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PASQUA

Titolo originale: Pask

Commedia in tre atti

di JOHAN AUGUST STRINDBERG

Versione italiana di Clemente Giannini

PERSONAGGI

LA SIGNORA HEIST

ELIS suo figlio, abilitato in lettere, insegnante

KRISTINA, fidanzata di Elia

BENIAMIN, studente di ginnasio

ELEONORA, figlia della signora Heyst

LINDKVIST

SCENARIO PER I TRE ATTI

Tutto il proscenio comprende la parte inferiore di una veranda a vetri, arredata come stanza di soggiorno. Nel mezzo, una grande porta immette sul piazzale del giar­dino, con spalliera e cancello a inferriate sulla via. Dall'altra parte della via che, come la casa, è situata sopra un'altura, appare la bassa palizzata di un parco, che declina verso la città. La scena di fondo rappre­senta le cime color verde pallido degli alberi di questo parco; e oltre si vedono un campanile e il monumen­tale frontone di un edificio. Le finestre «a vetri della veranda, che occupano tutta l'ampiezza della scena, sono munite di tendine di cretonne giallo chiaro e sono mobili. Uno specchio a muro è appeso a una imposta della porta a sinistra; di sotto allo specchio è un calendario. A destra della porta di fondo una grande scrivania con libri, calamaio penna e telefono. A sinistra della porta di fondo, un tavolo, un cami­netto, una credenza. Sul proscenio, a destra, un tavo-linetto da lavoro con lampada. Ai lati, due poltrone. Appeso al soffitto, un lampadario. Fuori sulla via un lampione a gas con reticella Auer. A sinistra sulla veranda una porta che immette nell'abitazione; a destra una porta che dà in cucina. L'azione si svolge ai nostri giorni.

ATTO PRIMO

Giovedì Santo - Musica, come preludio, prima che s'apra il velario. Haydn: «Sieben Worte der Erloses»- (Le sette parole del Salvatore): Introduzione, maestoso, adagio.

(Un raggio di sole penetra obliquo da sinistra nella stanza, e illumina una delle sedie, presso il tavolinetto da lavoro. Sull'altra sedia, in ombra, è seduta Kristina, e infila una fettuccia in un paio di tendine bianche, stirate di recente).

Elis                                  - (entra, avvolto in un cappotto invernale, tutto abbottonato; porta un pacco di carte, che posa sullo scrittoio. Poi si toglie il cappotto e lo appende a sini­stra) Buongiorno, amica mia.

Kristina                            - Buongiorno, Elis.

Elis                                  - (si guarda attorno) Tolte le doppie imposte, pulito il pavimento, lavate le tendine... Sì; è di nuovo primavera... E hanno spazzato via il ghiaccio dalla strada, e i salici, laggiù al fiume, sono in fiore... Sì; è primavera... E io posso pure appendere il mio cappotto da inverno... Sai... è così pesante... (soppesa il cappotto con le mani) come se fosse imbevuto di tutti i disagi dell'inverno, del sudore, dell'angoscia e della polvere della scuola... oh!

Kristina                            - Ed ora, Elis, sei in vacanza...

Elis                                  - Vacanze di Pasqua... Cinque bei giorni per respirare, per godere, per dimenticare... (Tende la mano a Kristina e poi si siede sulla poltrona) Oh! vedi... il sole è tornato... Andò via in novembre. Lo ricordo in quel giorno, quando discese dietro la birreria, e sparì obliquamente oltre la strada... Oh! questo inverno... questo lungo inverno...

Kristina                            - (accenna verso la porta della cucina) Zitto... zitto... zitto!

Elis                                  - Starò zitto, e sarò felice, perché l'inverno è finito... Ah! il buon sole... (Si frega le mani e s'im­merge nel sole) Voglio bagnarmi nei raggi solari, lavarmi nella luce, dopo tutto quel nero sudiciume...

Kkistina                           - Zitto... zitto!

Elis                                  - Sai, credo che la pace ritorni, e che le sventure si siano stancate...

Kristina                            - Perché lo credi?

Elis                                  - Così... Anche per questo... Dianzi, quando passai davanti al duomo, una colomba bianca sfrecciò volando, e si posò sul marciapiede. Portava nel becco un ramoscello, che lasciò cadere, proprio davanti ai miei piedi.

Kristina                            - Hai veduto che ramoscello fosse?

Elis                                  - Olivo no, di certo, ma mi parve un segno di pace, ed appunto per questo, provo una beata calma solare... Dov'è la mamma?

Kristina                            - (accenna alla cucina) In cucina.

Elis                                  - (chiude gli occhi come in estasi) Sento che è primavera! Sento che le doppie finestre sono state tolte. Sai tu, come lo sento? Dallo stridere delle ruote sulla strada... Ma che cos'è? Il fringuello canta, martellano nei cantieri, e dai battelli viene odore di vernice e di minio.

Kristina                            - Riesci a sentirlo fin qui?

Elis                                  - Qui? Noi siamo qui, è vero, ma io ero là, lassù al nord, dov'è la nostra casa. Perché siamo venuti in questa paurosa città, dove tutti gli uomini si odiano, e dove si è sempre soli? Sì, fu per il pane; il pane ci mostrò la strada... Ma dietro il pane, stava l'infelicità: l'azione colpevole del babbo e la malattia della sorellina. Lo sai, dimmi, se la mamma ha fatto visita al babbo in prigione?

Kristina                            - Credo che vi sia stata oggi.

Elis                                  - Che cosa ti ha detto?

Kristina                            - Nulla; ha parlato d'altro.

Elis                                  - Una cosa è pure assodata: la certezza dopo la sentenza, e la nostra quiete dopo che i gior­nali la smisero coi resoconti. È passato un anno; tra un anno egli sarà fuori; e poi ricominceremo...

Kristina                            - Ammiro la tua pazienza nel dolore.

Elis                                  - Non così! Non ammirare nulla in me, perché io non ho che difetti! Ora lo sai. Credimi.

Kristina                            - Se tu soffrissi per i tuoi errori, ma soffri per quelli degli altri!...

Elis                                  - Che cosa cuci?

Kristina                            - Le tendine della cucina, caro.

Elis                                  - Sembrano un velo da sposa... In autunno, Kristina, sarai la mia sposa, nevvero?

Kristina                            - Sì, ma prima pensiamo all'estate...

Elis                                  - Già, all'estate... (Tira fuori un libretto d'assegni) Vedi? Ho già dei denari alla banca. E quando si chiuderà la scuola, allora ce ne andremo al nord, al nostro paese, al Malay. La casetta è rimasta tale e quale com'era nella nostra infanzia; vi sono ancora i tigli, e la barca sotto i salici della riva... Ah, fosse estate, e ci si potesse lavare nel lago! Questa macchia della famiglia si è distesa sulla mia anima e sul mio corpo, e io desidero ardentemente un lago, da potermici risciacquare.

Kristina                            - Hai notizie di Eleonora?

Elis                                  - Sì, poverina, è inquieta, e scrive lettere che mi spezzano il cuore. Vuole uscire, e natural­mente tornare a casa; ma i dirigenti dell'istituto non si azzardano a lasciarla libera, perché essa commette azioni che portano in prigione. Sai, ogni tanto provo rimorso di coscienza, il più terribile di tutti, perché fui proprio io a farla internare.

Kristina                            - Amico mio caro, tu ti rimproveri di tutto; ma in questo caso fu un bene che essa potesse essere curata.

Elis                                  - È vero quello che dici; credo che sia meglio così. Del resto, essa si trova bene, per quanto è possibile. Quando penso che s'aggirava qui attorno, offuscando ogni più semplice gioia, e che il suo destino ci pesava come un incubo, ci angustiava sino alla disperazione, allora mi sento così egoista, da provare un sollievo simile alla gioia. E la più grande sventura ch'io possa immaginarmi, sarebbe di vedermela entrare da quella porta. Tanto sono vile!

Kristina                            - Ma tutto ciò è umano...

Elis                                  - Eppure... soffro, soffro al pensiero della sua pena e della pena di mio padre!

Kristina                            - Certuni sembra che siano nati per soffrire...

Elis                                  - Te infelice, che sei capitata in questa famiglia, fin dall'inizio giudicata e condannata.

Kristina                            - Elis! Tu ignori se questa sia una prova o un castigo...

Elis                                  - Che cosa sia per te, non so, perché tu sei innocente...

Kristina                            - Lacrime di mattina, gioie di sera! Elis, forse ti potrò aiutare...

 Elis                                 - Credi che la mamma abbia una cravatta bianca?

Kristina                            - (turbata) Andrai fuori?

Elis                                  - Andrò a un pranzo. Petrus, come sai, ieri ha dato l'esame di laurea, ed oggi offre un pranzo!

Kristina                            - Accetterai l'invito?

Elis                                  - Tu pensi che non ci dovrei andare, perché egli si è comportato verso di me come un ingrato.

Kristina                            - Non nego che la sua perfidia m'abbia turbato; poiché egli aveva promesso di citare la tua dissertazione e invece l'ha saccheggiata, senza dichia­rarne la fonte.

Elis                                  - Oh, è una cosa tanto comune, e a me basta di poter dire « questo l'ho fatto io ».

Kristina                            - Ti ha invitato?

Elis                                  - È vero, non mi ha invitato. È proprio strano. Egli, per tanti anni, ha sempre parlato di questo pranzo, quasi fossi automaticamente invitato, e anch'io ne ho sempre parlato agli altri. E ora se non sono invitato, mi si offende pubblicamente. Sta bene, non è la prima volta; e non sarà l'ultima!... (Pausa).

Kristina                            - Beniamin tarda! Credi che se la sarà cavata negli scritti?

Elis                                  - Lo spero fermamente; soprattutto in latino.

Kristina                            - È un bravo ragazzo, Beniamin.

Elis                                  - Molto bravo; ma un po' bizzarro. Sai perché vive in casa nostra?

Kristina                            - Forse. Perché...

Elis                                  - Perché mio padre ha dissipato la sua eredità di orfano minorenne, come quella di tanti altri. Vedi, Kristina, questa è la cosa più orribile: dover vedere nella mia scuola questi orfani derubati, che ora debbono soffrire l'umiliazione di essere alunni esterni. E con quali occhi mi guardino, puoi ben comprenderlo. Devo sempre pensare alla loro miseria, per poter perdonare la crudeltà di quegli sguardi...

Kristina                            - Sono convinta, che tuo padre si trovi sul serio meglio di te...

Elis                                  - Sul serio!...

Kristina                            - Elis, pensiamo all'estate e non alle cose del passato!

Elis                                  - Sì, all'estate! Sai? Questa notte mi ha svegliato un coro di studenti; cantavano: «Verrò: verrò: salutate, venti benefici, la campagna, salu­tate gli uccelli, e dite loro che li amo; salutate tigli e betulle, laghi e monti; voglio vederli ancora. Vederli ancora come al tempo della mia infanzia...». (Si alza commosso) Potrò rivederli, potrò uscire fuori da questa orribile città? da Ebal, il monte della maledizione, e rivedere Garizim? (Si siede presso la porta).

Kristina                            - Sì, sì! lo potrai!

Elis                                  - Ma credi, che potrò rivedere le mie betulle e i miei tigli, come li vedevo prima? Non credi, che i medesimi fiori neri staranno su di essi come sulla natura, e la vita quaggiù, dopo quel giorno... (Indica la poltrona che ora si trova nell'ombra) Vedi? Ora il sole è andato via!

Kristina                            - Ritornerà, ritornerà per trattenersi di più!

Elis                                  - È vero: i giorni si allungano e le tenebre si accorciano.

Kristina                            - Credimi, Elis! Andiamo verso la luce.

Elis                                  - Talvolta lo credo: e quando penso al pas­sato e lo paragono al presente, sono felice. L'anno scorso tu non sedevi qui; perché mi avevi lasciato e avevi rotto il fidanzamento! Quello fu per me il momento più nero. Letteralmente morivo, a poco a poco. Ma quando tu ritornasti, riebbi la vita. Ricordi perché andasti via?

Kristina                            - No, non ricordo, e ora mi sembra che non ve ne sia stato motivo. Provavo soltanto l'impulso di dover andare; e così andai, come nel sonno. Quando ti rividi, mi svegliai, e fui felice!

Elis                                  - E non ci separeremo più: se tu te ne andassi, morirei sul serio!... Ecco, viene la mamma!... Non dire nulla, rispetta il mondo immaginario, nel quale vive e crede che il babbo sia un martire, e tutte le sue vittime dei bricconi.

La signora Hetst              - (entra sbucciando una mela; indossa un grembiale, parla con un'affabilità un po' ingenua) Buongiorno, figlioli! Volete la zuppa di mele calda o fredda?

Elis                                  - Fredda, mammina.

La signora Heyst             - Sta bene, ragazzo mio. Tu sai sempre quello che vuoi e parli franco; ma Kristina non fa così. E questo Elis lo ha imparato da suo padre, che sapeva sempre quello che voleva e quel che faceva. Purtroppo questo la gente non lo sopportava, e perciò gli andò male. Ma verrà una buona volta la sua giornata, e allora il babbo avrà ragione e gli altri torto!... Aspetta un po'... Che cosa volevo dire... Già. Sapete chi si aggira da queste parti? Lindkvist, il re dei bricconi!

Elis                                  - (si alza turbato) È venuto a stare in città?

La signora Heyst             - Sì, abita proprio al di là della via, quasi di faccia.

Elis                                  - Allora ce lo vedremo passare davanti tutti i giorni. Anche questa!

La signora Heyst             - Patemi parlare con lui una buona volta, e non ritornerà più, e non si farà più vedere, perché io conosco certe sue cosette... Ebbene, Elis, come andò a Petrus?

Elis                                  - Bene. Gli andò bene.

La signora Heyst             - Immagino. E tu, quando penserai a laurearti?

Elis                                  - Quando ne avrò le possibilità, mamma!

La signora Heyst             - Quando ne avrò le possi­bilità! Non è una buona risposta!... E Beniamini... Ha superato gli esami scritti?

Elis                                  - Non lo so ancora, ma tra poco sarà qui!

La signora Heyst             - Già, già... non mi piace troppo Beniamin; sta qui con il fare di chi ha sempre ragione... Ma gliela farò passare... Però, in fondo è un buon ragazzo... Già... già... C'è un pacchetto per te, Elis. (Esce dalla porta di cucina e rientra subito con un pacchetto).

Elis                                  - Pensa, come la mamma sa tutto e segue tutto; talvolta credo che non sia così ingenua, come finge di essere.

La signora Heyst             - Ecco il pacchetto. L'ha ritirato Lina!

Elis                                  - Un dono! Ho paura dei doni, da quando ricevetti un cesto di sassi. (Posa il pacchetto sul tavolo).

La signora Heyst             - Me ne torno in cucina. Non fa troppo freddo a tenere la porta aperta?

 Elis                                 - No davvero, mamma.

La signora Heyst             - Elis, non devi appendere qui il tuo cappotto. Dà un'aria di disordine. Ebbene, Kristina, sono pronte le tendine?

Kristina                            - Tra qualche minuto, mamma.

La signora Heyst             - Già, vedete, mi piace pro­prio quel Petrus; è il mio favorito. Non andrai al suo pranzo, Elis?

Elis                                  - Certo che ci andrò.

La signora Heyst             - Bene; e perché dirmi allora che volevi la zuppa di mele fredda, dal momento che devi andar via? Non sai quel che vuoi, Elis. Ma lo sa bene Petrus! ... Chiudete le porte se farà freddo; e badate di non prendere un'infreddatura! (Esce da destra).

Elis                                  - Oh! la nostra buona mamma! ... E sempre Petrus!... Porse ha intenzione di darti fastidio con Petrus...

Kristina                            - Dare fastidio a me?

Elis                                  - Le vecchie, sai, hanno di queste manie.

Kristina                            - Guarda un po' che specie di dono ti hanno fatto.

Elis                                  - (scarta un pacchetto) Una verga, una sferza di quaresima.

Kristina                            - Da parte di chi?

Elis                                  - Verga anonima!... Nulla di male. E io la metterò... la metterò nell'acqua! così rinverdirà come la bacchetta di Aronne. « Betulla... come al tempo della mia infanzia... ». E Lindkvist è venuto a stare qui di faccia...

Kristina                            - In quali rapporti siete con lui?

Elis                                  - I debiti maggiori li abbiamo con lui.

Kristina                            - Da te non avanza nulla.

Elis                                  - Ma da noi sì. Gli siamo debitori uno per tutti e tutti per uno; il nome della famiglia è diso­norato, finché ci sono debiti.

Kristina                            - E tu cambia nome!

Elis                                  - Kristina!

Kristina                            - (mette via il lavoro che è terminato) Grazie, Elis! Ti volevo soltanto provare!

Elis                                  - Ma non mi devi tentare!... Lindkvist è povero e ha bisogno del suo... Dovunque passò mio padre, sembra di essere in un campo di battaglia, con morti e feriti... e la mamma lo crede una vit­tima!... Vuoi uscire con me a passeggio?

Kristina                            - A cercare il sole? Volentieri!

Elis                                  - Cerca di capire bene questo. Il Salvatore ha sofferto per le nostre colpe, e tuttavia, noi dob­biamo continuare a pagare. Nessuno paga per me!

Kristina                            - Ma se qualcuno pagasse per te, allora comprenderesti ?

Elis                                  - Sì, allora comprenderei!... Zitta! Ecco Beniamin. Riesci a vedere se è lieto in volto?

Kristina                            - (guarda fuori attraverso la porta del fondo) Cammina così piano... Ora si ferma vicino alla fontana... Si lava gli occhi...

Elis                                  - Ci voleva anche questo!

Kristina                            - Ma prima senti...

Elis                                  - Lacrime, lacrime!

Kristina                            - Abbi pazienza!

Beniamin                         - (entra, affabile, rispettoso, ma afflitto; porta alcuni libri e una cartella).

Elis                                  - Come ti è andato il latino?

Beniamin                         - Male!

Elis                                  - Fammi vedere. Che cosa hai fatto?

Beniamin                         - Ho messo « ut » coll'indicativo, eppure lo sapevo che ci voleva il congiuntivo.

Elis                                  - Allora sei bocciato! Ma come è accaduto?

Beniamin                         - (dimesso) Non so spiegarlo... Sapevo come doveva essere, volevo scrivere giusto, e sbagliai. (Si siede abbattuto presso il tavolo).

Elis                                  - (si china sulla scrivania e legge nella car­tella di Beniamin) Già, qui c'è l'indicativo! Oh, mio Dio!

Kristina                            - (con sforzo) Non esagerare. Avrà mi­glior fortuna la prossima volta: la vita è lunga, Beniamin, paurosamente lunga!

Elis                                  - (addolorato, ma senza amarezza) Che tutti i mali debbano capitare insieme in una sola volta! E tu eri il mio miglior allievo, che cosa mi devo aspettare dagli altri? La mia reputazione di inse­gnante è compromessa, non avrò più lezioni, e allora... tutto rovina! (A Beniamin) Non prendertela tanto ora... non è colpa tua...

Kristina                            - (con estremo sforzo) Elis, coraggio, coraggio, per amor di Dio!

Elis                                  - E dove lo prenderò? Chi me lo darà il coraggio ?

Kristina                            - Dove lo prendevi prima? Chi te lo dava prima?

Elis                                  - Ora non è più come prima! Mi sembra di essere in disgrazia!

Kristina                            - È una grazia soffrire senza colpa... Non ti lasciar trascinare dal dolore... È la prova, perché non è che una prova, lo so bene...

Elis                                  - Può un anno per Beniamin essere più breve di trecentosessantacinque giorni?

Kristina                            - Sì: cuor contento, accorcia il tempo.

Elis                                  - (ride) Soffia sulla ferita, così guarisce, si dice ai bambini!

Kristina                            - Allora sii bambino e parlerò così... Pensa alla mamma... come sa sopportare tutto!

Elis                                  - Tendimi la mano: affogo!

Kristina                            - (tende la mano).

Elis                                  - La tua mano trema...

Kristina                            - No, non mi pare...

Elis                                  - Tu non sei la donna forte che vuoi sem­brare...

Kristina                            - Non conosco debolezza...

Elis                                  - Perché, allora, non sai darmi un po' di forza?

Kristina                            - Non ne ho d'avanzo.

Elis                                  - (guarda fuori dalla finestra) Sai, ora, chi viene ?

Kristina                            - (guarda fuori dalla finestra, cade in ginocchio, vinta) È troppo...

Elis                                  - Il creditore, colui che può prendere i nostri mobili quando più gli piace, lui, Lindkvist, che è venuto qui, per starsene come il ragno in mezzo alla rete, a far la guardia alle mosche...

Kristina                            - Fuggi!

Elis                                  - (si alza) No, fuggire no... Ora che tu cedi, io divento forte. Eccolo: avanza per la strada... Già punta i suoi occhi cattivi sulla preda...

Kristina                            - Evitalo, almeno...

Elis                                  - No, ora mi diverte... Mi sembra tutto compiaciuto, come se avesse scorto la preda in trap­pola... Vieni!... conta i passi sino al cancello, e dalla porta aperta vede, vede che siamo in casa... Ma ora incontra qualcuno; si ferma a parlare... Parlerà di noi, perché guarda qui...

Kristina                            - Purché non s'incontri con la mamma! Le parole violente della mamma lo renderebbero implacabile... Evita quest'incontro, Elis!

Elis                                  - Ora scuote il bastone, quasi volesse affer­mare che qui la grazia non prevarrà sul diritto. Si abbottona bene il cappotto, per dimostrare che non gli hanno portato via gli abiti di dosso... Vedo sulla sua bocca quel che dice... Che cosa gli rispon­derò... « Signor mio, lei ha ragione! Prenda tutto, le appartiene! ».

Kristina                            - Non gli dirai che questo...

Elis                                  - Ora si mette a ridere. Ma Dio, non è un riso maligno! Forse egli non è poi tanto cattivo, sebbene voglia riavere i suoi danari... Se ora venisse, finalmente, e ponesse fine a quelle benedette chiac­chiere... Ora il bastone è di nuovo in movimento... Portano sempre bastoni coloro che hanno crediti arretrati... e soprascarpe di pelle, che dicono « scappa, scappa », proprio come fa la frusta in aria... (Pone la mano di Kristina sul cuore) Senti come batte il mio cuore... Lo sento come il mugghiare dell'oceano nell'orecchia destra... Oh! Dio, ora si è congedato!... E le soprascarpe stridono: «scappa, scappa» come la verghetta di Pasqua... Ma egli ha i ciondoli! Allora non è poi tanto spietato! Hanno sempre ciondoli di cornalino costoro, e sembrano fatti con la vecchia carne, che essi tagliarono sulle spalle del prossimo... Sta a sentire le soprascarpe... «lupi, lupi cattivi, più cattivi, pessimi, scappa! scappa! ». Attenta! Mi vede! Mi vede! (Si china verso la via) Saluta per primo! Ride! Accenna con la mano, e... (Si abbatte piangendo presso lo scrittoio) È passato!

Kristina                            - Dio sia lodato!

Elis                                  - È passato, ma ritornerà... Andiamo fuori, al sole.

Kristina                            - E il pranzo con Petrus?

Elis                                  - Siccome non sono stato invitato, ci rinuncio! Del resto, che cosa ci farei là, tra la gioia? Incon­trerei un amico infedele! Non farei che soffrire per i fatti suoi, come se non ne avessi abbastanza dei miei!

Kristina                            - Dunque rimani con noi? Grazie.

Elis                                  - Lo faccio molto volentieri! e lo sia... Andiamo?

Kristina                            - Sì, di qua!... (Vanno a sinistra. Kristina quando passa davanti a Beniamin gli dà un colpetto sul capo) Coraggio, ragazzo!

Beniamin                         - (nasconde il viso tra le mani).

Elis                                  - (prende il ramoscello sulla tavola da pranzo, e lo mette dietro lo specchio) Non era con un ramo­scello d'olivo che venne la colomba, ma di betulla! (Esce).

Eleonoea                          - (entra dal fondo; è una ragazza di sedici anni, con le trecce sulle spalle. Porta un giglio giallo di Pasqua in un vaso. Senza vedere, e senza lasciarsi vedere da Beniamin, prende dalla credenza la caraffa dell'acqua e annaffia il fiore, lo mette sul tavolo da pranzo, si siede vicino al tavolo, proprio di fronte a Beniamin, lo guarda, e ne contraffa i gesti).

Beniamin                         - (la guarda pieno di stupore).

Eleonora                          - (con un gesto al giglio di Pasqua) Sai, che cos'è?

Beniamin                         - (fanciullescamente ingenuo) È un giglio di Pasqua, diamine!... Ma tu, chi sei!

Eleonora                          - (affabile, triste) Sì, tu chi sei?

Beniamin                         - (come prima) Mi chiamo Beniamin, e sono a pensione dalla signora Heyst.

Eleonora                          - Davvero? Io mi chiamo Eleonora, e sono la figlia in questa casa.

Beniamin                         - Molto strano che non si sia mai parlato di te!

Eleonora                          - Dei morti non si parla!

Beniamin                         - Morti!?

Eleonora                          - Io sono civilmente morta, perché ho commesso un'azione molto cattiva.

Beniamin                         - Tu?!

Eleonora                          - Sì; ho dissipato i beni dei miei pupilli, e questo non è grave, perché ciò che è mal tolto si deve perdere; ma che ne ricadesse la colpa sul mio vecchio padre, fino a farlo finire in prigione, questo, vedi, non si potrà mai perdonare.

Beniamin                         - Parli in modo così strano e così grazioso e non ho mai pensato che la mia eredità potesse essere procacciata a torto.

Eleonora                          - Non bisogna legare gli uomini, bisogna liberarli.

Beniamin                         - Già, tu mi liberi della pena di essere ingannato,

Eleonora                          - Sei dunque un pupillo...

Beniamin                         - Sì; che ha avuto il triste destino di dover vivere tra questa povera gente per colpa loro.

Eleonora                          - Non devi dire parole dure; se no, me ne vado; sono così debole, che non le soppor­terei... Intanto... soffri per colpa mia?

Beniamin                         - No. Per colpa di tuo padre.

Eleonora                          - È lo stesso; perché lui ed io siamo la medesima persona... Sono stata molto malata... Perché sei così triste?

Beniamin                         - Ho avuto sfortuna.

Eleonora                          - E sei turbato per questo? « Sferza e castigo danno saggezza, e colui che odia la pena deve morire... ». Che sfortuna hai avuto?

Beniamin                         - Sono stato riprovato nello scritto di latino... sebbene fossi assolutamente sicuro.

Eleonora                          - Già, eri assolutamente sicuro, tanto sicuro che credevi di cavartela.

Beniamin                         - Credi che questa ne sia stata la causa?

Eleonora                          - Certamente. L'orgoglio precede la rpvina...

Beniamin                         - Me ne ricorderò la prossima volta.

Eleonora                          - Ben detto: e le offerte che piacciono a Dio, sono quelle di un animo contrito.

Beniamin                         - Sei tu di quei cristiani che leggono sempre la Bibbia?

Eleonora                          - Sì; la leggo sempre.

Beniamin                         - Dunque, tu credi...

Eleonora                          - Credo. Tanto, che se parlerai male di Dio, il mio benefattore, non siederò più alla stessa tua tavola.

Beniamin                         - Quant'anni hai?

Eleonora                          - Per me non esistono né tempo, né spazio; io sono ovunque e in ogni momento. Sono nella prigione di mio padre e nell'aula scolastica di mio fratello, sono nella cucina di mia madre e nella bottega di mia sorella, laggiù, lontano, in America. Quando gli affari vanno bene a mia sorella e può vendere, allora, provo la sua gioia, ma soffro quando compra male. Beniamin, ti chiami Beniamin, perché sei il più giovane dei miei amici... Sì; tutti gli uomini sono miei amici... Se mi permetti di occuparmi di te, allora soffrirò anche per te.

Beniamin                         - Non comprendo, in verità, le parole che dici; ma mi sembra di capire il senso dei tuoi pensieri. E da oggi, io vorrò tutto ciò che tu vuoi!

Eleonora                          - Allora, comincerai con lo smettere dal giudicare gli uomini, anche quelli che sono rei convinti...

Beniamin                         - Sì; ma io me ne voglio rendere ragione! Pensa che ho studiato filosofia...

Eleonora                          - Oh, davvero! Aiutami, dunque, a spiegare questo detto di un grande filosofo. Egli dice testualmente: « Coloro che odiano il giusto, saranno colpevoli ».

Beniamin                         - Secondo ogni logica, ciò significa che si può essere condannati per aver commesso reato...

Eleonora                          - E che la stessa colpa è una pena.

Beniamin                         - In verità è profondo! Si dovrebbe credere che sia di Kant o di Schopenhauer.

Eleonora                          - Non li conosco.

Beniamin                         - In quale opera l'hai letto?

Eleonora                          - Nella Sacra Scrittura!

Beniamin                         - Davvero? Dice così?

Eleonora                          - Sei proprio un bambino ignorante e negligente! Oh! se ti potessi educare!...

Beniamin                         - Tu, piccina?

Eleonora                          - Intanto, non sei cattivo... Sembri piuttosto buono... Come si chiama il tuo insegnante di latino?

Beniamin                         - Lettore Algen.

Eleonora                          - Me ne ricorderò... Oh; adesso mio padre soffre molto. Sono cattivi con lui. (Bimane in silenzio come se stesse ascoltando) Senti, come cantano i fili del telefono... Sono le parole dure che il duttile rame rossastro non può trasportare... Quando gli uomini parlano al telefono, allora il filo di rame si lamenta e accusa... (con durezza) e ogni parola viene scritta sul libro... e alla fine dei tempi, si faranno i conti...

Beniamin                         - Come sei severa!

Eleonora                          - (va al caminetto, apre lo sportello, estrae alcuni pezzi stracciati di carta bianca da lettere) Non io, non io! Come potrei osare di esserlo? Io...

Beniamin                         - (si alza e guarda le carte, che Eleonora ordina sul tavolo).

Eleonora                          - (tra se) Che gli uomini siano tanto leggeri, da gettare nel caminetto i loro segreti?... Ovunque mi reco, vado subito a vedere nel cami­netto! Ma non fo mai cattivo uso dei segreti; non oserei; altrimenti me ne verrebbe male!... Che cos'è questo? (Legge).

Beniamin                         - È il laureato Petrus, che scrive e fissa un appuntamento a Kristina... Da tanto tempo lo immaginavo...

Eleonora                          - (pone la mano sulla carta) Oh, di', che cosa immaginavi? Dimmelo, uomo malvagio che credi soltanto al male! Questa lettera non può essere che buona in se stessa, perché io conosco Kristina, che diverrà mia cognata. E questo incontro eviterà un male al fratello Elis... Mi vuoi promettere di tacere, Beniamin?

Beniamin                         - Non credo che oserei di parlarne!

Eleonora                          - Quanto male fanno gli uomini ad avere tanti segreti!... Si credono saggi e sono pazzi... Ma che ci posso fare?

Beniamin                         - Perché sei curiosa, eh!

Eleonora                          - Vedi, questa è la mia malattia: voglio sapere tutto, altrimenti mi agito...

Beniamin                         - Sapere tutto?

Eleonora                          - Sì. È un difetto che non so vincere. So persino ciò che dicono gli storni.

Beniamin                         - Ma essi non possono parlare...

Eleonora                          - Non hai sentito dire di storni ai quali s'è insegnato a parlare?

Beniamin                         - Già; ai quali s'è insegnato!

Eleonora                          - Dunque gli storni possono imparare a parlare! Ora, vedi, se ne trovano alcuni che inse­gnano a se stessi, e sono autodidatti... Stanno ad ascoltare, capisci, senza che noi lo sappiamo, e poi ripetono tutto. Dianzi ho udito, quando venivo, due uccellini che stavano a chiacchierare sul noce.

Beniamin                         - Mattacchiona! E che dicevano?

Eleonora                          - Ecco. « Petrus », diceva uno. « Giuda », diceva l'altro. « Si somigliano molto », diceva il primo. « Oibò, oibò, oibò! », diceva il secondo. Ma non hai notato che gli usignoli cantano soltanto nel giardino dei sordomuti?

Beniamin                         - Sì; lo sanno tutti. Ma perché?

Eleonora                          - Per questo: coloro che hanno l'udito non odono quel che dicono gli usignoli; ma l'odono i sordomuti.

Beniamin                         - Raccontami qualche altra favola...

Eleonora                          - Sì, se sarai buono!

Beniamin                         - Come, buono?

Eleonora                          - Ecco; tu con me non devi mai fare appello alle mie parole e non devi dire mai: «Allora dicesti questo, e poi dicesti quest'altro... ». Devo continuare a parlare degli uccelli? C'è un uccellacelo che si chiama « bucasorci ». Come si sente dal nome, egli vive di sorci. Non sa dire che una sola parola, che ha lo stesso suono di quando il gatto dice « miao ». Quando il bucasorci dice miao, allora i sorci scap­pano e si nascondono, ma il bucasorci non capisce ciò che dice, e così, spesso, rimane senza cibo, perché è malvagio. Ne vuoi sentire di più, oppure ti devo parlare dei fiori?... Sai, quando ero malata, mi capitò di bere un infuso di giusquiamo, che ha la proprietà di trasformare gli occhi in microscopio... La belladonna fa vedere invece tutto rimpicciolito... Ebbene, ora io posso vedere più lontano degli altri, e posso vedere le stelle in pieno giorno!

Beniamin                         - Ma le stelle non ci sono lassù!

Eleonora                          - Sei proprio divertente! Le stelle ci sono sempre lassù; ed ora mi volgo a nord, e vedo Cassiopea che somiglia a un doppio V e sta nel mezzo della Via Lattea... Riesci a vederla?

Beniamin                         - No, non vedo nulla.

Eleonora                          - Fai attenzione a questo, che certi uomini sanno vedere ciò che altri non vedono... Non aver perciò tanta fiducia nei tuoi occhi!... Ora vorrei parlarti di questo fiore che è sul tavolo... È un giglio di Pasqua che cresce in Isvizzera... Ha un calice che ha bevuto la luce del sole, perciò è giallo e calma i dolori. Passavo dianzi davanti ad un fioraio, l'ho veduto e volevo regalarlo a mio fratello Elis... Quando dalla porta d'ingresso volli entrare nella bottega, trovai la porta chiusa. Oggi è giorno di cresima... Siccome volevo avere il flore, presi le mie chiavi e provai... Pensa, una delle mie chiavi andava bene... Entrai. Tu lo capisci, il silenzioso linguaggio dei fiori? Ogni profumo suscita un complesso di pensieri! e questi pensieri mi assalirono. E con i miei occhi, che ingrandiscono le immagini, vidi l'interno dei loro laboratori, mai veduti da nessuno. Ed essi mi par­larono delle pene che l'insensibile giardiniere loro procurava. Non dico che il giardiniere sia crudele, perché esso non è che irriflessivo!... Lasciai una corona e la mia carta da visita sul tavolò, presi il fiore e me ne andai.

Beniamin                         - Quanto fosti leggera! Pensa, se ora si accorgeranno che manca il fiore, senza trovare il denaro?

Eleonora                          - È vero! Hai ragione.

Beniamin                         - Una moneta si può perdere e se si trova soltanto la tua carta, sei perduta.

Eleonora                          - Ma nessuno potrà mai pensare che io abbia voluto prendere qualcosa...

Beniamin                         - (la fissa) Nessuno?

Eleonora                          - (lo guarda e si alza) Oh! So quel che pensi! Tale il padre, tale il figlio! Quanto sono stata leggera! Quanto! Ebbene avvenga quel che deve avvenire! (Si siede) Succeda pure!

Beniamin                         - Non si può rimediare?...

Eleonora                          - Zitto! E parliamo d'altro!... Il let­tore Algen... Povero Elis! Poveri noi tutti! Ma è Pasqua e dobbiamo soffrire. Domani c'è un concerto. Si eseguiranno le « Sette parole sulla Croce » di Haydn... «Madre, guarda tuo figlio!...». (Piange col viso tra le mani).

Beniamin                         - Che specie di malattia hai?

Eleonora                          - Questa malattia non è mortale, ma a gloria di Dio! «Attesi il bene, e venne il male; attesi la luce e vennero le tenebre!... ». Come fu la tua infanzia, Beniamin?

Beniamin                         - Non so. Diffìcile. E la tua?

Eleonora                          - Io non ne ho mai avuta una. Sono nata vecchia. Quando nacqui, sapevo tutto, e quando imparavo una cosa, era soltanto come se me ne ricordassi. Conobbi la leggerezza e il poco senno degli uomini quando avevo quattro anni; eper questo furono cattivi con me!

Beniamin                         - Tutto ciò che dici, mi sembra di averlo già pensato...

Eleonora                          - Certamente... Perché credi che la mia moneta si sia smarrita nel negozio del fioraio?

Beniamin                         - Perché tutto ciò che è spiacevole, accade sempre...

Eleonora                          - Anche questo hai notato?... Zitto; viene qualcuno (Guarda verso il fondo) Sento... È Elisi... Oh, quant'è caro... Il mio unico amico sulla terra!... (Si rabbuia) Ma... non mi aspetta! E non sarà contento di vedermi. Non lo sarà, no!... Certamente no! Beniamin, Beniamin, mostrati affabile e di buon animo, quando viene il mio povero fratello. Andrò di là, così lo potrai preparare alla mia venuta. Ma niente parole dure; mi fanno male, capito? Dammi la mano!

Beniamin                         - (tende la mano).

Eleonora                          - (lo bacia sul capo) Così! Ora tu sei il mio fratellino! Iddio ti benedica e ti protegga. (Va verso sinistra, e passando davanti al cappotto di Elis, ne carezza amorevolmente la manica) Povero Elisi

Elis                                  - (entra dal fondo, triste).

La signora Hetst              - (entra dalla cucina).

Elis                                  - Oh! la mamma!

La signora Hetst              - Eri tu? Mi sembrava di udire un'altra voce.

Elis                                  - Vi sono novità. Ho incontrato per la strada l'avvocato!

La signora Hetst              - Ebbene?

Elis                                  - La causa andrà in appello... E, per gua­dagnar tempo, dovrei leggere tutti gli atti del pro­cesso...

La signora Hetst              - Bene. Farai presto...

Elis                                  - (indica i documenti sulla scrivania) Oh! Credevo che fosse finito; invece dovrò torturarmi ancora con questa storia di passione! Tutte le accuse, tutte le testimonianze, tutte le prove!

La signora Hetst              - Sì, ma poi sarà assolto...

Elis                                  - No, mamma; egli ha confessato...

La signora Hetst              - Sì, ma ci può essere un vizio di forma, disse l'avvocato l'ultima volta che gli parlai.

Elis                                  - Lo disse per consolarti.

La signora Hetst              - Non andrai a pranzo fuori?

Elis                                  - No!

La signora Hetst              - Hai di nuovo cambiato idea!?

Elis                                  - Sì.

La signora Hetst              - Male!

Elis                                  - Lo so, ma io sono come un fuscello sbal­lottato dalle onde.

La signora Hetst              - Mi sembrava proprio di sentire un'altra voce. Una voce che conoscevo... Avrò udito male. (Indica il cappotto) Codesto cap­potto non bisogna appenderlo qui. Te l'ho già detto. (Va a destra).

Elis                                  - (si porta verso sinistra, vede il giglio di Pasqua sul tavolo. A Beniamin) Di dove è venuto questo flore?

Beniamin                         - C'è stata qui, col flore, una ragazzina...

Elis                                  - Una ragazzina? Che cosa accade? Chi era?

Beniamin                         - Era...

Elis                                  - Era mia sorella?

Beniamin                         - Sì...

Elis                                  - (si accascia presso il tavolo. Pausa) Hai parlato con lei?

Beniamin                         - Ma sì...

Elis                                  - Oh, Dio, ancora non basta? È stata cat­tiva con te?

Beniamin                         - Lei?! No! È stata tanto cara, tanto cara!

Elis                                  - Strano... Ha parlato di me? Era molto arrabbiata con me?...

Beniamin                         - No! Al contrario. Diceva che lei era il migliore, l'unico suo amico sulla terra...

 Elis                                 - Che strano cambiamento!

Beniamin                         - E quando se ne è andata, ella carezzò il suo cappotto, là, sulla manica...

Elis                                  - Se n'è andata? Dov'è andata?

Beniamin                         - (indica la porta di sinistra) Là dentro!

Elis                                  - È dunque là?

Beniamin                         - Sì!

Elis                                  - Hai un'aria così lieta e felice, Beniamin...

Beniamin                         - Ella parlava con tanta grazia...

Elis                                  - Di che ha parlato?

Beniamin                         - Mi raccontò delle favole, e poi parlò molto di religione...

Elis                                  - (si alza) E questo ti ha fatto felice?

Beniamin                         - Sì! Tanto!

Elis                                  - Povera Eleonora! Lei, tanto infelice, sa dare agli altri la felicità... (Va verso sinistra, esitando) Iddio mi aiuti!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Venerdì Santo - Musica prima di questo atto: Haydn: «Sieben Worte», largo: « Pater dimitte illis ». La medesima scena, ma le tendine abbassate riflet­tono la luce del lampione a gas, sulla strada; il lampa­dario è acceso; sul tavolo una lampada accesa. C'è fuoco nel caminetto.

(Presso il tavolino da lavoro sono seduti Elis e Kristina, oziosi. Presso il tavolino seggono, uno di fronte all'altra, Eleonora e Beniamin, e leggono, illu­minati dalla lampada che è tra loro. Eleonora ha uno scialle sulle spalle. Tutti sono vestiti di nero; Elis e Beniamin hanno cravatte bianche. Sulla scrivania sono sparsi gli atti del processo. Sul tavolinetto da lavoro sta il giglio di Pasqua. Sul tavolo una vecchia pendola. Di quando in quando si vede sulle tendine l'ombra di qualcuno che passa nella via).

Elis                                  - (a mezza voce a Kristina) Lungo, orribil­mente lungo questo Venerdì Santo! E la neve si è posata sul selciato della via come paglia davanti alla casa del moribondo; ogni rumore è cessato, fuorché i suoni bassi dell'organo, che odo fin qui...

Kristina                            - La mamma sarà andata di certo ai vespri...

Elis                                  - Sì. Stamani non si è azzardata ad andare alla messa cantata... Gli sguardi degli uomini la feriscono...

Kristina                            - Sono strani questi uomini: pretendono che noi tutti ci teniamo in disparte, lo ritengono conveniente...

Elis                                  - Già; e forse con ragione...

Kristina                            - Per il passo falso di uno solo l'intera famiglia è messa al bando...

Elis                                  - Proprio così.

Eleonora                          - (sposta la lampada verso Beniamin, per vederlo meglio).

Elis                                  - (accenna a Eleonora e Beniamin) Guarda quei due...

Kristina                            - Non è bello?... Vanno così bene d'accordo!

Elis                                  - Quale gioia che Eleonora sia così tran­quilla! Oh, ma durasse!

Kristina                            - Perché non dovrebbe durare?

Elis                                  - Perché la felicità è breve. Ho paura di tutto, in questo giorno!

Beniamin                         - (sposta -piano piano la lampada verso Eleonora per poterla vedere meglio).

Kristina                            - Guardali!

Elis                                  - Hai notato come è cambiato Beniamin? La cupa alterigia ha fatto posto a una serena umiltà...

Kristina                            - E lei? Quanta dolcezza in tutto il suo essere! Anche a non usare la parola bello...

Elis                                  - Ed ha condotto con sé un angelo di pace, che s'aggira invisibile, e spira una serena calma... Anche la mamma provò un senso di sollievo, quando la vide, una serenità insolita...

Kristina                            - Credi che si sia ristabilita?

Elis                                  - Sì, se non le rimanesse un'eccessiva sen­sibilità... Ora è seduta, legge la storia di Cristo, e ogni tanto piange.

Kristina                            - Anche noi, lo ricordo, la leggevamo alla scuola nei sabati di Quaresima...

Elis                                  - Non parlare così forte; essa sente così bene!

Kmstina                           - Non ora; è tanto lontana da tutto!

Elis                                  - Hai notato come Beniamin abbia acqui­stato una certa dignità, specialmente nel volto?

Kmstina                           - È il dolore; la gioia fa tutto insipido.

Elis                                  - Porse, piuttosto, è... l'amore! Non credi che quei ragazzi...

Kristina                            - Zitto, zitto, zitto... Non toccare le ali della farfalla. Se no, vola via!

Elis                                  - Continuano a guardarsi, fanno finta di leggere, ma non voltano la pagina a quel che sembra.

Kristina                            - Zitto...

Elis                                  - Guarda; ora essa non sa dominarsi...

Eleonoea                          - (si alza, va in punta di piedi da Beniamin, gli posa il suo scialle sulle spalle. Beniamin fa dolce resistenza, ma cede; dopo di che Eleonora torna a sedersi, e sposta la lampada verso Beniamin).

Kristina                            - Essa non sa, povera Eleonora, quanto bene gli voglia...

Elis                                  - (si alza) Ora me ne ritorno agli atti del processo.

Kristina                            - Sai vedere uno scopo in cotesta lettura?

Elis                                  - Uno solo; continuare a tener desta la spe­ranza della mamma! Ma, non appena mi metto a leggere, le parole si posano come pugni sul fondo dei miei occhi. Le testimonianze delle prove, le somme delle cifre, le confessioni del babbo... così, ecco: «l'accusato riconobbe tra lacrime »... Tante lacrime, tante lacrime... E queste carte... con i loro bolli, mi fanno pensare ai biglietti falsi ed alle chiavi del car­cere. I cordoni e i sigilli rossi, alle cinque piaghe di Gesù!... e le frasi che non finiscono mai, alle pene eterne... È lavoro da Venerdì Santo! Ieri brillava il sole, ieri andammo per la campagna pensando... Kristina... pensa, se dovessimo rimanere qui d'estate!

Kristina                            - Risparmieremmo allora molto danaro... ma sarebbe spiacevole...

Elis                                  - Non lo sopporterei... Per tre estati sono rimasto qui... ed è come una tomba. Nel bel mezzo del giorno, si vede la lunga grigia strada serpeggiare come una trincea... non un essere umano, né un cavallo, né un cane. Ma dalle fogne vengon fuori i topi, poiché i gatti sono presi tutti dal piacer dell'estate... E dietro i vetri stanno coloro che son rimasti in città, e spiano gli abiti del prossimo. « Guarda, quello è ancora vestito con gli abiti inver­nali! »... e spiano i calcagni storti del prossimo, e gli errori di chi passa. E dai quartieri poveri sbucano fuori gli storpi, i senza naso, i senza orecchie, tutta gente cattiva e infelice... E stanno seduti lungo la grande passeggiata, e prendono il sole, proprio come se avessero occupato allora allora la città... Laggiù, dove ì bei bambini ben vestiti giocavano animati dalle parole affettuose delle madri, adesso strisciano turbe di pezzenti che litigano e si tormentano a vicenda... Ricordo la festa di San Giovanni di due anni fa!

Kristina                            - Elis, Elis! Guarda avanti, avanti!

Elis                                  - C'è più luce là?

Kristina                            - Giova crederlo.

Elis                                  - (si siede alla scrivania) Almeno smettesse di nevicare là fuori! Tanto da poter uscire a pas­seggiare.

Kristina                            - Caro amico, iersera desideravi ancora le tenebre, perché ci nascondessero agli sguardi degli uomini... « Le tenebre sono così belle, tanto benefiche », dicevi, « sembra quasi di tirarci una coperta sul capo! ».

Elis                                  - Questo prova, che la miseria è ugualmente grande in ogni caso (Legge le carte) Le cose peggiori, in questo processo, sono le disgraziate domande sul tenore di vita di mio padre... Qui è scritto che noi davamo splendidi ricevimenti... Una testimonianza dice che babbo beveva!... No, questo è troppo! Non ne posso più!... Eppure dovrei... sino alla fine!... Non senti freddo?

Kristina                            - No; ma neppur caldo... Lina non è in casa?

Elis                                  - E a confessarsi; lo sai.

Kristina                            - La mamma tornerà presto a casa?

Elis                                  - Ho sempre paura, quando rientra... Ha sempre udito tante cose, e tante ne ha vedute... e tutte brutte.

Kristina                            - V'è un insolito senso d'affanno nella tua famiglia.

Elis                                  - Perché soltanto la gente afflitta ci è stata vicina... I felici ci hanno schivato.

Kristina                            - Ecco la mamma: è rientrata dalla porta di cucina.

Elis                                  - Sii paziente con lei, Kristina!

Kristina                            - Diamine! Tra tutti noi, ella porta il peso più duro. Ma io non la capisco!

Elis                                  - Nasconde la sua vergogna meglio che può; perciò è incomprensibile. Povera mamma!

La signora Heyst             - (entra vestita di nero, tenendo in mano il libro delle preghiere e il fazzoletto) Buona sera, figlioli.

Tutti                                 - (fuorché Beniamin che saluta in silenzio) Buona sera, mammina...

La signora Heyst             - Siete tutti vestiti di nero, come se foste in lutto. (Silenzio).

Elis                                  - Nevica sempre?

La signora Heyst             - Sì, fiocca... Qui avete freddo... (Va verso Eleonora, e la carezza) Quant'è buona la mia piccina, che legge e studia! (A Beniamin) Anche tu... bravo!

Eleonora                          - (prende la mano della madre e se la porta alle labbra).

La signora Hetst              - (contiene la commozione) Sì, bambina mia... Sì, sì...

Elis                                  - Sei stata ai vespri, mamma?

La signora Hetst              - Sì. E c'era il viceparroco, che non mi piace affatto...

Elis                                  - Hai incontrato qualche conoscente?

La signora Hetst              - (si siede presso il tavolino da lavoro) Sarebbe stato meglio se non avessi incon­trato nessuno!...

Elis                                  - Allora so chi è.

La signora Hetst              - Lindkvist! E m'è venuto incontro...

Elis                                  - Senza pietà...

La signora Hetst              - Mi ha domandato come stavamo... e immaginate il mio spavento quando mi ha chiesto se poteva farci una visita stasera.

Elis                                  - Proprio la sera di Venerdì Santo!

La signora Hetst              - Rimasi senza parola! Ed egli prese il mio silenzio come un'approvazione. (Pausa) Può essere qui da un momento all'altro!

Elis                                  - (si alza) Qui? Ora?

La signora Hetst              - Mi disse che voleva conse­gnarci una carta e che la cosa gli premeva.

Elis                                  - Vuol prendere i mobili.

La signora Hetst              - Aveva un'aria così strana... Non l'ho capito...

Elis                                  - Venga pure. Ha il diritto dalla sua, e noi dobbiamo piegarci. Dovremmo riceverlo in modo conveniente, quando verrà.

La signora Hetst              - Io non sento il bisogno di vederlo !

Elis                                  - Sì, puoi benissimo restare di là...

La signora Hetst              - Ma i mobili egli non può prenderli. Dove abiteremo, se ci porta via ogni cosa? Non si può stare in una camera vuota! Già!

Elis                                  - Le volpi hanno la loro tana, e gli uccelli il loro nido... e ci sono i senza tetto che abitano nella foresta...

La signora Hetst              - Colà dovrebbero abitarci i briganti, non la gente perbene.

Elis                                  - (presso la scrivania) Ora sto leggendo, mamma...

La signora Hetst              - Hai trovato qualche errore?

Elis                                  - No, credo che non ce ne siano.

La signora Hetst              - Ma dianzi ho incontrato il notaio, ed ha detto che si dovrebbe poter trovare un vizio di forma, una testimonianza non valida, un'asserzione non provata oppure una contraddi­zione. Tu non devi leggere con eccessiva cura!

Elis                                  - Sì, mamma, ma è così penoso...

La signora Hetst              - Senti: dianzi ho incontrato il notaio... È vero; te l'ho già detto. E mi ha rac­contato d'uno scasso compiuto ieri in città, in pieno giorno.

Eleonora e Beniamin       - (fanno attenzione).

Elis                                  - Scasso? Qui in città? Dove?

La signora Hetst              - Pare che sia stato nel negozio di fiori in Via del Chiostro. Un fatto molto strano. Dev'essere andata così: il negoziante chiuse a chiave la bottega per andare in chiesa, dove suo figlio... forse era la figlia... si doveva cresimare. Quando tornò a casa alle tre, forse erano le quattro, ma ciò non fa niente... già... la porta della sua bottega era aperta, e mancavano fiori, una quantità di fiori, e specialmente un tulipano giallo, come egli notò subito...

Elis                                  - Un tulipano? Se fosse stato un giglio, avrei avuto paura...

La signora Hetst              - No, era un tulipano; sicu­ramente. Intanto la polizia è in movimento. (Eleonora si è alzata come se volesse parlare, ma Beniamin avanza verso di lei e le sussurra qualcosa) Pensa, proprio di Giovedì Santo, quando si cresimano i ragazzi, fare uno scasso... In città non ci sono che bricconi. Gli innocenti stanno in prigione.

Elis                                  - E non si hanno sospetti?

La signora Hetst              - Macche! Un ladro strano, perché non toccò il danaro nel cassetto...

Kristina                            - Oh! terminasse questo giorno!

La signora Hetst              - E se Lina tornasse a casa!... Già; ho sentito parlare del banchetto di Petrus... Vi partecipò anche il prefetto...

Elis                                  - Mi sorprende. Petrus è sempre stato con­siderato ostile al partito del prefetto...

La signora Hetst              - Avrà cambiato idea...

Elis                                  - Non per nulla si chiama Petrus.

La signora Hetst              - Che cosa hai contro il prefetto...

Elis                                  - È un ostacolo! Egli ostacola tutto. Osta­colò la scuola superiore popolare, ostacolò gli esercizi militari dei giovani, voleva ostacolare gli innocenti ciclisti, le belle colonie estive degli studenti... Ed ha ostacolato me...

La signora Hetst              - Questo non lo capisco... e non fa nulla. Intanto il prefetto tenne un discorso... e Petrus ringraziò...

Elis                                  - Commosso, suppongo, e rinnegò il suo maestro e disse: «Io non conosco quell'uomo». E di nuovo cantò il gallo! Il prefetto non si chiamava Ponzio, e di cognome Pilato?

Eleonora                          - (si agita come se volesse parlare).

La signora Hetst              - Non devi essere così acre, Elis. Gli uomini sono nomini, e bisogna convivere con loro!

Elis                                  - Zitta! Sento venire Lindkvist...

La signora Hetst              - Eiesci a sentirlo, sulla neve?

Elis                                  - Sento il suo bastone picchiare sulle pietre e le sue soprascarpe di pelle scricchiolare... Va via, mamma...

La signora Hetst              - No, voglio restare. Gli dirò qualche cosa!

Elis                                  - Mamma cara, va! È troppo penoso...

La signora Hetst              - (si alza, scossa) Sia dimen­ticato il giorno che io nacqui!

Elis                                  - Non gridare!

La signora Hetst              - (con un'espressione di magna­nimità) Neppure l'iniquo dovrebbe avere queste tribolazioni, ne un malfattore soffrire tali pene ».

Eleonora                          - (con un grido d'angoscia) Mamma!

La signora Hetst              - Dio mio, spero che tu non mi abbia abbandonata! E neppure i miei figli! (Va a sinistra).

Elis                                  - (che sta a origliare verso l'esterno) S'è fer­mato!... Forse gli sembrerà che non sia conveniente... o che sia troppo crudele!... Ma lui non ci bada; lui, che ha scritto quelle orribili lettere! E sempre su carta azzurra; e da allora non posso vedere una let­tera azzurra senza rabbrividire.

Kristina                            - Che cosa gli dirai, che cosa gli pro­porrai?

Elis                                  - Non so! Non so più pensare, non so più riflettere... Cadrò in ginocchio davanti a lui, implo­rerò grazia... Si sente? Io non sento altro che il sangue fremere nelle mie vene...

Kristina                            - Pensiamo al caso peggiore. Che ci porti via tutto...

Elis                                  - Allora verrà il padrone di casa e rivorrà il suo alloggio. Rivorrà l'alloggio, poiché non ci saranno più i mobili a garanzia dell'affitto...

Kristina                            - (che dietro le tendine guarda fuori nella via) Non c'è più! È andato via...

Elis                                  - Oh!... Sai? L'apatica rassegnazione della mamma mi tormenta di più che il suo sdegno...

Kristina                            - La sua rassegnazione è solo fittizia e immaginaria. C'era il ruggito della leonessa nelle sue ultime parole... Non hai veduto come parve farsi più grande?

Elis                                  - Ed ora, se penso a Lindkvist, lo vedo come un gigante bonario, che vuole soltanto spaven­tare i bambini! Come può venirmi in mente questo pensiero?

Kristina                            - I pensieri vanno e vengono...

Elis                                  - Che fortuna per me di non essere andato al pranzo... Avrei certamente tenuto un discorso contro il prefetto... e avrei mandato tutto in malora, per me e per noi. È stata una grande fortuna.

Kristina                            - Lo vedi?

Elis                                  - Grazie del consiglio. Conosci il tuo Petrus, tu!

Kristina                            - Il mio Petrus!

Elis                                  - Mio... volevo dire... Eccolo! È di nuovo qui! Guai a noi... (Si vede sulla tendina l'ombra di un uomo che si avvicina esitando. L'ombra s'ingigan­tisce sempre più e diventa gigantesca. Tutti sono in preda alla massima angoscia) Il gigante! Guarda il gigante che ci vuol inghiottire!

Kristina                            - Ora è il momento di riderci su, come nelle favole.

Elis                                  - Non so più ridere. (L'ombra si impiccio­lisce e scompare).

Kristina                            - Guarda il bastone, allora, e riderai!

Elis                                  - Se n'è andato. Respiro. Ormai non tor­nerà prima di domani! Oh!

Kristina                            - E domani splenderà il sole; è la vigilia della resurrezione; la neve scomparirà e gli uccelli canteranno.

Elis                                  - Parla ancora così! Io vedo tutto quello che dici.

Kristina                            - Se tu potessi vedere dentro il mio cuore; se potessi vedere i miei pensieri, le mie buone intenzioni, la mia più intima preghiera, Elis, Elis allora io... (Si ferma).

Elis                                  - Che cosa? Parla...

Kristina                            - Allora ti pregherei di una cosa.

Elis                                  - Dimmi!

Kristina                            - È una prova! Pensaci! È una prova, Elis!

 Elis                                 - Prova? Una prova? Ebbene?

Kristina                            - Fammi... No, non oso! Può fallire...

Eleonora                          - (sta a sentire).

Elis                                  - Perché mi tormenti?

Kristina                            - Me ne pentirò; lo so... Può darsi. Elis, lasciami andare al concerto stasera.

Elis                                  - Quale concerto?

Kristina                            - « Le sette parole sulla croce » di Haydn, al Duomo!

Elis                                  - Con chi?

Kristina                            - Con Alice...

Elis                                  - E con...

Kristina                            - Petrus!

Elis                                  - Con Petrus?

Kristina                            - Ecco; ora ti turbi... Me ne pento, ma è troppo tardi.

Elis                                  - Già; è un po' tardi. Ma spiegati.

Kristina                            - Ti avevo preavvertito che non potevo spiegarmi, e perciò imploravo la tua illimitata fiducia.

Elis                                  - (con dolcezza) Va! Ho fiducia in te; ma mi rattrista il fatto che tu cerchi la compagnia del traditore.

Kristina                            - Lo capisco! Ma è soltanto una prova.

Elis                                  - Alla quale non so resistere.

Kristina                            - Lo devi!

Elis                                  - Lo vorrei, ma non posso. Tu, in ogni caso, andrai.

Kristina                            - La tua mano...

Elis                                  - (tende la mano) Eccola... (Squilla il telefono. Elis va all'apparecchio) Pronto!... Nessuno risponde: Pronto!... Si risponde con la mia voce!... Chi è... Strano! Sento la mia voce, come un'eco...

Kristina                            - Può succedere...

Elis                                  - Pronto!... Ma è pauroso... (Toglie la comu­nicazione) Ora va, Kristina! Senza spiegazioni, senza complimenti. Affronterò la prova.

Kristina                            - Fallo; sarà bene per noi...

Elis                                  - Lo farò.

Kristina                            - (si avvia a destra).

Elis                                  - Perché esci da quella parte?

Kristina                            - Ho là il mio soprabito. Dunque, addio, per ora!

Elis                                  - Addio, amica mia! (Pausa) Per sempre! (Esce precipitoso da sinistra).

Eleonora                          - Iddio ci aiuti, che cosa ho udito? La polizia cerca il colpevole, e se sono scoperta, povera mamma e povero Elis!

Beniamin                         - (con fare infantile) Eleonora, tu dirai che io ho fatto questo.

Eleonora                          - Tu, puoi portare la colpa di un altro? tu, fanciullo?

Beniamin                         - È molto facile portarla, quando si sa di essere innocenti.

Eleonora                          - Non bisogna mai mentire...

Beniamin                         - Allora lasciami telefonare al fioraio, e gli dirò come stanno le cose.

Eleonoea                          - No, io ho agito male, ed io devo essere punita con l'inquietudine. Io ho destato il loro spavento per lo scasso, ed io dovrò essere spaventata.

Beniamin                         - Ma se viene la polizia...

Eleonoea                          - È doloroso... ma dev'essere così! Oh! terminasse questo giorno! (Prende la pendola sulla tavola e ne muove le lancette) Caro orologio va un po' più presto! Ora sono le otto! bing, bing, bìng,... Ora sono le nove! Le dieci! Le undici! Le dodici! Ora è la sera di Pasqua! Tra poco sorgerà il sole, e scriveremo sulle uova di Pasqua! Qui scriverò così: « Vedi, il Maligno brama di poterti massacrare come sa; ma io ho pregato per te... ».

Beniamin                         - Perché ti tormenti così, Eleonora?

Eleonora                          - Io! Tormentarmi! Pensa, Beniamin, a tutti i fiori sbocciati, agli anemoni azzurri; ai bucaneve, che se ne stanno sulla neve tutto il giorno e tutta la notte, a gelare là fuori nel buio! Pensa come devono soffrire... La notte è terribile, quando è buio, ed essi hanno paura del buio, e non possono scappare via... e stanno fermi ad aspettare che spunti il giorno. Tutto, tutto il mondo soffre, ma i fiori più di tutto! E gli uccelli migratori, che ormai sono giunti, dove dormiranno questa notte?

Beniamin                         - (con fare infantile) Stanno negli alberi cavi, lo sai bene.

Eleonora                          - Non ci sono tanti alberi cavi che bastino a tutti. Ne ho veduti soltanto due qui nel parco, e vi abitano le civette, che uccidono gli uccel­lini... Povero Elis, crede che Kristina lo abbia abban­donato; ma io so che ritornerà...

Beniamin                         - Se lo sai, perché non gliel'hai detto?

Eleonora                          - Perché Elis deve soffrire; tutti devono soffrire di Venerdì Santo, perché devono ricordare Cristo, che soffrì sulla croce. (S'ode il fischio della polizia dalla strada. Eleonora trasalisce) Che cos'è?

Beniamin                         - (si alza) Non lo sai?

Eleonora                          - No.

Beniamin                         - La polizia!

Eleonora                          - Ah!... Sì, ricordo quel fischio, quando vennero a prendere il babbo... e allora mi ammalai! Ed ora vengono a prendere me!

Beniamin                         - (si mette con le spalle contro la porta di fondo davanti ad Eleonora) No, non ti prenderanno! Io ti difenderò, Eleonora!

Eleonora                          - Questo mi piace, Beniamin; ma non potrai...

Beniamin                         - (guarda fuori attraverso le tendine) Sono in due... (Eleonora vuol farsi strada con la forza, ma Beniamin fa dolce resistenza) Non tu, Eleonora; altrimenti non vorrei più vivere!

Eleonora                          - Siediti su quella sedia, bambino! Suvvia, siediti...

Beniamin                         - (ubbidisce malvolentieri).

Eleonora                          - (guarda fuori dietro le tendine senza nascondersi) Non erano che due ragazzi! Oh! increduli che siamo. Credi che Dio sia tanto crudele, dal momento che non ho fatto il male, e ho agito soltanto con leggerezza? Mi sta bene, perché ho dubitato!

Beniamin                         - Ma domani verrà colui che vuol prendere i mobili...

Eleonora                          - Che venga! E noi andremo via... Lontani da tutto... dai vecchi mobili, che il babbo aveva messo insieme per noi, che io ho veduti sin da quando ero piccina! Sì, non si deve possedere nulla che ci leghi alla terra. Fuori! sulle strade petrose, e camminare con i piedi feriti, perché quella vita conduce in alto, e perciò è faticosa...

Beniamin                         - Ora ti torturi di nuovo, Eleonora...

Eleonora                          - Lasciami stare!... Ma sai da che cosa mi rincresce maggiormente di separarmi? Da questa pendola! C'era quando nacqui, ed ha misurato la mie ore e i miei giorni. (Solleva la pendola dal tavolo) Senti, batte come un cuore... proprio come un cuore... E si fermò nell'ora in cui morì il nonno, perché c'era fin da allora. Ahi! caro orologio, fer­mati presto di nuovo!... Sai; era solita andare avanti quando avevamo in casa la sventura, proprio come se essa avesse voluto... che il male passasse presto. Per amor nostro, capisci? Ma nelle ore radiose, allora rallentava perché potessimo godere più a lungo. Così faceva il buon orologio! Ma poi ne avevamo uno cattivo... Anche ora è appeso in cucina. Non poteva soffrire la musica, e appena Elis suonava il piano, cominciava a battere. Lo notavamo tutti, non io sola; e gli è toccato di stare in cucina, perché era cattivo. Ma neppure a Lina piace, perché non sta zitto di notte, e non ci si può regolare per cuocere le uova. Diventano sempre troppo dure, dice Lina... Ora ti metti a ridere!...

Beniamin                         - E che dovrei fare?...

Eleonora                          - Sei un bravo ragazzo, Beniamin, ma] dovresti essere più serio. Pensa alla sferza che sta là, dietro allo specchio!

Beniamin                         - Mi dici cose tanto divertenti, che devo ridere... E poi, perché piangere sempre?

Eleonora                          - Se non si piange nella valle delle tribolazioni dove si deve piangere?

Beniamin                         - Hm!

Eleonora                          - E perciò hai avuto anche tu la tua parte di dolore. Rideresti volentieri tutto il giorno! Mi piacerai soltanto se sarai serio. Ricordatelo!

Beniamin                         - Credi che usciremo da queste pene, Eleonora?

Eleonora                          - Sì, da quasi tutte, quando sarà passato il Venerdì Santo, ma non da tutte! Oggi la sferza, domani l'uovo di Pasqua! Oggi la neve, domani la rugiada! Oggi la morte, domani la resur­rezione...

Beniamin                         - Come sei saggia!

Eleonora                          - Sento già che schiarisce, e viene il tempo bello, che la neve si fonde... già si sente odore di neve sciolta... e domani sbocceranno le violette sul dolce pendio del colle! Le nubi si sono alzate, lo sento dal respiro più facile... oh, io lo sento bene quando il cielo è libero!... Va', tira da parte le ten­dine, Beniamin, voglio che Dio ci veda.

Beniamin                         - (si alza e ubbidisce; il chiaro di luna entra nella stanza).

Eleonora                          - Vedi la luna piena? È quella di Pasqua. Tu lo sai bene; il sole sta sempre dietro la luna; e la luna splende, illuminata dai suoi raggi.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Sabato Santo   - Musica prima di quest'atto: Haydn: « Sieben Worte », N. 5, Adagio. La mede­sima scena, ma le tendine alzate. Fuori il paesaggio si è schiarito, ma con una tonalità di tempo grìgio. Il caminetto è acceso; la porta di fondo chiusa.

(Eleonora sta seduta davanti al caminetto e tiene avanti a sé un mazzolino di anemoni azzurri).

Beniamin                         - (entra da destra).

Eleonora                          - Dove sei stato tanto tempo, Beniamin?

Beniamin                         - Non è poi tanto tempo...

Eleonora                          - Ma io desideravo tanto di vederti!

Beniamin                         - E tu, dove sei stata, Eleonora?

Eleonora                          - Sono stata al mercato, e ho com­perato anemoni azzurri; ed ora devo riscaldarli, perché hanno patito tanto freddo, poverini.

Beniamin                         - Dov'è il sole?

Eleonora                          - Dietro la nebbia; oggi non ci sono nuvole, non ci sono che nebbie marine, che odorano di salmastro...

Beniamin                         - Hai veduto che gli uccelli del parco vivono ancora?

Eleonora                          - Sì; e non accade nulla, sulla terra, senza che Dio lo voglia. Ma al mercato c'erano uccelli morti.

Elis                                  - (entra da destra) È venuto il giornale?

Eleonora                          - No, Elis!

Elis                                  - (attraversa la scena; quando è nel mezzo entra Kristìna da sinistra).

Kristina                            - (senza accorgersi di Elis) È venuto il giornale?

Eleonora                          - No, non ancora...

Kristina                            - (attraversa la scena verso destra, passa davanti ad Elis, che esce da sinistra senza che si siano guardati).

Eleonora                          - Uh, che freddo! È entrato l'odio in casa! Fintanto che c'era l'amore, tutto si poteva sopportare; ma ora, uh! che freddo!

Beniamin                         - Perché chiedono il giornale?

Eleonora                          - Non lo capisci? È là che dev'essere scritto...

Beniamin                         - Che cosa?

Eleonora                          - Tutto! Lo scasso, la polizia ed altro ancora...

La signora Heyst             - (da destra) È venuto il giornale?

Eleonora                          - No, mammina.

La signora Heyst             - (esce di nuovo da destra) Dimmelo subito, quando viene.

Eleonora                          - Il giornale, il giornale! Ah, bene, se la rotativa si fosse spezzata, se il direttore si fosse ammalato... Ma no, così non si può dire! Sai? sono stata dal babbo stanotte...

Beniamin                         - Stanotte?

Eleonora                          - Sì, durante il sonno... E poi sono stata in America dalla sorella... Ieri l'altro essa aveva venduto per trenta dollari, e così ne aveva guada­gnati cinque.

Beniamin                         - È molto o è poco?

Eleonora                          - È moltissimo.

Beniamin                         - (con astuzia) Hai incontrato qual­cuno, quando sei stata al mercato?

Eleonora                          - Perché lo chiedi? Non devi fare il furbo con me, Beniamin; ti dirò i miei segreti, ma non devi cercare di saperli...

Beniamin                         - E credi di sapere i miei, in questo modo?

Eleonora                          - Senti cantare i fili del telefono? Ecco: ora è uscito il giornale; ora la gente telefona: « Hai letto? » « Si ho letto! » « Non è orribile? ».

Beniamin                         - Cos'è orribile?

Eleonora                          - Tutto! l'intera vita è orribile. Eppure dobbiamo essere contenti!... Pensa a Elis e... Kristina; essi si amano e nondimeno si odiano; e così il termo­metro si abbassa, quando attraversano la stanza. Ieri Kristina fu al concerto, ed oggi non si parlano più... Perché?

Beniamin                         - Perché tuo fratello è geloso.

Eleonora                          - Non pronunciare questa parola. Cosa ne sai tu del resto, se non che è una malattia e quindi un castigo? Non bisogna toccare il male, perché altrimenti ce lo chiamiamo addosso. Guarda Elis; non hai notato come è cambiato, da quando ha cominciato a leggere quelle carte...

Beniamin                         - Gli atti del processo?

Eleonora                          - Sì. Sembra che tutta la cattiveria contenuta in quelle carte, sia penetrata nell'anima sua ed ora apparisca dal suo volto e dai suoi sguardi... Kristina lo sente, e per difendersi di tutto quel male, si chiude in una corazza di ghiaccio! Oh, quelle carte; se potessi bruciarle! Sprizzano da esse malizia, falsità e vendetta. Perciò, ragazzo mio, tieni lontani da te il male e l'impurità; lontani dalle tue labbra e dal tuo cuore...

Beniamin                         - Come osservi tutto!

Eleonora                          - Sai che cosa mi aspetta nel caso che Elis e gli altri possano mettere in chiaro che sono stata io a comprare il giglio di Pasqua in quel modo strano?

Beniamin                         - Che cosa ti faranno?

Eleonora                          - Sarò rimandata... là, donde sono venuta, dove non brilla il sole, dove le pareti sono bianche e nude come in una stanza di ospedale, dove si odono solo pianti e lamenti, dove ho sciupato un anno della mia vita...

Beniamin                         - Dove? Che cosa vuoi dire"?

Eleonora                          - Dove si è tormentati peggio che in prigione, dove abitano gli infelici, dove sta di casa l'agitazione, dove la disperazione veglia notte e giorno e donde nessuna torna indietro.

Beniamin                         - Peggio che in prigione? Ma dove?

Eleonora                          - In prigionie si è condannati, ma laggiù si è dannati per sempre. In prigione si è esa­minati e giudicati, laggiù non si è ascoltati!... Povero giglio dì Pasqua, che ne è la causa... Volevo soltanto il bene, e ho fatto il male!

 

Beniamin                         - Ma perché non vai dal fioraio e gli dici: «Le cose stanno così?». Sei proprio come un agnello, quando aspetta di essere macellato...

Eleonora                          - Quando sa che dev'essere macellato, non si lamenta più e non cerca di scappare. Che altro potrebbe fare?

Elis                                  - (entra da sinistra con una lettera in mano) Non è ancora venuto il giornale?

Eleonora                          - No, fratello.

Elis                                  - (si volge, parla versa la cucina) Lina, vada a comperare il giornale.

La signora Heyst             - (entra da destra).

Eleonora e Beniamin       - (sono spaventati).

Elis                                  - (a Eleonora e Beniamin) Andate via, figlioli, per un momento; siate bravi!

Eleonora e Beniamin       - (escono da sinistra).

La signora Heyst             - Hai ricevuto una lettera?

Elis                                  - Sì.

La signora Hetst              - Dall'Istituto?

Elis                                  - Sì.

La signora Hetst              - Che cosa vogliono?

Elis                                  - Reclamano Eleonora.

La signora Hetst              - Non ci riusciranno! È mia figlia.

Elis                                  - Ed è mia sorella...

La signora Heyst             - E allora che pensi?

Elis                                  - Non so! Non sono più capace di pensare...

La signora Hetst              - Ma posso io!... Eleonora, la figlia triste, è tornata con la gioia; ma non della gioia di questo mondo; la sua inquietudine s'è cam­biata in un senso di pace, che la possiede. Saggia, o no, per me è saggia, perché sa portare i pesi della vita meglio di me, meglio di noi. Del resto, Elis, sono io saggia, ero io saggia, quando credevo inno­cente mio marito? Sapevo bene che egli era reo convinto, con prove materiali, evidenti, e che lui stesso riconobbe!... E tu, Elis, sei nelle tue facoltà, quando non vedi che Kristina ti ama? Quando credi che essa ti odi?

Elis                                  - È un singolare modo di amare...

La signora Hetst              - No! Il tuo gelo assidera i suoi più intimi sentimenti, e sei tu che odi. Ma hai torto, e perciò devi soffrire.

Elis                                  - Come posso aver torto? Non è andata ieri sera con il mio amico infedele?

La signora Hetst              - Sì, c'è andata; e con il tuo consenso. Ma perché c'è andata? Già. Questo lo dovresti intuire...

Elis                                  - No, non posso...

La signora Heyst             - Bene! Allora mi pare neces­sario che tu soffra quello che soffri. (La porta di cucina si apre, una mano porge il giornale, che la signora Heyst prende e passa a Elis).

Elis                                  - Questa è l'unica e reale disgrazia. Con lei sapevo sopportare gli altri! Ma ora crolla l'ultimo appoggio, ed io cado.

 La signora Hetst             - Cadi, ma cadi bene; così ti potrai rialzare... Che c'è di nuovo sul giornale?

Elis                                  - Non so; oggi ho paura del giornale!

La signora Hetst              - Dammelo; leggerò io!

Elis                                  - No! Aspetta un momento...

La signora Hetst              - Che cosa temi, che cosa prevedi...

Elis                                  - Il peggio...

La signora Heyst             - È venuto già tante volte!... E' tu, figliolo, se conoscessi la mia vita... se tu mi fossi stato vicino, quando vedevo tuo padre andare passo, passo, verso la rovina, senza che io potessi prevenire i molti che egli travolgeva nella sua di­sgrazia. Quando egli cadde, mi sentii sua complice, perché ero consapevole del crimine; e se il giudice non fosse stato una persona ragionevole, che consi­derò la mia difficile posizione di moglie, ora sarei anch'io in prigione...

Elis                                  - Come fece a rovinarsi? Io non l'ho mai capito!

La signora Hetst              - Per orgoglio, come tutti noi!

Elis                                  - Ma noi innocenti dobbiamo soffrire per il suo sbaglio...

La signora Hetst              - Sta zitto!... (Pausa durante la quale essa prende il giornale e legge).

Elis                                  - (dapprima rimane fermo ma inquieto, poi va avanti e indietro).

La signora Hetst              - Cos'è questo?... Non ho detto, tra l'altro, che un tulipano giallo fu rubato nel negozio del fioraio?

Elis                                  - Sì, ricordo esattamente.

La signora Heyst             - Ma qui è scritto... un giglio di Pasqua...

Elis                                  - (atterrito) È scritto così?

La signora Heyst             - (si abbatte su una sedia) È stata Eleonora! O Dio! Dio mio!

Elis                                  - Non era dunque finito?...

La signora Heyst             - La prigione o il manicomio...

Elis                                  - Non è possibile che sia stata lei! Non è possibile!

La signora Heyst             - Ed ora il nome della famiglia sarà di nuovo disonorato!

Elis                                  - La sospettano?

La signora Heyst             - Si dice qui, che i sospetti vanno in una certa direzione... È perfettamente chiaro dove...

Elis                                  - Parlerò con lei...

La signora Heyst             - (si alza) Sì. Ma con dol­cezza. Non ne posso più!... È perduta... ritrovata e perduta... Parla con lei! Parla con lei! (Esce da destra).

Elis                                  - Oh! (Va alla porta di sinistra) Eleonora, ragazza mia. Vieni, devo parlarti.

Eleonora                          - (entra;- ha i capelli sciolti) Stavo acconciandomi i capelli!

Elis                                  - Lascia stare!... Dimmi, sorellina mia, dove hai avuto quel fiore?

Eleonora                          - L'ho preso...

Eus                                  - Oh Dio!

Eleonora                          - (con il capo chino, contrita, con le braccia in croce sul petto) Ma lasciai i denari...

Elis                                  - Dunque l'hai pagato?

Eleonora                          - Sì, e no! È proprio spiacevole... Ma io non ho fatto alcun male... Volevo soltanto il bene... Mi credi?

Elis                                  - Ti credo, sorella; ma il giornale non sa, che sei senza colpa!

Eleonora                          - Caro... Così dovrò soffrire anche questo... (China il capo così che i capelli si rovesciano davanti) Che faranno ora di me? Così sia.

Beniamin                         - (entra da sinistra, fuori di se) No, non la toccherete, perché non ha fatto nulla di male. Io lo so, perché sono stato io, io, io, che l'ho fatto. (Piange).

Eleonora                          - Non credere ciò che dice... Sono stata io!

Elis                                  - Che cosa devo credere; a chi devo credere?

Beniamin                         - A me! A me!

Eleonora                          - A me! A me!

Beniamin                         - Lasciami andare dalla polizia...

Elis                                  - Zitto, zitto...

Beniamin                         - No, voglio andare, voglio andare...

Elis                                  - Zitto, figliolo! Viene la mamma!

La signora Heyst             - (entra in preda a violenta com­mozione, prende Eleonora tra le braccia e la bacia) Figlia, figlia mia cara! Tu sei con me, e rimarrai con me!

Eleonora                          - Mi baci, mamma? Da molti anni non lo fai. Perché ora? Soltanto ora?

La signora Heyst             - Perché ora... perché il fioraio è là fuori, e fa le sue scuse, per aver suscitato tanto scandalo... La moneta smarrita è stata ritro­vata e il tuo nome...

Eleonora                          - (salta al collo di Elis e lo bacia; poi posa le mani sul collo di Beniamin e lo bacia sul capo) Tu buon ragazzo, che volevi soffrire per me! Come mai potevi desiderare ciò?

Beniamin                         - (pallido, con fare infantile) Perché mi piaci tanto, Eleonora!

La signora Hetst              - Dia dunque la mano alla sua ragazza, e... andate in giardino. Il tempo si schiarisce...

Eleonora                          - Oh! si schiarisce! Vieni, Beniamin. (Oli prende la mano; tenendosi per mano vanno verso sinistra).

Elis                                  - Potremo tra poco gettare la sferza nel fuoco?

La signora Heyst             - Non ancora. Resta ancora qualche cosetta.

Elis                                  - Lindkvist?

La signora Heyst             - È di là! Ma è molto strano e inesplicabilmente benevolo. Peccato, è così loquace, e parla tanto di sé...

 Elis                                 - Ora ho veduto un raggio di sole; non ho più paura di incontrare il gigante. Venga pure.

La signora Heyst             - Ma non irritarlo... La Prov­videnza ha messo il nostro destino nelle sue mani e i mansueti... Già, tu sai, dove vanno a finire gli arroganti!

Elis                                  - Lo so... Ascolta! Le soprascarpe: «lupo, lupo, lupo, scappa! ». Vorrà entrare qua dentro con quelle. E perché no? È casa sua...

La signora Heyst             - Elis, pensa a noi... (Esce da destra).

Elis                                  - Sì, mamma!

Lindkvist                         - (entra da destra. È un uomo un po' anziano, grave, dall'aspetto triste. Ha i capelli grigi con tupè e tempie alla ussara. Grandi e folte soprac­ciglia nere. Piccole fedine nere tagliate corte. Occhiali con montatura di corno nero, circolari. Grande pen­dente di corniola alla catena dell'orologio; canna d'India in mano. Abito nero guarnito di pelliccia; cilindro in mano; stivali con soprascarpe che scroc­chiano. Quando entra fissa con curiosità Elis, e rimane in piedi) Mi chiamo Lindkvist.

Elis                                  - (in atteggiamento difensivo) Ed io dottor Heyst... Prego si accomodi.

Lindkvist                         - (si siede sulla sedia, a destra del tavolinetto da lavoro, e guarda con rigidezza Elis. Pausa).

Elis                                  - In che cosa posso servirla?

Lindkvist                         - (solenne) Hm! Io ebbi l'onore di' preannunciare ieri sera la mia visita; ma ci ho riflet­tuto, ed ho trovato poco conveniente tener discorsi di affari nel giorno di venerdì santo.

Elis                                  - Noi le siamo molto grati...

Lindkvist                         - (tagliente) Noi, no. Già! (Pausa) Vediamo, vediamo... Ieri l'altro ebbi occasione di far visita al prefetto. (Fa pausa e osserva quale impres­sione faccia la parola su Elis) Lei conosce il prefetto?

Elis                                  - (con negligenza) Non ho l'onore!

Lindkvist                         - Allora, avrà questo onore!... Par­lammo di suo padre...

Elis                                  - Questo, me l'immagino.

Lindkvist                         - (tira fuori una carta e la posa sul tavo­lino) Proprio là mi consegnarono questa carta!

Elis                                  - Me l'aspettavo da tanto tempo! Ma, prima di proseguire, posso rivolgerle una preghiera?

Lindkvist                         - (secco) Dica pure...

Elis                                  - Perché non lascia quella carta nelle mani degli esecutori? Eviteremo così questo penoso e lungo supplizio...

Lindkvist                         - Bene, giovanotto, bene...

Elis                                  - Giovane o no, non voglio nessuna grazia; voglio soltanto giustizia!

Lindkvist                         - Bene... Nessuna grazia, nessuna grazia! La vede questa carta? l'ho messa qui sull'orlo del tavolino... Ora, la intasco di nuovo!... Dunque, lei vuole soltanto giustizia? Ascolti un po', vecchio amico. Una volta, io fui derubato del mio denaro, in un modo schifoso. Allora io le scrissi gentilmente, e le chiesi di quale dilazione ella aveva bisogno. Lei mi rispose sgarbatamente; mi trattò come se fossi un usuraio, che voleva depredare vedove e orfani, mentre io ero il rapinato e lei apparteneva alla parte dei rapinatori. Ma, siccome ero più ragio­nevole, mi accontentai di rispondere alle sue sgarbate accuse con una lettera gentile, ma tagliente! Lei conosce la carta azzurra delle mie tratte, vero? Ci posso metter su marche a volontà; ma non desi­dero farlo sempre... (Sbircia intorno alla stanza).

Eus                                  - Prego, i mobili sono a sua disposizione...

Lindkvist                         - Non guardavo i mobili! Cercavo sua madre... Presumo che sua madre ami la giustizia quanto lei...

Elis                                  - Lo spero...

Lindkvist                         - Bene!... Ma lo sa, che se la giustizia, così altamente apprezzata da lei, avesse seguito il suo corso, proprio sua madre sarebbe stata colpita dalla giustizia umana come complice?

Elis                                  - Ma no!

Lindkvist                         - Sicuro! E non è neppur troppo tardi!

Elis                                  - (si alza)     - Mia madre!

Lindkvist                         - (tira fuori un'altra carta, ma azzurra, e la posa sul tavolino) Guardi; ora su quest'angolo metto una carta; e questa è azzurra davvero... però non c'è ancora nessuna marca...

Elis                                  - Signor Iddio! Mia madre! Tutto ritorna...

Lindkvist                         - Sì, mio giovane amante della giu­stizia, tutto ritorna, tutto!... Può darsi che sia così... Se io potessi domandare a me stesso: Tu, Andrea Lindkvist, nato nella miseria, e cresciuto tra le privazioni e il lavoro, hai tu nella tua vecchiaia il diritto di privare te e i tuoi figli - noti, dico i tuoi figli - dell'aiuto finanziario, che con diligenza, avve­dutezza e privazioni - noti, dico privazioni - hai; eco­nomizzato centesimo per centesimo ? Che cosa dovresti fare tu, Andrea Lindkvist, volendo essere giusto? Tu non hai derubato nessuno, ma se pensi che sia un male essere derubato, in questo caso non potrai più dimorare in una città, perché nessuno saluterebbe l'uomo spietato, che desidera di riavere il suo! Dunque, lo noti, c'è una pietà, che va contro la giustizia e al di là di essa... Ed è la grazia.

Elis                                  - Lei ha ragione, prenda tutto. Le appartiene.

Lindkvist                         - Ne ho il diritto, ma non oso valer­mene.

Elis                                  - Io penserò ai suoi figli, e non mi lamenterò...

Lindkvist                         - (mette in tasca la carta) Bene! Allora rimettiamo in tasca il foglio azzurro... Ora, facciamo un passo avanti!

Elis                                  - Scusi... vogliono davvero mettere mia madre in stato di accusa?

 Lindkvist                        - Ora, prima di tutto, facciamo un passo avanti. Lei, dunque, non conosce personal­mente il prefetto?

Elis                                  - No, e non voglio conoscerlo!

Lindkvist                         - (tira fuori di nuovo il foglio azzurro e con esso si fa vento) Non così, non così!... Il prefetto, vede, era un amico di gioventù di suo padre, e desi­dera di conoscerla. Tutto ritorna, tutto! Non vuole fargli una visita?

Elis                                  - No!

Lindkvist                         - Il prefetto...

Elis                                  - Non possiamo parlare d'altro?

Lindkvist                         - Lei, dev'essere gentile con me, perché io sono inerme... Con lei c'è l'opinione pubblica dalla sua parte, con me soltanto la giustizia. Che cosa ha lei contro il prefetto? È vero. Non gli piacciono le biciclette e le scuole superiori del popolo. Ma questo fa parte delle sue piccole manie. Non è proprio neces­sario rispettare le piccole manie, ma passiamoci sopra, passiamoci sopra, e fermiamoci alle cose essenziali, uomini tra nomini! E nelle grandi crisi della vita, dobbiamo aiutarci, mandarci giù come siamo a vicenda. Vada dal prefetto... Ci vada...

Elis                                  - Mai!

Lindkvist                         - E lei è un uomo?

Elis                                  - (deciso) Sì, un uomo!

Lindkvist                         - (si alza e comincia a passeggiare con i suoi stivali scricchiolanti, facendosi -vento col foglio azzurro) Peggio! Peggio!... Bene! allora prende­remo la cosa per un altro verso! Una persona vendicativa ha deciso di sporgere querela contro sua madre. Lei può impedirlo.

Elis                                  - Come?

Lindkvist                         - Vada dal prefetto...

Elis                                  - No!

Lindkvist                         - (si fa avanti e prende Elis per le spalle) Allora lei è l'uomo più miserabile che io abbia incontrato nella vita... Ed ora io stesso andrò da sua madre...

Elis                                  - Non ci vada!

Lindkvist                         - Andrà dal prefetto?

Elis                                  - Sì...

Lindkvist                         - Lo ripeta di nuovo, e a voce più alta.

Elis                                  - Sì...

Lindkvist                         - (consegna il foglio azzurro) Benone. Dunque la cosa è messa a posto! Eccole il documento.

Elis                                  - (prende il foglio senza leggere).

Lindkvist                         - Ed ora al numero due; che questo era il numero uno. Sediamoci. (Si seggono come prima) Vede, se ci verremo incontro, la strada s'abbrevierà... Numero due! È il mio diritto a sequestrare i mobili... Già; non si faccia illusioni; io non posso, né voglio, regalare quello che è di proprietà comune della mia famiglia! Voglio riavere il mio, fino all'ultimo cen­tesimo.

Elis                                  - Lo capisco!

Lindkvist                         - (tagliente) Davvero, lo capisce?

Elis                                  - Non intendevo di offendere...

Lindkvist                         - Comprendo, comprendo... (Solleva gli occhiali e fissa Elis) Il lupo! Il lupo cattivo! Sferza, sferza! e la corniola rossa come carne; il gigante di Skinnarviksberg, che non mangia i bambini, e li spaventa soltanto! Ma io voglio spaventarla, spaven­tarla tanto, da farle perdere la ragione, davvero. PI valore di ogni singolo cavicchio dei mobili verrà fuori... Ho qui in tasca l'inventario; e se mancherà un solo chiodo, lei se ne andrà in gattabuia, dove non brillerà né il sole né Cassiopea! Sì, io so man­giare bambini e vedove, quando mi si provoca. L'opinione pubblica? Sciocchezze! Me ne andrò in un'altra città, semplicemente...

Elis                                  - (non risponde).

Lindkvist                         - Lei aveva un amico, che si chiamava Petrus, Petrus Holmblad. Era uno studente di lingue, e suo allievo. Ma lei ne voleva fare una specie di profeta... E costui le mancò di fede; due volte cantò il gallo; non è così?

Elis                                  - (tace).

Lindkvist                         - La natura umana è incostante come le cose e come i pensieri; Petrus fu infedele; e io non lo approvo né lo giustifico, almeno su questo punto. Ma il cuore umano è smisurato; e ci stanno oro e fango mescolati insieme. Petrus fu un amico infedele, ma comunque fu un amico...

Elis                                  - Un infedele...

Lindkvist                         - Va bene; infedele; ma, comunque, un amico! Questo amico infedele, a sua insaputa, le ha reso un gran servizio d'amico.

Elis                                  - Anche questo!

Lindkvist                         - (si porta avanti verso Elis) Tutto ritorna, tutto!

Elis                                  - Tutto il male, sì! E il bene si ricambia con il male!

Lindkvist                         - Non sempre; anche il bene ritorna. Mi creda...

Elis                                  - Sono costretto a crederla; altrimenti lei mi tormenta la vita!

Lindkvist                         - Non la vita; ma schiaccerò in lei la cattiveria e l'orgoglio.

Elis                                  - Continui!

Lindkvist                         - Ho detto che Petrus le ha reso un servizio...

Elis                                  - Non voglio niente da quell'uomo!

Lindkvist                         - Siamo daccapo... Ascolti un po'. Per l'intervento del suo amico Petrus, il prefetto ha deciso di adoperarsi a favore di sua madre. Perciò lei deve scrivere una lettera a Petrus, e ringra­ziarlo. Me lo promette?

Elis                                  - No! Scriverei a chiunque, ma non a lui.

Lindkvist                         - (si tira più vicino) Diamo, allora, un altro giro di vite... Senta un po'. Lei ha danari in banca?

Elis                                  - Ebbene, che gliene importa? Io non sono garante dei debiti di mio padre...

Lindkvist                         - Non così! Non così! Quando in questa casa si sprecavano i denari dei miei figli, che, forse non c'era anche lei a mangiare e a bere? Mi risponda...

Elis                                  - Non lo posso negare...

Lindkvist                         - E siccome i mobili non bastano a pagare il debito, firmi subito un assegno per il resto; lei sa la somma.

Elis                                  - (annientato) Anche questo?

Lindkvist                         - Anche questo. Prego, firmi l'assegno.

Elis                                  - (si alza, tira fuori il libretto degli assegni e scrive sullo scrittoio).

Lindkvist                         - Lo emette al suo stesso nome, o a vista?

Elis                                  - La somma non basta...

Lindkvist                         - Allora lei si farà prestare quello che manca. Rivoglio il mio, fino all'ultimo centesimo...

Elis                                  - (porge l'assegno a Lindkvist) Eccole tutto ciò che posseggo. La mia estate, e le mie nozze; di più non posso.

Lindkvist                         - Allora, le ripeto; si faccia prestare quello che manca.

Elis                                  - Non posso.

Lindkvist                         - Si cerchi un mallevadore...

Elis                                  - Nessuno vorrà garantire per me, un Heyst!

Lindkvist                         - Ora, come ultimatum, le pongo questa alternativa: o ringraziare Petrus, oppure fuori l'in­tera somma!

Elis                                  - Io non voglio averci da fare con Petrus!

Lindkvist                         - Lei, allora, è il più miserabile uomo che io conosca! Lei, con un semplice atto di cortesia può salvare la casa a sua madre, a sé, alla fidanzata, e non lo fa! Ci sarà un motivo, che lei non vuol con­fessare. Perché odia Petrus?

Elis                                  - Mi uccida, ma non mi torturi di più!

Lindkvist                         - È geloso di lui?

Elis                                  - (alza le spalle).

Lindkvist                         - Proprio così... (Si alza e passeggia) Ha letto il giornale del mattino?

Elis                                  - Sì, purtroppo!

Lindkvist                         - Tutto?

Elis                                  - No, non tutto!

Lindkvist                         - Ah! Davvero?... Allora lei non sa che Petrus si è fidanzato?

Elis                                  - Non lo sapevo!

Lindkvist                         - E neppure con chi? Indovini?

Elis                                  - Come potrei...

Lindkvist                         - Si è fidanzato con la signorina Alice; e la cosa fu resa nota ieri, ad un concerto, dove la signorina Alice era accompagnata da...

Elis                                  - Kristina! Ma perché tenermelo nascosto?

Lindkvist                         - Non hanno diritto due giovani di tener nascosti, di fronte a lei, i segreti del loro cuore1?

Elis                                  - E per la loro felicità io dovevo soffrire questa pena?

Lindkvist                         - Sì! Per coloro che hanno sofferto, onde preparare la sua felicità!... Sua madre, suo padre, la sua fidanzata, sua sorella... M'ascolti, sarò breve.

Elis                                  - (si siede controvoglia. Durante la scena prece­dente e la seguente il tempo fuori si schiarisce).

Lindkvist                         - A vent'anni me ne venni alla capi­tale, solo, senza conoscenze, per cercarmi un posto. Non possedevo che un tallero; ed era una serata buia. Non sapevo dove andare; e perciò chiesi ai passanti dove fosse un albergo a buon mercato: ma nessuno mi rispondeva. Al colmo della disperazione, piansi; un tale si fermò e in chiese perché piangessi. Gli dissi la mia pena. Allora egli se ne tornò indietro, mi accompagnò a un albergo, e mi consolò con buone parole. Mentre stavo per entrare, la porta a vetri di una bottega si aprì e urtò contro il mio gomito; il vetro andò in frantumi. Il proprietario infuriato mi fermò, esigendone il pagamento; altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Immagini la mia disperazione, con la prospettiva di dover passare una notte nella strada... Il benevolo sconosciuto, che aveva veduto la scena, interviene, chiama la polizia, spiega il fatto, e mi salva!... Quell'uomo era suo padre... Così tutto ritorna; anche il bene. Per il beneficio del padre... io cancello il debito del figlio... Perciò prenda questa carta, e si tenga l'assegno. (Si alza) Poiché a lei riesce difficile ringraziare, e a me riesce penoso essere ringraziato... me ne vado... (Si avvicina alla porta del fondo) E lei corra subito da sua madre, e la liberi dall'angoscia. (Gesto di allontanamento a Elis che gli si vuole avvicinare) Vada!

Elis                                  - (esce in fretta da destra. Si aprono le porte del fondo. Entrano Eleonora e Beniamin, sereni ma seri; si fermano spaventati non appena vedono Lindkvist).

Lindkvist                         - Avanti, nanerottoli, avanti! e non abbiate paura... Non sapete chi sono? (Con voce con­traffatta) Sono il gigante di Skinnapriksburg, l'orco che spaventa i bambini! Bau! Bau!... Ma non sono troppo pericoloso! Vieni qui Eleonora! (Prende il suo capo tra le mani e la guarda negli occhi) Hai gli occhi buoni di tuo padre; era un buon uomo, ma debole! (La bacia sulla fronte) Così!

Eleonora                          - Oh! parla bene di mio padre! Vi è dunque qualcuno che può dir bene di lui?

Lindkvist                         - Io, sì! Chiedilo al tuo fratello, Elis!

Eleonora                          - Allora lei non ci vuole male?

Lindkvist                         - No, mia cara figliola...

Eleonora                          - Bene; allora ci aiuti...

Lindkvist                         - Figlioletta, non posso sottrarre tuo padre alla prigione, come non posso aiutare Beniamin nel suo esame di latino... Ma per tutto il resto ho già provveduto. La vita non ci dona tutto, e non ci dà mai nulla gratuitamente... Anche tu mi devi aiutare; lo vuoi?

Eleonora                          - Che posso fare io, poverella?

Lindkvist                         - Quanti ne abbiamo oggi? Guarda un po'!

Eleonora                          - (prende il calendario alla parete) . È il sedici!

Lindkvist                         - Bene! Prima del venti dovrai aver persuaso tuo fratello Elis a fare una visita al prefetto, e a scrivere una lettera a Petrus.

Eleonora                          - Nient'altro?

Lindkvist                         - Oh, figliola! Ma se egli non lo farà allora tornerà il gigante, e dirà « Bau! ».

Eleonora                          - Perché il gigante verrà a spaventare il bambino?

Lindkvist                         - Per farlo esser buono!

Eleonora                          - È vero! Il gigante ha ragione! (Bacia la pelliccia sulla manica di Lindkvist) Grazie, mio buon gigante!

Beniamin                         - Devi dire signor Lindkvist, sai!

Eleonora                          - No; è così comune questo nome...

Lindkvist                         - D'accordo, figliola... Ora puoi get­tare al fuoco la verga di betulla...

Eleonora                          - No; resterà là, dietro lo specchio, perché il bambino è tanto smemorato...

Lindkvist                         - Come lo conosci bene... Addio, figlioli. (Esce).

Eleonora                          - Beniamin, andremo in campagna! Tra due mesi! Oh, se passassero presto! (Strappa i fogli del calendario e li sparge nella striscia di sole che entra nella stanza) Guarda come passano i giorni! Aprile! Maggio! Giugno! E su tutti brilla il sole! Guarda... Guarda... Ora devi ringraziare Iddio, che ci ha permesso di poter andare in campagna!

Beniamin                         - (pallido) Non posso pregarlo in silenzio?

Eleonora                          - Sì, puoi pregarlo in silenzio... La nuvola è scomparsa, e le tue parole si odono fino Lassù! (Kristina è entrata da sinistra e si è fermata. Elis e la signora Meyst da destra. Kristina ed Elis si vanno incontro con fare amichevole, ma il sipario cala, prima che si siano incontrati).

FINE