Pasticceria Kiss

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PASTICCERIA KISS

Cinque quadri

di FERENC MOLNAR

 Traduzione di Ada Salvatore     

PERSONAGGI

EDMONDO KISS

ELENA, sua moglie

LUIGI VADASZ

IL BRIGADIERE DI POLIZIA

IL MEDICO

RUDI

L’USCIERE

L’AGENTE DI POLIZIA

IL PENSIONATO

PRIMA SIGNORA

SECONDA SIGNORA

TERZA SIGNORA

LA VECCHIA SIGNORA

LA SERVETTA

LA RAGAZZINA

I TRE BAMBINI

Commedia formattata da

QUADRO PRIMO

Una piccola pasticceria del sobborgo. A sini­stra, in prima, piccola vetrina; accanto a que­sta, porta che dà in istrada. Dinanzi alla parete di fondo, lungo banco sul quale si trova quanto è, generalmente, sui banchi delle pasticcerie. Alla parete, i soliti scaffali. La parte sinistra del banco è occupata dalla cassa; ivi è anche il telefono. A destra del banco un'apertura senza porta che mette in un corridoio buio dal quale si accede al laboratorio e all'abitazione del pa-sticcere. Nel corridoio una debole luce diffusa da una lampadina elettrica. Sul davanti, a de­stra e a sinistra, tavolinetti di marmo con qual­che sedia molto semplice. La bottega è modesta, ma graziosa e pulita. Mattina di primavera.

(Al levar del sipario, sulla scena regna semi­oscurità, perché le saracinesche sulla strada sono ancora abbassate. In mezzo al negozio è Ed­mondo Kiss, il pasticcere: 40 anni, simpatico, di buon umore; indossa la giacca e il grembiale di tela bianca, della sua professione. Aspetta che il suo aiutante, Rudi, abbia alzato dal di fuori le saracinesche dinanzi alla porta e alla vetrina. Quando questo è fatto, Edmondo apre la porta con la chiave. Irrompe il sole di una ridente mattina di primavera. Rudi entra por­tando la stanga di chiusura. Kiss va dietro al banco e comincia i preparativi per il lavoro con­sueto. Rudi si affretta a portar dentro la stanga. Quindi torna portando una tavoletta su cui sono, in bell'ordine, dei pasticcini; la dà a Kiss. Co­mincia l'operosità quotidiana, durante la quale si parla).

Kiss                              - Come mai? Questa quantità di « baci di vedova»?

Rudi                             - Ordine della signora. Ieri mattina sono andati tutti quelli che c'erano; se ne sa­rebbero venduti anche il doppio. Sono molto richiesti.

Kiss                              - Perché costano poco.

Rudi                             - Vero. (Rientra e torna con una se­conda tavoletta).

Kiss                              - Cosa porti? Briosce?

Rudi                             - No; sono babà al rum.

 Kiss                             - Sono così piccoli che sembrano briosce.

Rudi                             - Ordine della signora. Da oggi i babà si fanno piccoli. (Esce).

(Kiss mette a posto la pasticceria. Rudi entra con un'altra tavoletta).

Rudi                             - Pastine per il tè.

Kiss                              - Sono di ieri. Vanno bene per i ra­gazzini che vanno a scuola.

Rudi                             - Oh, si vendono benissimo. (Via con la tavoletta).

(Dopo breve pausa vengono dall'abitazione i tre bambini di Kiss. Escono per andare a scuola ed hanno la cartella a tracolla. Due bimbi e una bimba. Il più grande ha sette anni. Kiss esce dal banco).

Bambini                       - (forte) Buon giorno, papà! (Cor­rono a baciargli la mano) Andiamo a scuola!

Kiss                              - Addio piccini! E la raccomandazione quotidiana: attenti al tram, quando attraversate la via Racoczi!

Bambini                       - Staremo attenti!

Kiss                              - (facendo ripetere la lezione) A cosa starete attenti?

Bambini                       - Al tram

Kiss                              - Dove?

Bambini                       - Nella via Racoczi.

Kiss                              - Benissimo!

(Dall'abitazione viene Elena, la moglie del pasticcere portando in mano un libricino di ap­punti. 26 anni. Graziosa, vestita semplicemente ma in modo seducente, però adatto al negozio. Vivace, svelta, attenta; in fondo, una donnina seria. Kiss è di nuovo occupato dietro al banco).

Elena                            - (ai bambini) Avete preso la cola­zione? (/ piccini traggono di tasca un pacchetto, glielo mostrano). Il fazzoletto? (/ piccini ri­mettono in tasca i pacchetti. Tirano fuori da un'altra tasca i fazzoletti, li fanno vedere, li ripongono). Le mani sono lavate bene? (Sei ma­nine si mostrano. Elena le esamina). E le un­ghie? (Le esamina) Bene. (Li bacia uno dopo l'altro) E state attenti al tram, quando attraver­sate la via Racoczi.

Bambini                       - Staremo attenti.

Kiss                              - (dietro al banco) A cosa starete at­tenti?

Bambini                       - Al tram.

Elena                            - Bene. Ora andate!

(/ piccini le baciano la mano e si voltano per andare).

Il più piccino              - Babbo! Dobbiamo stare at­tenti anche alle automobili?

Kiss                              - Si capisce!

Bambini                        - Buon giorno, babbo! (Escono).

(Durante il dialogo seguente, Rudi esce e torna ancora diverse volte portando paste, bis­cotti, torte. Kiss lavora dietro al banco. E lena è davanti).

Kiss                               - Posso chiederti, illustre consorte, perché i babà sono così piccoli oggi?

Elena                             - Perché diminuendo i prezzi, non voglio dare qualità peggiore. Preferisco darli un po' più piccoli. (Va alla cassa, dà un'occhiata al libricino che ha con sé, su cui ha segnato quello che deve fare).

Kiss                               - (mostrando un babà) Sono quasi la metà di prima.

Elena                             - (girando il disco del telefono) Così ne mangeranno due. (Al telefono) Pronti? Steiner?... Edmondo Kiss. Devo lamentarmi nuovamente del burro... Sì; ma vi ho detto esplicitamente che il burro della Tatpusta non lo voglio! Non mi fate perdere tempo a ripe­termi! E fatemi il piacere di mandare quello che vi si ordina!... Va bene; ma questo me lo avete già detto l'altra volta!... Bene, bene; non fate tante chiacchiere! Ricordatevi che non vo­glio più vedere il burro di Tatpusta; manda­temi solo quello di Tetenyer. Buon giorno. (Riattacca. Gira di nuovo il disco).

Kiss                               - Vedo che hai raddoppiato la quan­tità dei « baci di vedova ».

Elena                             - Un momento, caro; ora non mi dis­turbare. (Al telefono) Pronti?... Pasticceria Kiss. Per favore, mandatemi venti pacchetti di salvettini di carta, come quelli dell'ultima vol­ta... Sì, vengono in tempo anche nel pome­riggio. (Riattacca, guarda nel taccuino un altro numero).

Kiss                               - (durante il lavoro, a Rudi) Rudi, ti ho già detto più volte che non devi prendere i pasticcini con la marmellate dal disopra, ma di sotto, toccando sola la pasta.

Rudi                              - Ma non le ho toccate affatto...

Kiss                               - Come no? Guarda qui un'impronta digitale... Proprio su questa torta così bella!

Elena                             - (al telefono) Pronti? Studio dell'avvocato Imre?... Parla la signora Kiss... Buon giorno, avvocato. Volevo solo sapere quando scade il termine per la denuncia delle tasse... Fino al quindici?... Grazie mille. Buon giorno. (Riattacca).

Kiss                               - Ahi, ahi, ahi, ahi, ahi! Le tasse! Dio mio!

Elena                             - (cancella l'annotazione nel libricino) Sicuro! E per te, si tratta solo di pagare... E io che devo riempire tutte le rubriche in quel foglio enorme? Sono dieci anni che lo faccio e non ho ancora imparato a capirci qualcosa... (Anche lei si affaccenda) Ogni anno aumentano le domande. (Guarda nel libricino. A Rudi) Il portinaio ha aggiustato quella cassa giù in can­tina?

Rudi                              - Sì, per servirla.

Elena                             - (cancella l'appunto) È inutile che tu dica tutte le volte « per servirla ». Basta dire « sì ».

Rudi                              - Allora, sì.

Elena                             - (leggendo nel taccuino, a Kiss) Hai telefonato al fumista?

Kiss                               - Sì, per servirla, cioè, soltanto sì.

Elena                             - (guardando gli appunti) Bauer e Gonda ?

Kiss                               - Fatto.

Elena                             - Lenz e Compagni? (si guarda un dito).

Kiss                               - Anche loro. Cos'hai alla mano?

Elena                             - Mi sono bruciata un dito. Levando dal fuoco la caldaia dello zucchero.

Kiss                               - Perché non stai più attenta?

Elena                             - Perché stamattina avevo tanto son­no... Sono andata in laboratorio senza neanche sapere quello che facevo! Stanotte sono stata alzata a cucire e poi ho aggiornato i libri... Erano le tre quando sono andata a letto; e alle cinque e mezzo ero in laboratorio... Non ho dor­mito neanche tre ore!

Kiss                               - Ti ho detto cento volte: prendiamo un contabile. Ci sono tanti disoccupati che sa­rebbero felici di guadagnare qualche pengo.

Elena                             - E io sono contenta di poterli rispar­miare. Come contabile non sono peggiore della maggioranza e non costo niente.

Kiss                               - Ma ti sacrifichi troppo!

Elena                             - Non mi fido degli estranei.

Kiss                               - Chi lavora come lavori tu, deve an­che dormire. Stasera andrai a letto presto.

Elena                             - Neanche per sogno! Devo fare il bagno ai bambini; e poi ci sono da fare gli arancini, e sai che nessuno mi contenta!

Kiss                               - Neanch'io?

Elena                             - Neanche tu. (A Rudi) Quando hai finito, fai un salto da Horvat e digli che venga a dare un'occhiata al forno a gas. Ci dev'es­sere una piccola fuga; ieri le meringhe sape­vano di gas.

Kiss                               - Che orrore!

Elena                             - (legge nel taccuino mormorando) Signora Istvanfy... Cassa di Risparmio... Bici­cletta di Rudi... (A Rudi) Cosa aveva la tua bicicletta?

Rudi                              - Era un po' arruginita: nient'altro. Ho fatto una buona pulita col petrolio e ora va benissimo.

Kiss                               - Allora oggi le meringhe sapranno di petrolio.

Elena                             - (c. s.) Sarosi... Zucchero... lievito... farina... Dio, quante cose oggi! (Siede stanca). Ho la testa che non mi aiuta.

Kiss                               - Ti affatichi troppo.

Elena                             - Se non si facesse così... Lo dici sem­pre anche tu.

Kiss                               - Meno male che il lavoro ti dà gioia.

Elena                             - Neanche per sogno. D'inverno, sì. Ma quando il tempo comincia a essere così bello, ti assicuro che rimanere in quel laboratorio am­morbante... e la notte, stare a cucire vicino alla lampada... e quei conti che non finiscono mai! (Sospira). Com'è bello il sole fuori!

Rudi                              - È la primavera che è arrivata!

Elena                             - (guardando nel taccuino) E questa storia delle tasse!

Kiss                               - (lavorando) Ahi, ahi, ahi, ahi!

Elena                             - Il 15 è venerdì. Oggi è mercoledì; dunque bisogna sbrigare questa faccenda non oltre domani. Ho pregato Luigi Vadasz di aiu­tarmi.

Kiss                               - Oh, lui se ne intende!

Elena                             - Eccome! È stato degli anni nello studio di un avvocato...

Kiss                               - Oh, capisce tutto, Luigi Vadasz.

Elena                             - Dici per prenderlo in giro?

Kiss                               - Dio me ne guardi!

Elena                             - Invece di esser contento che ci sia qualcuno che mi aiuta in questo lavoro... Bi­sogna stare così attenti...

Kiss                               - Luigi Vadasz starà attentissimo.

Elena                             - Perché lo disprezzi tanto?

Kiss                               - Ieri mi ha chiesto di nuovo cinque pengo in prestito, per modo di dire!

Elena                             - Glieli hai dati?

Kiss                               - Sì; ma la prossima volta rifiuterò. Me ne deve già 35. Probabilmente gioca alle corse. Non so come viva.

Elena                             - Presentemente... è disoccupato.

Kiss                               - Ho l'idea che viva sulle donne.

Elena                             - Come fai a pensare una cosa simile? (Si alza, si avvia all’ abitazione).

Kiss                               - Ma scusami! Un bel ragazzo che non ha mai la croce di un quattrino, e intanto ha sempre i calzoni ben stirati, e poi cinema, cor­se, foot-ball... guanti gialli...

Elena                             - Oh, per te, basta che uno abbia i guanti gialli per essere un mantenuto. Pensi sempre il peggio. (Esce).

Kiss                               - (fra sé, sistemando la merce) Per me non c'è dubbio: guanti gialli, mantenuto. (A Rudi) Cosa fai adesso?

Rudi                              - Vado in cantina a prendere del car­bone; poi da Horvat per il forno a gas.

(Dalla strada entra una signora, tipo piccola borghese).

Kiss                               - Buon giorno, signora. Desidera?

(Rudi esce dalla parte dell'abitazione).

Signora                          - Vorrei dei « baci di vedova ».

Kiss                               - Quanti?

Signora                          - Aspetti... dieci, undici... quattor­dici... facciamo quindici. Metà bianchi e metà rosa.

Kiss                               - Facciamo otto bianchi e sette rosa? O facciamo 16, così sono metà e metà... (Co­mincia a fare il pacchetto).

Signora                          - Va bene, sedici.

Kiss                               - Comanda altro?

Signora                          - Per ora no. (Si guarda attorno mentre Kiss fa rinvolto). Queste sono pastine per il tè?

Kiss                               - Sissignora. Queste sono salate, que­ste altre dolci. Debbo incartarne...?

Signora                          - Avete lettere di cioccolata?

Kiss                               - Senza dubbio. Ma abbiamo solo le L e i G; e mi pare qualche O.

Signora                          - Non avete l'alfabeto completo?

Kiss                               - Lo avevamo, ma si vendeva poco. Al­lora facciamo venire solo le lettere che vanno di più. (Le porge il pacchetto) Ecco. 96 heller. (La signora paga. Kiss dandole il resto) E quat­tro, fa un pengo. Mille grazie.

Signora                          - (uscendo) Buon giorno.

Kiss                               - Baci di vedova, baci di vedova... Ele­na ha ragione. Sono di moda... Già, Elena ha sempre ragione.

Usciere                          - (entra dalla strada) Buon giorno.

Kiss                               - Buon giorno. Desidera?

Usciere                          - Niente. Ho da consegnare una ci­tazione. (Cerca in tasca).

Kiss                               - Ufficio tasse?

Usciere                          - No. (Cerca).

Kiss                               - Meno male. E allora? Tribunale?

Usciere                          - No. Polizia. (Tira fuori un foglio).

Kiss                               - (stupito) Polizia?

Usciere                          - Commissariato del primo manda­mento. (Legge) Signora Elena Kiss, Josefgasse n. 12. È qui la signora Kiss?

Kiss                               - (uscendo da dietro al banco) Io sono Edmondo Kiss. La signora Kiss è mia moglie. Ricevo io la citazione. Fatemi vedere. (Osserva il foglio). Sì, è qui. Commissariato del primo mandamento. Nella piazza grande, vero?

Usciere                          - Sì.

Kiss                               - E non sapete cosa vogliono da mia moglie?

Usciere                          - Non so niente. Io sono l'usciere. Non mi interessa. Allora ricevete voi la cita­zione?

Kiss                               - Sì.

Usciere                          - Firmate qui, per favore.

Kiss                               - (firmando) Per domani?

Usciere                          - Domattina alle dieci; al primo piano, porta 64. Buon giorno. (Esce).

Kiss                               - (fissando il foglio) Buon giorno. (Esa­mina ancora poi lo lascia cadere, riflette, si gratta la testa. Il suo buon umore è svanito. Rilegge) Il 14 alle 10 antimeridiane... Primo piano, porta 64. Signora Elena Kiss, Josefgasse n. 12... Cosa vorrà da mia moglie la polizia?

Rudi                              - (entra da destra. Si è levato il cami­ciotto, è vestito per uscire) Allora vado da Horvat.

Kiss                               - Aspetta. (Riflette un momento. Poi si toglie il grembiale e la giacca bianca). Porta questo di là e dammi la giacca e il cappello.

(Rudi esce portando via giacca e grembiule).

Kiss                               - (guardando ancora la citazione) Com­missario... Cosa diamine vorrà da mia moglie?

Rudi                              - (porta la giacca, lo aiuta a infilarla, gli porge il cappello) Esce?

Kiss                               - (inquieto) Sì.

Rudi                              - E da Horvat?...

Kiss                               - Ora non ci vai. Altrimenti non resta nessuno in bottega. Io torno presto.

Rudi                              - E dove debbo dire che è andato, se la signora domanda?

Kiss                               - Dille che... che sono dovuto uscire in fretta... per andare in centro... Starò via un'ora al massimo. (Esce in fretta, nervoso).

 

QUADRO SECONDO

Parte di un ufficio nel Commissariato di Po­lizia. Una porta. Una scrivania. Attaccapanni con mantello, cappello. Qualche sedia. Dinanzi alla scrivania è seduto il brigadiere di polizia in uniforme. Sfoglia dei documenti. Dopo qual­che secondo entra l’agente.

Brigadiere                     - (rigido) Cosa c'è?

Agente                          - Con tutto il rispetto... una carta da visita... L'uomo aspetta fuori.

Brigadiere                     - (guarda la carta) Un signore o un uomo?

Agente                          - Hm... direi piuttosto un uomo, si­gnor brigadiere.

Brigadiere                     - (legge) Edmondo Kiss... e ba­sta. Come posso sapere che razza di individuo è? Un calzolaio o un ministro? Edmondo Kiss... come se tutti dovessero sapere chi è! Edmondo Kiss e basta! Come Giovanni Strauss! Fatelo entrare!

Agente                          - Signor sì, signor brigadiere. (Esce).

Kiss                               - (entra) Buon giorno.

Brigadiere                     - Buon giorno. (Col biglietto in mano) Siete voi questo Edmondo KÌ38?

Kiss                               - Sì, signor brigadiere.

Brigadiere                     - E perché non mettete sul vostro biglietto chi e cosa siete? Edmondo Kiss, così puro e semplice... come posso sapere se siete calzolaio o ministro, banchiere, musicista, com­merciante o che so io?...

Kiss                               - Domando scusa... Ho anche i bi­glietti per uso commerciale... Queste sono le mie carte da visita private. Sono pasticcere: Ed­mondo Kiss, pasticcere; Josef gasse 12.

Brigadiere                     - Tutto questo, vedete, dovrebbe essere scritto sul biglietto. Così (scrive) qui, in mezzo il nome; sotto, più in piccolo, la profes­sione; e qui, nell'angolo a destra, l'indirizzo. Capite?

Kiss                               - Sì, signor brigadiere. Grazie.

Brigadiere                     - Bene. Dunque: cosa volete?

Kiss                               - (tira fuori la citazione) Abbiamo ri­cevuto una citazione... poco fa... Vede, qui... Porta 64. (Gli dà il foglio).

Brigadiere                     - (legge) Ma non siete voi. La citata è Elena Kiss, Josef gasse 12.

Kiss                               - Lo so.

Brigadiere                     - E allora, cosa volete?

Kiss                               - Se il signor brigadiere permette, vor­rei fargli osservare che questa Elena Kiss è mia moglie.

Brigadiere                     - E poi?

Kiss                               - E poi... Ecco, io non le ho neanche mostrato la citazione perché ricevendola mi so­no spaventato. Non immagino neppure lonta­namente perché mia moglie sia chiamata dalla polizia... e non voglio che anche lei prenda uno spavento... e aspettare fino a domani per sapere di cosa si tratta... Perciò ho pensato di fare un salto fin qui e prego il signor brigadiere di avere la bontà di informarmi.

Brigadiere                     - Veramente il fatto che la si­gnora Kiss sia citata non riguarda voi. Ma dal momento che vi siete spaventato... (Cerca fra gli atti). Sedetevi.

Kiss                               - Grazie. (Siede).

Brigadiere                     - (facendo scorrere gli atti) Do­mani 14... alle dieci antimeridiane... Vi siete spaventato molto? (Cerca).

Kiss                               - Sì... cioè non tanto perché non credo che mia moglie abbia fatto niente di male... Ma la polizia è la polizia.... una chiamata è sempre un poco inquietante.

Brigadiere                     - (ha trovato) Ecco. (Legge) Elena Kiss, Josef gasse 12.

Kiss                               - Sì, signor brigadiere.

Brigadiere                     - È citata come teste. Domenica dieci, alle nove di sera, sullo Schwabenberg, il tassì numero BI615 ha investito l'automobile privata BC. 841, rovinandole un parafango.

Kiss                               - Sì, ma...

Brigadiere                     - Ma cosa?

Kiss                               - Ma... non capisco cosa c'entri mia moglie...

Brigadiere                     - (coti un'occhiata al documento) La vostra signora... era nel tassì numero BI 615.

Kiss                               - Domenica sera... alle nove?

Brigadiere                     - Sì. Sullo Schwabenberg. La guardia municipale ha scritto i nomi della si­gnora e del signore.

Kiss                               - Del signore? Posso chiedere di che signore?

Brigadiere                     - Quello che era in tassì con la vostra signora. (Legge) Luigi Vadasz, impiegato privato, Pannoniagasse 9.

Kiss                               - Luigi Vadasz?

Brigadiere                     - Sì.

Kiss                               - (guarda stupito il foglio dinanzi al bri­gadiere).

Brigadiere                     - Volete altro?

Kiss                               - Domando scusa, signor brigadiere... ma non può trattarsi di mia moglie.

Brigadiere                     - Eppure qui c'è il suo nome e il suo indirizzo, nero su bianco. Signora Elena Kiss, Josef gasse...

Kiss                               - Dodici.

Brigadiere                     - Precisamente. E Luigi Vadasz, Pannoniagasse 9.

Kiss                               - Mia moglie... impossibile.

Brigadiere                     - Credete forse che la guardia abbia scritto il suo nome così, per capriccio?

Kiss                               - Forse... il signor Vadasz era con un'altra signora... e... avranno dato un nome falso.

Brigadiere                     - E perché avrebbe scelto pro­prio quello di vostra moglie? Lo conoscete que­sto signor Vadasz?

Kiss                               - Sissignore, lo conosco.

Brigadiere                     - E anche vostra moglie lo co­nosce?

Kiss                               - Sissignore.

Brigadiere                     - Lo conosce bene?

Kiss                               - Sì, benissimo.

Brigadiere                     - E allora, cosa volete?

Kiss                               - Non voglio niente, signor brigadiere. Ma non posso credere che mia moglie... sabato sera alle 9 fosse in un tassì... No, è impossibile.

Brigadiere                     - Perché è impossibile?

Kiss                               - (molto confuso) Perché ... perché mia moglie       - sabato sera alle nove            - scusi se la contraddico - era da sua madre a Neupest. Andò a trovarla perché la mamma è ammalata. Uscì di casa alle sette e tornò alle 11.

Brigadiere                     - C'eravate anche voi?

Kiss                               - No... non c'ero.

Brigadiere                     - E allora come potete sapere che era a Neupest e non sullo Schwabenberg?

Kiss                               - Mi disse che... che... (Ammutolisce).

Brigadiere                     - Che cosa?

Kiss                               - Che andava a Neupest.

Brigadiere                     - E poi non c'è andata. Succede sempre così...

Kiss                               - Mia moglie... non mentisce mai.

Brigadiere                     - Neanche la mia guardia muni­cipale. (Rimette via gli atti).

Kiss                               - (Guarda fisso dinanzi a se).

Brigadiere                     - Volete altro?

Kiss                               - (si alza, malsicuro) No... signor bri­gadiere... niente altro. Servitor suo. (Si volta per andare).

Brigadiere                     - Alt! Avete dimenticato il vostro biglietto di visita. (Glielo dà). Fatevene fare degli altri, con la mia correzione.

Kiss                               - Sì, signor brigadiere. Grazie.

Brigadiere                     - Non c'è di che.

Kiss                               - Servitor suo, signor brigadiere.

Brigadiere                     - Buon giorno. (Kiss esce).

Luigi                             - Per esempio quando uno dei due... deve lasciare l'altro, per una giornata o per qualche ora... per un breve viaggio, diciamo, o per recarsi in ufficio... l'altro ha allora un senso di inquietudine... doloroso; ma è un dolce dolore.

Elena                             - Come è vero questo, Luigi!

Vadasz                          - Vi pare? Fa male, eppure è dolce soffrire così.

Elena                             - (innamorata) Soffrire, desiderare... che bellezza! Avete ragione, Luigi!

Luigi                             - Specialmente in questa stagione, in queste prime giornate di primavera... deside­rare una presenza amata! (Con un'occhiata verso la strada) Quanto sole...

Elena                             - Il sole... nella mia vita triste... (Af­ferra la mano del giovane) Il laboratorio è oscuro... la casa anche... Tutto, tutto è buio come la mia vita, prima... (China il viso sulla mano di lui) prima che il sole splendesse anche per me. (Alza la testa e lo fissa sorridendo) Una cravatta che non conosco. Nuova?

Luigi                             - Sì. (La tocca) È la prima volta che la metto.

Elena                             - Finora vi ho sempre visto delle cra­vatte a nodo lungo, scure... Questa è vivace... Sapete che adoro i colori smaglianti... Caro!... L'avete messa per me, non è vero? Dite­melo...

(Rudi entra con un vassoio, va dietro al banco. Luigi ritira la mano, si alza).

Elena                             - (alzandosi, a Rudi) Cosa hai portato?

Rudi                              - Plumcake. (Posa la tavoletta ed esce).

Elena                             - Il nodo è troppo regolare. (Glielo rifà) Così mi piace di più... (Annusando) Che buon profumo! Cos'è?

Luigi                             - Una colonia che prendo dal mio parrucchiere. Come vi tremano le mani!

QUADRO TERZO

La stessa scena del 1° quadro; mezz'ora dopo. Edmondo Kiss non è ancora tornato. Al tavo­lino a sinistra, siedono Elena e Luigi Vadasz. Vadasz racconta con calore; Elena lo ascolta beata e innamorata.

Luigi                             - ...è provato che in ogni amore, uno dei due ama più dell'altro. Non è vero? Certo è molto più bello quando la forza del senti­mento è uguale in entrambi; ma è rarissimo e non dura a lungo. Certo, soffrire per l'incer­tezza è anche bello... (Tace).

Elena                             - Parlate ancora, Luigi. Mi piace tanto ascoltarvi. È una cosa divina...

Elena                             - Sì? Forse perché sono commossa... (Sono uno dinanzi all'altro. Brevissima pausa) Che profumo è?

Luigi                             - Estratto di rose. Ne metto qualche goccia nell'acqua di colonia solita. (Tira fuori il fazzoletto) Sul fazzoletto metto l'estratto puro. (Lo agita un poco).

Elena                             - (innamorata, civettuola) Anche que­sto prima non lo usavate.

Luigi                             - No. Solo da ieri.

Elena                             - Lo so.

Luigi                             - Vi piace?

Elena                             - Moltissimo... Ma soprattutto mi piace vedervi così mutato... Più accurato nel ve­stire... (Con sentimento) Forse perché volete piacere a qualcuno... (Breve pausa).

Luigi                             - (imbarazzato) Sentite, cara... mi viene in mente... quando vogliamo preparare i mo­duli per le tasse?

Elena                             - Ecco come siete... Che modo di... raffreddare l'ambiente! (Piano, con amore) Canaglia! Come sapete fare con una donna in­namorata!

Luigi                             - Veramente volevo soltanto...

Elena                             - (sensuale, amorosa) Canaglia... Ca­naglia... briccone malizioso!

Luigi                             - Non merito i vostri complimenti. L'ho detto realmente solo... perché desidero es­servi utile. So che è un lavoro tanto noioso... Perché mi guardate in quel modo?

Elena                             - Così.

Luigi                             - Avete dei begli occhi.

Elena                             - Il modulo delle tasse... ci pense­remo domani. Domattina. Ora non dovete to­gliermi uno solo... di questi pochi istanti che passo con voi. Sono i soli momenti in cui vivo. È così bello dimenticare tutto, non pensare più a nulla... E finisce cosi presto... I bambini tor­nano a casa, e poi bisogna andare in laboratorio e sgobbare fino a tardi... di sera e di notte sgob­bare, sgobbare, sgobbare... Non resisterei se non avessi qualcuno a cui poter pensare continua­mente, sempre, sempre... Cosa avete detto dei miei occhi?

Luigi                             - Quello che vi ho ripetuto mille volte.

Elena                             - Sì; ma ditelo ancora!

Luigi                             - Che sono belli.

Elena                             - Davvero? Ditelo, ditelo un'altra volta! (Entra Rudi con una tavoletta va dietro al banco).

Rudi                              - Focaccine e torcetti salati. (Li mette a posto).

Luigi                             - Dov'è vostro marito?

Elena                             - Rudi, ti ha detto mio marito dove andava?

Rudi                              - No, signora. Ha detto soltanto che andava in centro e sarebbe tornato fra un'ora.

Elena                             - (a Luigi, piano, sorridendo) Ancora pochi minuti e poi la gioia ha termine. (A Rudi) Lascia, lì metto a posto io. Preferisco che tu vada dal fumista. Altrimenti si finirà col bru­ciare qualcosa. (Rudi esce) Sta sempre ad ascol­tare.

Luigi                             - Forse è innamorato.

Elena                             - Ma Luigi!

Luigi                             - Cosa ci sarebbe di strano? Vi vede tutto il giorno... Non mi sorprenderebbe punto che avesse preso una cotta.

Elena                             - Perché dovrebbe innamorarsi di me?

Luigi                             - Come siete civetta! Lo sapete be­nissimo...

Elena                             - Lo so; ma vorrei sentirlo da voi.

Luigi                             - Dio mio... perché siete carina, gen­tile, graziosa... sorridente con una bella bocca... avete begli occhi... bella voce...

Elena                             - Con quanto garbo parlate! Non so cosa farei se non vi avessi più... È terribile pen­sarci... Ma non mi lascerete, vero? (Luigi sor­ride. Seria) Rispondete. È vero che non mi la­scerete? (Luigi sospira) No, niente sospiri. Do­vete rispondere. (Nervosa) Avanti, rispondete. (Si avvicina a lui, innamorata).

(La porta si apre. Entra una signora             - la seconda. È una buona borghese, piuttosto ma­tura).

Signora                          - Buon giorno.

Elena                             - (andando dietro al banco) Rive­risco. In cosa posso servirla?

(Luigi va lentamente vicino al banco; si ap­poggia un po' lontano, osserva Elena mentre lavora).

Signora                          - Ho bisogno un po' di pasticceria per oggi... Cosa sono questi?

Elena                             - (con la molla in mano) Delizie Pe­pita.

Signora                          - Due pezzi. E queste?

Elena                             - Pasta margherita. Anche di queste, due?

Signora                          - No. Questi cosa sono?

Elena                             - Fiamme nere.

Signora                          - Due.

Elena                             - (mettendoli nel cartone) Due delizie e due fiamme. (A Luigi, sorridendogli) Non avete ancora risposto alla mia domanda.

Luigi                             - Anche il silenzio è una risposta.

Elena                             - Sì; ma non basta.

Signora                          - Avete dita d'apostoli?

Elena                             - Eccole signora. Quante? (A Luigi) Mi piacciono le risposte chiare.

Signora                          - Quattro. Sono la passione dei miei bambini.

Elena                             - (con cortesia professionale mentre dis­pone le paste) Li ho visti ieri, i suoi bimbi. Come sono carini! Allora, quattro soli di questi?

Signora                          - Sì, bastano.

Elena                             - (disponendoli)... due, tre, quattro. (A Luigi) Vedo che riflettete... Brutto segno!

Luigi                             - Ma no!

Elena                             - (alla cliente) Comanda altro?

Signora                          - Nient'altro, grazie.

Elena                             - (mentre fa il pacco) Biscotti freschi, croccantini, paste di mandorle, pasticcini con la marmellata, babà al rum, baci di vedova.

Signora                          - Grazie. Per oggi basta così. Quan­to è?

Elena                             - Trenta... quaranta... e quaranta... Un pengo e dieci, signora. (La signora paga - Dando il resto) E dieci, fa un pengo e venti. Grazie, signora.

Signora                          - Buon giorno. (Esce).

Elena                             - (affrettandosi ad uscire dal banco) Ora poi dovete rispondere, briccone raffinato che non siete altro!

Luigi                             - Come siete impaziente oggi!

Elena                             - Sapete benissimo che giorno e notte aspetto soltanto i pochi minuti in cui vi posso vedere...

(La porta si apre. Entra una servetta).

Elena                             - (torna dietro al banco) Cosa vi occorre, figliuola?

Servetta                         - Due etti di cacao olandese.

Elena                             - Cacao olandese. (Prende il barat­tolo. A Luigi) Siete anche capace di essere cru­dele, voi! (Alla servetta) Quanto cacao?

Servetta                         - Due etti!

Elena                             - (mentre pesa) Cosa fate oggi?

Luigi                             - Vado alle corse. Spero di guada­gnare qualche pengo.

Elena                             - (mentre lavora) Con chi andate?

Luigi                             - Solo.

Elena                             - E stasera?

Servetta                         - (osserva la merce) È proprio olandese?

Elena                             - Purissimo. Viene direttamente da Amsterdam. Del resto, non lo avete chiesto olandese ?

Servetta                         - Sì, sì.

Elena                             - E allora...! (.4 Luigi) Cosa fate stasera?

Luigi                             - Stasera?

Elena                             - Vi è difficile rispondere?

Luigi                             - Non so... Cinematografo, caffè...

Elena                             - Solo?

Luigi                             - Sì... o qualche amico.

Elena                             - Non sarà piuttosto... qualche amica?

Luigi                             - Macché!

Elena                             - Non vi credo... (Alla servetta) 80 Heller. (La servetta fruga nel portamonete) Dite la verità: amica?

Luigi                             - Gelosa?

Elena                             - Sì. (Alla servetta) No, cara. Ot­tanta heller.

Servetta                         - Ne ho solo 60.

Elena                             - Non importa. Mi porterete gli altri 20 heller nel pomeriggio. (Le dà il pacchetto).

Servetta                         - Buon giorno.

Elena                             - Buon giorno. (Si affretta a uscire dal banco, mentre la servetta esce) Ora mi do­vete due risposte! Primo: non mi lascerete?

Luigi                             - No.

Elena                             - Secondo: Andate al cinema con una donna?

Luigi                             - No.

Elena                             - E... penserete a me quando Greta Garbo... o quando la musica suonerà «come posso vivere senza di te? », penserete a me?

Luigi                             - Sempre.

Elena                             - Sei così calmo, tu! Il vero sedut­tore sicuro di se... Mentre io sono così inquieta, così agitata... Ma non me ne vergogno... Non sono abituata... Voi siete il primo... sei il pri­mo... Ho tre bambini ma tu... nella mia triste prigione sei il sole... la libertà... il mio primo amore...

(La porta si apre. Entra Kiss).

Elena                             - Finalmente, caro! Dove sei stato?

Luigi                             - Buon giorno, signor Kiss.

(Kiss non risponde, attraversa in fretta la scena per andare in casa).

Luigi                             - Non risponde nemmeno. Datemi un babà, per favore.

Elena                             - Chi sa dove è stato... Sedetevi tran­quillamente. (Gli mette dinanzi il piatto dei babà. Siede accanto a lui).

Luigi                             - Grazie. (Ne addenta uno) Squisito. Sono ancora caldi.

(Kiss ritorna in abito da lavoro; va dietro al banco dove si mette a lavorare. Ordina la roba, spolvera qualche bottiglia, si china a cercare qualcosa, ecc. Una pausa. Per qualche istante nessuno parla).

Elena                             - Dove sei stato, caro? (Invece di rispondere, Kiss si china dietro al banco. Pausa. Elena guarda Luigi, crolla le spalle) Non senti, Edmondo? Dove sei stato?

Kiss                               - (rialzandosi) Ho avuto da fare. (La­vora).

Elena                             - Dove?

Kiss                               - Dove? In centro.

Luigi                             - Buon giorno, signor Kiss.

(Kiss non risponde, gli volta le spalle).

Elena                             - (dolce) Tesoro, il signor Vadasz ti ha salutato.

Kiss                               - (voltando le spalle ai due, pianò) Buon giorno. (Si affaccenda).

(Pausa).

Elena                             - Ho chiesto a Rudi dov'eri andato. Ha detto che non lo sapeva. (Kiss non risponde, si affaccenda convulso. Elena crolla le spalle) Se non vuoi dirlo, non ti chiederò più nulla. (A Luigi) Sono buoni i babà?

Luigi                             - Squisiti. Questo è già il terzo.

Kiss                               - (nervoso, ma nascondendo la sua agi­tazione, cerca di parlare con naturalezza) Ti ho già detto, cara, che ho avuto da fare; ti ho detto che sono stato in centro; cos'altro vuoi? Niente di importante. Se ho da fare, è natu­rale che vada...

Elena                             - Chi dice il contrario? Ma sei così strano, mentre prima eri di buon umore... (Nuovo silenzio).

Luigi                             - Il signor Kiss, lavora moltissimo.

Kiss                               - (ripete macchinalmente) Moltissimo.

(Dalla strada entra il signor Muller, vecchio pensionato).

Pensionato                    - Buon giorno, signor Kiss. Buon giorno, bella signora.

Kiss                               - Riverisco, signor Muller. Cosa co­manda?

Elena                             - Buon giorno, signor Muller.

Kiss                               - Comanda?

Pensionato                    - Non comando niente; chiedo per favore, come sempre. Solo il re comanda. Io prego.

Kiss                               - Che cosa?

Pensionato                    - Finché il mio nipotino non cambia gusto, sempre lo stesso: una meringa. Ma bella grossa.

Kiss                               - (cercando) La più grossa, signor Muller.

Pensionato                    - Fatemi vedere. (Osserva col « lorgnon » sul naso) Questa non è abbastanza grossa.

Kiss                               - (nervoso ma dominandosi) Forse que­sta qui, l'ultima?

Pensionato                    - (osservandola) È schiacciata!

Kiss                               - Se fosse schiacciata, non gliel'avrei offerta.

Pensionato                    - E io non ve lo direi, se non lo fosse. Non sono mica cieco!

Kiss                               - Forse oggi il signor Muller è un po' nervoso.

Pensionato                    - Siete voi nervoso! Questa non la voglio. (Ne indica un'altra) Datemi quest'al­tra. Fatemela vedere. (La prende) È fresca?

Kiss                               - (nervoso) Si capisce che è fresca! Io non vendo mai la roba stantia.

Pensionato                    - Siete molto nervoso, oggi, si­gnor Kiss.

Elena                             - Edmondo!

Kiss                               - Ma scusate: quando il signor Muller trova cattiva la mia roba!

Pensionato                    - Non l'ho trovata affatto cat­tiva. Ho soltanto chiesto se è fresca perché non mi pare che lo sia. (Riprende la meringa).

Kiss                               - La prego di non toccare i dolci!

Pensionato                    - Ma chi tocca niente? L'ho soltanto indicata! Che modo è questo?...

Kiss                               - (sempre più nervoso) Sì; il signor Muller ha preso in mano le meringhe, mentre toccare la merce è proibito da un ordine della Prefettura; nemmeno i panini si possono pren­dere in mano: figuriamoci le meringhe!

Pensionato                    - Che tono è questo? Non ac­cetto lezioni da voi!

Kiss                               - (comincia a veder rosso) Eppure ne ha bisogno!

Elena                             - (sgomenta) Per carità, Edmondo!

Pensionato                    - Siete pazzo?

Kiss                               - (irritatissimo) Se questo non le piace, non so che farci! Ma guarda un po'...

Pensionato                    - Non mi vedrete mai più nel vostro negozio, signor Kiss (Si avvia agitato verso la porta).

Kiss                               - Tanto meglio! Così non toccherà più i miei dolci con le sue dita sudice!

Elena                             - (terrorizzata) Edmondo!

Pensionato                    - Sporco sarete voi!

Kiss                               - Fuori, Via di qua! (Esce dal banco).

(Il pensionato esce. Kiss inciampando per l'agitazione e schiumando di rabbia torna die­tro al banco).

Elena                             - (spaventata, premendosi il cuore con la mano) Gesummaria! Un vecchio cliente!... Edmondo!

Kiss                               - (affaccendato dietro al banco) E fini­scila col tuo « Edmondo! ». Inaudito! Vecchio imbecille! Va a toccare tutte le meringhe... Perché ti disperi tanto? Ho anch'io la mia di­gnità! Compra una meringa al giorno e -crede di potermi trattare come il suo cane! Posso vivere anche senza di lui!

(Dietro al banco cade a terra un oggetto che si rompe in mille pezzi con strepito di porcel­lana o di vetro).

Elena                             - (con piccolo grido) Cos'è? Cos'hai rotto?

Kiss                               - Ricominciamo! Cosa c'è da spaven­tarsi? Non è mica caduta la casa! È questo stupido piatto di vetro che sta sempre qui sull'orlo del banco... Almeno si è rotto una buona volta! (A Rudi che è accorso spaventato dal rumore) Hai proprio bisogno di metterlo qui, questo piatto, in modo che uno lo urti, idiota, imbecille! Adesso è andato in pezzi, raccoglili se ci riesci. (In collera) E se un'altra volta...

Rudi                              - Ma signor Kiss...

Kiss                               - Silenzio! Come ti permetti di rispon­dere quando parlo io?! Bolscevico! (Lo minaccia) Bada che ti strozzo, vagabondo mascalzone!

Elena                             - Per carità, Edmondo, calmati... guarda... non siamo soli...

Kiss                               - Cosa m'importa! (A Rudi) Marsc in laboratorio! Poi parleremo!

Elena                             - Lascia almeno che spazzi via le schegge!

(Rudi vuole andare dietro al banco).

Kiss                               - Non c'è niente da spazzare! Marsc in laboratorio, ho detto!

(Rudi via).

(Elena torna a sedere accanto a Luigi. Si­lenzio. Kiss lavora senza rumore).

Elena                             - (tormentata) Non avete ancora avuto il kummel, vero, signor Vadasz? (Si alza).

Luigi                             - Non ancora. Ma non vi disturbate. Non c'è fretta.

Elena                             - (davanti al banco) Perché? Il vostro liquore quotidiano... (A Kiss) Per favore, dam­mi il kummel. (Kiss continua a lavorare senza rispondere). Edmondo, non hai sentito? Ti ho chiesto il kummel.

Kiss                               - Lo sai dov'è.

(Elena guarda Luigi. Va dietro al banco, prende la bottiglia e un bicchierino, va a por­tarli sul tavolino. Versa).

Luigi                             - Grazie, signora. Molto gentile.

Elena                             - Ancora un babà?

Luigi                             - No; altrimenti non mangio a tavola.

(Dalla strada vengono i bambini).

Bambini                        - Buon giorno, mammina. (Si af­frettano a baciar la mano ad Elena).

Elena                             - (li bacia) Buon giorno, piccoli. Guardate che unghie nere! Presto a lavarvi le manine. E che siano belle pulite quando vengo in camera! Salutate lo zio Vadasz.

Bambini                        - (avvicinandosi a Luigi) Buon giorno. (Fanno per baciargli la mano).

Luigi                             - Ciao, piccoli! (Schermendosi) No, no; datemi solo la zampetta! Così. (Stringe la mano a tutti e tre).

Elena                             - Com'è andata a scuola?

Un Bambino                 - Bene.

Un altro                         - Abbiamo studiato.

Il più piccolo                 - (a Kiss) Babbo! (Kiss non risponde) Babbo!!!

Kiss                               - Che c'è?

Il piccolo                       - Siamo stati attenti alle automo­bili, sai?

Kiss                               - Bravi. A me, naturalmente, non si viene più a baciare la mano! (/ bimbi fanno per avvicinarsi) Grazie, ora è inutile. Troppo tardi. (1 piccoli si fermano sgomenti) Il babbo non conta. E poi, ho detto tante volte che non vi dovete fermare in bottega. Marsc in camera, uno, due!

(/ bimbi guardano spaventati Elena).

Elena                             - (dolce) Andate in camera; vengo subito. Il babbo oggi è un po' nervoso. (Li ac­compagna alla porta . / bambini vanno in casa).

Luigi                             - (va alla cassa) Ora vorrei pagare, se permettete. (Tira fuori il denaro) Quattro babà e un kummel. (Posa il denaro).

(Kiss voltato di spalle non risponde. Finge di fare qualcosa).

Elena                             - Edmondo, tesoro, il signor Vadasz vuol pagare.

Kiss                               - Cosa?

Elena                             - Il signor Vadasz vuol pagare.

Luigi                             - Lasciate correre: ho messo lì il de­naro,

Kiss                               - Non hai visto che ha messo lì il de­naro? Cosa vuoi da me?

Luigi                             - (imbarazzato) Allora... vado via. Ossequi, signora.

Elena                             - A rivederci, signor Vadasz. Non dimenticate che domattina dobbiamo occuparci delle tasse. Avete gentilmente promesso di aiutarmi.

Vadasz                          - Senza dubbio!

Elena :                           - A che ora potete venire?

Luigi                             - Per me... prima delle otto posso essere qui.

Elena                             - Grazie. Siete proprio gentile. Al­lora, più presto venite, meglio è... (Si accorge di averlo detto con amore) Più tardi sono spa­ventosamente occupata.

Luigi                             - Verrò alle sette e mezzo. A rive­derci, signora. Buon giorno, signor Kiss.

(Kiss rimane voltato di spalle. Luigi aspetta un momento. Vedendo che nessuna risposta arriva, alza le spalle, scambia un9occhiata con Elena, sorride ed esce. Pausa).

Elena                             - (calma) Quando sei entrato, ti ha salutato; hai appena risposto. Ora ti ha salu­tato di nuovo e non hai neanche voltato la testa.

Kiss                               - Chi è che ha salutato?

Elena                             - Il signor Vadasz.

Kiss                               - Ah, il signor Vadasz? (Si volta al­trove. Finge di cercare).

Elena                             - Perché non rispondi al suo saluto? Sei in collera con lui?

Kiss                               - Ero voltato a riordinare queste bot­tiglie e non l'ho sentito.

(Viene davanti al banco, rovista).

Elena                             - Ma cos'hai oggi?

Kiss                               - Niente.

Elena                             - (gli si avvicina, gli passa la mano sulla fronte, lo abbraccia) Tesoro mio, perché non mi dici cos'hai?

Kiss                               - Te l'ho già detto... niente. (Si svin­cola e si affretta in casa).

(Elena lo segue con lo sguardo. Vuole rag­giungerlo. È già all'estremità del banco quando la porta si apre: entra la terza signora).

Signora                          - Buon giorno.

Elena                             - (va dietro al banco) Riverisco. De­sidera?...

QUADRO QUARTO

Lo stesso giorno; dopo il pasto meridiano. Una parte della sala da pranzo della famiglia Kiss. Arredamento semplice, borghese. Pochi mobili. Una porta.

(Kiss è seduto in maniche di camicia, con aria depressa. Accanto a lui è il medico. Elena en­tra portando un catino, sapone, asciugamano. Mette tutto su una sedia).

Elena                             - Eccole l'acqua calda, dottore.

Dottore                         - Grazie. (Comincia a lavarsi le mani). Niente paura, cara signora Kiss. Niente paura. Niente paura. Non c'è niente di serio. L'ho visitato attentamente. Non è proprio il caso di spaventarsi.

Elena                             - Mi sono sgomentata, dottore; per­ciò vi ho fatto chiamare così in fretta. Stamat­tina stava bene, era di ottimo umore... E tutt'a un tratto, verso mezzogiorno... quando è tornato a casa... non so dov'era stato era così nervoso come non l'ho mai visto. A tavola non ha man­giato niente, non ha detto una parola e poi... si è sentito male... (Si asciuga gli occhi). Forse vi ho disturbato mentre mangiavate.

Dottore                         - Affatto, cara. Mangio sempre tardi. (Si asciuga le mani).

Elena                             - Meno male che il cuore è sano. Mi sento un gran peso di meno, dottore.

Dottore                         - Cuore sanissimo. Piuttosto... i nervi sono un po' in disordine... Ma li rimet­teremo a posto. (Kiss infila la giacca e si volta per andare). Restate pure, signor Kiss. Non c'è nulla che io debba comunicare segretamente a vostra moglie. Niente di misterioso, signor Kiss. Si tratta di questo: i vostri nervi dichiarano, in questo momento, di non voler lavorare. Non dico che sia proprio uno shock nervoso, come ne vedevamo tanti durante la guerra; ma in forma molto meno grave qualcosa del ge­nere.

Elena                             - E che cosa gli prescrivete?

Dottore                         - Non ci sono medicine per questi disturbi, cara signora Kiss. Quello che occorre è una grandissima tranquillità: nessuna agita­zione! Nutrimento abbondante, molte passeg­giate, bagni tiepidi e soprattutto dormire il più possibile. Consiglierei anche di andar via per una quindicina di giorni.

Kiss                               - Andar via! Bisognerebbe aver tem­po... e denaro!

Dottore                         - Bè, avete questo tesoro di donnina e i bambini per distrarvi... (A Elena) Via, si­gnora, non ve la prendete a cuore.

Elena                             - (asciugandosi le lacrime) L'idea di vedere in questo stato il mio caro marito... che è stato sempre il buon umore personificato!

Dottore                         - Non vi disperate così, figliuola! Fate quello che vi dico e in breve vostro ma­rito sarà quello di prima... Ci vuole solo un poco di pazienza. Non si deve agitare; deve la­vorar poco, mangiare, dormire, fare dei bagni, andare a passeggio. E ora, arrivederci. Se avete bisogno di me, telefonatemi. (Porge la mano a Kiss) State bene, caro amico.

Kiss                               - Mille grazie, dottore. I miei rispetti.

Dottore                         - (porge la mano anche a Elena) Mille auguri. Buon giorno.

Elena                             - Accompagno il dottore. (Via col dottore. Breve pausa. Torna, Porta via il ca­tino, ecc. Poi rientra). Non capisco, tesoro, perché non hai voluto dire al dottore cosa ti è successo stamattina. Qualcosa deve esserti suc­cesso, perché tu sia cambiato così improvvisa­mente. Sei diventato tutt'a un tratto così strano, così nervoso... (Kiss tace) Preoccupazioni finan­ziarie, grazie a Dio, niente. La bottega va be­ne, non abbiamo debiti. Dimmi dunque... È venuto qualcuno?...

Kiss                               - No.

Elena                             - Forse una telefonata?

Kiss                               - No.

Elena                             - E allora, dev'essere stato quando sei uscito.,. Non mi vuoi dire dove sei stato?

Kiss                               - In nessun luogo.

Elena                             - Sembri un bambino maleducato. Che modo di rispondere: in nessun luogo? Lo fai per farmi arrabbiare? (Kiss tace). Senti, Ed­mondo: esigo che tu mi dica dove sei stato.

Kiss                               - (guardandola) Lo esigi?

Elena                             - Sì. Devi dirmelo e subito.

Kiss                               - (come minacciando) Bada che te lo dico.

Elena                             - Avanti!

Kiss                               - È arrivata una citazione per te. Sono stato alla Polizia.

Elena                             - Alla Polizia?

Kiss                               - Sì. Al Commissariato del I Manda­mento.

Elena                             - E cosa volevano da te?

Kiss                               - Da me niente. Da te.

Elena                             - Da me?

Kiss                               - La citazione è diretta a te. Un tassì ha investito un'auto privata sullo Schwabenberg. Domenica sera alle nove.

Elena                             - E io che c'entro?

Kiss                               - Sei citata come teste. Eri nel tassì.

Elena                             - Io?

Kiss                               - Sì. Con Luigi Vadasz. È citato anche lui come teste.

Elena                             - (perplessa) Non... non è vero!

Kiss                               - Come? Chi mentisce? Io? O la po­lizia? Chi mentisce?

Elena                             - Cosa vuoi che ne sappia? Forse Va­dasz era con un'altra donna... Dio sa chi... e hanno dato il mio nome...

Kiss                               - Domenica sera mi hai detto che an­davi a Neupest da tua madre, perché è amma­lata.

Elena                             - Difatti.

Kiss                               - Come potevi, dunque, a quell'ora es­sere in tassì con Luigi Vadasz sullo Schwabenberg?

Elena                             - Se non è vero!

Kiss                               - È vero! Non mentire... Domattina c'è il processo; ci sarà,anche il signor Vadasz e anche la guardia municipale che ha steso il verbale. Tu non sei andata a Neupest da tua madre. (Elena piange piano). Non sei stata da

tua madre.

Elena                             - (angosciata) No.

Kiss                               - Finalmente! Ora posso anche dirti che stamane, tornando dalla polizia, sono entrato in un caffè e ho telefonato a Neupest. Ho fatto chiamare tua madre dal droghiere e l'ho interrogata. Ha dichiarato che domenica sera sei stata da lei dalle 8 e mezza fino quasi le 11. (Elena piange) Hai dunque costretto anche tua madre a mentire. Vergogna! Pensa che hai tre bambini... Una relazione con Vadasz! Sei cor­rotta e disonesta... sei... stavo quasi per dirti cosa sei diventata... Già da un pezzo l'andare e venire del signor Vadasz non mi persuade­va... ma non avrei mai creduto che saresti stata capace... che saresti diventata come tutte le al­tre... labbra tinte, manicure e l'amante...

Elena                             - Non è vero! Dammi tutti i titoli che vuoi perché ho fatto questo... sono andata con lui sullo Schwabenberg, ma fra noi non c'è stato niente, credimi! Niente! È innamorato di me, ma non è colpa mia!

Kiss                               - Sì, che è colpa tua!

Elena                             - Cosa vuoi che faccia? Viene tutte le mattine, mi parla del suo amore mentre beve il kummel, mi perseguita con questo amore... ma non ti permetto di dire che è il mio amante! Fra noi non c'è stato e non ci sarà mai nulla!

Kiss                               - E allora perché sei andata con lui in tassì?

Elena                             - Quella sera avevo mal di capo e vo­levo prendere un po' d'aria... Lavoro tutta la settimana in quella cantina ammorbante... e lui non mi diede requie e volle accompagnarmi...

Kiss                               - Perché mi hai mentito dicendomi che andavi dalla mamma?

Elena                             - Perché temevo che tu mi chiedessi dove andavo e con chi e perché ... Ma non è il mio amante! È un'infamia dir questo! Non c'è nulla fra noi!

Kiss                               - Aspetta, tesoro: ti faccio vedere una cosa. (Tira fuori da un armadio un involto. Lo apre. Ne toglie due paia di calze di seta chiara e due combinazioni di seta              una rosa e una celeste guarnite di trine) Che roba è questa? E questa?... E questa?... E questa qui?

Elena                             - (adirata) Hai frugato nel mio ar­madio!

Kiss                               - Ho rotto la serratura, se vuoi saperlo. Ah, è lui che ti perseguita col suo amore? Che non ti dà requie? Ti perseguita? Con le calze di seta? E le camicie di seta... Chi le porta, lui o tu? Combinazioni di seta... roba che portano solo quelle là... Non ne hai mai avute, tu! (Fuo­ri di se) Ah, non c'è niente fra voi, eh? Ripe­tilo che non c'è niente! Gli vuoi bene, eh? Ti piace, eh?

Elena                             - Non mi tormentare!

Kiss                               - Gli vuoi bene? Rispondi! Per pia­cere a lui portavi questa roba... come una pro­stituta... Bisognava sedurlo, il signor Vadasz... con le calze di seta... Svestirsi dinanzi a lui... rimanere in carnicina di seta rosa, o celeste! Quando mai hai avuto camicie di seta? Rispon­di! Hai mai avuto camicie di seta col pizzo?

Elena                             - (singhiozza) Lasciami! Lasciami! Lasciami!

Kiss                               - Vorresti forse pretendere che le hai comprate per piacere a me? Per me! Questo vuoi sostenere?

Elena                             - No!

Kiss                               - Allora per lui! Eh?

Elena                             - (singhiozzando) Sì!

Kiss                               - Volevi apparire seducente al signor Vadasz! Che schifo! Hai ancora il coraggio di dire che non sei innamorata di lui, che non è il tuo amante! Dillo! Dillo!

Elena                             - È innamorato di me, te l'ho già detto, tanto innamorato... non è colpa mia... Come posso resistere vedendolo e sentendo tutti i giorni le sue parole... Ma fra noi non c'è stato niente!

Kiss                               - Non dire ancora questo, altrimenti perdo il lume della ragione! Non puoi resistere, perché è innamorato! E io? Cosa sono io?

Elena                             - È diverso... Tu sei il mio caro ma­rito... il mio compagno...

Kiss                               - Ah sì, eh?

Elena                             - Ti voglio bene... ti rispetto., men­tre lui... non è il compagno della mia vita... È come... non so, una farfalla...

Kiss                               - Una farfalla? Il signor Vadasz una farfalla?

Elena                             - Vedi... per te ho del rispetto, per lui no... Ma lui mi adora; e io cosa posso fare? Tu sei buono con me... ma lui viene tutti i giorni a bere il suo kummel e mi fa dei com­plimenti... mi dice che sono giovane e bella... Credi che non mi faccia piacere sentirmi dire che ho dei begli occhi e una bella voce?... Lui vede in me la donna diversamente da come la vedi tu... Per te sono una bestia da soma im­prigionata in un fetido carcere, in questa casa buia... ho sempre lavorato fino a venir meno dalla stanchezza... E un giorno è entrato un gio­vanotto... ho visto che cominciavo a piacergli... e allora mi sono accorta che non sono una be­stia qualunque... Una donna ha anche bisogno di respirare un poco... Vederlo così premuroso e tenero... vedere che non pensa ad altro che a piacermi... per me abito nuovo e cravatte ele­ganti... Tutto questo fa bene a una disgraziata che sta sempre a sgobbare! È colpa mia? La prima volta che è venuto era mal vestito... e per me è diventato sempre più grazioso ed elegan­te... Per un pezzo non ha fatto che tacere e so­spirare... E io mi accorgevo che era sempre più innamorato... e che soffriva per me... Non avevo mai visto nulla di simile; nessuno mi ave­va mai fatto comprendere che mi amava... Era tutto così nuovo e così bello... A poco a poco mi sono interessata... Un bel ragazzo che po­trebbe avere quante donne vuole, e cerca di piacere solo a me... E ho cominciato a pensare a lui... Sono anch'io una creatura umana, sono giovine, sono donna, ho bisogno di qualcuno che sospira per me, di cui posso esser gelosa... Si ha il desiderio di essere un po' civettuole quando si lavora venti ore al giorno... Non dormo quasi, non faccio che impastare e infor­nare, tenere i conti, cucire... sono serva, con­tabile, balia, cuoca... imprigionata in quel la­boratorio, nell'odore del grasso bruciato e quel tremendo fetore di vaniglia... E un bel giovine mi corteggia e mi ama... cosa c'è di strano se una povera donna perde la testa? (Singhiozza).

(Lunga pausa).

Kiss                               - Ascoltami, Elena. Se tu non avessi tre bambini, ti metterei fuori della porta. Ma non si può. Non siamo dei signori, quindi nien­te divorzio. Resterai qui, lavorerai... eduche­rai i tuoi figli. Ma bada!... Non vedrai mai più il signor Vadasz. Capisci? Mai più! Neanche se dovessi morirne. E... glielo dirai tu stessa. Tu lo licenzierai, tu lo metterai alla porta: ca­pito? Non fare che io debba incontrarmi con lui, perché allora... Ma non voglio insudiciarmi le mani toccandolo. Siamo dunque intesi?

Elena                             - (piangendo piano) Sì.

Kiss                               - Digli che mi hai confessato tutto. Ai tipi come lui... piacciono le donne... finché non vi sono pericoli e tutto si svolge comodamente! Vedrai che corsa prenderà quando saprà che io sono al corrente... Capito?

Elena                             - Sì. Soltanto... quando debbo par­largli?

Kiss                               - Il più presto possibile! Subito!

Elena                             - (piangendo) Per oggi, non viene più. Non posso andare a casa sua.

Kiss                               - Non ci mancherebbe altro! Ma voglio sapere cosa gli dirai. Voglio essere presente quando lo metterai alla porta. Domattina... Ho sentito che viene alle sette e mezzo.

Elena                             - (singhiozzando) Viene per le tasse!

Kiss                               - Va bene. Per le tasse. Ci sarò anch'io. Intesi?

Elena                             - Sì... Ma ti prego... Io faccio tutto quello che vuoi... ma ti chiedo soltanto di non dirgli una parola! Te ne supplico! Io... lo met­terò alla porta... ma tu non ti devi agitare... ti farebbe male... Lo manderò via io... (Viene nuovamente sopraffatta dal pianto)... quantun­que... fra noi non ci sia mai stato niente... mai, mai niente... (Kiss ride beffardo) Non ridere! Non ci è mai stato...

Kiss                               - (ruggendo) Ma smettila con questa menzogna!

Elena                             - Non devi parlare con lui... Ascol­terai quello che io gli dirò... ma non devi of­fenderlo... Anche se mi ammazzi, ripeterò che è un ragazzo onesto... ha tanta stima di te, se lo sentissi come parla... Anche per questo gli ho voluto bene! (Piange).

(Lunga pausa).

Kiss                               - E... chi ha pagato il tassì?

Elena                             - (piangendo) Io.

QUADRO QUINTO

L'indomani mattina. Nella pasticceria. La scena comincia come nel primo quadro.

Rudi                              - (porgendo la tavola) Anche oggi una magnifica giornata, signor Kiss.

Kiss                               - (lavorando) Sì, ho visto.

Rudi                              - Dicevo così... (Esce e torna con un altra tavola) Baci di vedova. Ieri sono an­dati tutti, mentre lei credeva che fossero troppi! Anche oggi la signora ne ha fatti fare molti.

 

Kiss                               - (dandogli un vassoio di paste) Questa è roba di ieri. Mettila nel reparto dei ragazzi.

Rudi                              - Oh, anche i giocatori di foot-ball le mangiano volentieri, se pagano qualche soldo di meno!

Kiss                               - (lavorando) Va bene; non fare tante chiacchiere.

Rudi                              - Dicevo così... (Esce. Torna con una tavoletta) Babà.

Kiss                               - Perché mi dici ogni volta cosa porti? Lo vedo da me.

Rudi                              - Dico così...

Kiss                               - È inutile ce dire così». Metti lì la ro­ba e basta. Parli sempre quando non è neces­sario... Sei una bella croce, va!

(Elena viene dalla casa; ha in mano i fogli per le tasse. È affranta).

Kiss                               - (vedendola. A Rudi) Ora vai pure. Le altre paste le porterai dopo. Non venire finché non ti chiamo.

Rudi                              - Sì, signor Kiss. (A Elena che intanto guarda in istrada dalla vetrina) Una bella gior­nata anche oggi, signora.

Elena                             - Sì, figliuolo.

Rudi                              - È primavera. (Esce).

Kiss                               - Perché hai portato i moduli delle tasse? Non ti servono. (Elena si volta) No, no. Inutile che il signor Vadasz ti aiuti! Stasera, dopo la chiusura, riempiremo i moduli noi due. Perché li hai portati? Credi di continuare a stare lì a discorrere e scarabocchiare col tuo Vadasz? Cosa ti credi?

Elena                             - (piano, stanca) Quando ho guar­dato nel mio taccuino cosa c'era da fare oggi, ho visto per prima cosa le tasse. Non ho ripen­sato... ho preso i moduli... solo perché c'era scritto nel taccuino.

Kiss                               - (esce dal banco) Le sette e mezzo. A momenti sarà qui il tuo amante. E alle sette e tre quarti è sperabile che sarà già andato via.

Elena                             - Ti chiedo solo una cosa... ieri mi hai promesso di non intervenire mentre io parlo e di non offenderlo... ti supplico ancora di la­sciarmi fare... Vedrai che sarai contento.

Kiss                               - Spero bene. Altrimenti non rispondo di me.

Elena                             - Non ricominciare ad agitarti. Sai che il medico te lo ha proibito.

Kiss                               - Non ti preoccupare. Ora cominci an­che ad amarmi!

Elena                             - Ti ho sempre amato. (Kiss ride forzato) Non ridere!

Kiss                               - (beffardo) Benissimo. Mi hai sempre amato. (Va dietro al banco; si dà da fare).

(Elena siede appoggiando i gomiti a un ta­volino e fissando la strada. Improvvisamente si alza portandosi una mano al cuore).

Kiss                               - Cosa c'è?

Elena                             - Eccolo... Attraversa la strada.

Kiss                               - Ah sì?... Bè, ora fatti forza, se non vuoi che parli io.

(Entra Luigi. Porta un mazzolino di violette. Cravatta vivace, guanti gialli, fiore all'occhiello. È gaio, di buon umore; non ha l'idea più lon­tana...).

Luigi                             - Buon giorno, signora.

Elena                             - Buon giorno.

Luigi                             - Buon giorno, signor Kiss.

Kiss                               - ... giorno.

Luigi                             - (allegro) Permettete, giovine si­gnora, che come segno di omaggio io vi offra solennemente le prime violette, che una vec­chia fata mi ha porto in istrada, in cambio di poco denaro... (Gliele dà).

Elena                             - Grazie. (Guarda Kiss che si volge altrove. Prende i fiori, li posa subito sul tavo­lino).

Luigi                             - Vedo già pronti i fogli nei quali le autorità che presiedono alle sorti finanziarie del nostro paese, rivolgono indiscrete domande al signor Kiss.

Elena                             - (imbarazzatissima) Sì... ho portato gli stampati... ma non credo che potremo riem­pirli adesso... mi mancano alcuni dati...

Luigi                             - Ma domani è l'ultimo giorno per la denunzia.

Elena                             - Sì... ma...

Kiss                               - (chiama) Rudi!

Elena                             - Cosa vuoi... da Rudi? (Rudi è ap­parso sulla porta).

Kiss                               - Portami il giornale. (Rudi scompare).

Elena                             - Sì... cioè... sì, domani è l'ultimo giorno, ma... Sedete, signor Vadasz.

Luigi                             - Grazie. (Siede).

Elena                             - (senza sedersi) Ma... mio marito non crede urgente... che si riempiano gli stam­pati stamattina.

Rudi                              - (entra e porge il giornale a Kiss) Ecco il giornale.

Kiss                               - Di nuovo? Lo vedo che è un gior­nale e non un cesto di carbone!

(Gli strappa di mano il giornale).

(Rudi esce. Kiss dietro al banco finge di as­sorbirsi nella lettura del giornale; ma non perde d'occhio Elena).

Luigi                             - A vostro piacere, bella signora. Siamo ai vostri ordini, sempre che volete.

Elena                             - Grazie. (Pausa) Avete già fatto co­lazione?

Luigi                             - Sì, a casa.

(Kiss lancia un'occhiata rabbiosa da sopra al giornale - Pausa).

Luigi                             - (indicando Kiss, mormora) Ancora di malumore?

Elena                             - (confusa, ad alta voce) Mio marito non si sente bene. Non abbiamo dormito tutta la notte, né lui ne io. Perciò... ho pensato, si­gnor Vadasz... ho deciso... fermamente deciso che... che... (ammutolisce).

Luigi                             - Cosa avete deciso, bella signora? Non vi sedete?

Elena                             - No, grazie. (Luigi si alza) Ho deciso stamattina... sì, stamattina al vostro arrivo... vi avrei detto... cioè... non so come cominciare.

Kiss                               - (impaziente) Comincia come vuoi, ma comincia una buona volta, invece di bal­bettare.

Elena                             - Edmondo... ti prego!

Kiss                               - Va bene; non ho detto niente. (Finge di leggere).

Elena                             - Dunque, signor Vadasz devo dirvi... che io... È una cosa molto seria... Vi prego di non fraintendermi... (Tace).

Vadasz                          - Perbacco, come siete tutti seri, oggi, qui dentro! Non devo fraintendere... Cos'è che non devo fraintendere?

Elena                             - È molto difficile... ma sono co­stretta...

Luigi                             - Avanti, fuori... A cosa siete co­stretta?

Elena                             - Sono costretta... quello che devo dirvi... e vi prego di non fraintendermi...

(Dopo un attimo di pausa, Kiss posa il gior­nale ed esce deciso dal banco. Va alla porta di strada, chiude a chiave. Poi si volge a Luigi).

Kiss                               - Mia moglie esita troppo. Quindi vi dirò io... (Agitato) Vi dirò...

Elena                             - Per carità, Edmondo!

Kiss                               - Basta! Hai esitato abbastanza; ora parlo io. Mia moglie voleva dirvi questo: non dovete mettere mai più piede in questa casa, e finirla col kummel, mascalzone, farabutto!

Elena                             - (con un grido) Edmondo!

Luigi                             - Signor Kiss!

Kiss                               - Non c'è signor Kiss che tenga; e tu taci. Ti ho lasciato abbastanza tempo per farla finita con questo miserabile.

Luigi                             - Signor Kiss, non vi permetto...

Kiss                               - (lo interrompe) Sì, signore: misera­bile seduttore! Andare a turbare la felicità di una famiglia dabbene! Insinuarsi qui, farsi prestare 35 pengo da me, perseguitare mia moglie col tuo amore ?!

Luigi                             - (sdegnato) Perseguitare...

Kiss                               - Sì, col tuo amore, abietto farfallino, col tuo sudicio amore! Far perdere la testa alla mamma di tre bambini, sedurla...

Luigi                             - Io???

Kiss                               - Sì, tu! Portarla in tassì sullo Schwabenberg...

Luigi                             - Cosa?

Kiss                               - Farle comprare calze e camicie di seta; di una onesta operaia fare una donnaccia!

Luigi                             - Non è vero!

Kiss                               - Taci, vigliacco, farabutto, altrimenti ti ammazzo come un cane, vagabondo, porco... Oseresti negare di averla perseguitata col tuo amore?

Luigi                             - Non è vero! Chiunque lo abbia det­to, è menzogna!

Kiss                               - Canaglia! (Gli molla un pugno - Elena urla e vuole intromettersi. Kiss, tratte­nendola) Ferma, tu!

(Elena si appoggia mezzo svenuta col dorso al banco).

Luigi                             - (ha vacillato un momento sotto al col­po. Ora è dinanzi a Kiss sconvolto, tremante di agitazione) Assassino! Brutale assassino! Mentite! Tutti e due! Io avrei perseguitato vostra moglie... col mio amore? Io? Col mio amore? Assassino... (Durante tutta questa ti­rata, lotta con le lagrime) Ho una fidanzata, io, una ragazza che adoro, se volete saperlo... (Prorompe agitatissimo) Si chiama Irma Kovacs, è dattilografa in una ditta quasi di faccia alla vostra bottega... Gliick e Kosma, telefonate subito... (Coti mano convulsa ha tirato fuori il portafogli) Ecco il suo ritratto e le sue let­tere... da queste potete vedere chi è che perse­guitavo col mio amore... Ecco una lettera... tre giorni fa volevo suicidarmi per lei... ecco, leg­gete... perché sono disoccupato e non posso sposarla... E lei mi ha impedito di uccidermi, perché ci amiamo... Ecco la lettera, leggetela! E ora esigo che le telefoniate subito, ditta Gliick e Kosma... 64-347... (Balza al telefono) ...la chiamo subito...

Elena                             - (coti un grido doloroso) No! no! (Luigi lascia il telefono. Trema. Tace. Una pausa - Kiss guarda Elena, sbalordito).

Elena                             - (con gli occhi chiusi, con indicibile pena) Non ho mai detto... che mi avete per­seguitato... col vostro amore... Se avessi saputo che eravate fidanzato, avrei... Perché non me lo avete detto?

Luigi                             - (disperato) Volevo dirvelo; ma quando vidi che voi... allora ho sempre ri­mandato, da un giorno all'altro... Vi eravate messa in mente un'idea... e io avevo paura di farvi soffrire, dicendovi la verità... di offen­dervi...

Elena                             - Lo sentivo che c'era qualcosa! Lo sentivo!

Luigi                             - (in parte anche a Kiss) Ho anch'io il senso dell'onore e dell'umanità... So cos'è una moglie onesta... so cos'è una madre... che la­vora tutto il giorno... Ero disperato... Ma vo­stra moglie si era buttata a capofitto in questo sentimento...

Kiss                               - E perché venivate qui tutti i giorni?

Luigi                             - Perché accompagnavo la ragazza in ufficio... tutte le mattine... Passiamo qui da­vanti... Così sono entrato la prima volta... Al­lora non ne ero ancora innamorato... È da quando ho cominciato a venire qui... (stenta a trattenere le lagrime) Quella ragazza ha fatto di me un uomo! Mi ha insegnato a vestirmi... ad aver cura di me... ed io ero felice che vi fosse finalmente qualcuno per cui portare i guanti, annodare una graziosa cravatta... L'a­mavo ogni giorno di più... una ragazza deli­ziosa... Negli ultimi tempi facevo un giro più lungo per non passare davanti alla pasticceria... perché la signora non mi vedesse... Sapevo che le avrebbe dato dolore! Capisco cosa voglia dire, quando una mamma borghese si inna­mora di un essere insignificante come me... L'ho rispettata... E forse questo è stato l'er­rore... Ma pensate: Irma è dalla mattina alla sera in ufficio e io mi sentivo impazzire all'idea di stare tante ore senza vederla... Allora venivo qui... per essere nelle vicinanze... soffrivo terribilmente. Non potevo sopportare da solo quest'eterna attesa... e qui venivo trattato con tanta cordialità... Dio mio, dopo tutto sono un uomo, e questo raddolciva il mio dolore... Da principio ho creduto che fosse soltanto stima, da parte della signora... Naturalmente, mi sono poi accorto che era amore, ma era troppo tardi, per spiegare come stavano le cose... Ho com­messo un errore... Voglio molto bene alla si­gnora, ma non in quel modo... E poi ho fatto dei debiti anche qui... per la ragazza... Cinema, caffè, non so... acqua di colonia... Voi mi avete aiutato, due pengo una volta, cinque un'altra... a poco a poco il debito è aumen­tato... Perciò ho continuato a venire... perché non credeste che mi eclissavo per non pagare... Abbiamo fatto delle lunghe chiacchierate... e dirò sinceramente che ormai la signora si era innamorata... ed io non ho avuto il coraggio di dirle la verità! (Singhiozza) Mi sarei fatto prestare cinque pengo da voi se avessi avuto una relazione con vostra moglie?

(Pausa                           - Kiss è in penoso imbarazzo).

Kiss                               - E... le camicie di seta?

Elena                             - (grida) Taci! Non lo sa, lui!

Luigi                             - Che camicie?

Elena                             - Niente! Niente!

Luigi                             - (adirato) Che camicie? Voglio sa­perlo! Ditemi tutto!

Kiss                               - E il tassì? la gita sullo Schwabenberg?

Luigi                             - La signora mi disse che aveva l'emi­crania e voleva andare sullo Schwabenberg per respirare un po' d'aria... Insistette perché l'ac­compagnassi... Non ci sarei andato... Ma quel giorno avevo litigato con la mia fidanzata... pensavo che non sarebbe mai stata mia moglie... ero così triste... Era il giorno in cui volevo uc­cidermi... e intrattenermi con una buona crea­tura e prendere un po' d'aria, mi fece bene... Così l'accompagnai.

Kiss                               - E quando foste lassù?...

Luigi                             - Passeggiammo un poco, bevemmo un bicchiere di birra e tornammo indietro.

Kiss                               - E in tassì?

Luigi                             - La signora appoggiò la testa sulla mia spalla. Non scambiammo neanche una parola... e io pensavo che la sera mi sarei uc­ciso per la mia fidanzata.

(Elena cade a terra svenuta. I due uomini balzano spaventati, la sollevano. Luigi la tra­scina fino al tavolino a destra, la mette su una sedia, mentre Kiss prende dell'acqua dietro al banco. Tutto questo senza una parola. Elena rinviene. Kiss rimane accanto a lei. Luigi si scosta asciugandosi le lagrime. Il telefono trilla. Nessuno risponde. Altro squillo più lungo).

Elena                             - Il telefono...

Kiss                               - Cosa importa! Elena... tesoro... per­donami... sono uno stupido... amore mio, ri­mettiti... cara... (Nuovo squillo).

Luigi                             - (prende il ricevitore) Allò!... Per favore, richiamate fra dieci minuti; ora ab­biamo molto da fare. (Riattacca).

(Elena ha chinato la testa sul tavolino, co­prendosi il viso).

Luigi                             - (piange piano nel fazzoletto) Che ingiustizia... che obbrobrio...

Kiss                               - (avvilito va da Luigi) Cosa volete che vi dica, signor Vadasz? Non possiamo batterci a duello, come i signori della buona società...

 Luigi                            - (c. s.) Che ingiustizia...

Kiss                               - Se volete accettare le mie scuse... (Pausa - Timido, avvilito) Quell'eterno diffe­rire... quello è stato l'errore. Avete ragione. Non avreste dovuto.

Luigi                             - No!

Kiss                               - (confuso ma virile, non sentimentale) Ora però., non so come si dovrebbe fare... ma vorrei pregarvi di non prendervela con questa povera donna. Vedete com'è abbattuta... Trema come un uccellino spaurito... E so... sento... che non si può lasciarla così. Bisogna soccor­rerla... e se ci lasciate... cosa volete che faccia, io solo? (Dopo breve pausa) Giacché siete stato così gentile con lei... se voleste... ancora per qualche giorno... passare di qui almeno per cinque minuti... Io la conosco: non si riavrà se... Perciò vi prego di venire ogni tanto... come prima... e dirle che ha dei begli occhi... Una donna giovine ha bisogno di questo... Chiacchierate con lei... Questa poveretta sgobba tutto il giorno e... come si può condannarla se vede in voi... un raggio di sole, diciamo così, ideale... La vostra fidanzata non potrà aversene a male.

Luigi                             - Siete molto gentile, signor Kiss. Considero questo che mi dite, come una specie di riparazione. Ma qui non verrò più. Dopo quello che è accaduto, non potete pretenderlo. (Si volta per andare).

(Elena alza la testa e lo guarda).

Kiss                               - (goffamente) Fatemi il piacere: ri­manete ancora un momento.

Luigi                             - No, signor Kiss; non mi chiedete questo.

Kiss                               - Bè, quando la vostra collera sarà un po' sbollita... domani, dopodomani... solo due o tre volte... entrate a prendere un kummel la mattina... Vedete in che stato è questa po­vera donna... bisogna aiutarla un poco a ri­mettersi... pensate che ha tre bambini.

Luigi                             - No, signor Kiss. Non tornerò più. Addio.

Kiss                               - Non le date neanche la mano?

Elena                             - (si alza, si avvicina a Luigi con un sor­riso penoso. Piano) Addio. (Si porgono la mano. Elena china la testa sulla spalla di Luigi e rimane così per un momento).

Kiss                               - (piano, confuso) Attenta, cara; pos­sono venire i bambini. (Elena si ritrae un poco).

Luigi                             - Bè... addio. (Va alla porta, la trova chiusa a chiave, la apre ed esce).

(Elena siede al tavolino di sinistra).

Kiss                               - (siede accanto a lei, le parla teneramente, piano, quasi mormorando) Dimmi, bambina, perché hai permesso che le cose ar­rivassero a questo punto?

Elena                             - (piano anche lei, con lo stesso sorriso doloroso) Dio mio... perché ?

Kiss                               - Perché non mi hai detto la verità? Hai lasciato che io ti tormentassi?

Elena                             - Ti avevo detto che fra noi non c'era niente.

Kiss                               - Qualunque donna dice questo... Chi ci crede?

Elena                             - Eppure... non è stato niente... Solo... un'illusione.

Kiss                               - Ma perché non hai giurato, non mi hai convinto? Perché mi hai lasciato supporre che...

Elena                             - Perché non volevo abbandonarlo.

Kiss                               - Non capisco.

Elena                             - Non puoi capire. Credevo che i sospiri... e i silenzi... le cravatte... i profumi... fossero per me. Ero felice... di soffrire per lui... per il suo amore colpevole... E invece non era per me. Era per la sua fidanzata.

Kiss                               - E io sono stato così violento...

Elena                             - Non importa. Era così bello, ieri, soffrire per lui... Perché credevo ancora che mi amasse... (Pausa).

Kiss                               - Tesoro, cara, amore mio dolce... Sei più calma, ora?

Elena                             - Sì. (Pausa).

Kiss                               - E... le belle camicie di seta... le metterai... per me.

Elena                             - (piano, con sorriso penoso) No. Per te no.

Kiss                               - E per chi?

Elena                             - (anche più piano) Mai più... per nessuno... nessuno...

(Come ieri mattina, entrano i bambini pronti per la scuola. Kiss si alza, va loro incontro).

Bambini                        - Buon giorno, papà. Andiamo a scuola!

Elena                             - (con sorriso stanco) Venite qui. (/ bimbi si avvicinano) La colazione? (I bambini mostrano il pacchetto) Fazzoletto? (lo mostrano). Mani? Unghie? (le mostrano. Li osserva uno dopo l’altro) Va bene. (Li bacia uno dopo l’altro. Con voce da moribonda) E state attenti al tram quando attraversate la via Racoczi.

Bambini                        - Staremo attenti.

Kiss                               - (anche la sua voce è fioca) A cosa starete attenti?

Bambini                        - Al tram.

Kiss                               - Bene. Ora andate.

 Bambini                       - Buon giorno! (Si affrettano uscendo).

(Pausa                           - Elena si alza, si avvicina lenta­mente a

Kiss                               - La porta si apre. Entra una vecchia signora ben vestita).

Elena                             - (si asciuga gli occhi, va dietro al banco. Parla con un sorriso dolce e stanco e con voce sempre spezzata e dolente; si sforza a una sorridente cortesia) Buon giorno. La signora desidera? (Kiss esce da destra; la porta si apre; entra una ragazza di 10-12 anni, ve­stita poveramente).

Ragazza                        - Buon giorno.

Elena                             - Buon giorno, piccola. (Alla si­gnora) In cosa posso servirla?

Signora                          - (che finora ha osservato le paste) Fatemi vedere queste... Sono tortine di man­dorle?

Elena                             - Sì, signora: la stessa pasta della torta grande, ma in altra forma. Se la signora preferisce, abbiamo anche le torte di varie mi­sure.

(Kiss entra con un dolce. Lo posa ed esce).

Signora                          - No, vanno bene queste. Fresche?

Elena                             - Freschissime.

Signora                          - Datemene tre.

Elena                             - Tre. (Mentre serve) Nient'altro? Torta di mele, pastine frolle, babà, baci di ve­dova...

Signora                          - Grazie, nient'altro.

Elena                             - (mentre fa il pacchetto) E tu pic­cina, cosa voi?

Ragazza                        - Dieci heller di zucchero d'orzo.

Elena                             - Zucchero d'orzo. Subito, cara. (Dà il pacchetto alla signora che ha già posato un pengo sulla cassa) 45... (Dà il resto) ... e 55 a lei. Grazie e arrivederla.

(Il telefono trilla. Elena prende il ricevitore).

Signora                          - Buon giorno. (Esce).

(Kiss entra con due torte. Le posa e sino alla fine della scena si dà da fare per la bottega).

Elena                             - (al telefono) Pasticceria Edmondo Kiss... Va bene. Ma non intendo pagare il tras­porto dalla strada in cantina. Perciò vi prego di fatturare come eravamo d'accordo... No; l'ultima volta abbiamo pagato 14,60, non 15... Va bene. D'accordo. Buon giorno. (Posa il ricevitore. A Kiss) La torta più piccola è con la marmellata di pesche, l'altra di albicocche. (Alla ragazza) Dunque, piccola: abbiamo detto 10 heller di zucchero d'orzo. (Prende il ba­rattolo).

 

FINE