Paparino

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PAPARINO

Tre atti farseschi

di DINO FALCONI

PERSONAGGI

STEFANO MARCHI

MARTA MARLENE

GIUSEPPE MARCHI

VITO SIGNORI

AGENORE BERTONI

MARIA GIULIA MARCHI

SOFIA

MARGHERITA SIGNORI

INGEGNER CARLO SANDI

ATTO PRIMO

Una camera da letto in un albergo non di primissimo ordine. Tappezzerie sbiadite, mobilio frusto e fuori moda, stampe di cattivo gusto alle pareti, un piano­forte verticale. In fondo, una porta che dà sul corridoio; a destra, una porticina che dà nel bagno; a sinistra, una finestra.

(All'alzarsi del sipario la scena è vuota; poi alla porta di fondo, introdotto da Agenore, - un cameriere facchino, come si intuisce dal suo piuttosto sudicio grembiulino verde - entra Vito Signori, un ometto dai grandi occhiali e dal grosso bastone).

Agenore                           - Si accomodi pure. Il signor Marchi non c'è. Ma si accomodi pure.

Vito                                 - Grazie. Non sa quando torna1?

Agenore                           - Non glielo saprei proprio dire.

Vito                                 - M'aveva dato appuntamento per le tre...

Agenore                           - Allora può darsi che venga subito.

Vito                                 - (allarmato) Come, può darsi?

Agenore                           - Sì... dico... se non ha altro da fare.

Vito                                 - (quasi tra sé) Perché io alle quattro devo andare alla scuola.

Agenore                           - (drizzando le orecchie) Ah, il signore è maestro...

Vito                                 - (mezzo sorriso) Sì e no. Maestro di musica. Ma parlavo della scuola di canto. Non che io insegni canto. Ma se non si perde un po' di tempo a insegnare le nostre canzoni, nessuno ce le canta.

Agenore                           - (che non capisce) Insegnare le canzoni?

Vito                                 - Sì, ai canzonettisti. Le imparano a orecchio. Non ce n'è uno che sappia la musica. Uno non ce n'è! E allora, si sa, è interesse nostro farsi vivi.

Agenore                           - Ah, ecco. Il signore scrive canzonette.

Vito                                 - Eh già. Signori, Vito Signori.

 Agenore                          - (colpito) Quello della Terra della Rumba e della Canzone di Maliù! (Accenna) Maliù

sei tu - un balocco e nulla più - un bijou - un joujou

sei tu - Maliù! » .

Vito                                 - (con un sorriso approvatore) Ha orecchio, lei.

Agenore                           - (con un certo orgoglio) Ero corista al Dal Verme, ai miei tempi.

Vito                                 - Ah, bravo. (Un silenzio).

Agenore                           - (improvvisamente) Ma allora... lei non viene per denari?

Vito                                 - Come?

Agenore                           - Mi scusi, sa... volevo dire... che è un amico del signor Marchi?

Vito                                 - Direi di sì.

Agenore                           - (sollevato) Allora lo faccio chiamare. So dov'è. È al caffè, qui vicino. (Va sul corridoio e strilla) Ohe! Luisin... vai qui al caffè a chiamare il signor Marchi! Corri!

Vito                                 - (che non è molto perspicace) Si può sapere perché non lo ha fatto avvertire prima?

Agenore                           - (strizzando l'occhio) Prudenza! E poi obbedisco agli ordini. Gente che chiede del signor Marchi, scoraggiarla finché non se ne va.

Vito                                 - (capisce solo allora) Tutti creditori, eh?

Agenore                           - (confidenziale) Senta, io da quando son qui... e c'ero prima ancora che venisse il signor Marchi... non ho visto venire a chiedere di lui che due categorie di persone: quelli che dovevano avere denaro da lui e quelli a cui lui doveva dar denari.

Vito                                 - Accidenti! Ma come fa a pagarli tutti?

Agenore                           - Non li paga e ti saluto. Dove vuol che li pigli i denari, scusi? Guardi che le parlo così perché lei è un suo amico e poi perché non pagherà i debiti, va bene, ma è tanto e poi tanto simpatico...

Vito                                 - Oh, povero Marchi! Io non sapevo che fosse così... Ma perché sta in albergo, allora?

Agenore                           - Bravo! E gli uscieri? Provi a frugare nei mobili... Niente!

Vito                                 - Non capisco.

Agenore                           - Si vede che non è pratico di sequestri, beato lei! Tutta la guardaroba del signor Marchi, l'ho in consegna io. Dunque, niente da sequestrare.

Vito                                 - Va bene. Ma la camera la dovrà pur pagare?...

Agenore                           - Già. Ma invece...

Vito                                 - Chiodi anche qui!

Agenore                           - No, no. Non paga, ecco. Ospite. È un ospite.

Vito                                 - È amico dei padroni?

Agenore                           - Non Io possono soffrire.

Vito                                 - E allora è ospite di chi?

Agenore                           - (si stringe nelle spalle) La padrona dell'albergo, che è morta tre mesi fa, poveretta, ha lasciato nel testamento l'obbligo di ospitarlo gratis.

Vito                                 - Oh, bella!

Agenore                           - (fraintendendo intenzionalmente) Eh, era una bella donna, sì!

Vito                                 - Chi?

Agenore                           - (sempre con intenzione) La padrona.

Vito                                 - (cominciando a capire) Ah, ecco... E Marchi...

Agenore                           - (evasivo, ma malizioso) Il signor Marchi è tanto e poi tanto simpatico...

Vito                                 - Ecco, ecco.

La voce di Luisin            - (di fuori) Ohe, Genore... El sciur Marchi el dis insci ch'el ven subit. El finiss la partida e el ven.

Agenore                           - (a Vito) Ha sentito? Dice che finisce la partita e viene.

Vito                                 - Ma io ho premura... E quello gioca!...

Agenore                           - Lo lasci fare. Si starà guadagnando le sigarette.

Vito                                 - È pieno di debiti e gioca?!

Agenore                           - A carambola. Stia tranquillo: è imbattibile. È che non vuole, perché dice che gli sembrerebbe di truffare il prossimo - tutte storie! -ma il signor Marchi a carambola potrebbe guada­gnarsi da vivere, se volesse.

Vito                                 - Bel tipo, però! Sempre allegro... sempre spensierato...

Agenore                           - Chi non ha denari non ha pensieri! (Bidè).

Vito                                 - (riflessivo) Sì, va bene... ma che un uomo alla sua età, debba ridursi a vivere alla giornata. Con un fratello ricco, poi. Perché ha un fratello ricchissimo.

Agenore                           - Me l'ha detto. Io non l'ho mai visto, però.

Vito                                 - Eh, caspita! Giuseppe Marchi, del coto­nificio Marchi...

Agenore                           - Voglio dire che qui suo fratello non ci viene mai.

Vito                                 - Lo so, lo so. Sono in rotta... Non si parlano nemmeno...

Agenore                           - Parlarsi, non si parlano. Però, so che si scrivono. Il signor Marchi è così disordinato... ho letto delle lettere che aveva lasciato in giro.

Vito                                 - E allora, santo cielo, se sono in buoni rapporti...

Agenore                           - Buoni rapporti? L'ultima lettera che gli ha scritto il fratello cominciava così: «Non ti dò un soldo! Dovresti vergognarti della obbrobriosa vita che conduci. Non sei che un fannullone, libertino, e scialacquatore... ». Alla grazia dei buoni rapporti!

 Bertoni                           - (massiccio, inelegante, affacciandosi alla porta) La camera 19?

Agenore                           - La camera del signor Marchi? È questa. Ma il signor Marchi non c'è.

Bertoni                            - (sarcastico) Me lo figuravo. Me l'avevano detto: «Vedrai che non Io trovi!».

Agenore                           - (pronto) È uscito dieci minuti fa. Vero, signore? (Fa un cenno d'intesa a Vito).

Vito                                 - (interdetto) Già... sì...

Bertoni                            - (c. s.) Oh guarda! guarda! E si può sapere dove è andato?

Agenore                           - Non saprei. Credo alla Banca.

Bertoni                            - (attento) Alla Banca?

Agenore                           - (serissimo) Credo. Siccome aveva pagato la fattura al signore, ed era rimasto quasi senza denari, mi è parso di capire che fosse andato in Banca.

Bertoni                            - (incerto) Sarà. (Energico) In ogni modo gli dica che è venuto qui Bertoni. Lui sa chi sono. Bertoni. E che oggi è il quattordici. E che il dodici era l'altro ieri. Lui capisce. Se ne ricorda?

Agenore                           - Eh, altro che! Il signor Bertoni. Oggi è il quattordici e l'altro ieri il dodici.

Bertoni                            - Bravo. Buongiorno. (Si avvia, si ferma sotto la porta) E che con me non si scherza... Che son capace anche di farlo andare a San Vittore. Buon giorno. (Esce).

Agenore                           - Che brutto carattere! Comunque, per oggi è andato.

Vito                                 - (spaventato) Ah, Madonna! Ma io non saprei vivere così... Sequestri, protesti, minacce...

Agenore                           - (ride) Oh sì! Per il signor Marchi è il suo pane. Quasi quasi si ci diverte!

Vito                                 - Anche quando si trova a faccia a faccia con un tipo come quello lì? (Accenna alla porta di fondo).

Agenore                           - Allora è il bello!  Io non so come faccia... Qualche volta, magari, è anche aiutato dal caso... Ma il fatto sta che riesce sempre a cavar­sela, o in un modo o nell'altro. Guardi, una settimana fa è venuto il suo sarto. Bisognava vederlo! Pareva che dovesse rompere tutto! « È ora di finirla! Lei mi ha preso per il suo zimbello! Lei qui... lei là... ». Il signor Marchi, poveretto, s'è messo a piangere... ha detto che la sorte si accaniva contro di lui... che la sua amante stava agonizzando in un Sanatorio in Svizzera... che lui aveva la morte nel cuore, e doveva invece lottare contro le miserie della vita, mentre la creatura più cara che aveva al mondo, stava per lasciarlo. Voleva essere pagato? Ma sì, va bene! Lo avrebbe pagato... Vuol dire che avrebbe rinunciato a portare un po' di gioia a quella povera moribonda. Lei voleva vederlo prima di chiudere gli occhi per sempre... E invece no, non sarebbe partito, non avrebbe dato al suo amore quella gioia... e i denari per quel triste viaggio li avrebbe dati a lui! al suo creditore... (È quasi commosso) Faceva pena, creda.

Vito                                 - (un po' turbato lui pure) Povero Marchi! E il sarto?

Agenore                           - Alla fine si è commosso anche lui... Ha detto che anche a lui era morta la morosa da giovane... Insomma, se ne è andato.

Vito                                 - Meno male! E lui, poi, è partito!

Agenore                           - Lui, chi?

Vito                                 - Marchi!

Agenore                           - (scoppia a ridere) Macché partito! Era tutta una storia! Si figuri un po' se il signor Marchi aveva in tasca i denari per un viaggio in Svizzera! Tutta una storia. Le dico che è meraviglioso!

Vito                                 - Ah, bellissima! E il sarto ci ha creduto? Che idiota!

Agenore                           - Come ci ha creduto lei, prima... Cioè, voglio dire...

Stefano                            - (entrando dal fondo; un simpatico, ridente uomo che porta benone ì suoi cinquant’anni) Salute, servo della gleba! Chi mi vuole?

Vito                                 - Ohe, ciao, Marchi... Sono io. Non m'avevi dato appuntamento tu per quest'ora?

Stefano                            - Oh, illustre e compianto maestro!

Vito                                 - Scusa... perché compianto?

Stefano                            - E perché illustre?

Vito                                 - Va all'inferno!

Stefano                            - Sta tranquillo che ci andrò. Se non ci vado io, vuol dire che c'è un paradiso per i fili­bustieri. Beh, che cosa vuoi?

Vito                                 - T'ho portato il tango.

Stefano                            - « Deo Gratias! » Allora la rivista è finita.

Vito                                 - Tutta. Se fai le parole oggi, dopodomani possono andare in scena.

Stefano                            - E se si va in scena dopodomani, dopodomani sera mi piglio cinquanta mila lire. Sei un angelo, travestito da autore di canzonette. Fuori il capolavoro. (Ad Agenore) Lasciaci, olezzante fiore dei tropici.

Agenore                           - (punto stupito) Sissignore.

Stefano                            - Aspetta, brutto gitano. (A Vito) Vuoi un caffè?

Vito                                 - Magari.

Stefano                            - Portaci due espressi, orchidea selvaggia.

Agenore                           - Sissignore.

Stefano                            - Vanne, vassallo, ratto al par di folgore.

Agenore                           - Corro, messere. Alle guagnele, volo! (Esce).

Vito                                 - (meravigliatissimo) Che cosa ha detto?

Stefano                            - Niente; gliel'ho insegnato io, tanto per cambiare. Invece di dire «Fai presto » - « Subito, signore» gli dico: «Vanne vassallo, ratto al par di folgore » E lui mi deve rispondere: « Corro messere. Alle guagnele, volo! ».

Vito                                 - Che matto che sei!

Stefano                            - Fammi sentire il tango, su!

Vito                                 - (si siede al pianoforte) Ho tenuto lo stile argentino... M'hai detto che c'è una scena di «gauchos». Mi pare che lo stile ci sia.

Stefano                            - Lascia star lo stile e tira via!

Vito                                 - (trae due o tre accordi dalla tastiera) Acci­denti, com'è scordato...

 Stefano                           - E va bene. Gli faremo un nodo al fazzoletto.

Vito                                 - (interdetto) Perché?

Stefano                            - Così non si scorda più.

Vito                                 - (rabbrividendo) Oh, vigliacco!

Stefano                            - (arrabbiato) Eh, ma scusa... Ti mera­vigli di trovare un pianoforte scordato in un albergo? !  Si vede proprio che non sei mai uscito dal tuo puz­zolente guscio, maestro delle mie pantofole ricamate!

Vito                                 - (irritato) Se mi hai fatto venir qui per offendermi...

Stefano                            - Ti sei offeso? Vuoi che ci battiamo in duello? Sta bene; domani due miei amici si trove­ranno coi vostri, o signore. (Cambia tono) Piantala, scemo. E fai sentire il capolavoro.

Vito                                 - (alzando le spalla) Va all'inferno.

Stefano                            - Questo lo hai già detto. Attacca.

Vito                                 - (suona. Poi) Ti va?

Stefano                            - Magnifico. Quel che ci vuole.

Vito                                 - Allora ti piace?

Stefano                            - A me fa nausea. Ma per quel che deve servire, è l'ideale.

Vito                                 - Sai che sei...

Stefano                            - Non deve mica piacere a me, no?... Deve piacere al pubblico di un cinema varietà. Dunque, va benone. Ci mettiamo le parole e via.

Vito                                 - (rassegnato) Hai un'idea?

Stefano                            - Per che cosa?

Vito                                 - Per le parole.

Stefano                            - Da quando in qua per le parole di un tango ci vogliono delle idee? Ci si mette dentro la pampa, il bandolero, la sierra, la canzon della passion, l'amor, il fior, il mio tesor, la bella « senorita » che è tutta la mia vita e il tango è fatto. Suonamelo un'altra volta che mi piglio il metro.

Vito                                 - A proposito, chi lo canta, poi?

Stefano                            - Come chi lo canta? La « soubrette », no?

Vito                                 - Sì, ma quale?

Stefano                            - Come quale? Titti I.

Vito                                 - Allora la Marta fa il fiore del fango?...

Stefano                            - Ma neanche per idea, il fiore del fango lo fa anche quello la Titti I. Almeno il pubblico sentirà cantare; se lo canta la Marta, più in là del direttore d'orchestra non la sente nessuno.

Vito                                 - Scusa... Marta Marlene non viene da te oggi?

Stefano                            - Sì, dopo la prova. Ma che c'entra?

Vito                                 - Perché ieri sera mi ha detto: «Guarda, allora, che o il tuo tango nuovo o il fiore del fango lo faccio io. Domani vado da Marchi a mettermi d'accordo ». Dunque, credevo...

Stefano                            - Povera piccola, vaneggia. Oggi viene da me, sì... Ma il fiore del fango e il tango non saranno posti sul tappeto. L'ho invitata a prendere un tè per certe canzoni... (Strizza l'occhio) Eh, capirai... se mi sono messo a scrivere una rivista per una compagnia di second'ordine, qualche incerto ci deve pure scappare, oltre ai quattrini.

Vito                                 - Vecchio satiro!

Stefano                            - Vecchio, un fico! Io sono nel mezzo del cammin della mia vita.

Vito                                 - Ma se hai cinquant’anni...

Stefano                            - Appunto. Io conto di vivere cent'anni. Dunque!... E poi, non vuol dire. Sono io che mi sento giovane come un paggetto del seicento. (Can­terella) « Gioventù, la tua canzone lieta va... ».

Vito                                 - (scettico) Sì, sì... E quando la fanciulla sarà qui, per una moina in più o in meno, le fai fare il tango, il fiore del fango e tutto quel che vuole.

Stefano                            - (ironico) No, bellezza mia divina, vecchio magari, ma rimbambito no. La Marta è una bella ragazzina, un amore di pupa, ma è ungherese, parla cispadano e ha meno voce di una zanzara in agonia, mentre Titti I sarà un vecchio sarcofago, ma cantare sa cantare. E poi è l'amante del capo­comico. Figurati se voglio far scoppiare grane pro­prio io! Io mi voglio pigliare le cinquanta mila lire che mi ha promesso e ciao.

Vito                                 - Insomma, io t'ho avvertito. Poi arrangiati. Piuttosto volevo dirti... Non è mica un gran buon affare quello che hai fatto di cedere per cinquanta mila lire al Sejani i diritti d'autore della rivista.

Stefano                            - Può darsi. Io non son nato per gli affari. A me servivano cinquanta mila lire subito per tappare un buco noioso. Ho trovato Sejani una sera e siccome avevo raccontato due o tre storielle diver­tenti, mi ha detto: « Lei, sì, che dovrebbe scrivermi una rivista »... « Quanto mi dà? »... « Venti mila lire la sera dell'andata in scena e il cinquanta per cento dei diritti d'autore a me »... « Niente. Io le lascio tutti i diritti d'autore e lei mi dà cinquanta mila lire alla consegna del copione »... « Accettato ». E così dopo­domani sera mi becco cinquanta mila svanziche.

Agenore                           - (entrando) Ecco gli espressi.

Stefano                            - Grazie, angelo azzurro.

Agenore                           - Cinquanta lire.

Stefano                            - Lo so. Segnale.

Agenore                           - Abbia pazienza, signor Marchi. Ma il padrone ha detto che la camera va bene, ma i caffè nel testamento non sono nominati.

Stefano                            - (offeso) Ma dico...

Agenore                           - Mi scusi, sa. Parole sue. Io, per me, glie ne porterei un litro alla volta. Ma il padrone lo sa com'è. Dice che ne ha già segnati 94 e finché lei non paga quelli... a credito non glie ne dà altri.

Stefano                            - Volgarissimo individuo! Crede forse che io non abbia in tasca cinquanta lire per pagargli le infette brodaglie che egli spaccia per caffè? Crede forse questo, il miserabile locandiere?

Agenore                           - (con un briciolo di malizia) Abbia pazienza; ma ho idea di sì.

Stefano                            - Ah sì? È così...? e allora guarda... guarda! (A Vito, improvvisamente, mettendo mano al borsellino) Hai due fogli da cinquanta?

Vito                                 - Credo. (Si fruga in tasca) Tieni. (Glieli porge).

Stefano                            - Grazie. (Li prende, ne consegna uno ad Agenore e intasca l'altro) A te. Hai visto come si fa?

 Agenore                          - Benissimo. Scusi, sa. Io eseguisco gli ordini.

Stefano                            - Lo so, lo so. Ma così il tuo signor padrone sarà soddisfatto.

Vito                                 - (a Stefano) Dì... e le cento lire intere?

Stefano                            - Come?

Vito                                 - Sì... non mi hai detto che volevi ti cam­biassi cento lire?

Stefano                            - Io?? T'ho domandato se avevi due fogli da cinquanta... Ma non ho mai parlato di cambio. Vero?

Vito                                 - (poco persuaso) Ah, va bene... Allora t'ho imprestato cento lire.

Stefano                            - Scusa... Io non ti ho chiesto nulla. Ti ho domandato se avevi due fogli da cinquanta. Ma così, a titolo di curiosità. Tu mi hai risposto: « Sì. Tieni ». E io me li son tenuti.

Vito                                 - (che non sa che cosa dire) Ma va all'inferno!

Stefano                            - (olimpico) Dici sempre la stessa cosa!

Agenore                           - (a Vito) Non le avevo detto che è meraviglioso

Stefano                            - (con un profondo inchino) Lei mi adula, eccellenza!

Agenore                           - Oh, giusto! Non mi son ricordato di dirle che è venuto un certo signor Bertoni...

Stefano                            - (drizza le orecchie, preoccupato) Bertoni?

Agenore                           - Sì, un omone con un brutto carattere...

Stefano                            - Lo dici a me! E allora?

Agenore                           - Mah!... Ha detto che oggi è il quat­tordici e che l'altro ieri era il dodici...

Stefano                            - (colpito) Accidenti!

Agenore                           - Che con lui non si scherza e che lui è anche capace di farlo andare a San Fedele...

Stefano                            - (tra i denti) Figlio d'un...

Agenore                           - No, scusi. Ho sbagliato. Non ha detto così. (Stefano ha un piccolo moto di speranza) Ha detto a San Vittore.

Stefano                            - (seriamente preoccupato) Oh, corpo d'un cane... E io non ci ho pensato... e adesso?!... e adesso?!...

Vito                                 - Di un po'... allora il metro del tango?

Stefano                            - Altro che tango, caro te! Io ho bisogno di cinquanta mila lire subito!

Vito                                 - (beffardo) Ciao!

Stefano                            - Non scherzo, idiota! Non hai sentito? Quello mi manda in galera!

Agenore                           - Vada là, che saprà cavarsela anche stavolta.

Stefano                            - Altro che cavarmela... Stavolta sono... (Con uno scatto) Non l'ho mai fatto, per Dio, è l'unica volta che...! (A Vito) Il Sejani mi aveva garantito che l'undici sera si sarebbe andati in scena, capisci?

Vito                                 - Se dai retta a quel che ti dice un capocomico!

Stefano                            - Eh, lo so... Ma allora non lo sapevo. Poi ti sei messo di mezzo anche tu!

Vito                                 - Io?

Stefano                            - Ma sì... le tue canzoni!.. Il Sejani si è ficcato in testa che ci volevano due canzoni tue, per il lancio... perché sei l'autore più in voga... E così si è perso altro tempo! E chi ci va di mezzo sono io!

Vito                                 - Mi dispiace tanto, caro, ma non capisco in che cosa...

Stefano                            - Non lo capisci, eh? Non sai che cosa sia una cambiale?

Agenore                           - (paterna) Ah, signor Marchi, io glie l'ho sempre detto: alle cambiali ci stia attento!

Stefano                            - (seccato) Tu levati dai piedi!

Agenore                           - (dignitoso e offeso) Ah, benissimo! Questa è la ricompensa per i buoni consigli. (Esce).

Stefano                            - (a Vito) Hai capito, adesso? Ho firmato una cambiale che scadeva il dodici, convinto di poterla pagare coi denari il che Sejani mi avrebbe dato l'undici. A un mese data.

Vito                                 - (conciliante) Beh, lascia che quel signore la protesti... tanto... Una più, una meno...

Stefano                            - Lo so anch'io. Se non fosse che questo. Il guaio è... (più sommesso) che la cambiale ha anche una firma d'avallo.

Vito                                 - E allora. Scusa.

Stefano                            - Ma non capisci niente! Questa firma... è meglio che non se ne parli! Hai capito, finalmente?

Vito                                 - (soffocato) Oh!...

Stefano                            - (subito) È la firma di mio fratello. Visto che quattrini non me ne dà, dovrà ben ser­virmi a qualcosa il suo nome?

Vito                                 - (con rimprovero) Sì, sì... Ma non sai che si può andare...

Stefano                            - (esasperato) Altro che, se lo so! E poi, anche se non me lo ricordassi, ci ha pensato il signor Bertoni a ricordarmelo! è ben per quello che son disperato!

Vito                                 - (dopo un silenzio) E non te la puoi far rinnovare?

Stefano                            - (sfiduciato) Ah, che!

Vito                                 - Tu sai tanto fare...

Stefano                            - Ma quello lì, Bertoni, ha un fatto personale con me...

Vito                                 - Cioè?

Stefano                            - (vago) Per via di certe cose... stupi­daggini.. Perché ho fatto la corte alla sua amica...

Vito                                 - (come per dire « se non è che questo...») Eh, beh...

Stefano                            - E poi ci sono andato a letto...

Vito                                 - (esplodendo) Piglio mio! Tutti i guai in una volta!

Stefano                            - Lo racconti a me? Se ti dico che non so come fare...

Vito                                 - Eh, già... (Ad un tratto) Di... Ma non sarà mica tutta una invenzione, eh?

Stefano                            - Volesse Iddio!

Vito                                 - No, perché il cameriere mi ha raccontato di quella volta... l'amica agonizzante... (Stefano alza le spalle) D'altronde, caro, io non posso proprio prestartele... Se potessi, (è sincero) parola d'onore che se potessi...

Stefano                            - Grazie, caro. Lo so, sono in un gine­praio. (Colpito) Però, puoi farmi un piacere... Corri dal Sejani... Per lui... darmele dopodomani o darmele oggi... Tanto me le deve dare...

Vito                                 - (crolla il capo, poi) Senti, Marchi. Mi dispiace dirtelo adesso... ma... se tu speri nel Sejani, stai fresco...

Stefano                            - Come?... Mi deve dare cinquanta mila lire...

Vito                                 - ...Quello lì conta sul tuo nome conosciuto per fare un buon incasso. Se lo fa, forse, ti darà i quattrini... Se no... Te li darà quando potrà. Lo conosco, io.

Stefano                            - Ma ha preso un impegno...

Vito                                 - ...E non sarà la prima volta che non vi farà fronte. Te lo assicuro io.

Stefano                            - (indignato) Ah, per bacco! Ma quando si devono dare quattrini a uno, non si può mica... (Altro tono) Capisco che faccio cosi anch'io... Ma se facessero tutti così!...

Vito                                 - (allargando le braccia) Che vuoi?... Ho creduto meglio dirtelo subito.

Stefano                            - Sì, sì... Insomma non c'è niente da fare...

Vito                                 - (all'improvviso) Scusa... Tuo fratello?

Stefano                            - (sprezzante) L'ingegner Marchi grande ufficiale Giuseppe? Hai trovato quello buono.

Vito                                 - Se gli spiegassi...

Stefano                            - Che cosa? Che ho firmato io per lui? Allora, sì!

Vito                                 - No, si capisce. Ma, caspita, si lascerà, pur commuovere. Avrà ben un po' di cuore.

Stefano                            - Macché! Quello lì, al posto del cuore ha una spoletta di cotone. Ha cinque anni più di me, ma ne ha duecento più di chiunque. È rimasto all'epoca dei lumi a petrolio. Il lavoro, la famiglia, il risparmio e il diavolo che se lo porti!

Vito                                 - In fin dei conti, si tratta di cinquanta mila lire...

Stefano                            - Anche se si trattasse di cinque lire sole! Tu non lo conosci. È sempre stato così. Quando dice una cosa non c'è verso di farlo smuovere. Ora ha detto basta ed è basta. Vedi, quando morì il povero papà, io volli la mia parte d'eredità invece di lasciarla nell'azienda. E questo, lui non me l'ha mai perdonato. Per di più io ho sempre menato una vita scapigliata... Ancora adesso, gioco, ballo, fumo, faccio all'amore, mi diverto... Tutte cose che lui non ha saputo fare. E questo me lo perdona anche meno. Lui dice che io lo indigno. Invece no: mi invidia. Se io avessi fatto come lui, se avessi sposato come lui, una mummia carica di quattrini e brutta come un'arpia, se avessi sgobbato come lui tutti i santi giorni ad accumular denaro per dei figli che non ebbe mai e che ormai non verranno più, se avessi un automobile come lui e nei giorni di pioggia pigliassi il tram, come lui, per non sciupare la macchina, se avessi il fegato in disordine come lui e fossi miope come lui... allora, forse, proverebbe per me un po' di affetto.

Vito                                 - Però, tentare potresti.

Stefano                            - A che prò?

Vito                                 - Oh, Dio... Non si sa mai...

Stefano                            - Se vado da lui è capace di non ricevermi.

Vito                                 - Telefonagli...

Stefano                            - Mi farà dire che non c'è.

Vito                                 - E tu non dirgli che è per denari. Racconta­gli qualche balla... Sembra che tu abbia perso ogni energia, che diamine!...

 Stefano                           - (senza convinzione) Proverò. Ma tu fammi il piacere... Vedi di commuovere il Sejani...

Vito                                 - Proverò...             (Anche lui non è convinto).

Stefano                            - Corri, va là. E poi vieni subito a dirmi qualche cosa... Scusa, sai...

Vito                                 - Ma ti pare!... Vorrei esserti utile davvero. Ciao, Marchi. E coraggio, va!        - (Esce).

Stefano                            - (dopo un attimo, senza persuasione) E proviamo...(Si avvicina a un telefono a muro, stacca il ricevitore) Pronto... dammi il 68.321... Sì, chiama tu.(Riattacca) Io non ci spero, ma...(Il tele­fono squilla. Stacca il ricevitore) Pronto... Cotoni­ficio Marchi?... C'è il Grand'Ufficiale Marchi?... Sono suo fratello. Sì, attendo.(Fra sé) Adesso mi farà dire che non c'è...(Al telefono) Sì, attendo...(Fra sé) Scommetto la testa che mi risponde Pivetti... Si sprofonderà in scuse, povero diavolo... ma il Grand'Ufficiale è assente...(Al telefono) Pronto, ah, è lei Pivetti... Non c'è, eh? (Beffardo) Oh guarda... Ah, davvero? ...Lasciar detto a lei?...(Fra sé) Adesso t'arrangio io! (Cambia improvvisamente tono, si fa ansioso, lamentoso, roco) Non posso... Non posso dire a lei... È una cosa terribile... No, non per me solo... La rovina d'una famiglia! Una notizia che mi è pervenuta... Una catastrofe... Non posso spie­garmi di più! È solo nell'interesse di mio fratello... Una cosa terribile!... Le dico: la rovina di una fa­miglia!... No, no, inutile telefonarmi. Potrebbe essere troppo tardi... Addio.(Riattacca. Altro tono) Così impara a farmi dire che non c'è.(Silenzio. Accende una sigaretta).

Makta                              - (affacciandosi alla porta) Cucù!... (È una graziosa donnina, non si sa se furba o oca. Forse tutte e due le cose. Molto truccata e vestita oltraggio­samente per il buon senso).

Stefano                            - Chi è? (La vede) Oh, ci mancavi pro­prio tu!

Marta                               - (avanzandosi con passo scozzese) Ciao, autore... Così accogli le tue interpreti?

Stefano                            - (rifacendole il verso) Ciao, interprete. Se te ne vai fai un piacere all'autore!

Marta                               - (altro tono) Ohe, villano che non sei altro! Mi fai venire fin qui per mandarmi via? Chissà quanti uomini si leccherebbero le dita nel vedermi in casa loro...

Stefano                            - Se non vuoi altro... (Si lecca un dito) Ecco, adesso me le son leccate e vattene.

Marta                               - (stizzita) Come sei spiritoso... (Si fa il solletico e sghignazza esageratamente) Ah! Ah! ah!

Stefano                            - Senti, cara, se tu sapessi quanti mai diavoli ho per ogni capello...

 Marta                              - Sì, sì, va bene. Ciao. Ma un'altra volta che mi inviti a casa tua, col cavolo ci vengo!

Stefano                            - Hai torto, ragazzina... Se tu sapessi quel che mi capita...

Marta                               - Io so che anche ieri sera pareva che se non fossi venuta oggi qui, saresti morto di cre­pacuore.

Stefano                            - Ecco e oggi invece è una cosa diversa.

Marta                               - Sarà stata quella strega della Titti I che ti ha messo su; Dì la verità, è venuta a trovarti lei? Capacissima. Tanto quella lì: uno di più, uno di meno... Si può contare sulle dita di una mano con chi non c'è stata...

Stefano                            - (paziente) Serba un dito per me, perché a me la Titti fa l'effetto d'un dromedario con la tosse.

Marta                               - (afferrando la palla al balzo) Allora perché non fai fare a me il fior del fango?...

Stefano                            - (che non ha voglia di discutere) Per amor di Dio...

Marta                               - (fraintendendo l'esclamazione di lui) Lo farei bene, cosa credi? Almeno sarà giovane. E deve essere giovane perché lo dice anche... (Recitando) « La mia infanzia è sbocciata nel fango e la mia giovinezza si trascina così, pallido flore della strada, senza un sorriso di madre senza la carezza d'un focolare... È dunque vero che... ». (Parlando) Hai sentito? So già la parte... Fammi fare il fior del fango! Tu sei l'autore e se vuoi mi fai dare la parte. In fin dei conti sono la seconda soubrette, e nella tua rivista non c'è che due particine. Fammi fare qualcosa...

Stefano                            - (seccato) Vedremo, cara, vedremo...

Marta                               - (che non molla) Fammi fare il fior del fango... Se vuoi lo faccio alla Greta Garbo...

Stefano                            - E che c'entra?

Marta                               - Per far qualcosa... Io la so rifare bene Greta Garbo. Vuoi vedere? (Assumendo le movenze della diva famosa, con qualche caricatura e con un vocione da orco infreddato) « La mia infanzia è sboc­ciata nel fango e la mia giovinezza si trascina così, pallido fiore della strada, senza un sorriso di madre, senza la carezza di un focolare...».

Stefano                            - (ridendo suo malgrado) Non farmi ridere che non ne ho voglia...

Marta                               - (non lasciandosi sfuggire l'occasione, tutta moine) Sii buono va là... Mi sei tanto simpatico... Pensa che per venire da te, ho inventato una frottola al mio amico...

Stefano                            - (a cui in fondo la ragazza non dispiace) Beh, non sarà stata la prima volta...

Marta                               - Sei matto? Carletto è così geloso. Se scoprisse qualche cosa ci rovina. Stefano          - (incredulo) Eh, chi sarà mai? Sansone? Marta   - È campione del lancio di palla inca­tenata, cosa credi? Se ti dà un pugno, ti riforma... (Maliziosa) Anche se ormai non sei più di leva da un pezzo.

Stefano                            - (mezzo ridente, mezzo offeso) Ohe, dico...

Marta                               - (facendogli il solletico) Va là, fammi fare il fiore del fango... Non fosse che per far dispetto a quel tirchio del Sejani che vuol mettere avanti la Titti...

Stefano                            - (richiamato alla realtà) Sicuro! Cosi vanno in fumo anche le mie 50 mila lire. Non posso, Marta mia bella, credi che non posso.

Marta                               - (che non si dà per vinta) Sei poco carino... Pensare che ieri sera, quando mi hai dato quel bacio qui (il collo) mi son sentita tutta così... (fa un gesto).

Stefano                            - Le donne che io bacio lì (il collo) si sentono tutte così... (Rifà il gesto) Il guaio è che oggi mi sento così...(Fa un gesto di cascaggine).

Marta                               - Allora... niente da fare? Dico, per il fiore del fango?

Stefano                            - Senti, ora proprio non ho la testa a queste stupidaggini. Vuol dire che se la cosa mi va bene, ti faccio uno sketch tutto per te. Sei contenta?

Marta                               - (lo abbraccia) Caro! Sei un tesoro!

Agenore                           - (entrando trafelato) Signor Marchi... Sta venendo suo fratello. È già per le scale!

Stefano                            - Per bacco! Ha bevuto la telefonata! Agenore! Forse son salvo!

Agenore                           - (che è sulla porta) L'è chi! l'è chi!

Stefano                            - Sono salvo! (Vede Marta) No, son fritto... Se quello trova una donna qui... Non mi dà più un soldo...

Marta                               - Ma chi è!

Stefano                            - (senza risponderle, spingendola verso il bagno) Zitta! lì dentro... e guai se ti muovi fin che non ti chiamo... Guai! (Chiude a chiave) E adesso forza e coraggio!

Giuseppe                         - (entra dal fondo. Tipo di puritano e di dispeptico. Molto stempiato, barba pepe e sale, « pince-nez » con il lacciuolo. Si ferma sotto la porta e scruta Stefano).

Agenore                           - (grandi inchini) Buongiorno, signor commendatore...

Giuseppe                         - (secco) Buongiorno. Lasciateci.

Agenore                           - (dopo qualche gesto d'augurio e d'incorag­giamento diretto a Stefano, se ne va).

Giuseppe                         - (guardando Stefano al di sopra degli occhiali) Allora?

Stefano                            - (esageratamente affettuoso) Caro il mio fratellone! Peppino mio bello!

Giuseppe                         - (sobbalzando come sotto una puntura) Non chiamarmi Peppino! Te l'ho già detto altre volte.

Stefano                            - (stesso tono di prima) Peppone mio bello!

Giuseppe                         - Non puoi chiamarmi Giuseppe?

Stefano                            - (finto tonto) È perché i vezzeggiativi Sono più affettuosi.

Giuseppe                         - (sorriso beffardo) Affettuosi!... (Come una macchinetta) No, no, no, no, no, no, Vero? No! Bando agli eufemismi.

Stefano                            - Ma sì. Bando a quei cosi lì.

Giuseppe                         - (dopo un silenzio) Allora?

Stefano                            - (finge di non capire) Allora?

Giuseppe                         - Che cos'è la storia che hai telefonato a Pivetti? Una cosa terribile... La rovina di una fa­miglia...

Stefano                            - (ingenuo) Oh bella! Se non eri in ufficio, come fai ad averlo saputo così presto?

Giuseppe                         - (secco) Bando alle ciarle...

Stefano                            - (serio) E bando anche a quelle.

Giuseppe                         - C'è del vero o è una delle tue solite panzane? Se c'è del vero, parla. Se no, non ho tempo da perdere.

Stefano                            - Un po' di vero c'è.

Giuseppe                         - Quale po'?

Stefano                            - Nel senso che mi trovo in una situa­zione grave.

Giuseppe                         - (quasi sollevato) Ah! Tu! M'ero quasi impressionato. La rovina di una famiglia!

Stefano                            - Scusa, io non sono della famiglia?

Giuseppe                         - Sai già che dei fatti tuoi non voglio occuparmi.

Stefano                            - Non credo che il tuo generoso cuore di fratello saprebbe reggere al rimorso di avermi abbandonato, proprio quando ho più bisogno di sen­tirmi vicino a te.

Giuseppe                         - No, no, no, no. Vero?... Bando al melodramma.

Stefano                            - Eh, ma bandisci tutto, tu! (Parlando per la prima volta seriamente) Insomma... Tu mi devi aiutare.

Giuseppe                         - T'ho già detto che il solo aiuto che ti puoi aspettare da me, è un impiego. È questo che mi chiedi?

Stefano                            - Mi trovo in una situazione molto seria...

Giuseppe                         - È un impiego che vuoi?

Stefano                            - ... non so veramente come fare...

Giuseppe                         - È un impiego che vuoi?

Stefano                            - (esasperato) No!

Giuseppe                         - (per andarsene) Allora, buongiorno.

Stefano                            - ... non puoi andartene così. Non sai di che si tratta.

Giuseppe                         - Me lo figuro. Avrai bisogno di denaro.

Stefano                            - (subito)    - Poca roba, non si tratta che...

Giuseppe                         - (duro) No! Neanche un soldo!

Stefano                            - Peppino!... (L'altro sobbalza) Peppone... (Idem) Giuseppe... Guarda che sono alla disperazione...

Giuseppe                         - Non è la prima volta che me lo dici.

Stefano                            - Ma è la prima volta che lo sono sul serio. Te lo giuro.

Giuseppe                         - Che cosa vuoi dire?

Stefano                            - Non obbligarmi a spiegare. Ti basti sapere...

Giuseppe                         - (duro) No. Non ti credo.

Stefano                            - (indignato) Sei senza cuore.

Giuseppe                         - Io, eh? Io che ho sempre condotto una vita onesta; di lavoro e di risparmio... io che sono l'uomo di una sola donna, mia moglie...

Stefano                            - (beffardo) E che donna!

Giuseppe                         - (senza badargli) Io che ho avuto un solo sogno: avere figli...

Stefano                            - (c. s.) E non ne hai...

Giuseppe                         - Io che non ho nulla da rimprove­rarmi... Io sono senza cuore eh?... E tu?... Tu che hai dilapidato stupidamente il capitale accumulato dal povero babbo col...

Stefano                            - ... non dirmi col sudore della fronte, perché non ci resisterei...

Giuseppe                         - ... tu che hai speso la tua vita in gozzoviglie e bagordi, fra donnacce e fannulloni... Tu che hai più debiti che capelli in testa... Tu che non hai una casa o una famiglia, tu che cosa sei?

Stefano                            - Ognuno vive come vuole.

Giuseppe                         - No, no, no, no, no. Vero? No! Non hai nessuna scusa. Perché dovrei aiutarti io? per facilitarti la tua vita scioperata?...

Stefano                            - (che non sa che cosa dire) Perché sono tuo fratello...

Giuseppe                         - Adamo maledisse Caino, eppure era suo figlio!

Stefano                            - Eh, esagerato! Io non ho ammazzato nessuno!

Giuseppe                         - Non importa. Gli uomini come te mi ripugnano.

Stefano                            - Quanto sei caro, Poppino mio!

Giuseppe                         - E non sono senza cuore! Se tu avessi una famiglia... Una moglie... un figlio... Ti aiuterei per loro.

Stefano                            - Se sapevo, mi sposavo!

Giuseppe                         - Non scherzare, disgraziato! Quanto ho sperato che mettessi il capo a partito... che tro­vassi una donna da sposare... e che almeno la tua unione fosse benedetta dal cielo... visto che la mia è rimasta sterile.

Stefano                            - Ah, siccome non potevi farne tu, volevi che facessi un figlio io?

Giuseppe                         - Ma il cielo non mi ha concesso questa gioia. Purtroppo, no!

Stefano                            - (attraversato da un'idea) E tu che ne sai?

Giuseppe                         - Vergognati di celiare su ciò!

Stefano                            - Io non celio per niente!

Giuseppe                         - Ma se non sei sposato!

Stefano                            - Non è mica detto che i figli nascano solo da marito e moglie.

Giuseppe                         - (colpito) Come?

Stefano                            - Altrimenti i brefotrofi potrebbero chiudere le porte...

Giuseppe                         - Che cosa vuoi dire?

Stefano                            - (deciso a giocare tutto per tutto) Ebbene... quel che non volevo che tu mi obbligassi a rivelarti... era appunto questo.

Giuseppe                         - (sbalordito) Tu avresti un figlio?

Stefano                            - (fra sé) Se la va, la va! (Forte) Sì.

Giuseppe                         - Tu!...(Silenzio).

Stefano                            - (fra se) Ho paura, ma non la beve!

Giuseppe                         - ...Ma quando?

Stefano                            - Da... da un anno... (Silenzio, fra sé) No. È troppo grossa. Non la beve.

Giuseppe                         - ...Un bimbo? ...alla tua età?

Stefano                            - No... è già grandicello...

Giuseppe                         - Un maschietto?... .

Stefano                            - No... Non direi...

Giuseppe -                       - Una fanciulla... Ma non mi hai detto niente!

Stefano                            - ...perché non lo sapevo... Cioè... (Non sa cosa dire) Ah, è una storia triste... (Fra sé) È inutile, non la beve...

Giuseppe                         - Racconta, racconta...

Stefano                            - (fra sé, stupito) Toh, la beve... (Forte) No, no... non farmi ricordare...

Giuseppe                         - Insomma... sono tuo fratello?... Ho ben diritto di sapere... T'impongo di parlare...

Stefano                            - E sia. (Fra sé) E adesso che cosa gli racconto?

Giuseppe                         - Dunque?

Stefano                            - Era una delle ultime sere di Carnevale... Il vento ululava per le vie... (Ulula) Uh!... uh!... La pioggia scrosciava, sui vetri.(Rifà il verso della pioggia) Scc! Scc!... Io ero qui... (Indica una poltrona) Lì... (Ne indica un'altra) No... là... Ad un tratto un giovane si affaccia a quella porta... (Indica il fondo).

Giuseppe                         - Un giovane? E chi era mai?

Stefano                            - Non indovini?

Giuseppe                         - Mi hai detto che si tratta d'una fanciulla...

Stefano                            - (che se n'era scordato) Ah, già... ap­punto... Ma quel giovane... era il groom dell'albergo: « C'è una fanciulla che chiede di lei », mi dice. « Una fanciulla? », dico io. « Una fanciulla », dice lui. « Una fanciulla! », ...dico io.

Giuseppe                         - (impaziente) Vai avanti.!

Stefano                            - (fra sé) Non è mica facile... (Forte) Quella fanciulla...

Giuseppe                         - Era lei?

Stefano                            - Sì, sì. (Sperando di cavarsela) Ed ecco tutto.

Giuseppe                         - Come « Ecco tutto? » Che ti ha detto!

Stefano                            - Tante cose...

Giuseppe                         - ...sua madre?

Stefano                            - (crolla il capo) Non c'era.

Giuseppe                         - (colpito) Morta?

Stefano                            - (lugubre) Morta! (Fra sé) Così non se ne parla più.

Giuseppe                         - E chi era?

Stefano                            - E chi lo sa?.... (Si corregge) E chi... chi poteva immaginarselo? Un'avventura... una avventura... che avevo dimenticato... di tanti anni or sono...

Giuseppe                         - (pensoso) Miserie umane! (Altro tono) E lei?

Stefano                            - Chi?

Giuseppe                         - Lei... tua figlia...

Stefano                            - Beh?

Giuseppe                         - Come aveva saputo?

Stefano                            - Che cosa?

Giuseppe                         - Che tu eri suo padre?

Stefano                            - Ah... Glielo aveva detto la madre.

Giuseppe                         - Se era morta?!

Stefano                            - Prima di morire, diamine.

Giuseppe                         - E tu?

Stefano                            - Cosa, io?

Giuseppe                         - Che cosa hai fatto?

Stefano                            - EM ...Mettiti nei miei panni. Tu che cosa avresti fatto?

Giuseppe                         - Eh già!... (Un silenzio) E dov'è? In un collegio?

Stefano                            - N... no...

Giuseppe                         - Ma come?... Una bimba sola al mondo, così...

Stefano                            - No, non è mica una bimba...

Giuseppe                         - Una fanciulla, bai detto...

Stefano                            - Beh, sì... Sai, per i genitori i figli son sempre piccoli... Ma è già grandina... È cre­sciuta, ecco.

Giuseppe                         - E che cosa fa?

Stefano                            - (che suda) Niente. Sai... Non ha una educazione... non è stata ben allevata...

Giuseppe                         - Ma tu la vedi?

Stefano                            - (un gesto vago, poi) Se devo dire la verità, io la vedo e non la vedo.

Giuseppe                         - (subito, pronto al rimprovero) Tu?... Suo padre?!...

Stefano                            - Sì... va bene... ma fa una vita che non mi piace... Io non posso mantenerla... capirai... ho fatto dei sacrifici... Oh! tu non sai quanti sacrifici ho fatto!... Ma non... bastano.

Giuseppe                         - Dovevi venire da me!

Stefano                            - Col tuo carattere. Avevo paura che ti sdegnassi.

Giuseppe                         - Non mi conosci. Ebbene, ora bisogna provvedere.

Stefano                            - Ecco... Se tu potessi darmi cinquanta mila lire...

Giuseppe                         - (improvviso) Voglio vederla.

Stefano                            - (interdetto) Chi?

Giuseppe                         - Tua figlia.

Stefano                            - Non è possibile!

Giuseppe                         - Come non è possibile?

Stefano                            - E dove la pesco? (Si corregge) A quest'ora... dove la pesco a quest'ora...? Non so dove trovarla.

Giuseppe                         - Non dico ora, domani.

Stefano                            - (sollevato) Ah, domani... si comincia a ragionare.

Giuseppe                         - Una figlia, tu!

Stefano                            - Ed è per lei, capisci?... Non è una grossa somma: cinquanta mila lire.

Giuseppe                         - (secco) Domani. Prima voglio vederla. (Lo guarda) Una figlia... Certo, ora mi appari sotto diversa luce... Ma quale follia seguitare questa tua vita sregolata...

Stefano                            - Sai com'è...

Giuseppe                         - Basta. Domani vedremo. E se sarà il caso, provvedere io. Come vedi non sono senza cuore. A domani, a quest'ora, qui. Addio. (Esce rapido).

Stefano                            - E dove la trovo per domani una figlia?... Che pasticcio, accidenti!

Agenore                           - (affacciandosi alla porta di fondo) S'è commosso?

Stefano                            - Anche troppo!

Agenore                           - E gliele dà?

Stefano                            - (sincero) Non so se me ne darà... So che ho paura che finirò col pigliarne!

Agenore                           - Come sarebbe a dire?

Stefano                            - È troppo lungo a spiegarsi. Ti basti sapere che gli ho inventato di avere una figlia!!

Agenore                           - (sbellicandosi) Magnifica!

Stefano                            - Magnifica un corno! Vuol vederla!

Agenore                           - Accidenti!

Stefano                            - E come faccio a fargliela vedere? Non posso mica mettere al mondo una figlia apposta per lui!

Agenore                           - Lo vede, benedetto uomo, in che pasticci si va a cacciare?

Stefano                            - Ora è inutile recriminare. Bisogna cercare di rimediare!...

Marta                               - (entrando) Oh! Mi ci tieni un pezzo?...

Stefano                            - (colpito) Agenore,sono a cavallo! Marta!... Martina mia bella!... Vuoi fare il fiore del fango, il tango nuovo di Signori e uno sketch, tutto per te?...

Marta                               - È tre ore che te lo dico!

Stefano                            - Allora, devi farmi un piacere.

Marta                               - Ma anche due.

Stefano                            - Devi essere mia figlia!

Marta                               - (sbalordita) Cosa?

Stefano                            - (rapido) Per spillare quattrini a mio fratello gli ho inventato di avere una figlia. Lui la vuol vedere. Sei tu.

Marta                               - Ma lui...

Stefano                            - Lui si commuove, tira fuori i soldi... e io sono a posto!

Marta                               - Ma io...

Stefano                            - Ti piacciono le volpi azzurre? Te ne regalo una, basta che tu mi assecondi... E poi ci sarà da guadagnare anche per te! Sii buona!

Marta                               - Senti, io per me, faccio anche tua madre... Ma mi dici che cosa gli racconto?

Stefano                            - L'infanzia sventurata... Sola al mondo... Le sonte frottole. A proposito, tua madre è morta.

Marta                               - Povera mammà, facciamo le corna!

Stefano                            - Io le auguro cent'anni di vita, ma per­ora è morta. Prima di morire ti ha rivelato la verità. Tu sei corsa da me, in una procellosa notte di car­nevale, e piangendo mi hai gridato: «Padre mio!».

Agenore                           - (a bocca aperta) Mi sembra di leggere un romanzo di Liala!

Marta                               - Va bene... E quanti anni devo avere?

Stefano                            - Venti. Facciamo venti.

Marta                               - E che cosa faccio di mestiere?

Stefano                            - (si gratta l'orecchio) La faccenda è delicata... Sai, per non invogliarlo a vederti... gli ho detto che non sei degna di noi.

Marta                               - Bella figura che ci faccio!

Stefano                            - Va là... che in fondo, in fondo...

Marta                               - In fondo, un fico! Io sono un'artista!

Stefano                            - Benissimo. Tu sei un'artista. E per questo non sei degna di noi.

Marta                               - Come sarebbe a dire?

Stefano                            - Lascia correre. Mi raccomando un piantino. Due lacrimucce ci stanno bene.

Marta                               - Così1? (Piange disperatamente).

Stefano                            - No! Così è un diluvio. Bastano poche gocce... Tanto da rinfrescare.

Marta                               - Così? (Pianterello).

Stefano                            - Benone.

Marta                               - (ad Agenore, recitando) Oh, signore, mi permette di' chiamarla zio?

Agenore                           - A me?

Marta                               - (parlato) Stupido! Faccio per provare... (Ripiglia) Oh, signore... mi permette di chiamarla zio?

Stefano                            - Sei un'artista!

Agenore                           - (recitando a modo suo) Ma sì che te lo permetto, sventurata giovinetta!

Stefano                            - E tu sei un bel cane!

Marta                               - (ad Agenore c. s.) Il babbo mi ha tanto parlato di lei... È tanto buono il mio babbo!

Stefano                            - Benissimo.

Marta                               - (a Stefano, eccessivamente ingenua) Oh Dio!... Mi sembra di vivere in un bel sogno... Babbo mio!

Stefano                            - Macché babbo! Hai mai sentito dire « babbo mio? »

Marta                               - (c. s.) Padre mio...

Stefano                            - Peggio. Sembra che parli al confessore.

Marta                               - (c. s.) Paparino!...

Stefano                            - Ecco quel che ci vuole, paparino.

Marta                               - (c. s.) Vuol tanto bene alla sua figliolina, il mio paparino, vero?

Stefano                            - Adelaide Ristori! Sarah Bernhardt Sei grande!

Vito                                 - (entrando dal fondo) Marchi mio, niente di fatto.

Stefano                            - Non importa. Ho trovato di meglio!

Marta                               - Ciao, maestro.

Vito                                 - Ciao, bel musino.

Marta                               - Ti annunzio che il tango e il fiore del fango li faccio io!

Vito                                 - Lo sapevo, io. (A Stefano) Homo di pasta frolla!

Stefano                            - Caro te, non posso rifiutarle niente!

Vito                                 - (che crede di aver capito) Oh, oh! Compli­menti!

Stefano                            - No no... Non per... quello che credi tu! Si tratta di tutt'altra cosa!... (Altro tono) Sicché il signor Sejani, niente?

Vito                                 - Macché! Son capitato male... Porse non era il momento adatto... Figuratevi che il Sejani ha piantato la Titti!

Stefano                            - Ma va là!

Vito                                 - C'ero io! L'ha sorpresa in camerino col cantante... È successo un'ira di Dio!

Marta                               - (felice) Bene! Così non farà opposizioni se faccio io le parti.

Vito                                 - E mi dispiace che è per colpa mia! Sì, perché eravamo in teatro... Sejani mi aveva detto che la Titti era andata dalla sarta... Io gli facevo sentire il tango e a un certo punto gli domando la tonalità della voce del cantante... «Non so», dice lui. « Ora vediamo se è in camerino, così ce la dirà lui stesso ». Va al camerino del cantante, apre la porta... Patatrac! C'erano dentro quel frescone e la Titti!

Marta                               - (al settimo cielo) Dio, che cosa avrei pagato per trovarmici! Sei un angelo! Toh! (Gli dà un bacio).

Giuseppe                         - (entra in quel momento) Stefano volevo dirti... (Vede e subito s'indigna) Ah, questo è troppo! Un uomo che ha una figlia...

Stefano                            - Ma lascia che ti spieghi...! (Un breve silenzio) Ecco mia figlia.

Giuseppe                         - (stupito) Eh?

Vito                                 - (sbalordito) Che cosa?

Stefano                            - (recitando) Avanzati, Marta... Questo è tuo zio Giuseppe...

Marta                               - (idem) Oh, signore...(Piantino).

Stefano                            - È commossa, poverina...

Giuseppe                         - (che non è molto soddisfatto per la scena di poco prima) Tuttavia, io non capisco.

Stefano                            - (sottovoce) T'avevo ben avvertito che purtroppo essa è...

Giuseppe                         - (idem) Ma quel giovane?... Perché, in presenza tua, essa si permetteva?...

Stefano                            - (impacciato) Ah sì, ma... non c'è niente di male... È... (Cerca) Come? Non capisci?... (Ha trovato) È il suo fidanzato!

Giuseppe                         - (sempre sottovoce, squadrando Vito) Beh, se ha davvero delle intenzioni serie, e se è un brav'uomo... La cosa non mi dispiacerebbe.

Stefano                            - (c. s.) Anche a me... Lo volesse il cielo.

Vito                                 - (fra sé) O che cos'hanno da guardare me? (Si volge ad Agenore che gli spiega sottovoce il pasticcio. Intanto)

Giuseppe                         - (volgendosi verso Marta, quasi fra sé) Povera ragazza!... (A Stefano) È una bella figliola...

Stefano                            - Sì, non c'è male...

Giuseppe                         - E come ti assomiglia!...

Stefano                            - (preso di sorpresa, con esagerata approva­zione) Eh! (Fra sé) Questa poi non me l'aspettavo...

Giuseppe                         - (a Marta) Fatti vedere, carina... Fatti vedere...

Marta                               - Oh signore... Mi permette di chia­marla zio?

Giuseppe                         - (un po' commosso) Ma sì, cara... con piacere...

Marta                               - Il babbo mi ha tanto parlato di lei, zio... che mi sembra già di volerle bene...

Giuseppe                         - (c. s.) Cara!... (Un silenzio. I suoi occhi cascano su Agenore. A Stefano) Manda via il cameriere. Mi pare che in certi momenti d'espansione...

Stefano                            - Già... (Forte) Agenore, lasciaci. Dobbiamo espanderci.

Agenore                           - Sissignore. (Fra sé, andandosene) Mi divertivo tanto!

Giuseppe                         - (si volge a Vito) E lei...

Vito                                 - Ha ragione... Scusi tanto... Non voglio disturbare...

Giuseppe                         - No, no... resti pure... Dopo quel che mi ha detto Stefano... Lei è quasi di famiglia...

Vito                                 - (interdetto) Oh... troppo buono... (Fra sé) Che diamine gli avrà detto?

Giuseppe                         - Piuttosto... mi stringa la mano... (Con uno sguardo a Marta) E veda di farla felice...

Vito                                 - Io?... (Stefano gli dà un calcio).

Giuseppe                         - Inutile far misteri... Le ripeto: Stefano mi ha detto tutto... E se vi amate davvero...

Vito                                 - Io?... Ma io... (Altro calcio).

Stefano                            - Ma... lui l'adora!... Vero che l'adori?...

Giuseppe                         - E dunque non vedo perché dovrebbe dispiacermi il vostro fidanzamento!

Vito                                 - Ehi?!?

Marta                               - Ah, questa!... (E camuffa in uno scoppio di pianto la risata che stava per scoppiare).

Giuseppe                         - (avvicinandosi a lei) Su, su... cara!... (Ai due) L'emozione, poverina! (A Marta) Su... parlami un p o' di te, nipotina! Ho bisogno di sapere tante cose...

Marta                               - Ah... la mia infanzia è stata triste... molto triste... Ero sola al mondo...

Giuseppe                         - E tua madre?

Stefano                            - E che cos'è una madre, quando non si ha un padre?

Marta                               - Davvero, sa... La povera mamma si logorava gli occhi sul ricamo per mantenermi... Ma intanto io crescevo... crescevo... crescevo.... «Mammina dov'è il papà...?». «È partito per un viaggio tanto lungo... ». (Giuseppe è molto commosso).

Vito                                 - (a Stefano) Che faccia tosta!

Marta                               - E poi un bel giorno... Oh, in una pro­cellosa notte di carnevale... Mia madre... Ohimè!... mia madre... mia madre morì!

Giuseppe                         - (lacrime agli occhi) Povera bimba!... E poi?...

Marta                               - Il resto lo sa...

Giuseppe                         - Sì... ma la tua vita?

Marta                               - Oh... non mi faccia dire!... Che potevo fare?... Crescevo... Crescevo... Crescevo... (Ha una idea) La mia infanzia è sbocciata nel fango e la mia giovinezza si è trascinata così, pallido fior della strada, senza un sorriso di madre...

Stefano                            - (sottovoce) Di padre...

Marta                               - (si corregge) Di padre, senza la carezza di un focolare...

Giuseppe                         - Povera sventurata! (L'abbraccia).

Vito                                 - (a Stefano) Ma questa è la tua rivista!

Stefano                            - Meno male che le serve a qualche cosa!

Giuseppe                         - (a Marta) Ma ora tutto ciò finirà. Ci penso io, tuo zio!

Stefano                            - (a Vito) Adesso vengono i quattrini!

Giuseppe                         - (a Marta) Tuo padre è un tipo spe­ciale e non fa una vita che mi piace...

Marta                               - Oh, è tanto buono il mio paparino e mi vuol tanto bene! Vero, paparino?

Stefano                            - Cara! (L'abbraccia e la bacia. Poi a Vito) Non è mica spiacevole essere padre!

Giuseppe                         - Sì, ma il bene non basta, piccina cara... Mio caro Stefano, hai fatto bene a non nascon­dermi niente, so ora qual è il mio dovere.

Stefano                            - (a Vito) Ecco i quattrini...

Giuseppe                         - I miei mezzi, che una vita economa e operosa mi permette di chiamare larghi, i miei mezzi fortunatamente. me lo consentono... Perciò d'ora in poi... vivrete in casa mia.

Gli altri tre                       - (sbalorditi) Eh?!

Giuseppe                         - (a Marta) Dove tu avrai così un foco­lare... e dove troverai una zia che ti farà da seconda mamma...

Stefano                            - Ma non è possibile...

Giuseppe                         - (autorevole) Voglio così. Ti troverò un impiego e faremo tutta una famiglia!

Stefano                            - (fra sé) Le belle famiglie italiane!

Marta                               - Ma io sono abituata alla mia libertà...

Stefano                            - Insomma, ti dico che non si può!

Giuseppe                         - (sdegnato) Devo dunque credere che siete entrambi così attaccati alla vostra vita malsana da rifiutare una possibilità di redenzione?

Stefano                            - Macché redenzione!

Giuseppe                         - (a Vito) E lei, non dice niente?

Vito                                 - Ah, certo che... (Calcio di Stefano) Ma, sa... io non voglio intralciare la carriera di Marta...

Giuseppe                         - La carriera! Insomma, non ammetto discussioni. Se suo padre e il suo fidanzato non sanno pensare al bene di questa giovine, è mio dovere pensarci! Ti ordino di seguirmi...

Marta                               - (a Stefano) Oh, mi secca, poi! Adesso gli spiffero tutto!

Stefano                            - (sottovoce) Per amore del cielo!... Va là, accontentiamolo per ora... Poi qualche santo provvederà!

Marta                               - Ma io ci ho mamma a casa che mi aspetta!

Stefano                            - La farò avvertire io... Ci penserà Agenore. Non mi rovinare!

Giuseppe                         - (a Stefano) Dunque? Hai persuaso tua figlia?

Stefano                            - Sì, Peppino mio caro... È tanto con­tenta. (Con un pizzico, a Marta) Vero, che sei tanto contenta?

Marta                               - (con aria estatica) Oh Dio... Mi sembra di vivere un bel sogno!

Stefano                            - (fra sé) E io ho paura del risveglio!

Giuseppe                         - Allora andiamo. (A Stefano) Farò preparare una camera anche per te. (A Vito) Buon­giorno, signore... s'intende che lei potrà venire a trovare la sua fidanzata quando vorrà... (Vito abbozza un gesto di diniego) No, no, no, no. Vero? No? Bando ai complimenti.

Vito                                 - Lei è troppo gentile...

Giuseppe                         - (a Marta) Andiamo...

Marta                               - (fingendo uno scoppio di pianto) Oh, paparino! (Gli corre incontro e lo abbraccia. Sottovoce) Mi raccomando, fai avvertire almeno mamma... Che non mi aspetti. (Si distacca, si avvia).

Stefano                            - (stesso gioco) Oh, figliola mia! ((Sot­tovoce) Se non mi dici l'indirizzo?...

Mabta                              - Via Pomponio Attico 3... (Fra le false lacrime) A presto, paparino... (I due escono).

Vito                                 - (fuori dalla grazia di Dio) Che cosa t'è saltato in mente? Fidanzato?! Io ho moglie da cinque anni!

Stefano                            - E perché t'arrabbi? Io non ho figli da quando sono nato! Siamo pari! (Gala la tela rapi­damente).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Il salotto di casa Giuseppe Marchi. Avendo descritto il padrone della casa, ci si può figurare come egli l'abbia ammobiliata. Lusso, ma austerità. Tinte un po' grevi. Quadri dai soggetti classico-mistici. Una radio.

(All'alzarsi del sipario Giuseppe sta mostrando a Marta un albo di fotografie; Stefano regge con le mani la matassa che sua cognata Maria Giulia sta dipa­nando; quest'ultima è una ossuta, spaurita, impres­sionabile e non molto intelligente signora sulla qua­rantina).

Maria Giulia                    - (a Stefano) Un po' più alte le mani, caro.

Stefano                            - (che non si diverte troppo) Con piacere, cara.

Giuseppe                         - (a Marta) E questo è tuo nonno.

Marta                               - (che si trova nel medesimo stato d'animo di Stefano) Che barba!... Dico, che bella barba... Un bell'uomo.

Giuseppe                         - Un galantuomo nel vero senso della parola, pace all'anima sua!

Maria Giulia                    - (per abitudine) Che sempre sia benedetta.(A Stefano) Su le mani, caro.

Marta                               - E questo signore così buffo chi è?

Giuseppe                         - (con una sfumatura di rimprovero) È il tuo prozio, il professor Evaristo Marchi. Insegnante di diritto ecclesiastico a Pisa. Una grande mente e un'anima nobile, povero zio Evaristo.

Maria Giulia                    - (c. s.) Che Dio l'abbia in gloria.

Giuseppe                         - (cattedratico) E questa è la tua povera prozia Teresina, la sorella di tuo nonno. Un angelo che il Signore volle chiamare troppo presto a sé. E questo è...

Stefano                            - Abbi pazienza, Giuseppe. Porse Marta non si diverte eccessivamente.

Giuseppe                         - (sorpreso) Divertirsi? No, no, no, no. vero? Non si tratta di divertimento. Credevo che le potesse far piacere di conoscere i membri della sua famiglia...

Marta                               - Se, col dovuto rispetto, son tutti morti!

Giuseppe                         - Conoscerne le care sembianze mi sembra sia doveroso.

Marta                               - (contenendo la seccatura) Sì, zio Giuseppe. Hai ragione... Ma ti confesso che sono un po' stanchina...

Giuseppe                         - E va bene. (Quasi con rincrescimento richiude l'albo. Un silenzio. Sguardi esasperati fra Marta e Stefano).

Marta                               - Che cosa fai, zia, di quella lana? Un « pull-over »?

Maria Giulia                    - Oh, no, cara, faccio dei golfini per i miei piccoli rachitici.

Giuseppe                         - (a Marta) Sai bene che tua zia è patronessa dell'Opera Pro Infanzia Rachitica.

Maria Giulia                    - (con un certo orgoglio) Segretaria della Anti Scrofolosa... :

Giuseppe                         - E presidentessa dell'Ospizio dei Pie- | coli Sordo Muti...

Marta                               - E non ti stanchi, zia?

Maria Giulia                    - Eh, certo, che mi danno un po' I da fare... Ma che vuoi, fra i miei piccoli rachitici, i miei piccoli scrofolosi e i miei piccoli sordomuti... il tempo vola.

Marta                               - Ognuno si diverte come può.

Giuseppe                         - (a Marta ) Oggi per distrarci un po', I perché non vai con Maria Giulia dai suoi piccoli scrofolosi?

Marta                               - (con un sorrido forzato) Grazie, zio... Ma credo che mi verrà un po' di mal di testa.

Stefano                            - (pince-sans-rire) Vedi come è buono lo zio Giuseppe? Non trascura nulla per farti divertire!

Maria Giulia                    - (a Stefano) Le mani, caro... (Un silenzio) Come son felice di far tutta una famiglia... si sta più allegri, no?

Stefano                            - (falso) Allegroni, cara! Aiutami a dire allegri, perché da solo non so rendere l'idea.

Giuseppe                         - (a Marta) Credevo che avresti voluto uscire... Non fosse che... per far ammirare il tuo orologio nuovo...

Marta                               - Quale orologio? Se non ne ho!

Stefano                            - Sta' zitta... (Sottovoce) Vedrai che è un altro regalo...

Giuseppe                         - Ho notato che di solito tardavi ai t pasti e ti levavi più tardi di tua zia; quando te ne rimproverai, mi dicesti che non avevi orologio. Lo zio Giuseppe non intende a vuoto. Eccoti un orologio da polso, così non tarderai più. (Le porge un astuccio).

Marta                               - (aprendo l'astuccio) Oh, ma è troppo!.. In brillanti e zaffiri... Come sei buono, zio... (Va ad abbracciarlo).

Giuseppe                         - (che è commosso e non vuole sembrarlo) No, no, no, no, vero? No. È tua zia che l'ha scelto.

Marta                               - Oh, zietta... Grazie anche a te. (L'ab­braccia).

Stefano                            - (che ha l'acquolina in bocca) Posso vedere anch'io questa meraviglia?

Marta                               - Guarda, paparino... (Gli si accosta).

Stefano                            - Magnifico! (Sottovoce) E tre. Non ti I potrai lamentare. Ne hai avuti di regali, in questi tre giorni!

Marta                               - Almeno quelli! Mi secco talmente.

Stefano                            - E io diecimila lire soltanto. Facciamo a mezzo del ricavato? (Indica l'astuccio).

Marta                               - Stai fresco. Questo è mio. Tu arrangiati.

Stefano                            - Ah, sì? Sta a vedere. (Forte, triste) Bello, molto bello.(Va in un angolo, molto mesto).

Maria Giulia                    - Eh, abbiamo tanto desiderato di avere una figliuola, che ora ci pare...

Giuseppe                         - Però la nostra Marta farà di tutto per meritare sempre di più il nostro affetto, vero?

Maria Giulia                    - (che vorrebbe ripigliare il suo lavoro) Stefano, la matassa...(Stefano fa udire un sin­ ghiozzo e si asciuga gli occhi) Stefano, che c'è?

Stefano                            - (fiero) Nulla... nulla... Ti prego.

Maria Giulia                    - (dopo d'essersi assicurata che Giu­seppe e Marta non badano a loro) Ma no, via. Tu hai pianto.

Stefano                            - Ebbene, sì... Sì, ho pianto... Capirai, quel regalo...

Maria Giulia                    - Come? Un regalo fatto a tua figlia?

Stefano                            - Appunto. Io, suo padre, non gliene faccio. Non gliene posso fare... Che cosa penserà di me la mia creatura? Fin'd'ora essa è vissuta in povertà. Ora, con la vostra ricchezza rischiate di uccidere la tenerezza che...

Maria Giulia                    - (subito commossa) Ma no, che idea.

Stefano                            - Sì, sì, sai come sono i bambini... voglio dire i giovani, si affezionano subito a chi dà.. Almeno potessi anch'io...

Maria Giulia                    - Ebbene, aspetta. (Forte) Giu­seppe... Senti una cosa. (Oli sì accosta).

Stefano                            - (a Marta che gli si è avvicinata, sottovoce) Troppo comodo, cara te! Se qui c'è uno che ci deve guadagnare, quello debbo essere io!

Marta                               - Già, e io? Credi che mi diverta?

Stefano                            - Tu ci hai guadagnato già una pelliccia, una spilla con ametiste e questo affare qui. Io non son riuscito che a pagare la mia cambiale ed aver dieci mila lire di guadagno.

Marta                               - E le altre dieci!

Stefano                            - Già, e Vito credi che ci venga gratis, qui, a far la parte di fidanzato? Duemila lire per visita, ha voluto... Peggio di un dottore.

Maria Giulia                    - (alla quale Giuseppe ha dato dei denari) Stefano... (Oli si accosta) Ecco qui. Dieci­mila lire. Ma bada che Giuseppe teme che tu le voglia tenere per te! Sai com'è, lui.

Stefano                            - Sei un angelo, cognatina. (Forte, a Marta) Figliola mia, il tuo paparino non vuol essere da meno dello zio Giuseppe. Eccoti diecimila lire, comprati quello che tu desideri.

Marta                               - Oh, grazie...

Stefano                            - E non abbracci il tuo paparino?

Marta                               - (si lascia abbracciare, sottovoce) Non approfittarne, mascalzone!

Stefano                            - Cara! (La bacia) Cara! (La bacia) Cara! (La bacia).

Marta                               - Basta, ora.

Stefano                            - Che volete, io ho il senso della fami­glia molto spiccato!

Giuseppe                         - Meno male. Qualcosa di buono si risveglia in te.

Stefano                            - Si risveglia, si risveglia, stai tranquillo!

Sofia                                - (entrando) C'è il signor Signori.

Giuseppe                         - (soddisfatto) Ah, che passi. (Sofia esce).

Marta                               - (sottovoce a Stefano) Adesso cominciamo con la faccenda dei baci!

Stefano                            - Sta buona, va là!

Vito                                 - (entra. È impacciato) Buon giorno a tutti... (Saluti confusi).

Giuseppe                         - Com'è che ieri non l'abbiamo visto?

Vito                                 - Ero... avevo da fare...

Giuseppe                         - E neanche un colpo di telefono, neanche un rigo a questa fanciulla?

Vito                                 - No. Non ci ho pensato.

Stefano                            - Lascia andare. Se ne sarà scordato.

Giuseppe                         - No, no, no, no, no! Vero? No!... Lungi da me l'idea di rimproverarlo, ma penso che certi riguardi verso la propria futura sposa siano per lo meno doverosi.

Maria Giulia                    - Giuseppe ha ragione, come sempre. Questa bimba ieri era nervosetta. Colpa sua, maestro.

Vito                                 - Mi dispiace. (Ma non gliene importa un fico).

Maria Giulia                    - (materna) Su, su, Marta. Ora non tenergli il broncio.

Marta                               - Io? Ma no, zia, tutt'altro!

Maria Giulia                    - Eh, che son stata giovane anche io... Non è così che si saluta un fidanzato. Su, su, fagli un po' d'accoglienza... Su, da brava...

Marta                               - (a Vito) Ciao, come va?.

Maria Giulia                    - (sorridendo) Ah, piccola « rancu-nière! » Va là, va là! Giuseppe, tu permetti, vero? Va là... dagli un bacio!

Marta                               - (sottovoce, a Stefano) Eccolo lì! Lo sapevo io! (Forte) Non occorre, zia.

Giuseppe                         - Non sono certo io che amo fomentare simili forme eccessive d'espansione, ma tra fidanzati...

Stefano                            - Va bene, ma se non glielo vuol dare.

Giuseppe                         - Tu sei un cinico e certe delicatezze non puoi capirle... (A Marta, autoritario) Orsù, datevi un bacio.

Stefano                            - E datevelo, via! (Fra se) Così la fini­scono. (I due senza volontà si baciano).

Maria Giulia                    - (allietata) Oh, così va bene!

Stefano                            - (fra sé) Che gusto ci provino a farli baciare, io non lo capisco!

Maria Giulia                    - Sei contenta di aver qui il tuo sposino?

Marta                               - (senza nessuna persuasione) Eh, altro che!

Giuseppe                         - (a Vito) Mio caro futuro nipote, debbo dirle qualcosa... (Lo tira in disparte e gli parla sottovoce).

Maria Giulia                    - Gli dirà per le pubblicazioni.

Stefano                            - Oh, che bella idea!

Maria Giulia                    - Giuseppe ha deciso che in aprile vi sposerete.

Marta                               - Oh, non c'è fretta. (Si corregge) Voglio dire che è meglio conoscerci bene prima.

Maria Giulia                    - No, no, bisogna diffidare dei fidanzamenti troppo lunghi.

Giuseppe                         - (che ha lasciato Vito inebetito) Siamo intesi, neh! E ora devo andare a sbrigare la mia posta. Mi raccomando, Stefano! Non lasciarli soli i due colombi! (Ridacchia soddisfatto) Arrivederci, tortorelle... Ciao, tu. (A Maria Giulia) Tu resti?

Maria Giulia                    - No, caro, devo andare a preparare di là, per la riunione del comitato prò infanzia abban­donata. Buon lavoro, caro. (Giuseppe esce) E voi due fate i bravi, neh! (Esce).

Marta                               - (appena è certa che siano usciti, esasperata) Non ne posso più. Io divento idrofoba. (A Stefano) Va bene i regali, ma se non mi levi da questo pasticcio io divento idrofoba!

Stefano                            - Se credi che mi diverta, io!

Marta                               - E chi si può divertire qui dentro1? Questa non è una casa... È la fabbrica della barba! Dapprin­cipio l'idea di infinocchiare quelle due mummie di tuo fratello e di tua cognata mi ha sorriso. Ma adesso non ne posso più! Ho i nervi proprio a fior di pelle... Ih, ih. (Scatti nervosi).

Stefano                            - E io no"? Ma è questione di pazientare fino a domani, lo sai. Domani Giuseppe fissa un assegno mensile per te e per me. Due giorni dopo ti faccio ordinare un lungo viaggio dal medico, io t'accompagno... e chi s'è visto s'è visto. In fin dei conti che cosa ci rimetti1? Probabilmente domani quel vecchio puritano ti regalerà qualcos'altro. Rischi di beccarti qualche decina di migliaia di lire al mese per tutto il resto della tua vita, giacché sono disposto a cederti il 20% di quel che ricaveremo, e per di più levi per sempre dai guai me. (Arrabbiato) Accidenti, sembra che facciate tutto per niente... E invece fin'ora chi ci ha guadagnato di meno sono io! (Altro tono) A proposito, rendimi le diecimila lire!

Marta                               - Cosa!?

Stefano                            - Sì, usignolo del « music-hall! ». Non crederai mica che io ti regali sul serio diecimila svanziche! Tu hai avuto l'orologio. Beh, scuci i pillari!

Marta                               - E va bene. Ma te ne dò otto soltanto. Il 20% del guadagno a me, l'hai detto tu!

Stefano                            - All'anima della strozzina! Beh, dà qua.(Intasca).

Marta                               - E guarda che non lo faccio per interesse. (Lirica) Io inseguo un sogno d'arte!

Stefano                            - Lo insegui coi quattrini miei?

Marta                               - Prima di tutto sono anche miei, perché senza di me tu saresti fritto. E poi m'è venuta una grande idea. Visto che il Sejani ha rotto con la Titti I, voglio rilevare io la compagnia e mettere io in scena la tua rivista. Pensa che bello! Io divento celebre, tu diventi celebre... e allora, sì, facciamo quattrini a cappellate anche senza l'intervento di tuo fratello.

Stefano                            - Tu, una stella della rivista? Ma fammi il piacere!

Marta                               - Va là, che ce n'è di più cagne di me! L'importante è aver dei bei vestiti e una messa in scena di lusso. È per questo che mi occorrono quattrini.

Stefano                            - Ma guarda un po'! (A Vito) Tu che cosa ne dici, Beethoven della canzonetta?

Vito                                 - Io dico che mi fate nausea e pena!

Stefano                            - Ohe! Io ti dò duemila lire per visita! Potresti essere più gentile!

Marta                               - E poi è anche tornaconto tuo, perché lanceremmo tutti i tuoi pezzi!

Vito                                 - (amaro) Lo so io chi mi lancerà... Ma dalla finestra! (Di scatto) Mia moglie non è mica una stupida, che cosa credete?

Marta                               - E che c'entra tua moglie?

Vito                                 - C'entra e come, perché ha dei sospetti. È già due giorni che telefona alla scuola di canto e non mi ci trova. E perché? Perché sono qui a fare il fidanzato tuo!

Stefano                            - E tu spiegale come stanno le cose.

Vito                                 - Bravo! Tu non conosci mia moglie. È gelosa come una tigre. Se le dicessi che mi spaccio per il suo (indica Marta) moroso e che me la sbaciucchio due volte al giorno... Cari miei, succederebbe un cataclisma!

Marta                               - (ridendo) C'è qualcuno che è geloso di te? Con quella faccia?

Vito                                 - Cara mia, la faccia in certe cose c'entra ben poco. Ti dico che è gelosissima. Già, la mia professione di autore di canzonette le piace poco, perché dice che sto sempre in contatto con delle sgualdrine... Scusa, eh!

Marta                               - Tira via.

Vito                                 - Se aggiungi che ha qualche anno più di me e che li porta anche male, capirete che mia moglie...

Marta                               - Eh, quante storie per tua moglie. E io, allora, che cosa dovrei dire per Cadetto? Perché è geloso anche il mio Cadetto, sapete? Fin'ora non si è fatto vivo, perché non sa dove sono, ma se venisse a sapere che mi trovo qui, vi assicuro che non la pas­sereste liscia nessuno dei due.

Stefano                            - Un momento. Io non faccio niente di male. Io sono tuo padre.

Marta                               - Piantala, sfacciato! (A Vito) Anche stanotte voleva per forza entrare in camera mia!

Stefano                            - E tu non hai voluto neanche stanotte!

Marta                               - Si capisce! Mi pareva una certa cosa...

Stefano                            - Ehi, ehi! Ma non sono mica tuo padre davvero, sai?!

Marta                               - Va bene. Ma quando per tutta la gior­nata si chiama un uomo «papà, papà, papà»... alla fine si resta suggestionati.

Stefano                            - Ti dico io! Anche la suggestione! La vuoi capire che noi siamo semplicemente un uomo e una donna? Che tu sei un amore di donnina e io... io non son fatto di legno, caspita! E che quando la sera, prima di coricarti, mi vieni a dare il bacio della buona notte in quella vestaglia tutta svelosia, io mi sento... io mi sento...

Marta                               - (falsa ingenua) Che cosa ti senti, paparino mio?

Stefano                            - Accidenti al paparino! Quasi quasi, smonta anche me!

Marta                               - (ridendo) Meglio così, va là! Almeno quest'altro rimorso non l'avremo! (A Vito) Tu piut­tosto... Mi hai portato gli altri pezzi che cantava la Titti I?

Vito                                 - (mostrando la cartella che ha con sé) Li ho qui tutti.

Makta                              - Anche la samba? (A Stefano) Vedrai che quando farò la samba io... li voglio fare impazzire tutti. (Accenna il motivo).

Vito                                 - No, stoni. È così.(Canterella).

Marta                               - Vero. (Canterella) Suonamela un mo­mento.

Stefano                            - Siete matti! La samba qui dentro?

Marta                               - Eh, che fifone! Lo sanno, no, che lui scrive canzonette? E allora che male c'è! (A Vito) Dai, suonamela, che ne voglio fare una creazione... (Vito suona. Marta si mette a ballare).

Stefano                            - Per amor di Dio! Stai ferma con quella pancia!

Marta                               - (sempre ballando) Beh, è una samba, mica è un minuetto... La samba si balla così... (Seguita a ballare, alla fine della danza perde l’equilibrio e casca).

Stefano                            - (ridendo) Bello questo finale! Molto artistico!

Marta                               - Che c'entra! Perché ho il vestito che m'impiccia. Aspetta un po'. (Rapidamente si sfila il vestito e rimane in pagliaccetto).

Stefano                            - (spaventato) Cosa fai? Stai buona... Rimettiti tutto...

Marta                               - Non mi rompere le scatole. Io sto inse­guendo un sogno d'arte. (A Vito) Attacca il fìnalino, maestro!

Vito                                 - Guarda che ci sono quelle otto battute d'aspetto...

Stefano                            - Lo so io che battute ci aspettano...

Marta                               - Ma va a quel paese, coniglio! (A Vito) Dai... uno, due... (Ripresa del ballo. Sul finire entra Sofia).

Sofia                                - (soffocata) Oh!

Stefano                            - (impacciatissimo) S'era... s'era... s'era...

Marta                               - (audacemente) M'ero macchiata il vestito... Paparino mi ha rovesciato il bicchiere sul vestitino... Vero, paparino bello? (Lo abbraccia).

Stefano                            - Sì... le ho cosato il coso sul cosino... (Allontanandola da sé, sottovoce) Senti, non venirmi vicina così svestita, sennò il paparino va a farsi benedire!

Sofia                                - Scusino tanto, cercavo del suo signor fratello.

Marta                               - Volevi lo zietto bello? È nel suo studio lo zietto bello bello.

Sofia                                - Volevo avvertirlo che è arrivato l'ingegner Carletto Sandi.(Esce).

Marta                               - (cacciando uno strillo) Ah!

Stefano e Vito                 - (insieme) Che è stato!

Marta                               - (perdendo la testa) L'ingegnere... Sandi... Carletto... È lui... Oh, Dio! Ci strozza, ci strozza!

Stefano                            - Sta ferma un momento! Lui, chi!

Marta                               - Lui! Carletto! Oh, Dio, Dio! Oh, Dio! Dio!

Stefano                            - Il Carletto tuo!

Marta                               - Lui! Lui! Ci strozza... Ci strozza!... (Cerca invano di raccattare i vestili, dimenticando sempre qualche capo e saltellando qua e là).

Vito                                 - (correndole dietro impressionato) Chi strozza? Chi strozza?

Marta                               - Me... Lui... Te... Tutti!

Vito                                 - Accidenti! Allora che cosa si aspetta per scappare?

Marta                               - Via... Via... (Marta e Vito scappano richiudendo la porta alle loro spalle).

Stefano                            - Un momento... Vengo anch'io... (Balla comune entra Carletto, un pezzo di giovanotto, dall'aspetto molto serio).

Carletto                           - Oh, scusi... credevo di trovare il commendator Marchi.

Stefano                            - (che non si sente molto a suo agio) Lei... voleva parlare con mio fratello?

Carletto                           - Ah, lei è... piacere. Permette? Ingegner Sandi...

Stefano                            - (istintivamente) Carletto...

Carletto                           - (sorpreso) Come fa a sapere il mio nome?

Stefano                            - Eh... Ah... Me l'ha detto coso..., mio fratello.

Carletto                           - Ah, già... Le ha parlato di me?

Stefano                            - Ah, altro che!... Qui non si parla che di lei. Anche poco fa, prima che lei entrasse, ho sentito parlare di lei...

Carletto                           - Questo mi fa molto piacere.

Stefano                            - Si figuri a me.

Carletto                           - Allora lei sa il perché della mia visita!

Stefano                            - No.

Carletto                           - Come! Non mi diceva che il suo signor fratello...

Stefano                            - Ah, sì. Mi ha parlato di lei, ma non mi ha detto perché lei viene qui.

Carletto                           - Eppure lei dovrebbe indovinarlo...

Stefano                            - (impressionato) Io? E perché io?

Carletto                           - M'accorgo che lei non sa ancora... Forse non sono tenuto a... (Nel frattempo l’ha squa­drato) Mi scusi, ho l'impressione di averla già veduto in qualche altro posto... 0 mi sbaglio?

Stefano                            - Non lo so... Dipende dal posto in cui mi ha veduto...

Carletto                           - In palcoscenico, dalla compagnia Sejani... Non dovevano anzi fare una sua rivista?

Stefano                            - Ah, già... Sì, sa, a tempo perso io mi diletto. Ma non la fanno più.

Carletto                           - Ha saputo della Marta Marlene!

Stefano                            - (falso) Marta Marlene?... chi è?

Carletto                           - La seconda « soubrette », sa, quella biondina, magrina...

Stefano                            - Ah, sì       - (c. s.) ...mi pare...

Carletto                           - È andata via dalla compagnia... Ha pagato la penale e non se ne sa più niente.

Stefano                            - Davvero?... Oh, cosa mi tocca sentire, cosa mi tocca sentire!

Carletto                           - Era la mia amica. E non ne so più niente neanch'io. Avrà trovato qualcuno che le fa fare una vita più di lusso e ti saluto. Ma se lo trovo! Se lo trovo! Io gli rompo il muso se lo incontro! Gli rompo il muso!...

Stefano                            - Bene!... Così mi piace di vedere i giovani...!

Caeletto                           - Non è tanto per quella stupidella, quanto per la figura che ci faccio! Se lo trovo!...

Stefano                            - Si calmi. (Forzato) Qui non lo trova di certo.

Caeletto                           - Ha ragione. Mi scusi, sa.

Stefano                            - Ma le pare!...

Giuseppe                         - (entrando) Caro ingegnere...

Caeletto                           - Commendatore...

Giuseppe                         - Scusi se l'ho fatta attendere.

Caeletto                           - Prego; parlavo qui col suo signor fratello.

Stefano                            - Una così simpatica conversazione!

Giuseppe                         - (a Stefano) Tua figlia?

Stefano                            - È di là...

Giuseppe                         - Bene... Sto preparandole una sorpresa, vero, ingegnerei (Carletto sorride) E magari anche per te. Ma preferisco che tua figlia non sia presente.

Stefano                            - (fra ì denti) Anch'io.

Giuseppe                         - Vuol venire nel mio studio, ingegnere?

Carletto                           - Come crede. (A Stefano) Buongiorno, signore.

Stefano                            - Tanto piacere di averla conosciuta. (Giuseppe e Carletto escono, Stefano si asciuga il sudore) Uff! Ma che razza di sorpresa stanno pre­parando?

Maria Giulia                    - (entrando) Stefano! Stefano! Ma che cosa mi combini?

Stefano                            - Oh, Dio! Che è successo ancora?

Maria Giulia                    - Come che è successo! Hai lasciato soli i fidanzati!

Stefano                            - Mi avevi fatto una paura! Ma lascia che stiano soli. Non ti preoccupare.

Maria Giulia                    - Non mi piace. Due giovani che si amano... Marta è una fanciulla...

Stefano                            - (senza importanza) Sì, sì... va bene... Piuttosto, dimmi una cosa... Ho visto Giuseppe con un certo ingegner Carletto, cioè Sandi... Giuseppe mi ha parlato di una sorpresa per Marta e per me. Ne sai niente tu?

Maria Giulia                    - Sì. È stata un'idea di Giuseppe!

Stefano                            - Mi fai paura!

Maria Giulia                    - Tuo fratello ha un cuor d'oro, Stefano mio!

Stefano                            - Lo nasconde bene, in ogni caso!

Maria Giulia                    - Cattivo! Parlar così di tuo fra­tello, proprio quando si occupa dell'avvenire di tua figlia.

Stefano                            - Se ne occupa troppo, questo è il guaio.

Maria Giulia                    - Sai quel terreno delle parti dei quartieri nuovi? Beh, Giuseppe ci costruisce una casa. L'ingegner Sandi gli ha fatto il progetto. E sai a chi sarà intestata? A Marta.

Stefano                            - A Marta?

Maria Giulia                    - Sì, sarà la sua dote. Invece di fissarvi un assegno mensile, ha pensato... Ecco la famosa sorpresa.

Stefano                            - Beh, credevo peggio!

Maria Giulia                    - Soltanto, ora tocca a te di fare una cosa.

Stefano                            - A me? E che devo fare?

Maria Giulia                    - Santo cielo! Non capisci? Te l'avrebbe detto anche Giuseppe, ma tanto fa, è meglio che tu ti ci prepari. Poiché la casa sarà intestata a lei... Eh! Mi pare che sarà tuo dovere riconoscerla!

Stefano                            - La casa?

Maria Giulia                    - Ma no! Tua figlia, diamine! Riconoscerla legalmente. Darle il tuo nome insomma. Non è una bella idea?

Stefano                            - (allibito) Eh, bellissima! Ma come gli vengono certe idee?

Maria Giulia                    - È per questo che vuole vedere i parenti di Vito. Vuole rassicurarli! Il loro figliolo non sposerà una figlia di nessuno, sposerà la signorina Marta Marchi.

Stefano                            - E chissà loro come saranno contenti quando lo sapranno!

Maria Giulia                    - Lo credo, io. Faremo un bel pranzo... Noi tre, tua figlia, il suo fidanzato e i suoi suoceri!

Stefano                            - Oh, che bella festa!

Sofia                                - (entrando) Signora... Ci son quelle si­gnore del Comitato Pro infanzia Abbandonata.

Maria Giulia                    - Vengo subito. (Sofia esce. A Ste­fano) Mi raccomando, non li lasciare soli. (Esce).

Stefano                            - Anche il riconoscimento legale, ora! (Va alla porta da cui sono usciti Marta e Vito) Ehi, venite qua!

Marta                               - (affacciandosi) E Carletto?

Stefano                            - Non c'è. (Marta e Vito entrano).

Marta                               - Ma che voleva?...

Stefano                            - Ha portato a Giuseppe il progetto della tua casa.

Marta                               - Della mia casa?

Stefano                            - Sì, poi ti dirò. Per ora ti basti sapere che non suppone affatto che tu sia qui.

Marta                               - Meno male. Ma come lo sai? Gliene hai parlato?

Stefano                            - Me ne ha parlato lui. È furioso! Ha detto che vuol rompere il muso all'uomo con cui stai ora.

Marta                               - Allora attento, tu!

Stefano                            - Come io? Se mai, il tuo fidanzato è Vito! Io sono tuo padre!

Marta                               - Glielo hai detto?

Stefano                            - Io, no! Non sono mica cose da rac­contare a tutti! Anzi, io ho finto di non sapere neanche chi sei.

Marta                               - (interessata, lusingata) E così è furioso? Beh, segno che mi vuol bene! È molto carino per me...

Stefano                            - Ma non è carino per noi. Capirai, se venisse a sapere che lui (indica Vito) ti bacia e ti] abbraccia, quello è capace di spaccargli la faccia!

Vito                                 - (impressionato) Sentite... Io me ne vado... Caro te, nelle duemila lire le legnate non son comprese!

Stefano                            - Eh, ma come sei pusillanime. Per ora, grazie a Dio, non sa niente.

Vito                                 - Comunque, se questo Cadetto bazzica per casa... l'affare si complica!

Marta                               - (con sfottente civetteria) Oh, va là!... Non ti piaccio abbastanza da sfidare qualche caz­zotto per amor mio?... (Lo abbraccia scherzosa).

Carletto                           - (entrando, verso l’interno) Siamo d'accordo, commendatore. Le manderò il capitolato. (Si volge e vede Marta, che è rimasta allibita) Tu? Tu, qui?

Vito                                 - (un po'' impressionato) Chi è questo signore?

Marta                               - Ti spiegherò.

Carletto                           - (a Stefano) Ella m'ha detto che non sapeva niente!

Stefano                            - (con faccia tosta ammirevole) Scusi... Non capisco a che cosa voglia alludere.

Carletto                           - Ma come? Questa donna, con questo signore...

Stefano                            - Ebbene?

Carletto                           - Mi vuol dire chi sono, secondo lei?

Stefano                            - Oh, niente di più semplice. Mi per­metta di presentarle il signor Vito Signori e... sua figlia!

Carletto                           - Sua figlia?... Lei?

Stefano                            - (poiché gli altri due sono come rimbecilliti) Già, il mio eccellente amico Signori ha avuto la gioia di ritrovare la figliola diletta...

Carletto                           - Mi scusi, non potevo immaginarlo.

Stefano                            - Neanche lui... voglio dire, neanch'io...

Carletto                           - (a Vito) Lei sembra ancora così giovane...

Marta                               - Vero che li porta bene? Ma li ha, sai... E come se li ha!

Giuseppe                         - (affacciandosi alla porta) Ingegnere, oh, bravo... è ancora qui? (Terrore dei tre).

Carletto                           - Sì, mi ero trattenuto...

Giuseppe                         - (a Stefano) Hai presentato?

Stefano                            - (precipitoso) Sì, già fatto...

Giuseppe                         - Bravo... (A Carletto) Vuol favorire ancora un momento? Mi è venuta un'idea per una modifica...

Carletto                           - Subito, commendatore.

Giuseppe                         - S'accomodi.(Carletto esce).

Stefano                            - (a Giuseppe) Giuseppe... non dargli tante spiegazioni riguardo... (Accenna Marta e se stesso) Sai... un certo pudore...

Giuseppe                         - Si risveglia in te qualche buon sen­timento! Alla buon ora... Sta tranquillo. So il viver del mondo. Non è il caso di parlarne ad estranei (Esce).

Vito                                 - (che è rimasto fin'ora a bocca aperta) Mi dici cosa ti è saltato in testa?

Stefano                            - Idiota! Dovevo dirgli che è la tua fidanzata, perché ti rompesse il muso?

Marta                               - Ma non potevi dirgli la verità?

Stefano                            - E pensi che ci avrebbe creduto, visto che prima non gli avevo detto niente?

 Vito                                - Ma perché mia figlia, poi?

Stefano                            - Parentela per parentela... Non cre­derai mica di essere un ragazzino!

Marta                               - E intanto il pasticcio si complica!

Stefano                            - Beh, troveremo bene il mezzo di uscirne... Anzi, l'ho trovato!

Vito                                 - Oh, Dio... Ho paura!

Stefano                            - Ma no, scemo!... (A Marta) In fondo che cosa vogliamo?

Marta                               - Io non volevo niente. Ma visto che mi ci hai messo di mezzo, adesso voglio rilevare la com­pagnia del Sejani e fare la stella nella tua rivista.

Stefano                            - Senti, lascia stare per un momento i tuoi sogni d'arte e pensiamo al sodo. Pin'ora non mi pare che tu abbia da lagnarti. Per di più, adesso c'è un fatto nuovo: l'idea dell'assegno mensile si è mutata nel dono di una casa... La quale casa per ora è nella mente di Dio, o meglio nella mente del tuo ingegner Carletto, il che è ancor peggio. Aver fatto tutto questo imbroglio per niente, sarebbe da cretini. Cerchiamo di ricavarne una bella sommetta... e poi, si salvi chi può! Approvato? Bene. Ciò premesso... (A Marta) Se vuoi quattrini da Giuseppe devi arran­giarti tu, perché se glieli chiedo io, risponde picche!

Marta                               - Lascia fare a me. Non faccio per van­tarmi, ma se mi metto a raccontare balle io, vi batto tutti quanti. Solo che provo un po' di rimorso, povero uomo... È tanto buono con me.

Stefano                            - Ah, se c'entra di mezzo il sentimento, siamo rovinati! La vuoi fare o non la vuoi fare la tua compagnia di rivista? Hai fatto trenta, potrai ben fare trentuno...

Vito                                 - Ma fate anche trentadue, purché non ci vada di mezzo io!

Stefano                            - (senza dargli retta, a Marta) Guarda, ti prometto un altro dieci per cento su quello che ricaverò io!

Marta                               - E va bene. Gli recito una tale scena, che se tuo fratello non paga, vuol dire che non ha il senso della famiglia. (All'interno suono di campanello).

Stefano                            - Adesso però sarà meglio sparire. Sennò, ci si incontra ancora con quel Carletto della malora, e ci ingolfiamo in altri guai.

Vito                                 - (supplice) Lasciatemi andar via!... Se mia moglie ha telefonato alla scuola di canto, sono rovinato!

Stefano                            - (spingendolo dentro) Senti, se ti metti anche a fare l'ostruzionismo... (Spariscono).

Sofia                                - (dopo un attimo, introducendo Margherita) Si accomodi, signora. Il commendatore è occupato. Vuol parlare intanto con la signora?

Margherita                       - (una brutta donna, magra e acida; quarant'anni che possono anche sembrare cinquanta. Piuttosto bellicosa) Ma sì! La signora! Meglio ancora! Meglio andare alla fonte.

Sofia                                - E chi debbo annunciare?

Margherita                       - (fiera) La signora Margherita Signori.

Sofia                                - La signora Signori? Oh, la signora Marchi verrà subito.(Esce).

Margherita                       - (fra i denti) E adesso, voglio vedere un po' perché il mio signor marito...

Maria Giulia                    - (entrando con Sofia, sottovoce) Ha detto la signora Signori!

Sofia                                - (idem) Sissignora. Eccola là.

Maria Giulia                    - (la vede) Ah, deve essere la mamma di Vito! Sarà contento Giuseppe. Va pure. (Sofia esce. Maria Giulia si avvicina a Margherita) Signora, sono molto contenta di conoscerla.

Margherita                       - (stupita: di trovarsi di fronte una donna così poco seducente) Lei... è la signora Marchi?

Maria Giulia                    - Appunto, signora. Immagino che lei venga qui per Vito.

Margherita                       - (sorpresa) Naturalmente.

Maria Giulia                    - Come ne sono lieta! Noi gli vogliamo già bene come a un figliolo! Oh, lei può essere soddisfatta del suo Vito! È una persona proprio come si deve!

Margherita                       - Ah, sì? E mio marito è qui ora?

Maria Giulia                    - Suo marito? Non so se è già venuto. Forse sarà di là con mio marito.

Margherita                       - È da molto tempo che Vito viene in casa loro?

Maria Giulia                    - Qualche giorno. Ma lei non lo sapeva?

Margherita                       - No. Mio marito non mi aveva detto niente. Lei capisce, dunque, la mia meraviglia!

Maria Giulia                    - Forse suo marito voleva farle una sorpresa. Strano, però! Vito non ci aveva detto niente. Dunque lei non sa perché lui viene qui?

Margherita                       - Non so nulla e lo assicuro che sono inquieta.

Maria Giulia                    - Oh, non lo sia! Vito venendo qui fa il suo dovere di gentiluomo. E lei e suo marito devono esserne contenti.

Margherita                       - Mi scusi, signora, ma non capisco proprio.

Maria Giulia                    - Ma allora lei non sa neanche che Vito... Oh, piccolo « cachottier ». Sicuro che lei avrebbe diritto di essere un po' in collera!... Senta, però: io non vorrei sbagliare. Se suo marito non le ha detto niente, se Vito non ha creduto di confes­sarle... Io non voglio prendermi responsabilità. Ora le vado a chiamare mio marito. Penserà lui, in caso, a spiegarle tutto. Comunque creda, signora, quella povera figliola non ne ha colpa e non deve soffrirne. Mi scusi. (Esce).

Margherita                       - (sola) Io non ci capisco niente! Quella povera figliola?!

Stefano                            - (rientrando, verso l'interno) Ma sì! Vedrete che ce la caveremo benone! (Si volge; vede Margherita) Oh, scusi, signora. Non sapevo che ci fosse gente. Permette? Stefano Marchi.

Margherita                       - Ah, è lei il commendatore Marchi?

Stefano                            - No, signora, quello è mio fratello.

Margherita                       - Ah, ecco. Io sono la signora Signori.

Stefano                            - (sobbalzando) Eh?!

Margherita                       - La signora Signori.

Stefano                            - (allibito) Signori?

Margherita                       - (più forte) Signori! (Fra sé) Sarà sordo.

Stefano                            - La signora Signori...

 Margherita                      - Appunto!

Stefano                            - (fra sé) Questa sì che è una tegola... (Forte) Oh, io sono un buon amico di suo marito...

Margherita                       - Ah, lei è un amico di Vito? E allora mi potrà dire perché mai mio marito viene in questa casa, da qualche giorno a questa parte, mentre a me racconta di essere alla scuola di canto o alla casa editrice delle sue canzoni!

Stefano                            - (per prendere tempo) Sicuro che posso dirglielo... Ma come? Lei non sapeva che?...

Margherita                       - Non so niente. Niente! Lo dicevo poco fa anche a sua cognata...

Stefano                            - (sussultando) Ah, perché lei ha già parlato con mia cognata?...(Fra sé) Buonanotte!...

Margherita                       - Sicuro. E anche sua cognata non ha saputo dirmi niente. Mi ha detto che Vito è un perfetto galantuomo... che se viene qui è per compiere un dovere... che posso essere fiera di lui...

Stefano                            - Le ha detto così?

Margherita                       - Proprio così!  Perché?  Mi ha mentito?

Stefano                            - Nooo!... Che le pare?... Ma lei le ha detto chi era?

Margherita                       - Vuole che non glielo abbia detto? Le assicuro che non ci vedo chiaro.

Stefano                            - Si figuri chi la sente.

Maria Giulia                    - (rientrando) Suo marito non è ancora arrivato, signora.

Stefano                            - (fra sé) Suo marito?

Maria Giulia                    - Intanto mio marito la prega di attenderlo qualche minuto... sbriga un affare ed è subito da lei...

Margherita                       - Come crede, signora. Stavo appunto parlando di Vito con suo cognato...

Maria Giulia                    - Ah, si sono conosciuti? Tanto meglio. Allora mi permetta di tornare di là. Stiamo tenendo un'adunanza del Comitato Pro Infanzia Abbandonata e non posso mancare perché ne sono la Presidente.

Margherita                       - Prego, faccia pure.

Maria Giulia                    - L'infanzia abbandonata...! Vede, signora? Sembra la voce del destino! (A Stefano) Tieni compagnia tu alla signora, mi raccomando!

Stefano                            - (sottovoce) Ma mi dici...

Maria Giulia                    - (sottovoce) Spero che saprai essere gentile con la futura suocera di tua figlia.

Stefano                            - (cadendo dalle nuvole) La futura suocera?

Maria Giulia                    - Non è la mamma di Vito?

Stefano                            - (fra sé) Per Dio!

Maria Giulia                    - (a Margherita) Con permesso. (Esce).

Stefano                            - (fra sé, mezzo divertito, mezzo impressionato) Oh, questa!...

Margherita                       - Dunque, mi vuol spiegare almeno lei le ragioni di questi... per non dire altro, strani sotterfugi di mio marito?

Stefano                            - Le assicuro, signora, che lei si sbaglia...

Margherita                       - No, caro lei! Non mi sbaglio» Le agenzie private di informazioni esistono per qualche cosa. Tre giorni fa entrai in sospetto. L'altro ieri mio marito è stato pedinato. È venuto qui e si è trattenuto un'ora. L'ho saputo stamani. A me ha detto di essere stato alla scuola di canto. Che significa tutto ciò? (Decisa) Io non mi muovo di qui finché non avrò saputo.

Stefano                            - (fra sé) Ci mancherebbe altro! (Forte) Ebbene, signora, poiché lei è decisa a sapere, le dirò tutto...

Margherita                       - Finalmente!

Stefano                            - Lei crede che suo marito venga qui per una donna?

Margherita                       - Non lo nascondo.

Stefano                            - Ebbene, è così!

Margherita                       - (con amaro trionfo) Ah!

Stefano                            - Aspetti... aspetti a formulare un giu­dizio che sarebbe temerario o cattivo... Se Vito viene qui, se quel pover'uomo tace le sue visite, se si espone all’immeritata pena di sapersi oltraggiosamente sospettato... Giacché anche lui, anche lui, poveretto, sa che lei dubita e sospetta... Se suo marito, infine, viene ogni giorno a passare qualche ora in questa casa... è perché qui, entro queste mura, in questa dimora, vero asilo di ogni benefica virtù, si cela sua figlia.

Margherita                       - Sua figlia!!... Ma che cosa mi racconta?

Stefano                            - (molto prim'attore) Oh, comprendo questo grido salito alle sue labbra dal più intimo del suo animo di moglie offesa! Lo comprendo, o signora, e chino il capo in segno di rispetto. Ma il mio dovere d'amico m'impone di parlare, di fugare con la luce della verità le nubi di ogni sospetto. Sì, o signora, Vito ha una figlia; una gentile giovinetta, frutto d'un suo amore colpevole con una donna che ora è morta. (Margherita' fa per parlare) Sì, o signora, morta per sempre... Egli l'aveva conosciuta prima d'incon­trare la dolce creatura, che doveva eleggere a soave compagna della sua vita, prima di conoscere lei, o signora. Ma lei non ha nulla da rimproverargli. Egli ora tentava di riparare la colpa che la spensie­ratezza dell'età giovanile gli aveva fatto commettere. Doveva egli rifiutarsi di accogliere fra le sue braccia di padre la creatura che portava nelle vene il suo sangue? No, signora! No! Non lo poteva! E in un nobile slancio del suo generoso cuore egli ha stretto in un tenero abbraccio quella infelice fanciulla la cui infanzia è sbocciata nel fango, e la cui giovinezza si trascinava così, pallido fiore del fango, senza un sorriso di madre, senza la dolcezza d'un focolare! (Fra se) Un discorso così non lo scriveva neanche Dumas!

Margherita                       - (che è molto commossa) Oh, signor Marchi, se è vero quello che lei mi dice...

Stefano                            - (tonante) Se è vero?... se mentisco che caschi un fulmine qui, dove sono ora. (Si scosta di un passo).

Margherita                       - No... No... Io non voglio mettere in dubbio le sue parole... Ma la cosa è così strana... così impreveduta... Che cosa mi prova?

Stefano                            - Che cosa? La mia parola! La parola di un galantuomo che non sa mentire.

Margherita                       - Capisco, ma...

Carletto                           - (rientrando) Oh signor Marchi, dove posso vedere Marta?

Stefano                            - (con un grido) Lei mi chiedeva una prova, signora? Ebbene, eccola...(A Carletto) Lei, ingegner Carletto, ingegner coso... Sandi... mi dica un po', poco fa qui dentro non ha conosciuto il signor Vito Signori?

Carletto                           - (stupito) Sì...

Stefano                            - E chi era la giovane che era con lui?

Carletto                           - Sua figlia!

Stefano                            - Grazie! (A Margherita) Ora, signora, non può più dubitare!

Margherita                       - Io sono sconvolta! (Molto turbata) ...Ero venuta qui per fare uno scandalo...

Stefano                            - (sincero) Non lo faccia, creda a me! Non lo faccia!

Margherita                       - Certo, no. Ma ora non so più che fare...

Stefano                            - Vuol ascoltare un consiglio disinte­ressato e, oso dire, fraterno? Se ne vada. Nella tran­quillità delle sue pareti domestiche lei rifletterà al da farsi. Se Vito tornasse qui, glielo mando subito a casa... In una casa, nevvero signora, dove troverà una bella... (la guarda e modifica) una bella anima che lo perdonerà.

Margherita                       - Forse ha ragione... La mia pre­senza qui...

Stefano                            - Lei capisce... È bene che Vito sia preparato ad incontrarla...

Margherita                       - Sì, sì, è giusto... Oh, lei è un vero amico!... Grazie, signor Marchi!... Grazie di cuore!

Stefano                            - (accompagnandola) Non c'è di che, signora! Non e'è di che! (Margherita esce: egli tira un respiro di sollievo).

Carletto                           - Scusi... Ma chi era quella signora?

Stefano                            - (con grande mistero) La moglie di Signori... del padre di Marta... Povera donna... Non sapeva nulla del ritrovamento... L'ho dovuta preparare io...

Carletto                           - Ma ora, lei che è così buono, dica anche a me...

Stefano                            - Ah, no! Non dico più niente a nessuno.

Carletto                           - In fin dei conti ho diritto anch'io...

Stefano                            - Sarà benissimo. Ma per oggi ho parlato abbastanza.

Carletto                           - E va bene. Allora io non me ne vado finché non ho riveduto Marta.

Stefano                            - È una fissazione! Benedetto figliolo, le par possibile che in casa d'altri...

Marta                               - (entra, ma con un piccolo grido fa per uscire ancora) Ah!

Carletto                           - Ah, no! Ora non te ne vai!... (La prende per un braccio).

Marta                               - Ma è impossibile...!

Stefano                            - Gliel'ho detto anch'io...

Carletto                           - In fin dei conti tuo padre non sa chi sono...

Stefano                            - Questo lo dice lei... .

Carletto                           - Lo sa?

Stefano                            - No!... Sì... Non lo sa, ma insomma...

Carletto                           - (a Stefano) Sia buono... Mi lasci parlare un minuto, poi me ne vado!

Stefano                            - Davvero? Promette? E allora faccia... Basta che poi se ne vada... Io starò attento che non venga nessuno...(E va a spiare alla comune).

Carletto                           - (a Marta) Dunque, perché non mi hai detto niente?

Marta                               - (non sa cosa dire) Ma è stata una cosa così improvvisa...

Carletto                           - Non hai pensato che avrebbe fatto piacere anche a me che tu avessi trovato il tuo papà!

Marta                               - (c. s.) Cosa vuoi! Non ci ho proprio pensato...

Carletto                           - Perché non mi vuoi bene!

Marta                               - Ma no! Cosa c'entra!

Carletto                           - Allora dammi un bacio!...

Marta                               - Che ti salta in mente, ora!...

Carletto                           - Lo vedi! Lo vedi!

Marta                               - Ma se entrasse qualcuno...'mio padre...

Carletto                           - C'è lui che fa la guardia. (A Stefano) Vero!

Stefano                            - Che cosa!

Carletto                           - Che lei fa la guardia e che noi ci possiamo baciare!

Stefano                            - Senta, non le sembra di esagerare!

Marta                               - (riferendosi a Carletto) Almeno così starà bravo e poi se ne andrà...

Stefano                            - E va bene! (Fra sé) Io passo la giornata a veder gli altri che la baciano!

Marta                               - (a Carletto) Su, fai presto...

Carletto                           - Cara! (L'abbraccia e la bacia più volte).

Marta                               - Ora basta! Basta!

Giuseppe                         - (entrando, vede e s'indigna) Ah, benis­simo! (A Carletto) Si vergogni! (A Stefano e a Marta) E vergognatevi anche voi due!

Carletto                           - Le spiegherò...

Giuseppe                         - Silenzio!...(Verso l'interno) Vito! Signor Vito! Signor Signori!

Marta                               - (a Carletto, rapida) Per l'amor di Dio, vattene... squagliatela!

Carletto                           - Ma...

Marta                               - (spingendolo) Pila... Ti spiegherò tutto... domani da te... alle quattro... Ma vai via.(Carletto esce in fretta).

Vito                                 - (apparendo) Cosa c'è!

Giuseppe                         - C'è che questo signore...(Ma non vede più Carletto) ...Ah! È scappato, quel bel signorino!

Vito                                 - Ma chi!

Giuseppe                         - L'ingegner Sandi... e sa che cosa faceva! Stava baciando Marta!

Vito                                 - (placido) Ah, sì!

Giuseppe                         - (furente) Come! è così che lei ama la sua fidanzata!

Vito                                 - Ah, già... ma sa... bisognerebbe vedere...

Giuseppe                         - Lei è un cinico! (A Stefano) E tu non dici niente!

Stefano                            - Che c'entro io!

Giuseppe                         - Come che c'entri! Non sei suo padre!

Stefano                            - Appunto, dico... Non me la piglio io, perché vuoi arrabbiarti tu!

Giuseppe                         - Siete degli immorali... Mi fate nausea! (A Marta) In quanto a te... ti rinchiuderai nella tua camera, e ci starai fino a nuovo ordine... La mia casa non è un luogo di convegni galanti, e poiché tu non sembri voler dimenticare il tuo passato...

Marta                               - Oh, basta! (Non ne può più) Sapete cosa vi devo dire! Mi avete scocciata!

Giuseppe                         - (sbalordito) Marta! Ma...

Marta                               - Mi avete rotto le scatole! Andate a quel paese tutti quanti, voi e le vostre balle!

Giuseppe                         - Nipote mia!

Marta                               - Che nipote! Nipote del cavolo! Io me ne faccio un baffo, dello zio, della zia e di tutta la famiglia!

Stefano                            - Marta, io sono l'autore dei tuoi giorni...

Marta                               - E io me ne batto l'anima dell'autore dei miei giorni. Non ne posso più! Soffoco! Mi pare di stare in campo di concentramento! Sbrigatevela fra di voi! Io me ne vado!

Giuseppe                         - E dove vuoi andartene, disgraziata!

Marta                               - A casa mia...! Da mia madre!...

Giuseppe                         - (fulminato) Da tua madre!! Ma se è morta!!

Marta                               - Macché morta! Questa è un'altra delle tante balle che ha raccontato quel bagolone lì! (Indica Stefano) Ma grazie a Dio, mammà è viva e con lei, almeno, posso fare i porci comodi miei! Addio, branco di fessi! (Esce di furia).

Giuseppe                         - È impazzita! (A Vito) La fermi lei!

Vito                                 - Io!! Ma lei è scemo! Me ne vado anch'io e tanti saluti a tutti.(Esce anche lui).

Giuseppe                         - Stefano!... Hai sentito quel che ha detto tua figlia!

Stefano                            - Sì, mi pare...

Giuseppe                         - Di sua madre!... E tu avevi detto che era morta!...

Stefano                            - Sai... te l'avevo detto perché tu non t'arrabbiassi...

Giuseppe                         - Benissimo! In questo caso... Non c'è che una sola cosa da fare... riparare! Siamo intesi!... Riparare!

Stefano                            - Come!... Vorresti che io...

Giuseppe                         - Tu sposerai la madre di tua figlia! (Esce).

Stefano                            - (cascando a sedere) E adesso sono a posto!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Stessa scena del secondo atto.

(Stefano in giacca da camera e pantofole è seduto su di una poltrona in atteggiamento di sconforto. Entra Sofia).

Sofia                                - Signor Marchi, c'è il facchino dell'al­bergo dove lei stava prima...

Stefano                            - (rincuorato) Ah, sì... fallo passare.

Sofia                                - (verso l'interno) Si accomodi.

Agenore                           - (entrando con un grosso involto) Come sta, signor Marchi! La trovo bene. Son proprio contento di rivederla...

Stefano                            - Lascia stare i convenevoli. Mi hai portato quello che ti ho telefonato!

Agenore                           - Tutto qui. (Mostra il pacco) Giacca, calzoni, cappotto e scarpe. (Stefano fa per protestare) Lo dò a lei! (Indica Sofia).

Stefano                            - (con. uno scatto) No!

Sofia                                - (prendendo con energia il pacco dalle mani di Agenore) Sì, invece. Dia pure a me.

Stefano                            - (avvilito) Buona notte!

Sofia                                - (con intenzione maligna, a Stefano) La metto con l'altra sua roba.

Stefano                            - (rabbioso) Di che t'immischi, tu, poi?

Sofia                                - (c. s.) Io eseguisco gli ordini. Io ubbidisco a chi mi paga, caro lei, non a chi mi porta via i denari! (Esce con il pacco).

Agenoee                          - (che non ha capito niente) Sono stato svelto?

Stefano                            - Sei stato un cretino!

Agenoke                          - Come sarebbe? Non m'aveva chiesto di portarle subito quegli abiti?

Stefano                            - Sì, ma nessuno t'aveva chiesto di raccontarlo ai quattro venti!

Agenore                           - Se non l'ho detto che a lei!

Stefano                            - Già! Ma c'era la cameriera, e adesso se li è presi lei e io sono al punto di prima!

Agenore                           - Chi la capisce è bravo!

Stefano                            - Ma non vedi come sono vestito? Il mio caro fratello mi ha sequestrato tutti gli abiti che avevo in casa!

Agenore                           - Questi son dispetti da ragazzi, via!

Stefano                            - Altro che dispetti! Lo ha fatto per impedirmi di uscire. Capirai che non posso mica andare in giro per Milano in pigiama e pantofole! E lo sai perché mi tiene prigioniero in casa sua? Perché mi rifiuto di dirgli dove abita la madre di Marta!

Agenore                           - E lei glielo dica, benedett'uomo!

Stefano                            - Un corno! Prima di tutto, non lo so. E poi anche se lo sapessi... figurati se glielo dico! Vuole che la sposi, figurati!

Agenore                           - La signorina Marta?

Stefano                            - Sua madre, disgraziato! Sposare Marta sarebbe già un bel guaio. Ma sposare addirittura sua madre, poi... Senza contare che dovrei sposarla per riparare, dice lui. Sicché io dovrei dire a quella vecchia carcassa che non conosco nemmeno di vista, che sono stato il suo amante e che sua figlia è il frutto dei nostri illeciti amori! Ma ti par possibile?

Agenore                           - Oh, povero signor Marchi, che disastro!

Stefano                            - Se almeno avessi da vestirmi, me ne andrei e tanti saluti. Nossignore; vieni tu e ti lasci portar via gli abiti da quella strega!

Agenore                           - Perché non prova a prendere la cameriera con le buone, lei che sa tanto fare?

Stefano                            - Oh, sì! Quella ce l'ha a morte con me!

Agenore                           - Perché? Cosa le ha fatto?

Stefano                            - Ma niente. Le ho insegnato a giocare a « écarté ».

Agenore                           - E quella si è offesa?

Stefano                            - Ti dirò... Quando mio fratello e sua moglie uscivano io mi scocciavo l'anima mia a star qui da solo. Allora m'è venuta l'idea di insegnare alla serva l'« écarté »... e naturalmente ho finito per vincerle cinquemila lire.

Agenore                           - Signor Marchi, lei una ne fa e una ne pensa!

Stefano                            - Almeno, hai potuto vedere Marta?

Agenore                           - Sissignore. Ho girato mezza Milano, ma l'ho trovata. Dapprincipio non voleva più saperne, poi quando le ho detto che lei era disperato, s'è commossa e ha promesso che sarebbe venuta oggi.

Stefano                            - Meno male!

Agenore                           - Scusi, ma che cosa spera da lei?

Stefano                            - Non lo so. Ma è certo che da solo, io non mi cavo più fuori da questo pasticcio. Chissà che lei non possa aiutarmi.

Agenore                           - Il suo signor fratello è in casa?

Stefano                            - No, per fortuna. Lui e sua moglie sono a colazione fuori. Se Marta venisse subito sarebbe una bellezza.(Suono di campanello).

Agenore                           - Chissà che non sia lei.

Stefano                            - Magari!

Sofia                                - (entrando) C'è la signora Signori.

Stefano                            - (preoccupato) Ancora? E che vuole adesso? Dille che non ci sono.

Sofia                                - Oramai le ho già detto che è in casa.

Stefano                            - Tutte a me dovevano capitare! Beh, falla entrare. (Sofia esce).

Agenore                           - Io me ne vado, signor Marchi. Se ha ancora bisogno di me, mi telefoni pure. Però guardi che di suo non ho più che lo « smoking » bianco, e per uscire non mi pare adatto.

Stefano                            - (rassegnato) Sì, sì, va bene. Grazie lo stesso. (Agenore esce incrociando sulla soglia Mar­gherita che entra) Signora, mi scusi se la ricevo vestito così, ma...

Margherita                       - Lasci perdere. Mi dica piuttosto dove posso trovare la figlia di mio marito.

Stefano                            - La figlia di... Ah, sì... Ma lo domanda a me?

Margherita                       - Per forza, caro signore. Sono tre giorni che io, stando ai suoi consigli, aspetto in silenzio che Vito mi parli di questa figlia ritrovata... Niente. Lei magari non ci crederà, ma mio marito si comporta esattamente come se tutta quella storia non fosse vera.

Stefano                            - Ci credo, ci credo. Ma gliel'ho detto quel giorno... Si tratterà d'un ritegno, del resto comprensibile... Avrà paura delle sue reazioni...

Margherita                       - Eppure io voglio vedere e conoscere quella ragazza!

Stefano                            - (sincero) Ma perché vuol complicare le cose, santo Dio?!?

Margherita                       - E le pare che io, moglie, possa far finta di niente dopo quello che so?

Stefano                            - (che non sa cosa dire) Va bene, sì... Ma in fin dei conti... una figlia più, una figlia meno...

Margherita                       - (rivoltata) Come sarebbe a dire?

Stefano                            - Io trovo che la gente, qui, si preoc­cupa troppo dei figli degli altri... Basta che uno dica che ha un figlio e tutti lo vogliono vedere!

Margherita                       - Ma questa è la figlia di mio marito!

Stefano                            - E va bene. Sono fatti suoi. Glieli lasci sbrigare a lui.

Margherita                       - Lei è scapolo e non può capire. Mi dica piuttosto dove si trova.

Stefano                            - Ma che c'entro, io, scusi?

Margherita                       - Ah, no! Mio marito veniva a vederla qui; sua cognata ne era al corrente; lei anche. Dunque vuol dire che frequentava questa casa.

Stefano                            - Appunto. «Ava». Frequentava. Ma da tre giorni non la frequenta più.

Margherita                       - E perché?

Stefano                            - Lo domandi a lei, cosa vuol che ne sappia io?

Margherita                       - Uhm! Qui sotto c'è qualche cosa di poco chiaro Ma l'avverto che io sto con gli occhi bene aperti! So che anche mio marito da tre giorni non mette più piede qui. L'ho fatto pedinare. Comun­que, se per combinazione lei lo vedesse fuori...

Stefano                            - Se non viene lui qui, io fuori non lo incontro di certo. Ho le mie buone ragioni.

Margherita                       - E io le dico che prima o poi voglio venire a capo di tutto, in un modo o nell'altro. Glielo dica anche a mio marito, se lo incontra fuori!

Stefano                            - Le dico che fuori non lo incontro. Ho le mie buone ragioni.

Margherita                       - E sia. Ma tutto questo è molto strano. Buongiorno.(Esce).

Stefano                            - (esasperato) roba da matti! Una vuol vedere la figlia di suo marito... l'altro vuol vedere la madre di mia figlia... (Suono di campanello) Quale altro guaio sarà, questo?

Marta                               - (dal di dentro) No, niente valige. Non mi fermo. (Entra. È più, elegante del primo atto) Ciao, paparino!

Stefano                            - (andandole incontro vivamente) Oh, finalmente ti fai viva! (La osserva. Emette un fischietto ammirativo) Caspita, ci siamo rimesse a nuovo!

Marta                               - (pavoneggiandosi con ingenua compiacenza) Ti vado? Mica male, vero?

Stefano                            - (caricaturandola) Guardala lì! E pensare che se non c'ero io saresti ancora la cialtroncella che eri!

Marta                               - Brutto villano! (Gli si fa sotto il naso, provocante) Però quella cialtroncella ti andava, eh?

Stefano                            - Che c'entra? A tutti gli uomini raf­finati non dispiace incanagliarsi ogni tanto.

Marta                               - (c. s.) Saresti tu l'uomo raffinato? (Civetta) Di', vuoi sapere una cosa? Adesso che non devo più far la parte della figlia, quasi quasi farei un capriccio con te.

Stefano                            - (scettico) Decisamente non siamo for­tunati in amore. Quando sono in vena io, a te vengono gli scrupoli filiali. Quando sei in vena tu, io ho altro per la testa.

Marta                               - Beh, pazienza... Peggio per te. Vera­mente quel tuo facchino me l'aveva detto che eri fuori dalla grazia di Dio. Cosa hai combinato ancora?

Stefano                            - Cosa hai combinato tu, piuttosto! Eh, già! Tu hai avuto quella bella alzata d'ingegno, te ne sei andata e ciao... ma adesso quel caro uomo del tuo pseudo-zio, vorrebbe che io sposassi tua madre!

Marta                               - (impensierita) Ohe, che! Non crederai mica che io persuada mammà a sposarti!

Stefano                            - Con tutto il rispetto per la tua geni­trice, neanche se mi scannano!

Marta                               - Intendiamoci, mica che mammà sia da buttar via... È un tipo ancora in gamba, per questo...

Stefano                            - Senti, è inutile che tu faccia l'arti -colo, tanto non la sposo.

Marta                               - (ridendo) Però sarebbe divertente se tu diventassi davvero mio padre!

Stefano                            - Lo chiami divertente, tu?!

Marta                               - Di un po', ma se non è per chiedermi la mano di mammà, perché mi hai fatto chiamare con tanta insistenza?

Stefano                            - Per disperazione, te l'ho detto. Non so più come fare e mi sono rivolto a te.

Marta                               - Ma almeno hai qualche idea?

Stefano                            - (incerto) Una l'avrei. Quello pretende che io sposi la madre di mia figlia. Ma per sposarsi, bisogna essere in due, ti pare? Ora se la madre di mia figlia rispondesse picche, io sarei a posto.

Marta                               - Spiegati meglio.

Stefano                            - Oh Dio, lo so che è una cosa delicata... Ma, per esempio, tua madre non potrebbe accon­sentire a venire qui e fingere che noi due, un tempo...

Marta                               - No, caro. Io potrò essere tutto quello che vuoi, ma mammà in questi pasticci non ci deve entrare.

Stefano                            - Non si tratterebbe che di...

Marta                               - Neanche parlarne. In quel che posso, io, personalmente, sono dispostissima ad aiutarti e te l'ho dimostrato. Ma mammà, lasciala stare. Piuttosto perché non sei sincero una buona volta con tuo fratello e gli confessi che è stato tutto un imbroglio per spillargli denaro?

Stefano                            - Ma non l'hai visto che tipo è, quello lì? Capacissimo di metterci nei guai tutti, anche te, \ denunciandoci per tentato raggiro.

Marta                               - Possibile che non comprenda la tua situazione?

Stefano                            - Ti dico che non lo conosci. Figurati che quando eravamo giovani tutti e due, studenti universitari a Bologna, lui, l'unica volta che si imbarcò in un'avventura galante, lo fece sotto il mio nome per evitar scandali e complicazioni.

Marta                               - Ma va! A questo punto? E tu come lo sai? Te l'ha detto lui?

Stefano                            - Sì, stai fresca! Lo seppe per combina­zione. Facevo all'amore con una ballerina del varietà e quella una volta mi fece una scena di gelosia perché una canzonettista che figurava nel programma insieme a lei, una certa Lilì Jou-Jou, le aveva detto di essere stata la mia amante. Volli essere messo a confronto con lei e Lilì Jou-Jou naturalmente non sapeva nemmeno chi io fossi. Però quando mi descrisse l'uomo che si era spacciato per me, capii che doveva essere quell'ipocrita di mio fratello.

Marta                               - Figlio di un cane! E a lui non dicesti niente?

Stefano                            - Cosa dovevo dirgli? Per quel che me ne importava! Probabilmente lo fece perché era già fidanzato con Maria Giulia e temeva che la cosa si risapesse, da quel gesuita puritano che è sempre stato.

Marta                               - Un uomo così meriterebbe una lezione, ecco come la penso.

Stefano                            - Già. Ma intanto nei guai ci sono io.

Marta                               - Eppure una via d'uscita devi trovarla. Fra l'altro, io avrei bisogno di altre centomila lire.

Stefano                            - E lo racconti a me?

Marta                               - Sicuro, perché si tratta anche della tua rivista. Carletto, al quale ho dovuto raccontare tutto, ha finito per riderci.

Stefano                            - Beato lui che può riderci!

Marta                               - E ha anche tirato fuori dei quattrini per la compagnia. Ma più di una certa cifra non può. E con altre centomila lire, metterei su uno spettacolo che levati!

Stefano                            - (amaro) Il vero spettacolo è il mio, adesso. Va là, cavati dalla testa queste idee!

Marta                               - E chi lo sa, caro te? (Suono di campanello) Sono capace anch'io di inventare balle, cosa credi?

Giuseppe                         - (entrando con Maria Giulia e vedendo Marta) Ah, sei venuta a più miti consigli, tu?

Marta                               - Zietto bello...

Giuseppe                         - No, no, no, no, no. Vero? No! Bando alle moine. Ti sei comportata con noi in modo in­qualificabile.

Maria Giulia                    - Senza cuore, ecco. Dopo che ti avevamo accolto così...

Giuseppe                         - Io non so davvero come tu abbia l'ardire di rimettere piede qui! Si vede che certi pudori tu non li provi.

Marta                               - (sottovoce a Stefano) Io gli tiro qualcosa in testa, parola mia!

Maria Giulia                    - Non t'arrabbiare, caro. Può darsi che Marta abbia qualche giustificazione.

Giuseppe                         - Sei troppo buona, tu, come al solito. Quali scuse vuoi che abbia?

Marta                               - (aggressiva) E invece sì. La scusa ce l'ho. La colpa è tutta sua! (Indica Stefano).

Stefano                            - (che non se l'aspettava) Cosa ti salta in mente, ora?

Marta                               - Tutta sua che non vi ha detto la verità!

Stefano                            - (allarmato) Ma sta zitta, scema!

Marta                               - Lo sentite come mi tratta? E tutto perché non voglio assecondare i suoi progetti. Ma io non posso passare davanti a due persone buone e generose come voi, per una che è senza cuore. Il cuore ce l'ho, io! E me ne sono andata di qui perché lui voleva che facessi credere morta la mia mammina, povera donna! Perché lui non la vuol sposare, brutto cattivo, perfido che non è altro! E io senza la mia mammina non ci volevo più stare, ecco! E allora sono tornata da lei che era sola, triste e abbandonata!

Maria Giulia                    - (subito commossa) Oh, piccina mia! Hai fatto bene, si capisce! Lo vedi Giuseppe, che la nostra Marta ha dei buoni sentimenti?

Stefano                            - (furibondo fra i denti) Glieli dò io, i buoni sentimenti!

Giuseppe                         - (a Stefano, severo) Dunque, è proprio come pensavo!  Sei tu col tuo ributtante cinismo che ti rifiuti...

Marta                               - Sì, sì! È lui, è lui!

Stefano                            - (verde) Io l'ammazzo, quella lì! (Forte) Ma non è vero niente! Io non ho nulla a che fare con quella donna!

Giuseppe                         - Chiami « quella donna » la madre della tua creatura?

Marta                               - Brutto cattivo!

Stefano                            - (fra i denti) Io la strozzo!

Giuseppe                         - (a Marta) Là, là! Non piangere ora. Aggiusterò io tutto.

Marta                               - Davvero? Allora posso far venire qui la mia mammina?

Stefano                            - (inorridendo) Cosa dice?!?

Giuseppe                         - Ma certo. E al più presto, anche. Penserò io a costringere questo bel tomo a fare il suo dovere.

Marta                               - Oh, che gioia! Finalmente il sogno della mia povera mammina si avvera! Sposerà l'uomo che le ha fatto conoscere l'amore!

Giuseppe                         - Libertino!

Marta                               - Fra un quarto d'ora ve la mando! Come sarà felice, quella santa donna! È stato il tormento di tutta la sua vita!

Maria Giulia                    - (a Stefano) Vergogna!

Stefano                            - (fra sé) Io mi sento venire un colpo apoplettico!

Marta                               - A fra poco, zietto caro. A presto, zietta bella. E tu, paparino... Comprendimi... Faccio il mio dovere di figlia. Ciao! (Oli manda un bacio e scappa).

Stefano                            - (furibondo, fra sé) E ha anche il corag­gio di mandarmi un bacio!

Giuseppe                         - (secco, a Stefano) Ora, finalmente, la cosa mi pare del tutto chiarita.

Stefano                            - Ah, ti pare? A me pare che sia diven­tata nera come l'inchiostro!

Maria Giulia                    - Suvvia, Stefano! Possibile che tu non senta il piacere di compiere finalmente una buona azione? Pensa a quella povera donna, vittima del tuo egoismo, in attesa da anni ed anni che tu ripari la tua colpa e le restituisca l'onore...

Stefano                            - Ma chi la conosce!

Maria Giulia                    - Come?

Stefano                            - Voglio dire che voi non la conoscete... Non sapete che razza di tipo sia...

Giuseppe                         - Non hai ragionato così quando l'hai sedotta!

Stefano                            - Ma che sedotta! Io non ho sedotto nessuno!

Giuseppe                         - Oh, insomma... Meno chiacchiere. Tu, disgraziatamente, porti il mio nome. E io non posso permettere che un nome onorato sia offuscato dalla più piccola macchia. Soprattutto ora.

Maria Giulia                    - Sicuro, tu non lo sai ancora, ma tuo fratello, con un giusto riconoscimento della sua vita operosa e proba, è stato incluso nella lista dei candidati per le prossime elezioni.

Stefano                            - Ti fai portare deputato? Non ti mancava che questo!

Giuseppe                         - Sicuro. E benché ripugni alla mia modestia il dirlo, credo di poter affermare che sono il principale esponente della mia lista. Ora, tu capirai che mai come in questo momento il nostro nome...

Stefano                            - Senti, se hai paura di essere trombato per colpa mia, ti rassicuro subito. Una lista che ha te come principale esponente, dev'essere una tal raccolta d'imbecilli...

Giuseppe                         - (agro) Sempre molto spiritoso, come al solito. Ma la nostra lista, sappilo, è quella del partito dell'ordine, per il rispetto delle leggi e la tutela della morale...

Stefano                            - Sarà benissimo. Ma eletto all'unani­mità tu non sarai mai perché il mio voto non te lo dò neanche se rinasci.

Maria Giulia                    - In ogni modo voglio sperare che comprenderai come tu, suo fratello, non devi fare nulla che possa nuocere alla sua riuscita.

Stefano                            - Oh, per me, anche se vuol andare alla Camera, si accomodi. Lì ce n'è tanti di rimbam­biti, che uno di più o uno di meno...

Giuseppe                         - Insomma, perché la mia elezione non sia intralciata, bisogna che tu regolarizzi la tua posi­zione familiare.

Stefano                            - Andate a capire qualcosa di politica! Eleggono deputato lui e mi devo sposare io!

Giuseppe                         - Alle corte. Ti dò mezzo milione. Va bene?

Stefano                            - (non credendo alle proprie orecchie) Mezzo mi...

Giuseppe                         - Guarda. Ti preparo l'assegno. Ma quando verrà la madre di tua figlia...

Stefano                            - Senti, fammi un piacere, chiamala quella donna, chiamala la mamma di Marta, chia­mala come ti pare, ma non chiamarla la madre di mia figlia, perché mi dà ai nervi!

Maria Giulia                    - A proposito... Come si chiama in realtà?

Stefano                            - Chi?

Maria Giulia                    - Lei... La madre di Marta.

Stefano                            - E che ne so?

Giuseppe                         - (scattando) Che ne sai?

Stefano                            - Ma sì... è tanto tempo che non la chiamo più per nome... non la vedo da anni... anzi, giacché ci siamo... devo dirvi che io non l'ho mai vista.

Giuseppe                         - Ma che diamine dici?

Stefano                            - Cioè... Sì, insomma... Non l'ho più vista dalla volta che...

Giuseppe                         - (profondamente indignato) E non hai mai provato il desiderio di riavvicinarla, nemmeno quando hai saputo da Marta?... Roba dell'altro mondo!

Maria Giulia                    - Giuseppe, ho pensato che sarà meglio che io non assista al vostro colloquio... quella povera donna si sentirà tanto imbarazzata!

Stefano                            - Mai quanto me, te l'assicuro.

Giuseppe                         - Mia cara, tu hai tutte le delicatezze. Ti confesso che io pure mi sentirò assai turbato quando la madre di Marta entrerà da quella porta.

Stefano                            - Figuratevi io! Anzi, se me ne andassi anch'io e sbrigassi tutto tu? (Campanello interno).

Maria Giulia                    - Ah no! Tu devi restare. La tua presenza la metterà a suo agio.

Stefano                            - Sarà un bel fatto!

Sofia                                - (entrando, di sulla soglia) C'è la mamma della signorina Marta.

Stefano                            - (fra sé) Ci siamo!

Giuseppe                         - Falla entrare subito. (Sofia esce).

Maria Giulia                    - Allora io vado di là... Stefano... Giuseppe... Il cielo vi illuminerà! (Esce).

Stefano                            - E allora ho paura che resteremo al buio per un pezzo!

Marta                               - (entra. Irriconoscibile. Pare un cinquantenne fagotto, dall'aria volgare e sconcertante. Naso rubi­condo. Baffetti. Voce stridente. Si ferma sotto la porta e si guarda attorno) Dove l'è? Dove l'è? Dove l'è, quella carognetta? (Stefano si fa piccolo piccolo. Giu­seppe rimane interdetto dalla inaspettata. e non molto confortevole apparizione. Tutto ad un tratto Marta si butta fra le braccia di Giuseppe) Eccolo qui, quel vigliacco! Ah, boia d'un birbone! Sei rimasto tale e quale!

Giuseppe                         - (molto stupito) Signora... c'è un equivoco...

Marta                               - (senza mostrare di dargli retta e facendosi vento col pelo di gatto che ha intorno al collo) Ah, E Madonna!... Che momento! Mi sento tutta rimesco­lata! Permesso che mi siedo... Ohi! Ohi! Ho le gambe che mi fanno giacomo giacomo... Scusate tanto, mal bisogna che mi beva un sorso della mia roba, sennò mi sento male... (Cava fuori di tasca o di borsa una ; boccetta e ne beve qualcosa avidamente. Tossisce sguaia­tamente, sputa, si pulisce la bocca con la mano, poi la mano sulla sottana) Ah, va meglio. È rum. Io ho la pressione bassa e mi tien su. Anzi, scusate. (Ribeve. Stesso gioco di prima) Porca miseria, sono di quelle emozioni! (Stefano la guarda spaurito).

Giuseppe                         - (sempre più sconcertato) Eh, capisco... Anch'io, a volte...

Marta                               - (gli porge la boccetta) Ne vuoi un sorso anche tu? (Giuseppe declina con un gesto quasi di ribrezzo) Fa bene, sai; mette un caldino qui... E io, cosa vuoi, se non mi tengo calda per di dentro, nella mia professione... Perché io lavoro, cosa credi? Sai l'albergo diurno in piazza? Beh, modestia a parte, alla « toilettes », ci bado io. Un lavoro duro, neh! Otto ore filate, sempre lì, con quelle correnti d'aria... In mezzo a quell'andirivieni... Se non ci avessi il; mio cicchetto, qui, starei fresca! (Altro tono) Dì, ma lo sai che non sei cambiato neanche un po', acci­denti a te?

Giuseppe                         - (inghiottendo male) Signora... Le ripeto che c'è un equivoco, io non sono Stefano.

Marta                               - Che, dico... non ricominciamo, neh! MU ci hai buggerata una volta, con la storia di farti passare per un altro, ma adesso non attacca più!

Stefano                            - (drizzando le orecchie. Durante questa scena, non ha cessato di squadrarla senza parere) Cosa? Cosa?

Marta                               - Già. Lei, magari, non lo sa. Ma questo birbaccione qui, quando diventò il mio amante, mi E dette il nome di suo fratello. Capisce che scherzo da prete? (Gli strizza l'occhio significativamente).

Stefano-                           - Come? (Comprende, ricambia il cenno e poi si rivolge a Giuseppe, fingendo viva indignazione) t Ah, tu hai preso il mio nome? Cos'è questa storia!

Giuseppe                         - (principiando a perdere la propria sicurezza) Ma no, questa povera donna non sa bene quel che dice...

Marta                               - (adontata, aggressiva) Ehi, ehi! ci hai t poco da prendere quel tono! Se ogni tanto mi scolo un goccetto di rum, non sono mica sbronza, sai! m Sissignore, per venire a letto con me, hai pigliato il nome di tuo fratello...

Giuseppe                         - (spaventato) Io?... Cosa?... Con lei?!...

Marta                               - Ah, adesso te ne vergogni, eh? Perché sono diventata così! Ma quand'ero la bella Lilì Jou- Jou, ti andavo a fagiolo, però!

Giuseppe                         - (fulminato) Lilì Jou-Jou!!!

Marta                               - Lilì Jou-Jou... Diventa eccentrica la trasformazione!

Stefano                            - (stando alla commedia) Ma sì, oramai E ricordo... Lilì Jou-Jou... A Bologna... Allo Splendor...

Marta                               - Bravo! Proprio lì!

Stefano                            - Una biondina... Con un neo sul petto...

Marta                               - Ce l'ho ancora... Vuol vedere? (Fa per slacciarsi).

Giuseppe                         - (atterrito) No! qui no!

Stefano                            - (affrontandolo) Hai paura adesso, eh! Gesuita!

Giuseppe                         - Stefano, ti assicuro che io...

Marta                               - Quelli erano tempi, porca l'oca! Che successo, quando ballavo il can-can... (Accenna).

Giuseppe                         - (tremante) No! qui, no!

Marta                               - Ma sì, va là! So come comportarmi, cosa credi, anche se adesso bado alle « toilettes »...

Stefano                            - Un momento, signora. Ma allora Marta sarebbe figlia di lui?... (Indica Giuseppe con gran voglia di ridere).

Giuseppe                         - (sobbalzando) Mia?!

Marta                               - E di chi allora! (A Giuseppe) Sei stato una bella canaglia, va là!

Stefano                            - Lui!

Marta                               - Mettermi incinta e non farti più vivo! Un vero porco!

Stefano                            - Lui!

Marta                               - Meno male che adesso mi sposi.

Stefano                            - (feroce e felice) Lui, sempre lui!

Giuseppe                         - (ridotto uno straccio) Sposarla... Ma non è possibile!

Marta                               - Dico, non ciurlerai mica nel manico, adesso?! Mia figlia m'ha detto che mi sposavi.

Giuseppe                         - (balbettando) Ma... Ma... Io... (A Ste­fano, supplichevole) Stefano! Come me la cavo ora?

Stefano                            - (con gioia satanica) E questo è niente! Quando Maria Giulia verrà a saperlo!

Giuseppe                         - (folgorato) No!

Stefano                            - Tu che non volevi lo scandalo per la tua elezione!

Giuseppe                         - (impallidendo) Oh Dio!

Stefano                            - (implacabile) Perché ormai questa è un tipo che lo fa, lo scandalo! Basta guardarla! (Marta beve golosamente) Guarda come beve! Questa fa un putiferio, te lo dico io! Guarda come sputa!

Giuseppe                         - (smarrito) Bisogna impedirglielo a tutti i costi!

Stefano                            - Il nostro nome, eh? E intanto ti ser­vivi del mio per le tue porcherie!

Giuseppe                         - (c. s.) Ti prego... acqua passata...

Stefano                            - E non mi davi un soldo perché la mia vita non ti piaceva! Vergognati!

Giuseppe                         - Hai ragione... Hai ragione... Ma ora bisogna far qualcosa, per amor di Dio!

Stefano                            - (con sovrano disprezzo) Mi fai pietà! (A Ilaria) Sentite voi, buona donna...

Marta                               - Che buona donna! Io sono una signora, se non le fa schifo!

Stefano                            - Sentite, signora... Questo signore, che poi è mio fratello, ci ha ripensato... Se invece di sposarvi vi passasse una bella sommetta, tanto per togliervi un po' dal bisogno? Diciamo centomila lire...

Marta                               - (subito) Diciamo duecento.

Stefano                            - Ah? Mi pareva che cento...

Marta                               - (con intenzione) Prima... Ma adesso mi pare che anche duecento...

Stefano                            - (a Giuseppe) Ha ragione lei. Adesso ce ne vogliono duecento. (A Marta) Allora diciamo duecentomila e...

Marta                               - E io me ne torno al mio albergo diurno.

Stefano                            - E vedrà come ci starà bene... Sì, dico: ora che avrà da parte una bella sommetta... Sei d'accordo, Peppino bello?

Giuseppe                         - (asciugandosi il sudore) Tutto quel che vuole... Purché se ne vada. (Febbrilmente ha firmato un assegno) Ecco qua.

Stefano                            - (sventolandogli sotto il naso il foglietto) Il prezzo della colpa! (A Marta) A lei, signora.

Marta                               - Grazie, signore. Lei, sì, che è una brava persona. Un galantuomo. Non come quel farabutto lì!

Stefano                            - (a Giuseppe) Ma sai che ti conosce proprio bene?

Giuseppe                         - Vada via, adesso... se ne vada!

Marta                               - Vado, vado! Adesso mi dà del lei... Adesso non mi vuol più. Vergogna!... Un padre... Una madre... Una figlia... Il pegno del disonore... (Pare soffocata dalle lacrime) Ah, che vergogna... Che vergogna, povera me! (Altro tono, guardando l'assegno) Sarà poi buono quest'affare qui? (Esce).

Stefano                            - (pieno di ammirazione) Formidabile!

Giuseppe                         - (cascando a sedere) Salvo! Sono salvo!

Stefano                            - (sarcastico) Eccolo lì... l'uomo puro... l'uomo probo... il vessillifero del partito della morale!... Lo sai che cosa sei? Un povero allocco! E se quella nobile dama delle « toilettes » ti avesse preso in giro?

Giuseppe                         - Sei il solito cinico! Ma non l'hai guar­data? Era il ritratto di Marta!

Stefano                            - Ah, te ne sei accorto?

Giuseppe                         - Saltava agli occhi! Ed è ben questo che non m'ha lasciato dubbi! Quella era evidente­mente la madre di Marta... E poiché Marta è mia figlia, la cosa è anche troppo chiara!

Stefano                            - (ironico) Il ragionamento non fa una grinza!

Giuseppe                         - Come vedi non sono un allocco!

Stefano                            - No, non sei un allocco. (Fra i denti) Sei un fesso!

Giuseppe                         - Comunque, tutto ciò è la triste prova di quanto possa costare un momento di follia.

Stefano                            - Eh, l'hai pagato un po' caruccio, lo ammetto.

Giuseppe                         - Oh, non parlo delle duecentomila lire...

Stefano                            - (dolcemente) Scusa... settecentomila.

Giuseppe                         - Come settecento? A lei non ne ho dato che duecento.

Stefano                            - A lei. Ma ci sono le cinquecento che devi dare a me.

Giuseppe                         - A te? Tu vaneggi!

Stefano                            - Ah, vaneggio? Tu dimentichi o fingi di dimenticare che mi hai promesso cinquecentomila lire se sposavo la madre di mia figlia!

Giuseppe                         - Ma siccome non è la madre di tua figlia...

Stefano                            - (trionfante) No, ma è la madre della tua! Sei tu, ora, il paparino! Sputa i denari, paparino bello!

Giuseppe                         - Io devo dare a te... Ma tu non hai proprio senso morale!

Stefano                            - Ah, la prendi così? E va bene! (Chiama) Maria Giulia!

Giuseppe                         - Cosa fai?

Stefano                            - Come si dice in termini industriali? Facciamo un arbitrato. Raccontiamo tutto a tua moglie e facciamo decidere a lei. (Chiama) Maria Giulia!

Giuseppe                         - Ma questo è un ricatto!

Stefano                            - Può darsi. Io non ho il senso della morale, l'hai detto tu. (Chiama) Maria Giulia!

Giuseppe                         - Aspetta... Te ne dò duecento...

Stefano                            - (senza dargli retta) Maria Giulia!

Giuseppe                         - Trecento...!

Stefano                            - (chiama) Cognatina bella!

Giuseppe                         - (rabbioso) Non ti darò niente, canaglia!

Stefano                            - Come vuoi. (Chiama più forte) Maria Giulia!!

Maria Giulia                    - (entrando, seguita da Margherita) Eccomi... Scusate... Ero qui con la signora Signori...

Giuseppe                         - Com'è? Questa è...

Stefano                            - (fra sé) Porca miseria, non ci voleva!

Maria Giulia                    - (presentando) Mio marito, signora... Mio cognato lo conosce, mi pare...

Margherita                       - Sì, certo, ed è stato appunto lui a raccontarmi...

Maria Giulia                    - Figurati, Giuseppe, che la signora mi ha riferito una storia in cui francamente non ho capito nulla... Marta non sarebbe affatto figlia di Stefano...

Stefano                            - (cogliendo la palla al balzo) Ma certo che non è figlia mia... (Guardando fisso Giuseppe) L'avevo detto soltanto per salvare qualcuno!

Maria Giulia                    - Per salvare?...

Stefano                            - Sicuro! Qualcuno che aveva delle serie ragioni per nascondere a tutti la propria colpa...

Giuseppe                         - (sottovoce, implorando) Stefano!

Stefano                            - È vero, Giuseppe? Dillo tu... Qualcuno che aveva mille ragioni... Anzi, cinquecentomila ragioni per nascondere la propria colpa...

Maria Giulia                    - Non capisco...

Margherita                       - Ma io, sì!

Stefano                            - E capisce anche Giuseppe... Vero, Peppino bello, che le capisci quelle cinquecentomila ragioni?... Ah, non parli? Non ti pare una buona ragione che quel tale avesse moglie e non volesse farlo sapere...?

Maria Giulia                    - Una moglie? Ma di chi parli?

Stefano                            - Peppino... Glielo dico? Parlo di...

Giuseppe                         - (con un grido strozzato, mettendo l'assegno che aveva preparato prima dell'ingresso di Marta, sul tavolino) No! Hai detto bene tu! Ci sono cinque­centomila ragioni per tacere!

Stefano                            - (sereno) Vedi, Maria Giulia? È d'accordo anche Peppino.(Intasca l'assegno).

Maria Giulia                    - Ma io ora voglio sapere... Se Marta non è figlia tua, di chi è figlia?

Margherita                       - Purtroppo di mio marito, signora!

Giuseppe                         - (sussultando) Cosa?

'Maria Giulia                    - Di suo marito? Ma in questo caso Vito sarebbe...

Marta                               - (entrando, vestita come nella prima appa­rizione) Paparino!

Giuseppe                         - Marta!

Stefano                            - Accidenti!

Margherita                       - (volgendosi alla nuova venuta con curiosità e tenerezza) Ah, è dunque questa la figlia di mio marito?

Marta                               - (che non capisce niente) Io? Ma che storia è questa?

Stefano                            - (tirandola energicamente in disparte) Lasciate che le spieghi tutto io... (Sottovoce) Che sei venuta a fare, disgraziata?

Marta                               - (mostrando l'assegno) Non ci aveva fatto la girata!

Stefano                            - Ma non sai che quella è la moglie di Vito?

Marta                               - Per Dio!

Margherita                       - Ebbene, le ha spiegato?...

Stefano                            - All'incirca...

Margherita                       - E allora abbracciami, cara... E chiamami mammà! Vuoi?

Marta                               - Ah, per me... Ormai ci sono abituata. (Si abbracciano).

Maria Giulia                    - Che quadro commovente!

Giuseppe                         - (sottovoce) Stefano... Ma questa è una porcheria...

Stefano                            - Senti... Mia, no... Tua, no... Di qualcuno doveva ben essere figlia!

Margherita                       - (a Marta) E da oggi tu verrai a vivere con noi!

Marta                               - Ah no! Non mi ci beccate più!

Maria Giulia                    - Ma come? La signora ti offre una famiglia...

Marta                               - Tante grazie... Ma la famiglia me la faccio da me... Carletto mi sposa... E così tutto va a posto!

Stefano                            - Brava! Complimenti!

Giuseppe                         - Carletto? E chi è questo Carletto!

Stefano                            - Non indagare, Giuseppe... Pensa sol­tanto che fra qualche mese non sarai più paparino: sarai nonnino.

FINE