Passa e spassa

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Passa e spassa

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

(detto Ezio)

13/02/2014

Personaggi: 10

Antonio Esposito

Stefano Di Napoli

Mena Gramo

Tania Somma

Fede Di Nascita

Il pediatra dott. Erode Panico

Imma Tura

Prospero Zazà 

Isaia Staccà

Erminio

Una strada di Napoli, dove si intrecciano storie, pettegolezzi, azioni positive e negative. Insomma, le strade rappresentano il mondo e per cui si esercitano una varietà di accadimenti ordinari e straordinari. Due uomini, Prospero ed Isaia, raccontano le loro visioni sul mondo anche grazie a fatti personali (più o meno veritieri), mentre una donna abbandona il proprio piccolo in quanto indigente. Alla fine però il bimbo abbandonato non è soltanto uno, come per una strana combinazione di fattori. Le loro storie si intrecciano con quelle di due commercianti ambulanti: il fruttivendolo Antonio Esposito ed il pescivendolo Stefano Di Napoli. Le loro ceste, una piena di frutta e l’altra piena di pesci e prodotti del mare, diventeranno protagoniste di tutta la storia.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            L’ambientazione è una strada di Napoli. Sullo sfondo c’è un palazzo. Ai due lati: sinistra l’ingresso di un palazzo. A destra, un bar con due tavolini fuori. Tra i due palazzi, altrettante due via di uscita. Sulla sinistra è presente una panchina con un lampione. A destra c’è un cassonetto della raccolta differenziata rifiuti.

ATTO PRIMO

1. [Prospero Zazà e Isaia Staccà]

                  Da sinistra entrano Prospero Zazà e Isaia Staccà, due amici di mezza età.

Prospero: Avete capito, Isaia? In questo mondo, ci sta troppa gente da 3 soldi!

                  Calpesta qualcosa di sgradevole e si ferma. Si guarda sotto la scarpa.

                   Io po’ vulésse cunoscere ‘o proprietario ‘e ‘stu cane. Ha lassato ‘nu ricordino

                   ccà ‘nterra e sotto ‘a scarpa mia!

Isaia:         Dite bene, Prospero. Le strade sporche sono lo specchio della scostumatezza

                   della gente. Pensate, una volta ho visto un padrone che portava il cane a fare i

                   bisogni sulla ruota della mia macchina. Ebbene, non era soltanto il cane a fare

                   pipì, ma pure ‘o padrone.

Prospero: Cose ‘e pazze! Venite, sediamoci a quel bar. Vi offro un caffè.

Isaia:         No, no, ve lo offro io.

Prospero: E no, l’ho detto prima io.

Isaia:         Va bene, allora lo accetto volentieri. Grazie.

                  I due si siedono.

Prospero: Adesso mi prendo un caffè freddo. Cameriereeeee!

Isaia:         Io prendo un caffè del nonno. 

Prospero: Ma quando viene questo cameriere? Che educazione è questa? Una volta, i

                  camerieri dei bar venivano alla prima chiamata. Invece adesso li dovete

                  chiamare 100 volte e nemmeno vengono.

Isaia:        Vabbé, in attesa del cameriere, continuiamo quello che stavamo dicendo. Caro

                  Prospero, voi vi meravigliate che la gente è scostumata? Stamattina mi trovavo

                  nella Vesuviana, seduto al mio posto, a leggere il giornale. Tutti i posti del treno

                  erano esauriti, tranne quello a fianco a me. Ad un tratto, quel posto viene

                  occupato da una coppietta. Lui e lei avranno avuto sui tredici anni a testa.

                  Praticamente, duje muccusielle! Questi due, senza curarsi di me e degli altri

                  presenti, cominciano a baciarsi. Ma sembravano due invasati!

Prospero: E non potevate pensare a leggere il giornale?

Isaia:        Magari! Ma bell’e buono, ‘o treno fa ‘na curva larga e ‘sti due guagliune vanne a

                  fernì ‘ncuollo a me! E mica si staccano? Quelli continuano a baciarsi addosso a

                  me e me stracciano ‘o giurnale, addirittura ‘a guagliona m’abbraccia pure a me e

                  me chiamma “amore mio”!

Prospero: Se ero a voi, cambiavo posto.

Isaia:         E io ci ho provato, ma quelli mi acchiappavano e mi facevano sedere di nuovo!

Prospero: Che sconcio, che vergogna! I giovani di questa generazione non conoscono                 

                  contegno. Però io penso che la gente più scostumata sia quella che si trova per

                  strada. Queste persone non hanno rispetto per nessuno. A volte, le vedete

                  occupare un marciapiede intero. Nun ce sta manco ‘nu centimetro pe’ passà. E

                   se tu dici: “Permesso!”… non ti sentono proprio. Allora tu glielo dici una

                   seconda e una terza volta, ma niente. Alla quarta volta, ci sta una signora che

                   sposta solo un poco il piede e intanto continua a parlare. Così tu dici un’altra

                   volta “Permesso!”, e stavolta la signora sposta un braccio. E se tu insisti, ‘a

                   signora se sfastidia e te risponne: “Néh, ma ce sta tutto chistu spazio! Putìte

                   passà pure ‘nmiezo ‘a via!”… In pratica, ‘o marciapiede è proprietà d’’a lloro!

                   E si tu vuo’ passà, he’ cammenà ‘nmiezo ‘e mmachine! Voi capite che roba?

Isaia:         Avete visto? A proposito, ma ‘stu cameriere nun vene cchiù?

Prospero: Cameriereeee! Niente, po’ essere pure ch’è muorto ‘e subito vicino ‘a machina

                   d’’o ccafé! Sentite, Isaia, a me m’è passato ‘o genio d’’o ccafé. Io direi di

                   alzarci e di andarcene altrove.

Isaia:         Ma sì.

                   I due si alzano in piedi. Si avviano a destra, conversando.

Prospero: Comunque, la persona più scostumata che conosco è mia suocera.

Isaia:         Ma voi non conoscete la mia.Quella è molto scostumata.

Prospero: E la mia è molto maleducata.

Isaia:         E la mia è molto ineducata. 

Prospero: E la mia è…

                  Escono via.

2. [Antonio Esposito, Stefano Di Napoli e Tania Somma]

                  Da sinistra giunge il fruttivendolo Antonio Esposito. Porta una cesta di frutta.

Antonio:  (Gridando) ‘E cceveze, ‘e purtualle, ‘e cachisse! (Posa la cesta a terra e grida)

                 Tutto cose a 3 Euro ‘o chilo! (Poi commenta) Comm’è addiventata pesante ‘a

                 frutta! Nun ce ‘a faccio cchiù a purtarla annanzo e areto. Però, comm’aggia fa’?  

                 A me nun me conviene ‘e m’arapì ‘nu negozio. Costa troppo assaje. Pe’ pavà

                 l’IMU, quanta banane aggia vennere? E chi ‘o ssape?!

                 Si deterge il sudore. Intanto a destra giunge il pescivendolo Stefano Di Napoli.

                 Porta una cesta (uguale in forma e colore a quella di Antonio) di pesci ed altri

                 prodotti del mare.

Stefano:   (Gridando) ‘O merluzzo, ‘o merluzzo! Magnateve ‘o purpo e ‘a cozzeca, ‘o pesce

                 spada e ‘a vongola. Magnate, magnate! (Posa le ceste a terra e grida) Tutto cose

                 a diece Euro ‘o chilo! (Poi commenta) Comme so’ addiventate pesante ‘e pisce!

                 Nun ce ‘a faccio cchiù a purtarle annanzo e areto. Ma comm’aggia fa’? A me nun

                 me conviene ‘e m’arapì ‘nu negozio. Costa troppo assaje. Pe’ pavà l’IMU, quantu

                 baccalà aggia vennere? Mah! (Nota Antonio e va da lui) ‘Oparé, buongiorno!  

Antonio:  Bongiorno! Tengo ‘a frutta bona. A 3 Euro ‘o chilo. Si t’accatte 3 chile ‘e frutta,

                 te regalo tre cachisse in omaggio.

Stefano:   Ma sì, va’. Damme ‘nu chilo ‘e purtualle, ‘nu chilo ‘e nespole e ‘nu chilo d’uva. 

Antonio:  (Mette la frutta richiesta da Antonio in una busta) Ecco qua. So’ diec’Euro!

Stefano:   Ma nun avessena essere 9 Euro?

Antonio:  E ce sta pure ‘nEuro p’’e cachisse.

Stefano:   Ma nun érene in omaggio?

Antonio:  Sì, songhe in omaggio, però còstene ‘n’Euro! Tutto ‘nzieme, fanne diec’Euro.

Stefano:   E vabbuò. (Li prende dalla tasca e glieli cede) Tié!

Antonio:  (Prende i soldi e gli cede la busta) Tié!

Stefano:  E mò tocca a me: tengo ‘e pisce belle. Quante ne vaje truvanno?

Antonio: Miezu chilo ‘e frittura ‘e pesce.

Stefano:  (Mette i pesci richiesti da Stefano in una busta) Ecco qua. So’ diec’Euro!

Antonio: Io però t’aggio regalato 3 cachisse.

Stefano:  E io te regalo tre vongole.

Antonio: E vabbuò. (Li prende dalla tasca e glieli cede) Tié!

Stefano:  (Prende i soldi e gli cede la busta) Tié! (Poi osserva i soldi e nota qualcosa che

                non va) Compà, ‘sti diec’Euro so’ false!

Antonio: E nun po’ essere.

Stefano:  E pecché?

Antonio: E pecché chella è ‘a stessa carta ‘e diec’Euro che m’he’ dato tu.

Stefano:  Ma allora tu m’he’ dato ‘na diec’Euro falsa? E comme te permiette?

Antonio: No, ma ‘a diec’Euro mia nun è falsa. Compà, nun fa’ ‘o furbo. Caccia ‘a

                diec’Euro mia.

Stefano:  Ma mò t’abboffo ‘a faccia!

Antonio: E io te ‘ntorzo ‘o naso!

                I due si afferrano.

Stefano:  Tu me vulìve fa’ fesso a me.

Antonio: No, tu me vulìve fa’ fesso.

                Mentre i due se le dicono, da destra ecco Tania Somma (legge una lista di spesa). 

                Vengono zittiti dall’arrivo di lei (i due, afferrandosi, la osservano).

Tania:     Dunque, aggia accattà ‘a frutta e ‘e pisce. Però tengo pochi soldi. Allora, o

                compro i pesci oppure la frutta.

                I due accorrono da lei per convincerla.

Antonio: Signò, accattate ‘a frutta.

Stefano:  No, so’ meglio ‘e pisce. 

Antonio: Ma ‘a frutta fa bene. 

Stefano:  E ‘e pisce fanne meglio ancora.

Tania:     Sentite, oggi è il mio compleanno.

Antonio: Signò, angurie, angurie!

Tania:     Angurie?

Stefano:  Vo’ dicere “auguri”.

Antonio: (Canta) “Tante angurie a te, tante angurie a te, tante angurie signora, tante

                angurie a teeeee”!

Tania:    Don Antò, è inutile che cantate. L’altro giorno mi avete dato delle arance che non

                erano buone per niente. Erano tutta buccia, il frutto dentro non ci stava. Insomma,

                io m’aggio magnato sulo ‘e scorze!

Antonio: (Imbarazzato) E quello il fatto è che non si tratta di frutta nostra. E’ spagnola.

Tania:     E con ciò? No, ma voi sapete che vi dico? Non la voglio più, la frutta.

Stefano:  Brava, signora. E’ meglio che vi comprate un poco di pesce che fa tanto bene.

Tania:     Signor Stefano, voi è inutile che parlate. ‘O pesce vuosto nun è buono.

Stefano:  In che senso?

Tania:     L’altro giorno mi avete venduto una spigola che era piena di spine.

Stefano:  Signò, e è normale. ‘O pesce l’ha da tené ‘e spine.

Tania:     Sì, ma io me stevo affuganno. Perciò, è meglio che mi vado a comprare della

                carne. Bona jurnata!

                Esce via a sinistra.

Stefano:     Aspettate, signò, turnate ccà.

Antonio:    Vattenne, tu. ‘A signora ha da parlà cu’ me. (Ma per errore prende la cesta coi

                   pesci, da cui prende un pesce e lo esibisce con la mano alta) Guardate che

                   bellu purtuallo tengo ‘nmana. Accattatavillo, accattatavillo!

                   E rincorre Tania a sinistra. Così Stefano si ingelosisce.

Stefano:     Ah, sì?(Per errore prende la cesta di Antonio con la frutta, da cui prende una

                   mela e la esibisce con la mano alta) Guardate che bellu merluzzo tengo ‘nmana.

                   Accattatavillo, accattatavillo!

                   E rincorre anche lui Tania a sinistra. 

3. [Imma Tura, Prospero e Isaia]

                   Da destra giunge Imma Tura (donna un po’ indigente) con carrozzino coperto.

Imma:       (Parla al suo bambino)Vercingetorige, a mamma, hai fatto la cacca? Adesso  

                   cambiamo il pannolino. (Dalla borsa lo estrae) Eccolo qua.

                   Accosta il carrozzino alla parte estrema della panchina e cambia il suo bimbo  

                   direttamente nel carrozzino.

                   Stamattina è già la quarta volta che ti cambio!

                   Posa il pannolino sporco sulla panchina e si dedica al suo bimbo. Da destra

                   tornano Prospero ed Isaia. Discutono su un argomento di cui già parlavano.

Prospero: Isaia, vi ho detto che è più scostumata mia suocera.

Isaia:         Ho detto la mia!

Prospero: Ho detto la mia!

Isaia:         No, la mia!

Prospero: (Si ferma davanti alla panchina) E va bene, diciamo la vostra. (Si siede sulla

                   panchina e sul pannolino) Isaia, accomodatevi pure voi.

Isaia:         D’accordo. (Così fa)

Prospero: Mi dovete credere, Isaia, io non mi riconosco più in questo mondo.

Isaia:         Ma neppure io.

Prospero: Certe volte mi sembra di vivere in un pianeta fatto di escrementi. E mi sembra

                   pure che io mi ci sieda sopra. Anzi, sento pure la puzza!

Imma:       Bene, Vercingetorige, ora posso gettare il pannolino vecch… (Si volta e nota

                   Prospero) Signore, scusate, alzatevi.

Prospero: Ecco, vedete Isaia? Questa è la prepotenza. Adesso questa signora vuole che io

                   mi alzi in piedi. Ma pecché m’aggia aizà?

Imma:       Pecché v’ate assettato ‘ncoppa ‘o pannulino d’’o criaturo mio!

Prospero: (Spalanca gli occhi) ‘O pannulino? Ma mica è spuorco?

Imma:       E certamente! 

Prospero: (Si alza in piedi e si guarda il di dietro, protestando) Ma che miseria! Inzomma,

                   uno è privo e se mettere ‘nu vestito appena accattato, pecché rischia ‘e s’assettà

                   ‘ncoppa a ‘nu pannulino spuorco.

Isaia:         (Si alza in piedi) Calmatevi, calmatevi, Prospero.Signora, permettete? Io sono 

                   Isaia Staccà.

Imma:       (Gli stringe la mano) Piacere, io sono Imma Tura.

Isaia:         (Si guarda la mano) Signò, m’’ite spurcato a mana!

Imma:       (Cerca di dare la mano a Prospero) Molto piacere di conoscervi.

Prospero: (Si ritrae) Addò jate cu’ ‘sta mana? Piacere  mio, ma ‘a mana nun v’’a dongo!

                   Comunque io sono Prospero Zazà. E il vostro pupo come si chiama?

Imma:       Vercingetorige.

Isaia:         Ah, in onore del re dei Galli.

Imma:       No, purtroppo, in onore di mio suocero. Quello, a me e a mio marito, ci aveva

                   promesso mari e monti, se davamo il suo nome a nostro figlio. Macché? E’ 

                   muorto e nun ce ha dato manco ‘nu centesimo.

Prospero: Capisco. E allora, su questo argomento, ho un po’ di cose da dirvi. Prego,

                   accomodiamoci al tavolino del Bar. Isaia, seguiteci.

                  Prospero ed Imma vanno a sedersi al tavolino del Bar.

Isaia:         Aspettate, signora, ma non buttate via il pannolino nei rifiuti?

Imma:       Per piacere, buttatelo voi.

Isaia:         ‘E che gghiurnata ch’è schiarata! (Prende il pannolino con due dita) ‘E comme

                  fete ‘stu pannulino! Ma che s’ha magnato ‘stu criaturo? ‘N’omogeneizzato

                  scaduto ‘a tre anne? (Getta il pannolino in un contenitore e poi si siede con loro)

Prospero: Cameriereee! Allora cara signora, io e il signor Isaia parlavamo giusto di suoceri

                  invadenti e scostumati. Ma il vostro problema è anche un altro: quel bambino.

Imma:       In che senso?

Prospero: Ma voi non la guardate la televisione? Nel mondo ci sta la crisi. E voi vi

                  permettete il lusso di fare figli?

Isaia:         E non per niente, vi permettete pure il lusso di farlo mangiare.

Imma:       E allora s’ha da sta’ dijuno?

Isaia:         No, non dico questo. Però voi avete visto che succede a farlo mangiare? Si

                  riempie il pannolino!

Imma:       E è normale.

Isaia:         No, non è normale. Portatelo a vedere da un bravo pediatra. Io vi consiglio il

                  dottor Erode Panico.

Imma:       Beh, però me fa ‘nu poco impressione ‘nu duttore che se chiamma Erode!

Isaia:         Ma non dite sciocchezze. Portatelo da lui. Solo che se portate il bambino dal

                  pediatra, vi ci vogliono 100 Euro per la visita.

Prospero: E magari altri 100 Euro per le medicine.

Isaia:         E magari altri 100 Euro per la babysitter.

Prospero: E magari altri 100 Euro per la corrente elettrica per cambiare il pannolino.

Isaia:         E magari altri 100 Euro per  i pannolini stessi.

Prospero: E magari altri 100 Euro per di benzina per andare in farmacia.

Isaia:         E magari altri 100 Euro per...

Imma:       (Seccata) Alt! Basta accussì, aggio capito tutto cose. (Si alza in piedi, prende

                  Vercingetorige dal carrozzino) Avete ragione voi, ora so cosa fare.

                  Va al contenitore dei rifiuti, lo apre e vi getta Vercingetorige dentro. Si scuote le

                  mani e va via a destra. I due si guardano perplessi.

Prospero: Ma ‘a signora che cacchio ha fatto?

Isaia:        Ha ittato ‘o criaturo! Presto, jammele a piglià.

                  I due vanno di corsa a recuperare il bambino (nella fattispecie è Prospero).

Prospero: Eccolo qua. Ma che miseria: ‘o criaturo s’ha fatto ‘n’ata vota sotto e ‘o

                  pannulino nun sta chiuso manco buono.

Isaia:        Non importa, noi dobbiamo restituire questo bambino alla mamma. Signoraaa,

                  riprendetevi vostro figlio. Questo è abbandono di minore! Prospero, andiamo.

                  Isaia fugge avanti, a destra, lasciando Procopio da solo col bimbo in braccio.

Procopio: Eh, andiamo, però po’ ‘o criaturo l’aggia purtà io. Mamma mia, e comme fete!

                  E va nella direzione dov’è andato Isaia.

4. [Antonio, Stefano e il pediatra Erode Panico]

                  Da sinistra riecco Antonio e Stefano che discutono animosamente.

Antonio:   He’ visto? Pe’ colpa toja, aggio perzo a ‘na cliente.

Stefano:    Ma che? Caso mai, pe’ colpa toja, l’aggio perza io. Dio sultanto ‘o ssape che ce

                  vo’ pe’ tené ‘nu cliente. (Gli nota la cestra) E t’he’ pigliato pure ‘a cesta mia.

Antonio:   No, tu t’he’ pigliata ‘a mia. Dammella ‘n’ata vota. (Scambia la propria cesta)

                  Mannaggia a te, ‘a signora Tania è ‘na clienta affezionata. Ma mò aggia cercà

                  d’’a recuperà.

Stefano:    E pur’io.

                  I due si siedono al tavolino del Bar. Antonio prende una arancia dalla cesta e

                  del nastro per decorazioni. Incomincia ad avvolgere il frutto con il nastro, in

                  modo che alla fine farà un nodo stile bomboniera. Stefano fa altrettanto con un

                  pesce che prende dalla propria cesta.

Antonio:   Tu che staje facenno?

Stefano:    Una sogliola formato regalo! E tu?

Antonio:   ‘Nu purtuallo formato regalo. Pare ‘na palla ‘e Natale!

                  I due proseguono il loro lavoro. Da sinistra intanto giunge il pediatra Erode

                  Panico: ha una valigetta in mano, è vestito con colori scoordinati. Quando

                  parla, sputacchia e colpisce la gente. Ed è effeminato. Va a sedersi sulla

                  panchina e commenta.

Erode:      Nun ce sta niente ‘a fa’. Po’ dice ca uno sputa ‘nfaccia ‘e ggente. Ma come si

                  permettono? Io sono un grande pediatra. E invece dicono che non si fidano di

                  me, perché quando parlo, sputo! E infine, dicono che tengo atteggiamenti

                  femminili. (Come una vaiassa) Ma quando mai? (Nota i due) E chi so’ chilli

                  duje? Che stanne a ffa’? 

                  Si alza e li raggiunge.

                  Scusate, ma che state facendo?

Antonio:   (Senza staccare gli occhi dal lavoro) E’ troppo lungo da spiegare.

Erode:      (Va dietro Stefano e gli parla dietro il collo) Deve essere una cosa interessante!

Stefano:    (Si tocca dietro il collo) Antò, ma sta accummincianno a chiovere?

Antonio:   (Osserva il cielo) No!

Stefano:    Strano, m’aggio ‘ntiso ‘e ‘nfonnere ‘o cuollo.

Erode:       (Gli parla dietro il collo) Veramente?

Stefano:    Sì! Mommò ‘n’ata vota. M’aggio ‘ntiso ‘nu scroscio ‘e pioggia areto ‘o cuollo.

Erode:       (Andando dietro Antonio) E nun ce facite caso. (Gli parla dietro il collo) ‘Stu

                   tiempo è pazzo!

Antonio:   Stefano, he’ raggione tu. Pur’io m’aggio ‘ntiso ‘e nfonnere ‘o cuollo.

Stefano:    Allora m’aggia mòvere, o si no acchiappo ‘a pioggia e fernesco ‘e fa’.

Antonio:   Scusate,ma vuje chi site?

Erode:      Uh, scusate, non mi sono nemmeno presentato. Venite  

                  con me.

                  I tre vanno al centro. Erode si situa tra i due. Parla guardando una volta l’uno,  

                  una volta l’altro (e li colpisce sputacchiando uno per volta).

                  Permettete?

Antonio:   (Pulendosi un occhio) Avita passà?

Erode:      No.

Antonio:   E vuje ate ditto: permettete?!

Erode:      No, io dico: permettete che mi presenti? Io sono il pediatra Erode Panico.

Stefano:    (Pulendosi un occhio) Mamma mia!

Antonio:   (Pulendosi un occhio) Mò aggio capito pecché sta chiuvenno!

Erode:      Per caso, voi due tenete figli?

Stefano:    Io e lui insieme? No!

Antonio:   Cretino, sta dicenno singolarmente. No, io nun tengo manco ‘nu figlio.

Stefano:    Io ne tengo duje.

Erode:      (Prende un bigliettino da visita e glielo cede) E allora tenete.

Stefano:    (Riceve il bigliettino) E che me n’aggia fa’?

Erode:      Ve l’ata astipà. E quando avete bisogno di me, mi telefonate. Avete capito?

Stefano:    (Pulendosi il viso) Io aggio bisogno sulo ‘e ‘nu farzuletto. Vuje me state facenno

                  ‘o bagno, ‘o sciampo e ‘a doccia!

Erode:      Prego?

Stefano:    No, no, niente.

Antonio:   Scusate, ma giacché ce truvamme, pecché nun v’accattate ‘nu poco ‘e frutta?

Erode:      No, grazie, io tengo il mio fruttivendolo di fiducia.

Stefano:    E allora accattateve ‘nu bellu merluzzo.

Erode:      No, grazie, io tengo il mio pescivendolo di fiducia. Allora, a buon rendere,

                  signori. (Parla in faccia ad Antonio, colpendolo) Buona giornata! (Fa lo stesso

                  con Stefano) Buona giornata!

                  Lancia baci ai due e poi esce a sinistra, sculettando. I due lo guardano schifati.

Stefano:    Ma ‘a do’ è asciuto, chillo?

Antonio:   T’ha lassato pure ‘o biglietto ‘a visita.

Stefano:    (Lo legge) Ma chisto nun è ‘o suojo. Ccà ce sta scritto “Pompe funebri”! ‘E che

                  fregatura! Vulesse essere pur’io fruttajuolo comm’a te.

Antonio:   E invece, è cchiù facile a essere pisciavinnele comm’a te. Ohi Ste’, saje che te

                  dico? Facìmme ‘na prova: tu te miette a vennere ‘a frutta ‘o posto mio e io me

                  metto a venenre ‘e pisce ‘o posto tuojo.

Stefano:    Ce stongo!

Antonio:   (Va a prendersi la cesta di Stefano e poi grida) ‘E purpetielle a 3 Euro ‘o chilo!

                  (Si avvia a sinistra) ‘E banane, ‘e banane!

Stefano:    ‘O scé, ‘e banane nun so’ pisce!

Antonio:   Ah, già. E allora: ‘o merluzzo, ‘o baccalàààà!

                  E va via a sinistra. Stefano va a prendere la cesta di Antonio. 

Stefano:    E vendiamo la frutta. Aspié, comme dice Antonio?(Gridando) ‘E ppatane, ‘e

                  ccepolle! (Perplesso) No, meglio i pesci. (Chiama) Antòòò, damme ‘a cesta mia! 

                  Ed esce via.

5. [Prospero, Fede Di Nascita e poi Isaia]

                  Da destra, giunge una donna con un cestino di vimini. Si ferma di fronte al Bar,

                  prepara tutto: dal cestino prende una macchina fotografica e fotografa l’esterno

                  del Bar. Da destra torna Prospero ancora col bimbo in braccio.

Prospero: Mannaggia ‘o baccalà! Isaia m’ha lassato ‘o criaturo ‘mbraccio e è sparito

                  ‘nzieme ‘a mamma ‘e ‘stu piccerillo. E mò a chi ‘o lasso, a chisto?

Fede:        (Commenta ad alta voce) Ua’, sto facendo un capolavoro!

Prospero:(La nota) E chi è chella? ‘Na fotografa? Molto bene, ottima idea!

                  Le si avvicina, facendo finta di niente. Mentre lei fotografa, lui con una mossa

                  repentina, deposita il bimbo nella cesta di Fede. Poi le parla.

                  Ehm… buongiorno!

Fede:         Sssst, silenzio! Sto creando.

Prospero: Che cosa state fotografando di bello?

Fede:        (Dipingendo)Il barista. Si è addormentato abbracciato alla macchina del caffè!

Prospero: Ah, picciò l’aggio chiammato ciento vote e nun è venuto! E scusate, ma vi

                  sembra un soggetto così interessante?

Fede:        (Smette di fotografare e lo guarda male) Scusate, ma voi chi siete?

Prospero: Uh,non mi sono ancora presentato?Piacere, Prospero Zazà.

Fede:         Zazà? Come quello della festa di San Gennaro?

Prospero: E sì.

Fede:         Piacere, io sono Fede Di Nascita, fotografa in cerca di lavoro. E adesso

                   lasciatemi lavorare.

Prospero: Prego, prego. Io vi osservo.

                   Fede riprende a fotografare, Prospero la osserva e ogni tanto getta un occhio

                   alla cesta della pittrice. Intanto da destra torna Isaia, tutto agitato.

Isaia:         (Non cantando) Dove sta Zazà, oh Madonna mia! Come fa Zazà, senza Isaia!

                  (Indicando sé stesso) Pare, pare, Zazá, che t’ho perduto, ahimé! Chi ha truvato a

                  Zazá ca m’’opurtasse a me! (Poi cantando, secondo lo stile della canzone 

                  “Dove sta Zazà?”) Isaia sta ccà, Isaia sta ccà, Isaia sta ccà!

Prospero: (Lo nota e gli si avvicina, cantando) “Zazà Zazà Zazà Zazàààà…”!

I due:        (All’unisono, cantando) “Io senza ‘e te nun pozzo staaaaaa’…”!

Isaia:         (Smette di cantare e si arrabbia) Ma che stamme facenno ‘o Festival ‘e Napule?

Fede:         (Seccata, smette il suo lavoro e va dai due) Eeeeh, inzomma, ch’educazione è

                   chesta? Io me stongo concentranno e vuje state facenno tutta ‘sta mmuina.

Isaia:         Senti, tu.

Fede:         Chi, io?

Isaia:         Sì, tu, tu: terza persona singolare!

Fede:         Ma “tu” è seconda persona.

Isaia:         E no. “Tu” è seconda persona quando ci sono due persone. Ma nuje, ‘int’a

                   ‘stu mumento, ne simme tre! E tu si’ ‘a terza, pecche’ si’ venuta mommò!

Fede:         Inzomma, che m’avita dicere?

Isaia:         Io sto parlando col mio amico Prospero Zazà e tu non devi interrompere.

Fede:         Ma che mi date, del tu? Chi vi conosce? Io vi ho solo chiesto di fare un po’ di

                   silenzio, perché mi sto concentrando.

Prospero: Sta facenno ‘e fotografie ‘o barista che s’è addurmuto abbracciato ‘a machina

                   d’’o ccafé.

Isaia:         Ah, picciò chillu mappino nun veneva. E perché gli stai facendo le foto? Ah, ora

                   ho capito: te lo vuoi sposare. Benedetta guagliona! Ma chi t’’o ffa’ fa’ ‘e te

                   spusà?! Il matrimonio fa male.

Prospero: Vabbuò, Isaia, ma mò nun me pare ‘o caso.

Isaia:         E no, vuje m’’ita fa’ parlà, pecché ‘a guagliona è giovane e nun sape ch’’e

                   ggente cchiù scustumate so’ chelli llà che s’hanna spusà.

Fede:         In che senso?

Isaia:         E mò ti faccio un esempio: ti è mai arrivata la partecipazione di un matrimonio a

                  casa? Di un amica, di una parente, di una conoscente! Ma dico io, tu ti devi

                  sposare? E che mi inviti a fare al tuo matrimonio? Costa troppo assaje.

Prospero: Spiegatevi meglio.

Isaia:         Prospero, quando si deve andare a un matrimonio, che cosa bisogna fare? Il

                   regalo. E non è che potete fare una cosa a piacere, dovete fare per forza un

                   regalo presente nella lista di nozze. E mica sono regalini così? Tutta roba

                   costosa. Cioè, praticamente, tu devi pagare per andare ad un matrimonio, come  

                   si fa al ristorante, solo che invece di pagare il conto, si fa il regalo.

Prospero: Avete ragione.

Fede:         Ma come la fate tragica! E poi mica è detto che me lo devo sposare per forza? Io

                   posso pure rimanere fidanzata per tutta la vita.

Isaia:         E’ lo stesso. Ma tu lo sai qual è la gente più scostumata? I familiari dei fidanzati.

Prospero: Ma mica chesta s’ha da fidanzà cu’ tutta ‘a famiglia? S’ha da fidanzà sulo cu’ ‘o

                  fidanzato! Ossia, il barista.

Fede:         Ma quando mai? Chi vi ha detto che mi voglio sposare il barista? Io ce stevo

                   facenno sulo doje fotografie!

Isaia:         Ma si comincia sempre con una fotografia! Poi viene il resto. Però, prima di

                   fidanzarsi con un uomo o con una donna, bisogna fidanzarsi coi genitori, i

                   cugini, i fratelli, i nipoti, perfino il cane. Ognuno tene ‘a cunferenza ‘e parlà

                   ‘nmiezo. Perciò, viva gli zitelli!

Fede:         Sentite, ma voi lo sapete che siete proprio antipatico? Per voi sono tutti quanti

                   scostumati. E allora sapete che cosa c’è di nuovo? Io mi fidanzo e mi sposo alla

                   faccia vostra. (E va a raccogliere le sue cose)     

Isaia:         Ma tu sei talmente acida, che farai dei figli acidi!

Fede:         Quali figli? Io odio i bambini. (Prende la cesta, va loro) Specialmente i neonati.

Prospero: (Preoccupato) Oddio mio! Chianu chiano cu’ chella cesta, o si no se sceta.

Fede:         Chi?

Prospero: Ehm… no, nessuno. Io volevo dire: ma perché odiate i bimbi? Quello sono belli.

Fede:         Per carità! Non ne voglio tra i piedi, soprattutto quelli che non sono miei. Addio!

                  Volta la faccia ai due ed esce via a sinistra. Prospero è preoccupato.

Prospero: Speramme che nun ‘o fa’ cadé pe’ terra.

Isaia:         Ma che state dicenno?

Prospero: Niente, parlo da solo. Quella odia i bambini.

Isaia:         A proposito di bambini, ma che ne avete fatto del figlio della ragazza di prima?

Prospero: Ehm… beh… veramente… sta nella cesta di questa tizia che ora se n’è andata.

Isaia:         Che?Prospero, ma vuje site pazzo? Jamme a acchiappà a chella. Presto!

Prospero: Subito, subito!

                  La rincorrono a sinistra.

6. [Imma, Tania ed Erminio]

                  Dal bar a destra esce il barista Erminio, sbadigliando: ha uno straccio in mano. 

Erminio:  (Si sgranchisce)‘E che suonno. Nun ce vene maje nisciuno ‘int’’o bar mio.

                 (Pulisce il tavolino con uno straccio)Guarde ‘stu tavulino: è sempe vacante.

                 Secondo me, aggia mettere cocche attrazione: per esempio, doje ballerine. E sì!

                 Pulisce il tavolino, mentre da destra torna Imma: è pentita di qualcosa.

Imma:     Mamma mia, ch’aggio cumbinato? Aggio abbandonato ‘o figlio mio. Che madre

                 scellerata che sono. Da quando non faccio più la ballerina in quel locale notturno,

                 ho perso la testa. Povero figlio mio! (Va al contenitore dei rifiuti e vi guarda

                 dentro) Vercingetorige! Amore della mamma, ci sei?

Erminio: (La nota scavare tra i rifiuti e va da lei) Signò, scusate, avete perduto il gatto?

Imma:     Uhé, ma come vi permettete di chiamarlo gatto? Quello è il mio bambino.

Erminio: Signora, io capisco l’affetto per gli animali, ma chiamarlo bambino mi sembra un

                 poco troppo!

Imma:     No, no, chiamiamolo bambino. Perché lo volete chiamare animale?

Erminio: E va bene, diciamo così. Scusate, ma vuje site sicura che sta ‘int’a ‘stu bidone?

Imma:     E certamente, l’ho buttato io là dentro.

Erminio: L’ate ittato vuje? E pecché?

Imma:     E perché un tizio mi ha fatta innervosire. Io già stavo nervosa perché mi hanno

                 licenziata. Una grande ballerina come me!

Erminio: Ballerina? (Ci fa un pensierino) Permettete? Erminio Coleottero. E voi?

Imma:     Io sono una pessima donna. Imma Tura.

Erminio: E Vabbé, poi un giorno maturerete.

Imma:     Ma io sono Imma Tura per sempre!

Erminio: Facciamo così, vi aiuto io a trovare il vostro… il vostro… Come si chiama?

Imma:     Vercingetorige.

Erminio: E’ proprio il nome adatto a un animale! (Fa il verso, come per cercare un gatto)  

                Qua, Vercingetorige, qua!

Imma:    (Lo cerca anche lei, ma come cercando un bambino) Vercingetorige, dove sei?

                I due continuano a cercare. Da sinistra torna Tania.

Tania:     Niente di meno, oggie è ‘o compleanno mio e nisciuno se n’arricorda! Ma

                ch’educazione è chesta?! (Poi nota Erminio ed Imma cercare accanto ai rifiuti. 

                Va da loro e li interrompe) Scusate se vi interrompo, devo chiedervi una cosa.

Imma:     Dite.

Tania:     Ma voi vi siete scordati che cos’è oggi?

Erminio: Uh, oggie è ‘a festa ‘e San Gennaro!

Tania:     Ma che festa ‘e San Gennaro? E’ una cosa ancora più importante.

Imma:     La festa della Repubblica?

Tania:     Ancora di più.

Erminio: La festa del mondo?

Tania:     Di più, di più!

Erminio: Néh, ma che fest’è?

Tania:     Il mio compleanno!

I due:      Ma fance ‘o piacere!

Tania:     E ch’educazione è chesta?

Erminio: Signò, ma chi ve cunosce? Facìtece scavà ‘int’’a munnezza in santa pace!

Tania:     Sentite, ma state trovando qualcosa in questi rifiuti?

Imma:     Sì, Vercingetorige.

Tania:     Uh, e che cos’è?

Erminio: ‘O gatto suojo!

Imma:     Ancora con questo gatto? E’ un bambino. Vabbuò?  

Erm&Tan: (Sconvolti) Un bambino?

Imma:         Sì.

Erminio:     E vuje jate a ittà ‘nu criaturo ‘int’’a munnezza?!

Imma:         E io perciò sono sconvolta. Ma che volete da me? Io non faccio più la ballerina.

Tania:         E con ciò? Pur’io faceve ‘a ballerina, però nun aggio ittato maje a nisciunu

                    criaturo ‘int’a munnezza!

Erminio:    (Ci fa un pensierino) Doje ballerine? Scusate, non è che voi due volete ballare

                    fuori al mio bar?

Imma:        Ma che me ne ‘mporta d’’o bar vuosto?Io devo ritrovare a Vercingetorige.

Erminio:    Signò, ccà se va ‘ngalera. Jamme a chiammà ‘a polizia.

Imma:        Uh, e allora me vulite mannà overamente ‘ngalera?

Erminio:    Quase quase, ‘o ffacesse. Però ‘a polizia serve pe’ truvà ‘o criaturo.

Imma:        Va bene. (A Tania) Venite pure voi?

Tania:        Beh, veramente, oggi è il mio compleanno!

Erm&Im:  Uff!

                   Mandano a gesti a quel paese Tania e poi entrano nel bar a destra.

Tania:        Ma comm’è? Oggie è ‘a festa mia e nisciuno me fa gli auguri! Cose ‘e pazze!

                   Entra pure lei nel bar, a destra.

7. [Fede e poi Antonio e Stefano]

                   Da sinistra torna Fede (con la sua cesta in mano). E’ sconvolta.

Fede:         Oddio mio, e che ce fa ‘stu criaturo ‘int’’a cesta mia? Comme c’è trasuto, ccà

                   ddinto? Oppure, chi ce l’ha miso? Me ne devo sbarazzare subito.

                   Va a sedersi sulla panchina e guarda il bambino nella cesta. Da sinistra intanto

                   torna Stefano, soddisfatto, con la propria cesta in mano.

Stefano:     Ua’, troppo bello: aggio acchiappato a doje perzone ‘int’’a ‘na Ferrari. S’hanne

                   accattate 50 Euro ‘e pisce! Ma che se n’hanna fa’? Vabbuò, che me ne ‘mporta,

                   a me? So’ fatte d’’e lloro! (Posa la cesta a terra e prende i 50 Euro dalla tasca)

                   Guarde ccà comme so’ belle, ‘sti cinquan… (Li osserva bene) Ma… ma…

                   chiste nun so’ cinquant’Euro. Chiste so’ 50mila lire! M’hanne fatto fessoooo!

                   Da sinistra torna Antonio (senza la cesta in mano). Tiene una mano sulla fronte.

Antonio:    S’hanne arrubbato ‘a cesta cu’ ‘a frutta mia!

Stefano:     Uh, e comm’è stato?

Antonio:    Doje perzone ‘int’a ‘na Ferrari me l’hanne scippata ‘a mana! Mamma bella,

                   m’hanne struppiato ‘o fronte!

Stefano:     Viene ccà, assiettete vicino ‘o tavulino d’’o bar.

                   Stefano aiuta Antonio ad accomodarsi al tavolino, lasciando la cesta a terra.

Antonio:    (Sofferente) Ah, mamma ‘e ll’Arco!

Stefano:     Aspiette ccà, te vaco a piglià ‘nu bocchiere d’acqua.

Antonio:    ‘Nu…?

Stefano:     ‘Nu bocchiere!

Antonio:    Che d’è ‘stu bocchiere? Se chiamma bicchiere.

Stefano:     Ma si mette in bocca? E allora si chiama “bocchiere”. Mò t’’o vaco a piglià.

                   Esce via a destra (nel bar). Intanto Antonio è sofferente.

Antonio:    Ah, che dulore! M’hanne sfasciato ‘o fronte!

                   Nel frattempo, Fede ci fa un pensierino: prende il bimbo (che è avvolto

                    nell’asciugamano) dalla propria cesta e lo porta nella cesta di Stefano. Poi,

                    facendo finta di niente, va da Antonio (che ancora si lamenta per il dolore).

Fede:          Scusate.

Antonio:    (Con gli occhi chiusi, senza guardare Fede) Chi è?

Fede:          Sono io.

Antonio:    Pure io sono “io”. Ma voi chi “io siete”?

Fede:          Fede Di nascita.

Antonio:    (Si volta) Piacere. Scusate, se vi volete comprare un poco di pesce, passate in un

                   altro momento.

Fede:          No, no, niente pesce. Io volevo sapere solo se quella cesta là a terra è vostra.

Antonio:    No, no, è di un mio amico pescivendolo.

Fede:          Perfetto, grazie. Arrivederci.

Antonio:    Arrivederci.

                   Fede va a prendere celermente le proprie cose e poi va via a sinistra. Antonio

                   rimane per un momento, perplesso, poi si interroga.

                   Ma chi è chella? Che ce ne ‘mporta a essa ‘e chi è chella cesta?

                   Si alza e si avvicina alla cesta. Appena si abbassa per toccarla, dalla cesta si

                   sente il bimbo piangere.

Vercinge.: Gueeeee…. Gueeeee!

                   Antonio si spaventa e finisce a terra.

Antonio:    Mamma mia! Ma che d’è? E’ scattato l’allarme? (Sposta timoroso la coperta   

                   sulla cesta e il bimbo smette pian piano di piangere) ‘Nu criaturo ‘int’’a cesta ‘e

                   Stefano? Ma nun po’ essere ‘o figlio ‘e Stefano. Questo è il figlio dei pesci!

                   Torna Stefano con un bicchiere d’acqua in mano.

Stefano:     Antò, Antò…!

Antonio:    Stefano, stongo ccà.

Stefano:     (Gli si avvicina) E che staje facenno?

Antonio:    Stefano… io nun voglio sapé niente. Ccà se va ‘ngalera.

Stefano:     Pecché?

Antonio:    ‘Int’’a cesta toja… ce sta ‘na situazione scottante!

Stefano:     Ma qua’ scottante? Io tengo sulo duje merluzze e ‘nu poco ‘e baccalà!

Antonio:    E chillu criaturo a chi è figlio? ‘O merluzzo oppure ‘o baccalà?

Stefano:     ‘O criaturo? (Sposta la coperta, il bimbo piange di nuovo e Stefano si spaventa)

                   Mamma bella! Ma che d’è? ‘E pisce chiàgnene?

Antonio:    No, è ‘o criaturo!

Stefano:    (Dà un’occhiata) Uh, comm’è bellillo! (Poi realizza) Antò, puo’ mantené ‘nu

                   niscondo ‘o bicchiere?

Antonio:    (Lo prende) Pecché?

Stefano:     Me sento ‘e svenì! (E sviene)

Antonio:    Uh, mamma mia! Sté, scìtete, scìtete! (Gli getta l’acqua del bicchiere in faccia)

Stefano:     (Si sveglia e si rialza, contrariato) Puozze passà ‘nu guajo niro!

Antonio:    Assiéttete, mò te vaco a piglià ‘nu bicchiere d’acqua.

Stefano:     No, addò vaje?

                   Ma lo chiama inutilmente, in quanto Antonio è già scappato nel bar.

                   M’è gghiuto a piglià ll’acqua? Ma ccà già è mal’acqua! (Lo chiama) Antò, nun 

                   me lassà a me sulo. Io me metto appaura d’’o criaturo!

                   Copre la cesta e la lascia in terra, poi corre pure lui nel bar. Il bimbo non

               piange più.

8. [Mena Gramo ed Erode. Poi Antonio e Stefano]

              Da sinistra giunge Mena Gramo, impresaria funebre (tutta vestita di nero), con

              una cesta (quella rubata ad Antonio).

Mena:   Strano, fuori alla mia impresa funebre, ho trovato questa cesta. Che cosa conterrà?

              (La poggia sulla panchina, si siede ed osserva) Ah, c’è della frutta. Che bella,

              dev’essere un regalo di qualche mio cliente morto! (Poi osserva bene) Che? Ma ccà

              ddinto ce sta ‘nu criaturo. E’ un bimbo di colore. Oddio mio! E ora cosa faccio?

              Da destra passa di lì Erode. Si ferma, notando Mena parlare con chi è nella cesta.

              Ma lo sai che sei proprio bello?! Quasi, quasi, ti mangerei a morsi! E quindi… (Si

              volta e nota Erode) Ehm… no, niente, sto parlando con un cocomero!

Erode:  (Parla, sputacchia) Vi capisco, signora, voi avreste bisogno di un bravo specialista!

Mena:   (Spesso s’asciuga il viso dagli sputacchi) No, ma io non sono pazza. Ho solo detto

              che me lo mangerei. Però mi dispiace di mangiarlo. E lo dico per istinto materno.

Erode:  Signò, ma qual’istinto materno? Chillo è ‘nu mellone!

Mena:   Scusate, ma voi chi siete?

Erode:  Permettete? Erode Panico, medico pediatra.

Mena:   Io sono Mena Gramo, impresaria funebre!

Erode:  (Fa una pessima faccia) Mamma ‘e ll’Arco!

Mena:   Che è successo?

Erode:  No, niente, niente. (Fa le corna con la mano in modo che lei non possa vederle) 

Mena:   Ma accomodatevi.

Erode:  E va bene, ma ho poco tempo. (Le siede accanto) Ora capisco perché siete legata a

              questa cesta. Voi rivedete in quel cocomero nella cesta quel bambino che non avete

              potuto avere con vostro marito. E ci parlate come se il melone fosse vivo!

Mena:   Ma quello è vivo!  

Erode:  Eh?

              Ad un tratto, si sente il bimbo piangere per qualche secondo.

Bimbo: Gueeeeee… gueeeeee!

Erode:  Ma chi è che chiagne?

Mena:   La cesta!

Erode:  ‘A cesta chiagne?

Mena:   No, il cocomero!

Erode:  ‘O mellone chiagne? Signò, ma che ddicite?

Mena:   E va bene, a voi non vi posso mentire, perché fate il podologo!

Erode:  Pediatra! ‘O podologo acconcia ‘e piede!

Mena:   (Sposta un po’ la coperta e mostra il bimbo della cesta) Ecco il bambino. L’ho

              trovato davanti alla mia impresa funebre.  

Erode:  Forse lo avranno abbandonato degli immigrati africani. Lo vedete, è di pelle scura.

Mena:   Sì, ma io adesso come faccio?

Erode:  E’ ‘o vvulite sapé ‘a me? Andate alla polizia. Intanto, il bambino sta bene.

Mena:   E vuje comm’’o ssapite? Non lo avete nemmeno visitato.

Erode:  (Si vanta) Eh, beh! Il dottor Erode Panico tiene l’occhio allenato. E mò me ne vaco,

              pecché nun voglio passà ‘nu guajo. Cioè, no… Insomma, bona jurnata.

              E va via a destra. Mena reclama.

Mena:      No, aspettate, addò jate? E mò rimango io sola cu’ chisto? Mannaggia! (Si alza

                 in piedi e guarda verso la cesta di Stefano) Mò saje che faccio? Scagno ‘sta

                 cesta cu’ chella! Accussì, chiunque vene, se piglia ‘o criaturo e s’’o vvede isso!

                 Così fa: prende la cesta di Stefano, vi lascia la propria e va via a sinistra. Da

                 destra tornano Antonio e Stefano.

Stefano:   Mò me sento meglio. E tu?

Antonio:  Sì, sì, ma mò che facìmme cu’ chillu criaturo? Lo lasciamo vicino a un convento?

Stefano:   Buona idea. Le suore lo troveranno e se lo vedranno loro.

Antonio:  E nuje ce facìmme ‘e fatte nuoste! Jamme a piglià ‘o criaturo!

                 Vanno alla cesta, Stefano sposta un po’ la coperta che c’è sopra e…

Stefano:   Caro bimbo, noi… (Si spaventa) Mamma bella!

Antonio:  Ch’è stato? Ma che d’è? Nun riesce a parlà? Stefano, ch’è succieso?

Stefano:   (Sconvolto)Antò, ‘o criaturo ha cagnato culore! E’ ad diventato niro!

Antonio:  (Controlla) Oddioooo! (Cerca di mantenere la calma) E se vede… se vede… se

                 vede che s’è abbronzato!

Stefano:   ‘Int’’a cesta? Cu’ ‘a cuperta ‘ncuollo?

Antonio:  E quella è per effetto della fotosintesi!

Stefano:   Ma quala fotosintesi? Mica è ‘na piante ‘e Ficus?! A proposito, ma dint’’a cesta

                 nun ce stanne cchiù ‘e pisce. Ce sta ‘a frutta. E comm’è ‘stu fatto?

Antonio:  Stefano, saje che te dico? Lassàmme ‘sta cesta ‘ncoppa ‘o tavulino d’’o bar.

                 Accussì ‘o barista ‘a trova e s’’o vvede isso!

Stefano:   He’ raggione! Ma a me me trémmene ‘e ccosce.

Antonio:  E pur’a me. Facìmme ‘na cosa: menamme ‘o tuocco. Pe’ me, pe’ me, pe’ me! E’

                 asciuto zero! Va’, ‘a puorte tu.

Stefano:   E va buono.

                 Stefano prende la cesta, la posa sul tavolo con delicatezza.

                 Fuje!

                 I due scappano via a sinistra, a gambe levate.

9. [Erminio, Tania e Imma. Infine Fede]

                 Dal bar (destra) escono Tania, Erminio ed Imma.

Tania:     ‘O barista, e che ha ditto ‘o poliziotto pe’ telefono?

Erminio: (Dubbioso) Ha ditto che sta magnanno e nun po’ gghì a cercà ‘o criaturo.

Imma:     (Ironia) ‘E che bellezza! Ecco pecché ‘e marjuole fanne chello che vonno!

Tania:      Ma ‘a colpa è ‘a toja. Tu pecché he’ abbandonato ‘o figlio tuojo.

Imma:      Lassamme sta’.

Erminio: E vabbuò, po’ t’aiutamme a truvà ‘o figlio tuojo. Mò però parlamme d’’a cosa

                 cchiù importante. Allora siamo d’accordo: voi due farete le ballerine per il mio

                 bar, così mi portate un poco di gente.

Imma:     Sì, ma è questione di soldi. Io, per esempio, quando lavoravo nel precedente

                 locale, guadagnavo 150 Euro al giorno.

Tania:     E io invece ne ho guadagnati fino a 100 a settimana.

Erminio: Veramente, io avevo pensato di darvi 50 Euro.

Imma:     Al giorno?

Erminio: No, al mese!

Le due:    (Protestanti) Ma vattenne!

Erminio: E vabbuò, facite comme vulite vuje!

                 Erminio torna all’interno del bar. Le due, rimaste sole, si organizzano.

Tania:      Hai visto com’è dura la vita?

Imma:     Nun me ne parlà. Io nun me voglio murì ‘e famme. E allora sai che si fa?

                 L’unica cosa che nei momenti di disperazione ti può far guadagnare i soldi.

Tania:      Ma è una cosa pericolosa?

Imma:      No, ma che?

Tania:      Ed è illegale?

Imma:      Per carità.

Tania:      E di che si tratta?

Imma:      Amma rapinà ‘e ggente!

Tania:      Ma tu he’ ditto che nun se tratta ‘e ‘na cosa pericolosa e illegale!

Imma:      Ma pecché, a te te risulta ch’in Italia va ‘ngalera chi fa ‘e rrapine?

Tania:      Siente, io nun voglio sapé niente. Già stongo ‘nguajata. Perciò, addio per sempre!

                 Esce via velocemente a sinistra.

Imma:      E mò comme se fa? Io non voglio morire di fame. Ma non posso rapinare da sola.

                 Da destra giunge Fede.

Fede:        E allora la rapina la farai insieme a me.

Imma:      E tu chi si’?

Fede:        Mi chiamo Fede. E tu?

Imma:      Sono Imma.

Fede:        Bene Imma, anch’io sono alla ricerca di qualcosa che cambierà la mia vita. Però

                  nun sto’ ‘nguajata. Voglio solo arricchirmi. Perciò, andiamoci a preparare.

Imma:      Aspiette ‘nu mumento, ma ci mancano le calze e le pistole.

Fede:        Se sei una donna, le calze non ti mancheranno di certo. Per le pistole ci penso io.

Imma:      (Felice)Bene!E alloraviene cu’ me. Mò vedìmme si se cagna ‘sta vita!

                 Le due escono a sinistra. Dal bar esce Erminio con uno straccio in mano.

Erminio: E mò pulezzamme ‘o tavulino. (Canticchiando) “’Na tazzulella ‘e cafè…”!

                 (Sul tavolino nota la cesta) E che d’è ‘sta cesta ‘ncoppa ‘o tavulino?

                 Vi si avvicina. Alza un po’ la coperta e il bimbo subito comincia a piangere.

Bimbo:    Gueeeee… gueeeee!

Erminio: (Spaventato) Maronnaaaa!

                 Erminio si spaventa, abbassa la coperta sulla cesta e poi fugge nel bar. Il bimbo

                 smette di piangere. Poco dopo Erminio ne riesce e torna verso la cesta. Allunga

                 un dito verso la coperta stessa e il bimbo piange di nuovo.

Bimbo:    Gueeeee… gueeeee!

Erminio: (Desiste) Ma che tene ‘stu criaturo? (Ci parla) Bimbo, io non voglio farti niente.

                 Se ti fai guardare un momento, ti faccio succhiare una bottiglia di Jack Daniels!

                 Alza la coperta ed osserva il bimbo.

                 Ua’, chisto ha da essere ‘o figlio ‘e chella tizia che l’ha abbandunato. Allora

                 l’aggia cercà e aggia dicere che sta ccà! Bimbo, vuoi ritrovare la tua mamma?

Bimbo:    Gueeeee… gueeeee!

Erminio: Aggio capito, vaje truvanno primma ‘o Jack Daniels! Ogni promessa è debito.

                 Prende la cesta e la porta via con sé nel bar.

FINE ATTO PRIMO

Il giorno dopo…

ATTO SECONDO

1. [Prospero, Isasia ed Erminio. Poi Erode]

                  Seduti al tavolino ci sono Prospero ed Isaia. Il secondo legge un quotidiano.

Prospero: Non c’è niente di meglio che un bel caffè, seduti al tavolino di un bar.

Isaia:         Sì, ma quanno arriva ‘stu ccafé?

Prospero: (Chiama) Erminioooo, stamme aspettanno già ‘a mez’ora. Ma ce vo’ assaje?

                  Da destra esce Erminio (mezzo ubriaco) con un vassoio piccolo con due tazzine

                  di caffè e un cornetto, ed uno straccio nell’altra mano. Pare molto preoccupato.

Erminio:   Scusate se vi ho fatto aspettare, ma oggi nun ce stongo cu’ ‘a capa.

                  Ma sul tavolino, invece di lasciare il vassoio, lascia lo straccio (sotto lo sguardo 

                  perplesso dei due), poi si distanzia un po’ e guarda a destra e a sinistra.

                  Ma quanno vene, ‘a mamma d’’o criaturo? Quanno se move?

Isaia:         Nun aggio capito, ma ch’amma fa’ cu’ ‘stu straccio?

Prospero: E che ne saccio? (Lo chiama) Erminio!

Erminio:   (Senza guardarlo)Dite, dite. V’è piaciuto ‘o ccafé? E ‘o cornetto?

Prospero: (Prende lo straccio con due dita) E chisto fosse ‘o cornetto?

Erminio:   (Senza guardarlo) Mangiate, mangiate!

Prospero: E che me magno? ‘O straccio?

Erminio:  (Osserva) Uh, scusate! (Va da loro e sostituisce lo straccio col vassoio) Il fatto è

                  che io sto aspettando una donna.

Prospero: E io lo dico sempre: le donne fanno male.

Erminio:   No, ma chesta nun è ‘na femmena normale. E’ ‘na mamma che tene ‘nu figlio.

                  Cioè, mò ‘o figlio nun ce sta, però si ‘o trova, ‘o tene ‘n’ata vota! E questo è.

                  Vabbuò, con permesso!

                  Torna di nuovo all’interno del bar. Prospero lo osserva perplesso.

Prospero: Mah! E assaggiamme ‘stu ccafé. (Prende la tazzina ed osserva all’interno)

                  Comm’è strano. (Lo beve e fa un pessimo viso) Sape ‘e ciliegia!

                  Torna frettolosamente Erminio.

Erminio:   (Emette un urlo) Non bevete! 

Prospero: Ch’è stato?

Erminio:   Me songo sbagliato: invece ‘e ve purtà ‘o ccafé, v’aggio purtato ‘o succo ‘e

                  frutta a ciliegia!

Prospero: He’ passà ‘nu guajo!

Erminio:   Nun me dicite niente, io me so’ distratto.

Prospero: No, tu staje ‘mbriaco. E se vede d’’a faccia che tiene!

Erminio:   No, nun è colpa d’’o vino. Ve l’aggio ditto, stongo aspettanno a ‘na femmena.

Prospero: E che ce azzecca ‘o ccafé?

Erminio:   Vabbuò, mò v’’o porto ‘n’ata vota. Intanto, magnàteve ‘o cornetto. Nun è

                   succieso niente. Io torno subito.

                  Torna via a destra portando con sé il vassoio coi caffè.

Prospero: Ma ch’indecenza! E’ meglio che me magno ‘o cornetto, va’!

                  Sta per addentarlo, ma si blocca perché Erminio torna e lo richiama.

Erminio:   Fermo! Scusate, per sbaglio, invece di portarvi il cornetto fresco, vi ho portato il

                   soprammobile a forma di cornetto! (Glielo tira di mano) Grazie!

                  Torna via a destra.

Prospero: Ma cheste so’ ccose ‘e pazze! (Osserva Isaia leggere) Beato voi che leggete!

Isaia:         (Leggendo il giornale) Uh, guardate che notizia drammatica. (Poi realizza) Che?

                  Si alza in piedi e va verso il centro.    

                  Che disgrazia, che disgrazia!

Prospero: (Si alza e lo raggiunge) Ch’è stato?

Isaia:         ‘O dottor Panico.

Prospero: Che l’è succieso?

Isaia:         Un incidente in mare. Sentite qua, sentite: (Legge) “Cronaca nera: traghetto per

                   Capri urta contro gli scogli. Panìco a bordo.”…! Ate capito? E’affunnato ‘o  

                   dottor Panico cu’ tutto ‘o traghetto!

Prospero: (Spaventato) Uh, mamma mia! Comme me dispiace.

Isaia:         Ma ch’è gghiuto a ffa’ a Capri? 

Prospero: E che ne saccio?

                  Mentre i due fanno i loro ragionamenti, da destra si avvicina proprio Erode

                  Panico (sempre effeminato). Li osserva dispiacersi della cattiva notizia.

                  Sapete che c’è di nuovo? Mò vaco add’’a signora Mena Gramo, l’impresaria

                  funebre. Amma priparà ‘nu funerale comme si deve al nostro amico.

Isaia:         Bravo, dite bene, dite bene! Andate, andate.

                  Prospero va via a sinistra. Erode s’affianca a Isaia e lo osserva parlare da solo.

                  Guardate che disgrazie che succedono al giorno d’oggi. (Poi si volta e parla

                  inconsapevolmente con Erode) Io l’ho incontrato giusto ieri: un uomo di ferro!

Erode:      (Parla e sputacchia)Scusate, ma è morto qualcuno?

Isaia:        (S’asciuga il viso)Sì, siete morto voi! (Realizza, si spaventa) Marò, ‘o fantasma!

Erode:      Addo’ sta?

Isaia:        Sta vicino a me!

Erode:      Io? Ma che state dicendo? Io sono vivo e vegeto.

Isaia:        Siete risuscitato?

Erode:      Ma io non sono mai morto.

Isaia:        Allora vi siete salvato.

Erode:      Da che cosa, scusate?

Isaia:        Dal mare! Chillo ‘o mare nun perdona! Se po’ murì annegato!

Erode:      ‘O mare? Annegato? Ma spiegatevi meglio.

Isaia:        Voi stavate andando a Capri e stava per affondare il traghetto. E siete morto!

Erode:      Io stevo jenno a Capri e so’ muorto?

Isaia:        Ah, sì? Non ci credete? (Prende il giornale) E allora leggete qua! (Legge)

                 “Cronaca nera: affondato traghetto per Capri. Panìco a bordo!” 

Erode:      Ma che Panìco? “Pànico”! L’accento va sulla “a”, non sulla “i”.

Isaia:        Ah, ma allora nun site muorto? Puzzate murì ‘e subito! Aggio fatto ‘e vierme!

                 (Poi realizza) Un momento, ma allora devo fermare a Prospero. 

Erode:      Perché? Dov’è andato?

Isaia:        Quello vi sta organizzando il funerale!

Erode:      Acchiappate a chillo!

Isaia:        Subitoooo!

                 Gli lascia il giornale e corre via a sinistra.

Erode:     (Effeminato) Ma cheste so’ ccose ‘e pazze! (Poi si guarda intorno, smette di fare

                 l’effeminato e non sputacchia più, prende il cellulare dalla giacca e telefona) Di

                 Martino, sono l’ispettore Erode Panico. In questo momento mi trovo sotto

                 copertura. Nun aggio ditto “sotto ‘e ccuperte”, aggio ditto “sotto copertura”! 

                 Cioè, mi trovo sotto false spoglie. Nun aggio ditto che me stongo spuglianno!

                 Insomma, faccio finta di essere un pediatra. Però fra poco si cambia

                 travestimento. Nossignore, non è che voglio fare il travestito in mezzo alla strada.

                 Sto seguendo il caso di quel bambino rapito. Vi raccomando, tenetevi pronti.

                 Capito? Nooo, non sono morto a Capri! Sul giornale c’è scritto “Pànico”, non

                 “Panìco”! (Riaggancia) Ma chiste me stéssene sfuttenno, a me?!

                 Esce via a destra, dubbioso.

2. [Tania ed Erminio. Poi Mena]

                 Da sinistra giunge Tania. Pare contrariata.

Tania:      Incredibile, tutta la giornata di ieri, 24 ore su 24, non c’è stata una sola persona

                 che si è ricordata del mio compleanno! Nemmeno un regalo, nemmeno una

                 candelina spenta. (Si siede sulla panchina) Com’è trista la solitudine!

                 Poi nota (ma non è notata) Erminio uscire dal bar: ha un vassoio con due caffè.

Erminio: Ecco i caffè! (Non nota più i due) E addo’ stanne, chilli duje? Boh! ‘E che brutta

                 jurnata ch’è schiarata! E mò chi s’’e beve ‘sti café? Ma dico io, proprio oggi ci

                 doveva stare il titolare del bar, quello vero? E pensare che io mi spaccio per lui.

                 Se quello se n’accorge, me ne caccia. Oggi non ho nemmeno incassato niente.

                 (Dalla tasca estrae monete) Ehm… cari signori,due caffè e un cornetto: pagate 4

                 Euro! (Poi cambia voce) Sì, subito, e vi diamopure un Euro di mancia, perché ci

                 avete servito benissimo! (Torna alla sua voce) Grazie, signori, tornate presto!

                 Cammina verso sinistra facendo sentire i passi, ma si ferma perché nota Tania

                 che lo osserva. Così lui prova a mettere una toppa.

                 Ehm… sto facendo uno scherzo a una persona! 

                 Tania fa il gesto per dire “che me ne ‘mporta, a me?”.

                 Giustamente, voi dite: “Che me ne ‘mporta, a me?”. E allora me ne posso andare.

Tania:     (Si alza in piedi) Un momento! Vogliamo fare un bambino insieme?

Erminio: E pecché?

Tania:     Dai, che ci vuole? Noi lo facciamo subito, anche adesso.

Erminio: Adesso non è possibile. Ci vogliono nove mesi!

Tania:     No, io dico, noi facciamo subito l’atto che ci permetterà di avere un bambino.

Erminio: Signorina, guardate…

Tania:     Tania Somma!

Erminio: Tania, guardate…

Tania:     Dammi del tu.

Erminio: Tania, tu…

Tania:     No, nel senso, parlami in confidenza.   

Erminio: Tania, in confidenza…

Tania:     No, non dirmi…

Erminio: (Seccato) E m’’a faje dicere ‘na vrenzola? Dunque, ti stavo dicendo che dentro al

                 bar ci sta il mio titolare. Non sia mai ci scopre, io sono licenziato.

Tania:     Il titolare di quel barè mio zio. Tiene novant’anni ed è pure malato. Alla sua

                 morte, il bar passerà nelle mie mani!

Erminio: (Cambia espressione del viso, con un sorrisetto malizioso) Erminio Coleottero!

Tania:     Piacere. Andiamo?

Erminio: Jamme a ffa’ ‘stu figlio, jamme!

                 La prende per mano e i due entrano a destra nel bar. Da dentro però si sente il 

                 bimbo nella cesta piangere. Così i due tornano fuori (Erminio tiene la cesta).

Tania:      Ma chi è ‘stu criaturo?

Erminio: E chi ‘o cunosce?  (Parla al bambino) Guagliò, è inutile che chiagne! Non c’è

                 trippa per gatti. Perciò… (Va a posare la cesta sulla panchina, poi torna da

                 Tania) Mò putimm’ì!

                 I due tornano nel bar. Da sinistra giunge Mena, parlando al cellulare.

Mena:      Pronto, sono Mena Gramo.No, in questo momento non mi trovo nella mia

                 impresa funebre. Allora ti raccomando, poco fa ho parlato con un tale Prospero

                 Zazà. Dobbiamo preparare un funerale da sogno ad un certo Erode Panico. Io sto

                 andando dal parroco della chiesa per accordarmi sulla messa. Tu prepara i

                 manifesti e la bara. A proposito, scrivi questa bella frase: “Sei stato per noi un

                 amico esemplare”! E prepara la fattura di 7.000 Euro. Ah, a proposito, il carro

                 deve essere con otto cavalli. Allora non sono 7.000 Euro, ma 10.000. Ciao, a più

                 tardi. (Chiude) Eh, la Mena Gramo Funeral event è sempre la migliore. C’è poco

                 da fare! (Fiera) E l’ho creata io!

                 Va via a destra.

3. [Stefano, Fede ed Imma e poi Antonio]

                 Da sinistra giungono Fede ed Imma. Si sono vestite di scuro e tengono maschere

                 sugli occhi per camuffarsi.

Fede:       Vieni, Imma, vieni. Sei pronta?

Imma:     Sì, mi sono vestita!

Fede:       No, dico, sei pronta per quello che dobbiamo fare?

Imma:     (Non troppo convinta) Certamente.

Fede:       Nun te veco cunvinta.

Imma:     No, no, sono convinta. E’ solo che dico: che brutta fine ho fatto. Mi sono ridotta a

                 rapinare la gente per strada.

Fede:       Stattu zitta, nun te fa’ sentì. Ma per caso tu avresti un’altra soluzione?

Imma:     No!

Fede:       E allora aspettiamo che passa qualcuno.

Imma:     Va bene.

                Le due si nascondono verso destra. Da sinistra giunge Stefano. Ha la propria

                cesta in mano. E’ contrariato.

Stefano:  Mannaggia ‘a miseria! Fora ‘a casa mia aggio truvato ‘a cesta ch’aggio perzo

                aiére. Embé, so’ gghuto  pe’ guardà ‘a dinto, aggio truvato ‘n’ata vota ‘o criaturo! 

                ‘Stu marmocchio è ‘na persecuzione. Accussì aggio pigliato e l’aggio purtato ccà.

                Va a portare la cesta sul tavolino del bar.

                Mò lasso pure a chisto fora ‘o bar. Se lo piange il barista!

                Poi va verso la panchina.

                Mamma mia, m’aggia assettà duje minute, o si no scoppio!

                Va per sedersi accanto alla cesta e dall’interno il bambino piange pochi secondi.

Bimbo:    Gueeeeee… gueeeeeeee!

Stefano:  (Salta in piedi, spaventato) Mamma bella! Ma ch’è stato? (Controlla nella cesta)

                ‘Stu criaturo sta ‘n’ata vota ccà? Guagliò, ma io t’aggio miso ‘ncoppa ‘o tavulino

                 d’’o bar. Embé, e tu comme he’ fatto a arrivà ‘ncoppa ‘a panchina?

                 Va a posare la cesta sul tavolino del bar, accanto all’altra cesta.

                 Secondo me, è meglio che sparisco, o si no me succede cocch’ata cosa!

                 Mentre sta andando a destra, fuoriescono Fede ed Imma con le pistole puntate

                 (al contrario) verso Stefano.

Fede:       Mani in alto, questa è una rapina!

Stefano:  (Si spaventa)Aiuto!

Imma:     Stattu zitto, nun alluccà, o si no te sparo ‘nmocca!

Stefano:  E nun me puo’ sparà. 

Imma:     E pecché?

Stefano:  E pecché tieni ‘a pistola tutto ‘o cuntrario.

Fede:       Pur’io?

Stefano:  Pure tu!

                Le due si guardano imbarazzate, poi cambiano il verso delle loro pistole.

Fede:       E mò dance tutt’’e sorde che tiene.

Stefano:  No, ma io nun tengo niente.

Fede:       Te sparo!

Imma:     ‘Nu mumento, nun ‘o sparà.

Fede:       E pecché?

Imma:     Io a chisto ‘o cunosco. Chillo è mio cugino Stefano. (Sposta la mascherina dagli

                occhi) Uhé, Ste’, comme staje?

Stefano:  Imma? Néh, ma pecché te si’ mmisa a ffa’ ‘e rrapine cu’ chesta?

Imma:     Ehm… no, niente. Mò però vattenne. Amma faticà.

Stefano:  Subito. A proposito, salutame a mammeta e a soreta, e ‘nu bacio a Vercingetorige.

Fede:       E gghiamme bello, te ne vaje o no?

Stefano:  Eh, eh, che maniere! (Andando via verso destra) ‘E che marjola scustumata!

                Esce via a destra. Le due si riorganizzano.

Fede:       Presto, nascondiamoci e aspettiamo la prossima vittima.

                Si nascondono verso destra. Da sinistra giunge Antonio con un’altra cesta (è

                uguale alle altre due).

Antonio: Qualcheduno ha lassato ‘sta cesta fora ‘a casa mia. Aggio juto pe’ guardà ‘a dinto

                 e aggio truvato a ‘nu criaturo. Tene ll’uocchie a mandorla. Sarrà cinese. Mò lasso

                 pure a chisto fora ‘o bar. Se lo piange il barista!

                 Va a portare la cesta sul tavolino del bar (accanto alle altre due).

                 Secondo me, è meglio che sparisco, o si no me succede cocch’ata cosa!

                 Mentre sta andando a destra, fuoriescono Fede ed Imma con le pistole puntate.

Fede:       Mani in alto, questa è una rapina!

Antonio: (Si spaventa)Aiuto!

Imma:     Stattu zitto, nun alluccà, o si no te sparo ‘nmocca!

Fede:       E mò dance tutt’’e sorde che tiene.

Antonio: No, ma io nun tengo niente.

Imma:     Te sparo!

Fede:       ‘Nu mumento, nun ‘o sparà.

Imma:     E pecché?

Fede:          Chisto è mio cugino Antonio. Uhé, Antò, comme staje? So’ Fede.

Antonio:    Fede? Néh, ma pecché te si’ mmisa a ffa’ ‘e rrapine cu’ chesta?

Fede:          Ehm… no, niente. Mò però vattenne. Amma faticà.

Antonio:    Subito. A proposito, salutame a mammeta e a soreta.

Imma:        E gghiamme bello, te ne vaje o no?

Antonio:    Eh, eh, che maniere! (Andando via verso destra) ‘E che marjola scustumata!

                   Esce via a destra. Le due si guardano, perplesse.

Imma:        E mò?

Fede:          Amma avé pacienza. Presto, nascondiamoci e aspettiamo la prossima vittima.

                   Si nascondono verso destra.

4. [Isaia e Prospero. Poi Mena]

                   Da sinistra tornano Isaia e Prospero.  

Prospero: Caro Isaia, ho organizzato un super funerale per il dottor Panico.

Isaia:         No, aspettate, non è il caso.

Prospero: Come sarebbe a dire? Noi dobbiamo rendere omaggio al nostro amico.

Isaia:         Ma è inutile.

Prospero: Prospero, mi meraviglio di voi.

Isaia:         Ma io voglio dire…

Prospero: Non lo dovete dire.

Isaia:         (Si arrabbia) E basta! Io v’aggia dicere ‘na cosa.

Prospero: E ditela, ditela.

Isaia:         Bisogna annullare l’ordine del funerale per il dottor Panico.

Prospero: Ma perché?

Isaia:         E’ vivo.

Prospero: (Drammatico) Sì, è vivo nelle nostre anime e nei nostri cuori.

Isaia:         No, è overamente vivo. L’aggio visto io cu’ ‘e ppalle ‘e ll’uocchie mie!

Prospero: Dove?

Isaia:         A chistu pizzo ccà, addo’ state vuje.

Prospero: (Si sposta celermente) Uh, mamma mia! E vuje m’’o ddicite sulo mò?

Isaia:         E quanno v’’o ddicevo? Io vi ho visto pieno di entusiasmo.Niente di meno, nun

                   m’avite fatto schià ‘na carta!

Prospero: E come si fa, adesso? 

Isaia:         Aggiachiammà all’impresaria funebre ‘ncoppa ‘o cellulare.

Prospero: E nun pare brutto?

Isaia:         Ma che pare brutto? Quanno ‘o schiattamuorto se vene a piglià ‘o cadavere, nuje

                  che ce damme?

Prospero: Avete ragione, chiamate, chiamate.

Isaia:        (Digita il numero sul cellulare) 390.90.17.47! Tié tié, che nummero ‘e telefono!

Prospero: (Ansioso) Ha risposto, ha risposto?

Isaia:         E ‘nu mumento!

                  Da destra giunge Mena col cellulare all’orecchio.

Mena:       Pronto!

Isaia:         Pronto, signora Mena Gramo. Isaia Staccà!

Mena:       E che me ne ‘mporta ch’Isaia sta lloco?

Isaia:         No,ma io Isaia Staccà songh’io. Poco fa vi è stato ordinato un funerale.

Mena:       Veramente? Fatemi ricordare.

Isaia:        Mentre voi vi ricordate, io chiedo una sigaretta in giro.

Mena:       Fate pure.

                  Isaia va da Mena (non ci pensa che stia parlando proprio con lei al telefono),

                  sotto lo sguardo apprensivo di Prospero.

Isaia:        Scusate, tenete una sigaretta?

Mena:       No, mi dispiace. Io fumo solo sigari!

Isaia:        E allora tenete un sigaro?

Mena:       No, mi dispiace, non li ho portati con me.

Isaia:        E allora datemi qualsiasi cosa che si fuma.

Mena:       Sentite, ma che educazione è questa? Io sto parlando al telefono con un cliente.

Isaia:        Uhé, e che v’arraggiate a ffa’? (Poi parla con la persona al telefono) Scusate,

                  abbiate pazienza, sto parlando con una persona scostumata e arrogante.

                  A questo punto, lei lo osserva, mentre Isaia continua il suo sfogo.

                  Le vado a chiedere una sigaretta e non la tiene, le vado a chiedere un sigaro e

                  nemmeno lo tiene, le vado a chiedere un’altra cosa e s’arraggia pure.

Mena:       E’ quella che sta vicino a voi?

Isaia:        Esattamente, sta vicino a… (La osserva imbarazzato e la accommiata al

                  telefono) Arrivederci! (Chiude il telefonino, imbarazzato)

Mena:      (Chiude il telefonino anche lei) Sì, sì, ora mi ricordo. Mi è stato ordinato un

                  funerale per il signor Erode Panico. Non vi preoccupate, sto preparando tutto io!

Isaia:        Ma no, appunto, vi stavo spiegando che…

Mena:       Non vi preoccupate, vi faccio uno sconticino. Ora scusate, mi vibra il cellulare.

                  Sarà il mio collaboratore che avrà preparato il carro, i cavalli e la bara del

                  dottor Panico. Allora ci vediamo più tardi per il pagamento.

Isaia:         No, no, aspettate…

Mena:       Silenzio, fate fare a me. Stàteve buono!

                  Torna via a destra.

Isaia:        No, ma… (Torna da Prospero) Niente, nun m’ha fatto dicere ‘na parola!

Prospero: E che fate? La lasciate andare? Inseguitela, acchiappatela, fermatela!

Isaia:        Sì, però…

Prospero: E forza!

                  Lo prende per un braccio e se lo tira a via a destra.

5. [Erode, poi Erminio e Tania]

                  Da sinistra torna Erode (ha adottato un altro travestimento: dei baffi, un

                  cappello ed  un impermeabile). Sta parlando al telefono con qualcuno.  

Erode:      Ma chi siete, scusate? Vi chiamate Anonima? Ah, la telefonata è anonima? E

                  chiamate la polizia. Ah, già, sono io la polizia! E che cosa mi dovete dire? Ah,

                  ecco: fuori ad un bar ci sono tre ceste con tre bambini dentro. Controllo subito.

                  Va alle ceste, ne scoperchia una e si spaventa, perché un bimbo piange a dirotto.

                  Mamma ‘e ll’Arco!

                  Subito chiude la coperta e il bimbo smette di piangere.

                  Effettivamente, c’è un bambino. No, no, è meglio che non scoperchio pure le

                  altre due ceste. Mi fido, mi fido! Adesso devo trovare il responsabile che ha

                  rapito i bambini in queste ceste. Ah, è il barista? Molto bene, molto bene! Grazie

                 della dritta. (Chiude la telefonata e fa un’altra telefonata) Di Martino, state

                 pronti dalle parti del bar. Dobbiamo arrestare qualcuno. Passo e chiudo.

                 Si siede sulla panchina e aspetta, guardando verso il bar, da cui escono Tania e  

                 Erminio, in boxer lunghi che si vedono da sotto il grembiulino, soddisfatto e con

                 una sigaretta in una mano ed un progetto nell’altra.

Tania:     Tesoro mio, è stato bellissimo!

Erminio: E infatti, m’aggio appicciato pure ‘a sigaretta!  

Tania:     E che cos’è quel foglio che tieni in mano?

Erminio: Il progetto del bar, come lo vedo io. Aggia costruì ‘na cosa mai vista. A

                 confronto, ‘o Gambrinus ha da essere ‘nu chioschetto!

Tania:     Bravo, bravo! Ed ora mi vado a prendere le mie cose.

Erminio: Va’, va’!

Tania:     Come sono felice!

Erminio: A chi ‘o ddice!

                 Tania torna all’interno del bar, mentre Erminio si distanzia un po’, si guarda il

                 bar e lo confronta col proprio progetto.

                 Bello, bello!

                 Al che, Erode fa uno sguardo interessato, si alza e gli si avvicina.

Erode:     Ehm… chiedo scusa!

Erminio: Dite, dite!

Erode:     Per caso sapete dove posso comprare un po’ di salumi?

Erminio: E secondo voi, dove si comprano i salumi? Nella salumeria.

Erode:     Ah, grazie.

                 Si avvia verso sinistra, poi si ferma e torna da Erminio che continua a

                 confrontare il bar col proprio progetto.

                 E se voglio comprare dei prodotti tipici? Come si chiama questo tipo di negozio?

Erminio: E’ la gastronomia.

Erode:     E se voglio comprare la carne?

Erminio: La macelleria.

Erode:     E il pane?

Erminio: La panetteria.

Erode:     E il pollo?

Erminio: La polleria.

Erode:     E la porchetta?

Erminio: La porcheria!

Erode:     Perfetto! Ed’ ora un’ultima cosa: perché quelle ceste sono dinnanzi al vostro bar?

Erminio: E già, non ci avevo fatto caso. 

                 Va alle ceste, ne scoperchia una e si spaventa, perché un bimbo piange a dirotto.

                 Ch’è stato?!

                 Subito chiude la coperta e il bimbo smette di piangere.

                 Ma comm’è? Io aggio ittato ‘na cesta e mò me ne trovo tre?

Erode:     (Gli si avvicina) E sono vostri quei bambini?

Erminio:(Lo osserva, infastidito) Sentite, vuje facite ttroppi domande. Ma chi site?

Erode:     No, niente, io sono… sono… (Tira fuori il tesserino di poliziotto) Erode Panico.

Erminio: Ah, ho già sentito parlare di voi. Siete un pediatra?

Erode:     Osservate bene il tesserino: sono un finto pediatra, ma vero ispettore di polizia.

Erminio: (Sconvolto, cerca di giustificarsi) Ah, ehm… Ma voi non penserete mica male?

                  Secondo voi perché fuori al mio bar ci stanno tre ceste con tre bambini? Il fatto è

                  che io e la mia nuova fidanzata Tania vogliamo avere un figlio.

Erode:      Ed è per questo che state in mutande?

Erminio:  (Minimizza) Uh, mamma mia, nun me ne songo accorto! Ma queste non sono

                  mutande, sono boxer mutandoni!

Erode:      E quindi voi volevate fare un figlio con la vostra nuova fidanzata. E come per 

                  magia, già vi trovate tre bambini! E uno di questi, per giunta, si trova in un cesto

                  di frutta e verdura.

Erminio:  (Scherzoso) E per forza: i bimbi nascono sotto al cavolo! V’è piaciuta ‘a battuta?

Erode:      No, per cui siete in arresto.

Erminio:  Che? No, aspettate, lasciatemi spiegare. Ieri è venuta una donna che aveva perso

                  il bambino qui fuori. Ma la cesta prima era una, poi era due, poi tre. E…

Erode:      Fai una cosa, vieni a raccontarlo al comando di polizia.

Erminio:  No, no, un momento, ma io sto senza pantalone. E poi chi glielo dice a Tania?

                  Proprio da destra (il bar) esce Tania, tutta felice.

Tania:      Erminio, stasera vogliamo fare un’altra avventura romantica?

Erode:      Stasera non può.

Tania:      Ma… che succede?

Erminio:  No, niente, la polizia mi sta portando un momento in commissariato.

Tania:      Uh, Giesù, e pecché?

Erode:      Signora, il vostro fidanzato ha cercato di occultare delle ceste con dei bambini.

                  Stanno lì in terra.

Tania:      (Controlla) Uh, overamente ce stanne tre criature. Ermì, e chi so’ ‘sti tre? (Poi

                  realizza) Aggio capito, disgraziato, tu he’ fatto tre figli cu’ ‘nata femmena.

Erminio:  Ma si chilli criature so’ fatte ‘e tre culure diverse: uno e bianco, uno è niro e uno

                  è giallo cinese!

Tania:       Allora l’he’ avute cu’ tre femmene diverse! Piezzo ‘e ‘nfame!

Erminio:   Tesoro mio, nun fa’ accussì!

Tania:       Meno male che io non sono veramente la nipote del proprietario di quel bar!

Erminio:   Piezza ‘e disgraziata! Mò te struppéo!

Erode:      Calmo! Signora, ci dovete seguire pure voi. Io l’ho capito, voi siete la complice.

Tania:       Ma quala complice?

Erode:      Silenzio, venite con noi.

I due:        Ma noi non abbiamo fatto niente…

Erode:      Via!

                  I due escono a sinistra. Erode impartisce ordini a qualcuno da quella parte.

                  Di Martino, porta questi due signori in commissariato. E qualcuno venga con me

                  a prendere quelle ceste. Avete capito? Néh, ma site surde?

                  Esce pure lui a sinistra.

6. [Prospero ed Isaia]

                  Da destra tornano Prospero ed Isaia, discutendo.

Prospero: Isaia, ma che caspita avete combinato?

Isaia:         E ch’aggio cumbinato? Ho organizzato il funerale di una persona ancora viva!

                  Ce vulìmme piglià ‘nu café?

Prospero: Ma sì, però stavolta offrite voi.

Isaia:         Veramente, offro sempre io. Ma voi lo meritate. Venite sediamoc… (Nota le

                   ceste a terra al tavolino) E che sso’ chelli tre ceste?

Prospero: E che ne saccio? Vediamo.

                   Si avvicinano ad una cesta. Prospero ne prende una e la scoperchia. Il solito            

                   bambino piange e spaventa i due.

Bimbo:      Gueeeeee…. gueeeee…!

                   Prospero ed Isaia si abbracciano per qualche secondo dallo spavento.

Isaia:         Coprite, coprite la cesta!

Prospero: Subito!

                  La copre e subito il bimbo smette di piangere.

                  Avete capito? E’ un bimbo con gli occhi a mandorla. Sarà cinese.

Isaia:         Ma voi ci pensate? Un tempo, i cinesi tenevano gli occhi a mandorla. Ebbene, da

                  quando hanno scoperto l’Italia e la ricchezza, hanne cacciato ll’uocchie  a palla!

Prospero: Sì, ma mò che ce azzecca?

Isaia:         Niente, vediamo un’altra cesta. (La prende e la posa su una sedia. Poi la

                  osserva interdetto) Che faccio? Apro?

Prospero: E aprite, aprite. 

Isaia:         Apro, apro.

                  Scoperchia una cesta. Il solito bambino piange e smette quando Isaia lo ricopre.

                  Un altro bambino. Questo però è di colore.

Prospero: Di colore?

Isaia:         Scuro di pelle.

Prospero: Adesso vediamo la terza cesta.

                  La prende e la posa su una sedia. Ma stavolta il solito bambino non piange,bensì  

                  fa una puzzetta. Prospero la ricopre e commenta.

                  Chisto ha da essere italiano.

Isaia:         E nun chiagne nemmeno. Siente ‘e che puzza ha cacciato!

Prospero: Ma io nun capisco che ce fanne ccà ‘sti tre criature. Forse saranno figli di quella  

                   ragazza di ieri. Quella che ha abbandonato il bambino.

Isaia:         E si vede che non tiene le possibilità di mantenerli. (Amaro) Non ci esistono più

                   le mamme di una volta. Ricche o povere, i figli dovevano stare con loro.

Prospero: Isaia, noi dobbiamo fare qualcosa per quella ragazza. Facciamo metà per uno e la

                   aiutiamo. Che ne dite?

Isaia:         E se poi il protettore la viene a cercare? Non è che ci picchia?

Prospero: Il protettore? Ma perché, voi dite che quella è… una…?

Isaia:         Eh!

Prospero: E le vogliamo scrivere una lettera? La mettiamo in una busta con 500 Euro: 450

                  voi e 50 Euro io.

Isaia:        Ma nun ate ditto “metà per uno”?

Prospero: Aggio ditto accussì? E allora facciamo 250 Euro voi e 250 Euro io.

Isaia:        Vabbé, sedetevi e scrivete quello che detto io.

                  Si siedono al tavolino, Prospero prende un foglietto dalla tasca ed una penna.

Prospero: Dite, dite, dettate, dettate.

Isaia:         Dunque: “Cara… cara…”. Ma comme se chiamma, chesta?

Prospero: Facciamo senza nome.

Isaia:         Allora: “cara mign… cara batton… cara malafemm… cara prost…”.

Prospero: “Cara prosty”!

Isaia:         Ecco bravo: “Cara prosty. Noi abbiamo capito tutto”.

Prospero: (Scrive, poi gli viene un dubbio) Noi chi?

Isaia:         Io e voi.

Prospero: Allora scrivo “io e voi”! (E così fa)

Isaia:         “E pertanto, abbiamo deciso di regalarvi un’offerta, un obolo, una paghetta”! (Ci

                  riflette) Una paghetta? Azz, 500 Euro! Comunque: “Vogliate accettarla, voi e i

                  vostri bambini, così la smettete di abbandonarli dove vi trovate, vi trovate”! (Fa

                  uno starnuto) Etciù! ‘E che fetente ‘e catarro. (Si asciuga il naso col fazzoletto)

Prospero: (Fa mente locale) E comme se scrive “etciù”? (Poi scrive)

Isaia:         (Mette via il fazzoletto) A proposito, dove siamo giunti?

Prospero: (Smette di scrivere) “Catarro”!

Isaia:         Catarro? Mah! Ed ora vi detto un pensiero sui tre bambini: “Cara signorina, i

                   vostri tre bimbi sono meravigliosi, soprattutto quello che fa le puzzette! Per cui,

                   non li abbandonate. Anzi, usate i nostri 500 Euro per farli crescere sani e forti”!

                   Firmato, due amici che non conoscete.

Prospero: Scritto!

Isaia:         Rileggete.

Prospero: No, non è il caso. Avete pensato dei pensieri così profondi. Ora lasciamo i 500

                  Euro e la lettera nella cesta dove sta il bimbo che fa le puzzette.

Isaia:         Subito!

                   I due così fanno.

Prospero: Ecco fatto. Niente di meno, ‘o criaturo nun chiagne cchiù.

Isaia:         E se capisce, cinquecient’Euro!

Prospero: Ora andiamocene silenziosamente.

Isaia:         Certo che però siamo due grandi uomini. Abbiamo fatto del bene a tre bambini e

                   alla loro mamma. Un giorno ci ringrazieranno. Jammuncenne, Prospero.

                  Prospero ed Isaia escono via a sinistra.

7. [Antonio e Stefano. Poi Erode]

                  Da destra tornano Antonio e Stefano.

Antonio:   Stefano, mannaggia ‘a miseria, io aggia turnà a faticà ‘n’ata vota, o si no ‘e

                  ccose vanne malamente.

Stefano:    E tuorne a faticà. Tu ‘a chi ‘o vvuo’?

Antonio:   Sì, però aggia truvà primma ‘a cesta mia.

Stefano:    Chella cu’ ‘o criaturo ‘a dinto?

Antonio:   No, io levo ‘o criaturo ‘a dinto e me tengo ‘a frutta mia.

Stefano:    Ma perché, non ti puoi prendere altra frutta?

Antonio:   Stefano, la frutta sono soldi. Io l’aggio accattata, nun me l’aggio arrubbata.

Stefano:    E allora trase ‘int’’o bar. Dincello ‘o barista che t’ha da restituì ‘n’ata vota ‘a

                   cesta cu’ ‘o criaturo ‘a dinto. Voglio propetamente vedé comme faje.

Antonio:   M’’o vvech’io.

                  Va per andare verso il bar e nota le tre ceste.

                  Uh, ma llà ce stanne tre ceste. E chella là a sinistra è ‘a mia, ‘a riconosco.

Stefano:    (Si avvicina) Ma allora ce sta pure ‘a cesta mia.

Antonio:   Embé, aggio sparagnato ‘e parlà cu’ ‘o barista. (Prende la cesta) Sicuramente ce 

                  sta pure ‘o criaturo ccà ddinto. Mò ‘o piglio e ‘o poso ‘int’a ‘n’ata cesta.

                Scoperchia la cesta, prende il fagotto col bimbo (che stavolta NON piange) e lo

                posa nella terza cesta a destra. Stefano si stupisce che il bimbo non pianga.

Stefano:  E comm’è, ‘o criaturo se sta stanno zitto?

Antonio: Nun alluccà, o si no chisto se sceta. Ecco qua, ho liberato la mia cesta. (Osserva

                nella cesta di Vercingetorige dove ha appena posato il bambino e tira fuori i

                i soldi lasciati da Isaia e Prospero) Ma che ce sta ccà ddinto? Che sso’ ‘sti

                ccarte colorate? (Sconvolto in positivo) Soldi?! (Li conta) Uh, mamma mia,

                cinquecient’Euro! Grandeeee!

                Saltella per tutta la strada (Stefano lo osserva invidioso), poi torna alla cesta.

                Ste’, io ‘o ddico sempe: i folletti dei boschi esistono veramente. Embé, saje che te

                dico? Oggie nun tengo genio ‘e faticà. Aggio truvato chello che me serveva. Ce

                vedìmme dimane e matina. Cià!

                Va a sinistra felice (con la cesta senza più bambino, solo con la propria frutta).

Stefano:  (Osserva le due ceste, speranzoso) Lloco ce sta pure ‘a cesta mia. Hai visto mai?!

                Po’ essere che ce stanne cinquecient’Euro pure pe’ me!

                Prende la propria cesta. Nel frattempo, non visto da Stefano, da sinistra giunge

                Erode.

Erode:    Bene, bene, portiamo via le cest…

                Ma si blocca ed osserva Stefano intento nella sua operazione di sgombero della  

                propria cesta: prende il fagotto col bimbo e ci parla.

Stefano:  Viene ccà, chi t’è vvivo! E nun te permettere ‘e chiagnere. He’ capito?

                Mette il bimbo insieme agli altri due nella terza cesta. Intanto Erode gli si

                avvicina da dietro. Stefano cerca nella sua cesta di pesci.

                Ma addò stanne ‘e sorde? Nun è ch’’o criaturo se l’ha magnate? Embé, si nun

                trovo manco ‘nu centesimo, acchiappo ‘o criaturo e m’’o magno a muorze!

Erode:    (Sdegnato, parla a Stefano) Mostro!

Stefano:  Chi è? (Si volta verso di lui)

Erode:    Siete un mostro! Hannibal the cannibal, vicino a voi, era un venditore di zucchero

                filato!

Stefano:  Scusate, ma voi chi siete?

Erode:    (Toglie il cappello e i baffi) Io!

Stefano:  Ah, voi siete il dottor Erode Panico, il pediatra.

Erode:    (Tira fuori il distintivo) No, io sono un ispettore di polizia. Ho finto di essere un

                pediatra. E vi ho sorpreso!

Stefano:  A fare che? Scusate.

Erode:    Siete voi che avete rapito i bambini. E ora ve li stavate vendendo.

Stefano:  No, ma che state dicendo? Io ho tolto un bambino della mia cesta e stavo vedendo

                se c’erano i soldi.

Erode:    Ah, avete visto? 

Stefano:  No, ma i soldi non sono miei. Io volevo fare come Antonio il “fruttajuolo”. Lui ha

                trovato i soldi nella sua cesta. 

Erode:    Benissimo, allora faccio arrestare pure lui. Venite con me. (Gli prende un braccio)

Stefano:  No, no, un momento, io non ho fatto niente.

Erode:    Venitelo a dire in commissariato. (Se lo tira via verso sinistra)

Stefano:  Ma io devo vendere i pesci.

Erode:    Via, marsch!

                Escono via a sinistra (Stefano tiene gelosamente la cesta in mano).

8. [Fede ed Imma. Poi Erode]

             Da destra entrano Fede ed Imma, pistole in pugno, minacciose.

Fede:   Mani in alto!

Imma: Questa è una rapina!

Fede:   (Poi prosegue lei sola) Se non volete morire, posate tutti i soldi che avete, i gioielli

             e gli orologi d’oro.

Imma: (La osserva, mani sui fianchi) E ppo’?

Fede:   E poi dovete darci pure le macchine e le ville.

Imma: Ma nun vide che nun ce sta nisciuno?

Fede:   Effettivamente!

Imma: (Si dirige verso la panchina) Basta, m’aggio sfastriata proprio.(Si siede affranta) 

             Vulésse tanto truvà a mio figlio Vercingetorige e me ne vulésse turnà ‘a casa.

Fede:   Ah, mi dispiace, io non torno a casa a mani vuote. Allora adesso vado dal barista e

             me lo sposo. (Va per andare verso il bar e nota la cesta) ‘Na cesta? Uh, vediamo

             che cosa ci sta dentro. (Scoperchia un po’ quella coi bimbi e rimane sconvolta) Mio

             Dio! Tre bambini. E di chi sono?               

Imma: Ma che me ne importa dei bambini degli altri? Io voglio il mio.

Fede:   Uno è nero, uno è giallo e l’altro è bianco.

Imma: (Si alza in piedi e va da lei) Portiamoli alla polizia. Si vede che qualche altra

             mamma se li è persi. Non voglio che faccia la mia fine. E… (Osserva i bimbi) Uh,

             ma… ma… Vercingetorige! E’ lui, è lui!

Fede:   Lui quale? Quello giallo o quello nero?

Imma: (La guarda male) Quello bianco. (Prende il fagotto) Adesso lo prendo e me lo

             porto via. Sei contento, Vercingetorige?

             Il bimbo risponde con un rumore equivoco.

Fede:   (Sente dei passi da sinistra) Oh, no, nascondiamoci. Sta venendo qualcuno.

Imma: E che mi devo nascondere a fare? Io non ho fatto niente.

Fede:   Ma dobbiamo fare la rapina.

Imma: Facciamo una cosa: tu ti presenti con la pistola e io dico solo “mani in alto”!

Fede:   Fa’ comme vuo’ tu!

             Le due si nascondono a destra (Fede porta via la cesta vuota). Torna Erode.

Erode: Bene, è arrivato il momento di portare via le cest… (Ne nota solo una) E chell’ati

             ddoje addo’ stanne? Forse si sono già venduti i bambini che c’erano dentro. (Va a

             controllare) No, se ne sono venduti uno solo. Gli altri due ci sono ancora. (Prende

             la cesta) Cari bimbi, è arrivata l’ora di portarvi a casa.

             Ma va per andare a sinistra, ma si blocca perché da destra escono Fede (che punta

             contro di lui la pistola) ed Imma (che punta contro di lui il bambino).

Imma: Mani in alto! Questa è una rapina!

Erode: Eh?(Le osserva con tono di sfida) Ah, sì?

Fede:   Cretina, ma che fai? Gli punti contro il bambino?

Imma: E già, io aggio pusato ‘a pistola e nun m’arricordo addo’! (La trova in tasca) Eccola.

Erode: E quindi, quello è il terzo bambino.

Fede:   Tu statte zitto e aìza ‘e mmane.

Erode: (Posa a terra placidamente la cesta e le osserva come per sfidarle) E poi?

Fede:   Néh, Imma, ma nun aviva parlà tu?

Imma: Dacci tutti i soldi che tieni.

Erode:       E io non li tengo.

Imma:       Ma come, voi siete il dottor Erode Panico, conosciutissimo pediatra.

Erode:       Veramente, no. (Tira fuori il distintivo di polizia e lo esibisce) Io sono sì, Erode,

                   Panico, però ispettore di polizia. (Posando in tasca il distintivo) E ora che fate?

Le due:     (Piagnucolando) Ci arrendiamo!

Erode:       Brave!

Imma:       Sì, però siate gentile con noi. Siamo donne.

Erode:       (Con gentilezza) E allora gentilmente posate le vostre armi a terra… o si no

                   gentilmente ve faccio ‘nu buco ‘nfronte!

Fede:         (Intimorita) Ma certo, certo.

                   Le due posano le rispettive pistole a terra. Lui le recupera.

Erode:       E così vi denuncio per rapina a mano armata, rapimento e vendita di bambini.

Fede:         Ma che vendita e vendita? Noi non abbiamo venduto nessun bambino.

Erode:       E quel bimbo lì di chi è?

Imma:       Ispettò, questo bimbo è mio figlio. Io l’avevo abbandonato perché non lo posso

                   mantenere. Ma adesso ho capito il mio errore e lo tengo per sempre con me.

                   Perciò, me ne posso andare?

Erode:       No. Facciamo in questa maniera: io vi assolvo per la questione dei bambini, ma

                   resta pur sempre la rapina a mano armata.

Fede:         Ma le pistole sono scariche.

Erode:       E io che ne potevo sapere? Che ci posso fare io? Siete state sfortunate che avete

                   rapinato un poliziotto. Su, andiamo in commissariato. Seguitemi.

Imma:       Mannaggia, m’he’ ‘nguajata pure a me!

Fede:         Io? E mica t’aggio miso ‘na pistola ‘ncanna?

Erode:       Forza, niente storie. (Andando verso sinistra) Di Martino, miette pure a ‘sti

                   ddoje ‘ncoppa ‘o cellulare. Oggi pesca grossa!

                   Escono tutti e tre (più Vercingetorige) a sinistra. Erode lascia la cesta a terra.

Scena Ultima. [Prospero ed Isaia. Poi Erode. Infine Mena]

                   Da destra giungono Prospero ed Isaia.

Isaia:         Prospero, chi sa se la ragazza ha trovato i soldi e la lettera?

Prospero: Guardate, Isaia, là a terra c’è una sola cesta. (Vi guarda dentro) Ci manca solo il

                   bimbo bianco. Allora la ragazza ha trovato il frutto del nostro grande altruismo e

                   l’ha accettato!

Isaia:         Ua’, comme so’ cuntento!

                   Da sinistra giunge e si acquatta un po’ Erode che ascolta tutto. I due non si

                   accorgono di lui e proseguono coi loro discorsi.

Prospero: Del resto, non si trovano tutti i giorni uomini come noi, che invece di picchiare le

                   donne, le pagano profumatamente!Io penso che 500 Euro siano sufficienti.

Isaia:         E certamente. Anzi, sono sufficienti anche per quel bambino. E forse pure per

                   questi altri due. (Prende la cesta) Prospero, ce ne possiamo andare a testa alta!

                   I due si avviano a sinistra, letteralmente a testa alta. Ma si bloccano davanti ad

                   Erode che li osserva con le mani sui fianchi.

Erode:       Sfruttamento della prostituzione, rapimento di bambini e conseguente loro

                   vendita al mercato nero. Vent’anni non ve li leva nessuno!

Prospero: Scusate, ma ce l’avete con noi?

Isaia:         (Lo prende come scherzo) Ah, ho capito, si è offeso per quel fatto del funerale!

Erode:      (Casca dalle nuvole) Quale fatto del funerale, scusate?

Prospero: (Lo prende come scherzo e parla ad Isaia) Uh, non lo sa ancora. Ma tanto, si è

                   trattato di un equivoco.

Isaia:         E va bene, prendetela come uno scherzo, caro dottor Erode Panico.

Erode:       (Tira fuori il distintivo di polizia e glielo mostra) Prego, ispettore di polizia!

Prospero: (Se la ride, parlando con Isaia) Avete visto? Ci sta facendo uno scherzo!

Isaia:         Allora, tutto è bene quel che finisce bene!

Erode:       Voi dite? (Fruga nella cesta e trova i due bambini) Ah, ecco qua la prova del

                   reato. E ci sta pure una lettera. (La prende)

Isaia:         Bravo, leggete, leggete. E’ una lettera commovente ad una donna. Gli abbiamo

                   dato dei soldi. Siete fiero di noi?

Erode:       (Legge la lettera ad alta voce)“Cara mign… cara batton… cara malafemm…

                   cara prosty. Noi abbiamo capito tutto. Noi chi? Io e voi. E pertanto, abbiamo

                   deciso di regalarvi un’offerta, un obolo, una paghetta. Vogliate accettarla, voi e i

                   vostri bambini, così la smettete di abbandonarli dove vi trovate, vi trovate.

                   (Osserva Prospero ed Isaia, poi continua a leggere) Etciù! ‘E che fetente ‘e

                   catarro.Cara signorina, i vostri tre bimbi sono meravigliosi, soprattutto quello

                   che fa le puzzette! Per cui, non li abbandonate. Anzi, usate i nostri 500 Euro per

                   farli crescere sani e forti! Firmato, due amici che non conoscete”. Bene, l’avete

                   scritta con parole in codice!

Isaia:         Vi siete commosso?

Erode:       (Ironico) Comme! Guardate comme sto’ chiagnenno! (Si volta verso sinistra) Di

                   Martino, carica pure a questi due signori sul cellulare!

Isaia:         (Lo prende per scherzo e se la ride) Ahahahahah! ‘O cellulare!

Prospero: (Lo prende per scherzo e se la ride) Ahahahahah! E’ troppa bella ‘sta battuta!

Isaia:         Dottor Panico, ce state facénno fa’ ‘na marea ‘e risate!

Prospero: Cocche vvota amma organizzà ‘na birra ‘o bar. Anze, no, ce ne jamme ‘a casa

                   mia. Accussì chiammame pure a doje piccerelle e ce divertimmo ‘nu poco!

Isaia:         Ovviamente, pagate voi.

Prospero: Io? No, paga il dottor Panico!

Erode:       (Sdegnato) Jate, jate. L’agente Di Martino vi sta aspettando. (Parla a sinistra)

                   Di Martì, acchiappe a ‘sti duje. Spicialmente a chisto cu’ ‘a cesta ‘nmana!

Prospero: (Scherzoso) Néh, Di Martì, nuje stamme venenno!

I due:        (Ridendo) Ahahahahah!

                   Escono a sinistra ridendo.

Erode:       Ma chiste so’ scieme? Ma se penzàssene overamente che stongo pazzianno? In

                   ogni caso, quel che è fatto, è fatto. Il cellulare è pieno.

                   Si sposta un po’ a sinistra e parla a Di Martino.

                   Di Martì, puo’ chiudere ‘o cellulare. Bravo, accussì!

                   Nel frattempo, da destra, giunge Mena. Osserva Erode, il quale non nota la

                   donna e torna al centro, per telefonare col suo cellulare.

                   Signor questore, sono Erode Panico.

                   Cosicché Mena tira fuori un metro per sarti e gli si avvicina, misurandolo.

                   Tutto a posto, missione compiuta! Ora posso tornare in commissariato. Sì, non

                   vi preoccupate, passando dal salumiere vi compro un etto di prosciutto e un

                   chilo di pane. Sì, sì, pure il latte. Arrivederci, arrivederci.

             Mette via il cellulare e nel frattempo osserva interdetto Mena.

Mena:  Sì, è proprio isso!

Erode: Scusate, ma chi siete?

Mena:  Permettete? Mena Gramo.Sono un’impresaria funebre.

Erode: Lo so, già vi ho conosciuto. Embé, e che vvulìte ‘a me?

Mena:  Vi devo portare via. Voi siete morto!

Erode: Io? A chi?

Mena:  Scusate, ma voi siete il pediatra, dottor Erode Panico?

Erode: No, io sono l’ispettore di polizia Erode Panico.

Mena:  E non vuol dire niente, sempre Erode Panico siete! Per cui venite, la bara vi sta

             aspettando!

Erode: Ma che cosa? Io so’ vivo!

Mena:  A me risultate morto!

Erode: (Va nel panico) Mamma mia! (Chiama a sinistra) Di Martì, arape ‘n’ata vota ‘o

             cellulare. Ce stongo pur’iiiiiooooo!

             Erode fugge via a sinistra.

Mena:  Néh, uhé!

             Lo insegue.

FINE DELLA COMMEDIA