Peccato di poesia

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PECCATO DI POESIA

Dramma in tre atti

di SALVATOR GOTTA

PERSONAGGI

               MARINA D'ASOLO                                27    anni

LORENZO D'ASOLO, suo marito         50     »

GIULIANO FAZI                                    29     »

NICOLA MORENO                                38     »

GISA GRIMANI                                      19     »

ROLANDO GRIMANI                           40     »

BERNABEI                                              36     »

COROMALDI                                          38     »     

NATALIA, nutrice di Marina                  54     »

La signora GARBAGNA                         45     »

UN GIORNALISTA                                 23     »

UN CAMERIERE

UNA CAMERIERA

Le due signorine GARBAGNA

Giovanotti e signore che non parlano.

L'azione si svolge a Copenaghen nel palazzo del Ministro d'Italia, ai giorni nostri.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 Un salotto nel palazzo del Ministro d'Italia a Copenaghen. Mobilio sontuosissimo, ricchi tappeti e tendaggi, preziosi quadri alle pareti di cui uno, alla parete di sinistra, movibile. Molti divani e poltrone, disposti in vario senso. A sinistra, in pri­missimo piano v'è la scrivania di Marina presso cui s'alza una lampada a piede in ferro battuto.

In mezzo alla parete del fondo un finestrone aperto, oltre cui si scorgono le cuspidi della città nordica, illuminate da un riflesso di luna. Una larga portiera a vetri, munita di tende scorrevoli, verso il fondo a sinistra, mette ai saloni. Una por­ticina di servizio, quasi invisibile, in primo piano, a sinistra.

 Nella parete di destra v'è la porta che dà accesso alle stanze da letto.

È notte alta. Tutti i lampadari sono accesi.

SCENA I. Gisa Rolando, Bernabei e Coromaldi

 (Giunge dai saloni il fievole suono d'un valzer lento eseguito da un'orchestrina).

Rolando                        - (che passeggia nella sala, fermandosi a un tratto) Basta! Pettegolezzi no!

Bernabei                        - (a Rolando) Ma che pettegolezzi! Si parla per parlare (a Gisa). Sa che è insopportabile suo fratello, stasera?

Gisa                               - Stasera? Sempre!

Rolando                        - (a Gisa) A te, poi, non permetto di giudicarmi.

Coromaldi                     - Povero Rolando! Egli è un uomo di razza fedele. A questo mondo si nasce fedeli come si nasce.

Gisa                               -. ... furbi.

Rolando                        - Avanti, avanti, signorina! Si sfoghi!

Gisa                               - (sempre ridendo) Perché te la prendi con me?

Bernabei                        - Non t'adirare, Rolando. Vieni qua. Ora par­liamo sul serio. Per te, tutto ciò che si ordina, si di­spone qui dentro è ben fatto. Passi. La padrona di casa (si guarda attorno e poi continua, sottovoce) è una donna perfetta. Benissimo. Stasera le è piaciuto di­stoglierci dal nostro solito poker del club per farci as­sistere a questa... deliziosa adunata della colonia italia­na in casa sua? E passi anche ciò. Ella deve difendere la sua popolarità fra i connazionali, la colonia italia­na di Copenaghen è esigua, noi siamo degli attachés di suo marito, non si poteva mancare. Tutto questo va bene. Ma ora spiegami una cosa: Moreno.

Rolando                        - Ecco dove volevi arrivare!

Gisa                               - (alzandosi) Piano, piano, signori. Può venire qualcuno (esce lentamente verso sinistra).

Bernabei                        - Chi è questo Moreno?

Rolando                        - Uno scultore; un grande scultore.

Bernabei                        - Mai sentito nominare.

Rolando                        - Già! Tu vieni da Tokio. A Tokio si fuma l'oppio e ci si addormenta sui giornali italiani.

Coromaldi                     - (parla con un certo sussiego) Moreno è ve­ramente un celebre scultore. L'anno scorso, a Parigi, si parlava molto di lui.Vincitore al salon d'hiver, for­tunato con le signore....

Rolando                        - (approvando comicamente) Ecco! Ecco!

Bernabei                        - Ma come mai è capitano qui a Copenaghen?

Coromaldi                     - Deve fare il monumento a Cristiano III.

Rolando                        - (c. s.) Ecco! Ecco!

Bernabei                        - E chi l'ha chiamato? Chi l'ha proposto a Sua Maestà?

Rolando                        - Il nostro Ministro, si capisce. Moreno è ita­liano....

Bernabei                        - Il Ministro e la Ministressa?

Rolando                        - Vedi come sei?

Coromaldi                     - Capisci che fa apposta per....

Gisa                               - (ritorna) Ah, la moglie dell'incettatore di mer­luzzi è straordinaria! Ora balla. Andatela a vedere.

Rolando                        - (comicamente imperioso) Gisa! Resta qui! Non ti permetto....

Bernabei                        - (a Gisa) E Moreno, dica, che cosa fa?

Gisa                               - Mi pare che.... Sì, sì, sta ballando con la con­tessa.

Bernabei                        - (a Rolando) Te l'ho detto? Non la lascia un minuto.

Rolando                        - Vedi come sei?

Bernabei                        - (cambiando tono e appoggiando una mano su la spalla di Rolando) Amico mio, scherzavo. Io ho una. grande ammirazione per la contessa Marina. Innanzi tutto è l'unica signora veramente chic che ci sia in questa città. A Corte, certo, quest'anno nessuna la e-quivale. Poi è buona, gentile e molto intelligente. La conosco, figurati, da quando venne a Lisbona, sposa: sette anni fa. Che amore, era allora! Ed anche a Li­sbona, ricordo, era subito riuscita a primeggiare. È una accentratrice simpatica. Ed anche se facesse qualche in­fedeltà al marito.... Ma va là! Egli è tanto più vecchio di lei e... (sottovoce) tanto imbecille! Le deve un po' la carriera di questi ultimi affini, sì o no?

Rolando                        - Vedi come sei?

Gisa                               - Silenzio!!

SCENA II

Detti e Marina, poi Moreno

Marina                           - (entra da sinistra. Tutti si alzano in piedi) Oh eccovi! Vi siete trincerati qui! La pietra dello scanda­lo non può essere stato altri che Rolando. Vero? È lui! È lui! Da quando s'è innamorato fa il misantropo.

Rolando ...................... - (complimentoso, un po' confuso) Contessa

Marina                           - Povero Bernabei, niente poker stasera! Ma perché non siete venuti di là? Mio marito credo stia ancora giocando: con Strattford e col commendator Garbagna.

Bernabei                        - Col commendator Garbagna io non gioco. Vin­ce sempre; è un pescatore fortunato...

Coromaldi                     -. ...di merli e di merluzzi.

Marina                           - Zitto! Cattivo! E tu, Gisa? Ho delle magni fi­che porcellane nuove, sai. Piccole piccole, deliziose! Me le ha mandate stamane il segretario del Ministro in­glese. Domani te le farò vedere. E te ne regalo una di quelle altre.

Gisa                               - Oh grazie, grazie!

Marina                           - Domani vi aspetto tutti a colazione. Non sia­mo stati niente affatto insieme, stasera. Vi ho da comu­nicare delle cose importantissime.

Gisa                               - (c. s.) Oh, contessa!...

Moreno                         - (frattanto era entrato lentamente da sinistra).

Marina                           - Anche lei, Moreno, viene domani a colazione qui.

Moreno                         - (gentile ma riservato, un poco triste) Grazie, contessa; ma non posso accettare. Domani ho...

Marina                           - Ah! Il solito invito a Corte del giovedì. Par­don. Lei conosce tutti? Donna Gisa Grimani, Rolan­do suo fratello, Coromaldi....

Moreno                         - Sì, tutti, tutti amici.

Bernabei                        - Io non ho il piacere...

Marina                           - Voi non vi conoscete? Il conte Bernabei, se­gretario d'ambasciata, lo scultore Nicola Moreno.

Rolando                        - Il celebre Moreno... (stretta di mano fra Mo­reno e Bernabei).

SCENA III.

Cameriere, poi la signora Garbagna, le sue due figlie, il giornalista. Folla di signore e signori.

Cameriere                      - (da sinistra) Signora contessa, un gruppo di signore e di signori....

Marina                           - Vogliono entrare anche qui? Oh, mio Dio! Dite che vengo subito (servitore via). Forse se ne vanno. Scusatemi. Vado a salutare e torno. Voi restate ancora un momento.

Gisa                               - Andiamo anche noi.

Marina                           - È presto ancora. Aspettate. Eccole qui!

Sig.a Garbagna             - (grassa, buffa, eccessivamente elegante, stracarica di gioielli) Scusi l'imprudenza, contessa.... Noi andiamo. De mie figliuole sono solite alzarsi presto la mattina. Il mattino ha l'oro in bocca.

Rolando                        - (piano a Bernabei) Suo marito ce l'ha nella cassaforte.

(Seguono la signora Garbagna e si fermano nel fondo della scena e nel vano della porta di sinistra, le due si­gnorine Garbagna, il giornalista, molte signore e si­gnori).

Il giornalista                  - (un giovanotto in caramella, un poco alticcio) Contessa, mi permetta di esprimerle, a nome di tutta la colonia italiana che con squisito senso di ospitalità e di italianità lei ha voluto stasera qui ra­dunare, la mia, la nostra gratitudine, la mia, la no­stra devozione.

Bernabei                        - Ci mancava il discorso!

Il giornalista                  - (continuando) Fiore purissimo del Giar­dino d'Europa, del bel Paese...

Rolando                        - (sottovoce, facendo con la mano destra cenno di busse). ... dove il sì suona...

Marina                           - Grazie, Tornasi (gli dà la mano).

Il giornalista                  - Corro a telegrafare al mio giornale. Voglio che la notizia di questa splendida serata, di que­sta magnifica manifestazione di italianità, dalle rive del mare del Nord... voli al Mediterraneo. (Rumorosi saluti, strette di mano, baciamani. Escono tutti da sinistra. Seguono la folla anche Gisa, Bernabei, Coromaldi).

SCENA IV.

Moreno e Rolando

Moreno                         - (seduto in una poltrona, in primo piano, fuma una sigaretta, assorto, senza accorgersi della presenza di)

Rolando                        - (che, comicamente impacciato, pare non sappia decidersi se andare] o restare. Fra sé) Quasi quasi me ne vado anch'io. Però... adesso può sembrare anche una scor­tesia... (si accosta a Moreno) E... come va la statua?

Moreno                         - (rivolgendogli uno sguardo e squadrandolo serio e sorpreso) Che statua?

Rolando                        - (sempre pia impacciato) Il monumento...

Moreno                         - (buttando la sigaretta in un portacenere) Scusi, ha per favore delle sigarette filmabili, lei?

Rolando                        - (offrendo delle sigarette con premura) S'imma­gini...

Moreno                         - Tabacco pessimo, in questo paese (scegliendo una sigaretta). Orientali?

Rolando                        - No tedesche: le faccio venire da Dresda. Si serva. Se permette, gliene mando un pacco all'albergo, do­mani.

Moreno                         - Oh troppo gentile! (Pausa imbarazzante per)

Rolando                        - (che poco dopo s'avvia verso sinistra) Con per­messo. Vado a prendermi il soprabito (via da sinistra).

SCENA V.

Moreno e Marina

Marina                           - (rientra poco dopo da sinistra) Ah, è rimasto qui, lei (siede in una poltrona di primo piano).

Moreno                         - (che, si è alzato) Gli altri sono andati via?

Marina                           - No: danno un'occhiata al poker. Tornano qui fra qualche minuto.

Moreno                         - È stanca?

Marina                           - (un poco assente) No. Io non sono mai stanca. Segga li... Mi parli della sua vita di cortigiano. La prin­cipessa Maria è molto carina; ed è anche intelligente (una pausa). No? (si dondola sulla poltrona e giocherella con le mani, guardando fisso innanzi a sé). Suvvia, parli... parli!

Moreno                         - (quasi calmo, suadente) Contessa, la prego...

Marina                           - (ride riversando indietro la testa, bambina).

Moreno                         - (proteso, a voce bassa, contenendosi a stento). Ma che donna è lei? Quale segreto la tiene? Perché non mi è possibile vedere nel congegno di codesta sua anima stra­na che mi turba e mi irrita, sì, mi irrita fino allo spa­simo?

Marina                           - Buono, via, buono! Non ricominci.

Moreno                         - La colpa è sua.

Marina                           - È poco galante, Moreno, stasera.

Moreno                         - Ah, proprio nient'affatto! Dovrei essere galante perché? Per aggiungere la mia cianfrusaglia sentimentale alla chincaglieria mondana di cui lai ama fare raccolta? No, signora. Io non mi chiamo Rolando Grimani, o Co­romaldi, o Bernabei.

Marina                           - La prego di non nominare i miei amici invano. (una pausa). Ragazzo! (risatina) Ed è pure un uomo di talento! Come conosce poco la donna, però! Intendo dire la donna che ha un'anima da difendere.

Moreno                         - Oh quanto a questo, sì! Lei si difende; ma subito dopo di avere attratto nella propria orbita chi vuole. Lei è un'accentratrice. Fin qui ci arrivo. Eh sì! Lei è il ful­cro; tutto il mondo deve girarle d'attorno. Vorrei dire di più; una parola molto sintetica che usano i francesi per definire le donne del suo stampo.

Marina                           - Dica, dica....

Moreno                         - Allumeuse. Lei si compiace di accendere delle fiammelle intorno a sé e di spegnerle, poi, con un piccolo soffio, così, con un colpetto di mano.

Marina                           - (si alza e va a fermarsi, in ascolto, presso la porta di destra).

Moreno                         - (che l'ha seguita con lo sguardo) La secco?

Marina                           - No. M'era sembrato di sentir piangere la bambina (tornando in primo piano). Caro Moreno, lei ha ra­gione di prendersela con me. Io ho il torto di passare nella vita sorridendo e so che è molto pericolosa con gli uomini la maschera della giocondità. Vi offende, vero? Me l'hanno già detto altri. Mi deve perdonare, come altri mi ha perdonata. Ma se voglio, posso trovare con lei qual­che attimo di sincerità poiché lei è un uomo intelligente che mi può intendere. Ebbene senta, Moreno: ogni donna che non abbia abdicato, per un piacere effimero, alla pro­pria dignità interiore, quasi sempre ha un suo segreto che è il suo peccato tenebroso o la sua luce purissima. Io non sono una scettica dell'amore, Moreno, se pure ho visto accendersi e ho spento tante fiammelle intorno a me, come lei dice, con un soffio, con un colpetto di mano, così. Ciò che lei dice è vero: tarate e tante fiammelle, dovunque ho sostato nella mia vita raminga. Da Lisbona a Bukarest, da Philadelphia a Copenaghen. Quasi tutto il mondo, in sette anni, dacché sono sposata. E tutto il mondo è un cimitero di piccoli fuochi fatui. Che non bru­ciano colei che crede nell'amore e sorridendo si difende dagli appetiti d'ogni giorno, dalle ingenue insidie d'ogni ora. Ingenue, sicuro! Perché è ingenuo dire ad una donna « vi amo » quando la donna capisce che chi dice « vi amo » non sa di desiderare solamente. Prendere! Prendere! E non dare mai! E accorgersi di questo egoi­smo soltanto dopo aver preso! Che tristezza! (pausa). Ve­de che le parlo in nome di una fede. Non cerchi di sapere più in là.

Moreno                         - (che l'ha ascoltata con stupore, dopo un attimo di titubanza) Grazie per questo principio di sincerità che veramente non mi aspettavo.

Marina                           - (gli tende la mano) Proprio senza rancore?

Moreno                         - (tenendole la mano) Rancore? Un po' di avvi­limento, forse.

Marina                           - Perché!

Moreno                         - Per averla giudicata molto, molto diversa!

Marina                           - Da quella che sono? La diversità sta soltanto nella mia forza, che lei non supponeva, di sopportare il presente senza chiedere nulla al futuro.

Moreno                         - (guardandola negli occhi con intenzione) O di colmare una lontananza.... cedendo al fascino di un fan­tasma?

Marina                           - (colpita dalla perspicacia di lui, con un piccolo scatto fiero) Può darsi!

Moreno                         - Badi che non finisca per deludersi, un giorno, e la realtà non le precipiti addosso tutt'a un tratto, ro­vinosa. Sono un artista, conosco codesti stati di purità esasperata, di amorosa fissità inappagata. L'amore è fatto di spirito ma anche di carne, contessa. Non si viola la legge naturale senza incorrere nel pericolo d'una pu­nizione grave.

Marina                           - (con un sorriso amaro) M'aspettavo questo suo consiglio. Lei non crede adunque che la nostra vita di tutti i giorni e le cose e le persone vicine, appunto perché relative, facilmente sfruttabili, portino il segno di tutta la nostra umana miseria? Lei non crede che la lontananza possa, accendere la miglior parte di noi stessi ed elevare l'amore alla sua più inebriante in­tensità? Caduto il giorno, dimessa la sua fatica di menzogne necessarie e di difese sciocche, non crede sia straordinariamente confortevole ricercare il nostro so­gno lontano, nell'ombra e nella solitudine? Godere la profondità più intima, inginocchiarci per gratitudine da­vanti alla immensità del suo dono?

Moreno                         - (perplesso) Come l'amai Ma chi è? Chi è?

Marina                           - (per istinto di difesa, quasi rabbiosamente) Non parlo di me, non parlo di me....

Moreno                         - (severo) Marina!

Marina                           - (udendo suono di voci, agitata ma contenta di trovare un appiglio per la sua difesa) Oh ecco mio marito! Il poker è terminato (chiama rivolta verso sinistra). Lorenzo, siamo qui! Vieni!

SCENA VI.

Detti e Lorenzo. Poi Rolando, Bernabei e Coromaldi

Lorenzo                         - (appare sulla soglia di sinistra. È un uomo sulla cinquantina, alto, magro, elegantissimo, austero) Ah, c'è ancora Moreno!

Marina                           - (andandogli incontro, gaia) Hai perduto? Ha ragione Bernabei: il negoziante di merluzzi è inespu­gnabile (ai giovanotti che rientrano): Avanti, avanti l Sedete ancora un momento.

Bernabei                        - No, contessa. Ora si va. È l'ora.

Marina                           - Vorreste farmi credere che andate a casa? Non andate come ieri sera romanticamente cantando, in ri­va al mare, sotto la luna?

Rolando                        - Ah, io vado a casa!

Marina.                          - Lei sì, forse: ma prima mi ricanta il refrain della canzonetta di Mayol; e poi vi lascio andare tutti. Subito, subito, così (si mette in mezzo al gruppo).

Rolando                        - (con piccoli gesti comici canticchia con Ma­rina, Bernabei e Coromaldi che gli fanno coro a mez­za voce).... Bile est de l'Italie M'amie, jolie, J'ai l'àme tonte ravie, Je pense à elle toujours. Il dit à la fillette: « Brunette, simpiette, A Paris, ma coquette, On s'épousera tov.s deu.v ».

Marina                           - (ride).

Tutti                              - Buonanotte, contessa. Addio. Buona notte. A domani. (Saluti, baciamani; escono tutti da sinistra).

SCENA VII.

Cameriere. Poi Marina e Lorenzo

Cameriere                      - (viene, a prendere un servizio di liquori dal tavolino ed esce).

Marina                           - (rientra stancamente da sinistra, seguita da Lorenzo).

Lorenzo                         - Ora vai a letto subito. Non voglio più che resti alzata fino a tarda ora, a scrivere, qui, come fai tutte le notti.

Marina                           - Ho tanta corrispondenza da sbrigare. E que­sta è l'unica mia ora di solitudine. Le mie giornate sono così piene, Lorenzo. Tu lo sai. Non sgridarmi.... (gli mette le mani su le spalle).

Lorenzo                         - Temo che finirai per soffrire.

Marina                           - (gaia) Ora vado un attimo a vedere la bam­bina. Poi torno subito a dare un bacio a te. E poi tu vai a nanna e mi lasci scrivere un poco. Uà lettera sola. Brevissima. Sì, sì (fugge di corsa da destra).

Lorenzo                         - (siede in una poltrona sotto la lampada a pie-de, accende una sigaretta).

Marina                           - (ritorna, felice) Se tu la vedessi! Dorme co' suoi piccoli pugni contro le guance, così! Che amore! Vai a vederla anche tu.

Lorenzo                         - Ora vado.

Marina                           - Che hai? Sei triste?

Lorenzo                         - No.

Marina                           - I connazionali ti hanno seccato molto?

Lorenzo                         - Poveretti!

Marina                           - Quel Tornasi, quel giornalista! Sai che stava per farmi un discorso?

Lorenzo                         - E Moreno, non te l'ha fatto il discorso?

Marina                           - Ah! L'ho fatto io a lui: un discorsetto quasi filosofico.

Lorenzo                         - Che naturalmente io non posso sapere.

Marina                           - Non t'interesserebbe.

Lorenzo                         - Che tipo è quel Moreno?

Marina                           - Un uomo onesto.

Lorenzo                         - Come lo dici convinta!

Marina                           - Oh Dio! Mi pare un uomo onesto.

Lorenzo                         - Che importa se lo sia o non lo sia!

Marina                           - (con volto di pena) Non m'importa affatto, Lo­renzo. T'assicuro.

Lorenzo                         - (tristemente ironico) Già.... del resto... è sciocco farti queste domande.

Marina                           - Mi pare!

Lorenzo                         - Hai invitato anche lui a colazione, domani?

Marina                           - Sì. Ho fatto male?

Lorenzo                         - Non dico questo.

Marina                           - (esasperata) E allora che cosa dici, che cosa? Lorenzo, ricominciamo con le timidità, con le incertezze e coi dubbi! Il mese scorso era Saint-Just che ti dava ombra, oggi è Moreno, domani sarà un altro. Sempre! Sempre così! E ogni volta ti avvilisci nel chiedermi per­dono di queste infondate paure... e ogni giorno riprendi a temere! Ma perché temi? Ma non vedi? Ma non ca­pisci dunque? Ma come debbo fare per persuaderti? Vuoi che ti gridi in faccia che non posso mentire!

Lorenzo                         - Se è una verità così semplice, e dilla sempli­cemente, senza gridare. Ma no! Tu senti il bisogno dì buttarmi in faccia, più che la tua onesta, la esasperazione della tua onestà, quasi il rimpianto della tua incapacità a peccare. Io non so... io non so... non ti capisco, Ma­rina.

 Marina                          - Senti, Lorenzo. Che tu faccia il processo alla mia vita di tutti giorni, di tutte le ore, è un diritto che ti concedo seppure mi avvilisca,. Ma il processo alle mie intenzioni Ah è pazzesco, t'assicuro! Ti compiaci di torturarti cercando anche le tracce delle chimere che passano nel mio cervello? Fai pure. Ma ti perdi!

Lorenzo                         - (disperato) Basta! Non torniamo più su questo eterno argomento: un muro, una porta chiusa! (l'affer­ra alle spalle e le parla fissandola negli occhi). Ho la tua vita di tutte le ore, ho la tua giovinezza, la tua giocon­dità, la tua onestà fisica, sì! Ma perché mi fai supporre che ci sia ancora qualche cosa di te che io non possa prendere e serbare?

Marina                           - Ah, l'egoismo folle degli uomini! (gli prende la testa con le due mani e lo bacia quasi con ira). Zitto, zitto, zitto, zitto! Eccoti dei baci! Prendi! Purché tu la finisca d'essere ingiusto! E cattivo! Va!

Lorenzo                         - (si stacca da lei barcollando e s'avvia lento verso la porta di destra. Giunto su la soglia si volge, avvilito) Ancora una volta... perdonami!

Marina                           - (che l'ha seguito con gli occhi, dritta, ironica) Sì, Lorenzo, sì. Buona notte.

Lorenzo                         - Buona notte (s'inchina ed esce).

SCENA VIII.

Marina e poi Giuliano

Marina                           - (si accascia in una poltrona e si copre il volto con le mani) Che miseria! (Resta così qualche attimo, assorta. Poi di scatto si alza, va ad origliare alla porta di destra, chiude a chiave piano. Va a spegnere le luci lasciando accesa soltanto la lampada a piede che è presso la scrivania. Il fondo della scena resta così totalmente buio). Ah sola! Sola! (si accosta rapida alla parete di sinistra, alza un quadro e stacca, dalla parte posteriore della cornice, un massetto dì piccole chiavi. Va alla scri­vania, schiude un cassetto, ne trae una lettera. Consi­dera il sigillo di questa, il bollo, rompe la busta, e la lacera in minuti pezzetti; sfoglia e scorre i molti fo­glietti di carta sottile vergati di fitta scrittura. Poi legge, lentamente, ansiosamente, quasi assaporando le sillabe): « Ecco: un altro giorno è finito. Tutti dormono qui co­me nella tua casa lontana. Tu sei presente presso di me,, ti sento accanto a me. Tutti i giorni le tue parole mi giungono così, corrono su l'immensità dello spazio che ci divide. Sono le parole della nostra fede ».

Giuliano                        - (ossia il fantasma di Giuliano appare nel fondo) (i).

(i) Nota per la rappresentazione scenica.

Il volto di Giuliano, illuminato da una lampadina azzurra, si affaccia nel­la fenditura di un drappo scuro che è nella parete del fondo; resta così immobile fino al termine della scena.

 Marina                          - (fissa nel vuoto avanti a sécome un'allucinata): Presente presso di me! Forse è qui! Mi sorride e mi guarda! Certo in quest'ora veglia con me, vive le mie parole com'io vivo le sue. La realtà dello spazio non esiste. Esiste soltanto... questo male di nostalgia... (ripor­ta la lettera sott'occhi, legge ancora. Poi, finita): Grazie! Ti conosco! (siede alla scrivania, apre la cartella con moti lenti e automatici, intinge la penna, scrive).

Giuliano                        - Scrivimi! Scrivi! Questa è l'ora della nostra in­timità. Il silenzio è complice della gioia. Tutti dormono qui come nella mia casa lontana. La realtà non esiste più.

Marina                           - (fissando nel vuoto innanzi a sé) La realtà non esiste più.

 Giuliano                       - Io, oggi, guardando il nostro sole, h0 pensato all'ultima stretta delle nostre mani e alla nostra timi­dezza lontana di fanciulli. Ricordi? Ricordi? Che ma­le sottile d'impossibilità!

Marina                           - (scrivendo) « Non rimpiangere! Eccoti il dono:la mia libertà incatenata. Dobbiamo essere sereni perché siamo soli e non facciamo del male a nessuno. La tua casa vive par la tua fatica, come la mia per la mia mis­sione. Il tuo bambino e mia figlia fra poche ore si do­vranno risvegliare felici.

Giuliano                        - Oh sì! Ma tu quando, quando tornerai ai miei occhi? Brancico con trepide mani sulla tua ombra... (l'ombra di Giuliano è dileguata).

Marina                           - (china il volto sulle mani e singhiozza).

TELA

ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto. Nelle prime ore del pome­riggio.

SCENA I. Marina e Lorenzo

Lorenzo                         - (in divisa da diplomatico, passeggiando) Antipa­tico e noioso questo monsieur Rignon. Anche a Lisbo­na, ricordi?

Marina                           - Insopportabile! (è nervosa, ma si sforza di non farlo parere).

Lorenzo                         - Ed è destino che mi trovi sempre fra i piedi monsieur Rignon. Ora poi sta diventando addirittura pe­ricoloso.

Marina                           - Perché?

Lorenzo                         - Provocante, gaffeur. Ieri, alla conferenza, ho dovuto fingere di non udire una sua frase esplicitamente offensiva contro di noi italiani. M'è salito il sangue agli occhi. Una frase... come uno schiaffo. Per fortuna non fu udita che dal Ministro di Svezia e da sir Francis Gray, ed entrambi conoscono monsieur Rignon e gli danno il credito che si merita.

Marina                           - E tu credi che non ci sia mezzo di farlo richia­mare in Francia dal suo Ministro? Un mezzo lo cono­scerei io.

Lorenzo                         - (con un sorriso) Tu?

Marina                           - Io, sì! Ti pare molto strano che una donna pos­sa risolvere un affare diplomatico?

Lorenzo                         - (galante) Oh, niente affatto! Specialmente se la donna ha la tua intelligenza e il tuo buon senso.

Marina                           - Parlo seriamente.

Lorenzo                         - Parla, parla.

Marina                           - Basterebbe che io scrivessi un biglietto a Parigi alla mia carissima amica madame de Vaillant... e il si­gnor Rignon entro pochi giorni farebbe le valige.

Lorenzo                         - (tra lo scherzoso e lo scandalizzato) Marina! Che dici!

Marina                           - Pensaci. Se vuoi... Ma ora va. La cerimonia non comincia alle tre? Sono le tre meno un quarto.

Lorenzo                         - (scattando) Mio Dio! Scappo.

Marina                           - Ricordati che stasera abbiamo a pranzo Moreno, Rolando e Coromaldi.

Lorenzo                         - Sì. Tornerò giusto per l'ora di pranzo. Tu esci adesso?

Marina                           - Sì.

Lorenzo                         - Con la bambina?

Marina                           - La porterò dai Bentham.

SCENA II

Detti, Cameriere e Coromaldi

Cameriere                      - (da sinistra) Il signor barone Coromaldi.

Coromaldi                     - (in divisa da diplomatico, entra da sinistra e si inchina).

Lorenzo                         - Oh, bravo, Coromaldi! Puntualissimo, come sempre.

Coromaldi                     - Contessa...

Marina                           - Puntuale anche troppo...

Coromaldi                     - Infatti sono desolato di non poter rimanere presso di lei che un breve minuto: quanto basta, però, perch'io goda la fortuna di baciarle la mano.

 Lorenzo                        - Sempre parigino. Perfetto! Andiamo.

Marina                           - Non v'invidio. Un ricevimento ufficiale a Corte, di questa stagione...

Coromaldi                     -. ..fra uomini soli... ,

Marina                           - (ridendo) Povero Coromaldi! Addio. A stasera.

Coromaldi                     - Grazie, contessa! (inchino). ,

Lorenzo                         - (bacia Marina sui capelli) Addio, Marina (esce con Coromaldi da sinistra in fondo).

SCENA III.

Marina e Natalia

Marina                           - (uscito Lorenzo, va al fondo, si affaccia alla ve­trata, assorta, Poi, attraversa la scena dirigendosi verso destra quando si ferma di botto scorgendo)

Natalia                          - (donna sulla cinquantina, che entra cautamente dalla prima porticina di sinistra).

Marina                           - (trasalisce, ansiosissima) Sei tu! Già di ritorno.... Ebbene....

Natalia                          - Prima di tutto la prego di essere calma.

Marina                           - È arrivato?

Natalia                          - Sì, è arrivato: stamane.

Marina                           - Ah, mio Dio! E'hai trovato all'albergo?

Natalia                          - Sì. Io ho domandato dell'ingegner Giuliano Fazi; ma egli, per prudenza, aveva dato un altro nome. Per fortuna stava scendendo in quel mentre nell'hall. E'ho riconosciuto subito; non è quasi mutato da allora. M'è sembrato di rivedere lo studente di sette anni fa.... Povero ragazzo!

Marina                           - (sempre angosciata) Ma l'hai persuaso a non cercarmi, gli hai detto che ha commesso una pazzia a venire... che qui sono conosciutissima?

Natalia                          - Si calmi, si calmi. La vecchia nutrice le vuol bene come mamma sua e non le combina delle sciocchez­ze. Ora... quel povero ragazzo che è partito dall'Italia per venirla a cercare fin qui e si contenta di vederla, di par­larle pochi minuti....

Marina                           - Ebbene?

Natalia                          - Io ho pensato che lei lo deve ricevere.

Marina                           - Ma dove?

Natalia                          - Qui.

Marina                           - Qui!

Natalia                          - È il luogo più sicuro e che meglio la garantisce. Il signor conte è uscito e starà fuori tutto il pomeriggio. Non tornerà perché, come lei m'ha detto, è impegnato a Corte. Lei può mandare la bambina dai Bentham con la nurse.

Marina                           - Ma Natalia, che dici!

Natalia                          - Ho creduto bene di far così. Quell'uomo mi ha implorata; l'ho visto piangere. Mi ha accompagnata in carrozza fin qui. E io... l'ho fatto entrare dalla porticina di servizio. Nessuno lo ha visto.

Marina                           - È già qui!

Natalia                          - Attende ch'io lo faccia passare. Ora... lei vada a dare ordini alla nurse di portare la bambina dai Ben­tham. Vada, la prego...

Marina                           - (esce da destra).

SCENA IV.

Natalia e Giuliano

Natalia                          - (va alla porticina di sinistra, l'apre e si affaccia nell'interno) Venga.

Giuliano                        - (entra e si guarda intorno, pallidissimo, facen­do sforzi per contenere la propria emozione) Grazie.

Natalia                          - S'accomodi. La signora contessa viene subito. (via da destra).

Giuliano                        - (resta in piedi, addossato alla scrivania di Ma­rina; si preme le mani sul volto, poi se le torce, per dominarsi).

SCENA VI.

Giuliano e Marina.

Marina                           - (entra da destra. Si ferma appena passata la soglia. Entrambi si fissano impietriti).

Giuliano                        - (con un lieve sorriso amaro) Non... mi ricono­sce. Sono molto mutato da allora...

Marina                           - No. Ma la realtà...

Giuliano                        - È quasi insostenibile, vero? Da sette anni noi ci scriviamo delle lettere, attraverso a lontananze imma­ni; ci siamo creata una reciproca intimità terribile che I ci,ha illusi.

Marina                           - (sempre immobile nel fondo) Per non distruggerla.... ho sperato fino a stamane che mi obbedisse, che non venisse. Il telegramma è giunto a Natalia da poche ore. Ho creduto di impazzire. Non so co­me mi sia comportata in queste ore con la mia gente di casa. Ho fatto uno sforzo superiore a me stessa. Ora.... Non è Marina che le sta di fronte... è...

Giuliano                        - . ..un fantasma? Oh, il fantasma di Marina e lontana era mio, perché me lo foggiavo io stesso col mio cervello e col mio desiderio. La realtà è feroce, lo so. Ma mi sono preparato ad affrontarla. Vede? Sono cal­mo No, non la tocco. Non abbia paura, venga, s'avvicini. Saprò anche ragionare come ragiono tutti i giorni I laggiù, con la gente della mia casa e del mio lavoro (fa I un passo verso di lei sempre immobile). Sono venuto fin I qua... anche per cause del mio lavoro. Ho colto un'oc­casione propizia. La mia società doveva mandare un ingegnere, un tecnico, per stipulare un contratto ad Amburgo. Da Amburgo mi sono spinto fino qui. Come vede I tutto questo è abbastanza normale... è giusto. Obbedire? Per sette anni ho obbedito.

Marina                           -. ..alla tua coscienza.

Giuliano                        -. ...ed alla tua, Marina. Sebbene ti amassi dall'infanzia, data la disparità della nostra condizione so­ciale, ho accettato la tua triste realtà di vita che ti univa ad un vecchio; ho accettato una mia realtà di vita, mi sono creata una famiglia, ho lavorato, lavoro per essa. Facendo questo, obbedendo alla nostra coscienza, come tu dici, forse abbiamo sperato entrambi, allora, giova­nissimi, che la realtà finisse per vincerci; abbiamo spe­rato che la lontananza finisse per soffocare l'amore. In­vece essa ha creato il vero grande amore, l'ossessione, lo scopo unico, la salvaguardia da ogni peccato, la forza per sopportare le miserie di tutti i giorni.

Marina.......................... - Ma ora che ci separano soltanto pochi passi ecco che ora non riusciamo più a vederci... nemmeno come fantasmi.

Giuliano                        - Perché siamo accecati! Dalla gioia! (proten­de, il busto e le mani, sta per raggiungerla).

Marina                           - (e tutta appoggiata, dalla nuca- ai pied', dritta, contro la parete. Ha chiuso gli occhi, perduta).

Giuliano                        - (le tenta le spalle, con tremule mani di cieco; poi il viso, i capelli. Ha un grido) Sei tu! Viva! Viva! (l'afferra brutalmente in un abbraccio folle; quasi la porta fino al divano su cui cadono avvinti). Passione mia, anima mia, creatura mia, sei qui, sei proprio tu! Guar­dami! I tuoi occhi! Non sono impazzito! Guardami! Sorridi. Chiamami.

Marina                           - (fissandolo con occhi di follia e tenendogli le ma­ni nei capelli) Mio!

Giuliano                        - È la tua bocca che parla. Io la vedo, lo la ba­cio (la bacia). Poi., poi mi calmo, sì. T'ho fatto male (ansando, ridente). T'ho insanguinato le labbra. Aspetta, (le terge le labbra col fazzoletto del taschino). Così. Sì, sì, mi calmo. È come se avessimo fatto una corsa...

Marina                           - (felice, accoccolata vicino a luì sul divano, ca­rezzandolo) Parla! Ho bisogno di sentirti parlare. Ma non si può parlare. Salgono alle labbra brandelli di fra­si (parlano tutt'e due affannosamente, rapidamente, in­terrompendosi).

Giuliano                        - Ora ritrovo il tuo sorriso d'allora, la tua voce d'allora.

Marina                           - Tu mi sfuggivi.

Giuliano                        - Tua madre mi odiava.

Marina                           - Una sera abbiamo incontrato un mendicante; ci ha benedetti.

Giuliano                        - Vecchio, vecchio!

Marina                           - E tu studiavi molto... Volevi la gloria e la ric­chezza....

Giuliano                        - No, non ricordiamo più quel tempo. La mia miseria... Il tuo matrimonio... dopo un anno il mio.... fatto così, a caso... per viltà o per indifferenza.

Marina                           - Zitto, sì! Tutte le tue lettere, sai, sono là (ac­cenna alla scrivania). Chiuse nei cassetti. Tutte tutte, per ordine, centinaia e centinaia. Dalle più timide, le pri­me

Giuliano                        - La prima tua cominciava: « ottimo amico »...

Marina                           - Quando t'ho promesso di scriverti ogni sera e di raccontarti tutto, minutamente, ero quasi certa di non poter mantenere.

Giuliano                        - La difficoltà di essere sinceri, da principio....

Marina                           - Poi... scriverti è diventato un bisogno, una vo­luttà. Che cosa ignori tu della mia vita? Ho viaggiato tutti i mari e tutti i continenti. Eppure...

Giuliano                        - I volti dei tuoi amici, dei tuoi conoscenti! Li vedo!

Marina                           - E i tuoi operai, la gente della tua lotta... Senti, senti, ora... Che ti volevo dine? Mi smarrisco. Ah! Stanotte ho sognato che eravamo liberi. Io ero fuggita ad Orvieto.

Giuliano                        - Ad Orvieto?

Marina                           - Sì, ricordo benissimo il Duomo, che ci sono pas­sata davanti, sola; sperduta; tremando di paura che tu non arrivassi. Gli uomini mi guardavano. Io sentivo piangere mia figlia in me... un pianto insistente...

Giuliano                        - Taci! (si rabbuia).

Marina                           - No, lasciami raccontare. Vado alla stazione. Tanta, tanta gente. Tu non ci sei. Torno all'albergo qua­si correndo. Non ci sei. Riesco, ripasso davanti al Duomo. Ad un tratto mi volto. Sei lì. L'incontro ti pare naturalissimo. Hai lo stesso viso di poco fa, quando so­no entrata. Io, folle, ti parlo del Duomo... Ne discor­riamo assai tranquillamente. E poi... e poi... non so più... non so più... non so più... (scoppia in singhiozzi nascondendo il volto sul petto dì lui).

Giuliano                        - (dolcissimo, stringendola a sé e cullandola come una bimba) Marina! Piangi! È così umano l'infi­nito di tenerezza che ci avvolge pietoso! Piangi. Il fan­tasma che ha esasperato la tua giovinezza dilegua, a poco a poco. L'ombra s'è fatta realtà. E l'abbiamo crea­ta noi stessi, con la rinunzia dei lunghi anni, con la fe­de di tutti i giorni. La fede, ora, è assoluta. Abbiamo la certezza della mèta raggiunta.

Marina                           - (sollevandosi) Ma domani...

Giuliano                        - Zitta, zitta. Ora non temi più, vero? (sussur­ra) Verrai!

Marina                           - (si scioglie da lui, dolcemente) Lasciami un mo­mento... Soffoco! (si alza, si porta le mani agli occhi, poi si appoggia a una spalliera per non cadere).

Giuliano                        - (impaurito) Marina....

Marina                           - Non spaventarti, non è nulla. Mi mancava il respiro... Ora... ora è meglio che tu vada....

Giuliano                        - Perché?

Marina                           - Temo... che possano tornare...

Giuliano                        - Chi?

Marina                           - La nurse,, mia figlia... Zitto!. .. (attesa). Non hai udito dei passi?

Giuliano                        - No.

Marina                           - (va alla porta di sinistra, l'apre, guarda, la ri­chiude. Va alla vetrata del fondo, ritorna).

Giuliano                        - Perché temi così? Temi che ti spiino?

Marina                           - No. Ma va, ti prego...

Giuliano                        - Se la mia presenza è un pericolo, vado. Ma.... mi prometti....

Marina                           - (china il capo sul petto, assorta).

Giuliano                        - Domani...

Marina                           - (lo scruta negli occhi. Risoluta) Sì, Giuliano. E.... dove mi porti? (sempre più ironica ed esasperata) via via): Via di qui, via con te. Ma per sempre. La real­tà. Tutta la realtà: l'accetto tutta. Uno strappo alle ca­tene, un salto nel vuoto. L'amore! La mèta è questa. L'abbiamo pure sognata così... (risata dolorosa). Ah, povero amico! Non t'ho domandato ancora notizie della tua casa, del tuo bambino. Come sta? È guarito, vero? Se non fosse guarito non l'avresti lasciato laggiù, non a-vresti potuto venire...

Giuliano                        - Taci! Taci!

Marina                           - Vedi che soffri? Perché ti ho fatto pensare a lui! È bastato un accenno! Durante il tuo viaggio hai tanto spasimato di gioia nell’accostarti a me quanto di pena nell'allontanarti da lui! Nega! Nega! Ti conosco tanto bene! Hai la mia stessa carne, il mio stesso cer­vello. Non puoi! Non possiamo! Non potremo mai, mai! Per rompere le catene bisognerebbe che potessimo prima sradicarci dall'anima ciò che è stata la nostra vita vera, quella di tutti i giorni, quella di sette anni! La realtà? Eccola la realtà. Ed è nemica dell'amore. In­vincibile, feroce, egoista, padrona delle anime nostre. Perché, senti, senti: non è soltanto mia figlia che mi tiene, non è soltanto il tuo bambino a tenerti: è anche tutto il resto sì, sì, riconosciamolo; la tua fatica, la mia missione. Ma credi proprio di non amare anche quella tua donna che non ti capisce? E credi che io non ami, in certo modo, l'uomo vecchio che mi fu im­posto ma che adesso è pure mio, il padre di mia figlia, il mio sostegno? E allora, Giuliano, se la realtà della vita ci esilia dalla felicità, perché hai voluto superare quella distanza che era l'unica possibilità di bene per noi? T'avevo scongiurato di non venire. Perché mi hai disobbedito? Per imbrattarci di follia angosciosa un'ora, una notte? E distruggere così anche quel bene che ab­biamo edificato con tanta tenera gioia, in sette anni? Mi vuoi? Eccomi, prendimi! Se io ti voglio? Oh, Giuliano! Ogni mia carezza, ogni mio fremito di sensi ho serbato per te! Questa notte, se vuoi, sì, faccio una pazzia. Ma bada che dopo...

Giuliano                        - (con amara ironia) No! No! La prima im­pressione che ho provato vedendoti entrare, poco fa, è che tu non mi abbia riconosciuto vivo e presente presso di te. Ora mi accorgo veramente che di me hai sempre amato solo il fantasma.

Marina                           - Giuliano!

Giuliano                        - (c. s.) Lasciami dire! La lontananza per te ha servito solamente a tener viva la fiamma della tua fantasia, del tuo cervello...

Marina                           - Del mio sentimento, del mio cuore...

Giuliano                        - Cuore? Macché! Di tutte le mie lettere che hai chiuso là dentro (accenna alla scrivania), non hai compreso l'umanità dolorosa, hai colto il suono delle parole! Ti sei inebriata di parole! Parole!

Marina                           - Sei ingiusto!

Giuliano                        - A me, invece, la lontananza ha insegnato ben altro. Sentimi, senti: credi che non abbia pensato pri­ma ancora di venire qui a tutto ciò che ora mi hai detto? È la verità. Ma incompleta. La vita reale del passato ci esilia dalla felicità ideale, distrugge in noi! la forza per rompere le catene; sappiamo fin d'ora che la memoria assassinerebbe, dopo, ogni nostra giornata; se fuggissimo insieme. Se io ho sofferto nello staccar- j mi da mio figlio? Sì, te lo ammetto. Se io mi sento I legato da consuetudini, da comunanza di intenti, da af­fetto, a quella mia donna che non mi capisce? Sì, te lo ammetto. Ma ciò è relativo alla mia vita di tutti i giorni,, a quella che non dipende dalla tua esistenza. Tu esisti in me indipendentemente da loro, malgrado loro; tu sei l'amore, sei l'assoluto di desiderio e di sogno. Lai vita di tutti i giorni, quella che si trascina ora per ora, pesa col suo fardello di fatiche, di rinunzie, di affetti, d'interessi, di battaglie, di vergogne. Io l'ho sopportata con rassegnazione, perché sovr'essa vedevo una luce di fiamma. La fiamma eri tu! Fiamma viva, non fuoco fatuo! Creatura d'anima e di sensi, non fantasma. Don­na, donna, amore! La lontananza ha dato uno scopo alla mia vita: ma questo scopo è meravigliosamente umano. Ti ho desiderata sempre, sì, non mi vergogno di dirtelo perché non ci può essere amore senza desiderio! Averti un'ora? Una notte? Ebbene, sì. È giunto il momento in cui questa necessità s'è fatta la più forte. Ho attra­versato mezza Europa per raggiungerti. Ho visto con­cretarsi in me la tua forma umana, con ansia crescente, d'ora in ora, per tutte le ore interminabili del mio viag­gio di giorni. I vari paesi mi passavano via sotto gli occhi come immagini fantastiche; la varia gente, i loro idiomi diversi, mi destavano lo stupore della tua lon­tananza! Ed eccomi, finalmente giunto ih questa città straniera, in un mattino grigio. Eccomi, tremante di gratitudine, come il fanciullo impaurito, davanti al volto noto della tua nutrice. Essa è la prima certezza del mio bene raggiunto. Mi porta qui: non scorgo la strada, tanto l'emozione mi acceca. Sono dinanzi a te, ti vedo, ti sento, ti prendo fra le mie braccia! Così! Così! (l'afferra nelle sue braccia). E tu mi allontani?

Marina                           - (vinta, ad occhi ch'usi) Fai di me quello che vuoi!

Giuliano                        - (allontanandosi da lei, stupito) Così mi ri­spondi? Con codesta voce...

Marina                           - (tremante) Ho tanta paura! (sì guarda intorno).

Giuliano                        - Paura?

Marina                           - Se io avessi superato la distanza che ci sepa­rava, e fossi entrata io nella tua casa... forse avresti paura... anche tu....

Giuliano                        - Non ti capisco... Oppure capisco una cosa terribile.... Marina! Guai se mi lasci solo in questo ignoto... (S'ode un scalpiccio a destra).

Marina                           - Zitto!

La voce della bimba      - Mamma! Mamma!

Marina                           - (di scatto si arresta, si stacca da lui) Mia figlia! (come verso la vetrata del fondo. Torna contraffatta in volto): Va via, ti prego! Da questa porta da cui sei entrato. Esci sulle scale di servizio. Vai!

Giuliano                        - Marina!

Marina                           - Non ti posso udire più! Non voglio udirti più (con angoscia disperata). Ma non capisci dunque...

Giuliano                        - (con sarcasmo, accennando verso la finestra). ..che vince lei, tua figlia!

Marina                           - Sì, lei, lei! Che non doveva tornare a quest'ora ed è tornata in giusto punto!

Giuliano                        - Ma.... ti rivedrò?

Marina                           - Vattene, dico!

 Giuliano                       - (l'afferra ai polsi). Bada, Marina, che se non prometti...

Marina                           - Non so nulla, ora non ti posso più ascoltare.

Giuliano                        - Bada che io non mi salvo da questo abisso cui mi sono affacciato, con te.

Marina                           - Ma ora va, va!

La voce della Bimba     - (dietro la porta di destra) Sono qui, mamma! Apri, mamma!

Giuliano                        - (disperato) Solo! Ho la certezza, ora, d'esse­re proprio solo, sì! Ecco tua figlia che sale. Valle in­contro. È finito! E' finito! (fugge via dalla porticina).

Marina                           - (corre alla portiera di destra in fondo e vi resta addossata, le mani su la maniglia, fissando con occhi sbar­rati la porta da cui Giuliano è fuggito).

TELA

ATTO TERZO

La stessa scena del primo atto. Verso le dieci di notte.

SCENA I.

Marina, Lorenzo, Moreno, Rolando e Coromalds. Poi Cameriere

Rolando                        - Beh! Cambiamo discorso: è meglio (a Ma­rina). Oggi speravo di vederla dai Bentham.

Marina                           - Ci dovevo andare, infatti.

Lorenzo                         - Non ci sei andata?

Marina                           - Vi ho mandato la bambina (a Rolando, con gaiezza). No, dica dica, Rolando. Mi racconti. Le sto­rielle di questo genere mi divertono moltissimo.

Coromaldi                     - Lei conosce Gigette? Cioè, pardon, T'ha mai vista?

Marina                           - No.

Coromaldi                     - Ah è carina! Bionda, alta, svelta, dagli oc­chi lievemente strabici.

Rolando                        - Ma che strabici!

Coromaldi                     - Come no! Ha lo strabismo di Venere. Ve­de? È la sua amica da due mesi e non s'è nemmeno ac­corto che ha lo strabismo di Venere.

Moreno                         - (seriamente) Io capisco Rolando e lo difendo. Egli è un « puro » nel senso greco della parola (tutti scoppiano a ridere). Perché ridete? I greci l'avrebbero chiamato all'areopago per decidere in questioni di al­ta moralità. Non c'è da ridere. Il caso suo è contem­plato.

 Rolando                       - Se lei continua a gabellarmi per greco, prendo il cappello sul serio.

Moreno                         - Greco antico, sa.

Marina                           - Intanto non si riesce a sapere la storiella di Gigette. Parli lei, Coromaldi. (Trillo di campanello elettrico nell'interno).

Lorenzo                         - (alzandosi) Il telefono. È Bernabei di certo. Pardon (esce da sinistra in fondo).

Coromaldi                     - (a Marina) Due mesi fa, capita qui Gigette e Rolando se ne innamora.

Rolando                        - Vedi come sei? Non è esatto.

Coromaldi                     - È lei che s'è innamorata di te? Lo credo. (a Marina). Rolando le allestisce un appartamento mol­to carino....

Marina                           - Ah, perbacco! A questo punto!

Rolando                        - Bisogna dire tutto. Gigette non è una cocotte né una mantenuta. È una signorina d'ottima famiglia francese; trovandosi in tristi condizioni finanziarie è venuta qui per dare lezioni di pianoforte. Suona benissimo.

Moreno                         - (a Rolando) Lei l'ha sentita suonare?

Rolando                        - Finora non sono riuscito a procurarle un pia­noforte adatto.

Lorenzo                         - (rientra) Bernabei si scusa di aver fatto tardi in ufficio. Dev'essere successo qualche incidente in città.

Marina                           - Un incidente? A chi?

Lorenzo                         - Non so. Non me l'ha detto per telefono. Una cosa di poco conto se è bastato lui a risolverla. A mi-nuti sarà qui.

Coromaldi                     - Bref! La signorina Gigette... (a Rolando, con intensione). Signorina, vero? Ci tieni proprio?

Rolando                        - Vedi come sei? Lascia dire a me (vivamente a Marina). Mi prendono in giro perché ho agito da gen­tiluomo, capisce? In sostanza, la questione è questa. Gigetta, sperduta in una città che non conosce, sprovvista di denaro, accetta la mia protezione, entra in casa mia e, piangendo mi scongiura di avere pietà di lèi, di rispet­tarla.

Marina                           - (maliziosa) Ed era proprio...

Rolando                        -. ...signorina? Glie l'assicuro. Buona, sa! Mite, affettuosa: un angelo!

Marina                           - E non le ha mai proposto di sposarla? (Loren. so, Moreno e Coromaldi scoppiano a ridere).

Rolando                        - Vede come sono? Perché ridete? Ebbene no, non mi ha mai chiesto nulla.

Moreno                         - Sfido!

Cameriere                      - (entra da sinistra portando una lettera so­pra un vassoio. Va verso Lorenzo. Si inchina, esce).

Lorenzo                         - (prende la lettera, la rigira fra le mani) Mada­me la Contesse Marina D'Asolo... (a Marina): To', è per te. Ha la franchigia e il timbro di città.

Marina                           - (prende la lettera. Calmissima guarda la busta) Ah! Un fornitore. So chi è. Sono straordinarie le tro­vate dei negozianti di qui. Per assicurarsi che le loro note vengano quantomeno aperte dai clienti le mandano entro buste non intestate.

Rolando                        - Già, è successo anche a me.

Marina                           - Eh, certo! Nella sua qualità di marito....

Coromaldi                     - Per l'amor di Dio! Non dica questa parola. Guai!

Lorenzo                         - Perché un marito c'è. Gigiette ha un marito.

Marina                           - No

Rolando                        - (a Lorenzo) Conte, anche lei!

Coromaldi                     - (a Marina) Gigette ha un marito, capisce. E un figlio. Un bel pupo di cinque anni. Li ho scoperti io.

Rolando                        - (vivamente) Non ci credo. È un infamia!

Coromaldi                     - Il marito è un pezzo d'uomo alto un palmo più di me con due baffi alla Vercingetorige e delle braccia da lottatore. Quando non si ubriaca fa lo scaricatore al porto.

Rolando                        - Un'infamia, un'infamia!

Marina                           - No! È troppo grossa! Chi l'ha inventata? Po­vero Rolando!

Coromaldi                     - Lei oi deve aiutare a convincerlo, contessa. Pel suo bene. Le porteremo delle prove.

SCENA II

Detti e Natalia. Poi via questa.

Natalia                          - (sulla soglia di destra) Scusi, contessa...

Marina                           - Che c'è, Natalia? La bambina è già a letto? Vengo subito (agli uomini). La tavola del vostro poker, di là, è preparata.

Natalia                          - (si ritira).

Lorenzo                         - Bernabei si fa attendere.

Coromaldi                     - Che ore sono?

Lorenzo                         - Le dieci. Sarà meglio cominciare.

Rolando                        - Siamo in tre. Moreno non gioca.

 Lorenzo                        - Cominciamo in tre, aspettando Bernabei. Non può tardare.

Marina                           - Io vado a dare la buona notte a mia figlia. Tor­nerò a salutarvi fra poco (li accompagna tutti verso sinistra).

Coromaldi                     - Pardon.

Rolando                        - Dia un bacino alla pupa anche per me.

Moreno                         - Contessa... (tutti e quattro gli uomini escono da sinistra).

SCENA III.

Marina sola, poi Natalia

Marina                           - (tornando verso la porta di destra, considera la busta della lettera che durante la scene precedenti ave­va sempre tenuto in mano. Appena rimasta sola, il suo volto ha preso l'espressione d'un'attesa angosciosa. Si ferma. Rompe la busta, scorre rapidamente il foglio. Scatto disperato) No! No! (poi è scossa da un tremito). Ah no! È impossibile! Non credo (corre alla porta di destra, chiama). Natalia! Natalia!

Natalia                          - (accorre subito. Stupore) Contessa! Ma che c'è?

Marina                           - (agitatissima) Telefonare... al Grand Hotel, te­lefonare subito... Chiamami Giuliano... No! Aspetta!

Natalia                          - Ma contessa, non si agiti così!

Marina                           - Telefonare no, non si può. Lorenzo può sentire. Vai tu stessa al Grand Hotel. Subito. Ma subito, capi­sci? Prendi un taxi. Corri! Bisogna giungere diretta­mente a lui, parlargli. Che ore sono? Sì sì arrivi in tempo. Devi arrivare in tempo, hai capito? E gli dici... Dammi carta, calamaio, presto. No, non c'è tempo di scrivere, non posso scrivere. Digli... che andrò da lui, sì, stanotte promettigli tutto ciò che chiede... Ma fai presto! E poi torni immediatamente. Mi raggiungi in camera mia.

SCENA IV.

Dette, cameriere, Bernabei

Cameriere                      - (sulla soglia di sinistra) Il signor conte Ber­nabei (via).

Bernabei                        - Contessa... (si ferma poco oltre la soglia, sor­preso dal volto contraffatto di Marina). Buona sera.... contessa....

Marina                           - (a Natalia) Va, va!

Natalia                          - (esce da destra).

Marina                           - (va incontro a Bernabei, gli dà la mano e gli sorride facendo uno sforzo enorme per padroneggiarsi). Caro Bernabei! Venga. S'accomodi...

Bernabei                        - (la scruta con intenzione, severo) Grazie.

Marina                           - L'hanno atteso finora. Si sono seduti al tavolino del poker di là, da pochi minuti. Non credo abbiano avuto il tempo di cominciare.

SCENA V.

Detti e Moreno. Poi via Marina.

Moreno                         - (rientra da sinistra) Ah, eccolo! (rivolto ver­so la porta da cui è appena entrato). Bernabei è qui (a Bernabei stringendogli la mano). Buona sera. Come va?

Marina                           - Pardon (via da destra).

 

SCENA VI.

Bernabei, Moreno, Lorenzo, Rolando e Coromaldi.

Lorenzo                         - (rientra da destra seguito da Rolando e da Coromaldi).

Bernabei                        - Buona sera, Eccellenza. Mi deve scusare pel ritardo e anche per... (accenna al suo vestito da passeg­gio). Non ho avuto il tempo materiale di cambiarmi.

Lorenzo                         - S'accomodi. Dunque, che è successo?

Rolando                        - (a Coromaldi, a parte) Quando Bernabei di­venta una persona importante è buffissimo. Guarda che gravità.

Coromaldi                     - Credo che non abbia ancora pranzato, pove­retto.

Lorenzo                         - Dunque?

Bernabei                        - Oh, è successo un piccolo fatto triste! Ho ritardato per questo.

Rolando                        - Cosa? Cosa?

Bernabei                        -. ...un fatto triste, al Grand Hotel.

Coromaldi                     - Ebbene?

Bernabei                        - S'è ucciso un signore: un italiano (moto di sorpresa in tutti).

Lorenzo                         - Dove!

.Bernabei                       - Al Grand Hotel, stasera.

Lorenzo                         - E chi è?

Bernabei                        - Non si sa. Prima di uccidersi ha bruciato il passaporto ed altre carte che vennero trovate incenerite.

Moreno                         - Giovane??

Bernabei                        - Sulla trentina. Un bell'uomo, distinto.

Rolando                        - L'hai visto?

Bernabei                        - Sì. La polizia ha telefonato verso le sette. Sono andato al Grand Hotel. Stavano portando via il cadavere mentre io entravo.

Lorenzo                         - Ha ordinato un'inchiesta? Ha interrogato qual­cuno?

Bernabei                        - Ho fatto io stesso un'inchiesta sommaria nel­l'albergo.

Coromaldi                     - E risulta?

Bernabei                        - Non risulta niente di positivo. Ossia: non abbiamo per ora elementi per identificare il disgraziato. È giunto all'albergo stamattina e al burrcau si è qualifi­cato Giovanni Lombardi, ingegnere. Ma molto proba­bilmente questo, non è il suo nome vero.

Moreno                         - Perché?

Bernabei                        - Perché oggi, verso le due e mezzo, si è pre­sentata al portiere dell'albergo una donna attempata, una specie di vecchia istitutrice, che ha domandato se fosse giunto l'ingegnere Tal dei Tali e ha detto un no­me italiano che il portiere ora non ricorda più. Alla negativa di questi, la donna stava per andarsene delusa, quando scese nell'hall il sedicente Lombardi. La donna gli mosse incontro festosamente. Il Lombardi la rico­nobbe. Entrambi parlavano italiano, con una cer­ta diffidenza. Il portiere ebbe l'impressione che i due non si rivedessero da lungo tempo e che evitassero lai gente dell'hall. Quindi uscirono insieme. Dopo due o tre ore il Lombardi rientrava, solo, e si chiudeva in camera. Sull'imbrunire usava di nuova, e, si suppone, peri impostare delle lettere; tornava poco dopo. La camerie­ra del piano lo vide passarle d'accanto accigliato, lo udì chiudere la porta a chiave. Pochi secondi dopo echeg­giavano due colpi di rivoltella (pausa).

Moreno                         - E non ha lasciato proprio nessun segno per cui sia possibile in qualche modo identificarlo?

Bernabei                        - Nulla. Nulla nel modo più assoluto. Ha per­fino strappato dagli abiti le etichette del sarto.

Rolando                        - È strano! (trillo prolungato del campanello telefonico, nell'interno).

Lorenzo                         - Ma che succede stanotte? Non mi lasciano in pace. Scusate (esce da sinistra in fondo).

SCENA VII.

Detti meno Lorenzo

Bernabei                        - (impensierito, quasi parlando a se stesso). Pur­ché non sia... Guai! Guai!

Coromaldi                     - Che dici?

Bernabei                        - (c. s.) Nulla...

Coromaldi                     - Ci nascondi qualche cosa. Parla.

Bernabei                        - Per l'amor di Dio, se quell'uomo lo viene a sapere succede un disastro.

Moreno                         - Si spieghi, via!

Bernabei                        - (dopo essersi guardato attorno, sottovoce) C'è che.... ma badate che non vi scappi di bocca.

Rolando                        - E stai tranquillo!

Bernabei                        - Per ora non è che un sospetto: grave, però.

Coromaldi                     - Ma che cosa!

Bernabei                        - La donna... quella specie di istitutrice che og­gi è andata a cercare al Grand Hotel il misterioso Lom­bardi... pare sia la vecchia nutrice della contessa Ma­rina.

Rolando                        - Nooo!

Moreno                         - lo l'ho pensato! M'è balenato subito il dubbio, mentre lei raccontava.

Coromaldi                     - Non è possibile.

Bernabei                        - E sapete chi l'avrebbe riconosciuta? Quel piccolo attaché dell'ambasciata inglese, biondo, venuto da poco tempo... non ne ricordo il nome... Quello che ha giocato con noi a poker, qualche sera fa...

Coromaldi                     - Héllish?

Bernabei                        - Precisamente: Héllish. Egli si trovava nell'hall del Grand Hotel quando è avvenuto l'incontro fra la donna e il Lombardi. Può darsi che si sia sbagliato. Certo la diceria si è sparsa all'ambasciata inglese.

Rolando                        - Io persisto a non credere. È un'infamia!

Coromaldi                     - E stai zitto! Che ne sai tu!

Rolando                        - Vedi come sei?

Moreno                         - (che s'era appartato, cupo in volto, scorgendo Lorenzo che ritorna) Silenzio!

SCENA VIII.

Detti Lorenzo.

Lorenzo                         - (rientra da sinistra, pallidissimo, forzando un sorriso). Amici miei, niente poker stasera. Debbo uscire.

Rolando                        - Noi ce n'andiamo.

Lorenzo                         - Non dico questo. Faccio chiamare Marina...

Bernabei                        - Ma no, conte, s'immagini! Noi facciamo una capatina al club.

Lorenzo........................ - Sono dolentissimo, veramente. Ma debbo re­ carmi all'ambasciata inglese... Oh, per una cosa di po­co conto! Mi ha telefonato il ministro in persona Un piccolo affare che non riguarda l'ufficio.

Moreno                         - Lei esce con noi? L'aspettiamo?

Lorenzo                         - No. Debbo prima scegliere delle carte. Del resto, voi andate al club e io faccio la strada opposta. E in due passi io ci sono. Buona notte E scusatemi.

Tutti                              - Arrivederla! — Grazie. — Buona sera. (Escono tutti da sinistra in fondo salutando).

SCENA IX.

Lorenzo e cameriera

Lorenzo                         - (rientra quasi subito. Si ferma un momento in mezzo alla scena, sì passa una matto sugli occhi, ha l’atteggiamento e il volto dell'uomo che, fa un supremo sforzo per raccogliere ogni energia al fine di fronteg­giare una grave situazione. Preme un campanello elet­trico).

Cameriera                      - (appare sulla soglia di destra) Ha chiamato?

Lorenzo                         - Sì (pausa). La bambina... dorme di già?

Cameriera                      - Sissignore.

Lorenzo                         - E la contessa dov'è?

Cameriera                      - Si è ritirata in camera sua.

Lorenzo                         - Ditele.... che favorisca di venire qui un mo­mento. Subito perché debbo uscire.

Cameriera                      - (via).

SCENA X.

Lorenzo e Marina

Marina                           - (poco dopo appare sulla soglia di destra. È in vestaglia. Il suo volto è la maschera dello stupore de­solato. Si regge appena. Fa ogni sforzo per dissimu­lare) Eccomi, Lorenzo. Che c'è? Gli ospiti se ne sono andati?

Lorenzo                         - (la fissa qualche attimo, sgomento. Poi si ri­prende) Li ho congedati. Debbo uscire anch'io, (con un sorriso beffardo). Che vaso, hai!

Marina                           - Perché mi guardi così?

Lorenzo                         - (con sforzo per padroneggiarsi) Non mi badare. T'ho disturbata per... per un'informazione che mi oc-corre.... Ora vado dal Ministro inglese.. M'ha telefo­nato or ora il Ministro inglese, sì:., per una comuni­cazione urgente che mi deve fare. Personale, perso­nalissima. Una diceria, un'infamia che è circolata sta­sera nei corridoi dell'ambasciata inglese. Contro di noi, capisci. Sir Francis Gray me l'ha accennata al telefono, ridendone. Non ci crede nessuno. Ma ad ogni modo bisogna sventarla subito, con la certezza di una prova. Tu mi devi dare questa prova.

Marina                           - Lorenzo.... giuro che non ti capisco.

Lorenzo                         - (c. s.) Ecco. Mi spiego. Oggi... nel pomerig­gio... hai mandato Natalia al Grand Hotel...

Marina                           - Io? No.

Lorenzo                         - (dopo un silenzio) E sta bene. Chiamami Na­talia.

 Marina                          - (scatto) Per metterla a confronto con me! Fino a questo grado non eri ancora disceso.

Lorenzo                         - Infatti tutto ciò è tanto grave che rasenta la volgarità, l'ammetto. Ma quando si è costretti a farsi inquisitori... quando è indispensabile inquisire....

Marina                           - (con uno sforzo d'energia) Insomma, Lorenzo, basta! Le offese di questo genere mi esasperano; e sa­rebbe troppo ingiusto che oltre le sopportassi (fa per andarsene, risoluta, verso destra).

Lorenzo                         - No, eh no! non te ne vai così! Bisogna che io sappia la verità. Debbo andare a sostenere l'onore della mia casa, subito, t'ho detto, all'ambasciata inglese.

Marina                           - L'onore della tua casa!

Lorenzo                         - E siccome la verità tu non me la dici, ti si legge in faccia che non me la dici, io suono e faccio venire Natalia, qui (sta per prendere il bottone del cam­panello).

Marina                           - (gli afferra la mano) Lorenzo, senti, ti supplico d'un poco di pietà! Senti, Lorenzo, sii buono! Vedi che soffro...

Lorenzo                         - Mezz'ora fa stavi ad ascoltare le storielle di Rolando e ti divertivi un mondo. Soffri perché? Da quando? Da che hai letto quella lettera che t'hanno por­tato poco fa?

Marina                           - (lo tiene alle braccia, perduta) Lorenzo... Lo­renzo...

Lorenzo                         - (accendendosi davanti la crescente debolezza di lei) E no, sai! Per quanta buona volontà ci si metta sfido chiunque a crederti! Ah! Ah! La vecchia nutrice ti aiutava, vero? Ti teneva mano! Ma confessa, via! Hai mandato lei a incontrarsi con quel tale giunto sta­mane dall'Italia, venuto per te, con quel pazzo che s'è accoppato per te stasera, all'albergo!

Marina                           - (con un urlo) No! Come lo sai! Chi te l'ha det­to! Menti! Morto no! Non è vero!

Lorenzo                         - Ma se te l'ha annunziato lui stesso!

Marina                           - Non ho creduto! Ho sperato che non avreb­be mai fatto ciò (s'aggira per la camera come folle, smaniando): Oh, mio Dio, mio Dio! Ma perché un ca­stigo così! Dov'è? Dov'è? Dove l'hanno portato? Non è morto! Hai mentito! Lasciami uscire! Bisogna che lo veda! (grida): Natalia! Natalia! Voglio andare. Dove l'hanno portato! Lasciami andarlo a vedere!

Lorenzo                         - Eh no! È già troppo lo strazio che hai fatto qui dentro, in casa mia. Anche lo scandalo vorresti? Eh no! I pazzi devono essere rinchiusi fra quattro pareti. Il disonore lo si soffre qui dentro.

Marina                           - Morto! Morto! Tu puoi ragionare anche di fronte a questa certezza. È spaventoso! Lasciami an­dare, ti scongiuro. Mi nasconderò il viso e la persona. Non mi riconoscerà nessuno tanto sarò curvata dall'an­goscia. Mi basterà vederlo un'ultima volta (con uno scatto libera i suoi polsi dalla stretta): Voglio! Lascia­mi! (riafferrata più saldamente alle spalle da lui): Ah! Uccidimi, uccidimi, sì!

Lorenzo                         - (la spinge verso il divano dove la lascia cadere prona, quasi priva di sensi. B così ella rimane mentre egli, ansante proteso, la osserva, con ghigno di spregio) Era il tuo amante, il tuo amante lontano! E attraversa­va mezza Europa per venirti a godere! Che amore! Il vero grande amore! Mi hai sempre mentito! La tua fa­mosa fedeltà di cui ti gloriavi tanto, ricordi? Eri fedele a lui, all'amante lontano! Chi era, dì! Oramai posso anche sapere il suo nome. Domani l'andrò a vedere sul tavolo della morgue!

Marina                           - (si alza a sedere, butta indietro i suoi capelli disciolti, lo fissa, spaventosa nella sua calma improv­visa) No! Non l'andrai a vedere. Hai paura. Se non avessi paura mi avresti ammazzata. Non m'hai ammaz­zata perché sai benissimo... che non era il mio amante. (pausa. Poi si alza, va alla parete, alza il quadro, stacca il mazzetto delle chiavi, lo butta sulla scrivania): Eccoti le chiavi del mio segreto. Apri tutti i cassetti di quella scrivania; li troverai pieni delle sue lettere; lettere di ogni giorno, che mi hanno raggiunta ovunque, sempre, durante sette anni. A vent'anni ho accettato il tuo amore, t'ho dato in cambio la mia giovinezza, la mia de­vozione, la mia carne di donna. T'ho seguito pel mondo come una compagna di gioia, ho fatto mie le tue ansie e le tue angosce, ho adorato la tua casa e la nostra creatura. Mi sei stato caro... come ci può essere cara la persona del nostro sangue la più vicina, la più saggia, quella che ci protegge di continuo e divide con noi il pane e la vita. Per serbarmi degna di te, ho saputo e-vitare le insidie di tutti gli uomini che ovunque m'hai portata mi hanno blandita, circuita e talvolta anche of­fesa. Queste piccole vittorie di tutti i giorni mi davano orgoglio e baldanza e pareva mi assolvessero dal peccato di anima e di sogno cui ogni giorno cedevo. Peccato di poesia! Fede di lontananza! Illusione, illusione, oh sì! Non puoi capirmi. Poiché ogni donna accende in se stessa una lampada perenne a una muta sua divinità ir­raggiungibile e bisogna pure rispettare questo suo illo­gico segreto se la fa mite, buona e paziente e forte. L'a­nima della donna trascende sempre dalla realtà d'ogni giorno, Lorenzo. Così io, prima quasi per gioco, poi per curiosità poi per pietà e poi per mia gioia giorno per giorno ho accolto le lettere di quel mio povero compa­gno d'infanzia rimasto laggiù nel mio paese schiavo an­che lui di tante catene, preso dal suo lavoro, amante del­la sua casa, innamorato del suo bambino... (piange). Perché egli lascia un bambino laggiù... che non sa an­cora... ed aspetta., (singhiozza),

Lorenzo                         - Perché è venuto? Perché l'hai lasciato venire?

Marina                           - Perché tra i fiori del sogno s'appiatta sempre la bestia umana ed egli non ha saputo resistere al suo desiderio folle. L'ho scongiurato di obbedirmi. Il caso ha aiutato la follia. Per causa dei suoi affari, la settimana scorsa ha dovuto recarsi ad Amburgo. Da Amburgo s'è spinto fin qui. Stamane ho ricevuto il suo telegramma. Ho mandato Natalia all'albergo perché lo convincesse della impossibilità di vedermi. Non è riuscita. Per evitare un guaio me l'ha portato qui. L'ha fatto passare per le scale di servizio...

Lorenzo                         - Ah, l'hai visto! L'hai visto!

Marina                           - Qui, qui, in questa stessa camera. S'è appoggiato a quella scrivania, s'è seduto su questo divano.

Lorenzo                         - E poi... e poi...

Marina                           - (con le lacrime, nella voce) E poi... a un tratto la bambina m'ha chiamata « mamma! mamma! » E io, allora, come una belva, l'ho scacciato via. Ed egli ha compreso che m'aveva perduta per sempre; e se ne è an­dato singhiozzando, disperato! (ricade sul divano e, na­sconde il volto nei cuscini, affranta sussultando).

Lorenzo                         - (fa qualche passo nella sala, accigliato. Poi esce dalla porta di sinistra in fondo).

SCENA XI.

Marina sola.

(Poco dopo che Lorenzo è uscito si ode trillare nell'in­terno il campanello del telefono).

Marina                           - (si alza sul busto, si guarda intorno, stupita. Chiama a messa voce) Lorenzo! (si alza in piedi): Lo­renzo non c'è più!! Sono sola! (via, stancamente, come un'allucinata verso la scrivania, prende il mazzetto delle chiavi, le guarda) Povere custodi del mio segreto! Inu-tili! (lo lascia ricadere sulla tavola. Poi fissa nel vuoto, e parla come un'allucinata): Giuliano! Non ti vedo già più. La nuova lontananza che ci divide è infinita. Ma tornerai, in quest'ora nostra, ogni sera? La tua memoria non mi abbandona... (china la testa sul petto e si lascia ricadere sul divano).

SCENA XII.

Marina e Lorenzo

Lorenzo                         - (ritorna da sinistra, compassato) Basta! Ora basta! Ti prego di ritirarti e di riposare. Bisogna che tu ritrovi presto la tua calma, e non solo per me, per tua figlia.

Marina                           - (s'alza e s'avvia lentamente verso la porta di de­stra).

Lorenzo                         - Scusa. Una parola ancora. ... che Natalia, oggi, non è assolutamente uscita di casa. Così ho telefo­nato al Ministro inglese.

Marina                           - (con un filo di voce) Sta bene.

Lorenzo                         - Ricordati, poi, che all'ambasciata inglese doma­ni sera c'è una festa. Lo sai. T'avviso fin d'ora che noi... non possiamo mancare.

Marina                           - (china la testa assentendo. Esce).

FINE