Passabò vita perduta

Stampa questo copione

Passabò vita perduta

Commedia in tre atti di Gherardo Gherardi

Dedicata a RUGGERO RUGGIERI grande attore, fi ranch amico, devotamente. G.G.

PERSONAGGI

PASSABO’                                       anni 60

DIEGO MASTRANGI                      anni 35

GIOVANNI ARDEA                        anni 25

Il cavaliere MARCO SERVI            anni 50

Il commendatore LEONE ROSTI    anni 55

Il barone DARTURO                        anni 45

BALDASSARRE PARVOCAPO     anni 50

ZANNONI                                        anni 40

CERETTI                                          anni 35

PAOLA                                             anni 25

Baronessa JOLE DARTURO           anni 25

DELIA DARTURO                           anni 25

SARA                                               anni 25

MARIOLINA                                    anni 25

BERTA                                             anni 50

Camerieri in giubba bianca

Signori in tight

L’azione avviene in una città di provincia.

Tempo moderno.

ATTO PRIMO

 La scena rappresenta l'ufficio di segreteria Ovest, L'ambiente è elegante e sobrio. Vi sono tre scrivanie: una a destra, molto am­pia, per il segretario generale (che e il Ca­valiere Marco Servi), una al fondo, meno grande, a un lato della porta comune, per un giovane impiegato (Giovanni Ardea), una a sinistra, riparata da un piccolo para­vento di legno infisso al muro, per Passabò. Su questa assicella di legno i maligni scri­vono degli scherzi di cattivo genere all'in­dirizzo di Passabò. Dietro il paraventino di legno un'altra porta che dà agli uffici della Direzione generale. Scaffali qua e là con carte e libri. Alle pareti, dei manifesti puf blicitari a colori della casa editrice. Sulla scrivania di destra telefono. (Destra e sinistra dello spettatore).

Quando si alza la tela intorno alla scrivania di Marco sono alcune persone che ricevono ordini: Zannoni, Ceretti, Diego Mastrangi e la dattilografa Marzolina. Giovanni lavora seduto alla scrivania. La scrivania di sinistra è vuota. Sull'assicella-paravento si leggono scritte in grande, col gesso, queste parole: « Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa ».

Zannoni                  - Senta, signor segretario generale, non faccio per dire ma sono venticinque anni che lavoro in tipografìa....

Marco                     - Calma, Zannoni, calma... Non per­diamo la testa. Sono persuaso quanto lei che il mondo non va come dovrebbe an­dare e nemmeno la nostra casa editrice. Ecco. Attraversiamo un brutto momento. Lo sanno tutti del resto...

Zannoni                  - Insomma. Ceretti, parla tu. Ho ragione o non ho ragione? Io non so niente dei loro affari...

Marco                     - Ma sono affari di tutti...

Zannoni                  - Voglio dire che se si vuole man­tenere il solito ritmo di lavorazione bisogna continuare a fare i soliti straor­dinari.. a meno che lei non voglia assu­mere degli operai di più e fare dei turni anche di notte...

Marco                     - Alt, alt, alt!.... Ecco la fantasia che galoppa... Io dico di ridurre le spese e lui vuole fare dei turni anche di notte...

Diego                     - ( che aspettava con mal celata impa­zienza) Be', dico, cavaliere, devo re­stare qui molto tempo ancora?...

 

Marco                     - Un momento, caro Mastrangi. Vede bene che debbo fare intendere la ragione a costoro...

Diego                     - ( che si era allontanato per far moine a Mariolina) Bravo... Non ne hanno colpa gli operai se il direttore non è al­l'altezza del momento...

Marco                     - Lei non è autorizzato ad esprime­re i suoi giudizi... Continui a dare i pizzicotti alla guancetta della dattilografa e stia zitto... Non è autorizzato nemme­no a questo, almeno qui dentro, ma pa­zienza...

Mariolina                - Ma, cavaliere, che c'entro io?... Non mi lascia in pace un momento...

Diego                     - Sta zitta, che ti piace.

Marco                     - ( ai tipografi) Dunque torniamo a noi... Io vi ripeto che i momenti sono tristi e che non mi stupirci, dico non mi stupirei, se di qui a una settimana la casa editrice Ovest fosse soltanto un glorioso ricordo...

Diego                     - ( ridendo) E questi sono i bei risul tati ai quali si arriva con certi criteri... Ma mi lasci dire... Anch'io sono un im­piegato della casa e avrò bene il diritto di lamentarmi quando vedo che il pane se ne va all'aria... per me e per dei valo­rosi operai...

Ceretti                    - Grazie..,

Diego                     - Se tossi direttore io...

Baldassarre            - ( entrando) Buon giorno ami­ci, buon giorno...

Zannoni                  - Oh, maestro, come sta?...

Baldassarre            - Grazie, bene.

Marco                     - Sempre bello... Giovanile...

Baldassarre            - Giovanile? (mostrando la ca­nizie) Guardate come nevica...

Giovanni                - ( saltando in piedi all'improvviso) Nevica? Ha detto che nevica?

Baldassarre            - Sì... sulla mia testa... Sempre più bianca...

Giovanni                - ( si siede mortificato) Ah...

Baldassarre            - Perché? Lei ha bisogno che nevichi?

Giovanni                - No, no... Ma sono due settima­ne che devo rinunciare agli sci e speravo proprio... Il barometro mi aveva fatto l'occhietto stamattina...

Diego                     - Bei gusti. Sci... neve... palloni... Eh... Ma un buon libro... Un buon romanzo... Un po' di nutrimento dello spi­rito, della fantasia, mai, vero? Mai...

Giovanni                - Eh... Ognuno prende la fanta sia dove la trova...

Baldassarre            - Come sarebbe a dire? Che nei miei romanzi non c'è fantasia?

Ceretti                    - No.

Zannoni                  - Ma, dico... Ceretti?

Ceretti                    - L'ultimo romanzo del maestro, proprio, a me, non mi è piaciuto.

Diego                     - Be', visto che perdiamo tempo in passatempi estetici... tornerò più tardi.

Marco                     - No... Eccomi a lei... Una cosa alla volta. Scusi, maestro, se mi libero delle piccole cose quotidiane... (Mostra a Diego dei foglietti) Questi foglietti pubblicitari non vanno dove li ha messi lei... Io non so che concetto lei abbia della diffusione di un libro. Questo foglietto decanta i pregi di una pubblicazione di medicina legale. Io non so come si possa pensare di collocarlo dentro un volume per le massaie intitolato: « Modo di condurre una casa senza la donna di servizio». Lei si immagina che la massaia leggendo questo foglietto comprerà un libro di me­dicina legale? Per che farne?

Giovanni                - Per ammazzare la donna di servìzio se ce l'ha...

Marzolina               - Ah, ah... Che matto!...

Diego                     - Senta, cavaliere, prima di tutto lei non sa se sono stato io o no...

Marco                     - Ma lei non vuole essere chiamato il- capo dell'ufficio diffusione e pubbli­cità? E allora?

Diego                     - La pubblicità è il regno del caso!...

Marco                     - Ma che caso!

Diego                     - Del resto, se non ho fatto troppa attenzione alla cosa la colpa è anche del­l'andamento generale. Non si può lavo­rare con calma quando si vede che tutto va a rovescio, con dei criteri assurdi. Ora, se tutto va a rovescio, vorrei sapere per­ché proprio il mio servizio deve andar bene...

Marco                     - Ma bravo! Bella trovata!

Passabò                  - ( entra in /retta senza guardare in faccia nessuno, cerca qua e là e poi, ve­dendo i foglietti in mano a Mastrangi, lì prende e, mostrandoli al segretario, gii indica qualche cosa, senza parlare).

Ceretti                    - Cosa c'è, un refuso? Questo qui troverebbe degli errori di stampa perfino sulla carta da parati.

Marco                     - ( che ha esaminato il foglio) Ah... già... Oh... (Legge; tutti si chinano die­tro le sue spalle per vedere) « È un libro necessario allo studioso della criminalità, che dopo il fallimento della scuola posi­tiva, esige il lume di nuovi indirizzi »... Già... (Poi confessando di non avere ca­pito niente) Be', che c'è?

Passabò                  - Chi esige? Lo studioso o la cri­minalità...

Diego                     - A te che te ne importa?... (Risate).

Passabò                  - A me, proprio niente... Era per la grammatica...

Diego                     - Ma... la criminalità esige... Natu­rale...

Passabò                  - Allora, prima di tutto, la quale. E poi la criminalità non esige proprio nien­te... esige di commettere dei crimini...

Diego                     - Ma fai piacere!...

Baldassarre            - Ma sapete che questo Passa­bò mi sorprende?... Stilista, tu? Vecchio mio? (Ride) Sono venti anni che ci co­nosciamo e non me ne ero mai accorto.

Diego                     - Questo si chiama cercare il pelo nell'uovo.

Marco                     - ( alla dattilografa) Signorina... a lei. (Le dà delle carte) Faccia subito...

Mariolina                - Ora gli viene la fretta... (Via).

Baldassarre            - ( a Marco) Vogliamo parlare un poco delle nostre cosucce?

Passabò                  - ( indicando le parole scritte col ges­so) Chi ha scritto qui?...

Ceretti                    - ( corre a leggere) Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crcpa...

Diego                     - Ma sarà stato un ragazzo di tipo­grafìa... Al solito...

Passabò                  - ( cancellando) Maleducati!...

Ceretti                    - (ridendo) È difficile da dire, eh Passabò? (Passabò non gli risponde) .

Giovanni                - Se pesco qualcuno a scrivere an­cora su quel legno gli insegno a firmare...

Passabò                  - Grazie... Ma non importa... Una volta o l'altra tutti arrivano al loro scioglilingua... (Tutti ridono).

Ceretti                    - ( a Passabò) Guardi me? Che c'entro io?...

Cannoni                  - Be', sarà meglio che ti porti via... Andiamo...

Marco                     - ( a Zannoni) E mi raccomando...

Ceretti                    - Ma che cosa? Le macchine sono macchine... E poi se si deve fallire... è lo stesso. (È spinto fuori da Zannoni).

Marco                     - ( a Baldassarre) Ora vado a vedere se è arrivato il direttore...

Diego                     - Ma sì che è arrivato... Non avete sentito la sua soffiata di naso?...

Marco                     - Passabò.... Hai fatto quei pro­spetti?

Passabò                  - ( li mostra alzandoli con due dita).

Baldassarre            - ( avvicinandosi a Marco) Dun­que...

Marco                     - Eh... andiamo male, veramente... Il romanzo non va, non va. La nostra signorina Paola è appunto in viaggio e ci scrisse anche ieri da Firenze. Niente da fare. (Un suono di campanello) Ecco il direttore che chiama. Venga, venga... (Via).

Diego                     - ( avvicinandosi a Passabò) Dico, Passabò... Mi meraviglio molto che tu osi fare delle critiche. La cosa potrebbe anche essere comica se io in questo mo­menti avessi voglia di ridere... Ti avverto però che non sono disposto a tollerare che chicchessia si metta sulla mia strada!

Giovanni                - Oh... Esagerato!

Diego                     - Tu stai zitto.

Giovanni                - Te la pigli con Passabò perché non ti sa rispondere...

Passabò                  - E poi, che cosa ho detto? Ho det­to la quale...

Diego                     - Va bene.... Una cosa da nulla. Ma intanto, riferita al direttore diventa gra­ve. Oh, mi pare già di sentirli quei due caproni che ridono.

Giovanni                - E che te n'importa, dal momen­to che non godono la tua stima?

Diego                     - Ma comandano loro... Non so fino a quando...

Marco                     - ( entra) Passabò... Ti vuole il di­rettore.

Passabò                  - ( con spavento) Me?

Marco                     - Ma che c'è? Ti vuole il direttore. Non spara mica.

Passabò                  - Ma... non capita mai... Che cosa vuole?

Marco                     - Vuole dei chiarimenti sul tuo si­stema di fare i prospcttini...

DlEOO                  - Già... Spera che i bollettini di ven dita possano cambiare... Ah...

Marco                     - Lei mi fa ridere... (A Passabò) Hai finito i tuoi preparativi? Andiamo. (Pas­sabò e Marco escono).

Giovanni                - ( a Diego) Quando maltratti quel disgraziato, ti dico la verità, Uri gli schiaffi.

Diego                     - Ma stia al suo posto! Chi è? Nessuno. E allora...

Giovanni                - Ma che aveva fatto? Ti aveva dato un semplice consiglio grammati cale...

Diego                     - In una casa editrice non si devono dare consigli grammaticali a nessuno. E poi ci sono dei momenti delicati nei quali anche la cosa più insignificante acquista una importanza.

Giovanni                 - Eh, come la vedi complicala, la vita.

Diego                     - Certo, per te è più semplice: una continua aspirazione alla domenica.

Giovanni                - Sciare mi diverte.

Diego                     - Ma c'è altro... C'è la posizione, la carriera...

Giovanni                 - Oh... Non ti preoccupare. Se sei qualcuno... non aver paura. Ognuno ha il suo.

Diego                     - Senti questa! Come se non vi fosse della gente che non merita nulla e che...

Giovanni                - Eh, aspetta... Quella gente finisce male.

Diego                     - Ma qui, lo capisci o non lo capisci che attraversiamo un momento delicato? Lo capisci o non lo capisci, che avremo dei padroni nuovi forse prima ancora di quello che tu non pensi?

Giovanni                - E con questo?

Diego                     - Con questo... Chissà? Potrebbe darsi che io avessi delle buone relazioni nel nuovo ambiente...

Giovanni                - Tu?

Diego                     - Eh... Accadono delle cose stranissi­me. Una sera vado al tè del Grand Hotel e mi capita di conoscere una signorina. Una signorina qualunque. Bellina, così... insomma non c'era male. Si balla, si chiacchiera... naturalmente tu capisci che dopo dieci minuti questa ragazza...

Giovanni                - Eh... Innamoratissima!

Diego                     - Non dico innamorata, ma insomma» sai... Oh, la cosa non mi fa nessuna impressione, intendiamoci... Be', per far­la corta ci si vede di qua e di là.... Nien­te di concreto. Così, tenerezze... Vuoi ri­dere? È la nipote del probabile nuovo proprietario...

Giovanni                - Per bacco! Bravo! Hai pescato la carta della fortuna.

Diego                     - Ho questa impressione.

Giovanni                - Ma ti senti capace di dirigere la casa?

Diego                     - E che ci vuole? E poi si tratterà di farci un po' di pratica. No? Tutto sta a sapere scegliersi bene i collaboratori. Vedir Tu potresti anche restare, ma Marco Servi, via, Passabò, via!

Giovanni                - No, poveraccio.

Diego                     - Ma che ti credi, che la casa debba continuare ad essere un istituto di bene­ficenza? Via! Via!...

Giovanni                - Ma che vuoi che faccia poi?

Diego                     - Questo è affare suo.

Giovanni                - Ma per un riguardo a sua figlia che è una colonna... Non vorrai dire che Paola non sia una brava ragazza...

Diego                     - ( pensieroso) Già.... È vero. C'è Paola. Ma... anche questo è un affare che bisognerà vedere.

Giovanni                - Che cosa?

Diego                     - Niente. Oh, non far chiacchiere con nessuno, sai? Perché non sono sicu­rissimo proprio. Orto quella ragazza l'ho qui (stringe il pugno).

Paola                      - (vestita elegantemente da viaggio, en­tra, depone una borsa da avvocato sulla tavola di Marco; si leva il pastrano che Giovanni accorre gentilmente a portar via, rientrando subito in scena) Buon giorno, ragazzi. (Accende una sigaretta e si siede) Oh... Non ne posso più di treni...

Giovanni                - È arrivata adesso?...

Paola                      - Sì. Come sta mio padre?

Giovanni                - Benissimo. È dal direttore...

Paola                      - Dal direttore? Perche?

Giovanni                - Niente. Ufficio.

Diego                     - A rivederci. (Prende delle carte ed esce).

Paola                      - (lo segue con lo sguardo) Che ha?...

Giovanni                - Ma, non so...

Paola                      - (fa per alzarsi).

Giovanni                - Dove va?

Paola                      - Eh, devo andare in amministrazio­ne a rendere i conti... piccoli, ma in­somma...

Giovanni                - Ma aspetti un momento... Si ri­posi... Potrei avere qualche novità da raccontarle.

Paola                      - SlruiovANM (come se raccontasse una buona notizia aesunata a suscitare una gioia in­tensa in chi l apprende) La noòira ditta fallisce.

Paola                      - Ah... Bene. Una bella notizia... E me la dice così?

Giovanni                - òa, io, pur che accada qualche cosa di nuovo... iVia poi non no fallito. La ditta risorge... ÌNuovi capitali, nuovi uo­mini... Mastrangi divencera lui direttore generale...

Paola                      - Mastrangi? Ma chi l'ha detto?

Giovanni                - Lui.

Paola                      - Ah... E molto, ma non abbastanza torse...

Giovanni                - È sicuro. Ha pescato la carta delia fortuna... che sarebbe come dire ia matta.

Paola                      - La matta? Una donna?...

Giovanni                - Eh... Chi sa? Ma io credo che andremo a hnire male tutti quanti.

Paola                      - Perché?

Giovanni                - Mastrangi che ne sa?

Paola                      - (vivacissima) Oh, quanto a questol (Sì calma all'improvviso) Gli uomini si rivelano nelle occasioni...

Giovanni                - ( galante) E le donne, quando si rivelano?

Paola                      - Non ricominciamo, eh?...

Giovanni                - Che cosa?

Paola                      - A farmi l'asino.... Gliel'ho detto un'altra volta che non mi piace... Lei è troppo giovane, per una donna come me.

Giovanni                - Eh... la vecchiaccia! Avrà tren-t'anni...

Paola                      - Asinol Ventisette.

Giovanni                - Be'... Io ne ho venticinque...

Paola                      - Ma tra un uomo di venticinque e una donna di ventisette c'è una genera­zione di differenza... Vale a dire tutta una mentalità.

Giovanni                - Può darsi, ma se cerchiamo di afhatarci...

Paola                      - Già, non ho altro da fare.

Giovanni                - Perché? É innamorata? No, dunque...

Paola                      - E che ne sa lei?

Giovanni                - Si vede. Io le donne le capisco a volo. Lei non è innamorata di nessuno.

Paola                      - E allora?

Giovanni                - Allora se lei mi permette le fac­cio vedere come si fa a innamorarsi...

Paola                      - Ma io non mi presto ai suoi espe­rimenti spiritici...

Giovanni                - ( senza badarle) Incominciamo con la letteratura. Io le ho scritto una lettera... No, no, non è ancora una lettera d'amore... Io procedo per gradi. La in­vito domenica prossima a sciare con me­lo ho una grande fiducia negli sci... Pren­da questa lettera e...

Paola                      - Ma io non la voglio... Si figuri se proprio io, viaggiatrice e piazziste di pro­sa d'ogni genere, posso trovare qualche divertimento nelle letture amene.

Giovanni                - Ma questa non è amena...

Marco                     - ( comparendo) Giovanni, dal diret­tore... (Esce).

Giovanni                - ( a Paola) Be', gliela darò oggi. (Esce).

Paola                      - (suona un campanello).

Mariolina                - Chi vuole?

Paola                      - Dica a Mastrangi che il direttore lo aspetta...

Mariolina                - Mi ha portato i coralli da Na­poli?

Paola                      - SI. Una magnifica collana. Li ho nella valigia.

 Mariolina               - Grazie. (Esce).

Paola                      - (resta un momento sola e ne profitta per ravviarsi i capelli e ritoccarsi le labbra).

Diego                     - ( entra e si dirige in fretta verso l'u­scio della Direzione).

Paola                      - (gli sbarra comicamente il passo) -Alt!

Diego                     - Mi chiama il direttore...

Paola                      - Ma no! Sono stata io. Non volevo venire dì là davanti a tutta quella gente...

Diego                     - (preoccupato) Perché? Che c'è?

Paola                      - Niente, volevo salutarti...

Diego                     - Ah... Come stai?

Paola                      - (cerca di abbracciarlo, ma un moto prudenziale di Diego la trattiene) Non hai trovato nemmeno un minuto per scrivermi una riga.

Diego                     - Ma dove?

Paola                      - Sapevi il mio viaggio: a Napoli, a Roma, a Firenze... Nemmeno una parola...

Diego                     - Hai ragione, cara... Ma se sapessi...

Paola                      - So, so... Per questo ti perdono...

Diego                     - Che cosa sai?

Paola                      - La voce che corre... Diego Mastran­gi direttore gen...

Diego                     - ( interrompendola) Taci. Ma chi ti ha detto?...

Paola                      - Ti dispiace che io sappia?

Diego                     - No, ma trattandosi di cose così vaghe...

Paola                      - Sia pure, ma a me piacciono tanto lo stesso... Ah, come sarei contenta!

Diego                     - Davvero?

Paola                      - E ne puoi dubitare?

Diego                     - Ma non pensi come cambierebbe la nostra vita? Eh, cara, impegni, respon­sabilità... Addio convegni segreti! Quan­do si diventa importanti, tutti ti corrono dietro e la intimità svanisce... No, no, guarda, per me, egoisticamente, figura­ti... Sarei più che contento di prendere il mio posto al sole, ma per il mio amore, per te...

Paola                      - Ma che dici?

Diego                     - Paola, sei sicura di me?

Paola                      - Del tuo amore? Certo. Per quanto... Ma non ci voglio pensare...

Diego                     - Che cosa? Ti hanno detto qualche cosa di spiacevole nei miei riguardi?...

Paola                      - No, ma lasciamo andare. Io ti amo tanto, non amo che te...

Diego                     - ( sinceramente, con accoramento) -Anch'io, Paola... Io non so quello che ac­cadrà, ma vorrei che tu fossi ben certa del mio cuore... Vorrei che tu tenessi a mente queste mie parole... Ho tanto aspettato la mia ora... E adesso che forse spunta, ne ho paura...

Paola                      - Perché?

Diego                     - Per il troppo che mi costerà...

Paola                      - (impressionata, ferita) Ma perché dici queste cose? Che cosa hai?...

Diego                     - Ho che... (Con voce rotta) Vorrei piangere con te... Ecco... (Più fermo) So­no turbato, nervoso... Ma giurami che mi vorrai sempre bene e che saprai com­prendermi...

Paola                      - Non ho bisogno di giurarti il bene che è tuo per sempre... Ma tu potresti dire altrettanto?...

Diego                     - Senti, Paola, qualunque cosa acca­da, io amo te... Non amerò che te, sempre te... Ti avrei anche sposata tre mesi a se non era perché non volevi abban­donare tuo padre... Insomma, io so quel che mi hai dato, la tua giovinezza, il tuo avvenire... tutto... Ebbene, vorrei che tu fossi certa che io non dimenticherò mai tutto ciò... Mai...

Paola                      - Ma, Diego... Tu parli come uno che sta per attraversare l'oceano... Come uno che sta per sottoporsi a una opera­zione pericolosa... Ma che cosa c'è? Per­ché fai questo testamento morale?

Diego                     - Non è un testamento morale. No. Ma sai, una possibilità come questa che mi si offre ora, ha la sua importanza per me... Non sono più giovane... sai... A trentacinque anni le carte del giuoco restano poche e se non si giuocano quelle...

Paola                      - Ma giuocale, caro... Devi giuocarle...

Diego                     - Senti, Paola... Parliamo seriamen­te... Cuore a cuore...

Paola                      - (turbata) Aspetta... (Pausa) Davve­ro mi ami?... Me sola? Me sola? Me sola?

Diego                     - Te sola... Come te Io devo dire?... Per questo vorrei dirti tutto, tutto...

Paola                      - No... Basta. Se si trattava di ruba­re un bacio di sfuggita, così... allora an­dava bene anche qui... Ma se si deve ra­gionare seriamente, questa non è la sede adatta. Telefonami stasera. Faremo due passi. Ragioneremo... Può darsi che si rie­sca a semplificare il problema. Ma qui no. Ciao. (Non riesce a uscire perché Giovanni e Baldassarre rientrano e la chiamano).

Baldassarre            - Oh, la nostra signorina... la nostra sentinella avanzata...

Paola                      - (ride) Di un esercito in ritirata... Eh, caro maestro, andiamo male...

Baldassarre            - Ma santo cielo, io credo che sia anche questo pessimismo che porta sfortuna... Diciamo, che va bene... benis­simo...

Paola                      - L'ottimismo è fecondo in tutto e sempre tranne che sul terreno estetico. Quando un romanzo è brutto, è brutto. Parlo in generale.

Baldassarre            - Be'... Io ho tante cose da fa­re... Spero di rivederla presto.

Giovanni                - Ailora, maestro, che decide?

Baldassarre            - Eh... Idee pazze, caro figliolo, idee pazze... Comunque, chi sa... La guerra è guerra... (Esce).

Paola                      - Perché?

Giovanni                - Il direttore gli ha detto che non pubblicherà il suo ultimo romanzo se non si iscriverà alla corsa delle mille miglia.

Paola                      - (ridendo) Eh... è un'idea.

Giovanni                - Mia.

Paola                      - O vince, ed è un successo, o arriva ultimo, ed è un successo.

Giovanni                - O si fracassa la testa contro un paracarro ed è una festa nazionale... Non c'è più posto al mondo per i secondi, i terzi, i quarti!

Paola                      - Oh, ecco mio padre... Giovanni, dica al ragioniere che vado subito, per favore. (Giovanni esce).

Passabò                  - ( entra, confuso, rosso, congestiona­to come chi esce da un luogo molto cal­do: non vede quasi sua figlia. Siede alla sua scrivania).

Paola                      - Papà! Che hai?

Passabò                  - Ah... Paola, sei tu?

Paola                      - Che ti è accaduto? Sei agitato, ner­voso?

Passabò                  - Agitato? Nervoso? No... Sono stato ricevuto dal direttore.

Paola                      - È questo che ti commuove tanto?

Passabò                  - Eh. Non era mai accaduto.

Paola                      - E che voleva il direttore?

Passabò                  - Niente, naturalmente. Ma è stata una emozione.

Paola                      - (accarezzandolo) Caro... Si esce in­sieme oggi?

Passabò                  - Sì. Magari.

Paola                      - Si fan due passi, si va a prendere un aperitivo da Latour...

Passabò                  - Sì, sì... Mi piace di Ianni vedere con la mia bambina... L'aperitivo mi fa girare terribilmente la testa e mi toglie l'appetito, ma oggi è la giornata delle grandi emozioni... (Fa una carezza a Paola).

Paola                      - Vado in amministrazione un mo­mento... Intanto chiudi...

Passabò                  - Ma manca mezz'ora... Dimmi... (La prende per il braccio e la guarda) Che hai?

Paola                      - Io? Perché?

Passabò                  - Non mi sembri allegra come sempre.

Paola                      - Sarò un po' stanca.

Passabò                  - Malata?

Paola                      - Ho detto stanca... Sai, sono appena arrivata dal treno.

Passabò                  - Ma, non so... Vedo una nube nei tuoi cari occhi chiari... (Stenta terribil­mente a dire questa frase e non ci riesce).

Paola                      - (aiutandolo) Cari occhi chiari...

Passabò                  - Ecco.

Paola                      - Ma perché vai a cercare delle parole così difficili? Chi ci riesce a dire i tuoi cari occhi chiari?... (Sbaglia a posta).

Passabò                  - Scegliere le parole facili è una vigliaccheria...

Giovanni                - Il ragioniere aspetta... Passabò... Ha visto che è tornata la nostra Paola?

Paola                      - Nostra poi...

Giovanni                 - Nostra, della ditta...

Paola                      - Ah... Be', lasciamo andare. (Esce).

Giovanni                - Mi pare un po' pallida, la signo-

rina, no

Passabò                  - Già... Ha visto?

Giovanni                - Credo che le farebbe bene scia­re... Lei glielo dovrebbe dire: «vai con Giovanni domenica a sciare » eh?

Passabò                  - E io?

Giovanni                - Perché?

Passabò                  - Come faccio la domenica, senza Paola, dato che non posso sciare?

Giovanni                - Scusi, non ci avevo pensalo... Povero Passabò...

Passabò                   - Come sarebbe?

Giovanni                - Eh.... Se non può sciare...

Passabò                  - ( andandogli vicino) No! Lei pen­sava: come fa a vìvere un uomo come Passabò?...

Giovanni                - Ma no... Creda!

Passabò                  - Come fa a vivere?... Trentacin­que anni in quella sedia a fare prontuari numerici... Niente affatto. Io vivo benis­simo. Vorrei che tutti lo sapessero. Prima di tutto il mio lavoro è importantissimo.

Giovanni                - ( condiscendente) Ma si capisce!

Passabò                  - No, lei dice così, ma non ci crede. Importantissimo. Sa perché? Perché qua! cuno deve farlo. Quando un lavoro qua! cuno deve farlo, eh allora, caro mio... chiunque lo fa è un signore...

Giovanni                - Giusto.

Passabò                  - Come farebbe la casa editrice Ovest senza di me o senza un fantasma come me, seduto a quel tavolino? Un prospetto di lavorazione ci vuole, coi suoi numerini rossi e i suoi numerini neri... un catalogo aggiornato ci vuole... uno schedario in regola ci vuole... eh, eh... ca-" ro mio! Senza queste piccole cose... Buo­na notte... Dunque, primo, lavoro importantissimo. Secondo. Paola...

Giovanni                - Ah... quando un uomo ha una figlia così...

Passabò                  - Non è mia figlia...

Giovanni                - No...

Passabò                  - Non è un segreto. Lei non lo sa perché è qui da poco tempo. Del resto ci voleva poco a capirlo...

Giovanni                - Perché?

Passabò                  - Io una figlia? Ma per avere una figlia, ci vuole una madre.

Giovanni                - Di solito.

Passabò                  - Oh.... Una madre per una figlia io dove la trovo? Non parlo di adesso che sono vecchio, ma anche quando ero giovane...

Giovanni                - Be', da giovane magari...

Passabò                  - No, lasci andare. Quando uno non può parlare è come nel deserto: chi ti guarda? No, no... Paola è come mia figlia ma non è mia figlia. È l'orfana di un mio fratello... Tuttavia è come se... (Pare che stia iniziando un inno di glo ria, ma è interrotto).

Marco                     - ( entra, battendo le mani) Via, via... lavorare, lavorare... Perché fa delle chiac­chiere, lei? Ma guarda un po'... Invec­chiando lei si guasta, sa? Eh, sì... prende amore alla parola. Lasci andare. Faccia come ha sempre fatto... Si mette lì... fa il suo lavoro... e silenzio... tanto più che i momenti sono critici...

Giovanni                - C'è qualche cosa di nuovo?

Marco                     - Grandi cose. Ma adesso non posso dire altro... Quando sarà il momento an­che il personale sarà informato...

Giovanni                - Ho sentito dire...

Marco                     - Lei non deve mai sentire dire niente. Andiamo. Per vostra norma c'è di là della gente che è bene vi veda al la­voro. Badate, vengono... (Tutti e tre si chinano sulle carte). (Entrano il barone Darturo, Leone Ro-sti, direttore generale della casa editrice, la signora Jole Darturo e la nipote Delia).

Leone                     - Prego, prego, barone... si acco­modi. Questa è la segreteria...

Darturo                  - (facendo sedere con gesto autore­vole i tre che si sono alzati) Prego... prego, non si disturbino... (Giovanni e Passabò fingono di rimetter­si a lavorare, mentre Marco sì avvicina al gruppo, cerimoniosamente).

Leone                     - Questo è il nostro segretario. (Mar co si inchina profondamente).

Darturo                  - Da molti anni qui?...

Marco                     - Da sedici anni, barone... Ho fatto qui tutta la carriera...

Darturo                   - Bene, bene... Mi compiaccio...

Jole                         - (prendendo un libro da una scansia) -Edizioni rare, queste?

Marco                     - Per ora no... Diventeranno...

Jole                         - Lei le tiene qui in incubazione... è un'idea.

Delia                      - Quante copie si stampano di una edizione rara?

Jole                         - Ma, cara, come sei sciocca!

Leone                     - (presentando Giovanni) Un giova­ne addetto alla segreteria.

Giovanni                - (si alza).

Darturo                  - Molto giovane... che età?

Giovanni                - Venticinque.

Darturo                  - Siediti, caro... Venticinque! (Vol­gendosi a Leone) Lo dice così, come se niente fosse... Gli pare una cosa natura­le.... Venticinque!...

Leone                     - La giovinezza non è degli anni, barone.

 Darturo                 - Per carità... Lasci andare. Il vo­cabolario sarà crudele, ma bisogna che lo affrontiamo serenamente. Di qua dove si va?

Leone                     - Al magazzino. Vuole ?

Darturo                  - Andiamo. (Esce con Leone, se­guito da Marco).

Delia                      - Dove vanno?

Jole                         - Al magazzino. Lasciali andare, fi meglio che li aspettiamo qui. Ho sempre avuto orrore dei magazzini. (Si guarda intorno con l'occhialetto) Tutta quella roba in ordine... funebre... triste...

Giovanni                - ( si alza per offrire una sedia alla signora e alla signorina).

Jole                         - Per me no. Io non mi siedo quasi mai... O dormo o sto in piedi. La mia geometria è semplice, lineare... (Rideda sé).

Delia                      - (sedendosi sulla sedia offertale da Giovanni) Grazie.

Jole                         - (che si è avvicinata a Passabò) E lei? Che fa qui?

Passabò                  - ( senza parlare le mostra una carta che Jole esamina).

Delia                      - Zia, lascia andare... Credo che non ci capirai niente.

Iole                         - (a Passabò) Statistica?

Passabò                  - ( fa cenno che sì col capo).

Jole                         - Ma stia seduto. Prego. Lei fa sempre statistica?

Passabò                  - ( fa con la mano un cenno come di­re: così, così).

Giovanni                - ( osservando questa conversazione ride).

Delia                      - (guarda Giovanni e gli chiede, in modo che Passabò non senuì) È muto?

Giovanni                - ( fa cenno di no) Quasi.

Jole                         - Lei è qui da molti anni?

Passabò                  - (non può più esimersi dal parlare e tenta di dire trentacinque) Tren... tren...

Jole                         - (mortificata dello spettacolo che ha su­scitato, si affretta a mettere calmo il di­sgraziato che lotta con le parole) Prego, prego. Ho capito... Trenta....

Passabò                   - Cinque.

Jole                         - Trentacinque... (Viene avanti confu sa) Dovevate dirmelo... Poveretto...

Giovanni                - Non sapevo che la signora...

Delia                      - Non è qui anche Diego Mastrangi?

Giovanni                - Sì, signorina.

Jole                         - (alla nipote) Non puoi aspettare un momento?

Leone                     - (che entra seguendo il barone e se­guito da Marco) Così le spedizioni si avvicendano con regolarità, quasi automa ticamentc. fi stata una mia idea...

Darturo                  - Benissimo. Benissimo... C'è qual­che cosa da rivedere... da ritoccare. Poi al resto penseremo. Vogliamo andare?

Delia                      - Zio, non vuoi salutare Mastrangi?

Darturo                  - (a Leone) Ah.... E Mastrangi come va?

Leone                     - Così, così...

Da rtu ro                         - (in terrò m peri dolo se ver amen te) Potrei vederlo?

Leone                     - Senz'altro. Passabò, volete chiama re Mastrangi?

Passabò                  - ( si alza, fa le sue manovre ed esce).

Darturo                  - Chi è quello lì?

Leone                     - Il decano del personale. Non fa quasi niente. Ma è qui da tanti anni.

Jole                         - E poi sai? È terribile... Io senza sa­per niente gliho rivolto la parola... mam­ma mia...

Delia                      - (ride).

Marco                     - Balbetta eh, già... balbetta.

Dartuuo                  - Ma il suo lavoro quale sarebbe?

Leone                     - Il suo lavoro lo fa. fc uno di quei lavori che consolano gli imbecilli di es­sere nati... Pèrche non li sanno fare che loro... (Entra Mastrangi) (Poco dopo, inosservato, Passabò riprende il suo posto).

Diego                     - Signora... (Si inchina e bacia la mano alla signora, poi si inchina al barone) Signor barone...

Darturo                  - Ecco qua... Come va?

Diego                     - Grazie, barone. Signorina...

Delia                      - Ma lei, dove era rintanato?

Diego                     - Il mio ufficio è di là .

Delia                      - Vederlo...

Diego                     - Oh... Non ne vale la pena.

Darturo                  - Ufficio diffusione, se non erro...

Diego                     - Precisamente.

Jole                         - Ah, è lei allora che diffonde tutto. Bene... Che cosa sta diffondendo adesso?

Leone                     - Il signore diffonde prima di tutto un senso di profonda sfiducia nell'opera del direttore generale...

Diego                     - Ma, che dice, direttore...

Darturo                  - (svagato) Bene, bene... Andiamo a vedere lo stabilimento?

Leone                      - Prego, barone.

Darturo                  - (a Leone) No, lei, no. Ci accom­pagna il segretario... Non voglio che fac­cia tante scale. E poi avrà da fare, no? Non ha da fare?

Leone                      - Come crede.... Fino alla scala.... (Esce con Marco e il barone).

Jole                         - (muovendosi per uscire) Peccato... Mi cominciavo a divertire. (Esce).

Delia                      - Non la rivedo?

Diego                     - ( turbato per l'attacco del direttore) -Ma non ha sentito ?

Delia                      - (ridendo) Ma via... Che importa?... Prima di uscire verrò a salutarla. (Si im­batte sulla porta con Leone, che rientra).

Diego                     - Direttore... chiederei di parlarle cinque minuti.

Leone                     - Lei vuole che le renda ragione del­la frase che ho detto? La ragione è sem­plicissima. Rappresenta la mia opinione. Tanto è vero che avevo chiesto il suo li­cenziamento.

Diego                     - Per questa calunnia?

Leone                     - Non è una calunnia... Sono esatta­mente informato. Ma non si impressioni. La mia proposta non è stata accolta. Lei gode molta simpatia nella casa del ba­rone Darturo.

Diego                     - ( ipocrita) Spero che si convincerà anche lei...

Leone                     - Non so se arriverò in tempo ad avere una crisi di coscienza nei suoi ri­guardi. Comunque eccomi qua pronto ad esperimentare le sue nascoste virtù... C'è un importante incarico, che senz'altro le affido... Ne ho già parlato anche al ba­rone che ne è entusiasta. Anche la signo­rina. È entusiasta. Anche lei ne sarà en­tusiasta.

Diego                     - Dica. -

Leone                     - Il Governo ha richiesto a tutti gli editori il loro punto di vista circa i nuo­vi orientamenti della industria editoriale moderna in rapporto alla diffusione della coltura italiana nel mondo. Io avevo già cominciato a fare questa relazione. Badi che non si tratta di chiacchiere astratte. Si tratta di fatti... E forse anche di affa­ri... Sì, insomma, ho ragione di ritenere che dall'esame di queste relazioni che i diversi editori presenteranno, il Governo si farà un concetto per scegliere la Casa o il gruppo di case a cui affidare l'opera di penetrazione... Lei capisce, tutta l'importanza industriale e morale della co­sa, no?

Diego                     - Perfettamente... Ma io...

Leone                     - Lei prepari una relazione... il giorno della convocazione andrà lei a Roma, parlerà lei, illustrerà lei stesso la sua re­lazione... Se riesce a strappare a tutti i nostri concorrenti questo titolo di onore e questa fonte di attività industriale, ecco, lei si creerà una situazione benemerita e avrà diritto anche di dire che io sono un vecchio inutile... Sì, sì, lo ha detto. Ma, come vede, io rispondo cavallerescamen­te: la metto nelle migliori condizioni per dimostrare a sé e agli altri quello che vale...

Diego                     - Questo è molto... molto intelligente da parte sua. Ma, in sostanza, questa re­lazione... Leone - Non è facile, lo riconosco. Si tratta di esaminare a fondo i problemi della diffusione della coltura, dimostrare cono­scenza dei diversi mercati librari, connet­tere queste informazioni con lo stato eco­nomico generale. Si tratta soprattutto di esporre un piano pratico, a carattere com­merciale, vero e proprio, di penetrazione spirituale... È vero che sotto questo a-spetto oggi siamo particolarmente favo­riti dall' altissimo prestigio nazionale. Tuttavia il problema resta difficile a cau­sa della lingua, dei prezzi, e di tante al­tre cose... Io ho già comunicato al Mini­stero il suo nome... ma se lei non se la sente...

Diego                     - No, no... Non dico questo... Dal momento che lei ha avuto questa buona idea.

Leone                     - Sì... veramente... E’ stata una buo­na idea. Ci pensi. (Se ne va sorridendo). (Pausa).

Diego                     - ( all'indirizzo del Direttore) Vi­gliacco!

Giovanni                - Ma che hai?

Diego                     - È una trappola! Una trappola...

Giovanni                - Ma che cosa dici?

Diego                     - Ma via, non far conto di non ca­pire... (a Passabò) L'hai capita tu?

Passabò                  - (fa cenno che sì col capo).

Diego                     - Vedi? Lui l'ha capita... Oh... per la verità è una macchinetta ben caricata. Sì... Io vado alla riunione... porto una relazione insufficiente... mi trovo imba­razzato a parlare davanti a della gente che non conosco... faccio fiasco... La ditta è esclusa da qualsiasi affare, la colpa è mia... Ergo.

Passabò                  - Matematico.

Diego                     - Ah! Ma si sbaglia...

Giovanni                - Scusa un momento... Sarà co­me dici, senza dubbio... ma se e così vuol dire che proprio il direttore ti ritiene un imbecille.

Passabò                  - ( a Giovanni) . Precisamente... im­becille.

Diego                     - Invece...

Passabò                  - No... Io non ho detto invece...

Diego                     - Lo dico io! E non ci casco! Non mi presto a questi trabocchetti infernali.

Giovanni                - Ma scusa... Invece di essere fe­lice di questa bella occasione...

Diego                     - Felice? Vorrei vedere te.

Giovanni                - Oh... Io mi faccio spaccare in quattro, ma vinco.. .A costo di non dor­mire per non so quanto tempo. Quando sarà questa convocazione?

Diego                     - E chi ne sa niente?

Passabò                  - Il diciotto di aprile.

Diego                     - Come lo sav?

 Passabò                 - C'era sui giornali una settima­na fa.

Diego                     - Fra un mese, capisci? Fra un mese...

Giovanni                - Per un mese a pane e acqua e candela... Ma, viva Dio, vorrei far ve­dere...

Diego                     - No! Al macello volontariamente, no! Ma lo capisci che un uomo in queste condizioni può liquidarsi per sempre?

Giovanni                - Scusa... Allora anche tu la pcn si come il direttore sul tuo conto.

Passabò                  - Tale e quale... Vanno d'accordo senza saperlo...

Giovanni                - Ma allora la miglior cosa è di­chiarare la tua incompetenza e...

Passabò                  - Buona notte.

Diego                     - Ma se è proprio quello che aspetta!

Giovanni                - E allora vacci... (Paola entra).

Diego                     - Bene, anche Jei, signorina. Venga, venga e mi dica se non ho ragione alle volte di diffidare della vita.

Giovanni                - Si figuri, signorina, che...

Paola                      - So, so... me lo ha detto adesso il segretario.

Diego                     - E non è un'infamia? Passabò?

Passabò                  - Io? A me queste cose non sono mai capitate. La mia vita, liscia, tranquilla...

Diego                     - Be' quanto a questo, scusa... Per concludere quello che hai concluso vor­rei anche vedere che avessi dovuto com­battere...

Passabò                  - E tu vuoi concludere?

Diego                     - Naturalmente.

Passabò                  - Gratis et amore Dei...

Giovanni                - Oh... bravo!

Diego                     - Ma sì, ma ditemi che questa è una situazione normale! Di punto in bianco mi si mette al punto di dovere fare per forza, in un mese, una relazione che comporta studi stranissimi, svariatissimi per i quali mi occorrerebbero quattro anni...

Passabò                  - Quei quattro anni di università che non sei mai riuscito a finire.

Giovanni                - Ma insomma, normale o non normale, o scappi o l'affronti, non se ne esce...

Diego                     - Grazie... Siete tutti quanti molto generosi con me... Mi meraviglio che an­che lei, signorina, non abbia già comin­ciato a lapidarmi... Ma faccia, faccia pu­re... Perfino Passabò... perfino lui...

Paola                      - Come sarebbe a dire, perfino?

Passabò                  - No... ha ragione... qui ha ragione. Che ne so io? Io non ho conosciuto che una sola battaglia... e l'ho perduta... La battaglia con le sillabe... Ma per quel che posse dire mi pare che questa che ti ca­pita sia proprio di quelle che si chiama­no buone occasioni... Sì, capisco benissi­mo, sei impreparato... Ma uno deve esse­re preparato a ricevere le buone occasio­ni... Se no, è inutile che le aspetti...

Diego                     - Be', senti... se questa la chiamate una buona occasione.:.

Passabò                  - Già, già... Prego... Buona occa­sione per lui è quella che si pronuncia tutta da sé... che non si presenta con oualche sillaba difficile... Insomma lui vuole dormire trannuillo... Se alla mat­tina si sveglia presidente della repubblica del Paraguay, ebbene, quella è una buo na occasione...

Diego                     - Passabò, non hai mai parlato tanto in vita tua...

PassabÒ                 - Perche tuttociò è inverosimile. Sei fortunato e ti lamenti.

Diego                     - E dalli! Ma se io...

Passabò                  - Ma se tu non sapessi che questa fortuna che ti capita oggi è immeritata, non faresti tanto baccano... (Battendo la mano sulla tavola) Un uomo deve cono­scere le proprie possibilità e regolarsi di conseguenza. Sarebbe come se io preten­dessi di diventare vice-segretario....

Diego                     - Scusa, Passabò, ma se permetti...

Passabò                  - Che cosa? Tale e quale... perché io sono io... conosco i miei limiti... que­sti (Indica il tavolino) e tu fingi dì non conoscere i tuoi. Tu sci uno che per un pezzo ha minacciato la gente con un fu ci'le e poi deve confessare che era scarico e non può sparare...

Diego                     - Ah... Ma questo non si chiama ragionare...

Passabò                  - Dammi retta... (Gli si avvicina fin quasi ad abbracciarlo') Non ci anelare, a Roma... È meglio. Sì, tu dici... scon­fitta. Bene. Ma dichiarata prima è più nobile. Resta qui con noi... il nostro tran tran... fi meglio...

Diego                     - Io non ti rispondo nemmeno...

Passabò                  - Perché poi, vedi, ciascuno trova le sue gioje... le sue forze di rassegna­zione... Tu per esempio, sei un bel ra­gazzo, ti piacciono molto le donne e rac­conti a tutti le tue avventure amorose...

Diego                     - A te non ho mai raccontato niente...

Passabò                  - A me, no, ma a tutti gli altri, sì. Giusto. Non saprei apprezzarle... Ebbene, ringrazia Dio che ha popolato il mondo di belle ragazze e mieti, mieti... senza pensare ad altro...

Delia                      - (entrando festosa) Oh... Eccolo qua!... (Saluta intorno) Buon giorno a tutti... (a Diego) P. contento?...

Diego                     - ( imbarazzatissimo) Dell'incarico? Certo...

Delia                      - Anch'io... Tanto...

Diego                     - Lei è molto... gentile...

Delia                      - Sarà un trionfo per lei... Viene al concerto stasera?

Diego                     - Ma, non &o ancora...

Delia                      - L'aspett....iamo... A rivederla... pre­sto. (Esce). (Un attimo di imbarazzo).

Diego                     - ( ha preso una carta e la straccia in mille pezzi).

Marco                     - ( entra) Oh... Se ne sono andati fi­nalmente...

Diego                     - ( tanto per dire qualche cosa) Caro cavaliere... ha saputo?....

Marco                     - ( atteggiando il volto a cordoglio) -Ah... già... Be'... cerchi di fare alla meglio...

Diego                     - Grazie... (Esce in fretta).

Marco                     - Poveraccio... lo capisco... Non vor­rei proprio essere nei suoi panni...

Giovanni                - Ma allora è vero? È proprio una trappola?...

Marco                     - Eh... Dalli e dalli quello ha per­duto la pazienza... e lo ha inchiodato... Quando si è così non ci si deve esporre... Mezzogiorno di già?... Oh, dico... non di­mentichiamoci la colazione... Lei resta, Passabò?...

Passabò                  - Esco con la mia figliola.

Marco                     - Ah, già... La sua brava figliola... I figli... (Sta per fare una enunciazione so­lenne ma un'idea gli passa per la testa) Oh... Senta, Passabò... (Lo trae da parte mentre Giovanni e Paola restano muti e lontani) Lo sa che i! mio ragazzo piccolo balbetta?...

 Passaeò                 - E lo dice a me?...

Marco                     - Eh... Ho pensato: voglio parlarne a Passabò... chi sa che non mi dia qual­che buon consiglio... Lui deve essere...

Passabò                  - Già, già., un perito... un tecnico... Come balbetto io, non balbetta nessuno...

Marco                     - Scusi, non volevo offenderla... In­tendevo qualche consiglio circa le cure... Ne avrà fatte lei, no?

Passabò                  - Tutte.

Marco                     - Ahi!

Passabò                  - Ecco. Dia retta: o guarisce, o gli faccia fare il cantante. Sono stato lì lì per diventare tenore anch'io. A forza di vo­calizzi.

Marco                     - ( prendendo sul serio la proposta) Il tenore, vero? Già.... Perché cantando...

Passabò                  - Appunto...

Marco                     - Già... (Ride) È un'idea... a più tardi... (Via),

Giovanni                - Vengo con lei, cavaliere. Buon giorno a tutti... (Esce).

Passabò                  - Eccomi a te... (Incomincia le sue manovre per rimettere tutto il suo ufficio a posto).

Paola                      - Che hai contro Mastrangi?

Passabò                  - Io? Niente...

Paola                      - Eppure gli parlavi con astio...

Passabò                  - Sì... un doco...

Paola                      - Che t'importa se corre dietro alle donne?

Passabò                  - A me, niente... Ma vuole tutto lui: l'amore, la gloria...

Paola                      - Chi era quella signorina? Quella che è entrata a fargli i complimenti... _

Passabò                  - Quella lì?... Ma... Credo che sia la figlia o la nipote del nuovo padrone della ditta. Ma a me non importa niente dì tutto questo.

Paola                      - Allora? Perche gli hai parlato con quel tono?...

Passabò                  - Perché?... Perché... non so quel­lo che mi ha preso... Vederlo così, come un coniglio preso alla tagliola invece del­la lepre... (Ridacchia) Mi ha fatto un certo erTetto... Sai... detta fra me e te, quello farà un tonfo... e io ne avrò piacere... un balbuziente mentale che non si rassegna... oh... ma si rassegnerà...

Paola                      - Papà... io credo che sarebbe bene per tutti che Mastrangi facesse una buo­na figura...

Passabò                  - Per tutti? A me che mi fa?

Paola                      - Se la ditta cambia padrone... cam-bieremo anche direttore...

Passabò                  - Eh... Per ciò si agitava il giova­notto...

Paola                      - Se non sarà lui, sarà un altro...

Passabò                  - Meglio un altro.

Paola                      - Meglio lui.

Passabò                  - Perché?

Paola                      - Perché un altro che venga di fuo­ri... magari da un'altra casa editrice, ver­rà con criteri rivoluzionari, senza cono­scere nessuno di noi... In un passaggio di questo genere la più esposta sono io. Eh, già... Perche tu capisci bene che in­cominceranno proprio col fare delle mo­dificazioni al sistema di diffusione, di pro­paganda... E poi figurati se un posto co­me il mio non fa gola a nessuno... Fin­ché si tratta di te, tu sei tranquillo... il tuo lavoro non te lo può invidiare nes­suno.

Passabò                  - Eh... c'è una gran forza anche ad essere meschini...

Paola                      - Ma che meschini!... Tu il tuo la­voro lo sai fare bene... sei utile alla ditta, nessuno penserà a levarti di lì, specialmente dopo tanti anni... Ma io...

Passaeò                  - Tu? E dove vuoi che trovino una brava ragazza come te? Chi può fare il tuo lavoro meglio di te? Va, va... non aver paura...

Paola                      - Invece io sono certa che dovrò lot­tare e forse senza risultato. Non capisci che guadagno troppo, per essere una don­na?... Insomma io non sono tranquilla.

Passabò                  - Ma io...

Paola                      - Tu non puoi far nulla contro il nuovo stato di cose...

Passabò                  - Già... Nulla... Allora... speriamo e... basta...

Paola                      - No... Se il nostro direttore fosse Mastrangi... Allora la cosa cambierebbe. Mastrangi sa che io conosco il meccani­smo della ditta come nessuno. Ilo una organizzazione personale di informatori, di procuratori, di clienti... Lui sa...

Passabò                  - Ah... Non avevo esaminato il problema sotto questo aspetto. Be'... Ma allora speriamo che il direttore diventi lui e buona notte... Ma vogliamo andare a prendere questo aperitivo o no?

Paola                      - Aspetta. Ho qualche cosa da chie­derti...

Passabò                  - Oh! Dimmi, cara...

Paola                      - Tu credi probabile la vittoria di Mastrangi?

Passabò                  - La credo impossibile.

Paola                      - Invece deve vincere.

Passabò                  - Che vinca! Io non vi posso far niente...

Paola                      - Sì che puoi.

Passabò                  - Che cosa?

Paola                      - Tu potresti... aiutarlo... in questa peraparazione...

Passabò                  - Io? Ma... Piccola... che ti piglia?... Io... (Ride un riso convulso, penoso, trop­po insistente per essere spontaneo).

Paola                      - Papà, non ridere più...

Passabò                  - Ma cara... Tu dici delle cose umo­ristiche. Oh! Mi pare di sognare... Io?... E che ne so io? Io faccio prospetti... Io faccio numerini... Piccoli così...

Paola                      - No... Io vedo a casa quello che leg­gi, i libri che studi, che annoti... Io ti conosco. Sono forse la sola persona di questo mondo che ti conosce bene. Non ci sci che tu. in questo momento, che possa aiutarlo.

Passabò                  - ( ha una serie di movimenti nervosi coi quali cerca di calmare la propria agi­tazione) Ma dico... Paola... Ma lo sai chi sono io?... Il bene che mi vuoi ti fa travedere. Io, sono un povcr'uomo... Non dico il mio lavoro... Ah... su questo sia­mo d'accordo. Ma non posso fare un passo di più.... Trentacinque anni di pro­spetti, numeri, archivio... Cartellini... Se io sapessi fare quello che tu supponi... non credere che lo farci soltanto adesso e per un altro... lo avrei fatto per me... per te...

Paola                      - Papà... fermati un momento. Io ri­peto che ti conosco, meglio di quello che tu stesso non ti conosca... Tante volte mi hai parlato di quel che si potrebbe fare, di quel che si dovrebbe fare nel no­stro lavoro.

Passabò                  - Ah... Ma tutti, cara, tutti parlano di quel che si dovrebbe fare, ma che c'entra? Lo fanno così... per un giuoco di idee. Ma poi...

Paola                      - No: dicevi delle cose belle, giuste...

Passabò                  - (stupito) Io?... Non lo so.... Non importa. Una cosa è certa: ho conosciuto i miei limiti...

Paola                      - Ma li hai ristretti tu... Con la timi­dezza, perché non osi parlare, come se tu fossi il solo uomo ci questo mondo che non ha la parola franca... Ma c'è tan­ta gente come te... Non bisogna avere paura dei propri difetti. O si correggono, o si portano con baldanza.... Allora alle volte diventano una forza... Guarda i gobbi... Non ce n'e uno che se ne dia pensiero...

Passabò                  - Ma per un gobbo e facile... Non se la vede. Può dimenticarla. Ma io... non posso non sentirmele queste sìllabe che scoppiano o stridono fra i denti, co­me se mangiassi della sabbia... No, non parlarmi più di questo... per la carità che mi devi... e alla quale ho diritto per la mia povera vita...

Paola                      - Papà... non fare così... Io parlo con tutta coscienza... Credimi. Ti credi trop­po meno di quel che sei. Quante volte discorrendo insieme... Ti ricordi le no­stre chiacchierate la sera?... Quante volte mentre tu parlavi del nostro lavoro pen­savo fra me... Che peccato che queste cose papà le dica soltanto con me... (Pas­sabò suo malgrado ascolta bevendo le pa­role della figlia) Quante volte mi sono augurata che qualcuno di quelli che han­no la possibilità di fare la fortuna di un uomo fosse là dietro acl ascoltarti... Mi ricordo che immaginavi tutta una nuova organizzazione delle rivendite. Mi colpì soprattutto il tuo progetto di lancio dei nuovi libri, a serie... Per ridere dicevi che sarebbe stato necessario ristampare i vec­chi romanzi popolari e venderli a prezzo unico con libri nuovi... Lancio parassita­rio dicevi... É vero o no?

Passabò                  - ( lusingato) Ma... Scherzi... piace­volezze...

Paola                      - Chi lo sa? E poi tante cose più complicate, difficili... (Pausa. Passabò va alla sua scrivania, si mette in tasca delle carte, si dispone a uscire) Se no, aspette­remo la catastrofe tranquillamente. E se io dovrò andarmene, pazienza. Cercherò lavoro altrove. Andrò via...

Passabò                  - No! Via? Perché dici questo? Via tu? Ed io? Senza di te?

Paola                      - Su, su, non anticipiamo le disgra­zie... Andiamo. (Passabò resta fermo a guardare a terra, immobile, e poi, scuotendosi come dopo una lunga riflessione):

Passabò                  - Ma, dico, ti pare che un uomo che si rispetta si farebbe aiutare... da me?

Paola                      - Perché? In ogni modo non sappia­mo ancora quel che ne penserebbe...

Passabò                  - Appunto... ma come faccio a dirgli...

Paola                      - No, tu no... Deve essere lui...

Passabò                  - ( con riso freddo) Allora... Buo­na notte... Non può chiedere.

Paola                      - Chi sa?...

Passabò                  - Non può nemmeno pensarlo...

Paola                      - Si può suggerirgli...

Passabò                  - Tu vorresti?

 Paula                     - lo non vorrei perdere né il tempo né l'occasione...

Passabò                  - Ma e una pazzia... una pazzia...

Paola                      - Di nuovo? Su, calmati... Vedremo... Comunque non c'è altro da fare...

Passabò                  - Ma, e poi chi si ricorda quello che ti dicevo quando tu avresti voluto che qualcuno mi sentisse dietro la por­ta?... Io non ricordo più niente. Perché quando parlo... oh... parlo... ma per ìl gusto di parlare... di fare una cosa proi­bita... Quando parlo con te non faccio fatica... mi par quasi di guarire.... (Si tormenta la fronte) Ma che cosa ti dice­vo allora?...

Paola                      - Troveremo, troveremo...

Passabò                  - Uhm... Ci credo poco... Quando le idee se ne vanno sulle parole del dopo pranzo... non ritornano, sai... Perché, ve­di, se... (Si pente e. con improvvisa riso­luzione) Ma no, è impossibile. Noi stia­mo sognando. Tu mi suggestioni ed io... Aria, aria... andiamo fuori... (Vedendo che Paola non si muove) Be'? Che hai? Fammi vedere i tuoi occhi... (Alza il viso di Paola con una carezza) Mi pare che abbiano voglia di piangere...

Paola                      - Andiamo, via...

Passabò                  - Cara... piuttosto che vederti pian­gere... che cosa vuoi che faccia? Che mi butti da un grattacielo? E va bene... e io mi butto... No, no... mi butto... (A brac­cio della figlia, esce).

CALA LA TELA

ATTO SECONDO

 Lo studio del direttore generale della casa edi­trice Ovest. Una bella sala con pochi mobìli: una grande tavola molto elegante con poltro­na decorativa, piano della tavola in vetro, un'altra sedia davanti alla tavola per i visi­tatori. Una poltrona sul proscenio, vicino a un caminetto monumentale, sul quale sono diversi ninnoli. Nel fondo una porta quadra­ta, ampia, a battenti scorrevoli, che dà in una grande sala, dove è preparato un rinfresco. Una porta a destra e una a sinistra, simme­triche ed eleganti. Quella di destra mette ne­gli uffici della casa, quella di sinistra nella sala del Consiglio e delle adunanze.

Quando si alza la tela sono in scena Jole e Delia. Quest'ultima ha dei fiori sul braccio. Le due donne si sono sedute una al posto del direttore, la vecchia, l'altra nella poltrona presso il caminetto.

Delia                      - Ma che cosa debbono dire? La tanno lunga...

Jole                         - Cara mia, nessuno al mondo riuscirà mai a togliere dalla testa degli uomini la mania delle assemblee. Tutto è buono pur di fare una assemblea.

Delia                      - Ma la nomina l'hanno già fatta o no?

Jole                         - Ma sì, cioè no... Insomma, niente può più impedire oramai che il direttore della casa sia Mastrangi... ma gli azionisti han­no il diritto di fingere di non saperlo an­cora, per avere il piacere di scoprirlo alla fine dell'ordine del giorno.

Delia                      - (tendendo l'orecchio) Taci... (Si alza per andare ad origliare alla porta della sala delle assemblee, a sinistra) Mi pare che qualcuno parli.

Jole                         - Bella scoperta! Ma scostati da quella porta. Non sta bene origliare alle porte...

Delia                      - Non è mica una camera matrimo­niale...

Jole                         - Ma è una società anonima!... Chi sa che cosa dicono!

Leone                     - (entra cupo e si richiude l'uscio alle spalle, poi si dirige verso la grande scri­vania occupata da Jole) Permette?

Jole                         - (alzandosi) Le ho preso il suo posto... Scusi...

Leone                     - (prendendo posto alla scrivanìa) No, non è lei che me lo ha preso...

Delia                      - (ha un risolino).

Jole                         - Delia!

Leone                     - (sospirando ostentatamente) Eh, va bene...

Jole                         - Devo dirle, commendatore, che avrei voluto che il trionfo non le avesse nuo­ciuto...

Delia                      - Hai visto, zia? Anche oggi i gior­nali pubblicano due colonne in seconda pagina sulla relazione di Mastrangi... Ha fatto una cosa geniale... E peggio per chi non ci credeva!

Jole                         - Delia, sii generosa... Chi parla in que­sto momento?

Leone                     - Uno dei sindaci. Sta facendo la re­lazione finanziaria...

Passabò                  - ( entra accigliato, tracotante quasi: ha delle carte in mano che posa con mal­garbo sulla scrivania di Leone, pronun­ciando questa sola parola) Prospetti. (Una manata sui prospetti e via, senza guardare in faccia nessuno).

Leone                     - (stupito) Passabò! Ma che modi so­no? Si saluta. Non dico me che oramai... Ma ci sono delle signore...

 Passabò                 - ( si ferma, si volta, guarda di sbieco le signore e brontola) Buon giorno. (Se ne va).

Jole                         -  (ridendo) Ma che ha?

Leone                     - Si sente celebre anche lui, probabil­mente...

Delia                      - Perché?

Leone                     - Ma che ne so? Dico per dire... È di casa con Mastrangi...

Jole                         - Di casa?

Leone                     - Pare... Passabò ha una figlia...

Delia                      - Cosa?

Leone                     - Una figlia... bella... (Si alza, prende delle carte e va verso la sala delle assem­blee) Permesso... (Via). (Pausa).

Delia                      - (si alza di scatto, sbatte il mazzo di fiori, che ha in mano, sulla tavola e ritor­na indispettita a sedere sulla sua poltrona).

Iole                         - Eh... Cara mia...

Delia                      - Cioè?

Jole                         - Ti impressioni per poco.

Delia                      - Tu ne sapevi niente?...

[ole                         - Io no. Ma nemmeno adesso. Quello ha parlato per ira... Lo hai provocato...

Delia                      - Già... Forse hai ragione... (Si alza e va a riprendere delicatamente i fiori. Un clamore di applausi dentro. Subito dopo la porta si apre ed entra Mastrangi con Darturo e Leone).

Mastrangi               - La ringrazio, barone, delle sue parole... Oh... signorina... grazie... bellis­simi... Scusi, voglio, che siano là... (Apre la porta di fondo e compare una tavola imbandita e infiorata, i camerieri in giacca bianca preparano; consegnati i fiorì, Die­go si ritira e chiude la porta) Ecco... È contenta, signorina?

Delia                      - Può domandarlo?

Diego                     - Grazie. Cara signora, mi scusi, non Pavevo ancora salutata... ma sono tanto confuso...

Jole                         - Complimenti, complimenti. Un trionfo...

Diego                     - Oh, non esageriamo...

Jole                         - Ma scusi, io ho letto tutti i resoconti dei giornali... che cos'è questa tabella di compensazione della quale lei parla tanto? (Al marito) L'hai capita, tu?

Darturo                  - Naturalmente, Ma non me Io do­mandare. Quando debbo spiegare una co­sa a te, non so come sia, finisco per non capirla più nemmeno io... No, Mastrangi, non si comprometta.

Delia                      - Sì, è vero. La zia ha il dono di con­fondere le idee di chiunque...

Jole                         - Perché avete paura di approfondire.

Darturo                  - (a Leone) Tutto pronto per la consegna?... (Parla a parte con Leone).

Delia                      - (a parte a Mastrangi) Dovremo poi fare dei conti noi due.

Diego                     - Perché? Non sono stato abbastanza bravo per lei?

Delia                      - Non si tratta qui della sua intelli­genza.

Dieco                     - E allora? Ho telefonato tutti i gior­ni, le ho scritto due lettere...

Delio                      - Non le chiami lettere. Due parole fredde, fredde. C'è dell'altro...

Diego                     - Che cosa?...

Jole                         - Ma via, Delia, lascialo stare...

Marco                     - (entrando dalla porta degli azionisti) Direttore...

Leone e Diego       - ( insieme) Dica...

 Marco                    - ( a Leone) Non lei.... (A Diego) Lui... La vogliono... (Marco si ritira di nuovo nella sala e Diego lo segue).

Diego                     - ( uscendo) Permesso...

Darturo                  - Voi due dovreste andare di là a mettere a posto i fiori...

Jole                         - Insomma, qui non c'è bisogno di noi...

Darturo                  - No, perché abbiamo da lavorare...

Delia                      - Sì, sì, andiamo a disporre la sala dell'incoronazione! (Esce con la zia dalla porta di fondo).

Leone                     - (indicando delle carte) Ecco... ho preparato tutto... Qui sono indicate tutte le pratiche sospese... Così il trionfatore basta che sappia leggere...

Darturo                  - Ma no, ma no, commendatore questa ironia è fuori luogo... Ha vinto. Non c'è che accettare il fatto compiuto.

Mariolina                - (mostrandosi a destra) Riceve oggi, direttore?

Darturo                  - No, oggi...

Leone                     - No, mi lasci fare... È l'ultimo mio colloquio... Avanti! (Sara entra: è una giovane elegante tutta mossette e graziate, ha dei fiori sul brac ciò: vedendo Leone ha un moto di disap punto).

Sara                        - Ah... scusi...

Leone                     - Prego.

Sara                        - Ci deve essere un equivoco.

Leone                     - È quello che dico anch'io. Lei cer­cava Mastrangi, no? Ebbene, Mastrangi per il momento non è qui... Se posso es­serle utile...

Sara                        - Quando verrà?

Leone                     - Tra poco...

Sara                        - Allora mi faccia la cortesia di conse­gnargli questi fiori. Dica soltanto: da parte di Sara. Lui capisce. Il primo salu to... Non è questa la sua scrivania?...

Leone                     - Sì... È questa.

Sara                        - (che ha deposto i fiori sulla scrivania) Ecco. (Fa per andarsene).

Leone                     - Signorina... .Si tratta sempre di quel romanzo?

Sara                        - Quale?

Leone                     - Due anni fa lei mi portò un fascio di tulipani...

Sara                        - Oh... Lei deve essere un pessimista (Esce).

Leone                     - Ne avrei anche diritto...

Darturo                  - Ma chi è?

Leone                     - Una scrittrice di romanzi che non saranno mai pubblicati. (Entrano Diego e Marco).

Dieco                     - Scusi (a Leone) Devo scrivere una parola...

Marco                     - Signor barone...

Darturo                  - (a Marco) A che punto sono?

Marco                     - Eh, ne avranno ancora per un po'... Vuol venire per quella firma?

Darturo                  - Santi numi. Quante firme!... Inco­mincio a preoccuparmi (Esce con Marco).

Leone                     - (porgendo i fiori a Diego) Da par­te di Sara.

Diego                     -  (turbato) Ma... dov'è?

Leone                     - Ha fatto finta di uscire, ma se lei alza un po’ la voce la vedrà certamente spuntare da ciunlche parte con « Pal­lori » sotto il braccio.

Diego                     - ( lo stuarda).

Leone                     - Un romanzo. Ma è meglio l'au­trice...

Diego                     - ( per cambiare discorso) Allora?

Leone                     - (porgendogli delle carie) Questo è l'ufficio... Tutto l'ufficio. È poca roba... Ma io non sono mai stato geniale...

Diego                     - Va bene... Lasci qui... Vedrò...

Leone                     - E adesso, mi ritiro... Ho finito.

Diego                     - Io vorrei dirle...

Leone                     - Non dica niente. Capisco tutto...

Diego                     - ( lo guarda un attimo con curiosità) Non vuol restare al rinfresco?

Leone                     - Ma sì.... È un piacere sadico che mi voglio prendere... (Esce dal fondo).

Diego                     - Oh... (Si siede alla scrivania, pren­de i fiori e non sapendo dove metterli li infila nel cassetto),

 Passabò                 - (compare a destra, piano piano co­me un cospiratore: si avvicina lentamente a Diego).

 Diego                     - Ah, sei tu? (Non appare contento della visita).

Passabò                  - ( lo guarda intensamente).

Diego                     - (lo guarda come si guarda un creditore).

Passabò                  - ( fa un gesto come a dire: " Capperi, che colpo! »).

Diego                     - (risponde con un altro gesto che si gnifica: « sì, è andata »). Poi tende la ma­no a Passabò che la stringe con poco en­tusiasmo) Naturalmente so quel che li devo... e... adesso...

Passabò                  - Racconta.

Diego                     - Che cosa?...

Passabò                  - Tutto. È stato un trionfo...

Diego                     - Trionfo... così... certo che...

Passabò                  - (sicuro)    - No, no... è stato un trionfo.

Diego                     - Sì... insomma...

Passabò                  - Perché negarlo?

Diego                     - Ma io non lo nego...

Passabò                  - Come è andata? Racconta.

Diego                     - Ma sai... i giornali sono stati esaurientissimi... e se tu hai letto...

Passabò                  - Ho letto, ma non mi basta... Per ordine... Prima di tutto, c'era molta gente?

Diego                     - Ma sì... abbastanza... quelli che ci dovevano essere. I rappresentanti delle ca­se editrici. Ma in fondo, niente di straor­dinario... Una piccola stanzetta...

Passabò                  - Piccola? Come questa?

Diego                     - Molto più piccola. Fai conto... da un lato era lunga fin lì... dall'altro... lnr ga così...

Passabò                  - ( vivace) Ma poi che c'entra la stan­za? Tu ti perdi in quisquilie... I giorna­li... Titoli così alti... Naturalmente non si parla che di te... Mastrangi di qua, Ma strangi di là...

Diego                     - Oh.... non pretenderesti che io di­cessi d'avere lavorato con te.

Passabò                   - Oh! Ohibò... Tu avevi lavorato con me?... Quando?...

Diego                     - Bravo. Così va bene...

 Passabò                 - Avevo lavorato io solo... Avevo perfino preveduto le obbiezioni... perché tu potessi discutere...

Diego                      - Ma... scusa... Eravamo d'accordo che tu...

Passabò                  - Ma sì, ma sì... Con la gente. Ma fra noi? La verità è quella che è. Dunque... vai avanti, vai avanti....

Diego                     - (nervoso) Ma sai, in questo mo­mento... C'è gente là, gente là...

Passabò                  - Io non so se il momento e questo o non è questo. Io ho fretta di sapere... Devi capire... (Si esaspera) Devi capire...

Diego                     - Ma, Passabò... Che ti prende? Ti racconterò tutto, per filo e per segno, stai tranquillo... Ma non adesso... È andata bene, ecco tutto... Insomma, benino...

 Passabò                 - Benissimo. Siamo diventati padro­ni del mercato... Nessuno ha potuto più resistere di fronte al sistema geniale che io... (Colpo di tosse di Diego) Eh? Ah. già... Be'... che noi...

Diego                     - Sì, ma siamo ancora indietro. Sia­mo in una fase astratta... Teorica...

Passabò                  - Ma continueremo e meglio nel campo pratico. Vedrai. Io so tutto in que­sta materia... Capisco tutto... Più di tutti... Sì, sì... Non c'è nessuno che ne capisca più di me...

Diego                     - Senti, Passabò...

Passabò                  - Ma lasciami stare... Non sono più quello di prima, sai... Da due giorni ho afferrato delle cose terribili e affascinanti... Tu naturalmente non capisci, ma non fa niente... Da due giorni non so nemmeno se mangio, se dormo, se vivo, se sogno... se godo... se soffro... Libri... mercati, li­stini... concorrenza... tutta una ridda di sistemi e idee che balzano e rimbalzano nella mia testa... Mi sento agile, leggero... Se dovessi rifare oggi quella relazione che ha suscitato la ammirazione del mon­do intero...

Diego                     - Via... non esagerare... è un piccolo fatto editoriale...

Passabò                  - Leggi i giornali, leggi i giornali... Se dovessi rifarla... La rifarei più bella, più completa... Sì.... Perché, vedi, nessuno se ne è accorto, ma un difetto enorme c'era... Forse qualcuno lo troverà...

Diego                     - Come?... Che difetto?...

Passabò                  - Ma non avere paura... Ho già pen­sino al rimedio... Oh.... Non ho pensato ad altro... M'è cresciuta nelle dita una forza che potrei tenere le redini di un esercito...

Diego                     - Calmati. Che la cosa sia stata coro­nata dal successo non vi è dubbio, ma allesso tu non devi fantasticare... Adesso l'opera tua è completa...

Passabò                  - Come?...

Diego                     - Mi consentirai... sì, insomma... che sulla possibilità di un eventuale prosegui mento della nostra collaborazione, biso­gnerà vedere...

Passabò                  - Perché? Tu vorresti far da solo?

Diego                     - Ma naturalmente... Se per un mo mento, preso alla sprovvista, così... io ho potuto avere bisogno del tuo aiuto... va bene... Ma adesso ho capito... Ho il di­ritto e il dovere di fare da me...

Passabò                  - Da te? E come fai? (Ride) Tu, poverino, senza di me non puoi muovere nemmeno un dito...

Diego                     - Oh. insomma... Tu non hai il di­ritto...

Passabò                  - Ma perché vuoi rovinarti?... Man­derai tutto all'aria in due settimane.... e saremo il  capo...

Diego                     - Be', questo lo vedremo... Desidero di vederlo...

Passabò                  - Ah... E allora? Con me... basta­io ritorno ai numerini rossi e neri...

Diego                     - No... Niente numcrini rossi e neri. Tu non devi più fare quel lavoro.

Passabò                   - Perché io... adesso... non potrei più... Sono più grande di quel lavoro...

Diego                     - Appunto. E poi sei in una età nella quale incominci ad avere bisogno di ri­poso.

Passabò                  - Ma che cosa dici? Riposo, io? Adesso?... Oh...

Diego                     - Lasciami dire... Fra i primi prov­vedimenti che io intendo presentare al consigliere delegato per il personale...

 Passabò                 - Non vorrai proporre qualche gra­tificazione, qualche compenso straordina­rio... non sarebbe prudente...

Diego                     - No, ti pare? Io proporrò il tuo licen­ziamento...

Passabò                  - ( pausa) Ah... Questo è prudente...

Passabò                  - Aspetta... Io ti faccio liquidare in base a un contratto speciale... Hai trenta­cinque anni di servizio... Vai a casa con una bella sommetta...

Passabò                  - E poi?...

Diego                     - E poi basta... Voglio dire... Non mancherà l'occasione... Se la ditta avrà ancora bisogno di te... naturalmente...

Passabò                  - Ah., se no... che cosa farò.... a casa?

Diego                     - E che cosa vuoi fare?... Hai ses­santanni suonati... hai diritto a un poco di pace...

Passabò                  - Non voglio la pace... Io voglio la battaglia...

Diego                     - Ma francamente credevo che data l'età...

Passabò                  - Ma che età... che età... Chi lo sa quanti anni ho io adesso? Io voglio lavo­rare... Ho appena cominciato...

Diego                     - Be'... ne riparleremo... Troveremo una soluzione... Ma adesso, no, no... resta pure... Tra poco si beve. L'amministra­zione offre... Non vuoi restare?

Passabò                  - A bere alla tua salute? Come no?

C'è anche Paola...

Diego                     - Paola? Ma non doveva andare a Torino?

Passabò                  - Non è andata. Non sgridarla se ha disobbedito al tuo primo ordine. Quan­do ha saputo che oggi era la tua festa... non è andata... Io e Paola siamo i tuoi fedeli... Dovresti pensarci.... Non te l'ho mai detto... Ma è stata Paola a persua­dermi...

Marco                     - ( entra dal Consiglio) Direttore, ecco il grande momento... La proposta è ap­provata per acclamazione!... (Diego e Marco escono: la porta, che resta un momento socchiusa, lascia passare il fragore degli applausi e un filo di luce).

Passabò                  - ( affascinato dall'applauso si toglie dalla posizione dove si trovava durante l'ultima parte della precedente scena e st riscuote dallo stato di abbattimento in cui le parole di Diego lo avevano im­provvisamente gettato: attirato come da un miraggio si avvicina alla porta; si al­za sulle punte dei piedi per meglio ve­dere e udire; la luce della sala lo investe; quando è vicinissimo alla porta, qualcu­no dal di dentro chiude la porta brusca­mente; Passabò ricade nella sua solitu­dine e nell'ombra: in questo attimo entra Paola).

Passabò                  - ( le fa cenno di tacere e indica la porta del Consiglio come se volesse farle udire qualche cosa).

Paola                      - Che c'è?... Non si sente nulla...

Passabò                  - Sì che si sente... Applausi...

Paola                      - (avvicinandosi a suo padre come in­tuendo che egli pensa all'ingiustizia del­la quale e vittima) Papà...

Passabò                  - Per lui... Vuoi sentire gli ap­plausi?... Hai mai sentito degli applausi, tu?... (Con prudenza, come un bambi­no che scherzi) Zitta... Vieni... (Cerca di aprire lentamente la porta, ma è appena riuscito ad aprirla che una mano ignota la richiude violentemente) Non si può... Be'... Ma ti dico io... Gli applausi fanno un rumore come di pioggia a scroscio...

Paola                      - Ma sì... Vuoi che non sappia...

Passaeò                  - Già... Però io... così, come que­sti... non li avevo mai sentiti.

Paola                      - Che ti ha detto?.... È contento?

Passabò                  - Tempo otto giorni e crederà di avere meritato tutto ciò che ha avuto...

Paola                      - Non lo credo.

Passabò                  - ( dopo una pausa) Mi piacerebbe di sapere che cosa succederebbe adesso se io andassi di là e domandassi la pa­rola...

Paola                      - Per fare che?

Passabò                  - Ma già io, ho un bel domandare la parola... Anche se me la danno, e il signore Iddio che me la toglie all'improv­viso... Non potrei forse nemmeno inco­minciare a dire... Signori, questo uomo che qui Vedete è un impostore e un ne­griero...

Paola                      - Ma no!...

Passabò                  - Oh... Paola, tu non sai quello che hai fatto...

Paola                      - Che cosa ho fatto?

Passabò                  - Hai scoperto dentro di me una vita che non credevo di avere... Tu mi hai detto: « Aiutalo... Tu hai le forze... » E io, a ridere. E tu, a insistere. E io ho creduto alla tua fede... Era la prima volta nella mia vita che qualcuno par­lava di me... proprio di me... con una fede... E allora... ho sentito in me cre­scere la forza... Ha esploso come la lava da un cratere spento! E tutti là, così, a bocca aperta. E allora perché non devo andare di là a dire... « Domando la pa­rola! Quest'uomo che voi avete testé ap­plaudito..,.?

Paola                      - Papà... vorrei che ti calmassi... Sci troppo inquieto... Rinunciamo al ricevi­mento... Andiamo fuori, all'aria aperta... parleremo di questa cosa grande...

Passabò                  - No, no, voglio restare qui...

Paola                      - Ma allora cerca di dominarti...

Passabò                  - Ah... E come? Che cosa mi do­mandi?... Dominarmi... E come ci si può dominare di fronte all'improvvisa rive­lazione di aver perduto tutto... tutto... tutta la vita... Sì... la vita... E non si può ritornare indietro nel destino...

Paola                      - (preoccupata che la voce del padre possa essere udita) Papà, parla sotto voce, te ne prego...

Passabò                  - ( calmo) Sottovoce... Fin che si può... Perché poi il cuore sì gonfia... Oh... (Soffrendo) Paola... Perché?... Per­ché? Perché? (Col pianto in gola) Perché tutto questo?...

Paola                      - Ma via!... Devi essere buono... Do­po tutto nessuno può toglierti l'orgoglio di questa vittoria.

Passabò                  - ( come astratto, senza por mente al­le parole della figlia) Ma, dico io, per­ché adesso, soltanto adesso? Perché io fi­no a ieri, si può dire fino alla settimana scorsa... e chi mi avrebbe fatto credere che non ero nato per i numerini rossi? Tranquillo, sereno... la mia casa, la mia cara figliola... Bella... gaia... Vivo, ero. Povero, ma vivo... umile, ma vivo... Ma adesso... Sì, mi guardi eh? Incominci a capire

Paola                      - Papà! Ti ho fatto del male...

Passabò                  - Oh... tu non hai colpa... È stato il bene che mi volevi a scoprire in me quello che avrebbe dovuto restare se­polto...

Paola                      - Ma che cosa?     Papà... Non mi fa­rai credere che tu stesso non avevi nes­suna fiducia in te...

 Passabò                 - ( parla sempre più speditamente fino a non balbettare più) Nessuna... Oh... Immagina un bambino che un bel giorno vuol giocare in un prato con altri bambini... Ecco... Immagina... Crede di essere come gli altri e va col cuore fidu­cioso a godersi la primavera... No. Non è come gli altri. Balbetta. Tutti ridono... Immagina un giovinetto, in una scuola... Deve dire la poesia a memoria... Il canto notturno del pastore errante per l'Asia... (Declamando) Che vuol dir questa soli­tudine immensa? Ed io, che sono? Hai sentito che non riesco a dire solitudine? Questo ssssss che mi esce dalla bocca s'al­larga per tutta la scuola, diventa una raffica di vento freddo che mi taglia la faccia. Tutti ridono. Soltanto gli occhi del maestro mi guardano, profondi e tri­sti... Immagina un giovane che guarda in faccia una donna, la prima donna del suo cuore... Ecco. La senti crescere in me, la paura?... Senti come sono cresciuto nella paura? Sono calato a poco a poco dentro me stesso, come dentro una pri­gione... Ah... no, non ho sofferto tanto. Adesso sento quella sofferenza, ma allo­ra mi pareva tanto naturale! Si meravi­glia forse il cane dei calci che riceve? Guarda, ti dirò di più. A un certo pun­to ho perfino benedetto la mia sorte. Stavo rannicchiato dentro la mia solitu­dine piacevolmente, quasi. Intorno, uo­mini in lotta. E io chiuso. Immobile, ma sicuro. Solo, ma sicuro. Perché la comu­nicazione col mondo era interrotta e non sapevo nulla di nulla e nemmeno di me. Di me, per sessantanni, non ho avuto altra coscienza che quella d'essere me­schino...

Paola                      - Lo vedi che hai sofferto tanto?....

Passabò                  - Ma no, ti dico. Allora no. Ades­so. Terribilmente, perché, vedi quel che accade? All'ultimo momento proprio, la vita, sul finire, sul concludere, sul dor­mire, mi afferra per il lembo della veste e mi spalanca una coscienza nuova e mi grida con una voce che risuona qui dentro, come in una chiesa vuota: Tu potevi vivere! Tu potevi vivere!

Paola                      - (cade su una sedia singhiozzando).

Passabò                  - Ora, che cosa sono io? Un uomo vivo? Niente affatto. Io sono uno che, dal­l'ai di là, ha la pena di vedere quello che avrebbe potuto essere la sua vita, se non l'avesse perduta, così... per un caso, per un capriccio della sorte. Una beffa... capisci? Una beffa?... Non balbetto nem meno più... Non hai notato? Da cinque minuti parlo con la fluidità d'un avvo­cato in assise. Anche questo dovevo pro­vare. La gioia di parlare senza pericoli, senza incespicare, senza cadere... Adesso dirci qualunque lezione a memoria. (De­clamando) Che vuol dir questa solitu­dine immensa? Ed io che sono? Ah... Un miracolo... un miracolo inutile, ma un miracolo... L'ha fatto certo l'ango­scia... Perché adesso più di prima, più che mai mi pesa qui (5/ Prende la testa fra le mani disperatamente) l'enigma del­la mia vita, che non si sa perché sia nata... Perché e nata?.... Perché è nata?...

Paola                      - (si alza per parlargli, ma è tratte' ntita da un cenno improvviso di lui).

Passaeò                  - Senti?... Ancora applausi... Ah, no... Sono miei!... (balza verso la porta del Consiglio, ma Paola lo arresta con un grido).

 Paola                     - Per carità... babbo! (Passabò si fer­ma) Bada a quello che fai!

Passabò                  - Che faccio? Riprendo la mia vita...

Paola                      - Vuoi rovinare quell'uomo?...

Passaeò                  - Non ho più tempo per la carità... È giovane, troverà la sua salvezza un'al­tra volta...

Paola                      - Non voglio!

Passabò                  - Che hai? Perché non vuoi? (Si è voltato stupito ed è ritornato presso Paola).

Paola                      - (turbata) Perché mi pare che non sia nobile eia parte tua.

Passabò                  - Nobile? E perché debbo essere nobile io? Non hai capito quello che ti ho detto? È la mia vita, la mia ragion d'essere che mi passa a canto per la pri­ma volta, per l'ultima volta... E non de­vo profittarne?... Oh!... (Come ripreso dalla sua sete di gridare la verità, ha un moto per tornare alla porta del Consiglio, ma Paola, angosciata, quasi piangente, gli dice):

Paola                      - Non fargli del male.

Passabò                  - (paralizzato da una intuizione) -Ah, e che cosa vuol dire? Che cosa vuol dire? (Più dolce) Che cosa hai nascosto a' tuo padre?

Paola                      - Andiamo via, andiamo via...

Passabò                  - Lui? Oh... Povera piccola! E tu speri che egli ti vedrà, che si accorgerà di te, adesso?...

Paola                      - Perdonami, perdonami...

Passabò                  - Ma che cosa hai nascosto a tuo padre?

Paola                      - Non so che cosa sia accaduto in me. Non voglio nemmeno tentare di giu­stificarmi. Ma oramai non ci può più es­sere che lui, per me...

Passabò                  - ( abbattuto) Ma perché non mi hai mai detto nulla?

Paola                      - Perché non so... Tante volte ho sentito il bisogno di confidarmi con te... Ma temevo questa tua voce, questo tuo dolore... Papà... scuotiti... non ti posso vedere così...

Passabò                  - ( fiaccato, ritornando verso il suo uf­ficio) E allora... basta così. Un perché c'è. L'importante è che ci sia un perché... Un perché c'c. (Esce lentamente).

Paola                      - (rimane sola: per un attimo non rie­sce a trattenere le lacrime, poi in fretta si asciuga, si guarda intorno, si leva dal petto un mazzetto di viole, cerca ove metterle, poi ha la ispirazione di met­terle in un cassetto della scrivania di Diego: apre un cassetto e resta dolorosa­mente colpita dalla vista dell'altro mazzo di fiorì; lascia cadere le sue viole a terra e udendo un rumore si affretta a guadagna­re la poltrona nella quale si siede, ricom­ponendosi il meglio che può). (Diego e Marco entrano. Diego si siede alla sua scrivania e Marco, in piedi davan­ti alla scrivania, attende ordini rispettosa­mente).

Diego                     - Piacendo al cielo, anche questa è fatta. Adesso lei... (Vede Paola) Oh, Paola...

Paola                      - Disturbo? Se disturbo, me ne vado subito... Volevo soltanto salutare il nostro signor direttore...

Diego                     - Già... Un momento solo. (A Marco) Lei intanto chiami Zannoni, Ceretti, Gio­vanni... Lei stesso venga qui...

Marco                     - Passabò?...

Diego                     - Naturalmente, anche Passabò... In­somma, tra un minuto si beve...

Marco                     - Si beve, si beve... (Esce fregandosi le mani).

Paola                      - (si avvicina a Diego che intanto si e alzato dalla scrivania) Non trovi mai un po' di tempo per me...

Diego                     - Ma... devi capire... Tante cose....

Paola                      - Sei contento almeno?

Diego                     - Contento? Sì. Sai... è un grave im­pegno... Oh, a proposito... dovresti farmi un piacere...

Paola                      - Dimmi.

Diego                     - Con tuo padre, ho già parlato.... ma pare che non ci si intenda. Che io gli deb­ba molto... questo e fuori dubbio e io cercherò di fare per lui qualche cosa.... Sì, insomma, non credo che si debbano fare proprio delle pubbliche dichiarazioni...

Paola                      - E chi te le chiede?

Diego                     - Appunto. Ma, insomma, farò per tuo padre tutto quello che sta in me. Lasciami dire. Ma dovresti persuaderlo... dovresti aiutarlo a vedere le cose nelle loro giuste proporzioni... Perché, a sentire come par­la, pare che dia alla cosa una importanza mondiale... che evidentemente non ha. Se avesse scritto la Divina Commedia non adoprerebbe le parole iperboliche che gli sono uscite di bocca poco fa... per molto meno... molto meno...

Paola                      - Sì... forse egli esagera un poco... L'ho notato anch'io. Ma cerca di comprender­lo... egli non credeva di valere tanto, ecco tutto. Gli parlerò io e vedrai che.... Ma ora basta... Dammi un bacio... Un piccolo ba­cio in fretta... Non vuoi?

Diego                     - Qui?

Paola                      - È tanto rispettabile questo luogo?

Diego                     - ( con improvvisa decisione) Be', senti Paola. Debbo dirti...

Paola                      - (quasi troncandogli la parola) Pen­saci bene, prima di dirmi qualche cosa... (Lo guarda con occhio fermo).

Diego                     - Ah... Avresti capito?

Paola                      - Non occorre molta intelligenza... Basta guardare dentro un cassetto...

Diego                     - Sci ondata a frugare nei mici cas­setti ?

Paola                      - Non frugare... e non cassetti. Un cassetto solo, dove volevo mettere i miei fiori per te. Ma ho trovato il posto oc­cupato.

Diego                     - ( imbarazzato) Questo non vorrebbe dir nulla...

Paola                      - Potrebbe voler dire che non mi ami più..,

Diego                     - Ma non dire così... Non si pongono così semplicisticamente i problemi senti­mentali. C'è la vita interiore, quella dei sentimenti, degli ideali, dei sogni... e c'è la vita vera, con la sua realtà...

Paola                      - Diego... Quando ti metti a fare della teoria sulla vita c'è sempre sotto qualche cosa di poco piacevole...

Diego                     - Ma, cara, non ho colpa io... se mi trovo in questa situazione...

Paola                      - Questo lo so...

Diego                     - ( impermalito) Ma sì, ma sì... Tutto merito di tuo padre. E tanto peggio. Non ne ho colpa io. Adesso io ho assunto degli impegni gravosi... difficili... Passabò può andare a spasso dalla mattina alla sera e nessuno gli dirà mai nulla... perché la cambiale l'ho firmata io, io; con questa mano, con questa faccia, questa figura... Adesso io non sono più quello di ieri. Tutta la mia vita deve tendere a quella meta. Mantenere le promesse, realizzare le speranze che ho suscitato... Io sono di­ventato un condannato, un forzato...

 Paola                     - Adesso sei tu che fai dell'iperbole... Riduci la scala delle proporzioni... Perché poi sei diventato semplicemente il direttore di una casa editrice. Niente di straordi­nario, alla fine...

Diego                     - In queste condizioni? Dopo questa battaglia?

Paola                      - Eh... spero che non ne vorrai mo­rire.

Diego                     - Non fare dell'ironia... È fuori di posto...

Paola                      - E tu non credere di ingannarmi con le tue pose eroiche. Faresti meglio a dirmi da quale aiuola vengono quei fiori là den­tro... Perché il problema poi è tutto lì... Sono della padroncina... vero?

Diego                     - ( lieto di mentire facilmente) Potevo forse rifiutarli?

Paola                      - Oh, per carità... Sarebbe stato grave... E li hai nascosti proprio per me?... Per non farmi soffrire?

Diego                     - Ecco. Senti Paola... Io ti giuro che il mio cuore...

Paola                      - Ma lascialo stare quel tuo cuore... Non me ne importa niente del cuore... Accarezzi l'idea di un matrimonio conve­niente, no? È questo il tuo progetto trion­fale?

Diego                     - Senti, Paola... non mi far parlare.,, perché se parlo poi...

Paola                      - Ma parla... vuoi che mi metta a ur­lare per farti parlare?

Diego                     - Non si tratta di un progetto acca­rezzato da me... È il caso che lo accarezza. Me ne infischio, io, della moclie ricca... Ma le circostanze sono quelle che sono. E un uomo non ci può nulla. Gettato a ma­re, deve nuotare...

Paola                      - Ipocrita...

Diego                     - Paola, fammi il piacere, controllati.

Paola                      - Hai ragione... non sei un ipocrita... tu sei in perfetta buona fede. È questo il terribile. Tu appartieni a quella razza in­feriore di uomini che possono anche com­mettere del male, non per malvagità... oh, no... per vanità... nella candidissima con­vinzione che tutto sia loro dovuto per dì-ritto di nascita.

Diego                     - Ma brava! E quando ti sei accorta che io sono così?

Paola                      - (un poco pentita di quello che ha detto) È la vanità che ti fa essere quello che non saresti... saresti leale, retto, pieno d'orgoglio...

Diego                     - Mi pare che ci siamo detto tutto... no? Adesso, vattene. E bada! Io posso dimenticare, come direttore della casa, questo colloquio... Voglio dire che tra me e te... fatta astrazione dai rapporti perso­nali che tu stessa hai voluto troncare de­finitivamente... lascicrò immutati i rap­porti diremo così... professionali...

Paola                      - (ridendo, fredda) Ah... Sci un mo­numento... Non mi getterai nella strada, insomma!

Diego                     - Ma non sopporterò ricatti. Mi in­tendi? No. perché alle volte, non si sa mai... Ricatti, no, a qualunque costo... Paola   - (lo guarda senza trovare parole: ha un tremito di sdegno e di commozione violenta, si preme un fazzoletto alle lab­bra e, sempre guardandolo, agita l'altra mano, come a descriversi l'inverosimile che le tocca di patire'). (In questa entrano Baldassarre, Marco, Zannoni, Ceretti, Giovanni). Baldassarre            - Eccoci qua, esultanti... Difoo          - Venite, venite.

(Il gruppo si avvicina al direttore mentre Paola attraversa la scena per uscire; sul­la porta è fermata da Giovanni).

Giovanni                - Che ha, signorina?

Paola                      - Io? Niente...

Giovanni                - È pallida... Trema... Che cosa.le è accaduto?

(Paola senza rispondere se ne va, e Gio­vanni, impressionato, la segue; Giovanni, uscendo, si imbatte in Sara, che entra e la urta).

Sara                        - Villano! (Entra).

Ceretti                    - Viva il nostro direttore!

Zannoni                  - Ceretti, stai al tuo posto...

(La porta del fondo si apre e Jole, Delia, Darturo, i camerieri, qualche signore ben vestito, gridano tutti insieme):

Voci                       - Viva!...

Delia                      - (venendo avanti) Finalmente!

Jole                         - Ma venite qui... Le bottiglie saltano!... Fa troppo caldo...

(Tutti vanno al fondo, salvo Diego, che prende a parte Sara).

Diego                     - Che cosa sei venuta a fare?

Sara                        - Posso io mancare alla tua festa?

Diego                     - Ma che cosa rappresenti qui?

Sara                        - L'amore... e la fantasia... (Ride e va al fondo).

Baldassarre            - ( va a battere alla spalla di Die­go, che deve lasciare Sara; questa ne pro­fitta per andare al fondo in mezzo alla gente) Io, col mio intuito psicologico, avevo preveduto la sua ascesa. La tenevo d'occhio da qualche tempo... Ne vuole una prova?... Legga il manoscritto del mio ul­timo romanzo... Gian Maria Chiaromon-ti è lei...

Diego                     - E chi sarebbe Gian Maria Chiaro monti?

Baldassarre            - Il protagonista... Lo legga... Il protagonista!... (Una bottiglia salta fra le grida del fondo).

Delia                      - Ma, direttore, si decida!... Lavorerà domani...

Diego                     - ( si avvia verso il fondo).

Giovanni                - ( entra e trae Marco da parte).

Marco                     - ( ha un bicchiere di spumante in ma­no e teme che si rovesci) Piano, piano... È oro...

Giovanni                - Lo sapeva, lei, che Paola era l'a­mante di Mastrangi?...

Marco                     - Ah... Davvero?... (Resta incantato).

Giovanni                - Che cosa pensa?...

Marco                     - Se le ho mai usato nessuna scorte­sia... No, no... sono a posto! (Beve). (Al fondo risata e rumori di voci).

Giovanni                - Bisognerebbe portar via quei due... Una scena di pianti... Non vorrei che succedesse qualche cosa.

Marco                     - Ma dove, chi?

Giovanni                - Di là, Paola, con suo padre...

Marco                     - Oh, santi numi... Io volevo bere...

Giovanni                - Beva in fretta almeno e venga... (Esce di nuovo).

Marco                     - ( beve lentamente e scrolla le spalle come chi non vuole noie).

Baldassarre            - Ma qui ci vorrebbe un di­scorso.

Marco                     - Lo faccia lei! Zitti che parla il maestro...

Voci                       - Viva il maestro, viva!...

Baldassarre            - Gli scrittori sono dei pessimi parlatori, tuttavia...

Voci                       - Bravo, bravo!

Diego                     - Ma sia breve! (Risate).

Marco                     - Silenzio.

Baldassarre            - Signore e signori...

(Si fa un profondo silenzio intorno a Baldassarre che cerca le parole: in que­sto silenzio entra Passabò, di slancio).

Passabò                  - ( fermandosi in mezzo al gruppo) -Dododoniando la paparola...

Ceretti                    - ( rifacendolo) Dododo, guarda chi c'è! Papapa... (Risate).

Voci                       - Parla lui, parla lui...

Baldassarre            - E allora ci rinuncio io.

Marco                     - Be'? Avanti...

Jole                         - Ecco, Questo discorso me lo voglio proprio sentire... (Ancora risate: il gruppo ha circondato allegramente Passabò che si guarda intorno smarrito e pare esaurito dallo sforzo di tentare di parlare).

 Ceretti                   - Forza, dunque. Passabò... Oramai. comunque sia, avanti!

(Un silenzio: pare che Passabò voglia par­lare). DIEGO (gli si avvicina un poco e gli offre

una coppi di spumante) Prendi, bevi... Passabò (alla provocazione risponde con un moto d'ira repressa che desta un attimo dì apprensione negli astanti).

 Jole                        - Ma che cosa succede qui?

Paola                      - (entrando in fretta e liberandosi dalle premure di Giovanni) Mi lasci, mi lasci...

 Giovanni               - Signorina...

Paola                      - (guarda un attimo la scena ed e presa da un timore) Papà! Che cosa ha det­to?... Che cosa hai detto?...

Marco                     - Mah, niente ancora! Aspettavamo...

Paola                      - Papà... guardami!...

(Passabò guarda la figlia; sopraffatto dallo scherno, non riesce a parlare; si muove verso la figlia che lo prende a braccio e lo porta fuori mentre tutti gli altri, immo­bili, guardano).

TELA

ATTO TERZO

 La scena rappresenta un gaio studio-salotto da scapolo, molto moderno, molto ricco, elegante e comodo. Ampia finestra al fondo, novecentesca, che prende tutta la parete e, sotto, un divano con molti cuscini, un tavo­lino per il tè, servizio per fumare. Vasi di fiori dietro le tendine delicate, scaffalini da libri. Sulla sinistra una scrivania, con libri e carte. Sulla destra, una poltrona molto am­pia e comoda. Due porte: una a sinistra, coperta da tende, che serve da comune, e una a destra, più pic­cola. Telefono, radio. Pomeriggio inoltrato. Quando si alza la tela, la radio trasmette dei ballabili. Diego, in elegante veste da came­ra, è sdraiato nel divano, sotto la finestra, e quasi su di lui è seduta Sara. Bevono dello spumante, che è in una secchia sul tavolino da tè. Sara  (canticchia sull'aria trasmessa dalla ra­dio e beve). Diego ( fuma).

Sara                        - (si piega a cantare proprio sulla faccia di Diego, che non si muove; poi, non avendo evidentemente ottenuto il suo ef­fetto, si alza e si mette a ballare per la stanza, cantando sempre più forte; a un tratto guarda Diego, si indispettisce e va a chiudere la radio) Sci insopportabile! Ma che cosa hai? Diventi ogni giorno più muto...

Diego                     - Lasciami stare... (Si alza sul gomito per bere e poi si riadagia).

Sara                        - Senti, amore... Io non so più che cosa escogitare per farti parlare, sorridere...

Diego                     - Non ho voglia ne di parlare, né di sorridere... Però tu seguita pure i tuoi ten­tativi, che mi fanno piacere...

Sara                        - Non mi ami più..

Diego                     - E dalli!

Sara                        - Ma qualche cosa ci deve essere sotto questo tuo umore cattivo... Sei malato davvero? Può capitare, sai... Non si deve mai dire sto male, quando non è vero... Può avere una cattiva influenza sulla sa­lute.

Diego                     - Sto benissimo... malgrado tutto...

Sara                        - Hai delle preoccupazioni?

Diego                     - Se non avesse delle preoccupazioni, l'uomo non avrebbe bisogno della compa-. gnia delle donne...

Sara                        - Affari della ditta?...

Diego                     - ( si alza in piedi annoiato) Oh... quante domande!... Ti dico che non devi preoccuparti del mio stato d'animo. Non ti riguarda... Una donna come te non de­ve essere sciupata con dei discorsi seri...

Sara                        - Ma ne ho fatte di tutti i colori pri­ma... Mi sono vestita col tuo vestito, ho cantato, ho ballato... Che cosa devo fare?

 Diego                    - Ma va benissimo! Canta, balla... fammi il solletico magari... Ma non mi chiedere che cosa ho...

Sara                        - Le tratti tutte così male, le donne?...

Diego                     - ( sforzandosi, le prende il volto tra le mani) Che bel musetto... to' (Le dà un bacio). Sei un amore... Sai che ho final mente Ietto il tuo romanzo?...

Sara                        - SI? È per questo che sei così nero?... Potevi risparmiarti questa fatica...

Diego                     - To'... Perché?

Sara                        - Perché non voglio più che esca in una tua edizione. Oramai ci conosciamo, siamo diventati... amici.... No? Non vo­glio profittare delle circostanze...

Diego                     - Oh, questa e bella...

Sara                        - Sì, riconosco che la cosa ti può stu­pire... tanto più che è evidente che io ho cercato di farti la corte proprio per arri­vare alla pubblicazione del mio romanzo.

Diego                     - Be', questa tua dichiarazione non sarebbe gentile...

Sara                        - Il gentile viene adesso. Ho conosciuto l'editore e mi è passata la voglia di essere edita. Perché tu stamperesti quel romanzo soltanto perché è mio. No? Se no non ne faresti nulla... Ebbene, scusami, ma questo a me non piace. L'ho capito troppo tardi, ma... abbastanza presto... Io voglio meri­tarmi la mia vita.

Diego                     - Scherzi, o fai l'ingenua, o davvero...

Sara                        - Sì, noi scrittrici siamo abbastanza complicate, ma mi pare che le conquiste raggiunte per le vie traverse non si pos­sano conservare...

Diego                     - Parli come un libro di Stato. Mi compiaccio...

Sara                        - Perché? Che cosa faresti tu al mio posto? Ti prenderesti quello che non ti spetta soltanto perché le circostanze ti met­tono nella possibilità di concederti un pri­vilegio?...

Diego                     - ( in collera) Ma smettila con queste idiozie... Dimmi che il romanzo non ti in­teressa più, ma non mi fare questa le­zione...

Sara                        - Lezione?... Io a te? Perché t'arrabbi così ?

Diego                     - ( pentito dello scatto) No, niente... dicevo per dire... (Una telefonata lo toglie di imbarazzo) Pronto?... Ah, è lei, cava­liere?... Eh, sempre così... Il dottore non mi permette di uscire. Va bene... se c'è da firmare può venire... Come? Anche la ba­ronessa con la signorina... Qui da me? Ma quando?... Oh... mi avverta almeno pri­ma... Se può, s'intende. (Depone il rice­vitore). Mancherebbe anche questa... che venissero oggi...

Sara                        - Hai paura, eh, che ti trovi con me?...

 Diego                    - Paura?... No, perché adesso io ti mando via...

Sara                        - L'ami?...

Diego                     - Io? Per carità...

Sara                        - Ma chi ami tu?...

Diego                     - Mah!...

Sara                        - Giù le mani. Sei un uomo miste­rioso...

Diego                     - Va via, se no ti stampo il romanzo. E tutti sapranno il perché. (SÌ ode il suono di un campanello interno).

Diego                     - E adesso incominciano le secca­ture...

Sara                        - Già il tuo segretario?...

Diego                     - Ma che! TrooDO presto... Ma sai... lutti vengono a casa. Scrittori, professori, traduttori... Ah... portiamo via questa ro­ba, aiutami... (Portano via la bottiglia, i bicchieri, il secchiello).

Sara                        - (andando su e giù) Ma tu perché li ricevi?... Non sei ammalato?... almeno per il pubblico...

Diego                     - Ma e appunto perché sono amma­lato per il pubblico che devo ricevere tutti...

Berta                      - (la cameriera) Scusi, c'è un signore...

Diego                     - Autorevole?...

Berta                      - Non mi pare, veramente.

Diego                     - Non gli hai chiesto chi è?

Berta                      - Sì, ma balbetta.

Diego                     - ( scattando) Un uomo d'età... semi­calvo...

Berta                      - Sì... Con un vecchio pastrano...

Diego                     - ( agitatissimo) L'hai fatto passare in salotto?

Berta                      - No, non sapevo...

Diego                     - Chiudilo in salotto e aspetta a farlo passare che Sara se ne sia andata... (Via Berta) Tu, spicciati, vatti a vestire...

Sara                        - Ma chi è?

Diego                     - E chi lo sa?...

Sara                        - E per uno che non sai nemmeno chi sia ti agiti così?...

Diego                     - Vai o non vai?  

Sara                        - Vado, vado... (Via).

Diego                     - Brava... (La sorveglia dalla soglia) No, no, il cappellino l'hai messo là... La borsetta là... (Rientra in scena e va alla scrivania sulla quale cerca di creare un pò di disordine, aggiungendo alla rinfusa delle carte che leva dai cassetti),

Sara                        - (compare vestita. Solenne) Diego, an­cora una parola...

Diego                     - Su, via.... non ho tempo adesso... fammi il favore, cara... Ritorna domani...

Sara                        - (sta per uscire e poi si ferma) Pare proprio che tu non ti sia accorto che è ac­caduto un dramma.

Diego                     - Dove?

Sara                        - Qui, ora, fra noi due...

Diego                     - No, senti...

Sara                        - Eh... Io mi getto fra le tue braccia per ottenere un favore. Stai per concedermi l'agognato favore e io ci rinuncio perche mi sembra ignobile accettarlo... Doman­da: Che cosa torno a fare io qui?...

Diego                     - Senti... adesso...

Sara                        - Se ti amassi... Ma non ti amo...

Diego                     - Sara, guarda che io avrei fretta...

Sara                        - Fai, fai... Forse ne caverò una no­vella. (Esce).

(Diego si mette immediatamente alla seri vania e sfoglia delle carte col fare di un impiegato che attende un superiore. Si­lenzioso, cupo, tetro, compare Passabò che si ferma stilla porta a guardare Diego).

Diego                     - ( finalmente si decide a vederlo) Oh... Tu qui?... Come mai? (Passabò entra e si avvicina lentamente alla scrivania).

Diego                     - Tutto avrei potuto aspettarmi oggi, meno una tua visita... Dopo tanto tempo...

Passabò                  - ( con voce fioca e stanca) Mi hai chiamato e io sono venuto. (Si siede pe­santemente. Il suo logoro pastrano è pieno di carte che escono da tutte le tasche).

Diego                     - Io ti ho chiamato?...

Passabò                  - Ho sentito...

Diego                     - Ah... Hai sognato...

Passabò                  - Può darsi. (Pausa di sguardi) Ma è da stamattina alle undici che giro intor­no a questa casa. Va male, eh?...

Diego                     - Che cosa?

Passabò                  - Tutto.

Diego                     - Tutto che?

Passabò                  - Tu. La ditta. Passi un brutto quar­to d'ora, lo so...

Diego                     - Ma non dar retta alle chiacchiere...

Passabò                  - No, no... So tutto. Sono giornali­sta, adesso...

Diego                     - Ah... Ti trovi bene al Meridiano:

Passabò                  - Correggo delle bozze e tendo l'o­recchio...

Diego                     - E si dice che?

Passabò                  - Che hai fatto una pessima prova... Che adesso fingi di essere ammalato per prrendere tempo... che da un momento all’altro ti capiterà tra capo e collo un ulti­matum governativo...

Diego                     - E a te, che te ne importa?...

Passabò                  - Per te? Niente...

Diego                     - ( incerto, con carità) È forse Paola che ti manda?

Passabò                  - No... Ma non parliamo di Paola. Paola non mi parla mai di te. E tutto po­trebbe comprendere meno che io sia qui.

Diego                     - Come sta? Che fa?

Passabò                  - Fa della pubblicità per l'Agenzia. Mondiale... Un mestiere che distrae...

Diego                     - Mi porta molto rancore?

Passabò                  - Il rancore diventa disprezzo e poi diventa noncuranza...

Diego                     - Insomma, si può sapere la ragione della tua visita?

Passabò                  - Vuoi che me ne vada?

Diego                     - Non dico questo, ma dal momento che hai perfino Paria di tradire la fami­glia, venendo in casa mia...

Passabò                  - Se vuoi, me ne vado... Dimmi : vatttcne! E io me ne vado...

Diego                     - Senti, Passabò. Capisco quello che vuoi dire.... capisco i sottintesi, le pause, le virgole... tutto... Sentimi bene: O e vero quel che si dice e allora, non so co­me potrei salvarmi... o non è vero e al­lora... puoi andare, stare... è Io stesso...

Passabò                  - (si alza lentamente e si avvia alla porta; giunto alla soglia si ferma a guar­dare Diego) Evidentemente ho sbaglia­to... Me ne vado...

 Diego                    - Ma sbagliato che?

Passabò                  - ( sorride) Sbagliato di aver sentito che mi chiamavi a gran voce notte e gior­no... Sbagliato di avere creduto che fosse giunta l'ora della mia giusta rivincita... Pazienza... Aspetterò ancora. (Si muove per uscire).

Diego                     - Hai un modo di parlare che non invita certo alla confidenza... Che cosa vuoi che ti dica? Che ho bisogno di te, che non posso lasciarti andar via senza chiederti in ginocchio che mi aiuti?...

Passabò                  - ( ritorna in fretta verso Diego e gli tende la mano) Basta così. Per quel resto di dignità che mi posso ancora permettere dopo avere varcato quella soglia, mi basta. Rimango. Sono a tua disposizione. Ecco qua... (Si batte le mani sulle tasche piene di carte) Tu dormivi... afiondavi... ma io lavoravo... Due mesi di lavoro e di medi­tazione... Come ho vissuto!... Irresistibil­mente... fino all'ebbrezza... fino al vizio quasi... Sì, perché non volevo, non vole­vo... Ma tutta la mia vita gravitava su questo lavoro... E che gioia, quando ce­devo finalmente... e mi nascondevo agli occhi di tutti, per bere, bere, bere la co­scienza di me stesso... E che sorprese... Che miraggi... che fantasie... che oblio... Ma tu non puoi sapere... non puoi sapere... (Si batte la tasca destra) Organizzazione dei depositi. (Si batte la tasca sinistra) Progetto degli scambi universitari. (Sul petto a destra) Circoli letterari. (Sul petto a sinistra) Sezione pubblicità... documen­tari cinematografici... Qui ci sono delle idee...

Diego                     - Va bene, va bene... Eh... Quanto?...

Passabò                  - Come quanto?... Niente... Perche?

Diego                     - Niente?... Ma... allora, siamo da ca­po... Che cosa vuoi da me?

Passabò                  - E che cosa devo volere?... Che tu... (Cerca di dire una parola che non gli esce).

Diego                     - Insomma, io posso prendere tutta quella roba, servirmente a mio piacere...

Passabò                  - Come l'altra volta, tale e quale...

Diego                     - E non vuoi niente...

Passabò                  - Io non ho bisogno di denaro... Che me ne faccio?...

Diego                     - Allora mi tendi qualche tranello. Vieni qui con le braccia cariche di doni, non so se d'oro, d'argento o di stagno...

Passabò                  - Oro, oro... Ventiquattro carati, ga­rantiti... (Pausa) Paola, no, Paola non sa, non deve sapere... Non mi far parlare... Salendo queste scale ho sentito il cuore che pesava una tonnellata... Che vergo­gna... (Pausa) E allora? Vuoi che ti renda conto del mio lavoro, o no?...

Diego                     - No. Non voglio vedere niente.

Passabò                  - No? Perche?

Diego                     - Non mi dire nulla... Non voglio nulla…. Basta... Non posso più sopportare…..

Passabò                  - Che cosa?

Diego                     - Niente. Nemmeno te.... nemmeno me stesso... È vero, sai? Avevi indovinato dicendo che io ti avevo chiamato... Veris­simo...

Passabò                  - ( illuminato) Ah... dunque...

Diego                     - Cento volte in questi due mesi ero stato preso dalla tentazione di averti qui... perche immaginavo che saresti venuto co­sì... Pieno di carte,., di idee... Ma non ho voluto... Ho resistito... È inutile che tu venga fin qui a tentarmi facendomi ve­dere la salvezza... la soluzione di tutte le mie incertezze... È inutile... Non sono quello che mi credi... Puoi andartene...

Passabò                  - La gente riderà di te... I tuoi amici ti rinnegheranno...

Diego                     - Non importa...

Passabò                  - Dovrai andartene...

Diego                     - Va via! Va via! Non sarò né il pri­mo né l'ultimo fallito di questo mondo.

Passabò                  - ( deciso) Ma io pretendo che quel che ho fatto non si disperda così... non voglio! (È interrotto da un suono di cam­panello).

Diego                     - E poi, vedi... c'è gente... Adesso ti devi nascondere di là...

Passabò                  - Nascondere, io?... Perché?... Chi mi conosce?

Diego                     - Ma è gente della ditta, cortamente... deve venire il segretario per delle firme... Fammi il piacere, un momento solo. Cin­que minuti soli e poi te ne andrai an­che tu...

Passabò                  - ( andandosene) Cinque minuti! (Uscito Passabò, Diego riprende il suo pò sto alla scrivania e incomincia ad affettare stanchezza, malattia).

Berta                      - (si guarda attorno) È solo?...

Diego                     - Sì.

Berta                      - Dov'è quell'uomo?

Diego                     - Di là... Chi c'è?

Berta                      - (si china all'orecchio di Diego e mor mora una parola).

Diego                     - ( balza in piedi) Ma... sono in veste da camera... Un momento che mi vesta... Pregale dì aspettare un momento solo...

Jole                         - (entrando) No, no... non importa... non faccia cerimonie... Lei probabilmente era sdraiato... Si sdrai ancora... Non voglio che si affatichi per me... Ecco... possiamo fare entrare Delia.

Diego                     - ( a Berta) Vai a prendere una coper­ta di là...

Jole                         - Siamo venute tutte e due in missione diplomatica... Perché sono accadute due-cose stranissime.

Diego                     - ( a Berta) Fai entrare la signorina... (Via Berta).

Jole                         - Dunque... Bisogna che lei si metta proprio in mente di guarire presto... Quan­do crede di guarire?

Diego                     - Ma, non saprei... Le malattie di ner­vi sono bizzarre...

Jole                         - In questo caso bisogna prendere un provvedimento energico. (Compare Delia sulla porta) Ma, figlia mia, spicciati...

Delia                      - Diego... (Con slancio abbraccia Diego) Caro... Sei contento che sia venuta?...

Diego                     - Naturalmente. Se avessi saputo... ti avrei fatto trovare dei fiori... qualche cosa... Non posso nemmeno offrirvi...

Jole                         - Niente, niente...

Delia                      - La zia doveva venire da te per in­formarti di cose poco simpatiche...

Iole                         - Non anticipare...

Delia                      - È meglio incominciare dicendogli qualche cosa, no?... Vuoi dargli un colpo tutto in una volta? (A Diego) Allora ho detto « Voglio venire anch'io »... Pare che la cosa non sia molto elegante. Ma io non sono schiava dei pregiudizi...

Diego                     - ( impaziente) Ma allora, signora...

Jole                         - Ecco qua. L'altra sera eravamo dai Magnavanna... Conosce, vero?...

Diego                     - Bene?

Delia                      - Quelli che hanno quella macchina rossa fuoco... La figlia scappò con un ge­nerale a riposo...

Jole                         - Be', adesso si divertono, ricevono... si giuoca a bridge, si balla... hanno una bella società e Delia volle andarci per for­za non ostante il mio mal di capo...

Delia                      - Finto...

Jole                         - Ma come, finto?... ho preso tre polve­rine... Be'... non perdiamoci in chiaccnicre, perché dobbiamo dire delle cose molto im­portanti... C'era un amico della contessa, uno di quelli che vengono da Roma e sanno sempre tutto.. Un certo commen­datore... Filone, mi pare...

Delia                      - Majone...

Diego                     - il nome non ha importanza...

Jole                         - Era per sapere se lei lo conosceva... Insomma, io, non so come, ho parlato di lei... Sentendo il suo nome, questo ha in­cominciato a malignare...

Delia                      - Se c'ero io lo prendevo a schiaffi...

Diego                     - Dov'eri tu?

Delia                      - Eh, ballavo, no?...

Jole                         - Ma se non mi lasci parlare... Io, senza far mostra di interessarmi troppo alla cosa, lo taccio cantare e mi dice...

Delia                      - Che il famoso Mastrangi è un pal­lone gonfiato, che la sua malattia è ritti-zia, che a Roma si sa tutto... Quando la zia me l'ha ritento sono quasi svenuta ma pensa...

Jole                         - Scusa cara... Lasciami dire... Secondo lui, perhno la famosa relazione che fece tanto fracasso non sarebbe stata fatta da lei, ma da...

Delia                      - Taci, zia!... Lascialo indovinare... Indovina chi avrebbe fatto la relazione...

Diego                     - In questo momento, proprio, non ho fantasia...

Jole                         - Dal romanziere... come si chiama... quello che chiamate il maestro...

Diego                     - Farvocapo...

Jole                         - Parvocapo... Benissimo...

Diego                     - Be', questo lo ha fatto credere lui... ne sono certo...

Jole                         - E come se questo non bastasse... Ma guarda come suda, poveretto...

Delia                      - Ma stamattina... Una telefonata, a mio zio...

Diego                     - Del commendatore?....

Jole                         - No. Parlava da Roma il segretario di non so qual ministro, avvertendo che lu­nedì, cioè a dire, dopo domani, un fun­zionario sarebbe stato qui, a svolgere una inchiesta sulla attività del signor Ma­strangi, e per studiare l'opportunità di passare le idee di Mastrangi a un'altra ditta, per fare quel che si deve fare ec­cetera... Capito? Io mi son detta: sarà bene informare quel disgraziato che è am­malato...

Diego                     - Un'inchiesta...

Delia                      - Io domando che cosa vogliono sapere... Se uno ha fatto un progetto genialevuol dire che è geniale... Se per un momento non lo è, sarà ammalato, no?

Jole                         - Brava...

Diego                     - Signora... Io la ringrazio delle sue preziose informazioni...

Delia                      - Abbiamo fatto bene, vero?...

Diego                     - Benissimo. Ma non c'è da preoccu­parsi... Lunedì sarò io stesso in ufficio... e mostrerò a quel signore dell'inchiesta che io, anche indisposto, ho lavorato co­me un mago per essere pronto, per rispon­dere alle attese...

Delia                      - Se sarai guarito, però... Perché al­trimenti... non ti muovi per tutte le inchieste del mondo...

Diego                     - Stai tranquilla, cara... Del resto, vedo che anche senza di me trovi il modo di divertirti...

Jole                         - Lo vedi? Te lo dicevo...

Delia                      - Perché sono andata qualche volta a ballare?... L'altra sera dai Magnavanna ho ballato col vice prefetto, col segretario generale del Comune...

Jole                         - Bene, adesso basta... Noi ce ne an­diamo più tranquille, no?

Diego                     - Tranquillissime... I miei argomenti confonderanno tutti i maligni...

Jole                         - Sono molto contenta...

Berta                      - (entra) Il signor Giovanni Andrea.

Diego                     - Avanti... (via Berta).

Jole                         - A rivederla, signor Mastrangi... Se incontro di nuovo quel tale commendato­re, lo farò cantare ancora, e verrò a rife­rirle...

Diego                     - Grazie, signora, molto gentile...

Giovanni                - ( entrando con una borsa sotto il braccio) Buon giorno... (si inchina alle signore).

Diego                     - Conoscono, vero?...

Giovanni                - Ho già avuto il piacere...

Jole                         - (squadrando il giovane con l'occhialato) Non mi pare.

Delia                      - Ma sì, zia... Non ti ricordi quando ti eri impuntata a parlare con quel bal­buziente?...

Giovanni                - Sì... precisamente...

Jole                         - Ah, già... (A Diego) Lo ha cacciato via lei quel tipo, non e vero?

Diego                     - Cacciato via...

Jole                         - Come si dice... defenestrato...

Giovanni                - Licenziato, signora. Defenestrato si dice soltanto quando si tratta di auto­rità...

Jole                         - Già... simpatico, il giovanotto... Li­cenziato... E dove è andato a finire?...

Diego                     - Ma... non so...

Giovanni                - Fa il correttore di bozze in un giornale...

Jole                         - Il correttore di bozze? Strano... Un balbuziente?... Mi pare una contraddizio­ne... Se scrive quello che dice...

Delia                      - (a Diego) Un bacino?...

Jole                         - Ma, figlia mia, c'è un giovanotto.

Giovanni                - Non mi dà fastidio, signora-Prego...

Delia                      - Grazie... (Dà un bacino a Diego).

Jole                         - E lei viene per l'ufficio?

Giovanni                - Firme, signora, il segretario non ha potuto venire perché è stato chiamato in prefettura...

Diego                     - ( impressionato) In prefettura?...

Jole                         - (guarda Diego e fa un gesto come dire: « Ci siamo ») Caro Mastrangi... Speriamo bene... Arrivederci.

Delia                      - Ciao... (Esce).

Giovanni                - ( chiude l'uscio e si volge verso Diego) Come va?

Diego                     - ( preoccupato ma dominando il suo stato d'animo) Come va? Va benissimo. Molto meglio di quello che non si creda.

Giovanni                - Ma che hai?

Diego                     - Niente. Puoi dire a tutti coloro che mi vogliono vedere morto che viceversa sono vivo. Vengano pure con l'inchiesta, le indagini, le minacce... Sono pronto...

Giovanni                - Che inchiesta?

Diego                     - So io. Credono che io sia stato con le mani in mano tutto questo tempo...

Giovanni                - No?...

Diego                     - Anche tu lo credevi? Ingenui! Due mesi di lavoro... Non mi lascerò colare a picco tanto facilmente. Di fronte al ma­teriale che ho preparato, ne voglio vedere delle facce confuse... Avanti, dammi da firmare...

Giovanni                - Non c'è niente da firmare...

Diego                     - Cioè?

Giovanni                - Ho detto quello che mi è venu­to in mente. Perché io sono venuto per un'altra cosa...

 Diego                    - Allora, non è vero che il segretario sia stato chiamato in Prefettura?...

Giovanni                - Ma che! Dovevo pur giustificare.

Diego                     - ( più libero) Ah... E che vuoi?...

Giovanni                - Ho accompagnato qui... Paola.

Diego                     - Paola? Ma che ti salta in mente?... Diventi matto?

Giovanni                - Mi ha pregato... Sarebbe venu­ta lo stesso...

Diego                     - Ma allora quelle due...

Giovanni                - Non la vedranno. È nel salot-tino.

Diego                     - Ma... che cosa vuole da me?

Giovanni                - A lei, non ho chiesto nulla. Chiedo a re...

Diego                     - Che cosa?

Giovanni                - Perche la fai soffrire?...

Diego                     - Ah... Ha creato il romanzo...

Giovanni                - No... ma io so...

Diego                     - Ma di che ti occupi tu?

Giovanni                - Mi occupo dei miei sentimenti, se permetti...

Diego                     - Ah, bene... ti ha conquistato? Me­glio... Ma io non ti ho chiesto il tuo pa­rere.

Giovanni                - E io lo dico lo stesso. Quando si impegna così la vita di una ragazza, non la si tratta come hai fatto tu... vedrai come è ridotta...

Diego                     - ( pausa) Bisognerebbe sapere come si è costretti a vivere e che cosa si di­venta. Tu hai venticinque anni.

Giovanni                - E io profitto della circostanza di avere venticinque anni per esimermi dal-l'obbligo di capire certe cose, che non vor­rò capire mai...

Diego                     - Vi date delle arie perché non avete esperienza... Chi ne ha...

Giovanni                - Chi ne ha farebbe bene a non vantarsene, intanto. Perché novanta vol­te su cento si chiama esperienza l'attac­camento ai propri errori, il residuo delle proprie amarezze e dei rancori. Bella roba, l'esperienza! Lasciate giudicare a chi non ne ha affatto, se volete un giudizio sereno, serio...

Diego                     - Ma, insomma, si può sapere che vuoi?

Giovanni                - Venti giorni fa, chiesi a Paola se mi voleva sposare...

Diego                     - Ah... (Con attenzione) E lei?...

Giovanni                - Non ha voluto. Non credo che ami ancora te... ma e un fatto che pensa sempre a te. Dunque, tocca a te salvarla.

Diego                     - Ah, allora sai perché è venuta...

Giovanni                - Ti ho detto che non so che cosa voglia lei... Adesso parlo per conto mio... Tratto affari miei, se non ti dispiace. Ti dico che devi salvarla... che una volta tanto devi compiere un gesto di bontà... Porta fortuna essere buoni... E se di for­tuna hai ancora bisogno...

Diego                     - Che discorsi sono questi?... Dove vuoi andare a parare?

Giovanni                - UffahL. senti, fa un po' tu quel che ti pare... Ma stammi bene at­tento. Cattivo o buono, con lei... sii cat­tivo o buono, tutto d'un pezzo... fino in fondo... Perché, chi lo sa? Se sei proprio tutto cattivo, può darsi che sia un gran henc per lei...

Diego                     - Ho capito... Tu l'aspetti sulla porta...

Giovanni                - Precisamente. L'aspetto sulla porta. Se quando esce ride, mi squaglio... Se invece piange ancora... allora...

Diego                     - Ma tu che cosa desideri?

Giovanni                - Io?... Il suo bene... (Pausa).

Diego                     - ( strìngendogli la mano) Ti invidio...

Giovanni                - Che cosa?

Diego                     - Sei un bravo ragazzo! (Poi, dopo una breve pausa, si prende la testa fra le mani) Ma per me è finita, finita!?...

Giovanni                - ( affettuosamente) Che hai? Dim­mi... Non ti fidi di me?

Diego                     - A che varrebbe? Si può forse ri­cominciare tutto da capo? Si possono can­cellare gli errori, distruggere il male che-si è fatto?...

Giovanni                - Ci si può calmare, raccogliere...

Diego                     - Già... Andando a sciare alla do­menica...

Giovanni                - ( arrabbiatissimo) Ma tu hai mai sciato? No. E allora che ne sai? Questa è esperienza... Be', te la mando... (Esce),

Paola                      - (dopo un attimo entra e si guarda intimo).

Diego                     - ( andando verso di lei) Paola...

Paola                      - (senza nemmeno guardarlo) Mio padre è qui?

Diego                     - Tuo padre?... Hai scelto uno stra­no pretesto.

Paola                      - Non è un pretesto. È un sospetto, un cattivo sospetto. Non avrei varcato la soglia della tua casa per nessun mo­tivo al mondo. Io so che cosa è la dignità. Ma da dieci giorni sono tormentata da un'idea che non mi dà pace né giorno né notte.

Diego                     - Cioè?

Paola                      - Mi sono accorta che mio padre la­vora febbrilmente di nascosto. Ho cerca­to di vedere le sue carte, ma non ci sono riuscita perché le chiude gelosamente nei suoi cassetti. Ma ci vuole poca fantasia a capire di che cosa si occupi.

Diego                     - E con questo? Lascialo fare... e naturale che...

Paola                      - Lascialo fare?... Così, semplice­mente? Prima di tutto, se la cosa finisse lì sarebbe una pazzia pericolosa e io avrei il dovere di preoccuparmene... Ma non credo... non è pazzo. Ho paura che vi sia di peggio. Questa mattina è uscito verso mezzogiorno e non è più rientrato, nemmeno per la colazione... Non l'ha mai fatto. Tutto questo mi agita, mi in­quieta...

Diego                     - Ma perché dovrebbe essere pro­prio qui?

Paola                      - Oh, anche se non ci fossero altre cose a farmelo pensare, basterebbe il fat­to che proprio questa mattina io ho tro­vato i suoi cassetti aperti. Aperti ma vuoti. Dove ha portato quella sua roba. se non qui?...

Diego                     - Scusami, ma ho l'impressione che tu ti abbandoni eccessivamente a delle sensazioni irragionevoli e a delle interpre­tazioni meno ragionevoli ancora...

Paola                      - Vorrei sbagliarmi... da un lato. In ogni modo io mi sento inquieta... Ho bi­sogno di sapere...

Diego                     - Ma via! Non agitarti così... Non po­trei darti una spiegazione ragionevole del­la cosa...

Paola                      - Lo vedi ?

Diego                     - ...ma vedrai che rientrerà certamen­te.., per la oena... vedrai e allora ti spie­gherà lui...

Paola                      - (tnsospettila) E che ne sai tu?

Diego                     - Io? Niente. Ma prima di spaven­tarti così... Hai domandato al giornale?...

Paola                      - No... non ci ho nemmeno pensato... quando non ho più resistito ad aspettarlo, sono venuta direttamente qui...

 Diego                    - Ma era la prima cosa da fare! Vai, vai subito al giornale. Vedrai che è là...

Paola                      - Insomma... qui non c'è?...

Diego                     - Ma no...

Paola                      - Posso telefonare di qui?... Un mo­mento solo...

Diego                     - Sì, ma... sì, sì... fai pure... (È imbarazzatissimo).

Diego                     - Telefoni al giornale?...

Paola                      - (componendo un numero) Al giorna­le, agli ospedali, a non so dove! Mezzo mondo...

Diego                     - ( fermandole la mano che sta sul qua­drante del telefonò) È qui.

Paola                      - (guardandolo con profonda costerna­zione e alzandosi dalla sedia dove si era seduta per telefonare) Dunque, avevo ca­pito! Ha potuto fare questo!

Diego                     - È venuto per...

Paola                      - Per diventare il tuo servo...

Diego                     - Ti giuro, Paola, che io non ne sa­pevo nulla... è comparso qui...

Paola                      - Oh, tu non sai mai nulla, tu. Ti co­nosco. Tu fai benissimo. Tu prendi il bene dove lo trovi. Ma lui, lui che non aveva altro bene che me...

Diego                     - Ma prima di avventare giudizi devi considerare...

Paola                      - Io non avevo altro bene che lui... Oh... digli che me ne vado, me ne vado lontano a vivere sola... Come potrei tro­varmi ancora con lui nella stessa casa... come potremmo guardarci in faccia... Mi ha dimenticata, tradita...

Diego                     - Ma via! Mi sembrano parole un po' forti...

Paola                      - Oh... naturalmente! Per te che con­sideri la cosa dal tuo punto di vista... Eh, tu ne ricavi un vantaggio... Ma io? Non ti rendi dunque conto dell'offesa che mi ha fatto... venendo qui, con te... per te... Non lo sa, lui, il male che mi ha fatto?

Diego                     - Ma io sono sicuro che lui non ha nemmeno pensato...

Paola                      - Ecco, proprio... non mi ha nemme­no pensato... No, non c'è più niente da dire... Digli che Paola se ne è andata... (Si muove per uscire, ma è trattenuta dalla voce del padre).

Passabò                  - ( comparendo sulla porta della stan­za) Non te ne andare!

Paola                      - (si volge).

Passabò                  - Ascoltami, prima...

Paola                      - Che cosa puoi dirmi?... Non è me­glio tacere?... Non obbligarmi a soppor­tare una situazione così penosa come questa mia, fra te e lui...

Diego                     - ( facendo l'atto di andarsene) Vo­lete?...

Passabò                  - ( fermandolo) No! Restai Bisogna avere finalmente il coraggio di affrontarle, queste situazioni... Se no, diventano delle catene, dei vizi mentali...

Paola                      - No, te ne prego... Non è possibile... Tutto avrei potuto immaginare meno che tu, proprio tu... trovassi possibile una qua­lunque comunanza con quest'uomo...

Diego                     - Oh, Paola, se sapessi come le ho pagate care le mie leggerezze!

Passabò                  - ( fermando Diego) Ma no, ma no, un momento... L'imputato, adesso, sono io... Ebbene, sì... Io riconosco di avere compiuto un gesto che un padre non avrebbe dovuto commettere. Effettivamente ho tutta l'aria di tradire la più naturale solidarietà del sangue, del cuore... e la cosa, al lume di un modo di sentire co­mune, potrebbe anche essere giudicata molto severamente... Oh, credi che io non abbia rivolto queste domande alla mia coscienza?...

Paola                      - Se ti fossi domandato che cosa sa­rebbe restato di me, dopo questa brutta cosa...

Passabò                  - Ma la colpa è tua!... Tua! Oh... Tu dici tradimento... Sì, dico, può pa­rere... Ma anche tu perché non pensi che a te sola? Perché non ti sei posto il mio problema? Tu non ti sei mai domanda­ta: che cosa sarebbe restato di questo povero uomo dopo quel certo fatto che gli ha rivelato la burla della sua esisten­za... Tu, pur di salvare da una mortifi­cazione, da una piccola mortificazione che gli sarebbe forse stata salutare, l'uo­mo che amavi, hai messo tuo padre di fronte a un dolore che non puoi nemme­no immaginare quanto sia amaro... Hai pensato a me tu? Tu non hai pensato che a lui...

Paola                      - Ma è assurdo! Come potevo pen­sare che tu...

Passabò                  - Non potevi pensare che avrei vin­to la mia battaglia? E allora perché in-" vocavi il mio aiuto per lui? Ah, ecco, tu non potevi prevedere quali angosciose conseguenze avrebbe avuto in me la vit­toria... Oh, questo sì... Perché non pen­savi che a lui... a lui solo... Perché lo amavi disperatamente, perché era lui la tua giovinezza, la tua vita, la tua logi­ca... E va bene... Ma, comunque, queste conseguenze ci sono state. Il non averle prevedute non le distrugge. Ci sono. E sono la mia sofferenza, la mia angoscia di ritardatario che arriva quando la vita e finita e si spengono i lumi Ma poi, ve­diamo, vediamo: in che cosa consiste questo mio tradimento?... Bisognerebbe pensare che io e lui, te assente, te ignara, fondessimo insieme le nostre fatiche per una gioia comune... No, no... non c'è gioia! Io vivo per me, per me solo... Io non so nulla di lui... Non ho nulla di comune con lui. L'occasione, ecco, come due viaggiatori sullo stesso treno...

Diego                     - ( irrompendo) Peggio, peggio, peg­gio!... Ha ragione lui... Non puoi nem­meno accusarlo di beneficarmi... Perché ti assicuro che non sono affatto orgoglio­so di quel che mi tocca di fare e se non fossi a mia volta stritolato dalle circostan­ze, da dei casi che io forse merito, ma che non ho voluto...

Paola                      - Ah, bene... In una cosa almeno an­date d'accordo.. Nell'accusare me, che ho compiuto un gesto d'amore... Ma quando io, pur di salvarti, ti procurai l'aiuto di mìo padre, non pensai di isti­tuire un sistema di vita, una morale. Si può salvare un uomo che affoga, ma e ridicolo pensare di portarlo sulle spalle tutta la vita... No, no, è inutile ricorrere alla logica per salvarsi... Certe posizioni si condannano da sé perché il sentimento le rifiuta. Ora, che non avessi cuore tu (verso Diego) lo sapevo... Ma tu! (al Pa­dre) Tu non dovevi dimenticare le lacri­me che mi hai visto piangere, quelle la­crime che tu stesso asciugavi con tanta tenerezza !

Passabò                  - No, che non le dimentico!

Paola                      - La ragione di quelle lacrime era qui, dove tu ora vieni di nascosto... v

Diego                     - Bisogna bene che tu mi odi per sentire in tal modo l'offesa che ti abbia­mo fatto!...

Paola                      - Avete calpestato tutti e due la vo­stra dignità. (A Diego) Tu per vanità, e lui per...

Passabò                  - Per diritto di vita!

Paola                      - Ma è brutto...

Passabò                  - Ah, no! Quando un uomo si con­sacra onestamente, puramente, alle ragio­ni dell'opera sua...

Paola                      - Servendo?

Passabò                  - I servitori indispensabili non han­no padroni. Per me, per me, la logica delle mie azioni e limpida. Io sono un povero vecchio che, come tanti altri, ha fallito la sua vita... Ma all'ultimo momen­to ha salvato qualche cosa: una piccola cosa forse, una favilla, una lucciola... Eb­bene, questo povero uomo, per una legge istintiva, universale, più forte di qualun­que sentimento umano, non può resiste­re al bisogno di trasmetterla a un uomo più giovane di lui... meritevole o no, questo non importa... Non potevo sce­gliere... Non io, non io sono fuori del sentimento... Siete voi due che vi dibat­tete ancora cercando una certezza qualun­que... Trovatela e vedrete che con la vo­stra logica troverete il palpito del cuore, una morale, una quiete...

Paola                      - Avrò torto. Ma ho il cuore troppo grosso per capirlo...

Diego                     - Paola. Che tu pensi di me quel che pensi... l'ho forse meritato... Non ho niente da dire... Ma quando parli di tuo padre non devi usare la parola servo... Passabò, vuoi essere la mia guida, il mio maestro?...

Paola                      - Ma...

Passabò                  - ( fermandola) Aspetta... Poi te ne andrai subito, se vorrai... Hai detto maestro?

 Diego                    - Sì, alla luce del sole...

Passabò                  - Oh... per me, non chiedo tanto... Ma per te... ti basta?...

Paola                      - (attenta) Che vuoi dire?...

Passabò                  - ( con un gesto nervoso la fa tacere).

Diego                     - Hai ragione, non basta. Bisogne­rebbe che tu tossi... mio padre...

Passabò                  - ( trionfante) Ah... Ma a quale a-stronomica profondità si trova il cuore di un uomo se è tanto difficile arrivarci? Paola, hai udito?

Paola                      - (comprende, si irrigidisce di nuovo, guarda un momento; e poi a Diego che­la guarda attendendo) No... oramai, questo no!... (Esce in fretta).

Diego                     - Non ha voluto perdonarmi...

Passabò                  - Non fa niente... (Trascinandolo quasi a forza verso la scrivania) La-la-lavoriamo!...

TELA