio.

Giacomo                       - In municipio?

Pamela                          - A che fare?

Salerno                          - Oh bella. A sposare.

Pamela                          - Un'altea volta?

Salerno                          - Non un'altra volta. La prima volta. La cerimonia della vostra unione .di un'ora fa, interrotta da quel piccolo incidente, del quale non vale la pena di parlare, ora che la pace è fatta, non è valida.

Pamela                    - Ma io ho detto il mio sì. (tra se) Se me lo potessi rimangiare!

Giacomo                       - E io il mio    (tra se) Bel cretino!

Salerno                          - Ma non avete firmato sul registro e non- hanno firmato i testimoni. Il matri­monio, legalmente non è avvenuto.

Pamela                          - Sicché ora dovremo tornare s,u in Campidoglio, sederci in quelle belle poltron­cine rosse, dinanzi a quel funzionario bar­dato di tricolore e dirgli di si un'altra volta? Ma lo sa lei che dieci minuti fa abbiamo de­ciso di divorziare?

Salerno                          - E come volete 'divorziare se prima non siete uniti in matrimonio?

Giacomo                       - Già. I dollari! Salerno ha ragione. Andiamo.

Pamela                          - Andiamo a risposare, avendo sin d'ora la certezza che divorzieremo?

Salebno                         - Ma se tutti avessero questa certez­za, sa quanta gente sposerebbe!

Pamela                          - E sta bene. Anzi questa volta «poso proprio contenta: senza illusioni, senza spe­ranze, senza timori. Giusto per fare un pia­cere alla bonanima dello zio Antonio e un dispetto a chi dico io.

Giacomo                       - (aggressivo) A me? Un dispetto a me?

Pamela                          - No. A De Bisdomini. Il dispetto a te lo farò dopo il divorzio, quando sposerò De Bisdomini. Andiamo, marito da ridere.

Giacomo                       - Andiamo, moglie da piangere, (si mettono sottobraccio. Salerno offre il braccio alla zia).

Mariantonia                   - (sola, ma gridando come se aves­se con sé tutta una dimostrazione) Viva gli sposi

(Domenico e il fachiro attaccano la marcia nuziale, con salopette e piffero. Franceschino con una lunga spada impugnala come una bacchetta, dirige)

Fine del terzo atto

 

ATTO QUARTO

La scena rappresenta una stanza che potrebbe essere definita lo studio di un ricco uomo d'af­fari nell'anno 1999. Salerno, convertito del tutto al futurismo, ha introdotto in quest'ambiente le più ardite innovazioni. Vi si vedono strane forme di telefoni e di ricevitori radio, degli ap­parecchi di segnalazione ottica, con schermo, dei parlòfoni e altre diavolerie di questo genere. I mobili sono del tipo di quelli del primo atto, ma da studio. Due porte laterali e una finestra in fondo, praticabile, come nel primo atto.

All'alzarsi del sipario è in scena Salerno, as­sistito da una giovane segretaria. Sullo schermo appaiono delle lettere e dei telegrammi, Luci

 e segnali luminosi d'ogni genere preannunziano e seguono l'apparire delle scritte sullo schermo. Si odono misteriosi ronzii di macchine. Salerno legge le scritte e risponde. Anche le risposte appaiono sullo schermo.

Appare una scritta :

« Londra 27: +134 V 13-o, 7e = 9i 34 v6 »

Segretaria                      - (traducendo) Offriamo tre mi­lioni lire vostro consorzio Mobile futurista italiano. Smith, Londra.

Salerno                          - Risponda. « Consorzio già costituito. Dolenti rifiutare ».

Segretaria                      - (batte a una tastiera alquanto fantasiosa. Si forma sullo schermo una scritta) Le bobine sono congestionate. Troppo lavoro.

Salerno                          - Troppi milioni. Risponda di no. Sistematicamente a tutti.

(preme dei bottoni su una tastiera e comin­cia un via vai di impiegati e di impiegate che in silenzio sottopongono delle carte alla fir­ma del signor Salerno. Il quale firma, scrive, si agita come un uomo veramente dinamico. La radio bofonchia in questo frattempo cifre e notizie di borsa. La segretaria toglierà op­portunamente la comunicazione).

Segretaria                      - (mostrando un pacco di lettere) Lettere e telegrammi che chiedono il giorno e l'ora dell'arrivo del signor Giacomo Neri.

Salerno                          - (improvvisamente furioso) E che cosa chiedono questi passatisti? Si chiede forse quando arrivano i sovrani? Il re del mobile futurista italiano arriva oggi alle tre­dici e cinquantacinque in treno speciale da Genova. Tutti i giornali portano la notizia. Cestini e non risponda.

(Squilli ripetuti di telefono. Le luci sventa­gliano. Le scritte sì moltiplicano. Le macchi­ne ronzano. La radio riprende a eruttar ci­fre. Il viavai degli impiegati si fa frenetico. Congestione).

Salerno                          - Basta! Basta! Sono un uomo anch'io. Ne ho piene le bobine. Lasciatemi in pace, (tutti escono. I telefoni e la radio tac­ciono. Segue un gran silenzio. Viene intro­dotta, con cerimonie d'incredibile rispetto, la signora sia, piangente e vestita a lutto)

Salerno                          - Avevo giusto bisogno di un po' di allegria. Buongiorno.

La Zia                           - Buongiorno. Nessuna notizia? Nulla? (vedendo che Salerno non risponde, rinfor­za le lagrime) Povera Pamela! Povera Meluccia mia!

Salerno                          - Io vorrei sapere perché vi siete ve­stita a lutto. Per lo zio Antonio?

La Zia                           - Per quella povera creatura, per Pa­mela.

Salerno                          - Ma chi vi dice che sia morta?

La Zia                           - Un mese, un mese intero che non se ne sa nulla.

Salerno                          - Nessuna notizia, buone notizie. E voi... la!... un bell'abito da lutto. Questo a -casa mia è un chiamar le disgrazie col me­gafono. Oue8ta è iettatura sperimentale.

La Zia                           - E De Bisdomini? Non è scomparso, lui? Son più di venti giorni...

Salerno                          - Anche questo, che significa? E' semplicemente scomparso. Da questo a mori­re ce ne corre. Ma anche se De Bisdomini fosse morto, per questo dovrebbe esser morta anche Pamela? Che nesso c'è?

La Zia                           - Non so. Ma c'è certamente uno. E se fossero scappati insieme?

Salerno                          - Tutte queste ipotesi, queste ricer­che lasciamole alla polizia.

La Zia                           - Oh poveretta me! E che diremo a Giacomo?

Salerno                          - Questo piuttosto è un pasticcio. Di­remo... diremo... Bell'accoglienza a un mi­lionario che torna dall'America. « Sa? Non sappiamo se sua moglie sia morta, o sia scap­pata con quel tale amico che lei sa ».

Una voce                       - II signor Natale Pincherloni.

Salerno                          - Ah, bene. E' il detective. Fate pas­sare.

Pincherloni                    - (dalla porta) - Buongiorno- (si mette a misurare in terra, raccoglie un pez-zetto di carta che depone delicatamente nel portafogli, poi con una lente osserva atten­tissimamente un piede della tavola)

La Zia                           - Ebbene, signore, avete notizie?

Salerno                          - Sssst! Non vedete che sta indagando ? Non lo disturbate.

Pincherloni                    - (scrive qualche cosa) Già. Mol-tiplicato per il numero fisso 3,14, questo mi darà la chiave. Non c'è più dubbio. Siamo sulla buona via. Chi ha portato qui questa tavola ?

Salerno                          - (titubante) Dei facchini.

Pincherloni                    - Uno di loro era De Bisdomini. E chi ha messo quella presa di corrente elet­trica?

La Zia                           - L'elettricità del negozio qui all'an­golo.

Pincherloni                    - Era De Bisdomini. E chi ha portato questo telegramma ?

Salerno                          - De Bisdomini.

Pincherloni                    - Nossignore. Lo ha portato uni fattorino del telegrafo. Vedete come siete pronti a generalizzare? Non vi rendete conto?!

La Zia                           - Dio sa che cosa salta fuori, adesso.

Pincherloni                    - Ormai tutto è chiaro. Non si tratta che di dedurre.

La Zia                           - Oh, deduca, la prego, deduca.

Salerno                          - Con circospezione. La signora è] molto impressionabile.

Pincherloni                    - Non sarei quello che sono se non fossi, innanzitutto, un uomo pieno di tatto, (inspirato) Si tratta di suicidio o di delitto? De Bisdomini seguì o precedette la signorina il giorno della fuga? Perché è evidente che fra la scomparsa della signorina e quella del conte c'è un nesso.

La Zia                           - Lo dicevo io. Il cuore me lo diceva.

Pincherloni                    - Ora il conte la rapì con vio­lenza o il ratto fu consensuale? Siamo dinan­zi a un sequestro di persona? 0 a un triste, ma purtroppo comunissimo episodio della tratta delle bianche? Si tratta di una ven­detta passionale, d'un suicidio a due, d'un oscuro dramma d'amore, o della solita pa­tacca?

La Zia                           - Gesù, Maria! La patacca!

Pincherloni                    - Non si tratta che di ipotesi. L'ipotesi è il primo ferro della nostra arte sa­gace. E queste sono le ipotesi che mi pro­pongo di scartare o di accertare nei prossimi aie mesi. E se in questo frattempo la signo­rina Pamela...

Salerno                          - Pamèla.

Pincherloni                    - (esterrefatto) Come ha detto?

Salerno                          - Pamèla, con l'accento sull'e e non sull'a.

Pincherloni                    - Eh, corpo di mille bombe, ma perché non dirlo prima? Questo dato di fatto cambia molte cose e sposta tutto il pia­no delle mie indagini. Sfido io! Ma anche se l'avessi incontrata per la strada, come vo­lete che l'avessi riconosciuta? Buongiorno. (si avvia verso la finestra)

Salerno .                        - Ehi, la porta è di qua.

Pincherloni                    - Natale Pincherloni, detto Nat Pincherlon, non passa mai per la porta, (esce dalla finestra)

Salerno                          - Che gente! Con la base d'un sem­plice accento tonico riesce a ritrovare una persona, (si spara il cannone di mezzogiorno) Mezzogiorno. Il treno speciale arriva all'una e mezza. Bene. Ora si fa colazione insieme e poi si va alla stazione.

La Zia                           - E con che coraggio posso presentarmi a Giacomino senza Pamela?

Salerno                          - Allora, tornate all'Albergo.

La Zia                           - Non mi ci posso vedere in quel Grand Hotel. E poi duecento lire il giorno di stanza. Dal letto vedo sulla porta quel cartellino: allora mi metto a calcolare quanto viene a costare un minuto di sonno e non posso più dormire, (via)

La Segretaria                          - (si prepara la colazione che sarà succulenta. Lo schermo porta nuove scritte. Ella le sopprime, I telefoni squillano. Ella stac­ca i microfoni. La radio gracchia delle cifre. Ella la regola fino a che le cifre di borsa sono sostituite dall'orgiastico sincopato d'un fox. Quando sta per cominciare a mangiare s'avvede che è entrato Giacomo Neri).

Giacomo                       - (è il vero tipo del morto di fame. Una barba di tre giorni. Impillaccherato, sporco, stracciato. Ha un fagottino sottobraccio. Si sente a casa sua e non fa complimenti. Questo eccita l'indignazione della segretaria).

Segretaria                      - Signore...

Giacomo                       - Dice a me?

Segretaria                      - Come devo chiamarla per rivol­gerle la parola, se ignoro il suo nome?

Giacomo                       - Ah, è un modo di dire. Scusi, mia zia?

Segretaria                      - Quale zia?

Giacomo                       - Mia zia, la zia di Giacomo Neri.

Segretaria                      - E' anche sua zia? Lei è un pa­rente...

Giacomo                       - Già... un parente povero. Dov'è?

Segretaria                      - La, signora zia è andata col si­gnor Consigliere Delegato alla stazione a ri­cevere il signor Presidente.

Giacomo                       - A ricevere chi?

Segretaria                      - A ricevere il signor Giacomo Neri.

Giacomo                       - E, scusi, il signor Giacomo Neri, di che cosa è presidente, se è lecito ?

Segretaria                      - Presidente del Consorzio del Mo­bile Futurista Italiano. Capitale interamente versato sette milioni. Riserve cinque milioni. Sede sociale in Roma.

Giacomo                       - Schiarimenti gratis a richiesta. Guarda, guarda, guarda. Sette milioni.

Segretaria                      - Interamente versati.

Giacomo                       - Scusi, versati da chi?

Segretaria                      - Ma da dove viene lei, dall'altro inondo?

Giacomo                       - Per l'appunto. Allora, se mi per­mette, attendo qui il signor presidente.

Segretaria                      - Prego (gli fa sdegnosamente cen­no che s'accomodi e comincia a far colazione battendo il tempo e dimenandosi sul ritmo del charleston. Giacomo sbircia la ricca im­bandigione e ingollando saliva attende un « vuoi favorire » che non viene. Finalmente svolge il suo miserabile fagottino, ne trae una crosta di pane risecchito e tenta di addentar­la; ma invano)

Giacomo                       - Vuoi favorire?

Segretaria                      - Grazie.

Giacomo                       - (considerate le resistenze del tozzo di pane, finisce col batterci il tempo: legno sii legno. Da una scatola di latta trae una cie­ca e l'accende) La disturba il fumo?

Segretaria                      - Prego. E dica una cosa: quanto ha ereditato il signor Giacomo Neri» almeno Io sa?

Giacomo                       - (fa cenno che lo sa anche troppo bene)

Segretaria                      - Dodici milioni di dollari.

Giacomo                       - (che stava riaccendendo la cicca si scotta)

Segretaria                      - Solo il treno speciale per andarlo a prendere a Genova è costato quarantamila lire. Ha viaggiato mai, lei, in treno speciale?

Giacomo                       - Sì, alla più lunga stanotte, nascosto io e le mie valigie in un vagone merci, ca­valli otto, uomini quaranta, (il ritmo del charleston infuria. La segretaria non so più sfare alle mosse).

Segretaria                      - Uh, questo lo ballerei anche con una sedia, (cerca una sedia intorno a sé e tro­va Giacomo, gli si mette fra le braccia. Co­minciano a ballare)

Giacomo                       - Mi servirà per digerire, (seguita da una « sorella » entra Pamela, vestita da edu­canda. Giacomo, senza affatto scomporsi, smette di ballare. La « sorella » udendo quel­la profana musica si segna tre volte, ciò in­duce la segretaria a « spegnere » la radio) E tu da dove vieni, vestita in quel modo ridi­colo?

Sorella                           - L'uniforme del nostro collegio, si­gnore, è rinomata in tuta Italia per il suo buon gusto e la sua fine: e signorile eleganza.

Pamela                          - Hai sentito. Vengo dal collegio. An­zi, dal convento.

Giacomo                       - E che cosa ci sei andata a fare?

Pamela                          - Parlate voi, sorella.

Sorella                           - II convento era l'unico luogo, si­gnore, dove una giovane onesta potesse atten­dere il ritorno del marito, senza dar motivo a mondane mormorazioni, pregiudizievoli all'onor suo.

Giacomo                       - (colpito e soddisfatto da questa ragio­ne) Brava, questa è stata proprio una ri­soluzione degna di una brava figliuola. Senti, Meluccia, puoi farmi il favore di prestarmi sette lire e novanta? Ho la vettura di sotto... non ho da cambiare.

Pamela                          - Neanch'io. Ho cinquanta lire (gliele da).

Giacomo -                     - Dunque hai da cambiare, (alla se­gretaria) Volete farmi la cortesia di far pa­gare la vettura, e d'ordinare al ristorante di fronte un pranzo per tre?

Pamela                          - Grazie, noi abbiamo pranzato.

Giacomo                       - Beate voi. Io mi sono dimenticato come si fa. (alla segretaria) E delle sigarette (via la segretaria)

Pamela                          - (osservando attentamente la miserabile apparenza di Giacomo) Giacomo, ma che ti è successo? In che stato sei ridotto.

Pamela                          - Ti sei già mangiato tutta l'eredità?

Giacomo                       - Tutto. Cioè. Tutto meno questo. (accenna e mostra il tozzo di pane) Non cre­do ci sia un uomo capace di mangiarlo.

Pamela                          - Ma, disgraziato, come hai potuto dilapidar in meno di un mese un patrimonio?

Giacomo                       - Te lo dico subito: acquistando un biglietto di terza classe da Boston a Genova. Meluccia, occorre tu dia con molta circospe-zione, tanto alla zia che a Salerno, questa fulminante notizia: tutto sommato l'eredità dello zio Antonio Spazzola era di dollari quat­trocentoventisette e centesimi novantanove.

Pamela                          - Ma è la rovina per te!

Sorella                           - Vanità, vanità delle vanità.

Giacomo                       - Vanità un corno. Ma ti rendi conto. Vanità, me la chiama!

Pamela                          - Comprendo che per te e per la zia deve essere un colpo terribile!

Giacomo                       - Già, e per te, no.

Pamela                          - Per me è un'altra cosa. Sorella...

Sorella                           - Ella ha detto per sempre addio a queste pompe mondane. Sappiate, signore...

Pamela                          - Con circospezione anche voi, sorella. Voi non lo conoscete.

Giacomo                       - Cos'è questo rebus? Cosa sono que­ste pompe? che c'è di nuovo? (s'è andato avvicinando un po' troppo a Pamela. La so­rella lo ferma).

Sorella                           - Non vi avvicinate. Ella non appar­tiene più a voi, signore.

Giacomo                       - Che cosa?

Sorella                           - Ella ha per sempre rinunziato al secolo. Non è venuta qui che per salutare quelli che furono i suoi parenti: poi tornerà con me al convento, per sempre.

Giacomo                       - Al convento? Ma a far che cosa?

Sorella                           - A prendere il velo.

Giacomo                       - Ma t'ha dato di volta il cervello? farneticate tutte e due?

Pamela                    - E' vero, fratello. Ho deciso di ri-nunziare ad una vita di false gioie e di pia­cevoli ma effimeri inganni... (entrano la zia I e Salerno. La zia abbraccia Pamela e poi Giacomo. Salerno si precipita verso Giacomo)

Salerno                          - Giacomo, figliuolo mio. Permetta che l'abbracci.

Giacomo                       - Non mi secchi. E anche tu, zia, smettila con queste smancerie.

Zia .                               - Smancerie? Da un mese la crediamo morta, la ritroviamo sana e salva e tu non vuoi che io pianga, idi consolazione?

Giacomo                       - Sicché tu non sapevi che questa si­gnorina era in convento?

La Zia                           - Io? che vuoi che sapessi, io?

Salerno                          - Che se ne doveva sapere? Un bel giorno prende il volo, e addio. Chi s'è visto s'è visto.

Giacomo                       - Sicché non sai nemmeno che dopo preso il volo, ora vuole prendere il velo.

Salerno                          - Che cosa?

La Zia                           - Ma è vero, figlia mia. E' possibile?

Pamela                          - Sì, zia. Ho deciso di rinunziare ad una vita di false gioie...

Giacomo                       - ... e di piacevoli mia effimeri in­ganni, per passare dalle tavole di un palco-scenico di varietà alle mura di un chiostro, dopo una breve sosta in municipio, (alla so­rella) Ma lei, lei le sa le prodezze di questa novizia, conosce lei la facilità con cui le sue vocazioni nascono, mi mescolano? E' sicura, lei, che dopo quindici giorni che è in conven­to non le salti il ticchio di tagliar la corda per diventare che so? cavallerizza, sufragetta o stella cinematografica? o donna-serpente?

Sorella                           - Per questo abbiamo voluto che ella, come sa a che cosa va incontro, così conosca bene a che cosa rinunzia. Per questo abbia­mo voluto che suor Reparata, come si chia­merà nella sua vita religiosa...

Giacomo                       - Benissimo. Un altro pseudonimo. Un nome d'arte sacra.

Sorella                           - ... per questo, dicevo, abbiamo vo­luto che suor Reparata rivedesse prima i pa­renti e si trovasse una volta ancora fra i pericoli del mondo.

Giacomo                       - I pericoli del mondo! Ma lei è stata mai al Varietà dell'Arena? Lei sa che cosa è una stella eccentrica di quelle che fanno la mossa?

La Zia                           - Giacomo!

Salerno                          - Io trovo...

Giacomo                       - Le ho detto di non seccarmi.

Salerno                          - (a sé) I dollari gli han dato alla testa. Che brutto trattare con questi milio-nari.

La Zia                           - Io non capisco questa furia. Tu non fai che pensare al male. E se il Signore le avesse veramente toccato il cuore?

Giacomo .                     - Ma questa è toccata di cervello, come te che le dai sempre ragione. Se un giorno ti dicesse che le è venuta la vocazio­ne d'andare in giro in costume da bagno, tu troveresti che questa è una nobile azione, e che bisogna aiutarla, povera crea­tura!

Pamela                          - Sorella, io non posso udire più a lungo questi discorsi profani d'un mondo al quale ormai nulla mi tiene unita. Suor Pro­lissa andiamo. Addio.

Giacomo                       - Fermati. Te lo ordino.

Pamela                          - (si consulta con gli occhi con la sorel­la) Devo ubbidire?

Sorella                           - Io credo che fino al giorno in cui il vostro nodo non sia sciolto, sia vostro do­vere ubbidirgli.

Giacomo                       - Oh, alla buonora! (soldatesco) Met­titi a sedere.

Pamela                          - Me lo ordini?

Giacomo                       - Te lo comando.

Pamela                          - (martire infilzata) Obbedisco.

Giacomo                       - E ora procediamo per ordine. Que­sta pazzia di lasciare la casa per rifugiarsi in un convento...

Sorella                           - Abbia la cristiana sopportazione, si­gnore, di ascoltarmi e di non chiamare paz­zia una santa ispirazione del cielo. Dove vuo­le che si rifugiasse una povera fanciulla per­seguitata...

Giacomo                       - (come colpito da una rivelazione) Che? Forse quel de Bisdomini?!...

Pamela                          - Tardi, ma c'è arrivato. Che cosa dovevo fare? Come dovevo salvarmi? Veniva in casa un elettricista a cambiare una val­vola: era lui. Un facchino a portare un mo­bile: era lui. Prendevo una carrozza, la gui­dava lui, andavo dal calzolaio, era lui che mi provava le scarpe. Disperata scappai in collegio, senza fax sapere a nessuno dove an­davo...

La Zia -                         - ... nemmeno alla zia.

Pamela                          - ... e così mi credetti al sicuro. Sì, giusto: appena scesi in chiesa trovai il sagre­stano che spasimava per me: era lui. Non im restò che farmi ospitare al vicino convento.

Giacomo                       - E meno male che la superiora non era lui!

Pamela                          - E lì fui accolta e vissi un mese mura­ta viva.

Giacomo                       - (le leva un bruscolo dalla spalla)

Pamela                          - Che c'è?

Giacomo                       - Nulla: un pezzo di calcinaccio.

Sorella                           - Allora dunque la vocazione che dor­miva in lei...

Giacomo                       - ... saporitamente, si destò e suor Lilli Bislilli decise di rinunziare al mondo. Sia fatta la sua volontà.

 

Pamela                          - (delusa e contrariata) Tu non li op­poni, dunque?

Giacomo                       - Io!?

La Zia                           - Dio sia lodato.

Pamela                          - Ve l'avevo detto, Suor Prolissa, che in fondo, Giacomino ha un grande, un nobile cuore.

Sorella                           - E voi fate bene a perdonargli. Que­sta fanciulla signore, è un angelo.

Giacomo                       - Senta, delle due una: o lei non conosce questa fanciulla, o lei non conosce gli angeli! A che ora volete partire?

Pamela                          - Fra un'ora.

La Zia                           - (si mette a piangere)

Giacomo                       - Basta con le lagrime, zia: e levati il lutto. Quella cara anima dello zio Antonio era troppo allegro per desiderare queste te­traggini.

Salerno                          - E l'eredità? Lei non mi dice nulla? Deve essere una cifra tremenda.

Giacomo                       - Peggio: catastrofica.

Salerno                          - Una cifra astronomica.

Giacomo                       - Già: quando l'ho sentita la prima volta ho veduto le stelle.

Salerno                          - Ma che ha la signora? Si sente male?

Pamela                          - Nulla: le ho detto la cifra della eredità ed è svenuta.

Salerno                          - Via, via che di gioia non si muore. Dunque: il nostro consorzio è costituito. Pensi che hanno fatto a pugni per sottoscri­vere. Lei è stato nominato presidente per acclamazione. Non solo: ma le hanno asse­gnato per forza uno stipendio... (ride come un matto. Per contagio ride anche Giacomo)

Pamela                          - Ridi, zietta, che ti passa.

Salerno                          - ... uno stipendio di centosessantami-la lire, a un multimilionario come lei, che ci affoga tutti nei biglietti da mille, (ride di nuovo e. s. e tutti fanno coro a lui) Io mi sono permesso di fare per lei qualche spesuccia: pagato il fallimento, comprata una «cinquecentonove » per la signora Pamela...

Pamela                          - Vanitas, vanitatum et omnia vani-tas.

Salerno                          - In tutto ho speso una sciocchezza: centomila lire.

Giacomo                       - Lei me ne parla, dica la verità, perché è sicuro di non riaverle, è vero? (scoppia in una risata. Salerno, che sa stare allo scherzo, anche lui. In mezzo alle risa la zia si rimette a piangere. Pamela e la so­rella la conducono via)

Salerno                          - Scommetto che è ancora per lo zio Antonio, (o Giacomo che, vedendo uscire la colazione ha fatto una faccia cannibalesca) E coraggio anche lei, signor Giacomo. Siamo tutti mortali.

Giacomo                       - Senta! Mi lascia al mio dolore, (via Salerno. Giacomo comincia a mangiare. Un istante dopo rientra Pamela. Giacomo non la considera presente. Per farsi dar retta Pa-mela scorre con la mono sulla tastiera dei campanelli. Conseguente sinfonia. Giacomo leva la testa)

Pamela                          - Giacomino, vorrei chiederti un fa­vore: l'ultimo. Tu conosci questa valigetta.

Giacomo                       - Le tue duemilasettecento lettere di amore all'ideale. Conosco, conosco.

Pamela                          - Non vorrei distruggerle e d'altra parte non vorrei portarle con me in convento.

Giacomo                       - Sei una monaca piena di tatto. (quasi a se) La monaca fatale. Ebbene, che c'entro io ?

Pamela                          - Perche non me le tieni tu?

Giacomo                       - (dapprima stupito, poi interessato) Io? Ebbene, perché no? Ma ad un patto: prima che tu te ne vada per sempre al tuo eccentrico destino, io vorrei sapere da te il nome vero di quest'uomo, vorrei... vedi... (si sente un terribile urlo di Salerno) Nulla, è la zia che deve aver dato la notizia della eredità a Salerno.

Salerno                          - (si precipita in iscena. E' completa­mente canuto) Signore, so tutto.

Giacomo                       - Lo vedo.

Salerno                          - Ora ci sono tre soluzioni.

Giacomo                       - Prego, le enumeri.

Salerno                          - Numero uno: uccidervi.

Giacomo                       - Passi al numero due.

Salerno                          - Uccidermi.

Giacomo                       - Noto un certo progresso. Sentiamo il numero tre.

Salerno                          - Terza soluzione. Prendete questa borsa: contiene duemila monete da una lira. Abbiate la cortesia di gettarla dalla finestra. No, non mi guardate così: sono ancora sanis-simo di mente. Occorre, capite? che si con­tinui a credervi ancora milionario fino a che i nostri stipendi del Consorzio non corrano più pericoli... (da la borsa a Giacomo che fa l'atto di gettarla)

Giacomo                       - Sicché, devo?...

Salerno                          - Gettarla.

Giacomo                       - (esegue. Salerno corre via) Dunque, stavo per dirvi... Queste lettere a chi erano dirette? Non giuocare sull'equivoco perché sono senza indirizzo.

Pamela                          - Come senza indirizzo? Guardale pure.

Giacomo                       - (leggendo) «Signor Mac O'Gerion». E chi è costui? Qualche attore cinematogra­fico americano, scommetto.

Pamela                          - Non è nessuno. Non è nessuno. Nes­suno, (getta un urlo)

Giacomo                 - Che diavolo c'è ancora. E lei che cosa fa lassù? Chi è lei?

Pincherloni                    - Sono venuto a portare una tre­menda notizia a questa casa prediletta dalla sventura. Ma non mi basta l'animo di darla per primo. Hanno ritrovato il cadavere.

Pamela                    - Di chi?

Pincherloni              - Della povera Pamela Neri.

Pamela                          - (appena rimessa dal colpo) Come? Ah! Meno male. Va bene. Penserò io a dare la notizia alla desolata famiglia. Io sono, credo, la persona più adatta.

Pinchekloni             - (esce dalla finestra),

Giacomo                 - Pamela morta!

Pamela                    - Sì, morta al secolo.

Salerno                          - (entra da sinistra e va incontro a un impiegato che rientra da destra riportando la borsa delle duemila lire) Oh, bravo, date qua. Sono tutte?

Impiegato               - Le abbiamo raccolte tutte. Anzi c'è anche una moneta da due lire in più.

Salerno                   - (prende anche la moneta da due lire) Benissimo. E date subito ai giornali la no­tizia del munifico gesto del signor Presi­dente, (l'impiegato esce) Questa la daremo di mancia.

Giacomo                       - Allora spettano a me. (prende da Salerno le due lire e le passa a Pamela) Sono quarantotto.

Pamela                    - (le getta dalla finestra)

Salerno                          - Ma siete matta, disgraziata? (si pre­cipita dalla finestra a raccattare le due lire)

Pamela                    - Non ci resta che dirci addio, fra­tello.

Giacomo j                      - Non vuoi dirmi chi è quest'uomo. Questo Mac O'Gerion? Dì la verità, è per lui che abbandoni il mondo?

Pamela                    - (accenna di sì, tristemente)

Giacomo                       - E rinunzi alla giovinezza, alla vita, alla speranza di dimenticarlo per un altro uomo, più degno di lui?

Pamela                    - Non ce ne sono più degni di lui. Giacomo tu non sai che io lo ho amato da sempre. Non ho amato che lui...

 

Giacomo                 - Ma se non esisteva...

Pamela                    - Esisteva, esiste.

Giacomo                 - Ed è lontano?

Pamela                    - Molto lontano, molto lontano da me. A volte ho l'impressione d'essere divisa da lui da due secoli. Ma certo è tutta colpa mia. Sono io, Pamela, che son nata troppo tardi. Mi sono ritrovataqualche volta sul palcoscenico, in tricorno e bauta, in un passo di minuetto: e non capivo perché la gente mi battesse le mani: quella era la mia vita vera. Non recitavo, non fingevo: vivevo. Og­gi, nella vostra vita comune, non so vivere. La vita mi ha trascinata da una casa a un palcoscenico, da un palcoscenico ad un con­vento...

Giacomo                 - Per te l'uno o l'altro fa lo stesso...

Pamela                    - Certamente. Non sono nata ne per l'uno né per l'altro. Scelgo il secondo per­ché sono una brava ragazza e non so fare il male: e voglio sempre poter pensare a lui senza arrossire dinanzi a me stessa e dirmi: Vedi, Meluccia, se egli un giorno si ravvederà, se egli un giorno comprenderà chi eri e come lo amavi e quanto bisogno avevi di com­prensione, d'affetto, di guida, tu potrai sem­pre guardarlo coi tuoi occhi chiari e senza ombra e perdonargli tutto il male che ti ha fatto, povera Meluccia!... (piange) Non mi dire nulla, Giacomo. Di tutte queste cose tu non hai capito nulla, forse hai troppo da fare, forse sei proprio tu il meno adatto a capirmi: perché se io sono nata duecento an­ni dopo, tu, futurista, sei nato duecento anni prima: e quattrocent'anni di differenza d'età fra due persone sono troppi... Addio Giaco­mo... (si avvia. Giacomo si batte una grande manata sulla fronte e afferra Pamela strin­gendola furiosamente a se)

Giacomo                       - Ah finalmente! Mac O' Gerion è l'anagramma di Giacomo Neri...

Pamela                    - Non è vero...

Giacomo                 - Nega, imbroglia! Ho capito tutto. Ho capito a dispetto del varietà edel con­vento!

La Zia                     - Giacomino, ha telefonato l'avvocato che la sentenza del vostro divorzio è uscita oggi.

Pamela                          - (a Giacomo) E questo terzo matri­monio, quando lo faremo? (con riverenza settecentesca).

FINE