Passione

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PASSIONE

PASSIONE
DRAMMA IN UN ATTO E TRE SCENE
di
MARILENA MONTI



LEI- Mi sgorghi dal cuore come sangue o cascata che dal monte non può, per legge, tornare indietro, né risalire. Una legge altra, più inspiegabile e dura mi impone di averti del luogo ch’è nido di battiti, scansione di tempo, di vita e sussulti.
Mi sfoci dal cuore, da dove è impossibile averti, prendere vita di muscoli e sangue. Frammischio le cellule nuove del tuo corpo alle mie e in un istante i battiti sovrapposti e confusi, saranno un battito unico. Unico di unisono e straordinarietà. Unico come l’urlo di dolore che si accompagnerà all’aprirsi del mio petto.


DONNA- Non ti scelsi, fui scelta; fui investita d’amore come comandamento e dovetti volerti, perciò ti amai più di quanto avrei potuto scegliendo.


UOMO- Tu dovesti volermi come grazia suprema.


LEI- Tu figlio dovuto, potuto da una forza superiore a me stessa…Tu figlio che nascendo scrivi il nome della mia fine e tutto il mio dolore di prima e dopo; tu figlio dovuto, potuto da una forza superiore a me stessa. Tu camminerai il mondo e a me non è dato sapere del perché dei tuoi passi e della tua voce. Io so che la tua parola, alla fine, sarà identica alla mia. E ci separeranno: sangue che si scinde dal sangue e il dolore sarà eguale nella separazione, più della pena per la propria carne che muore. Sei uscito fiore dai petali del mio petto, giglio macchiato del mio sangue…



UOMO E DONNA- Così innocente tu, così innocente io!


LEI- Figli tu e io di un destino voluto dal padre. Sei uscito petalo dai fiori del mio petto, garofano della mia terra, carminio della mia linfa. Ho fatto di te la mia salvezza e tu di me la tua e saremo entrambi perduti, come ognuno che voglia asservirsi allo “straordinario indicibile…”.


UOMO E DONNA- Abbiamo avuto fede, prima tu in me, poi io in te. In noi ha avuto fede, riponendola sulle nostre fronti come un manto maestoso di luce, la vita! 


LEI- e fui madre perché ti dovevo e mi dovevi. Per un imperativo supremo e antico. Dal primo giorno e prima ancora era scritto di te nel mio nome, nel mio silenzio, nei passi, nel grido! Io fui tee tu già me quando la ragazza rotolava pupille calde e guance nella sabbia pulita e nella sete estenuante aspettando l’acqua, dissetando l’affanno di domande imprecise. Ero la puledra nel sole, selvatica di fremiti, libera e cocente, ma non sapevo ancora l’inizio e la fine del mio grembo e cosa veramente contenesse lo scrigno di me. Senza chiave stringevo chiuse in me le vibrazioni, come voci di venti diversi, senza distinguere il giorno dalla notte, arrampicando muri di desideri senza nome. All’ombra del salice meditavo le fughe dal volto bello di mia madre, dall’ambrata sfuggevolezza di mio padre… Compitavo il destino difficile e oscuro del mio nome.


UOMO E DONNA- Io non ti scelsi. Fui scelta e dovetti volerti.


LEI- E prima ancora so d’esserti stata predestinata madre. Prima: quando in un luogo antico e dimenticato della mia storia tu mi mancasti affinché io ti fossi pronta. Ero donna solo perché tu mi nascessi dal cuore… raggio-ferita, frutto di luce amara.


DONNA- Solo per questo esistesti donna.


LEI- Esistere donna per essere bisogno di te che non eri, che avresti potuto non essere. Ed era la mia, smania d’attesa. Ero giardino di promessa inconsapevole e avevo già i tuoi occhi e la tua la tua bocca e le parole e la sveltezza della fronte! Anche il mio corpo prendeva a somigliarti… poiché dovevi nascere da me io somigliavo a te che mi somigli… Non eri ancora forse nel pensiero del padre e già ti somigliavo, figlio di luce, strazio felice della mia vita, mio fulgente, io già ti somigliavo: prendevo a prestito da te il mio modo di muovere le mani e di guardare.


DONNA- Oh figlio, tu mi hai salvato, io ti salvai. Noi non ci salveremo dal dolore.


LUI- Nacqui da te come lava che d’impeto dirompe irrefrenabile. Nacqui senza pudore dal tuo luogo ancor più timido, segreto e ignoto di quello d’ogni donna: io nacqui dal tuo cuore. Sangue nell’uragano del tuo sangue, ferita dentro il bisogno antico della tua carne.
Madre, giglio di porpora e candore, madre di luna, sono figlio del cielo, figlio del tuo cielo, dell’infinito azzurro della tua mente… Sono il fanciullo della tua fantasia, sono profeta della tua storia, giocoso e triste narratore del tuo sogno. E sono umano e ho pelle e occhi e orrore delle ferite io che vidi la tua, cratere da cui nascevo, ridondante di te, come un imperativo amaro, dolce, imprenscindibile comunque…


LEI- Io che ti ebbi dal mio cuore senza umano peccato!


LUI- E sono il figlio che volevi prima…da sempre. E fui come sono da prima, da sempre, perché tu mi somigliassi, affinché io ora possa somigliarti. Adesso muovo un braccio, guarda, e l’altro ancora, e poi cammino, mi passo una mano tra i capelli ed ogni gesto mio, lo puoi vedere… è tuo! E fu tuo perché prima ancora tu mi somigliasti, nel gesto, affinché oggi io ti somigli. Io parlo come te, senti? Mi muovo come te, ascolto come te…


LEI- io parlo come te, senti? Mi muovi come te, ascolto come te…


LUI- Io sono il figlio del tuo cuore. E ho il tuo sorriso e tu hai il mio…


LEI- Sei il figlio del mio cuore e hai il mio sorriso e io il tuo…


UOMO- Madre bambina, sale, riserva di dolcezza per l’inverno del mondo, sposa di puro amore, predestinata al pianto!


DONNA- Figlio bambino, vento, riserva di splendore per la notte del mondo, sposo di puro amore, predestinato al sangue!


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Scena seconda




LEI- Dov’è l’astro lucente, specchio dell’acqua, l’amor mio? Voi, mute donne, parlatemi di lui…vado cercando il figlio del mio cuore, nato dalla purezza del dolore, nato dal mio bisogno. 


DONNA- Non è l’astro lucente, specchio dell’acqua, l’amore tuo!


LEI- Non ditemi di abbassare la voce, di chiedere perdono, chinare il capo alla rassegnazione; se lo perdo mi perdo, sarò ombra per sempre!


DONNA E UOMO- Abbassa il capo e l’urlo tuo contrai. Chiedi perdono e cedi alla rassegnazione.


LEI- Vado cercando, e l’urlo mi precede, colui ch’è figlio della carne mia, che mi trafigge con l’assenza e solo può tagliere il coltello dalla ferita. Vado cercando lui che mi somiglia, che mi ha preso il sorriso perché vedessi, nel suo, il sorriso mio. Io mi conobbi in lui e mi scrissi nell’attesa di lui: la forma e la consistenza.


UOMO E DONNA- Io che ti ebbi dal cuore, senza umano peccato…

LEI- io che ti ebbi dal cuore, senza umano peccato… Figlio di luce, mia premonizione, dove nascondi la forma tua slanciata, tutta l’agilità del tuo pensiero, la tua virile rabbia? Chi ti massacra?


UOMO E DONNA- Coloro che non sanno sopportare la sua divina essenza.


LUI- Adesso non guardare che ci separano per sempre. Ho il corpo ferito come il tuo, e dal mio cuore sgorga sangue come dal tuo. Adesso non guardare che mi separano da te, chiudiamo gli occhi, chiudiamo i petti e le schiene massacrati e nascondiamo il pianto: io a te, tu a me.


LEI- Io per il mondo andrò e sarà fulgido il pugnale su cui rifletterà la luce ferrea del dolore che non guarisce. E sarà nero il manto. Sarò la gelida signora della malinconia cocente, calda sarò di lacrime infinite. E mi precederai e ti seguirò.


UOMO E DONNA- Ah quel tuo corpo reso bambino dalla morte, come quando ancora più inerme, sorgevi dal mio cuore…eternamente io lo seguirò. Infinita aspettando la tua resurrezione.


LUI- Madre, fanciulla d’oro di spighe e sole, madre di sogni schivi; mandorla nell’abbraccio delle cose. Madre di pane e vino.

LEI- figlio di bianco grano, uva matura, figlio di onde forti sovrapposte; amaro e dolce calice infinito, figlio di pane e vino…


LUI- piove dolcissimo pianto dal nostro cielo, dal venerdì del mondo, dalla pietà, dalle fronti più ignare, dal cuore dei feriti, dall’incomprensione degli scevri, dall’indifferenza degli ignavi…


UOMO- Adesso non guardare che ci separano per sempre…


DONNA- E mi precederai e ti seguirò…


LUI- Guarda, signora del dolore, la luce raggrumata su quel pugnale che crebbe, cactus amaro, lì dove io son nato, lì dove mi hai creato per perdermi per sempre.


UOMO E DONNA- Sempre non sarà sempre!


LUI- Oh pena, o corpo Cristo il mio ed il tuo, per quella consapevolezza che di me dovesti avere! Oh mia carne nella quale soffre la tua carne: Oh madre muta, mia fanciulla rugosa, pietra di lava, fonte benigna, luogo del mio respiro, mia regina… 


LEI- Ero la tua capanna, il fuoco della legna, tuo tepore. Ero la prima parola che dicesti, unica meta dei tuoi primi passi. Ero l’odore del tuo corpo bambino, ero l’abbraccio dei tuoi abbracci.


LUI- eri la mia capanna, il mio cesto di mele, il fico delizioso alle mie labbra, il latte della mia coscienza, eri la mano che fuga le paure. Eri la forza di cui investivi i miei fianchi e la fede.


LEI- eri la freccia del mio arco, l’orgoglio del mio coraggio. Io vergine per sempre. Madre di te, dal cuore.


LUI- Ero il tuo giovane soldato lucido e incorruttibile, ero il bambino della tua delizia.


UOMO E DONNA- Così innocente tu, così innocente io!


LUI- Potessi a cuor leggero sopportare le spine sulla fronte, le piaghe della pelle, per dirti che saremo comunque salvi, che tu sei forte e io sono forte giacché ti somiglio come se fossi te! Potessi dirti che dell’astruso calice ho bevuto l’amaro col sorriso sulle labbra!


UOMO E DONNA- Madre, la mia paura è stata grande, di nascere e morire. Grande quanto la tua.

LUI- Madre, conosci i chiodi che bucano la carne mia ch’è tua; Conosci il fiele amaro del dolore, le viscere contratte, il respiro che manca e quella spada nel costato identica a te e a me, nel luogo dell’amore, luogo delle delizie e dell’estrema, vulnerabile forza…


UOMO E DONNA- Madre, la mia paura è stata grande di nascere e morire. Grande quanto la tua!


LUI- Sono nato per esserti: Io corpo del tuo sogno sono materia sanguinante della tua pena. Perdona a me il dolore che ti infliggo, questo destino d’abbandono che ci separa, infine, senza pietà.


UOMO- Adesso non guardare che ci separano per sempre, mia figlia, madre e sposa…


DONNA- Adesso non guardare che ci separano per sempre, mio padre, figlio e sposo…


LUI- Madre che mi sei figlia, madre e sposa, chi più infelice di me, nel suo destino, di questo martire che dalle scure pupille costretto è a guardare il suo dolore!


LEI- Non so parlare d’amore. Io so amare. Quando mi straripasti forzando gli argini al mio petto, fu quella la mia parola. Fosti tu il discorso di sempre e per sempre: e fosti il verbo della mia anima.


UOMO- Adesso non guardare che ci separano per sempre.

DONNA- Fosti tu il verbo della mia anima…


LUI- Andrò fanciullo scalzo nella morte, regno di vuoto, a camminare passi senz’altro che il tuo pensiero che mi segue. E sono umano mentre rileggo tra le mie ferite le tue ferite che non sapranno più cicatrizzare.


LEI- Non sopporto il dolore. Per ben più di tre volte prima dell'alba ti rinnegai, per non dover conoscere questo dolore, già prima che tu prendessi forma nel mio ventricolo innocente.


UOMO- E sono umano.


DONNA- E sono umana.


LEI- Nessuna madre di figli uccisi, e tutte quante gemono come me, nessuna ha la mia stessa pena. Il dolore è unico per ciascuno, straordinario per chiunque lo provi, ma io parlo a voi, donne, che come me lo avete perduto e agitate i vostri passi nella ricerca vana, ché la febbre della perdita agita una smania di andare. Io vi domando la supremazia del sentimento! Voi partoriste peramore o per rabbia, dalle viscere fuoco, come ogni femmina animale della terra. Io lo portai nel mondo dal mio petto. E ancora non s’è chiusa la ferita e oggi, figlio, la tua fine la riapre.


UOMO E DONNA- Nascondi il lutto dietro la tua veste. Tuo figlio fu sacrificato all’arroganza, alla mancanza di pietà.


LEI- Sono la faccia nera della luna e sono tutti gli occhi che hanno pianto.


UOMO- Tuo figlio, re diseredato, scritto coi chiodi per la storia del mondo. Scritto coi rovi.


LEI- Andrò per le strade a cercarti e sarà nero il manto e sarà fulgido il pugnale su cui rifletterà la luce ferrea del dolore che non guarisce.


UOMO E DONNA- Che non guarisce mai.


LEI- Gronda dolore il solco rosso nascosto dalla veste…


DONNA- Nascondi il lutto.







SCENA TERZA


LEI- Oh cuore mio malato del dono supremo dell’amore! Più che ferito, cuore lacerato, cuore del cuore tuo, mio cuore amaro, radioso del trionfo di questo bene e insieme dilaniato. Cuore di carne e insieme nido tuo, cuore che s’è spezzato dalla gioia e dalla voglia che ebbi di offrirti al sole, alla gente, ai fiori bianchi. Tu mia risposta, mia forza, mio riscatto! 


UOMO E DONNA- Tu vergine inondata dalla grazia.


LEI- Ho amato un angelo, per concepirti, un progetto divino, un disperato amore. Cuore di umana carne si consuma ora che non sei più, si sgretola, come foglia che secca, accartoccia le sue vene e si disperde.


LUI- Questo ferito cuore tuo, questo che più del mio ha versato pianto. Questo che mi appartiene nella pena, come e forse di più del cuore mio… Questo forte tuo luogo di certezze su cui poggiare il capo…


LEI- I fiori neri del mio manto saranno nere ali del mio volo, mentre mi si raggruma il petto inaridito, cocente struttura di rimpianto e di inutilità.


LUI- Quel pugnale e il petto in cui ha messo radici è irradiazione: di noi propagazione.


UOMO- Oh madre dolorosa, involontaria.


DONNA- Io che non scelsi e che dovetti averti.


LEI- Dove andrai mentre roseti e spine piangono e rosari ricordano la passione tua e mia e, così colmo il cuore dell’assenza, dovrai vedere me che sono te, perderti un’altra volta… Figlio, mio figlio e padre, sposo della mia vita! Chi più infelice di questa martire che dalle scure pupille costretta è a guardare il suo dolore!…


UOMO E DONNA- Io che non scelsi e che dovetti averti.


DONNA- Dove andrai, mentre roseti e spine piangono e rosari ricordano la passione tua e mia!


LEI- Mi sgorgasti dal cuore come sangue o cascata.


LUI- Come lava che dirompe, e ti sono e mi sei e fosti per essermi e fui per esserti…

LEI- Mio figlio, agnello dai riccioli colore di castagna…
UOMO E DONNA- Tuo figlio agnello dai riccioli colore di castagna.


LEI- Mio figlio pecora smarrita, eroe nel tempio…


UOMO E DONNA- Tuo figlio pecora smarrita, eroe nel tempio…


LUI- Andrò fanciullo scalzo nella morte, regno di vuoto, a camminare passi senz’altro che il tuo pensiero che mi segue…


UOMO E DONNA- E sono umano ed ho paura.


LEI- Questo di chiodi e spine trapuntato, questo colombo ucciso nel costato, più che radioso e prigioniero cuore tuo…


LUI- Mi hanno spaccato il petto, le ossa una ad una, le costole e lo sterno. La fronte piove pianto.


LEI- E il cuore piove sangue da dove tu prendesti il volo, mio colombo turchino, pace sublime! Mio splendido infelice tu mi rappresenti sulla terra, tu che alzi la fronte al posto mio!


UOMO E DONNA- Tu capace, contenimento del mondo, risonanza del sole!


LEI- Non posso esistere priva di te; dei il sentimento che muove le mie mani, in te mi riconosco all'esistenza. Tu sei la furia del mio canto. Tu prima che l’alba di quel giorno, di quel comando, mi aprisse il petto, tu eri canto, eri celato orgoglio, tu eri il mio segreto…


UOMO- Mi hanno spaccato il petto, le costole e lo sterno; la fronte piove pianto…


DONNA- Mio figlio, agnello dai riccioli colore di castagna…


UOMO- Tuo figlio pecora smarrita, eroe nel tempio…


LEI- Risorgerai perché così sarà e in un cielo che non conosci e non conosco ci sarà dato vederci ancora. Intanto, come te crocefissa a lunghissima impotenza, io porterò la mia stanchezza infinita e la ferita a vagare nel mondo, per ritrovarti.


UOMO- Ero il tuo giovane soldato.


DONNA- Eri la freccia del mio arco.

LUI- Rifulgerai delle tue lacrime segrete, di questo amore senza eguali, del pugnale nel petto…


LEI- Guardo nel tuo sorriso la tua pena, oh mio sacrificato, mentre riluce bara di cristallo. Né ti salva il mio grido, né il pianto delle donne che han patito lo strappo delle vene.


LUI- Andremo: alle prime luci dell’alba la polvere dei passi porterà ancora in trionfo il mio ingiusto dolore, la più tremenda delle pene.


UOMO E DONNA- Madre, la mia paura è stata grande, di nascere e morire. Grande quanto la tua.


LUI- Rifulgerai, madre, della tua pena, dell’amore che non può farsi verbo, per quanto è immenso; del pugnale nel petto:


LEI- Sarai testimonianza del mio amore. Sarò testimonianza del tuo amore.


( MEMTRE SI AVVIANO LA BARA COL FIGLIO E QUELLA CON LA MADRE CHE LO SEGUE)

CORO DI BIMBI PIU’ UOMO E DONNA- 
Lutto del sole, lutto di luna,
Lutto di nuvole di primavera
Nuvola manto, nuvola vela,
soffochi in pianto la triste sera
sale la luna, sale la notte,
salgono i fuochi dentro le case, 
salgono i cuori, lutto e preghiera,
piangono i fiori di primavera…
I fiori piangono, gemon le spine
Del dolce figlio la triste fine…

( IL PICCOLO CORTEO SI ALLONTANA)

Fronte di sole, vita oscurata
E lei l’ha amato e lui l’ha amata…
Piangono i gigli, l’ulivo, la canna,
l’ingiusta pena della condanna.



Fine.

dom.21\3\1999
mart.6\4\1999