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COMCEDIA

PARTIRE

Commedia in  tre  atti  di Gherardo Gherardi

PERSONAGGI

ANTEO DIANA, industriale

PAOLO VERONDA

ANDREA MATTINI

GIULIO, fidanzato di Annie

MARSANI, impiegato di Anteo Diana

ANNIE, figlia di Anteo Diana

MIMI, dattilografa di Anteo Diana

VERA CHINI

MISS JANE, istitutrice di Annie

MEDICO

MATTIA, autista

RAGAZZO.

AL PARCO DI  NOTTE

ATTO PRIMO

QUA D R O P RIMO

Quando si  alza la tela Paolo e MIMI sono seduti su una panchina. Paolo imbraccia una chitarra e canticchia la famosa can­zone napoletana « Me ne voglio j a l'America ».

MIMI                             - Bella, questa è veramente bella, lo vado  pazza  per  le  cannoni  d'amore.

PAOLO                         - Si capisce, una ragazza...

MIMI                             - E lei no?

PAOLO                         - Così...

MIMI                             - Fa  lo sdegnoso, ma quando dice amore, ci mette tre emme dal gusto che ci prova.

PAOLO                         - Eppure non sono innamorato.

MIMI                             - Non è gentile,

PAOLO                         - Eh, che cosa devo dire, che l'amo? La conosco appena. Ci siamo visti oggi al cinematografo.  Mi  ama lei forse?

MIMI                             - Ma allora perchè mi ha accompa­gnata a spasso questa sera?

PAOLO                         - Cosi. Qualche volta mi sento solo...

MIMI                             - Come sarebbe a dire? Sono ima ragazza seria, sa?

PAOLO                         - E chi ne dubita?

MIMI                             - Quando un uomo dice che si sente solo è segno che va in cerca dì una compagnia  provvisoria...

PAOLO                         - Ah, se la intende còsi, la riaccom­pagno subito a casa...

MIMI                             - Non dico questo. Dico che se un giovanotto invira una signorina a passare una mezz'ora dì sera ai giardini pub­blici...

PAOLO                         - Fa un sacramento.

MIMI                             - No, ma non dirà che non la com­promette.

PAOLO                         - Ma lei sa chi sono.

MIMI                             - Io non so niente. So che lei sì chia­ma Paolo Veronda... Che ha venticinque anni.

PAOLO                         - Che sono disoccupato. Basta questo a scaricarmi di qualsiasi responsabilità.

MIMI                             - Ma è sperabile che troverà un posto, no?

PAOLO                         - Un posto stabile?

MIMI                             - Sicuro.

PAOLO                         - No, no. Un posto, magari, ma non stabile... Ma lasciamo andare (ricomincia a cantare « Me ne voglio j a l'America »).

MIMI                             - Che cosa dice?

PAOLO                         - Io penso, signorina, che un uomo prima di chiudersi definitivamente in un impiego stabile deliba provare cinque o sei volte la disoccupazione.

MIMI                             - Bel divertimento!

PAOLO                         - Richiede una certa dote di buona salute, sopra tutto per via dei pasti. Ma alla fine è la bella avventura di coloro che I»On hanno nulla da giuocare...

MIMI                             - Non capisco.

PAOLO                         - (ritenta di cantare).

MIMI                             - Mi spieghi. (Una eoppia dì genie me­diocre si avvicina lentamente e si siede, le spalle agli altri due, nella panchina ac­canto)

PAOLO                         - Vede, signorina... Un giovanotto che entra in un impiego e ci resta per tutta la vita, vive una volta sola, una vita sola. Se invece uno ha la fortuna di farsi cacciar via di quando in quando, vive altrettante vite e punta altrettante volte la sua posta nel giuoco della sorte.

MIMI                             - È la prima volta che lei è disoccu­pato?

PAOLO                         - Si. Non credevo che la cosa fosse tanto inebriante. Mi sono trovato sulla strada e ho sorriso a uno sconosciuto che m'è passato accanto come se fosse stato il primo abitante di un paese nuovo al quale fossi appena, appena sbarcato.

MIMI                             - Che tipo!...

PAOLO                         - Io ebbi la sensazione che Iddio avesse cancellato il passato della mia vita per  farmi ritornare  da  capo.

MIMI                             - Beato lei... Evidentemente non ha pensieri.

PAOLO                         - Io vivo con poco, sono solo, sono sobrio come un cammello e quando mi sento triste (canta),

MIMI                             - (dall'altra parte) Oh, senti che bella voce... ( I due sì baciano).

PAOLO                         - Be'?

ANDREA                      - Avanti, avanti... Va benissimo...

PAOLO                         - Niente affatto. Per chi mi pren­de?...

VERA                            - Continui, per piacere... La luna, la notte, la musica...

PAOLO                         - Ma, mi pare una certa cosa (rico­mincia a cantare) (guarda i due che si ab­bandonano alle loro tenerezze e si inter­rompe) Insomma... Mi dispiace...

ANDREA                      - Ma allora è inutile cominciare, per fare queste figure...

PAOLO                         - Be', è meglio che me ne vada...

MIMI                             - No, restiamo un poco ancora.,

PAOLO                         - Quello lì mi ha dato la sensazione di avere trovato un impiego stabile.

MIMI                             - Ma no... Mi racconti... E adesso che cosa pensa di fare?

PAOLO                         - (pausa) - Partire.

MIMI                             - Per dove?

PAOLO                         - Non lo so. Partire. In vita mia non sono mai partito. Ma ora mi decido. Prendo il primo treno che mi capita e mi abbandono al caso.

MIMI                             - IL caso dei binari e degli orari non è sorprendente.

PAOLO                         - Perché? Si parte per un viaggio banale qualunque e sì incontra il caso, l'avventura... Un dente dell'ingranaggio della vita ini prende e mi porta chissà dove. La sorpresa incomincia allora. Par­tire è più emozionante che cavare, che sognare, che amare...

MIMI                             - Oh, questo poi! Si vede che non è mai stato innamorato...

PAOLO                         - Può darsi, ma, se mai, la colpa è del cinematografo.

MIMI                             - Perché?

PAOLO                         - Perché ha diffuso la tecnica del bacio fra le ragazze da marito- Adesso non ci vuol niente a farsi baciare da qualunque ragazza.

MIMI                             - Mi fa ridere.. Provi.

PAOLO                         - Fossi matto! Preferisco firmare una cambiale. E poi baciare vuol dire restare,  inchiodarsi...

MIMI                             - Ma che cosa aspetta allora?

PAOLO                         - Di potermi pagare il viaggio. Non sono abbastanza romantico per trovare piacevole andare a piedi. Intanto ho dato un  appuntamento alla  fortuna.

MIMI                             - A che ora?

PAOLO                         - Pu6 venire quando vuole. Io no» mi muovo...

MIMI                             - Bel tipol Fa qualche cosa almeno per invitarla ad affrettarsi?

PAOLO                         - Come no?... Canto, (canta). (entrano dal fondo tre personei un giovanottone elegante, ma grossolano, Gxuuo, e due donne pure matto eleganti: Annie, giovane e arcigna, miss jane, mena gio­vane ma più allegra. Si fermano a sen­tire cantare).

ANNIE                          - Ma andiamo, vieni via...

GIULIO                         - E aspetta. Che fretta hai? Tanto tuo padre ci deve raggiungere con l'automobile...

ANNIE                          - Non vorrai stare a sentire quella musica...

MIMI                             - (scappando) . Mamma mia! Guarda chi c'è...

GIULIO                         - Vado passito per le canzonette...

MIMI                             - È finita?

PAOLO                         - (tìmido)- No... Ce n'è un altro pezzo.

ANNIE                          - Ma ti pare con veniente trattenere la  MIA  fidanzata in un giardino pubblico di notte?...

ANDREA                      - Ma insomma! Non si «a in pace un momento...

GIULIO                         - Silenzio voi...

ANDREA                      - (alzandosi provocante) - Dice con me lei?...

GIULIO                         - Con lei…..

ANDREA                      - Senta, il mio caro uomo... (Giulio lo afferra per un polso e lo costringe a ri­prendere il suo posto sitila panchina) Ahil

ANNIE                          - (fremente) - io vedi.. Lo vedi...

GIULIO                         - È' quello che dico io. Lo vedi? Con me, niente paura...

ANDREA                      - Non c'è più pace da nessuna par­te... Si va al cinematografo nei secondi posti, c'è l'aristocrazia. Si va in treno la terza classe... Chi trovi? L'aristocrazial Ma ci lascino almeno i giardini pubblici!

GIULIO                         - Silenzio… Giovanotto...  Musica...

ANNIE                          - E va bene... (decisamente si va a sedere vicino a

PAOLO                         - con fate burbero) Avete sentito? Suonate. Cantate...

PAOLO                         - (timido) - Che... Che cosa vuol sen­tire?...

ANNIE                          - Ma... quello che volete. Ne sapete tante?

PAOLO                         - Sì...

ANNIE                          - E trovate che sia uno studio utile?

PAOLO                         - Non è uno studio... Di sera, per la strada, d'estate, ci sono tante finestre apèrte. Ogni finestra aperta corrisponde a una radio che suona... Mi appoggio a una cantonata...

ANNIE                          - (ride di scherno brevemente)

PAOLO                         - Perché? Che cosa ho detto?...

ANNIE                          - Romantico, eh?...

PAOLO                         - Perché mi guarda?

ANNIE                          - Non ne avevo mai visti...

GIULIO                         - Lo vedi che valeva la pena di fer­marsi?

ANNIE                          - (ride) - Cantate, cantate...

PAOLO                         - (tìmido) - Sì, signorina... (attacca ma a stento) (Vera e Andrea sì baciano an­cora) (tutti si voltano da quella parte)

ANNIE                          - (urtata) - Oh, questo poi.... Ferma­tevi... Non avete sentito?...

MISS                              - Ah...

PAOLO                         - È inevitabile, signorina... Anche prima tale e quale... Si vede che è una malattia...

ANNIE                          - (a Giulio) - Hai gli occhi lucidi. Che sciocco che sci!.. Ne hai abbastanza, o no?

GIULIO                         - Ma tesòro mio, aspettiamo tuo pa­dre... Prego, giovanotto... Prendete e can­tate... (gli offre una moneta)

PAOLO                         - Oh, ma le pare? Non accetta..

ANNIE                          - To'... E perché?...

PAOLO                         - Ero io che credevo dì fare a quei signori l'elemosina.

ANNIE                          - Oh... Ma sentilo... (a Giulio) Hai capito che bella figura hai fatto?... (a Paolo Ma allora, perché andate in giro con quella chitarra?

PAOLO                         - Non è un'abitudine. Un amico ha voluto fare una serenata alla sua bella e l'ho accompagnato...

ANNIE                          - (guardando verso Andrea che colma di moine Vira) - Ma guardi quei due...

GIULIO                         - Smettetela di baciarvi...

ANDREA                      - Ma io non faccio rumore... (risate).

MISS                              - Non è divertente tutto questo?

ANNIE                          - Quando dirà a mio padre che la mia dama di compagnia si compiace di certi passatempi...

GIULIO                         - Ma andiamo, Annie, smettila, per una fuonatioa...

GIULIO                         - Ci vuole un po' di poesia nella vita...

ANNIE                          - E va bene. Vi lascio alla vostra poe­sia. Io me ne vado. Buona notte, giova­notto. E" inutile che vi fermiate sotto la mia finèstra anche se la trovate aperta. Non ho la radio, (sta per uscire quando si ode un fragore e un grido, mentre una luce attraversa come una saetta la scena; tutti si voltano verso il luogo donde ì ve-nato attesto rumore seguita da un pro­fondo silenzio).

UNA VOCE                  - Aiuto...

ANNIE  E MISS           - (si stringono alle braccia di Giulio, Vera e Andrea. Mimi sempre invisìbile).

ANNIE                          - Che cosa è accaduto?... (immediatamente tutti gli uomini si diri­gono di corsa verso quella parte, le don­ne restano sole).

VERA                            - Dio, che cosa sarà mai accaduto?... (cerca di unirsi alle altre due).

MISS                              - Ma si scosti... Lei chi è?...

VERA                            - Ma è successa una disgrazia...

MISS                              - Va bene, ma si presenti...

VERA                            - Mi chiamo Vera... Vera Chini...

ANNIE                          - (verso l'interno) - Giulio... Che c'è?... Papà... (effettivamente Giuwo entra te­nendo un braccio sotto l'ascella di Anteo Diana, vecchietto arzillo e rubizzo che procede lentamente) (Antro sì siede sulla panchina) (dietro viene Mattia, l'autista, con Paolo),

ANNIE                          - Papà, ma che cosa ù è saltato in mente?

ANTEO                         - A me? Non ci pensavo nemmeno...

GIULIO                         - Ho mandato quel tale che era qui . a cercare un medico. Ci una farmacia appena fuori dei cancelli...

ANTEO                         - Che colpo... che colpo!...

ANNIE                          - Ti senti male da qualche patte?...

ANTEO                         - No, ma non vuol dire-.. Sono pra­tico, fi male si sente dopo.

ANNIE                          -  Ma come è andata, Mattia?...

MATTIA                        - C'era un albero....

ANTEO                         - Ah, guarda. Mi dice che c'era un albero.

ANNIE                          - Mattia ho paura che siate invec­chiato...

ANTEO                         - È ombroso... Una volta c'erano i cavalli ombrosi. Adesso ci sono gli au­tisti ombrosi... Insomma l'importante i di risolvete questo problema: cozzare contro i platani...

MATTIA                        - Ho udito delle voci... Mi pareva un litigio... Capirà, un litìgio di notte, al parco... Fa una certa impressione. Ho per­duto la testa.

ANTEO                         - E io una gamba.

ANNIE                          - Papà... Hai perduto una gamba?

GIULIO                         - Dice per dire...

MISS                              - (confortando Annie) - Coraggio, co­raggio... Dopo tutto non è la prima volta che capita...

ANNIE                          - Ma una volta o l'altra ci resta...

GIULIO                         - Ma no... Oramai ci ha fatto la pratica.

PAOLO                         - Perché, le è capitato qualche altra volta?

ANTEO                         - (a Paolo, stupito) - Buona sera.

GIULIO                         - Scostatevi...

ANTEO                         - Perché? Può stare qui... Resti, resti...

PAOLO                         - Grazie... Se posso essere utile...

ANTEO                         - Con la chitarra?...

PAOLO                         - Se vuole...

ANNIE                          - Per carità...

ANTEO                         - Non e prudente. Per passare il tempo si potrebbe anche sentire un po' dì musica... Ma non è prudente... Sono pratico... Il medico potrebbe interpretare la cosa in senso contrario alla liquidazione che mi spetta... Oh... Non se ne offenda sa?... Ma vede, io in fatto di assicurazioni sono meticoloso.

MISS                              - Giulio, accompagnatemi sul luogo del disastro! Mi place tanto...

GIULIO                         - Si... andiamo a vedere, quella macchina... (escono).

ANNIE                          - Papà, come va?

ANTEO                         - Uhm...

PAOLO                         - Si sente male?

ANTEO                         - Appunto non mi sento niente... Forse la botta ritarda un poco sul tempo consueto... Ma è un fatto che non mi sento nulla. Di solito...

PAOLO                         - Di solito?...

ANNIE                          - Papà... Non  rispondere.

ANTEO                         - Perche? Non c'è niente di male a confessare che per me essere investito è una specie d'abitudine...

ANNIE                          - Sembra che te ne vanti...

ANTEO                         - Ma no... Non mi vanto, Tutl'al-tro. Ma la verità è che due o tre volte all'arino... qualche cosa mi capita.. Sono stato investito da tutti i veicoli possibili e immaginabili, tranne le carrozzine dei neonati e i treni.

PAOLO                         - Ma come ha fatto a evitare i treni?

ANTEO                         - Caro mio... Quando mi sono ac­corto che tutti i veicoli a trazione mec canica avevano una simpatia spiccata per la mia persona, ho smesso di viaggiare...

PAOLO                         - Non viaggia più?

ANTEO                         - No. La mia vita è chiusa dentro la prima cerchia dei passaggi a livello.

PAOLO                         - f. una disgrazia, no?

ANTEO                         - Peggio morire sfracellato sotto un direttissimo... Perché non la scappo, sa? Non la scappo... Sto fermo d^lle ore prima di attraversare la strada. La vo­glio vedere proprio deserta. Ma quando mi decido a passare, ecco che miracolo­samente sorge dalla terra un'automobile a discreta velocità... E io sotto.

PAOLO                         - Fortunatamente sempre senza conse­guenze...

ANTEO                         - Senza conseguenze.... dolorose...

ANNIE                          - Papà, basta... Non andrai a raccon­tare i tuoi affari al primo che capita...

ANTEO                         - (n'entrando) - Il medico viene su­bito.

GIULIO                         - (rientrando a sua volta fregandosi le mari e rimettendosi il paletot) - Fatiche inutili... Credo che quella macchina non si staccherà mai più da quel platano.

ANTEO                         - Si è incastrata?

GIULIO                         - Eternamente.

ANTEO                         - Mattia fa le cose all'antica. Du­revoli.

GIULIO                         - Come va?

ANTEO                         - Questa volta... Non c'è niente da fare, credo. Non mi sono fatto nulla.

GIULIO                         - Dopo tutto è tempo che lei si prenda il mediato riposo.

ANTEO                         - Non sono stanco per nulli,

GIULIO                         - Ma che cosa vuole di più?... Ha incassato in tutto quasi trecentomila lire di indennità d'assicurazione per investi­menti patiti...

PAOLO                         -  (un  fischio di meraviglia).

ANTEO                         - Cosa c'è?

GIULIO                         - Giovanotto, siete pregato di non srare a sentire i  nostri  discorsi...

PAOLO                         - (volgendosi a Andrea e a Vjha) -Avete sentito? Bella maniera di fare i quattrini...

ANDREA                      - Porco borghese...

PAOLO                         - Come fate a capire che è un bor­ghese?...

ANDREA                      - Ci vuol poco. Se un'automobile viene addosso a me, mi ammazza. Lui no. Lui ci fa un affare. Caro mio. C'è tutto un  sistema sociale da riformare!

ANTEO                         - Ahi!

ANDREA                      - (gli si butta addosso per soccorrerlo), (tutti gli altri attendono in  ansia).

ANNIE                          - Ma questo medico...

MISS                              - Largo, largo.

ANTEO                         -  (levandosi di dosso le mani di An­drea) - Ma chi è lei?

ANDREA                      - Sono quello che è andato a cer­care il medico...

ANTEO                         - Ma non è una buona ragione per tastarmi...

ANNIE                          - Oh, ecco il dottore... Questo è mìo padre...

MEDICO                       - (entrando) - Dove sono gli investiti?

ANTEO                         - Ah, dottore. Le ho tutte contro...

PAOLO                         - Le vetture...

MEDICO                       - Respiri. Forte. Le gambe (tasta) male? No. Testa? (guarda la testa da tutte te parti trattandola come una palla) Niente.

ANTEO                         - Quanta forfora, vero?

MEDICO                       - Faccia il piacere... Si alzi...

ANTEO                         - E’ impossibile.

MEDICO                       - Perché?

ANTEO                         - Ho paura.

MEDICO                       - (lo prende alle ascelle).

ANTEO                         - No, no, no...

GIULIO                         - (aiutando il medicò) - Ma andiamo». (rimettono in piedi Anteo).

MEDICO                       - Cammini.

ANTEO                         - E se poi non mi sono fatto niente?

MEDICO                       - Meglio, no? Avanti...

ANTEO                         - Potrei avere ricevuto uno choc ner­voso?... (il MEDICO            gli dà una spinta e Anteo fa  dieci passi di corsetto).

MEDICO                       - Ma lei non ha nulla. Perché mi ha fatto svegliare?

ANTEO                         - Perché sono assicurato.

MEDICO                       - E l'altro? Dov'è l'altro?

MATTIA                        - Sono qui.

MEDICO                       - Vediamo...

MATTIA                        - M'è rimasto il volante sullo sto­maco... (visita),

ANNIE                          - (a parte a Paolo) - Buona «era. Mi dispiace di avere disturbato il vostro con­certo.

PAOLO                         - Le pare? Io canto così, per aspet­tare.

ANNIE                          - Che cosa?

PAOLO                         - La partenza de! mio treno...

ANNIE                          - Non avrete per caso la intenzione di prendermi in giro? (gli volta le spalle in malo modo e se ne va).

PAOLO                         - (resta e guardarla estatico).

MEDICO                       - Ma che volante!

MATTIA                        - Ma ho male allo stomaco...

MEDICO                       - Prendete del bicarbonato... Ti dico io (esce arrabbiato).

VERA                            - (a Paolo) - Bella ragazza, vero?

ANDREA                      -  (entrando in fretta) - Vera, vieni, andiamo... Subito... (la trascina frettolo­samente fuori).

PAOLO                         - (ti siede sulla panchina e si mette  a  fantasticare).

MIMI                             - (comparendo dalla destra) Mamma mia che spavento!

PAOLO                         - Ma dove è scappata lei?

MIMI                             - E chi pensava di vedere proprio qui rutta quella gente? Quel vecchietto è il mio principale...

PAOLO                         - E quella ragazza è sua figlia?

MIMI                             - Le piace? Una donna senza senti­mento, piena di boria e di dispetti...

PAOLO                         - Che fa quel vecchietto?

MIMI                             - Fabbrica macchine agricole, Il fa­moso Anteo Diana.

PAOLO                         - E che cosa ci sarebbe di strano se mi mandasse a lanciare le sue macchine nelle praterie dell'Ovest America....

MIMI                             - Vorrebbe andare fin là?

PAOLO                         - Perché no? Pur di vedere del mondo...

MIMI                             - Ma perché?

PAOLO                         - Così... Dov'è andata a finire la mia chitarra? (la cerca, la trova, si china a raccoglierla e ha un'esclamazione di vivo stupore) To'... Cosa c'è?...

MIMI                             - Ha trovato qualche cosa?

PAOLO                         - Una busta da avvocalo...

MIMI                             - Piena?

PAOLO                         - Ma, non so...

MIMI                             - E perchè non ci guarda dentro?

PAOLO                         - Perché... Aspetti... Mi lasci assapo­rare questo delizioso momento... Perché, sa, questa busta magari è vuota. Ma io... aspetti... (si ferma a- faccia iti aria con un sorriso) Quanti denari... Un milione, due milioni... 11 giro dell'universo... Tanta gente che sorride, (a Mimi) Perché io farei del bene, sa? Tanta gente che mi bene­dice... Il mondo è \m sogno...

MIMI                             - (tenta di strappargli di mano la bor­setta).

PAOLO                         - Lasci... oppure non c'è tanto de­naro. Forse c'è soltanto una piccola som­ma. Cinquanta lire... Ebbene... Io parto subito. Comunque...

MIMI                             - Ma vediamo alla fine... (Mimi prende la borsetta e l'apre).

PAOLO                         - (airabbiato si china a raccattare la chitarra) - Poteva aspettate un momento, no?  Adesso è finita la festa...

MIMI                             - C'è qualche cosa, Denari... Vera­mente...

PAOLO                         -  (balzando verso  Mimi) -  Denari?

MIMI                             - (dandogli la borsa) - Guardi.

PAOLO                         - (comando) - Mule, duemila lire... (il suo rapirò si fa grosso e guarda incre­dulo Mimi) Tremila lire...

MIMI                             - Avanti,

PAOLO                         - Non c'è altro. Tremila lire...

MIMI                             - E fa quella faccia?

PAOLO                         - Che si fa con tremila lire? Perché io debbo provvedermi di tutto. Non ho nemmeno una valìgia. Una valigia ci vuole...

MIMI                             - Naturalmente... Un po' di corredo...

PAOLO                         - E tante cose... Se sapesse lei, viag­giare...

MIMI                             - Si, e evidente «he non si può par­tire cosi...

PAOLO                         - Oh, ma non creda che io mi abbat­ta per queste difficolta. Io sono anche ca­pace di partire lo stesso. Sono capace di mettermi a fare lo sguattero di cambusa o il mozzo alle macchiadi qualche va­pore che vada verso il Capo di Buona Speranza... Tremila tire bastano, oh, «e bastano. Si va anche all'inferno con tre­mila lire...

MIMI                             - li, e più facile...

PAOLO                         - Una valìgia... Un vestito da lavoro... Quattro paia di mutande ài lana con ma­glie, due stivali e due paia di scarpe... Si va anche all'inferno... Addio signorina... Pensi qualche volta a quest'uomo che non vedrà mai più... Le scriverò forse un giorno, quando sarò diventato il padrone di una miniera o un gran coltivatore di tabacco o di cotone o di qualche altra dia­volerìa. (MIMI si è seduta imbronciata) Vuole andare a casa?

MIMI                             - No. Io resto qui.

PAOLO                         - Cos'ha adesso?

MIMI                             - Lei non può tenore quei denari...

PAOLO                         - Perché?

MIMI                             - Perché non sono suoi.

PAOLO                         - E di chi sono?

MIMI                             - Non lo sa. Potrebbero essere anche del mio principale. Anzi, molto proba­bilmente li ha perduti proprio lui.

PAOLO                         - Ah, lei difende gli interessi del suo principale...

MIMI                             - No, non dico questo. Capisce bene che io non posso andargli a dire che io a quest'ora ero qui con lei. E’ una questione d'onesta.

PAOLO                         - Eh, lei vuol farmi il solletico alta coscienza perché non «le ne vada. Lei dice che se resto qui una volta o l'altra, chi sa che non mi decida a farle la corte...

MIMI                             - Oh, non è per questo, stia tranquil­lo. Ho già veduto che lei non è il tipo per me, ma le dico che se incomincia cosi...

PAOLO                         - E va bene. Ma è la stessa cosa. Io li restituisco. Non a quel signore che non so nemmeno chi sia. Al municipio, Cosi i giornali parleranno anche di un atto one­sto. Avrò un diploma. Un diploma di ga­lantuomo. Per uno che ha fatto due anni di legge è qualche cosa. E poi vedrà... Un filo tira l'altro. E il signore delle mac­chine agricole mi dice; «Bravo, se li ten­ga, basta l'intenzione... ».

MIMI                             - Questo no... Non ci pensi...

PAOLO                         - E perché' nd? Potrebbe essere assi­curato contro gli smarrimenti...

MIMI                             - No, no... stia tranquillo. In ogni modo la signorina non lo permetterebbe...

PAOLO                         - E’ avara?

MIMI                             - Peggio-

PAOLO                         - Be', andiamo via... (Prende la sua chitarra e si avvia. Si ferma dì colpo) Po­trei essere invitato a cena... Sarà uà ono-' re per loro avere a cena un galantuomo... Ci sarà qualche altro invitato... Si chiac­chiera... Da cosa nasce cosa. Vuole andare a Nuova York? Domani si patte: Napo­li .Majorca, Gibilterra, Isole Azorre... (Canta; «Me ne voglio l' a l'Americ », e si allontana con Mimi. La canzone continua fino alla fine mentre sì cambia la scena).

TELA

QUADRO SECONDO

Un ufficio. Eleganza. Mobili novecento. Porta a vetri in fondo a destra. In fondo a sinistra la comune. Scrivania grande in mez­zo. Davanti alla scrivania due poltrone, Altre due poltrone con divano e tappeto a de­stra sul proscenio. Telefono.

Quando si alza la tela Anteo è alla scrivania e firma delle carte che MIMI gli offre.

ANTEO                         - Cosa è questa?

MIMI                             - La lettera alia assicurazione per l'in­vestimento di mercoledì.

ANTEO                         - Ah, bene.

MIMI                             - Davvero lei ha ricevuto uno choc nervoso?

ANTEO                         - Sicuro.

MIMI                             - Da che cosa si capisce? (Anteo ha un brivido) Ah, ecco.

ANTEO                         - Sono nervosissimo.

MIMI                             - Ma è a causa dello smarrimento del­la busta di cuoio.

ANTEO                         -  Che c'entra? Perché ho smarrito quella busta? Perché sono stato investito. Ora che lo choc nervoso mi sia venuto a causa di un colpo di testa o di un colpo al portafogli... non conta.

MIMI                             - Ma quella busta è trovata, oramai.

ANTEO                         - Piano, Trovata... Trovata fino a un certo punto. Ma non mi faccia parlare... Se ne vada...

MISS JANE                   - (entra).

ANTEO                         -  (solenne come se avesse fatto una ra­manzina) - Se lo ricordi bene. Se ne vada, (Via Mimi) Oh... Intendiamoci, Che co­sa c'è?

MISS                              - Una cosa urgente,

ANTEO                         - Sentiamo.

MISS                              - Debbo sedermi.

ANTEO                         - Allora è grave.

RAGAZZO                   - (entrando)  C'è un giovanotto che si chiama Veronda

PAOLO                         - fu Annibale, che chiede di lei, principale.

ANTEO                         -       -Ah, bene, che aspetti, fallo entrare quando dico avanti. (A Miss mentre il ra­gazzo esce) E allora?

MISS                              - Una perfetta ìstitutrice e dama di compagnia deve essere coinè una madre per la personcina che le è affidata.

anteo                              -  Perfettamente.

MISS                              - Ho dunque sentito il dovere di sorve­gliare da vicino il fidanzamento di sua fi­glia. Lei ci teneva a questo matrimonio.

ANTEO                         - Infatti. Giulio è un capitale di cui ho bisogno.

MISS                              - Ebbene, signor ANTEO, io devo dirle che i due non si amano.

ANTEO                         - Che c'entra? Non sì amano anco­ra... Ma io sono corto che con l'affiatai mento, la confidenza... Un bacio oggi, uno domani...

MISS                              - Non è questo il buon sistema. Lei non se ne intende.

ANTEO                         - Ma in sostanza...

MISS                              - Meglio suscitare in lei qualche emo­zione violenta ette scuota il suo spirito e lo induca a un sentimento d'amore verso l'uomo che deve essere il compagno della sua vita.

ANTEO                         -  (sempre più nervoso) - Non capisco, ma fa niente. Lei che cosa vorrebbe fare?

MISS                              - Già fatto...

ANTEO                         - Cosa?

MISS                              - Con questo programma benefico nel cuore, mi sono fatta scoprire dalla signo­rina

ANNIE                          - fra le bracica del wo fidan­zato...

ANTEO                         - Di Giulio...

MISS                              - Di Giulio... Bacìa benissimo. (Pausa).

ANTEO                         - Avanti... (PAOLO si presenta) Non lei! (Via Paolo) Avan... (Sottovoce) Avanti!...

MISS                              - Fiasco. Mi aspettavo una scenata vio­lenta, uno scoppio di sentimenti. Niente. La signorina

ANNIE                          - ha chiuso lentamente l'uscio e si è ritirata senza dire una pa­rola. Più tardi mi ha abbracciata con be­nevolenza quasi caritatevole, come se avesse saputo dal MEDICO che io sono affetta da una malattia incurabile,

ANTEO                         - Ah, ma senta... Se un'altra volta lei si permette...

MISS                              - Non ho finito... Non bisogna frantu­mare l'esistènza di Annie. Piuttosto che renderla infelice per sempre Giulio me lo sposo io...

ANTEO                         - Come? Lei? Ma dico...

MISS                              - Oramai è deciso. Si sa che Giulio è un debole nonostante le apparenze.

ANTEO                         -  Ma lei è pazza! E mi vicine a dire queste cose cosi... Come se niente fosse... Ma dì dove è lei?

MISS                              - Di Birmingham.

ANTEO                         -  (rimane immobile a pensarvi).

MISS                              - Gran Bretagna!

ANTEO                         - Ah... Capisco! Ma non creda che io mi faccia giocare così... Ne ho bisogno io, di quel capitale, ha capito?... Glielo avevo anche detto-

MISS                              - A me è addirittura necessario...

ANTEO                         - Ma io ho in giuoco la fabbrica... Interessi enormi..

MISS                              - Ci assoderemo...

ANTEO                         - Ma è una malattia, nazionale)... Non voglio sociì (Va al telefono) Pronto? (Forte) Pronto...

PAOLO                         - (entrando) - Pronto.

ANTEO                         - Ma non lei... Non lei... (Via paolo) Giulio... Siete voi?

MISS                              - (portandogli via il microfono) - Scusi...

ANTEO                         - Cosa fa? Mi lasci...

MISS                              - Ho un progetto di accordo. Mi segua. Pronto... Siete voi, Giulio?... Ho comuni­cato al signor ANTEO il nostro progetto.

ANTEO                         - Ma guarda che sfacciataggine...

MISS                              - Non posso resistere al suo dolore. Capite? È solo al mondo... Vedovo... Sì, caro... Bisogna che ci ripensiamo... Co­me? SI... Credo che anche lui mi voglia un po' di bene.

ANTEO                         - Io?...

MISS                              - Ma non lo sapevo, vi giuro... Ci tutto il nostro piano da riesaminare. Ve­nite alle undici al parco. Coraggio... (De­pone il ricevitore),

ANTEO                         - Verri anch'io alle undici al parco...

MISS                              - È quello che le volevo dire... un col­loquio simile tn casa non e conveniente.

ANTEO                         - Senta...

MISS                              - Venga con un programma concreto alle undici... Si semplifica tutto...

ANTEO                         - Io ho un solo programma...

MISS                              - Infatti credo che non ve ne sia che uno... (Esce lasciando ANTEO stordito in metto alla starna in preda alle pia cupe riflessioni; poi si mette a camminare avanti e indietro).

ANTEO                         -  (sempre camminando) - Avanti! A-vsuitil (Apre la porta).

PAOLO                         - Tocca a me?

ANTEO                         -  Sedetevi... Cerchiamo di distrarci un momento... (Sì siede affranto).

PAOLO                         - Che ha? Sta male?

ANTEO                         - Ho un diavolo per capello... È inu­tile guardarmi in testa...

PAOLO                         - Un altro investimento?

ANTEO                         - Parliamo d'altro... Voi dunque sie­te l'autore di quell'atto onesto di cui parlano i giornali?

PAOLO                         - Sì, signore.

ANTEO                         - Voi avete trovato 1» mia busta di cuoio e l'avete restituita.

PAOLO                         - Sì, signore, lo veramente volevo tenere quel denaro per partire. Devo fare un lungo viaggio... Un lungo viaggio... Per una bella avventura. Ma poi ho pen­sato che avrei cominciato male, tenendo­mi il denaro degli altri, lo sono fatto cosi.

ANTEO                         - Voi siete onesto.

PAOLO                         - Oramai lo sanno tutti, è stampato.

ANTEO                         - C’è un errore.

PAOLO                         - Dove?

ANTEO                         - Nell'aggettivo. Voi non «lete preci­samente onesto, voi siete un furbone. Vo­glio dire che la qualità che avete dimo­strata col vostro gesto è l'intelligenza, non proprio l'onestà.

PAOLO                         - Non capisco, scusi. Io sono discre­tamente intelligente, non lo escludo, ma in questo caso...

ANTEO                         - Non capite, eh? Ebbene, parliamoci chiaro. Dove le avete messe le altre no­vantasette mila lire? (Pausa) Nella bórsa che voi mi avete restituito, questa, c'era­no centomila lire, lo posso dimostrare che alle undici e venti, cioè un attimo prima che questa borsa fosse raccolta da voi sul luogo dell'infortunio, essa conteneva cen­to biglietti da mille. Voi me ne portate indietro solamente tre. Prima di tutto ammiro il colpo e poi domando...

PAOLO                         - Signore, lei mette in dubbio la mia onestà?

ANTEO                         - Niente affatto. Ne stabilisco la do­se. Un tre per cento, È pia importante la percentuale dell'intelligenza.

PAOLO                         - Ma io le giuro che non ho trovato che tremila  Sire in quella borsa... Tremila...

ANTEO                         -  Non insistete, vi prego... Io ho ca­pito benissimo...

PAOLO                         - Ma che cosa? Ma le pare che io avrei restituito tremila lire se ne avessi trovate centomila?... Ma la logicai

ANTEO                         - No, questo non è un argomento. Anzil Come si preparano i delitti? Con la logica. Con quale mezzo si difendono i criminali? Con la logica. Ma non c'è ladro di galline che non sappia che fa­cendo le cose con la logica acquista il di­ritto di  valersi  della  logica  per  imbro­gliare il tribunale.

PAOLO                         - Ma allora, secondo lei?

ANTEO                         - Secondo me, voi avete avuto una bellissima idea. Siete disoccupato: non so perché davvero perché con le vostre qua­lità avreste il diritto di occupare una im­portante carica in banca, ma siete disoc­cupato. Avete trovato centomila lire e le avete restituite in  piccola parte per  ac­quistarvi un titolo di benemerenza e per gettare l'amo in qualche mare. Voi avete sperato perfino che  io vi  potessi offrire un impiego... Si, si... Non negate. Io capisco benissimo.

PAOLO                         - Ma io le ripeto che ho trovato sol-tanto tremila lire e che ho restituito tutto ciò che ho trovato,

ANTEO                         - Benissimo, ammettiamo. Ma io vi dico che ho viceversa perduto centomila lire.

PAOLO                         - Può darsi, ma non so che farci.

ANTEO                         - Non so che farcì?... Ma chi mi por­ta indietro un miserabile residuo di ciò che ho perduto? Voi.

PAOLO                         - Ma è una burla del caso!  Avessi almeno obbedito al mio primo impulso...

ANTEO                         - Che era?

PAOLO                         - Ma tenermi quei quattro soldi che a lei non fanno né caldo né freddo e andare per il mondo...

ANTEO                         - Avete il passaporto?

PAOLO                         - No.

ANTEO                         - Non l'otterrete nemmeno adesso.

PAOLO                         - Perché?

ANTEO                         - Ma mettetevi nei miei panni. Io perdo centomila lire. Viene uno a restituirmi la borsa con tremila lire soltanto. Che cosa devo fare?  Ringraziare?  Dire che siete un galantuomo?  Ma ho il di­ritto o non ho il diritto di domandarvi dove avete messo le altre?...

PAOLO                         - Ma io non ne so niente.

ANTEO                         - Può darsi. Si vede che siete disgra­ziato. Ma io devo cercare quella somma.

PAOLO                         - La cerchi.

ANTEO                         - La farò cercare dalla polizia. E’ sa­pete da chi incomincerà? Da Voi.

PAOLO                         - Ma qualcuno avrà messo la mano in quella busta prima che la trovassi io... La verità si farà strada...

ANTEO                         - Lentamente, lentamente. Tanto più che la bugia in questo caso è più bella della verità... E... Quando la bugia è più bella della verità, gli uomini si tengono la bugia... Hanno bisogno di distrazioni!

PAOLO                         - E va bene... Vedrema (Si muove per andartene).

ANTEO                         - Ve ne andate?

PAOLO                         - Sì capisce. Sono molto contento di essere stato onesto... E quanto a lei... Rin­grazi il suo santo protettore...

ANTEO                         - Non l'ho.

PAOLO                         - Lo cerchi nel ramo infortuni...

ANTEO                         - Ma via, ragazzo... Perché siete cosi impulsivo? Voi mi piacete. Prima dì tut­to siete intelligente... Se non siete intel­ligente, siete molto disgraziato. Dalle in­formazioni che ho assunto, voi sareste in ogni modo al vostro primo fallo.

PAOLO                         - Ma sa che lei è un ostinato?

ANTEO                         - Per forza: ho perduto centomila lire.

PAOLO                         - E le vuole da me? Sta un pezzo...

ANTEO                         - Sentite... Voi siete disoccupato e io ho perduto una grossa somma. Se mi ri­volgo alla polizia incomincia col mettere dentro voi. Ma in questo caso io non ho la somma e voi non avrete mai più un impiego. Eh, lo so, è durai Ma è cosi... Sentite me: dividiamo il male a mezzo. Io vi offro un impiego e quanto alla somma ci metteremo d'accordo.

PAOLO                         - Ma come? Lei crede che abbia com­messo un fallo, sia pure il primo fallo e mi offre un impiego? Non c'è buon senso.

ANTEO                         - Voi avete una eccessiva simpatia per la moneta spicciola: logica, buon senso... Ma con queste cose non si è mai arrivati molto più in là delle uova al te­gamino... Io difendo quel che ho perdu­to... Quanto a voi, eccovi la prospettiva che avete d'innanzi : o entrare al mio ser­vizio, nella segreteria della fabbrica, op­pure la disoccupazione, l'onestà assoluta e la galera...

PAOLO                         - Ma è un'infamia!

ANTEO                         - No, ragazzo. La vita spalanca di quando in quando, davanti a noi, dei bivii di questo genere. Voi dovete pensare che la prima cosa che vi capiterà domani è d'essere arrestato in via provvisoria...

PAOLO                         -  Ma che cosa debbo fare?

ANTEO                         - Oh, vedo che diventate ragionevo­le... Eccovi dunque il mio progetto... Voi restate con me come segretario e nessuno sentirà più parlare di questa faccenda. Stipendio, duemila. Ma mi trattengo men­silmente cinquecento lire a graduale rim­borso delle novantasette mila lire che voi avete trattenuto...

PAOLO                         - Ma io...

ANTEO                         - Non si tratta di riconoscere un furto. Io inscrivo un credito generico verso di voi di novantasette mila lire, come se ve le avessi confidate e le aveste perdute voi...

PAOLO                         - Ma è inaudito... A cinquecento lire al mese ci vorrà un secolo a pagare...

ANTEO                         - No, no. Ho già fatto i calcoli. Se­dici anni e due mesi.

PAOLO                         - È impossibile... No, no...

ANTEO                         - Buon giorno...

PAOLO                         - Ma come posso pensare di restare qui, fermo, immobile, sedici anni e due mesi.

ANTEO                         - Ma non siete il solo, amico mio... Gli impiegati dello Stato sono alcune cen­tinaia di migliaia... Tutta gente allegra... E io lo fabbrico da venticinque' anni le stesse cose e mi augura di andare avanti... Guardate per la strada... Tutti... Tutti tranquilli...

PAOLO                         - Ma come fanno?

ANTEO                         - Del resto chi vi dice che non pos­siate domani stesso restituirmi quella sommi» integralmente, tutto d'un fiato? Un buon affare, una piccola fortuna... Guardate... A prova della mia perfetta fjuona fede, se trovate qualcuno che di­chiari di ave-re trovato quella busta e di averne attinto le novantiisette mila lire che mancavano, io sono disposto a lasciarvi dichiarazione di assoluto proscioglimento... Tuuo preveduto... Eccola qua la dichia­razione...

PAOLO                         - (più meditabondo) - E se tei dovesse crepare prima del termine dt questo patto?

ANTEO                         - Tutto preveduto. Voi sarete libe­ro... Pur che sia dimostrato che la mia morte non è stata provocata da voi...

PAOLO                         - Da me? Anche assassino, adesso...

ANTEO                         - Caro mio... Bisogna essere pru­denti..

PAOLO                         - E se muoio io?

ANTEO                         - Tutto preveduto. Io incasso le no-vautascttc mila lire da una assicurazione che voi farete a mio favore e per la quale sul vostro stipendio mi tratterrò altre trecentoventicinque lire e ventisette centesi­mi a! mese... State tranquillo. Per incas­sare questa assicurazione io non posso uc­cidervi. Come vedrete nella polizza, es­sa non è liquidabile che per morte natu­rale... Non avrei alcun interesse.

PAOLO                         - Che atmosfera!...

ANTEO                         - Quella degli affari. Non cercate dì scappare perche vi raggiungo col codice in mano...

PAOLO                         - Ma e un'infamia!

ANTEO                         - Adesso non fatemi perdere tempo. Ho un appuntamento urgente. Questi so­no i vòstri contratti. Se volete, firmate. Se non volete andatevene via...

PAOLO                         - (prende m mano ì contratti e li getto vìa quasi subito, dopo ima breve occhiata).

ANNIE                          - (entrando) - Esci, papà?

ANTEO                         - Vado al parco... Ho un appunta­mento alle undici...

ANNIE                          - Alla tua età...

ANTEO                         -  Noti è per questo... Adesso non posso dire...

ANNIE                          - To'... Ma non è l'uomo della chi­tarra quello lì?...

ANTEO                         - Sì... Proprio lui. Forse diventa il mio segretario generale...

ANTEO                         - Ma papà... Che gente ti tiri in casa?...

ANTEO                         -  Ti spiegherò, ti spiegherò... (Vìa. ,è Paolo) Non badateci, è diffidente per na. tura (Atwr. ha un'occhiata di disprezzo per PAOLO ed esce).

PAOLO                         - (ha uno scatto dì bile; medita utt po­co, poi rabbiosamente firma ì contratti; SÌ siede affranto nell'atteggiamento del ragazzo dispettoso che è stato messo in castigo).

TELA

 

ATTO SECONDO

 Scena come al fecondo quadro iti primo atto. Quando ci alga la tela  PAOLO     - e idratato mi­la scrivanie del principale e canticchia. (Il telefono squilla.  PAOLO           - fermo. Squilla ancora.  PAOLO     - sì secca. Terso squillo.  PAOLO        - si decide a rispondere).

PAOLO                         - Ma che cosa c'è? Sicuro, Società Diana per la fabbrica di macchine agri­cole. Precisamente, io sono il segretario generale. Ma scusi, un momento, mi lasci parlare. Se lei continua con quell'accento teutonico non ci intenderemo mai. Ma che, ma che... Non dica idiozie... Se vuole una buona seminatrice vada alla Lom­barda, via Corso è0. Le fa meglio di noi. Ma faccia quello che vuole, io "me ne in­fischio. (Depone il ricevitore e riprende la posizione di prima).

MIMI                             - (entra con grembiule da dattilografa e si avvicina a PAOLO con delle eerte in mano) - Ci sarebbe da firmare...

PAOLO                         - Importanti? (Discende dalla scri­vania).

MIMI                             - Una. E’ una ordinazione di cento macchine seminatrici per Tripoli. Ce le ha ordinate il nostro rappresentante.

PAOLO                         - (le straccia) - Mi dia anche l'ordina­zione. (Straccia anche quella) Ecco fatto.

MIMI                             - Un bei modo di sbrigare gli affari. (// telefono squilla di nuovo).

PAOLO                         - Pronto. Ah, è ancora lei? Ma si, ma si... Senta, se lei mi rende inabile al la­voro mi fa un piacere. E poi non ho tem­po <k perdere con delle teste quadre co­me lei. (Depone il ricevitore).

MIMI                             - Ma che cosa fa?

PAOLO                         - Lo sa benissimo quello die faccio. Sono stanco. Non ne posso più. Non ho altra via per liberarmi!

MIMI                             - Credevo che si fosse rassegnato, ora­mai. Dopo tre mesi.

PAOLO                         - Rassegnato? Mi faccia il piacerei... Dica che ho perduto la speranza di met­tere le mani su! vero ladro.

MIMI                             - Trovarlo... Lei dice che è «tato quel­lo lì...

PAOLO                         - E chi può «ssere? O il medico, o l'a­moroso della panchina. Il MEDICO no-Dunque...

MIMI                             - E lei crede che sarebbe riuscito a far-gli confessare la verità?

PAOLO                         - Naturalmente. Non sa niente, lui, che il resto l'ho trovato io.

MIMI                             - Già, Ma chi sa dove è andato!...

PAOLO                         - E me ne voglio andare anch'io. Lontano da questa gente, da questa pri­gionia... Basta!... Sono giovane, io.

MIMI                             - Credevo che lei si fosse rassegnato... per amore della signorina...

PAOLO                         - Della signorina Anni Nemmeno per sogno! Non l'ho mai potuta vedere. Anzi è stata la sola mia soddisfazione qui dentro, di trattarla come una dattilo-grata.

MIMI                             - Grazie.

PAOLO                         - Scusi... Non «o più nemmeno quel che dico. Mi pare di impazzire.

MIMI                             - Non sì agiti cosi....

PAOLO                         - Ma io sono condannato alla galera! Ci pensa? Sempre queste quattro pareti, tempre questi mobili, sempre queste let­tere, questo gergo, queste tacce...

MIMI                             - Grazie di nuovo.

PAOLO                         - Tutte le volte che vado alla finestra e vedo l'orizzonte alla mattina, mi prende uno stringimento al cuore... Non sono più libero, capisce?... No, no. (Con subitanea decisione) Mi deve licenziare.

MIMI                             - In queste condizioni è difficile...

PAOLO                         - E se gli rovino l'azienda?

MARIANI                     - (un vecchio impiegato con papalina e occhiali e soprammaniche di raso) - Be' ma, dico> che cosa succede? Scusi, ma non si puù lavorare con questo fracasso... (Dietro Mamami compaiono le teste di al­tri impiegati e altre dattilografe).

PAOLO                         - Come sono sensibili...

MARIANI                     - (con tono di rimprovero) - Giova­notto...

PAOLO                         - Che?

MARIANI                     - (si avanza solennemente puntando una penna contro Paolo: dietro di luì gli altri impiegati avanzano ma non troppo) • Da qualche tempo a questa parte o lei e impazzito o ha qualche oscuro fine da raggiungere. Io ci vedo una manovra del­l'alta finanza.

PAOLO                         - Ma che vi salta in capo?

MARIANI                     - Mi salta in capo e salta in capo anche a tutti 1 miei compagni di lavoro. che voi volete rovinare l'azienda. Tanto e vero che tutta l'amministrazione da una settimana a questa parte non fa altro che lavorare per rimediare ai vostri pasticci, per riempire i trabocchetti che voi aprite sotto i piedi del nostro principale.

PAOLO                         - Ma si puà sapere di che cosa vi im­mischiate?

MARIANI                     - Noi abbiamo delle famiglie da mantenere.

PAOLO                         - Ma io non ci ho nemmeno pensato, ai vostri piccoli interessi.

MARIANI                     - Piccoli? (Si volta indietro) Dice piccoliI Ma allora lei è matto...

PAOLO                         - Se resto qui impazzisco davvero.

MARIANI                     - Ed erano degli anni che io meri­tavo il posto che le è stato affidato... Ed è stato dato a lei che... Oh... É stato uno scandalo per tutta la cittì,

PAOLO                         - II mio posto? Ma ve lo lascio, il mio posto, ve lo lascio volentieri... Credete che  mi diverta a fare quello che faccio? Lo ve Io dico chiaro: Voglio essere licenzia­to... Voglio uscire di qui, non Vedere più nessuno di voi. Quando vedo la vostra fac­cia, caro Mariani, ho più spavento di quel­lo che proverei se mi si mostrasse il mio teschio scarnificato...

MARIANI                     - Io un teschio? Ma siete spaven­toso!

PAOLO                         - Fate una cosa... Comunicate il vo-stro spavento al principale. Ditegli che ogni ora che io passo qua dentro può es­sere fatale...

MARIANI                     - (ridacchiando) - Gii fatto... Ma lui non si spaventa di nulla. Gli autisti della città lo chiamano

ANTEO                         -  senza paura, Voi dovete andarvene per conto vostro...

PAOLO                         - Non posso, Mariani, non posso. Se potessi, parola d'onore, lo farei subito...

MARIANI                     -  Sta bene. Allora vi avverto che se lo sconcio non finisce, ricorreremo alla violenza, E legittimo...

PAOLO                         - Alla violenza?... Ma badate a quel­lo che dite...

MARIANI                     - Oh, tutto regolalo... Ci sono due giovanotti tra noi che sanno date i pugni negli occhi, con tutta la precisione che occorre per rispettare il massimo dì degen­za concesso dal codice penale. State in guardia... Andiamo. (Via).

PAOLO                         - (ri pensa su) - Quanto è il massimo dì degenza concesso dal codice penale?

MIMI                             - Non lo io.

PAOLO                         - Se ne informi. Sono pronto a qual­siasi sacrificio.

MIMI                             - Sta proprio tanto male qui? Ma in­fine i un buon impiego, un pane sicuro.

PAOLO                         - Ah... Sa lei che cosa si mangia col pane sicuro? Ci *i mangia il fegato, il cuore, il cervello. Ma li vede costoro, co­me sono ridotti? E poi il lavoro deve es­sere libero, volontario...

MIMI                             - Se sapesse che male ho alle spalle! Alle volte vado a casa cosi stanca che non ho nemmeno voglia di mangiare e mi sento come malata...

PAOLO                         - (la guarda un attimo) - Ma, insomma io penso che devo star qui sedici anni e due mesi, sedici anni e due mesi...

MIMI                             - Ma è così in tutte le cose lei?

PAOLO                         - Certo.

MIMI                             - E se una donna le dice sempre?

PAOLO                         - Sempre è una cosa. Sedici anni e due mesi è un'altra. Se invece dì dire « ri amerò sempre » si dovesse dire «. ti ame­rò per sedici anni e due mesi» la cosa camberebbe significato... Senta, signorina, se io... (Si interrompe) Mi pare che qual­cuno venga di là... Vada via... (MIMI esce.

PAOLO                         - si sdraia sulla scrivania dopo avere prudentemente guardato dalla parte degli impiegati).

ANNIE                          - (entra da destra) - Oh... Scusi se la disturbo, signor segretario.

PAOLO                         - (senza dimostrare nessun parlìeokre interesse alla donna) - Ab, è lei?

ANNIE                          - Mj dispiace dì averla fatta alzare troppo presto...

PAOLO                         - Pazienza...

ANNIE                          - Sa niente di mìo padre?

PAOLO                         - In fabbrica. Credo che debba tor­nare fra pòco.

ANNIE                          - Gli dica che debbo parlargli quan­do ritorna.

PAOLO                         - Non .sono il segretario della fami­glia,

ANNIE                          - Troppo giusto. Un'altra al niio po­sto direbbe che con una donna ci sono dei doveri. Ma io intendo le cose in modo piìi moderno...

PAOLO                         - Me ne sono accorto.

ANNIE                          - Benissimo. Lo aspetto qui. Lei può anche ricominciare a dormire.

PAOLO                         - Non posso dormire se un estraneo mi guarda.

ANNIE                          - Non la guardo. Stia tranquillo.

PAOLO                         - Insomma... La verità e che quando io dormo sulla scrivania russo molto forte...

ANNIE                          - Lodevole pudore, allora... Be', stia un poco in piedi che le fa bene. Faccia due passi. Oppure prenda la sua chitarra e suoni una canzonetta... L'ha, la chi­tarra?

PAOLO                         - Sicuro che l'ho. È là dentro.

ANNIE                          - Bravo. E tiene allegri gli impiegati ?

PAOLO                         - Ci vuole altro! Sono tutti steriliz­zaci...

ANNIE                          - Ma lei ci riesce...

PAOLO                         - Io?

ANNIE                          - Mi dicono che ne h dì tutti i colori.

PAOLO                         - Cara signorina... Se lei sapesse...

ANNIE                          -  Lo so. Lei è  un poeta. Non può occuparsi di cose rurali.

PAOLO                         - Me ne occupo il tanto che basta a fare andare in malora il principale.

ANNIE                          - Il principale si diverte.

PAOLO                         - Si fida molto della sua fortuna.

ANNIE                          -  Già. Ma io non sono affatto tran­quilla...

PAOLO                         - Non può èssere tranquilla. Come fa? è un momento che io...

ANNIE                          - D'altra parte lei deve restare qui...

PAOLO                         - Lei sa la faccenda?

ANNIE                          - Tutto, mio padre non mi tace nulla.

PAOLO                         - Lei trova giusto quello che mi ha fatto?

ANNIE                          - Giustissimo. Trovo ingiusto quello che lei ha fatto a lui e più ancora quello che lei sta facendo.

PAOLO                         - Ah... Trova giusto... Ma come, io trovo tremila lire...

ANNIE                          - Conosco, conosco il problema. Ma in definitiva se lei e rimasto vuol dire che ha compreso tutta l'importanza giuridica della casa...

PAOLO                         - Un ricatto.

ANNIE                          - Sarebbe un ricatto se mio padre fosse certo come lei che il colpevole è un altro. Ma mìo padre non è certo. L'affare che ha fatto è ottimo.

PAOLO                         - Ma lei che cosa ne pensa?

ANNIE                          - Io penso che le è caduta una tegola in testa.

PAOLO                         - E allora?

ANNIE                          - È lo stesso.

PAOLO                         - Senta, signorina ; che suo padre che è un uomo rotto agli affari sia cosi duro da non sentire k inumanità di questo at­to, pazienza; ma lei, una donna... Un po' di carità.

ANNIE                          - Non basta. Ci vorrebbe anche un po' dì fantasia. Forse non ne ho. Non rie­sco a commuovermi delia sua sorte. Lei ha trovato una situazione economica che, così come sta, è assai migliore di qualun­que altra. Di quella che aveva, certo. Da un male, per lei, è venuto un bene.

PAOLO                         - Ma che donna è. lei? Che don­na è?...

ANNIE                          - Una donna moderna, semplicemen­te, È inutile che lei mi guardi con quegli occhi vitrei...

PAOLO                         - E una donna moderna deve essere senza cuore?

ANNIE                          - Chi le ha detto che sono senza cuo­re? Perché dimostro di avere una coscien­za pratica? Ma, caro il mio giovanotto, una donna oggi ha una missione piò larga di quella di un tempo. Una volta era soltanto l'angelo della casa,

PAOLO                         - Adesso è il demonio del mercato...

ANNIE                          - Non faccia dello spirito. Adesso è un elemento necessario alla vita pubblica. È una entità economica...

PAOLO                         - Economica poi no!

ANNIE                          - Insomma io ho approvato mio pa­dre nei suoi riguardi perché ho trovato che la cosa ì giuridicamente regolare e nello stesso tempo utile all'azienda. Il bi­lancio di quest'anno segna una depressio­ne... Si deve anche provvedere all'innesto di nuovi capitali...

PAOLO                         - E » nuovi capitali li devo dare io?

ANNIE                          - Oh, sciocchezze, quelle. No, no. Mi sono fidanzata, per questo. Come vede, anch'io assumo la mia parte. Ma appunto per questo, non possiamo cacciar via no-vantasctte mila lire sulle ali del senti­mento...

PAOLO                         - Ma lei mi fa paura... Pare un conto corrente...

ANNIE                          - lo sono orgogliosa che mio padre mi abbia educata a comprendere la sua vita. E non sono niente affatto un feno­meno. Più o meno tutte le donne sareb­bero come me, con maggiore o minore franchezza. Non creda, sa, alle svenevo­lezze. Le fanno perché credono che siano necessarie alla vostra fantasia. Ma fra cin­quanta o cento anni, tutte le donne com­prenderanno che il loro vero dovere non è di servire delle effimere illusioni, ma delle realtà concrete. Saranno al fianco dei loro uomini, non solo in casa, ma an­che nella battaglia della vita, coi figli e col lavoro,

PAOLO                         - E siccome lei è un precursore io de­vo restare qui inchiodato come un
Cristo...      

ANNIE                          - Ecco... Di questo appunto volevo parlarle.

PAOLO                         - Ah, è venuta apposta?

ANNIE                          - Sì. La sua condotta mi fa paura, N«» condivido la disinvoltura di mio padre. La prego... Non faccia più tutte quelle sciocchezze... Esse sono un perico­lo... Un pericolo grave, che lei non ca­pisce...

PAOLO                         - Ah... (Trionfale) Ebbene, o mandar­mi via o... Una volta » l'altra...

ANNIE                          - Ma dove vuole andare?... Lei non ha affari da nessuna parte. Niente dì serio che l'attenda in qualche luogo... Non ca­pisco... Questa mania di andarsene... E dove?...

PAOLO                         - Ma non lo «>*,. Lei non ha mai prò-vato un'impazienza, una fretta impiega­bile e come la coscienza che in fondo a qualche strada lontana si debba incontra­re il caso, la fortuna, l'amore...

ANNIE                          - (ridendo seccamente) - No davvero.

PAOLO                         - La compiango,

ANNIE                          - . Lei crede che ce ne jiano molti cosi?

PAOLO                         - Oh, moltissimi. Quasi tutti. Ma, si­gnorina, è la prima cosa che si sogna, ap­pena aperti gli occhi alla ragione. Par­tire. È una speranza di conquista e di dominio che è comune a tutti. La fortu­na, la ricchezza, la gloria, la avventura! fdealj antichissimi! Non ci sarebbe vera giovinezza senza questa speranza. E poi, come devo dirle? Il mondo è tanto gran­de e ha tante bellezze!... Il pensièro di non goderle per quanto è possibile, mi pa­re un tradimento, una viltà... Un rasse­gnarsi a non capire...

ANNIE                          - (pausa) » Ma non pensa a niente lei?

PAOLO                         - Oh, c’ sempre tempo per mettersi a fare tranquillamente dei conti. Tanto la giovinezza non si può risparmiare... Chi non la gode come il buon Dìo comanda, non se ia ritrova poi dentro la cassaforte... E allora... Venticinque anni, signorina, venticinque anni... Che sete di sole e di spazio...

ANNIE                          - . Ma la smetta.-.

PAOLO                         - « Che ha?

ANNIE                          - (vìncendo un breve imbarazzo) - Lei non se ne accorge, ma mi pare che stia suonando la chitarra...

PAOLO                         - Ah, sì? E allora, parliamo sema musica... In prosa...

ANNIE                          - Preferisco.

PAOLO                         - Vuol sapere che còsa penso di lèi?

ANNIE                          - Non mi interessa. E pi, a che pro­posito?

PAOLO                         - Senza proposito. Un capriccio...

ANNIE                          - Sentiamo.

PAOLO                         - Lei mi è antipatica. Lei è una stu­pida pupattola senza anima e senza vita...

ANNIE                          - Ma che cosa dice?

PAOLO                         - Una falsa intellettuale che cerca di nascondere con dei ragionamenti idioti la sua vergogna d'essersi venduta a un mer­cante di bestie...

ANNIE                          - Oh, questo poi! (Gli dà uno schiaffo).

PAOLO                         - Oh... Finalmente, Incomincia ad ac­cadere qualche cosa.

GIULIO                         - (entrando) . Sé qui? Come va die sei qui? (Li guarda) Siete rossi in faccia tutti e due... Che cosa è accaduto?

ANNIE                          - Rosso lui soltanto... e soltanto a de­stra. Gli ho dato uno schiaffo...

GIULIO                         - Te l'ha restituito?

PAOLO                         - No... Si tratta di un dono...

ANNIE                          - Gli spettava... Andiamo,

GIULIO                         - Ma insomma, sì può sapere? Ha detto forse che ti ama?

ANNIE                          - No, no... Si permette dì parlare di te...

Di me? (A Paolo) Vi proibisco di (are degli apprezzamenti sulla mia intel­ligenza.

ANNIE                          - Ma lascia andare... fe finita cosi...

PAOLO                         - Ma c'è da impazzire... Finita cosi? Ma allora, che cosa devo (are per far sal­tare in aria il vostro carattere?

GIULIO                         - Che curioso programma vi siete proposto!

PAOLO                         - Signor Giulio... Lei è molto robu­sto e credo che non saprì percuotermi con un certo equilibrio... Ma non fa nien­te. Non m'importa di una settimana più o mtao d'ospedale...

GIULIO                         - Ma che dice?

PAOLO                         - Io non ho fatto degli apprezzamenti sulla sua intelligenza... Sono inutili-perche l'argomento non si presta a discus­sioni. Io ho detto invece...

ANNIE                          - Ma tacete... Basta...

PAOLO                         - Dico tutto... Ho detto che la signo­rina la sposa unicamente perché' lei è ric­co... Si vende, ecco tutto... E adesso voglio agg,ungcre un'altra cosa in via del tutto confidenziale, ed è che lei sarà tradito Ap­pena la cosa non turberà il buon anda­mento della fabbrica.

GIULIO                         - Ma dico... Dì che s'immischia costui?

ANNIE                          - Fermo, Giulio. (Queste due parole sono quasi gridate; segue una pausa duranle la quale

ANNIE                          - si torce te mani dì vergogna e di imbarazza; a un tratto pare decìsa ad andarsene, ma poi, fatto un pas­so, ritorna sulla sua decisione e affronta Paolo) Io... io non sono una ragazza qualunque...

GIULIO                         - Questo non l'ha detto, veramente...

ANNIE                          - Io non sono una ragazza qualun­que... Sono ricca, io. Capisce che cosa vuol dire essere ricchi?

PAOLO                         - Purtroppo no.

ANNIE                          - Oggi è una fatica, sa? Quando si è ricchi, si ha il dovere di conservare e di difendere la nostra ricchezza e allora bi­sogna cercare un aiuto in quella degli altri.

GIULIO                         - Si capisce.

ANNIE                          - E non tanto per noi, ma per tutti... Anche per lei... Trentanni ha lavorato mio padre per questa fabbrica. Trenta anni. Tutta una vita. Lei parla di senti­mento, di anima, di cuore, Ma che cuore avrei io, se per uà capriccio della mia fantasia lasciassi che tutto questo andasse all'aria?-..

PAOLO                         - Ma perché deve andare all'aria?

ANNIE                          - Lei intanto fa quello che puà. Ma poi vorrei vederti, mk> allégro signore, a tu per tu coi bilanci e sotto la continua minaccia della crisi che ha travolto unta gente...

GIULIO                         - Si sta in piedi per miracolo.

ANNIE                          - E io dovrei star qui a suonare Cho-pin al pianoforte, a dare il tè delle cin­que, a fare delle porcheriole con qualche spiantato senza preoccuparmi di mio pa­dre, del suo lavoro, dell'opera che ha co­struito in tanto tempo?... (Pausa).

GIULIO                         - (solenne) - Risponda!

ANNIE                          - Lo sa che questa fabbrica ha inte­ressi in tutta Italia? Lo sa che abbiamo cento impiegati e più di mille operai? Lo sa che centinaia di famìglie mangiano e vivono soltanto se le nostre macchine lavorano? Ebbene, perché questo continui, bisogna che io mi sposi costui...

GIULIO                         - Logico!

ANNIE                          - Una volta le principesse erano bene­dette da tutto un popolo, quando sposa­vano un uomo mal visto per ragioni di Stato. Ebbene, io sono orgogliosa di sacri­ficarmi allo stesso modo. E’ non dico pro­prio un popolo, ma molta gente mi deve benedire. Capito? Senza contare che, alla fine, il mio fidanzato sari quello che sarà, ma almeno io I*ho visto.

GIULIO                         - Eh... Mi ha visto!

ANNIE                          - Non me Jo sono nemmeno proposto, io, un problema fondamentale! Un giorno ho sorpreso il mio fidanzato...

GIULIO                         - Io...

ANNIE                          - Tra le braccia della otta dama di compagnia... Crede lei che io non avrei ascoltato volentieri la voce della mia di­gnità? Invece...

GIULIO                         - Non ha detto una parola...

ANNIE                          - E che importa?

GIULIO                         - Scioo-hezze...

ANNIE                          - Capisce? Capisce? (Con ira e m tre­mito commosto nella voce) No, lei suona la chitarra, lei non capisce niente... Non capisce niente. (Via in fretta). (Giulio e

PAOLO                         - si guardano un poco),

GIULIO                         - Voi non capite niente.

PAOLO                         - SI, si, deve essere cosi, perché ee una donna mi avesse detto la terza parte di quello che le ha detto adesso la sua fidanzata, credo che mi getterei dalla fine­stra. E lei se ne compiace 1

GIULIO                         - Senti chi parlai Prende degli schiaf­fi e si da anche delle arie...

PAOLO                         - E va bene. Non c'è niente da dire... Ma allora bisogna mandarmi via... Se no la fabbrica va all'aria...

GIULIO                         - Va all'aria? Fallisce?... Siete sicu­ro?... Dico... Ci devo mettere dei «oidi... E perché fallirebbe?

PAOLO                         - Perché la faccio fallire io. Stia a ve­dere se non ho ragione... (Si sdraia sulla scrivania).

ANTEO                         -  (entra giulivo) • Eccomi qua... Tutto va bene, tutto va benissimo... (A Giulio) Oh, chi si vede?... Sapete... (Sì sente rus-, sare

PAOLO                         - e allora

ANTEO                         -  prende a lato Giulio e gli parla sottovoce per non di­sturbare) Sono stato dal notaio... Tutto è pronto... Non c'è che da firmare e la  maggioranza è nostra. Ora voglio larvi vedere lo stato azionario attuale perché vi facciate un'idea.

GIULIO                         - No... Non importa.

ANTEO                         - Perché? Eravate cosi impaziente...

GIULIO                         - SI, ma adesso...

ANTEO                         - Aspettate... (Va verso Paolo) Dor­me come un bambino... Coi pugni chiusi; forse sogna... Paolo... Paolino...

GIULIO                         - Ma è il colmo... Se io avessi un impiegato cosi...

ANTEO                         - Aspettate prima di giudicare... Paolino! Un momento solo che prendo una piccola, piccola carta che resta pro­prio sotto il vostro, (Tira la carta) sotto il vostro... Eccola qua! (Torna a Giulio) Questo è lo «aio azionario che voi potete esaminare con vostro comodo. Adesso ne facciamo battere due copie a macchina e lo fate vedere anche al vostro papà... Poi, potete andare dalla vostra fidanzata e dir­le che la data del vostro matrimonio è fissata. Fra un mese...

GIULIO                         - Ma non c'è frettai

ANTEO                         - Come non c*è fretta? C'è fretta A...

GIULIO                         - Ohe, giovanotto, finitela di fare la commedia, «vegliatevi...

PAOLO                         - Dove sono?

ANTEO                         - In ufficio, caro... Siete nel vostro ufficio e state lavorando.

PAOLO                         - Oh, buon giorno,

ANTEO                         - Comodo, comodo, prego... State at­tento a non rompere la chincaglieria. (Un calamaio va a terrà) Be', fa niente...

PAOLO                         - Come va, vecchio mio?

ANTEO                         -  (vedendo ckt

PAOLO                         - sì agita come cài sia stato scomodo) - È un po' dura quel­la scrivania, no? Volete che vi facciamo mettere degli elastici?

PAOLO                         - Non amo le mollezze... Sapete... Ha telefonato Battutali.

ANTEO                         - Quello che parla tedesco?

PAOLO                         - Sì.

ANTEO                         -  (battendosi la fronte) - Ecco che cosa vuol dire una distrazione. M'era passato di mente... E’ per quella ordinazione di aratri...

PAOLO                         - Già...

ANTEO                         - Avete concluso?

PAOLO                         - (provocante) - No... L'ho trattato ma­le al telefono e l'ho mandato al diavolo, in malo modo. Gli ho anche detto che se vuole degli aratri vada a prenderli dal­la Fabbrica Lombarda che li fa meglio di noi,

ANTEO                         - Voi avete fatto questo?

PAOLO                         - Sicuro.

ANTEO                         - Che Dio vi benedica... Quell'uomo sta per essere arrestato per falso. Voi ave­te salvato la ditta da dei pasticci noiosis­simi... Caro Paolo... Quando dico che vrà avete il genio delle cose assurde... Io • dico la verità... Vorrei abbracciarvi. (A Giulio) Avete visto? Un portento...

PAOLO                         - (dopo un attimo di abbattimento, pie­no di speranza) - Ma c'è dell'altro...

ANTEO                         - Sentiamo, sentiamo...

PAOLO                         - L'ordinazione del nostro rappresen­tante di Tripoli... Per cento seminatrici...

ANTEO                         - Ebbene?

PAOLO                         - Tutto all'aria...

ANTEO                         -  (ti siede) - Che |iaur« avevo preso...

PAOLO                         - Perché?

ANTEO                         - Vivere nel mondo degli affari, oggi, è difficile, difficile... O avere cento occhi, cento orecchie, cento mani... Oppure un. segretaria come voi...

PAOLO                         - Va bene, ho capito. Ho fatto bene insomma. (Arrabbiandosi) Ho fatto bene? Xo sono un uomo prezioso?

ANTEO                         - Ma sì, ma sì caro... Non è la prima volta, perche ti arrabbi?

PAOLO                         - Perché mi arrabbio? E me io chie­de  lei,  proprio lei...

ANTEO                         - Lo so caro, lo so... Tu cerchi in tutti i modi di rovinarmi, e non ci riesci, ecco tutto- Che cosa vuoi farci? Se avessi venduto quelle seminatrici avresti fatto un pessimo aliare, perché per il mese prossi­mo avremo un aumento dei prezzi. .Sei ut» mago, uri talismano vivente. Quando mo­rirai li creeranno protettore ed eroe della burocrazìa... col motto; fare a rovescio e speriamo in Dio. Ti nomino senz'altro segretario generale...

GIULIO                         - Ma allora... Datemi quella situa •/ione... Dov'è? (Prende ti foglio the ave va gettalo e lo 'inteseti) Vado subito dal mio avvocato e ci metteremo d'accorcio... faremo delle grandi cose insieme, caro suocero... (Esce).

ANTEO                         - Benissimo, benissimo, C'è altro?

PAOLO                         - No.

ANTEO                         - Hai dimenticato mente? Guarda bene... Tu sci tome le s|x»tc de) vecchio natale... Sì spera sempre che i» fonilo ci sia ancora un altro dono.

PAOLO                         - Ah, sì... tira che ci penso: c'è un .litro dono!

ANTEO                         - Caro? Che brivido... Mi dai la de briosa sensazione dcll'ìnvcstimchlo auto­mobilistico.

PAOLO                         - Questa volta niente assìruraziotic. Ho insultato sua figlia,

ANTEO                         -  (attirato)  Cosa?

PAOLO                         - Le ho detto della stupida, le ho detto che si vende a un imbecille...

ANTEO                          - (serio ed energico) Ali... Basta! Qur sto è troppo... Non ci credo...

PAOLO                         - Mi ha schiaffeggiato... Glielo do mandi.

ANTEO                         - Ah, ma io non le posso permettete queste cose... Lei si è comportato...

PAOLO                         -  Come un villano, un teppista...

ANTEO                         - Alt, alt, alt... Un momento... (Cau­ta: il suo volto si rasserenò) .Scusami. Non ti avevo capito.

PAOLO                         -  Adesso riti rifigraaiia anche di questo.

ANTEO                         - Ringraziarti no, questo no... Ma. pensa, se invece di uno schiaffo fra te e lei ci fosse stato un... basta così... Te lo do io. (Lo htiéid).

PAOLO                         - (<i siede affranta).

ANTEO                         -  (guardandola eoi) erjmpmeerteti)  Perché la, poi, sei anche beilo. Sì, via, non c'è male. Ite", anche questa è scam­pata. E Rasano, vai, caro, vai a combi­nare qualche malanno in ufficio. Quello che vuoi, quello che vuoi...

PAOLO                         - (si alza e guarda torvo ANTEO) -Vado...

ANTEO                         - Ma via, non guardarmi cosi. Perché mi odii?...

PAOLO                         - No, non Ut posso odiare. Per quanto io cerchi non ci riesca. Perché una giu­stizia c'è... Una vendicatrice c'è... Eh, an­che la fortuna, ia sua sfacciata fortuna, ha dei capricci,

ANTEO                         - Che ti salta in mente adesso?

PAOLO                         -  Ci siamo fidanzati con l'avventu­riera, non è vera? Bella fidanzata;.. Bel contrattino onesto...Anteo (terlo, confuso e desiderato dì Inter-rompere qua/io discorso) - Be', adesso la­scia andare... Queste sono cose che non ti riguardano l'aoto - Belle cose... Stava per portarsi via il capitale del signor Giulio, Stava per mandare avanti quell'altro bel contrattino vincita che eia il matrimonio di sua fi­glia e noi, caro principale, ce la sposia­mo, eh? Ci sposiamo l'amarne del ge­nero.. Astisi) - Non è stata la sua amante, prima di tutto...

PAOLO                         - C'è mancalo poco... .Ma te la spo­siamo lo stesso. Vero?  Ma bravi!!!

ANNIE                          -       - Insomma!

PAOLO                         - Timo il mondo ammira questa bella combinatone morale e finanziaria e si diverte. Sì, signore, si diverte alle vostre rispettabili spalle.

ANNIE                          -   Insomma, basta... E parla piano...

PAOLO                         - No. lo parlo forte, io parlo l'urte... (tfìndaxdù verso l'ufficio) Lei si sposa una donnaccia!..

ANNIE                          - Ma taci' Non è bello questi.»... Mi ha preso per il collo,  Minaictava  scandali...

PAOLO                         - Eh, lo so... Ma adesso finalmente tocca a lei adesso, fare il contrario di quel che desidera, sentirsi alla gola il nodo scorsoio del ricatto. Lei ha subito un ri. catto, E io rido, io rido, io rido... (Non ride affatto).

ANTEO                         -  Ma ridi o non ridi?

PAOLO                         - Non rido perchè alla fine lei una giustificazione l'ha. Almeno, con questo imbroglio immorale, spera di proteggere questa  famosa azienda...  Ma  io...  io...

ANTEO                         - Senti... Parla piano... Facciamo un affare...

PAOLO                         - Che aliare?

ANTEO                         -.Ma poi noti gridare, flon fare salti, non dare in escandescenze.

PAOLO                         - Sentiamo.

ANTEO                         - Hai ragione. Ho molto riflettuto su questa faccenda. Mi sono lasciato pren­dere, così... Ma non posso, non posso fare questa cosa... E’ ignobile... Jo voglio stil­iamo tenere a bada miss Jane fin che non si siano sposali quei due, ma poi..

PAOLO                         - Sia (resto. Appena sa che si sjjosano fra un mese...

ANTEO                         - Non lo deve sapere, per ora... In­tanto tu... Tu dovresti liberarmi di quel­la donna!

PAOLO                         - Io? Ma nemmeno per sogno... E Come faccio?...

ANTEO                         - Mandi all'aria tanti affari... Possibi­le che. tu non riesca a mandare all'aria questo?... Palle la eoric...

PAOLO                         - Ma è impossibile ingannare quella donna sulle mie reali condizioni finan­ziane.

ANTEO                         - Fai tu... Qualche cosa... La prima cosa the ti vien in mente. Sci sempre fe­lice...  Mi fido.  Fai iu. Quello che vuoi...

PAOLO                         - Ed è proprio lei che mi chiede que­sto favore?... Ma sa che lei ha uria bella faccia tosta1

ANTEO                         - Senti. Se mi liberi da quella don­na, io ti aumento lo stipendio.

PAOLO                         - No.

ANTEO                         -  Se mi liberi da quella donna io il aumento lo stipendio e ti faccio partire... per ima crociera di tre mesi.

PAOLO                         - La breve gioia del sabato? No! Anteo! Come sci ostinato... Lo so quello che vuoi... Ma come faccio senza di te?... (Con- uno sforzo) Se. mi liberi da quella donna, io libero te... Ecco... Ti lascio an­dare... Con la speranza che ritorni un giorno... ma ti lascio andare...

PAOLO                         - Davvero?

ANTEO                         - Parola.

PAOLO                         - (commosso, impuziente, rome cèrea»-da unir soluzione) - E tome faccio? Qual­che manovra indiretta... Non so...

ANTEO                         - Quello che vuoi... Quello che vuoi...

MISS                              - (entra in fretto) - Ma che cosa è ac­caduto? Annic si è buttata sul letto e piarle cèrne una disperata... Non l'ho mai veduta piangere'-.,

ANTEO                         -  Ah, ho capito. Ma avuto un diver­bio col nostro Paolino e lo ha schiaffes" glato...

MISS                              - Come? Piange quando dà gli schiaffi?

ANTEO                         - Strano... Come va questo aliare? Vediamo  un  po'.  (Si  muove per usare).

PAOLO                         - Ma forse ha saputo che si sposa fra un mese!

ANTEO                         -  (sulla soglia) E l'ha voluta dire!... E va bene' Quello che vuoi... Quello che vuoi... (Via).

MISS                              -  (i/ititimente, » Paolo) - Ma è vero che si sposano?

PAOLO                         - Sì, fra un mese.

MISS                              - Ah... E non mi dicessi nulla...

PAOLO                         - Se posso permettermi una informa­zione confidenziale, credo che il signor

ANTEO                         -  non abbia nei riguardi àé suo ma iriffionio delle intenzioni serie...

MISS                              - Crede? Può darsi. ( vecchi jono tan­to volubili. Del resto, ili via del tutto con fidenziak-, le dirò che non sono innamo­rata di lui.

PAOLO                         - L'avevo sospettato.

MISS                              - tei è acuto. Ma se ANTEO crede dì li­berarsi di me, Si sbaglia.

PAOLO                         - Oh, visto che siamo su un terreno così delicatamente sentimentale, si potreb­be tentare... Quando, per esempio?

MISS                              - Oh, per carità. Io la ringrazio della sua informazione, Mi sarà molto utile. Vedrà che Giulio si sposerà dopo di me, o con me... Ma la cura dei miei affari la lasci a me. Lei pensi ai suoi... Non si è accorto di niente?

PAOLO                         - Di che?

MISS                              - Lei non sa perché  ANNIE piange?

PAOLO                         - No.

MISS                              - Perché le ha dato uno schiaffo. Non sa che cosa vuol dire quando una donna percuote e poi se ne comtnwyve? No? Ma sa che lei è molto indietro?

PAOLO                         - Lei vorrebbe dire che la signori­na?... Ma mi faccia il piacere!

MISS                              - Come crede... (Una campanella suo-na a lungo) Che cos'è? La fine dell'o­rario?

PAOLO                         - SI... Un'altra giornata è pattata... Non posso sentire questo suono... È lugu­bre, tetro! Ma è impossibile che tutta la vita sia un collegio, una caserma, una prigione...

MISS                              - Io le ho dato 1» chiave della libertà...

MIMI                             - (entrando vestita per uscire) - Buona sera.

PAOLO                         - Buona sera. Sono già usciti tutti?

MIMI                             - Non so, ma credo. Lei resta?

PAOLO                         - Un momento.

MIMI                             - Lavoro straordinario?

MISS                              - Può darsi. (Ride.

MIMI                             - guarda nude la Mtsse se ne va).

ANTEO                         -  (entra).

MISS                              - E allora?

ANTEO                         - Niente. Non dice niente. Non si è lasciata commuovere nemmeno dalla let­tura del verbale dell'ultima assemblea azionaria...

MISS                              - Lo vedi che c'è sotto qualche cosa di grave?

ANTEO                         - Ma che! Stasera sapremo- Non mi stupirei che fosse a caus» di Giulio. Ca­pace di aver intrapreso qualche affare sen­za dirglielo... Sapete, lei vuole essere l'i­spiratrice.  Laura, Beattke... Letteratura...

PAOLO                         - Spavtntevole!

ANTEO                         - È un carattere... Bene, intanto an­diamo a prendere l'aperitivo.

MISS                              - Quando si sposano?

ANTEO                         -  . Fra un mese.

PAOLO                         - Se disturbo...

MISS                              - Prego... Tanto farà piacere anche a lei avere la comunicazione che il suo prin­cipale mi sposa fra quindici giorni. An­diamo. (Si avvta alla porta).

PAOLO                         - Complimenti, principale...

ANTEO                         -  (che trangugia la pillola) - Se non ac­cade niente... (Con intenzione a Paolo) Se non accade niente...

PAOLO                         - E che cosa?

ANTEO                         - (sulla porta) Quello che vuol, quel­lo che vuoi... (Esce).

(Rimasto solo. PAOLO fa tre passi oziosi per la stanza, poi si dirige vrso la porta dell'appartamento di ANNIE e mette la ma­no sulla maniglia; in questo stesso istan­te la porta si apre ed appare Amia; im­barazzo e sorpresa di tutti e due).

ANNIE                          - Ah...

PAOLO                         - Buona sera. Non c"è più nessuno...

ANNIE                          - Lei voleva aprire questa porta?

PAOLO                         - Io? No. Io giocherellavo con Ja ma­niglia... Mi diverto a giocherellare con le maniglie...

ANNIE                          - Voleva venire da me?

PAOLO                         - Non saprei a che fare.

ANNIE                          - • Per chiedermi scusa, per «empio!1...

PAOLO                         - Scusa? Dì che?

ANNIE                          - Credevo...

PAOLO                         - Lei piuttosto...

ANNIE                          - Oh, io sono meno prudente di lei. Io glielo dico francamente. È stata -la prima volta, oggi, che mi sono sentita di. sprezzata da qualcuno... Non sopporto...

PAOLO                         - Non ci badi, signorina...

ANNIE                          - Non sopporto! Non c'è ragione... Vorrei che lei capisse...

PAOLO                         - Signorina Annie, le chiedo scusa­lo ho detto delle cose impertinenti e «tupide, ma tei sa perché1 le ho dette... Per rendere impossibile la mia presenza qui.

ANNIE                          - Non me le avrebbe dette?...

PAOLO                         - Oh, no.

ANNIE                          - Ma le avrebbe ugualmente peniate.

PAOLO                         - (tace).

ANNIE                          -  Dunque vede... Le scuse non hanno importanza... Quello che io ho sentito, l'offesa del suo disprezzo, resta...

PAOLO                         - Ma, vede... (La guarda prudente­mente come misurando il colpo) Ci può essere una ragione che non offende. Alle volte un sentimento ne genera per reazio­ne un altro, dei tutto opposto... e allora...

ANNIE                          - Ma che cosa dice?

PAOLO                         - (stonalo) - Dico che... che l'amo.

ANNIE                          - (vivamente incalvando) - Cosa?

PAOLO                         - Non l'ha sentito? Ho detto che... l'amo,

ANNIE                          - To'... (Pausa gelida). '

PAOLO                         - Perché mi guarda così?...

ANNIE                          - (ravviandosi ì capelli e mettendoti « ridere secca) - Eh... Capirà... questa al­meno è una sorpresa... SI... Non mi a-spettava...

PAOLO                         - Ma che c'è da meravigliarsi?... Lei è cosi bella... Così dolce...

ANNIE                          -  Ma, dico, vuol burlarsi di me?

PAOLO                         - Oh, no... Perché?... Se vuole non dico più nulla,

ANNIE                          - No, no... Parli pure. Mi diverte. Nessuno mai mi aveva detto certe cose.

PAOLO                         - Adesso è lei che si burla di me.... Possibile?...

ANNIE                          - (ridendo) • Mi pare di vivere in un altro mondo, quando parlo con lei. Lei mi fa l'effetto come se fosse vestito alla moda dì mio nonno in un ritratto che abbiamo conservato. Un colletto alto co­sì, un cravattàio piccolo, piccolo, due baf­fi a riccio... (Ride) E dice... l'amo... Mi sono sempre domandata che effetto mi a-vrebbe fatto se me lo fossi sentito dire sul serio da un uomo... Una volta sola ini parve di desiderare queste parole, Ave­vo quindici anni e mi innamorai di un aviatore. Abiava qui vicino. Quando lo vedevo... uff... il cuore mi vampava... Che sciocca...

PAOLO                         - E lui?

ANNIE                          - Oh, adesso non cominciamo con le scene di gelosia... (Ride) Si dice così, no? Non ne sapeva assolutamente nulla e non mi guardava nemmeno... Perù, se mi avesse detto... (tende t'orecchio verso Paolo)

PAOLO                         - (intonando al discorso) - Ti amo...

ANNIE                          - ...Credo che avrei («ovaio qualche cosa...

PAOLO                         - Che non prova adesso...

ANNIE                          - Adesso provo soprattutto dello stu­pore, Lei è qui da tre mesi e io non mi sono mai accorta... Ma perché poi?

PAOLO                         - Non lo so. All'improvviso, un lam­po, come una intuizione...

ANNIE                          - Insomma, ieri non mi amava.

PAOLO                         - Forse, Ha mai notato lei che una parola appena pronunciata si dilata spa­ventosamente? Un'idea, assunta, cosi, per caso, allo stato di germe, di semente, fio­risce all'improvviso come se dentro di noi trovasse la sua primavera,

ANNIE                          - Che idea, per esempio.

PAOLO                         - Poco fa, quando mi ha dato «no schiaffo...

ANNIE                          - Quella non è un'idea.

PAOLO                         - Ma l'animo col quale me l'ha dato...

ANNIE                          - Tanto volentieri...

PAOLO                         - Grazie. Ha parlato in modo che m'è parso quasi nobile anche un matri­monio d'interesse.

ANNIE                          - Sì, ma lasciamo andare.... Non può essere questa idea che l'ha trasformata a mio riguardo... Non può ostie che lei mi ami proprio perché è arrivato a giustifi­care il mio matrimonio...

PAOLO                         - Eppure, per quanto possa sembrate paradossale, è così. Se non avessi capito che anche nei suoi calcoli fa del senti­mento...

ANNIE                          - Per carità... Non dica sciocchezze... Non ci comprendiamo...

PAOLO                         - Non ci comprendiamo ancora. Noi siamo come due stranieri che cercano di spiegarsi in una barbara mescolanza dei loro linguaggi.

ANNIE                          - È vero. Ho come l'impressione che sia la prima volta che ci incontriamo.

PAOLO                         - È la prima volta infatti. Io sono ar­rivato a lei proprio in questo momento dall'altra patte del mondo.

ANNIE                          - Insomma, lei, o partire « arrivare, purché «i tratti di una manovra ferro­viaria...

PAOLO                         - Lei cerca di scherzare per non sen­tirmi.

ANNIE                          - Presuntuoso!

PAOLO                         - Ma davvero lei uscirebbe di qui, adesso, tale e quale come è entrata?

ANNIE                          - Non so... Ma da questo a credere che dentro dì me ci sia una primavera pronta ad accogliere questa idea dell'a­more ci corre.

PAOLO                         - Non fa niente. Lei ricordi quello che le ho detto... di me, del mio cuore... che le voglio bene...

ANNIE                          - Non dice più: l'amo. Mi pare che abbia fatto un passo indietro.

PAOLO                         - O avanti?

ANNIE                          - Nel senio che lei incomincia a cre­derci.

PAOLO                         - Allora non dico più nulla. E’ troppo penoso, per me, sentire che la mia voce si disperde in un campo di neve senza echi. Ma perché è venuta stasera?

ANNIE                          - E quello che sto domandandomi da cinque minuti. Perché non me ne vado?

PAOLO                         - Vanità.

ANNIE                          - Oh!

PAOLO                         - Allora è va, po' <U bei»

ANNIE                          - Sinceramente, non le posso rispon­dere. Non starei qui a giuocare di parole. Non sano donna da gingillarmi «elle si­tuazioni... Le direi... Sì... ti voglio bene. Ma no... nott è questo...

PAOLO                         - Capisco. La lontananza che ci divìde non E’ dì quelle che si superano... almeno quando si hanno le idee che ha lei... Per­ché io sono povero e lei è ricca...

ANNIE                          -  Ancora... questo è di cattivo gusto...

PAOLO                         - Nel senso che lei è al di là delle speranze, mentre io non faccio altro die fabbricarne tutti i momenti... Anche adesso.

ANNIE                          - Perché al di là?

PAOLO                         - Perche1 la realtà le basta.

ANNIE                          - Voglio che mi basti.

PAOLO                         - E invece, a me, no. Sono povero, io. E se i poveri non sognano, come fan-no a vivere?

ANNIE                          - Che Cosa sognano?

PAOLO                         - Tante cose...

ANNIE                          - Tante cose vaghe, imprecise...

PAOLO                         - L'impossibile.

ANNIE                          - M» di fronte all'impossibile, siamo tutti poveri.

PAOLO                         - Ah, è innegabile che nei suoi pen­sieri è una grande quiete!

ANNIE                          - ft il compenso che te realtà elargi­sce a coloro che la amano e la servono. Cerchi di fate altrettanto anche lei...

PAOLO                         - A vantaggio della fabbrica....

ANNIE                          - Non solo... Ma anche per lei. Si provi...

PAOLO                         - A rassegnarmi?

ANNIE                          - A combattere. I cani che abbaiano alla luna disturbano la gente che sì ripo­sa dalla fatica del giorno.

PAOLO                         - Adesso è lei che mi dispreiza.

ANNIE                          -  Non ci faccia caso. Anche lei, fino a ieri. Eppure se h vero quel che dice...

PAOLO                         - Le voglio tanto bene... Tanto...

(Pausa)

ANNIE                          - Che cosa c'è? Ascolta il tonfo delle sue parole nella neve?

PAOLO                         - Senza echi,

ANNIE                          - Non ha ascoltato bene.

PAOLO                         - Dovrei forse gridare, piangcre...ÀH-nie, Annie, mi ascolti... da dieci minuti mi pare che il mondo si sìa capovolto. Tutto ho perduto di me, mito. Se mi guardo dentro non mi riconosco più. Mi dica ancora una parola, una parola sola e io sopporterò con 'Una gioia infinita qualunque destino, qualunque realtà...

ANNIE                          - Zitto, zitto... Io non le posso dire la parola che lei attende. Sono tanto con­tenta che lei abbia capito qualche cosa di me e le sono tanto grata di sentirsi cosi mutato... Ma io Jión posso dimenticare chi sono, che cosa debbo fare.... Oh, non creda che io stia facendo dei bilanci... Non è questo! Se potessi non riflettere....

PAOLO                         - (/a prende alle spalle) - Che cosa fa­rebbe?...

ANNIE                          - (che si state attratta dalla bocca dì Paolo) - No... (Con tino scatto) Ha vedu­to il panorama che offre quel balcone?

PAOLO                         - « Oh, una cosa orribile... Una parete rossa...

ANNIE                          - Piena di finestre che guardano «pia dentro...

PAOLO                         - Ah... Si... Chiudo...

ANNIE                          - Non ho detto per questo... (

PAOLO                         - ha chiuso e si è fatto baio; una debole luce piene soltanto dalla vetrata dell'uscio degli uffici) Che cosa fa adesso?

PAOLO                         - Al buio è impossibile riflettere.... (L'afferra e la bacia a lungo).

ANNIE                          - (sì ribella) - No... No... Che cosa fa?

PAOLO                         - Annie... Ho capito una cosa che mi hai detto... Hai ragione. La realtà può bastare...

ANNIE                          - Che cosa ha fatto? Che cosa ha fatto? Accenda la lampada...

PAOLO                         - No... Restiamo eoa ancori uft pò­co... Ma che hai... (L'abbraccia).

ANNIE                          - (dibattendosi) - No, no... Sono una ragazza onesta, io... Che cosa ha fatto?...

PAOLO                         - Annie... Ti voglio bene...

ANNIE                          - Anch'io, credo... Ma adesso la teak tà non mi basta più— Tutto all'aria... Quel che credevo... Quel che volevo.... (PAOLO    la bacia ancora). (Un'ombra si profila nella vetrata degli uffici. È MARIANI  che entra e, accesa la lu­ce, vede i due che sì baciano ancora. Ri­dacchia).

MARIANI                     - Ah, bene... Non chiedo scusa, perché costui certamente sapeva che io èro rimasto in ufficio e lo ha fatto a posta. Non mi resta che congratularmi con voi, giovanotto, a nome di tutto il personale...

PAOLO                         - Andate via... Andate via!

MARIANI                     - Ci riuscirete questa volta a farvi licenziare, eh?... Meno male.... (Esce ri­dacchiando).

PAOLO                         - (preoccupati) ad Annie) - Senti...

ANNIE                          - (a denti stretti) - Oh... È vero, Jt ve­ro... È per questo... Che brutta, piccola infamia...

PAOLO                         - Ma non è vero niente, Annie... An­che se le apparenze...

ANNIE                          - Basta, non dica più nulla... Ha giuo-cato una partita audace, giovanotto... Ed io ci sono cascata come una collegiale... Come una dattilografa... Ma l'ha perduta, sa... Perché mio padre non ne saprà nulla e tutto resterà come prima e anche lei...

PAOLO                         - E tu?

ANNIE                          - Io?... Io... io... (Esce in fretta),

MARIANI                     - (ricomparendo) - Avevo dimentica­to di «spegnere il tome. (Se ne va ridac­chiando).

PAOLO                         - Annie, Annie... Non ho mentito. Credevo, forse, ma poi... Non ho menti­to... Annie... Annie....

TELA

ATTO TERZO

Scena come al secondo. Quando si alza la tela PAOLO è in scene, Sulla sua scrivania i telefoni sono aumentati. Accanto a una macchina da scrivere, che prima non c'era, PAOLO sfoglia delle carte e risponde alle  telefonate.

PAOLO                         - (al telefono) - Sì. Va bene. (Depane. Altro telefono) Pronto. Sono io: si il se­gretario. Oh, bravo... A che ora? Benis­simo. Faccio a tempo. Ha presentato il progetto al direttore generale?... A riveder­la, speriamo. (Depone) Ma qui, dove è an­data a finire? (Suona un campanello).

MIMI                             - (entra) - Vuole?

PAOLO                         - Quel rapporto da portare su alle Bonifiche...

MIMI                             - MARIANI           - l'aveva portato.

PAOLO                         - Se lo sarà ripreso. Qui «or» c'è... Glielo chieda lei. E quelle lettere?

MIMI                             - Ma sono quindici... Un po' dì pa­zienza...

PAOLO                         - Si faccia aiutare... Dica a MARIANI che sì svegli... (Via Mimi).

Giulio (entra. PAOLO  si alza rispettosamente).

PAOLO                         - Buon giorno, signor consigliere de­legato.

GIULIO                         - Buon giorno. Niente di nuovo?

PAOLO                         - Ci sarebbe da decidere con questo affare delle Bonifiche... (A MARIANI che entra) Ma dove è il progetto... il rappor­to, Mi dice dove lo ha messo?

MARIANI                     - (uscendo in fretta) - Subito, subito...

GIULIO                         - E lei ci crede?

PAOLO                         - All'affare delle Bonifiche?

GIULIO                         - Ma che affare... Regalare le mac­chine agli agricoltori non può essere un affare.

PAOLO                         - Ma la cosa non finisce qui. Le bo­nifiche aumentano... durano, soprattutto... Se oggi andiamo incontro ai bisogni degli agricoltori, domani saremo i padroni del­la situazione.

GIULIO                         - Domani, domani. Io ho messo i miei. soldi in questa fabbrica oggi, anzi ieri, oramai. Non domani.

PAOLO                         - Noti si può pretendere di guada­gnare «ubilo,

GIULIO                         - Subito? È quasi un anno che io aspetto...

MARIANI                     - (entrando con seta affannoso) - Ec­colo, eccolo...

PAOLO                         - Caro Marsani, non «1 può andare avanti cosi...

MARIANI                     - Ma, vede... (Interrotto da un sua-no di campanello, si tace).

PAOLO                         - . Pronto. Si. Oggi ho tutta la gior­nata impegnata. Domani alle sei le va? Grazie. (A Mausani) Se lei non si mette in testa che qui si deve lavorare a vapore forzato, è inutile. Lei sì addormenta sulle abitudini...

MARIANI                     - Sì, signore, ma vede... (È ancora interrotto da un suono di campanello; tpasìentito, freme e alza gli occhi al cielo).

PAOLO                         - Pronto. Trecentoquindici. Prego. (A Marsani) Lo vede? Lei sta II scnsa dir niente...

MARIANI                     - Volevo dirle... (Guarda il campa­nello del telefono che non suona) Non si può parlare con tutti questi telefoni che scoppiano da un momento all'altro...

PAOLO                         - Va bene, va bene. Adesso lei mi faccia l'altro lavoro che le ho chiesto. Mi occorre per domattina. (Si alza e mette delle carte dentro).

MARIANI                     - Domattina? Ma è una «osa eter­na... Dovrò restar qui tutta la notte. E... (con intenzione) Non è bene che io faccia del lavoro straordinario... In ufficio...

PAOLO                         - (guardandolo in faccio) - Se credete di farmi impressione. Via! (MARIANI se ne va mordendosi una mano).

GIULIO                         - Gii farete venire il mal di fegato a quel disgraziato.

PAOLO                         - . Perché lo faccio lavorare? Ma che cosa vogliono questi colleglli? Non lavo­ro, si lamentano che non lavoro. Lavoro, si prendono il mal di fegato... Vado alla Bonifica un momento.

GIULIO                         - Ho paura che lo farete venire an­che a me il mal dì fegato.

PAOLO                         - Lei vuole ancora parlare della «olita storia?

GIULIO                         - No, no... Ho rinunciato a capirei... E il bello è che anche il vecchio ha rinun­ciato a capirci... Ma dentro di me ho una idea. Mi è venuta ieri sera.

PAOLO                         - Sentiamola.

GIULIO                         - Sotto questo mistero ci dovete es­sere voi.

PAOLO                         - Ma come? La signorina è partita da un anno e viene fuori adesso con que­sta beila genialità...

Giulio (vedendo entrare ANTEO) . Stl

ANTEO                         -  (entra malinconico e lento; ha tutte l'aspetto di un uomo avvilito).

GIULIO                         - Buon giorno, socio.

ANTEO                         - Buon giorno. (A Paolo) Te ne vai?

PAOLO                         - (movendosi per uscire) - Un affare urgente; torno subito. (Esce).

Giulio (passeggiando nervosamente su e giù) - Non va, non va, non va. Anteo (che si è seduto pesantemente su une poltrona) - Non va!

GIULIO                         - Sapete la notizia? C’è qualcuno che sotto mano fa incetta di azioni vaganti.

ANTEO                         - Buon segno.

GIULIO                         - Non ve ne preoccupate?

ANTEO                         - Io no. Prima dì tutto in due anno a questa parte non mi preoccupo piò di niente. In secondo luogo, le azioni vaganti, come dite voi, sono pochissime. Non pesano...

GIULIO                         - Non pesano se le compera uno qualunque... Ma se le compera il nostro segretario?

ANTEO                         - È lo stesso...

giulio                              - Niente affatto... Se le compera luì, vuol dire che ha delle intensioni di conquista. E con quel temperamento...

ANTEO                         - Fantasie...

GIULIO                         - Fantasie? Ma che cosa è tutta cjue» sta attività? Senso del dovere no, perché non c'è mai stato un impiegato tanto svo­gliato, pazzo, confusionario come lui. Qui c'è sotto qualche cosa. Per me, nessuno mi leva dalla testa che la causa di tutti t pasticci che sono avvenuti qua dentro, e stato lui.... E adesso compera le azioni, E adesso si capisce perché, causando la rottura fra me e vostra figlia, avesse l'in­tenzione di impedirmi di entrare nell'a­zienda...

ANTEO                         - Ma che pasticcio, ma che imbro­glio... Prima di tutto, lui non può avere causato nessuna rottura. Fra mia figlia e lui non facevano altro che schiaffeggiarsi dalla mattina alla sera... E poi, e poi... Lasciatemi dire. Voi nell'azienda ci siete entrato lo stesso. Voi siete il consigliere delegato...

GIULIO                         - Ci sono entrato per lare dispetto a lui.

ANTEO                         - Ma avete riscosso ricchi dividendi...

GIULIO                         - Questo i un altro affare. La fabbri­ca va bene, adesso, ma un anno fa...

ANTEO                         - E va bene anche perché, bisogna ri­conoscerlo, ha dimostrato dell'iniziativa, delle vedute...

GIULIO                         - Quello 11 ci porta a spasso tutti e due. Tra un paio d'anni, voglio vedere cbe cosa faremo noi due, per !a strada, senza un soldo...

ANTEO                         - Ma non dovevate prendere le redini della fabbrica? Che cosa aspettate?...

GIULIO                         - Diavolo. Aspetto di capire l'orga­nizzazione del lavoro qui dentro... E do­po, vedrete... Lo caccio via.

ANTEO                         - State attento piuttosto che non te ne vada lui per conto suo... Perché ne avrebbe diritto.

GIULIO                         - Come sarebbe?

ANTEO                         - In fondo ci è riuscito... Be', questa i una cosa mia personale. Ma vi dico io che avrebbe il diritto di andarsene, sensa impegni di sorta verso di noi...

GIULIO                         - Avrebbe diritto di andarsene e non se ne va, dopo tutto quello che ha fatto per farsi licenziare? Ma lo vedete o non lo vedete che c'è sotto qualche cosa?

ANTEO                         - Insomma, io me ne infischio. Vada come vuole andare tutta la baracca, non me ne importa niente. Non mi riconosco più. Mi pare di avere cento anni. Non dormo pia... non mangio più— attraverso la strada senza preoccuparmi di nulla, come un bambino ignaro dei pericoli del traffico.

GIULIO                         - Ma perché non le scrivete che torni?

ANTEO                         - Ah, no. Questo no, Se ne è andata senza quasi salutarmi... senza spiegare perché... Così... non si lascia un padre così... Non poteva dire che l'uomo che le avevo scelto le ripugnava? Le awei forse dato torto?

GIULIO                         - Ma dico...

ANTEO                         - Niente. Tutto all'aria sema una parola, senza niente, E via: Parigi, Lon­dra, Berlino. Costantinopoli... Io non le scrivo niente. Può tornare, non tornare...

GIULIO                         - Non si fa cosi... Potreste ammalar­vi... Morire.

ANTEO                         - Perché?

GIULIO                         - Sono cose che capitano...

ANTEO                         - SI, sì, scrivo anche questo. (Trae dì tasca un foglio e vi scrive delle noia).

GIULIO                         - Cos'è?

ANTEO                         - È la nota delle cose delle quali mi deve rendere conto quando ritornerà. Sia­mo già a venticinque capì d'accusa e a do­dici misteri.

GIULIO                         - Scrivetele che deve ritornare. Che dica almeno le sue intenzioni...

ANTEO                         - No, no. Le sue intenzioni le cono­sco. Non si apre troppo con me, ma è in corrispondenza con una sua fida dattilo­grafa.

GIULIO                         - Che vi mostra k lettere che man­da e che riceve.

ANTEO                         - No, no: quelle che manda MIMI non le conosco, ma quelle che riceve glie-Je faccio rubare da una dattilografia che è viceversa fedele a me. Così io le leggo e pi gliele faccio restituire. (Con ener-già) Me ne infischio! Faccia quello che vuole, vada, venga. Sapete che non vado nemmeno più in casa mia? Ho chiuso il «io appartamento. Mi urta i nervi an­dare in quella casa. Voglio venderla. Vo­lete comperarla voi? Se vi sposerete...

GIULIO                         - Con chi? Con vostra figlia no, evi­dentemente. Viaggia...

ANTEO                         - Delle donne ce n’è tante...

GIULIO                         - No, ne... Ho fatto due esperienze che mi bastano per tutta la vita... Vostra figlia mi ha dato una mortificazione... Quell'inglese che aveste la cortesia di get­tarmi addosso appéna poteste, mi è costa­ta centomila lire...

ANTEO                         - Be'... Era a buon mercato...

GIULIO                         - Fate il piacere-... Parliamo d'altro... Io ne ho abbastanza.

MARIANI                     -  (entrando con un foglio in meno) - Non c'è il segretario?

GIULIO                         -  No, Che cosa c'è?.-

MARIANI                     - - Ah...  Se non  c'è lui... (fa per uscire).

GIULIO                         - Fate vedere... Credete forse che io non capisca niente? (Strappa ddle mani dì Mariani        il foglio e si mette a esami­narlo attentamente, ma, non ti capisce nulla) Be', che cosa vuol dire?

MARIANI                     - - È per la fornitura della gomma...

GIULIO                         - Volete vedere voi?

ANTEO                         -  (prende meccanicamente il faglio in mano, lo guarda e lo restituisce con un gesto dì incomprensione) » le sono il Pre­sidente... Ora quando mai un Presidente di una società per azioni ha avuto il do­vere di essere informato  dì  quello  che succede nella sua società? Il consigliere delegato siete voi... GiuuO (fremente, a Marsani) - Sta bene: sospendete questa pratica fino a mìo or­dine...

MARIANI                     - - Fosse vero, signor consigliere de­legato.

GIULIO                         -  Che cosa?

MARIANI                     - - Non parlo per il mio interesse... lo avrei dovuto prendere il posto dì segretario generale, ma... pazienza, non par­lo per me. Tuttavia, nel solo e puro inte­resse della ditta, oso sperare che si apri­ranno gli occhi sull'attività dell'attuale se­gretario... Armo - Ma che cosa avete  da dire an­che voi?

MARIANI                     - - Signor principale... le» non posso dir nulla, ma spira aria infida... Io ci ve­do sotto una manovra dell'alta finanza...

GIULIO                         - Cercate di raccogliere informazio­ni... più precìse... Non mi dispiacerebbe vedere voi a quel posto... Cercate, inda­gate..  Soprattutto nel campo morale...

MARIANI                     - - Oh... Quanto a questo, Avrei cose da dire... impressionanti.

ANTEO                         - Cosa?

GIULIO                         -  E dite!

MARIANI                     - - Sono vincolato da un segreto giu­rato... Ma se quell'uomo non se ne va presto di qui fc> calpesterò la mìa parola d'onere e allora... Si vedrà... Si vedrà... Ragazzo (entrando) - C'è una signorina che chiede di parlare con qualcuno.

GIULIO                         - Un momento.  (Via  il  Ragazzo) Marsani,  ricevetela  voi.  Intanto vado a dare un'occhiata in ufficio... Voglio vede­re tutto, voglio capire tutto. (Esce).

MARIANI                     - (A ANTEO) - Posso riceverla  qui? Sarebbe una grande  soddisfazione  per me...

ANTEO                         -  Sì, sì...Fate, fate... (MARIANI esce. ANTEO rimasto solo leva di tasca una chia­ve ed entra con circospezione nell'appar­tamento di casa sua che richiude dietro di sé).

MARIANI                     - (entra con Vera e si mette a sedere nel posto del segretario generale) - Prego, signorina, si accomodi. Lei parla con un alto funzionario della fabbrica... Probabil­mente sarò assai presto segretario genera­le... Dunque...

VERA                            - Ero venuta per lavoro...

MARIANI                     - - Lavoro? Benebene, bene. Dattilografa?

VERA                            -  Sì, signore...

MARIANI                     - (sempre solenne) - Bene, bene, be­ne, stenografa?

VERA                            - Sì, signore...

MARIANI                     - Bene, bene, bene, bene.... Fidan­zata?... Eh! Signorina... La dattilografa è la suora di carità degli uffici pubblici e privati... Niente distrazioni, niente amori... ma soltanto l'ufficio e il capo ufficio...

VERA                            - Non sono fidanzata.

MARIANI                     - - Bene, bene, bene... Ma, vede, in questo momento non abbiamo bisogno di nessuno...

VERA                            - Allora, perché tante domande? Me ne vado... (Si alza).

MIMI                             - (nello stesso tempo entra e guardando la visitatrice la riconosce; depone una car­ta sulla tavola e vede Vera) - To'. Ma non ci siamo vedute in qualche parte?

MARIANI                     - - Prego, ragazza, chi vi autorizza a parlare con le persone che ricevo io?...

MIMI                             - Dove ci siamo viste?...

VERA                            - Non era lei quella notte, al parco... Con quel giovanotto che suonava la chi­tarra?...

MIMI                             - Ah... E che cosa volete qui?

MARIANI                     - - Ehi, dico... Esca!

MIMI                             - Ma quel giovanotto che era         con lei...

VERA                            -  Andrea? (China la testa).

MARIANI                     - - Diavolo. C'è un romanzo... Sen­tiamo, (Si mette ad ascoltare col gomito puntato sulla tàvola e la mano al mento).

MIMI                             - Dove è andato?

VERA                            - Ma... Forse è meglio che io...

MIMI                             - Ma aspetti un momento... Perché vuole andar via?...

VERA                            - Mi ha detto che non c'è nulla da fare qui...

MIMI                             - Ma lei deve parlare col segretario ge­nerale...

VERA                            - Ma non è lui? (MARIANI si alza dal­la sua posizione inutile).

MIMI                             - (ridendo) - Lui? Ma non gli dia retta...

PAOLO                         - (entra) - Che succede?

MIMI                             - Eccolo, il segretario generale,

MARIANI                     - (si alza).

PAOLO                         - (a Mariani) Se trovo qualche cosa che non va su questa scrivania, tengo re­sponsabile voi... Prego... Sgomberare...

MARIANI                     - Se ero a quel posto avevo le mìe buone ragioni... (Esce indignato  e solenne).

PAOLO                         - Chi è lei?

MIMI                             - Non la riconosci?

PAOLO                         - Non mi pare...

MIMI                             - Una notte... Al parco...

PAOLO                         - Ah... (depone in fretta la borsa che aveva con si e prende per un braccio la signorina trascinandola verso te poltrone de! proscenio) Che cosa volete?

VERA                            - Lavoro. Ma non importa...

PAOLO                         - Dove è il vostro amico?

VERA                            - (scoppia in lacrime).

PAOLO                         - Non c'è tempo di piangere. Partito?

VERA                            - No... Da sei mesi è dentro...

PAOLO                         - In carcere?... Ah...

VERA                            - Era un ladro... Un ladro... Ma io, le giuro,  non lo sapevo, Non lo dubitavo neppure...

PAOLO                         - Quella notte rubò una somma forte...

VERA                            - Ma io non ne sapevo niente, le giu­ro... Non ne sapevo niente.

PAOLO                         - Che ne ha fatto di quel denaro?

VERA                            - Ob... Siamo partiti... Montecarlo-In cerca di fortuna...

MIMI                             - Ma quanta ne voleva?

PAOLO                         - Tutto perduto, naturalmente...

VERA                            - Se sapesse quello che ho passa­to... Non so come sono ancora viva...

PAOLO                         - E che cosa cercava qui?

VERA                            - Lavoro, ma...

PAOLO                         - Stenodattilografa? Benissimo. Scriva. (Le porge un blocco dì cartelle e una ma­tita che Vera prende per scrivere, mentre PAOLO incomincia a dettare) lo sottoscrit­ta, il suo nome..

VERA                            - Vera Chini...

PAOLO                         - Dichiaro che la notte del 1è aprile millenovecento eccetera, alle ore undici e venti minuti della sera...

GIULIO                         - Eccomi qua, E adesso parliamo un poco insieme...

PAOLO                         - Con me?.... Un momento.

GIULIO                         -  Cos'è quella lì?

PAOLO                         - Una dattilografa... L'ho assunta oggi.

GIULIO                         - Ah, lei assume il personale così... Ha avvertito almeno il presidente?

PAOLO                         - lo no. Ma non è la prima volta...

GIULIO                         - Benissimo... Fate, fate... Torno subito e faremo i conti... (Esce).

PAOLO                         - (segue con una spallucciata Giulio che esce e continua) - Dichiaro di avere assistito al ritrovamento da parte di tale... il nome di quello sciagurato...

VERA                            -  (scoppiando in singhiozzi senza smet­tere di scrivere)  Andrea Mattini...

PAOLO                         - Attualmente in prigione, di una bu­sta di cuoio nero che gli gettò immedia­tamente dop averne estratto la somma di lire novantasette mila... consumate dallo stesso Mattini al giuoco della roulette...

VERA                            - Al trente et quaranti

PAOLO                         - Benìssimo.

MIMI                             - E’ contento di andarsene finalmen­te?...

PAOLO                         - E chi è che parte?

MIMI                             - Credevo... è tanto allegro.

PAOLO                         - No, non posso più partire... Ho darò troppa pelle in questo anno. Oramai questo lavoro e mio, mio... E sono allegro perché adesso è più mio che mai... Vuol sentire?... Aspetti. (Compone un numero al telefono) Pronto? è lei? Bene... Le ha ancora quelle azioni della Diana? Ho de­ciso, le prendo io. Va bene, pagamento in contanti... Grazie. A stasera... (Depone il ricevitore) Ha visto? Altro che partire... Lavorare, conquistare... Crescerei... Del resto è stata lei la prima a darmi dei con­sigli di saggezza...

MIMI                             - La prima.

PAOLO                         - Come sarebbe?

MIMI                             - Poi ci fu una seconda...

PAOLO                         - Oh... Chi sa dov'è... (Si turba leg­germente).

MIMI                             - Potrebbe essere più vicina dì quel che lei non creda.

PAOLO                         - (vivamente) - Cioè?

MIMI                             - Niente, niente. Lo sapevo, ma vole­vo vedere che effetto le avrebbe fatto se io le avessi detto a bruciapelo che la si­gnorina

ANNIE                          - sta per arrivare. Come è pallida!...

PAOLO                         - Io non sono pallido niente affatto.

MIMI                             - E va bene... Anche quarta mi è an­data male... È la terza volta che cerco di coltivarmi un marito possibile... E faccio tutto quello che posso, sa? Con tutte le cure, con tutta la diligenza e tutta la pa­zienza... Non ci riesco...

PAOLO                         - Insista.

MIMI                             - . Eh, pei fona... Strenuamente... Ma ho paura che non ci riuscirò mai.

PAOLO                         - Ma, mi dica, signorina... Lei ha detto...

MIMI                             - lo non ho detto niente (Esce),

PAOLO                         - (la segue) - No, sia buona, senta...

ANTEO                         -  (entra cautamente, guarda se non c'è nettano, ma ti Ragazzo entra).

RAGAZZO                   - Ah... Era lì?

ANTEO                         - Io? No.

RAGAZZO                   - C'è questa lettera per lei. Me l'ha data la dattilografa bionda.

ANTEO                         - (prende vivamente la lettera, manda via il Ragazzo con un cenno e il Ragazzo se ne va facendo un gesto di incom­prensione; ANTEO legge e si illumina in volto) - Che ora è? (Cammina intorno agitato) Che ora è?

GIULIO                         - (rientra dagli uffici con Paolo)-Be'?

ANTEO                         - Che ora è? Che ora è?

PAOLO                         - Mio Dio... Le sette...

ANTEO                         - Il cappello, il bastone... Il cappello, il bastone... (Esce),

PAOLO                         - Ma che succede?

GIULIO                         - Quel povero vecchio impazzisce...

PAOLO                         - Ma bisognerà corrergli dietro...

GIULIO                         - Niente, niente. Non si fa più in­vestire. Parliamo noi, intanto. Sedetevi.

PAOLO                         - Cosa c'è adesso?

GIULIO                         - Da qualche tempo abbiamo gli oc­chi su di voi. Premetto che in ciò che sto per dire sono pienamente d'accordo col presidente. La vostra condotta non è chia­ra. Avete accentrato tutto nelle vostre ma­ni. Non si fa niente senza il vostro be­neplacito. Non c'è operaio, ingegnere, im­piegato, cliente che non voglia parlare, trattare, concludere che con voi, esclusiva­mente con voi.

PAOLO                         - Ma questo significa...

GIULIO                         - Significa che siete un intrigante e un invadente. Pericoloso e non gradito. Ecco tutto. Voi ve ne dovete andare. An­che subito. Magari, Fate le vostre conse­gne a Mariani e basta.

PAOLO                         - Ma io ho degli impegni con hi fab­brica, un contratto...

GIULIO                         - Ringraziate Iddio. Vacroce sui vostri debiti. Bella fortuna eh? Non pa­gare i debiti e farsi anche ringraziare. Ma facciamo alla svelta... Voi siete trop­po, come dire... Siete troppo intelligente...

PAOLO                         - (montandosi a poco a poco) - Ah... È per questo che mi licenzia? Me lo ave­vano -detto che tanto ai coUcghi, quanto ai superiori riescono più simpatìe! gli im­becilli. Più comodi, più malleabili... Natu­rale... Un uomo intelligente è una bomba con la mìccia accesa. Non si sa mai quan­do scoppi...

GIULIO                         - Non giocate con k parole. Siete troppo intelligente per non capire che ogni insistenza è inutile...

PAOLO                         - Ma ci saranno dei giudici, no? Pri­ma di tutto io ho raggiunto la prova che io non mi 1000 appropriato li com­ma di novantasette mila lire che sta al­l'origine di questa mia disgraziata avven­tura. (Fuori di té) Dunque, niente regali, niente abbuoni. Lor signori anzi mi deb­bono restituire quello che ho indebita­mente pagato. E quanto al resto io chia­merò cinquanta testimoni perché dicano che cosa sono io qui dentro, che cosa può significare per me un licenziamento in questa forma... Un milione di indennità, voglio... Un milione...

GIULIO                         - Giovanotto! Lasciate andare. C'è qualcuno qua dentro che conosce assai bene la vostra vita. Cose poco edificanti.

PAOLO                         - Ma che cosa? Sentiamo...

GIULIO                         - Io non lo so... Ma c'è qualcuno che è pronto a violare un giuramento per fare delle rivelazioni molto gravi sul vo­stro conto... e a rivelare tutti i misteri dì qui dentro! Fate le consegne a Mariani. s» (

PAOLO                         - si siede, affranto) E non fate fra­casso. Ve lo consiglio per il vostro bene... (ANTEO entra, pallido, emozionato e ti siede).

PAOLO                         - Che cosa è accaduto?

ANTEO                         - Niente. Volevo andare alla stazio­ne... Quando sono stato per attraversare la strada, io mi sono detto... No, no... Questa volta io non debbo essere investi­to... Questo pensiero mi ha paralizzato.

PAOLO                         - Ma se vuole andare alla srazione, chiamiamo Mattia...

ANTEO                         - No, no... Per carità. Oramai è tar­di. Era per le serte e un quarto...

PAOLO                         - Era un affare importante?

ANTEO                         - (sospirando) - Importante... Molto importante... Aspetto qualcuno... (Si bussa alla porta dell'appartamento. Pausa).

VOCE DI ANNIE        - Chi ha chiuso? Aprite!

ANTEO                         -  (trae di tasca la chiave, balbetta e tre­ma, non riesce a infilar la chiave nella toppa;

PAOLO                         - perde a sua volta la testa e porta via la chiave a Antro, ma non rie­sce ad aprire nemmeno lui. Ci riesce Giulio),

ANNIE                          - (entra) - Papa... (Lo abbraccia) Giu­lio... Sono molto contenta di vederla... Sia gentile, mi faccia la cortesia di andare in stazione a svincolarmi i bagagli... Ecco­le le polizze... Grazie... (Giulio te ne va di corsa) Paolo... Buon giorno. (Gli dà la mano; poi torna da suo padre) Sei ancorin collera con me? (Lo abbraccia).

ANTEO                         - (fiero ma energico) - Un momento... Non credere che le cose vadano a finire cosi... (Trae dì tasca la carta) Ci sono molti conci da regolare fra me e te...

ANNIE                          - Ti spiegherò tutto... In due parole, vedrai... Papà...

ANTEO                         - Due parole? Ma qui ci sono venti­cinque capi d'accusa e dodici misteri... Anzi ventisei capi d'accusa... Faccio un segno. Quando si torna all'improvviso si deve avvertire... Perché la cosa può pro­vocare un accidente...

ANNIE                          - (lo abbraccia ridendo) - Papà...

ANTEO                         - (senea ribellarsi fisicamente) - La­sciami... Non credere di intenerirmi... Io non mi intenerisco. Fra le altre cose c’é qui il segretario...

PAOLO                         - (che sta frugando nei cassetti e ca­vandone fuori dei libri e ielle carte che ammucchia sulla scrivania) - Me «e vado subito.

ANTEO                         - Bene... In ogni modo noi andiamo all'albergo..

ANNIE                          - No, no. Per questi pochi giorni che resto... Voglio godermi la mia casa... Il mio letto... I miei libri...

ANTEO                         - Pochi giorni?

ANNIE                          - Partiamo insieme...

ANTEO                         - Sì? Per dove?

ANNIE                          - Cosi... Da qualche parte... Avrò tutto il tempo di rispondere ai tuoi venticinque capi d'accusa...

ANTEO                         - E ai dodici misteri... Ma intanto vieni a riposare un poco. Sarai stanca...

ANNIE                          - Lasciami qui un momento. Mi piace di ricordare questo strano odore di ufficio...

ANTEO                         -  (annmsondo) - Vero che è strano? Di che sa?

ANNIE                          - Di carta, di inchiostro, dì sigarette...

ANTEO                         - Dì Paolo.

ANNIE                          - Papà. Di' a Marta che mi prepari qualche cosa da mangiare.

ANTEO                         - Si... Ma non ci sarà niente in casa...

ANNIE                          - Due uova...

ANTEO                         - Ma che, ma che... Che cosa sono questi sendmentalismi?... Provvedo io... Provvedo io... Vado io qui di fronte a prendere qualche cosa... Una cenetta in­tima...

ANNIE                          - Senza processo...

PAOLO                         - Se vuole che vada io a parlare col trattóre... Perché lei non ci riesce a pas­sare la piazza.

ANTEO                         - Non ci riesco? Guardatemi dalla fi­nestra,-.. Sicuro come un vigile. (Esce). (Soli: breve silenzio imbarazzante. PAOLO continua a mettere libri e carte sulla ta­volò).

ANNIE                          - Grazie, Paolo.

PAOLO                         - Di che?

ANNIE                          - Di tutto quello che ha fatto. È re­stato...

PAOLO                         - Non potevo darle altra prova del mio cuore...

ANNIE                          - Sì... E di lontano ho pensato tanto a lei... A lei che era diventato l'anima del nostro lavoro... Si sieda qui. Un mo­mento solo...

PAOLO                         - (obbedisce).

ANNIE                          - Mi dica...

PAOLO                         - Che cosa?... Ho pensato tanto a lei. Ho lavorato tanto... E lei? Che ha fatto? Perché se ne andò così...

ANNIE                          - Perché mi era entrata nel cuore una cosi penosa sofferenza che non potevo star ferma. Imparai che fascino aveva questa parola che avevo udito tante volte sulle sue labbra... Partire... E noti ho fatto al­tro per un anno.

PAOLO                         - MI dica, m! dica. Ho bisogno di credere ancora che partire è la cosa più bella della vita.

ANNIE                          - Veramente non saprei. Partire è la speranza degli infelici. Questo ho capito. Ma poi non c'è niente dentro. Il nostro mondo viaggia con noi. È una valigia che non si  può nemmeno dare al facchino. Non so dire. E’ come se, per illuderci di cambiare il nostro dramma, ci affannas­simo a cambiare la scena...

PAOLO                         - Ma lei aveva un sistema, una cer­tezza... Perché gettar via tutto... Bisogna­va aspettare...

ANNIE                          - Non ho gettato via, no, mi sano ac­corta che i sistemi delle donne sono trop­po fragili.... Non ve n'e che uno, sicuro, l'amore.

PAOLO                         - E per quell'attimo d'amore io tro­vai che il solo modo di partire Veramente era quello di salire sulle impalcature di., una costruzione a lavorare. Anni» - Mi dica... Mi parli del suo lavoro...

PAOLO                         - No, no... Mi parli lei dèi mondo... Anito - Una grande quantità di cose magni­fiche e brutte, di cose banali e bizzarre che non ci appartengono, nemmeno come i sogni, perché sono vere... Ma qui... mi dica che cosa si fa adesso?

PAOLO                         - La fabbrica va bene...

ANNIE                          - Lo so. Seicento operai di pio...

PAOLO                         - È bene informata... Adesso avevo organizzato un grande lavoro con le bo­nifiche. Macchine sotto prezzo. O quasi, con comodità di  pagamento rateale, da commisurarsi in rapporto all'annata agri­cola.... Sì; è un po' complicato... ma i con­tadini delle bonìfiche l'hanno capita su­bito...

ANNIE                          - (ridendo) - Sono intelligenti, i conta­dini, quando si tratta del loro interesse...

PAOLO                         - Interesse di tutti. Perché si trattava di conquistare una terra nuova alla no­stra industria, Poi si guadagna sempre... Se vuole potrà vedere il mio progetto... Sta per essere approvato alla direzione ge­nerale... La fabbrica dovrà mettersi sotto e lavorare a tre turni... Quanto a rat... (Ritoma alla scrivania) Non ho più nulla da fare qui... (Trae la chitarra dalla cas­setta) Guardi còsa mi capita tra le mani... Quanta polvere... (Soffiando la fa vibrare) Sospira anche lei... Anni! - Cosa vuol dir questo?

PAOLO                         - Sono stato licenziato.

ANNIE                          - Licenziato? Lei? Ma è stato lei  volerlo?

PAOLO                         - Io? Ma non le ho deito?... Sono ri­masto qui e non mi sono risparmiato...

ANNIE                          - Sì... Ma poteva essére... Per me...

PAOLO                         - Per lei, si,. Ma due volte per lei... Piccolo, umile, povero, avevo capito che anche la mia fatica era necessaria... Oh, mi basta una parola per crearmi dentro una valanga. Ho veduto le distese dei campi, le fatiche dei contadini, il bisogno del pane, il dramma di tutti... Ho sentito che questo vivere, questo combattere era scandito dal ritmo delle nostre macchine da scrivere, non so, dal suono dei nostri campanelli, dalle voci dei più umili scrit­turali... Tutti, tutti... Dentro questo bel dramma... E questa gioia di vivere, il gu­sto di questa nuova avventura che è la più affascinante e fantasiosa, me l'aveva data lei... SI, io l'amo... l'amo tanto, ma prima ancora di sperare in questo amore forse inutile, io ho posseduto questa intuizione pacificatrice. Ma adesso tutto è finito. E me ne vado.

ANNIE                          - E chi è che la manda via?

PAOLO                         - È il signor Giulio, Mi preferirebbe idiota.

ANNIE                          - No, no... Lei resterà... Sono io che la prego di restate. Si rimetta a lavorar tranquillo. Ci penso io... A quel pavone... Non ha niente da fare adesso?

PAOLO                         - Ma... Sempre... C'è da scrivere...

ANNIE                          - Vuole che l'aiuti?

PAOLO                         - Lei no. Faccio io... Quando se ne sarà andata...

ANNIE                          - Perché? Mi metto qui... E ascolto la sua macchina...

PAOLO                         - Come vuole...

ANNIE                          - Scrive lei?

PAOLO                         - Le dattilografe sono piene di lavo­ro... E poi è una cosa delicata... Un altro progetto...

ANNIE                          - Bene... Faccia, faccia... (Si sdraia tu una poltrona). Paoi.o (incominciando a  scrìvere.  Pausa)  Questo progetto è per la primavera ven­tura, ma esige molti mesi di preparazio­ne... (Scrive) Signorina... Ma poi lei dav­vero intende ripartire?... (Nessuno rispon­de. PAOLO si alza) Dorme.

ANNIE                          - (addormentandosi) - Scriva, scrìva...

PAOLO                         - Credevo che dormisse...

ANNIE                          - Se non scrive mi sveglio... (PAOLO spegne le lampade, tutte meno quella del­ta sua macchina da scrivere).

ANTEO                         - (entra preceduto  dal Ragazzo  che porta una cesta da restaurant).

ANTEO                         - Che c’è?

PAOLO                         - Dorme. (ANTEO prende la guantiera e si avvicina a annie lentamente come uno che vuol fare una bella sorpresa al risveglio. Il Ragazzo se ne va  Intanto PAOLO ha ricominciato a scrivere a macchina. ANTEO è incerto se svegliare o no la figlia e si guarda intorno. Intanto una voce sconosciuta dalla strada incomincia a canta­re « Me ne voglio f a l'America »).

PAOLO                         - (si arresta, volge un po' commosso il  viso dalla parte della finestra e mormora) - Un altro pazzo!... (Sì rimette di lena a lavorare).

TELA