Permette? Angelo Musco, artista

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Permette

                                                   Permette? Angelo Musco, artista

                                                            Commedia in due atti

                                                                           di

                             

                                                               Antonio  Sapienza

 

Personaggi attuali:

Il professore Bellassai………………………………… Docente di drammaturgia;

Giovanni……………………………………………… Allievo attore e ragazzo di Marinella;

Marinella……………………………………………... Allieva attrice e ragazza di Giovanni;

Alfio……………………………………………………Allievo attore e cronista.

E, inoltre, due o tre comparse, allievi anche essi.

Personaggi rievocati:

Angelo Musco;

Rosina Anselmi;

Eugenio Colombo

                                                                       1°  Atto

Questa commedia dovrà essere supportata da un grande impegno dell’illuminotecnico e dell’addetto ai suoni. Infatti, tramite questi accorgimenti, ed altri effetti scenografici, l’ambientazione si potrà spostare agevolmente. A destra, separati da un arco posto di traverso rispetto al palcoscenico, agiranno i personaggi rievocati, mentre a sinistra quelli attuali

All’inizio dello spettacolo, entreranno in scena cinque sei allievi, portandosi appresso le rispettive sedie e in piccolo tavolo, che porteranno via a fine scena. Quando si saranno sistemati entrerà in scena il professore Bellassai il quale sarà intento a leggere sul giornale un articolo riguardante il suo Istituto “Stanjislasky-Dancenko”, il cui nome comparirà in un cartello posto sopra la loro scena e che sarà tolta quando detta scena sarà finita.

Prof. – Sentite qui, ragazzi (leggendo il giornale agli allievi): “Catania, città d'artisti......oltre millecinquecento Associazioni Artistiche e   Culturali...e Sportive.

Più di 73 Compagnie teatrali...- ...una di queste 1500 Associazioni, che ingloba una delle   73 Compagnie, ha deciso di fondare una Scuola di Teatro.   Detto, fatto!...Nasce così l'Istituto di Arte Drammatica   "Stanjislasky-Dancenko", con sede presso il Teatro   Stesicoreo. Poi sono stati nominati i docenti, si sono aperte le   iscrizioni... ...e gli allievi sono affluiti numerosi.”

Buono, quest’articolo è buono. (piega il giornale e se lo mette in tasca).

Allora ragazzi, ci siamo tutti?

Giov.- Credo di si professore.

Prof.- Benissimo. Allora …Dunque, fatemi concentrare…(si concentra passeggiando sulla scena)

Intanto, Giovanni e Marinella, due studenti del primo corso, stando in disparte discutono animatamente. Sono fidanzatini.

Giov.- Marinella, Marinella...-

Mari.- Non mi disturbare.-

Giov.- Ma dai…ascoltami…-

Mari.- (sottovoce) Zitto, ne parleremo dopo, ma tu non lo dovevi fare!-

Giov.- Ma cosa non dovevo fare, almeno lo sapessi.

Mari.- Non fare lo scemo, lo sai benissimo.

Giov.- Non so nulla, dimmelo, per favore. Debbo sapere di cosa sono accusato.

Mari.- Sei accusato di essere un…un…traditore! Ah, l’ho detto! 

Giov.- Ma chi avrei tradito?-

Mari.- Me!

Giov.- E quando, e come?

Mari.- Col pensiero, quando hai guardato quella smorfiosa…

Giov.- Quale smorfiosa…non ricordo.

Mari.- Quella che era alla fermata dell’autobus.

Giov.- Ah, quella…e allora non debbo più guardare nessuno, secondo te, per non tradirti?

Mari.- Non fare la vittima. Tu la potevi guardare, ma solo per guardarla, non per guardarla e mangiartela con gli occhi.

Giov.- (prima confuso) Guardare…guardare…(poi quasi prendendola in giro per la ripetizione della parola guardare) ma… ma …se le ho dato appena uno sguardo...-

Mari- Tu! tu! tu con quello sguardo l'hai spogliata!-

Giov.- Oddio! Ma come sei esagerata...-

Mari- Esagerata? io?-

Giov.- No, mia sorella. -

Mari- Ssst! Ne parleremo dopo!.. Esagerata...-

Prof. – Bene. Adesso vorrei riepilogare la nostra precedente chiacchierata sul Teatro Siciliano a cavallo tra il 1800 e il 1900.

Come vi dissi la lezione scorsa, Giovanni Verga fu  l'innovatore del teatro italiano moderno, con il Verismo in scena:"Cavalleria rusticana","La Lupa", "Caccia al lupo", sono le sue opere più note.

Verista come lui fu Luigi Capuana, il quale compose  opere anche in dialetto siciliano, proponendo in chiave comica i vizi e i vezzi di popolani, di nobili decaduti, di nuovi ricchi, di eccentrici e di preti. Esempio: "Il Paraninfo", gustosa commedia incentrata sui matrimoni d'interesse; e "Lu Cavaleri Pidagna", la  cui trama è data dalla fuga della figlia...-

Giov.- ... la famosa "fujitina" di una volta.-

Prof.- Brrraaavo.

Ma l'affermazione definitiva del Teatro Siciliano si  ebbe con Nino Martoglio, il quale riuscì a portare il  Teatro del Riso alla vera e propria Condizione d'Arte. I suoi personaggi, umanissimi, reali, vivi sono incisi nella memoria collettiva non solo dei siciliani, ma di tutta la Nazione.

Chi non ricorda Mastru Austinu Misciasciu, del " San Giovanni decollato"; Cicca Stonchiti e Messer Rapa dei  "Civitoti in Pretura"; Cola Dusciu de " L'aria del  continente"?

Insieme a Martoglio è doveroso segnalare alcuni autori  minori, almeno per fama: Antonino Russo Giusti ( "L'eredità dello zio canonico" e "Articolo 1083", più  nota come: "Gatta ci cova"); Giuseppe Macrì ( "Fiat voluntas Dei"); Giuseppe Marchese ( "I Don").

Ma il sigillo universale lo dette Luigi Pirandello, il  quale, spinto dall'amico Martoglio, compose,  per il grande Angelo Musco, tra il 1910 e il 1916, alcune commedie in dialetto agrigentino,

ed esattamente: “Lumie di Sicilia”; “Pensaci, Giacomino”; “La Giara”; “La Patente”; “A Birritta cu i Ciancianeddi” (Il Berretto a  Sonagli); “Ccu i nguanti gialli” ( Tutto per bene) e “Liolà”. E il Nostro non lo deluse: tutte le commedie ebbero successo di critica e di pubblico, per decenni...-

Giov.- Scusi professore, Angelo Musco e Angelu a' musca, sono la stessa persona, vero?-

Prof.- Si, certamente. Ma come mai questa domanda?.-

Giov.- Sa, siccome mio nonno ci raccontava certe storielle buffe di un certo Angilu a' musca, io pensavo che  questi fosse una antica maschera, un personaggio inventato dal popolo, e non il grande Musco.-

Prof.- Beh, certo, data la tua giovane età il dubbio è  ammesso. Anche se a me ne resta uno grande così: e cioè che, probabilmente, Musco non e' ricordato come  merita nemmeno dalla sua propria  città.

Comunque, tu, pur credendo di riferirti ad una  maschera, hai detto una grande verità  Certo, Musco fu inventato dal popolo; dal popolo catanese, dal quale scaturì per genesi spontanea.-

Alfio - Professore, io sono apprendista cronista presso il  settimanale locale "Sikania Oggi", tra l'altro ci occupiamo anche di Arte e di Cultura; ma ahimè,  nonostante che in redazione si respiri quell'aria colta, di Angelo Musco, ho notato che, in giro, se ne parla ben  poco. Forse potrei scriverci sù un articolo…ce ne potrebbe parlare più approfonditamente?

Giov.- Ma certo, aiuterebbe un po’ tutti a conoscerlo meglio...-

Mari.- Magari approfondire la sua Arte, e saperne di più, ci servirebbe da stimolo…-

Prof.- Sono lusingato del vostro interessamento per questo nostro Grande Artista ... e l'interesse giornalistico potrebbe colmare un  vuoto... chissa'...-

Altri- Ma si, professore...-

Prof.- Voi mi volete provocare? Badate che io posso anche  accettare la sfida. (passeggia e si massaggia la barba) Per vostra fortuna avete una grande smania di conoscenza che non mi sento di deludere. Vediamo un  po' ( riflette, poi consulta un orario)... la prossima  lezione l'abbiamo dopodomani dalle 9 alle 11. Facendomi prestare le altre due ore dal collega di  Dizione, potremmo anche farcela...-

Giov.- A fare cosa?-

Prof.- A fare conoscenza con Angelo Musco, perbacco!-

Mari.- Possibile? e come?-

Prof.- Andandolo a trovare nella sua citta’, nei suoi luoghi, tra la sua immutata gente. Bene, deciso! Allora, appuntamento per dopodomani alle  9 al Tondo Gioieni, ma prima passate dal Largo Paisiello. Il perché ve lo dirò dopo.

Simulare il Tondo Gioieni ore 9, due giorni dopo. Stesso capannello di studenti, stesso bisticcio tra Giovanni e Marinella).

Giov.- Allora, ti e' passata?-

Mari.- Lasciami in pace.-

Giov.- Ma perché sei così severa con me?-

Mari.- Io non sono severa, semmai sono solamente disgustata.-

Giov.- Ma non fare la drammatica.-

Mari.- Uffa!! ( gli gira le spalle). Alfio, mi presti i tuoi appunti? (civettando)

Alfio- Con vero piacere colombella.

Giov.- E non chiamarla così. Si chiama Marinella.

Mari.- Alfio, chiamami come vuoi tu.(poi a Giovanni) E tu piantala di immischiarti nelle mie faccende personali.

Giov.- Ma sono il tuo ragazzo…

Mari – Chissà fino a quando…continuando così. (ad Alfio) Grazie caro, te li restituisco domani.

Alfio – Vuoi che venga io a prendermeli, a casa tua?

Giov.- Non ti disturbare, compare, ti ha detto che te li renderà domani. Punto e basta. Intesi?

Alfio – Come siamo nervosi…(si allontana adombrato).

Mari.- (piano) Ma ti vuoi fare gli affari tuoi?

Giov.- Me li sto facendo, cara (ironico).

Mari.- Uffa, uffa e uffa.

Giov.- Basta, basta e basta!

Mari.- Zitto, arriva il professore.

Giov.- Zitto, per ora…

Intanto arriva il professore Bellassai con in mano libri, fotocopie di giornali e riviste.

Prof.- Buongiorno ragazzi. Vi sarete domandati perchè vi ho fatto passare dal largo Paisiello prima di venire qui. Ebbene dovete sapere  che in quel luogo sorse, tra il 1918 e il 1938, il glorioso Anfiteatro Gangi. In realta’ la struttura si chiamava Eden Bellini, ma poi rilevandola Giuseppe  Gangi, la ribattezzò col proprio nome e la condusse al  massimo dello splendore. In questo teatro si faceva  prosa, rivista, operetta, lirica, musica e cinema. Vi recitarono, per la rivista, Nuto Novarrini, Milly ed Erminio Macario.

In seguito decadde.

Mari.- Peccato.

Prof.- Già.

Nel 1935 divenne Anfiteatro Comunale, poi pista di pattinaggio e, nel dopoguerra,...quello che potete vedere con i vostri stessi occhi.  Perchè ve ne parlo, sentiamo? Perché?-

Alfio - Gia’, perchè?-

Prof.- Perché dovevate annusare l'aria, e capire il motivo della visita, da voi stessi. Avete sentito nulla?-

Giov.- Veramente io non ho percepisco nulla, mi dispiace.-

Mari.- Nemmeno io professore…

Alfio – Io sono raffreddato…

Prof.- (ironico) Poverino…Concentratevi figlioli, pensateci bene, sforzatevi! perchè lì è rimasto l'odore dell'Arte del grande Musco.

Giov.- Come sarebbe, professore?

Prof.- Sarebbe che quando la sua compagnia,  nelle sue tournee estive, toccava la piazza di Catania, quasi sempre, essa recitava proprio in quel posto.  E il ricordo delle rappresentazioni   muschiane è lì, intorno alle cose, nell'aria, nella polvere,  sugli alberi, nelle stelle, nel pensiero, persino nel  ricordo stesso del famoso Anfiteatro Gangi… e voi quest’afflato dovevate afferrarlo per i capelli e portarvelo al naso e da lì al cuore.

Mari. –Mi dispiace…

Prof.- Fa niente.

Alfio – Anche a me.

Prof.- (lo guarda come per dirgli: e chi se ne frega)…Lei è…lei…è raffreddato.

Comunque fa nulla, siete giovani e ancora allievi artisti.

Vedete, allora la presenza del Musco, a Catania, per i catanesi era un  avvenimento, non vorrei esagerare, pari alla festa di Sant'Agata.

Sapete, tempo fa, una gentile signora, madre di un mio carissimo amico, mi raccontava che quando Musco arrivava al Ganci, ella comperava due biglietti per due  diverse repliche dello stesso lavoro, quasi sicura di assistere, nelle due serate, a due interpretazione differenti della medesima commedia.

Giov.- Fantastico.

Prof.- Già. Bene, e adesso entriamo a Villa Musco.

Si spostano verso il centro del palcoscenico, ma sbilanciati a destra, senza occupare, però, lo spazio scenico riservato ai personaggi rievocati.

Prof. – Permesso…Buongiorno, sono il professore Bellassai, questi sono i miei allievi, ho telefonato per una visita alla Villa…

Voce– Buon giorno, buongiorno, lo so, ho risposto proprio io. Accomodatevi…

Prof.- Grazie. Entriamo? (ai ragazzi)

Entrano attraverso un arco per ritornare a sinistra del palco, comportandosi come semplici turisti in visita. 

Mari.- Professore, mi scusi, ma la madre di quel suo amico si riferiva forse ai famosi "soggetti" che gli attori  comici usano inserire nelle commedie, - di loro iniziativa? -

Prof.- Anche, certamente. Anzi sono sicuro che pure il Musco, durante le prove, quando intuiva dei "soggetti", li elaborava, li provava e quindi li fissava nella scena.  Ma - ed ecco la genialità del grande artista - egli, anche durante una rappresentazione se li inventava, di  getto, sul posto, sulla scena, in quel momento,  all'improvviso, e - come testimoniava la gentile signora sopraccitata - anche da una replica all'altra. E si trattava ora di una mossa, ora di un'espressione esilarante o commovente, oppure di un gesto, di una  battuta, - a seconda dell'estro del momento e del "feed-beack" che si instaurava tra lui e il pubblico  in sala.

Dall’altra parte del palcoscenico, ci saranno in scena, dietro l’arco, e illuminati da un occhio di bue, che delimita il loro spazio scenico, Angelo Musco, Rosina Anselmi e Eugenio Colombo.

Eugenio – ( Parlando a se stesso, intanto che sistema una sedia sul palco) Io sono Eugenio Colombo, la sua “spalla” preferita (accenna al Musco che è immobile, insieme a Rosina) e vi posso garantire che spalle come me non ce ne sono più nel mondo dello spettacolo. E questo perché, lavorare con quel …tipo straordinario, senza andare a spasso per la scena, inciucchito, è un vero miracolo - e Rosinella ne sa qualcosa. (indica Rosina)

Intendiamoci recitare con lui è un privilegio, ma è anche un’avventura rischiosa, perché non sai mai come và a finire, dove si và a parare – magari con quella scena provata e riprovata e che lui, improvvisamente ti cambia sotto il naso, con un esilarante soggetto, lasciandoci allibiti, ma non sconcertati, perché rapidamente ed intuitivamente, bisogna capirlo e assecondarlo, continuando la scena…e senza sbuffargli in faccia (ridacchia) Come quella volta che mi doveva dire:” Faccia brutta”! E invece mi disse: “ Facciazza di stummu scaffitutu”.

Poi, durante le prove, ne inventa di belle. Oggi proviamo “L’Aria del continente” e precisamente la scena del riconoscimento di Milla Mylord, come “carapipana” e…speriamo bene.

La scena si anima. Musco, da Capocomico, dà le disposizioni per la scena.

Angelo – (a Rosina e a Eugenio) Voi due ve ne state qui, alla mia destra (indica un punto del palcoscenico). Tu qui e tu qui (riflette), anzi tu no ( ad Eugenio).

Rosina – E che facciamo le belle statuine? (Musco sta zitto)

Eugenio-E non disturbarlo, non vedi che pensa…

Rosina- (piano) Per pensare ci vuole la testa…pi’ cu ci l’havi.

Eugenio- Stai zitta, lo vuoi fare incazzare? 

Rosina – Diminiscanzi! S’ancazza u riuzzu!

Angelo – (Di colpo) Ho trovato!

Rosina – Archimede ha trovato! eureka.

Angelo – Zitta tu… troiana!

Rosina – Muto tu crastiano!

Eugenio – Ahò, siamo su di un palcoscenico, nel tempio dell’arte teatrale! E cosa sono sti modi. Avanti Angiluzzu, cosa hai trovato?

Angelo – M’o scurdai! Sta malanova me l’ha fatto scordare… 

Rosina – Bada come parli, civitotu!

Angelo – Bada tu, badiota!

Eugenio – Ahò, e che siamo bambini? Su, Angelo, sforzati…

Rosina – E attento se ti scappa…

Angelo – Bonu và! Oggi non si lavora…per forza mi deve fare incazzare…

Rosina – (piano) C’appoi si scazza e se la fa a piedi…

Eugenio – Rosina, ti prego…

Rosina – Va bene, va bene, ma lo faccio per te “Giniuzzu”.

Angelo – (facendole il verso) …lo faccio per te Giniuzzu…

Rosina –  Ah, vuoi la guerra?

Eugenio - …no, paci, paci, pi favuri…annunca cca facemu notti.

Angelo -… accetto un armistizio!

Rosina – Pi Giniuzzu accetto pure io.

Eugenio – Salaratu Diu. Dunchi?

Angelo - Sta bene. Allora… Sentitimi: dopo aver rifatto la scena del canto e  del ballo della carrapipana, dopo aver fatto l’atto di buttarmi giù dalla finestra…

Rosina - …  (ironica) scanzatini…

Angelo – (occhiataccia alla Rosina)…dicevo - prima che una cornacchia m’interrompesse - che dopo aver simulato la scena della finestra, e quando prendo la decisione di rifarmi “sicilianu ca scoccia”, e chiedo a scuzzetta cc’o giummu, a pipa, eccetera eccetera, e prima di sedermi sulla poltrona…

Rosina – …accuzza! E come sei lungo…

Angelo - …lungo quanto mi pare e piace, sono padrone? Oh, insomma! Sto spiegando una scena, mia cara prima vecchia attrice e dovresti ascoltare il tuo capocomico - in religioso silenzio.

Rosina – Unn’è’ unn’è?-

Eugenio – Unn’è chi?

Rosina – …Il capocomico (sarcastica)

Eugenio – Cui iddu?

Angelo – No, idda, - la prima attrice…vecchia (sardonico). 

Rosina – Non so chi mi frena…

Angelo – … i vastunati…

Eugenio – (spazientito) E finiamola, e travagghiamu e buschiamoci il pane.

Angelo -  (dandosi uno strattone alla giacca, come per dire: mettiamo tutto a posto, signori miei) Allora faremo la scena della vestizione.

Rosina – Chi facemu?

Eugenio – Che cosa?

Angelo (pomposo) La scena della vestizione. Cioè faremo in modo che il passaggio da continentale a sicilianu ca scorcia, avvenga tramite una vestizione solenne. Procederemo così: Tu Rosina, andrai di là, poi entrerai insieme alla servetta - la quale porterà sulle braccia un cuscino ricamato - sul quale ci saranno i seguenti oggetti: un “marruggiu”, la scurzetta cc’o giummu, uno scialle di lana nero, la grossa pipa intartarata e una scatola di fiammiferi di legno - da cucina.

Procederete solennemente, come se fosse una processione (intanto sarà entrata la servetta e Rosina avrà preso posto al suo fianco, come se facesse la scorta d’onore. Angelo si sarà seduto nella poltrona che Eugenio avrà introdotto in scena, con aria imponente, regale, e aspetta le due donne. Queste, arrivati a due metri da lui, si fermeranno, quindi Rosina – con un accompagnamento di marranzano – prenderà gli oggetti dal cuscino - che la servetta regge come se fosse un porta reliquario – e, uno per uno, li metterà addosso ad Angelo: Prima lo scialle sulle spalle, come se fosse il mantello d’ermellino, dopo la scuzzetta, che gli poserà in testa con grande dignità, come se fosse una corona; quindi gli porgerà il marruggiu, cioè un grosso bastone tutto nodi, da pecoraio, che egli prenderà con la mano destra; e, infine la gigantesca pipa, che Angelo prenderà con sussiego con la mano sinistra; quindi con solennità depositerà la scatola di fiammiferi ai piedi del “sovrano” e arretrando tutte e due di spalle, usciranno. Fine musica. E fine scena.).  

Luci a sinistra del palcoscenico.

Giov.- Professore, come ce l’ha descritto, ci sembrava proprio di vederlo. Era veramente forte... Ma lei come lo sa?-

Prof.- Gia', come lo so. Lo so e basta. Certo era come dici tu: forte. Vedete, ragazzi, se Cesco Baseggio, Cecco Durante,  Gilberto Govi, rappresentavano, rispettivamente la terra, gli umori del popolo palpitante e vivo di  Venezia, di Roma e di Genova, il Musco era la terra  siciliana stessa, il respiro e l'ironia del popolo, il dramma che si fa riso e il riso che si drammatizza. Egli era attore dionisiaco, ma pure atellano; maschera della Commedia dell'Arte, vivificatore del Teatro dell'Improvviso e novello Scaramouche - alla Tiberio Fiorilli: Re dei Comici e Comico dei Re; e, seppur ben mimetizzato, grande interprete drammatico, esempio?

Alfio – Si, ci interessa (si prepara a prendere appunti).

Prof. -  Per esempio: Il professore Toti in “Pensaci Giacomino", e non nella scena patetica del finale, no, quella la sanno fare tutti e bene, ma in quella iniziale, quella col direttore, quando esprime la sua filosofia…

Luci a destra. Sempre in scena Angelo, Rosina ed Eugenio.

Angelo – No, sentitemi, questa scena è troppo lunga. Ci sono troppe interruzioni: i ragazzi, il bidello, il direttore stesso. No, non mi piace, la vorrei… non proprio accorciare, ma, anzi, accorpare in un’unica tirata, quasi un monologo.-

Rosina – E a don Luigino chi glielo racconta?

Angelo – (facendole il verso) Se non glielo dirai tu, don Luigino non ne saprà nulla.-

Rosina – E porta rispetto agli autori, screanzato.-

Angelo – Io porto rispetto soltanto a Sua Maestà u Re! (conciliante) Poi don Luigi è un amico, capirà. E ora lasciami parlare. Dicevo…

Eugenio – …che io perdo il posto e faccio solo la comparsa, visto che il direttore non c’è più.

Angelo – Macchè comparsa, tu non ci sarai affatto. ( vedendolo sbalordito) Babbasunazzu e che capisti? (facendogli una carezza) Volevo dire: a te ti faccio fare padre Landolina (sentenzioso).

Eugenio – Guarda che cose…declassato da direttore a prete.

Angelo – E’ un grande personaggio anche lui.

Eugenio – Ma è infame. E non mi và.

Angelo – Ma smettila, sei un serio attore professionista, che vai dicendo. Eppoi tu lo renderai più vivo e più diabolico, sono sicuro.

Rosina – Insomma più carogna, come certe persone che conosco io…

Angelo – (non cogliendo la provocazione, ad Eugenio)  Ahò, è un grande onore che ti dò. Lo capisci?

Eugenio – Come dici tu. Grande onore… e niente direttore.

Rosina – E Rosaria ci sarà vero? No? perchè non si sa mai, mi dovessi trovare qualche altra parte pure a me...

Angelo – …per ora ci sarà, domani non so.

Rosina – Fammi un telegramma, nel caso, perché io me ne vado. (esce)

Eugenio – Angelo, quella se ne và…

Angelo - … ma tornerà. Allora, ora ascoltami bene. Farò una prova di come vedrei io la scena e tu mi dirai cosa ne pensi…con sincerità.

Eugenio – Come sempre. Dai attacca.

Angelo – (concentrandosi e passeggiando) “ Certo signor Direttore, ha ragione, questo mio fare non è modo di tenera la disciplina. Sicuro, sicuro. Mi mancano di rispetto? Ah, ma non a me, semmai al professore.

Come dice signor direttore? Quanti anni ho? Sessantacinque, per servirla. Ah, diceva quanti anni di servizio ho? Sono quasi al massimo degli anni. Perché non mi ritiro? (a Eugenio)- Ma questo quanto vuol sapere? – (poi al direttore) O prima o dopo mi ritirerò, ci sto pensando seriamente. (fa cenno ad Eugenio come per dire: fregato!) Certo, vivo solo, non ho mai voluto prendere…no signor direttore non potuto, ma ha inteso bene: ho detto voluto! voluto prendere moglie, e come facevo, con quella miseria di stipendio che mi passava il Governo …Ma ora sto pensando a come fregarlo…come dice? Chi? Ma il Governo voglio fregare. E sa come: ora la prendo. Come cosa prendo? Ma la moglie, sissignore! E me la prendo anche giovane, cosicché, quando, mettiamo- fra cinque, sei anni - io tiro lo cuoia, (si tocca) lui, il governaccio, dovrà continuare per anni a sborsare la pensione, tam, tam, tam (fa cenno all’esborso di bigliettoni). Tiè questo, Governo ladro!  

Come dice? Le corna? Dice le famose corna di marito cornuto? Ho capito bene? Si, si, certo, ma quelli li ho messo già in conto; però essi non andranno a me, nel mio povero conto, nossignore, ma bensì andranno nella testa alla professione di marito, nel suo specifico conto. Sono spiritoso vero? Ma sa alla mia età…

Ah, signor direttore la moglie me la prendo di sedici anni, così il governaccio dovrà sborsare la pensione come minimo per altri cinquant’anni.

La riverisco, signor direttore.

Cinquemani, Cinquemani, bidello scansafatiche, venite ho da parlarvi a proposito vostra figlia, si, si, di Lillina…”

Allora Eugenio, che te ne sembra?

Eugenio – Per me è buona, ma ti consiglierei di pensarci bene, prima di fissarla.

Angelo- Niente niente stai pensando ancora al ruolo di direttore? Scordatelo!

Buio

Luce a sinistra

Mari. – Professore, lei è favoloso e Musco è Gran artista, non c’è dubbio.

Giov. -  E’ un grande onore per noi catanesi…

Prof.-    Già…già…

Aldo – Professore, la vedo perplesso…Musco non sarebbe…

Prof.-  No, Musco lo è. Sono solo i suoi concittadini che l’hanno quasi dimenticato. Sapete cosa c’e in città che ci ricorda il Nostro? Un busto nel viale dei nasi rotti e una lapide murata nella vecchia casa natale di via Garibaldi, nella quale, con visibile sforzo, si legge: "Angelo Musco qui nacque il 18 Dicembre 1871. Il  Comune pose". Nient'altro!

Alfio - Che sforzo, ragazzi.-

Prof.- Niente commenti, per favore.-

Giov.- Possiamo visitarla?-

Prof.- Non si entra.-

Mari.- Professore, non è visitabile?-

Prof.- Mi vergogno di confessarlo, ma credo che non lo sia.-

Alfio.- Non e' una Casa Museo?-

Prof.- Non credo. Basta! continuiamo. Dicevamo che Musco fu espressione di un popolo, dal quale scaturì. E proprio in questo  quartiere egli iniziò la sua carriera artistica.-

Giov.- In che modo, professore?-

Prof.- Nel modo più semplice: Dalla strada. (a Alfio, infastidito) Lei  prende sempre nota?-

Alfio- Non perdo una sola parola.-

Prof.- Ca pascienza. Bene. Allora, siamo come periodo storico intorno alla fine del 1800, ed egli maturò la sua Arte, passando dalla strada, all'esperienza di puparo, lavorando con don Carmelo Sapienza e don Michele Insanguine. Poi fu macchiettista, ballerino, mimo e cantante di sceneggiate napoletane, esibendosi, con un vasto e ricco repertorio popolare, nei quartieri di San Cristoforo, Angeli Custodi, Fortino e Civita, dove si guadagnò l'appellativo di Angelu a' musca, dal titolo di una sua famosa macchietta: "A' musca".

Luci a destra-

Angelo giovane – (da solo) Gentili siore e siori, il qui presente è il più grandi domatori di lioni e signe, che ho l’onuri d’esseri io medesimo, senza offisa, e vi apprisento la mia ultima imprisa di domatori mondiali: ‘a musca malandrina. Detta propriamenti Musca cavaddina! Osservate siore e siori come la quali la qui presenti musca, obbedisce a miei ordini medesimi, mugghio di Pippinu Gannibaddi.

Musca, susiti!

Vedeti come si susi?

Comu, non s’è muovuta?

Ma chi ci ancucchia vossia, questa si è annacata, ma siccome è una musca cavaddina vili e stanca, picchì è stata tutto lo jorno appinnuta nte natichi da cavadda di don Carmelu Sapienza, è allora si è movuta pochissimo, di solo pochi centilitri.

Comu dici voscenza?

Sunu centimetri? Ah, ma vossia vole la questione, e chi ci cerca u pilu nta l’ovu?  centilitri o centimetri, sempre un pilu è.

Ma ora viene il bello dello spittaculo, dove la mia arte si supera e si sduaca – assistireti ora, nientedimeno che, a un finomunu mondiali, ca mancu il grandi Hudini sapi fari, e cioè: la musca parlanti. Picchì io, innesorabbilmenti l’ho addestrata a parrari ca lingua di fora.

Spittabbile pubbricu, facite silenziu e apprestatimi la massima attenzioni. Tamburu! (Eugenio è imbambolato) Tamburu! (Eugenio idem, Musco gli molla un calcione) Ti dissi: tamburu! (Eugenio suona) Ah, cche boni maneri… Allora incominciamo- ragazzino lasciami travagghiari- Musca pronta? Vidi ca cuntu fino a tri. (attimo di suspance) Uno…due…e tri: Musca parlanti, dimmi chi jornu è oggi?

Comu? Nun sentu, parra cchiù forti. Cosa hai ditto? Vofanculu! Comu, vofanculo a mia? Aspetta ca ti castiu, musca viperina ( e così dicendo, si cimenta in una terribile tenzone, da Orlando Furioso, con una mosca invisibile, finchè stanco, e vinto non stramazza a terra esclamando) don Carmelo , v’aggiuva na musca?

Luci a sinistra.

Prof.- Ed ora, col pensiero, rechiamoci in Piazza Ogninella, perchè in un locale di servizio dello scantinato del palazzo Sangiuliano, c'era il benemerito Teatro Machiavelli.-

In quel locale, siamo già nel 1901, la Compagnia nella quale lavorava il Nostro, si esibiva in drammoni dal titolo: La Zolfara, I mafiusi da' Vicaria, Cavalleria Rusticana, tradotta in dialetto dal Martoglio ecc. Capo Comico della Compagnia era il grande attore drammatico  Giovanni Grasso.-

Giov.- ( a bassa voce a Marinella) …che sarei io.-

Mari - ( sempre a bassa voce, a Giovanni)… solo di nome, purtroppo.

Giov.- … e anche di cognome...

Mari - … e poi basta. (poi al professore) Anche questo teatro è stato abbattuto?-

Prof.- No, il teatro che era illuminato a gas, fu distrutto da un incendio nel 1903 e, che io sappia, mai più ricostruito.

Dopodicchè, Musco passò a recitare con la compagnia diretta da Nino Martoglio, con la quale giro’

l'Italia e, poi, il mondo.-

Alfio - Quando fondò la sua propria Compagnia?-

Prof.- Fu nel 1914, e si chiamava " Compagnia Comica Siciliana del cav. Angelo Musco". Da allora i suoi teatri furono l'Alfieri di Torino, l'Argentina di Roma, L'Olympia e il Filodrammatico di Milano, il Biondo di Palermo, e il Principe di Napoli di Catania.

Alfio - E dove si trovava il Principe di Napoli?-

Prof.- (gonfiando) In via di Sangiuliano, dove c'e' adesso il cinema Sarah, ti basta? (riprende la lezione) Allora tornando al Nostro, il suo cavallo di battaglia era il " Sangiovanni decollato". A tale proposito, si dice, che la famosa scena del rosario la suggerì proprio il Musco al Martoglio, il quale la inserì stabilmente nella sua Commedia…

Luci a destra.

Angelo – (ai suoi compagni) Carusi, oggi proviamo la famosissima commedia di don Nino Martoglio: “San Giovanni decollato”. Vi debbo avvertire subito, che dovendo andare in scena fra dieci giorni, non intendo ricevere lamentele sull’orario di lavoro, né giustificherò le assenze immotivate: chi si assenta, dopo mi dovrà presentare il certificato di morte! 

Allora, tu Rosina farai la gnà Lona, moglie di mastru Austinu, che farò io, naturalmente…

Rosina - …(ironica) e ti pareva…

Angelo – Cos’hai da dire, donna?

Rosina – Aho, guarda a questo, già si sente nella parte (inchino) sabbenedica signor marito mastru Austinu Misciasciu, tintu scarparu di curtigghiu.

Angelo – Ebbene, si! Si entra nella parte: ditemi, donna, è questo il moto di parrari col vostro signor marito?

Rosina – Ma v’o curcati, beddu. Eppoi, a me questa parte non mi piace.

Angelo – E si può sapere perché, madama?

Rosina – (tergiversando) Perché…perché…(poi di botto) perché è una donna che si fa mettere i piedi in faccia, che non si fa rispettare, ecco.

Angelo – E secondo l’eccellentissima signora, qui presente, io che colpa ne ho? Ho scritto io la commedia? Sono il coautore? E allora?

Rosina – E allora tu, come hai fatto altre volte con altri lavori, potresti modificarla un pochetto e rendere questo personaggio più…più…insomma più!

Angelo – Ca ora io prendo un personaggio e: oplà! fatto!questo personaggio è più più, ad uso e consumo di una certa prima attrice vecchia. E m’acchiappu con l’autori. Ma sii seria, perbacco!

Rosina – E allora, se non hai il coraggio civile, lo faccio io, oh! Ca ora! Ma quale moglie ubbidiente e sottomessa al marito, io ti cavo gli occhi se mi tocchi la figlia. Mia figlia si sposerà per amore, e basta!

Angelo – Pattri, figghiu e spiritu santu, la sentite? La sentite? È la nuova stella cometa della drammaturgia italiana e straniera. Senti bedda, tu farai Lona come c’è scritto qua, sul copione.

Rosina – Beddu copione maschilista, con quella specie di ciabattino arrogante e prepotente che si vende pure la figlia e che tratta male anche il futuro genero e prossimu duttori…

Angelo – Eugenio tienimi, sennò faccio una prim’attricivecchiacidio.

Rosina – Certo per il rosario ci mettesti lo zampino, per Lona no.

Angelo – A parte il fatto che quello lo concordammo con l’autore, ma mi vuoi spiegare perché tutto questo accanimento a favore di questo personaggio? Perché è un personaggio, vero Rusina?

Rosina  - (cincischiando) Beh, volevo solo difendere la categoria…

Eugenio – A socialista la farai fuori del teatro, Rusinedda, ma cca s’adda lavorare…

Luci a sinistra.

 

Giov.- E fu finalmente il successo?-

Prof.- No, il successo pieno arrivo’ nel 1915, esattamente il 12 Aprile, al teatro Filodrammatici di Milano, con la commedia " Il Paraninfo", dell'illustre capostipite del Verismo Luigi Capuana.-

Alfio - Quindi Capuana gli spiano' la strada?-

Prof.- Non esattamente. O perlomeno non per il pubblico, ma quanto per la critica. I fatti si svolsero, secondo una versione romanzata, pressappoco così: Musco, per quanto bravo, era considerato un attore comico dialettale, con tutte le riserve mentali di questo mondo da parte del grosso pubblico nazionale. Ora, trattandosi di una commedia del ben noto Capuana, in teatro vennero solamente pochi appassionati spettatori, ma fortunatamente, anche il critico del Corriere della Sera, Renato Simoni. Ed ecco la parte mitica: Si dice che gli attori della compagnia, vedendo la sala vuota, manifestassero il desiderio di

rinviare la rappresentazione per mancanza di pubblico, ma Musco, con fiero cipiglio da condottiero disse:

 

Luci a destra .

Angelo -  Angelo Musco recita anche per un solo spettatore, il quale è il mio padrone!"

Luci a sinistra.

Prof.- E recitarono. E fu la loro fortuna: Infatti Renato Simoni fu colpito dalla bravura di tutta la Compagnia, ma si entusiasmò soprattutto, per l'interpretazione di Musco; e scrisse sul suo giornale che aveva visto un attore comico irresistibile, nel volto, nel gesto, nell'espressivita' e che la commedia, pur essendo scritta in dialetto siciliano, era perfettamente comprensibile da tutti, grazie alle summenzionate doti del grande comico. L'indomani il teatro era tutto esaurito.-

Mari.- Favoloso!-

Alfio.- Ho saputo che a girato anche dei films.-

Prof.- Si tanti, iniziando da un film muto del 1917, un "San Giovanni Decollato" che non ebbe la giusta fortuna, poi, "L'eredità… dello zio buonanima"...

Giov.- ...Canonico...-

Prof.- …quindi " L'aria del Continente", "Il feroce saladino”, " Fiat voluntas Dei", "Gatta ci cova" ...-

Giov.- ...da " L'articolo 1083 " ...

Prof.- Esatto, bravo…ed altri ancora.

Ma tutti questi films figurano soltanto come successo di cassetta e non come Opere d'Arte, in quanto la sceneggiatura di allora era influenzata, fortemente, dalla forma dell'opera teatrale da cui era tratta,- e voi sapete che la scrittura del teatro, per contenuto e forma, è differente da quella della narrativa e del cinema. Poi, c'è da considerare che i mezzi tecnici erano primitivi e che la Regia di allora era rudimentale, artigianale, e lontana dalla finezza artistica che, alcuni anni dopo, avrebbe maturato un Rossellini, un De Sica, un Visconti, un Fellini. Se questi films vengono tuttora ricordati, il merito è dell'interpretazione del Musco.-

Alfio - E' stato solo e sempre il Protagonista?-

Prof.- Beh, e' ovvio, trattandosi di films tratti prevalentemente da commedie siciliane... Però guardate, al suo fianco hanno recitato i più famosi attori dell'epoca: da Osvaldo Valenti a Luisa Ferida; da Camillo Pilotto a Sarah Ferrati, quindi Mario Pisu, Paola Borboni, Checco Durante, l'Anselmi naturalmente, e anche Alida Valli, tanto per citarne alcuni.-

Giov.- Figuriamoci la soddisfazione di Musco.-

Prof.- Certo.. forse... non credo!-

Mari.- Non era soddisfatto?-

Prof. E chi lo sa…(detto come se la sapesse lunga) si dice che a lui il cinema fosse un pochino antipatico...C'è un aneddoto in proposito, non so quanto veritiero, che la dice lunga. Io personalmente credo che al Musco il cinema rimanesse indigesto….

Luci a destra.

In scena ci sono Angelo con due amici.

1 Amico – Angilu, parlaci del cinematografo, chissà quante femmine, vero? Chissà che paradiso di donne fatali, quante avventure tumultuose…

2 amico- Parlaci della gloria sempre sognata, sperata  e ora raggiunta.

Angelo - Ah, il cinematografo! Belle donne - certamente - affascinanti, disinvolte, disinibite...Ma se sapeste che tortura fare un film... Voi non ci crederete, perchè, a volte, per un motivo o per un altro, una inquadratura viene ripetuta decine di volte. E dalle a rifare sempre la stessa parte, che camurria.

Volete sapere l'ultima?  Avevamo girato una stessa inquadratura per ventitre volte di seguito, e cio’ sempre a causa di banalissimi errori.  Finalmente al ventiquattresimo " Ciak" : io avevo detto le mie battute esatte, la mia spalla aveva recitato magnificamente le sue, le comparse avevano fatto bene la loro parte, l'elettricista aveva dato la giusta luce, nessuno aveva parlato, nessuno aveva riso, il Regista finalmente era contento... e non era finita la pellicola all'operatore? Allora m'assalì la mosca e dissi: Basta! io me ne vado!  Questo modo di recitare è uno schifo!-

1 Amico:- E te ne andasti?-

Angelo - Te ne andasti...te ne andasti. Me ne stavo andando...sbattendo pure la porta... Ma poi mi si avvicinarono dei signori, mi parlarono all'orecchio e mi fecero cambiare idea: rimasi sul set, come un cornuto, a girare la stessa inquadratura per la centesima volta!...-

2 Amico: - Scusa, ma chi erano quei signori così potenti?-

Angelo - Chi erano? Erano i signori "Picciuli", caro  amico!"

Luci a sinistra.

Prof. - Avete capito l'antifona?-

Alfio.- Perfettamente!-

Mari.- Favoloso!-

Giov.- Quindi a Catania, Musco divenne  un notissimo e importante personaggio?-

Prof.- Credo proprio di si, e di diritto. E le sue amicizie divennero altolocate. Fu amico anche dell'on. Gigi Macchi, il deputato democratico- sociale, al quale indirettamente, forse, favorì la campagna elettorale, specialmente nei quartieri popolari..-

Giov.- Ci racconti un aneddoto in proposito, professore.-

Prof.- Ne ho uno: Si dice, badate si dice, che durante un comizio dell'onorevole, un ragazzino fu sorpreso a borseggiare un signore: successe un parapiglia. Ma il Musco con prontezza di spirito intervenne e disse:

Luci a destra, fulmineamente.

Angelo - Ahò,"carusi", qui per rubare abbasta l'onorevole..."

Luci a sinistra, idem.

Prof. -  E tutto finì a risate.

Mari. - Professore quale fu la sua più grande interpretazione?

Prof.- Che io sappia fu un famoso “Berretto a sonagli”, non ricordo dove fu dato, né la data, ma mi fu raccontato, quando ero studente di drammaturgia, da uno dei suoi amici e attori, Turi Pandolfini.

Giov. – Turi Pandolfini? Questo nome credo d’averlo sentito altre volte.

Prof.- Tu sei troppo giovane, e forse neanche tuo padre lo ha applaudito sulla scena; ma è possibile che l’abbiate visto al cinematografo. Infatti ci ha lasciato una favolosa interpretazione della “Patente” dall’atto unico di Pirandello.

Mari.- E cosa le ha detto Pandolfini?

Prof.- Mi disse che quella volta gli spettatori, in piedi, applaudirono per quindici minuti…

Luci a destra.

Angelo – (declamando) ” …pupi siamo, caro signor Fifì. Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei…tutti pupi. Dovrebbe bastare, santo Dio, esser nati pupi così per volontà divina. (pausa) Nossignori! Nossignori, ognuno si fa pupo per conto suo: quel pupo che può essere o che crede d’essere.”

Eugenio, come vado?

Eugenio- Vai bene, come al solito.

Angelo – No, Eugenio, stavolta non voglio andare “bene come al solito”, stavolta voglio il capolavoro, l’opera d’arte...

Rosina – Megghiu l’opera de pupi (sarcastica).

Angelo – A mavara è all’opera…

Rosina - … de pupi…

Angelo - …di to soru! (dà le spalle a Rosina che esce, e si rivolge ad Eugenio) Eugenio, sentimi bene: voglio commuovere pure te! Se ci riesco abbiamo fatto terno!  Dove eravamo rimasti?

Eugenio  - All’opera de pupi, cioè volevo dire ai pupi, insomma parlavi del pupo che c’è in noi.

Angelo – Si, si …il pupo…Vedi io questo personaggio, questo Ciampa, non lo capisco bene. E se non capisco non potrò entrarne del tutto dentro e cavargli l’anima.

Capisci? Questo tizio, secondo la commedia, è un cornuto contento. Bene, dico io, ha accettato le corna? benissimo, e allora che se li tenga. No, ma lui no. Lui vuole essere cornuto in privato e pretende il rispetto in pubblico, per il suo pupo…dice. Capisci? Qui c’è qualcosa che non mi quadra…qui don Luigino sì è divertito a imbrogliare le carte…ed io debbo trovare il trucco. Scoprendo il trucco scoprirò anche il personaggio. (riflettendo e passeggiando) “Corda civile”…”corda seria”…”corda pazza”…, queste sono le tre corde che il professore Pirandello ci propone…e se ci fosse qualche altra corda nascosta da qualche parte…chessoio, per esempio, la “corda sorda”…la “corda me ne fotto”… non può essere, no? oppure…forse la “corda vile”.

Eugenio, che ne pensi della “corda vile?”

Eugenio – (che era distratto) Ah, cosa? Chi fu?

Angelo – Fu che ti licenzio: prenditi la giacca e vattene!

Eugenio – Mi ero un poco distratto. Scusami, cosa volevi da me?

Angelo – Volevo sapere che ne pensavi della corda vile.

Eugenio – (frastornato) qu…quale corda…vile?

Rosina – (entrando) Quella sua, da quando è nato! (scappa via)

Angelo – E come si può fare il sacro fuoco con gente così? (disperato)

Eugenio – Forse ho capito: tu vorresti una chiave di lettura nuova…

Angelo – Hai fatto centro: sei riassunto! Quindi se io mi lavoro questo personaggio per tutto il primo atto e per metà del secondo, lasciandolo cuocere ben benino nel suo brodo, quando sarà il momento rovescerò le carte… e non sarà Beatrice, la moglie tradita, che andrà in manicomio, ma proprio lui, il Ciampa cornuto, contento e pazzo e allora addio…

Rosina - …addio alla professione. Perché ti fischieranno fino a Catania. Sentimi, io ti conosco troppo bene: non cercarti guai col pubblico e con don Luigi; e pensa pure a noi che ci buschiamo il pane lavorando insieme a te. Capisco quello che vorresti fare: è normale per un grande interprete, ma vacci piano, vacci coi piedi di piombo. Eppoi, questo personaggio è tuo così com’è. Sta a te capirlo, sta alla tua arte, alla tua intelligenza, ma soprattutto alla tua pelle - che ne capisce più di tutti noi messi insieme. (esce)

Eugenio – Angelinu, Rusinedda ha ragione, questo è un signor personaggio. Dalle retta, dacci retta! Fallo come ti viene, di getto, con l’anima, senza cervello, senza pensare, e vedrai che ti verrà fuori quella opera d’arte, anzi quel capolavoro di recitazione che tanto desideri…          

Fine 1° atto

                                                             II  Atto

Luci a sinistra

Giov.- Professore, e qual’era la commedia che sentiva più sua?

Prof.-  Vi rispondo sempre per sentito dire: pare che fosse “Liolà”.

Luci a destra.

Angelo – (al telefono)… professore Pirandello, vossia ci deve permettere: questa commedia voi l’avete scritta pensando a me! Per il mio carattere, per la mia aspirazione. No, non ditemi di no, sennò offendete la mia intelligenza. Don Luigino, don Luigino illustrissimo, guardate cosa vi dico: stu Liolà sono tutto io, spiccicato, spaccato, tali e quali. Mizzica, è la mia copia preffetta. Poi anche il nome del protagonista: Liolà, cioè: lì o là…oppure qua, in questo istante, ora, dove sono io; come me, che non so stare mai fermo in un posto per più di un minuto; come me, che cerco nelle donne quel refrigerio per l’arsura della mia vita - che mi rode e corrode - e che mi fa perdere il sonno e il senno. Sono io caro professore mio. Sono io questo vostro personaggio. Ma come avete fatto a pensarmi così? Come ci siete riuscito? Mi avete spiato di giorno e di notte per tutta la vita? O avete carpito i miei pensieri più profondi… o i miei desideri? Ah, illustre professore, sapesse come vorrei viverla la vita mia: la vorrei proprio così, come la vive questa vostra creatura: libero, felice, con tanti amori: amori dappertutto, amore dato e ricevuto, concesso e negato, così, senza condizioni, per il solo fatto di vivere, per la sola unica, inestimabile felicità terrena. E ci tento, ci tento…la vita la faccio, la vivo, ma, Professore, la felicità è lontana…qualche volta mi sembra di afferrarla, ma essa mi sfugge tra le dita, come la sabbia della mia plaia. E altre volte, quella baddascia, mi guarda da lontano e mi fa le boccacce; qualche altra volta si gira indifferente, indisponente, irriverente e se ne va per i fatti suoi, ignorandomi vergognosamente. Ehi, dico, guarda che io sono Angelo Musco! e quella a momenti mi fa una pernacchia! Ma questa è la vita, e io la prendo così a mucchio, a mazzo, a come veni veni, senza avvelenarmi, senza rimpianti e senza rancori… anche se…ma và!

Ora, in confidenza, parlando con voi, il mio più grande desiderio, come vi dissi, sarebbe quello di poter vivere veramente quella vita, la vita del vostro personaggio, come l’avete scritta voi per questo vostro formidabile Liolà! Mi credete oppure no? Certo, mi credete. Ma la ricetta mi manca. Non so proprio come fare per scovarla, per carpirla, per farla mia! Ma se ci riuscissi, ci pensate che bellezza?

Avaia, professore, mi servono poche cose, pochissime, anzi solamente tre: Libertà, vino e donne. E cosa può desiderare di più, un uomo dalla vita?

Ah, Dionisio, vostro dio ispiratore, come t’invidio!

Si, si, va bene, mi calmo, sono calmo professore, parlo così, per parlare, e vi dico: grazie! Grazie per la commedia, grazie per il magnifico personaggio, grazie per aver pensato a me. E grazie per avermi fatto sognare… Vi ossequio caro maestro, grazie ancora…”

E chiude l’ipotetico telefono. Entrano Rosina ed Eugenio.

Angelo – Era il professore Pirandello…

Rosina - …non si era capito…

Eugenio – Ci sono novità?

Angelo – Ce ne sono due, ma una la conosci già…

Eugenio – E quale sarebbe?

Angelo – Che quella è na malasoggira! (indica Rosina)

Rosina – E tu nu malacunnutta!

Eugenio – Bonu và! E la seconda novità?

Angelo – La seconda novità è che don Luigino vuole assistere alle prove della prossima commedia che mettiamo in scena.

Rosina – Ci scommetto che è Liolà, la commedia di quello sporcaccione…

Angelo - …bellu, libero e indipendente…

Rosina - …scanzafatica e fimminaru!

Angelo – E a te cosa te ne importa?

Rosina – A me? Nulla, figurati. Io non mi abbasso a frequentare certa gente.

Angelo – E allora vuol dire che quando faremo Liolà, noi saremo in basso, sul palcoscenico, e tu reciterai… in alto, in piccionaia. 

Rosina – Spiritoso.

Eugenio – E quando iniziamo?

Angelo – Subito!  

Eugenio – E con l’autore in sala? - quello forse ti vuole controllare - come facciamo?

Angelo – Come al solito, ignoriamolo!   

Luci a sinistra.

Prof.- ...Così scrisse Antonio Gramsci sul Musco, facendo una recenzione della commedia “Pensaci Giacomino”… ”Egli ha qualche volta il torto di forzare interpretazioni impossibili perchè il lavoro è vuoto di ogni espressività, ma diventa grande quando l'autore da’ qualche spunto artistico.” Ed ora attenzione ragazzi: “E questo si e' verificato in Liolà, di Pirandello, una delle più belle commedie moderne che la sguaiata critica pseudomoralista ha fatto quasi del tutto ritirare dal repertorio…” 

Alfio – Dove l’ha trovata questa critica, professore?

Prof.- (infastidito) Glielo dirò dopo. Allora dicevo di Gramsci.”… della quale interpretazione il Nostro dette un grande saggio di bravura recitativa: drammatica sì, ma misurata, e senza farla mai sfociare nel patetico. Angelo Musco e' ormai "qualcuno" nella storia del teatro italiano, ed è riuscito ad imporre il teatro dialettale della sua regione, la Sicilia...”

Alfio – Piano professore, non riesco a seguirla . (prende affannosamente appunti)

Prof.- (guardandolo con insofferenza continua a leggere) “…Con lui il teatro ritorna alle origini e scaturisce dall'attore che è veramente interprete e creatore dell'Opera d'Arte che si compone di una sintesi di movimenti, di danza, di atteggiamenti. E questo teatro favorito dall'essere dialettale, da tutte quelle possibilità espressive al Musco, che ha il teatro che si merita solo perchè se lo merita, perchè lo comprende, lo rivive...”-

Fine dell’articolo, addì 29 Marzo 1918.

Alfio – Bella critica, complimenti.

Prof.- Grazie.

Alfio – A Gramsci, professore.

Prof.- Evidente.

Luci a destra.

Angelo - … e senza eredi ringrazi Dio se non lo spossessano.

Eugenio – Mi dovrebbero anche spossessare?

Angelo – E come no? Anche questa legge possono mettere domani. Scusi. Qua c’è un pezzo di terra. Se lei la sta a guardare senza farci nulla, che le produce la terra? Nulla, Come una donna. Non le fa figli.

Bene. Vengo io, in questo suo pezzo di terra: la zappo; la concimo; ci faccio un buco; vi butto il seme: spunta l’albero. A chi l’ha dato quest’albero la terra? A me!

Viene lei, e mi dice di no, che è suo. Perchè suo? Perché è sua la terra? Ma la terra, caro zio Simone, sa forse a chi appartiene? Dà il frutto…”

No, fermo, fermo, fermiamoci.

Eugenio – Chi fu?

Angelo – Non lo so Eugenio, ma mi pare una cosa stantia, mi puzza di muffa, di passato, di giàvisto.

Eugenio – Ma cosa la commedia?

Angelo – No, io, la mia recitazione. Non mi sento a mio agio, mi sento impacciato, con tutte queste battute dette come se facessi una lezione di filosofia…ho bisogno di vita! (pausa)

Eugenio, questo personaggio è favoloso. Guarda: è un donnaiolo campestre; è analfabeta ignorante, ma con l’animo di un poeta; è ebbro di  libertà; dovrà lavorare sotto padrone, ma volontariamente, senza esserne costretto. Mi spiego?

Eugenio – Un pochino…

Angelo – Poi deve amare la vita e il canto…

Rosina - … ma deve sapere anche lavorare e rapportarsi coi compagni…

Angelo … morti buttana: na pipita nta lingua…

Rosina - …dovrà essere giovane…

Angelo - … e non vecchia  ciaula…( a Eugenio) dicevo: ed è pieno di vita. E gli piacciono le donne e lui piace a loro… alle vere donne (guardando Rosina sarcasticamente) Poi il nome stesso ne indica la specie: uomo libero come il vento, un Dionisio siculo che conosce solamente la legge umana, al di fuori della morale corrente… come quella di certe persone di mia conoscenza (accenna a Rosina).

Rosina – … un pervertito…

Eugenio – …un uomo impossibile…

Angelo - ... un’utopia d’uomo.

Eugenio – e allora che facciamo?

Angelo – Che facciamo? Io questo pezzo me lo ballo!

Eugenio – Come, come…te lo balli?

Rosina – Scanzatini, se lo balla…(beffarda)

Angelo – Sissignore, me lo ballo. Dopo questa tirata, non viene un canto? bene, vuol dire che prima verrà il ballo.

Questa parte la dirò ballando attorno a te… magari a mo’ di sfottò, la canticchierò, quando è il caso. Farò il fauno con lo zufolo…

Rosina - … finalmente farai il becco!

Angelo – Eugenio portala via sennò la strozzo, seduto stante, qui sul posto, in questo preciso momento, davanti a tutti.

Eugenio – Rosinedda, facci lavorare…

Rosina – Lo faccio sempre per te Giniuzzo. (esce)

Angelo – (sospirando di sollievo) Ah. Allora, stai a vedere e dimmi cosa te ne pare…

Luci a sinistra.

Alfio- Professore, lei ci ha appena detto che il Musco, anche recitando in dialetto siciliano, si faceva comprendere da tutti, con la sua mimica, i suoi gesti. Ma, mi chiedo, nelle scene brillanti, dove le battute sono veloci e frizzanti, gli spettatori di altre regioni italiani, come facevano a comprenderle? Ad afferrarne l’esatto significato? Oppure il lessico?

Prof.- Lei è molto acuto, giovanotto. Si, avevano qualche difficoltà, ma questa veniva ampiamente superata dalla sorprendente mimica dell’attore. Infine anche se non capivano le parole esatte, ne afferravano sicuramente il significato; in fin dei conti, sul palcoscenico non si faceva filosofia, ma commedia, la Commedia dell’Arte. Un esempio? Prendiamo la commedia: “Annata ricca, massaru cuntentu”, egli, di ciò, ne dette un clamoroso saggio…

Luci a destra.

Angelo – …Massaru Michelangilu, fidatevi di mia.

Eugenio- Si, di vui, accussì ci arriccumannu a pecora o lupu…

Angelo – Bedda matri, certi voti siti mpossibili… a mia sti cosi?

Eugenio- Canuscinnuvi… Allura, sintiti Mastru Filippu, appena ca Marianu esci do fienili, vui cantati: “A baddottula esci in chianu”. Iu, ca dormu cu nocchiu sulu, appena ca vi sentu cantari, nesciu subbutu fora e l’acchiappu. Chiaru?

Angelo – Chiaru comu sta nuttata di luna. Sissignori, appena nesci, iu cantu: “A baddottola eccetere eccetera.

Eugenio- No eccetere eccetera, ma: nesci in chianu. Mi spiegai?

Angelo – Eh, s’è pi chissu… E, sintiti massaru Michelangilu, ma picchì a t’acchiappari a Marianu?

Eugenio- Affari miei...

Angelo – (sottovoce)… e di vostra muggheri…

Eugenio – Chi diciti?

Angelo – Cu iu? Nenti, nenti, anzi si. Massaru Michelangilu, cca all’apertu, di notti u sapiti - fa friddu, vui capiti, nevvero?

Eugenio – U sacciu, e pi chistu vi purtai stu carateddu di vinu, di chiddu bonu. To’ pigghiati, ma nun v’ambriacati.(posa il barilotto ai piedi di Angelo)

Angelo – Ma chi diciti…bedda matri sunu tri misi ca nun m’ambriacu...

Eugenio – …sunu sulu tri uri, mastru Filippu. Allura m’arraccumannu, iu vaiu a dormiri.

Angelo – Santa notti.  (poi adocchia il barilotto di vino e lo ammira come se fosse una gran bella donna da concupire. Eugenio esce dal cono di luce. Angelo, rimasto solo, con effetti di chiaro di luna, inizia il corteggiamento del barilotto: gli gira attorno; lo stuzzica con le mosse del viso, poi del corpo; si abbassa, per poi rapidamente alzarsi; gli manda baci con la mano, infine, quasi gli chiedesse scusa, lo prende con tutte e due le mani, e lo alza al cielo, come per offrirlo agli dei; poi facendo girotondo, pian piano l’accosta al viso, poi al petto: e lo fa come se abbracciasse la bella donna. Infine, quando ha ritenuto che il rituale del corteggiamento sia finito, apre con estrema delicatezza il barilotto, e beve un sorso di vino, fa per posarlo, ma ci ripensa e ne beve un altro sorso più lungo, poi un altro ancora, infine rompe gli indugi e beve a garganelle. Quindi, ritappandolo delicatamente, con cura, si stende nel supposto giaciglio, ponendosi al suo fianco il barilotto, avendo cura che stia comodo, che non si prenda d’umidità, e che si accucci a fianco a lui, teneramente. Dopo un poco, come se dormisse e sognasse, tocca il barilotto per assicurarsi che c’è ancora, e rassicurato, finalmente prende sonno. Musica adatta).

Fine effetti, ma resta il cono di luce, nel quale entra Eugenio.

Angelo – (alzandosi) Che te ne pare?

Eugenio – Bello, bello, se non fosse…

Angelo – Se non fosse?

Eugenio – Se non fosse che, come al solito hai cambiato le battute.

Angelo – Ihh, quanto sei pignolo.

Eugenio- Il fatto è chi ci vado di mezzo io…

Angelo – E perché?

Eugenio- Perché Nino me lo ha raccomandato: Eugenio – mi disse – non fargli fare cazzate. Ti ritengo responsabile.

Angelo- Sciocchezze. Tu non dargli retta. Ah, sti benedetti autori come sono suscettibili.

Allora ti è piaciuta la scena?

Eugenio – Tanto, Angilinu, tantissimo… 

 Luci a sinistra.

Prof. – E adesso entriamo.-

Giov.- Subito?

Prof.- Perché, ci sono problemi?

Giov.- No, no… volevamo fare un break, col suo permesso.

Prof.- Giusto, facciamolo. Ci vediamo fra un quarto d’ora, di nuovo qua.

Giov.- Grazie a nome di tutti.

Prof.- Dovere…(esce)

Alfio – Ragazzi noi andiamo a farci un panino, ci vediamo dopo. (esce)

Giov.- Andate, andate, vi raggiungiamo poi.

Giovanni prende per una mano Marinella e la conduce in un luogo appartato del palcoscenico)

Giov.- ...Marinella, finiamola! io voglio bene soltanto a te! Le altre non mi interessano. Perdiana, lo vuoi capire che ti amo?-

Mari.- Dimostramelo!-

Giov.- Come? Vuoi che mi tagli le vene sotto i tuoi occhi?-

Mari.- Magari! Provaci, sù...-

Giov.- Non essere ridicola! Accidenti! Come posso? Avanti, vuoi che mi spari alla tempia? Oppure che prenda il tetano con questo chiodo arrugginito? (si china e raccoglie un chiodo)

Mari.- Fermo! Ti credo! Però, bada, se ci riprovi a guardare le altre ...-

Giov.- Giuro! Mai più! Dai Marinella, ora facciamo pace con un bacio.-

Mari.- ( lo bacia sulla guancia)

Giov.- Non così, ma così (tenta di baciarla sulla bocca)

Mari.- No, fermo.

Giov.- Cosa ti succede?

Mari – Io… non lo so…forse ho paura.

Giov.- Hai paura di me?

Mari – No, ma cosa dici? Non di te, no, no. Forse ho paura d’amare.

Giov.- Ti fa paura l’amore? Oppure io, mio amore?

Mari – No. Non ho paura di te – so che sei buono – ma…ma dell’amore: amore…capisci?

Giov.- (ciondolando il capo) Capisco…e ti comprendo…perché, in fondo, anch’io…

Mari – Anche tu?

Giov.- Si. (timidamente) Mai…

Mari – Giovanni, Giovanni mio, adesso so perché ti voglio tanto bene. Lo sentivo che eri solo mio.

Giov.- E tu sola mia. (l’attira a se) Ti amo tanto che quando ti stringo a me, sento…sento…la scossa!

Mari – Ed io i campanellini che mi frullano in testa e mi annebbiano la vista...

Giov. – …e canti angelici in sottofondo…

Mari – …con profumi di fiori di campo…

Giov.- …che salgono fino al cervello e lo incantano…(intanto si inginocchiano l’uno di fronte all’altro)

Mari - … e luci! Luci splendenti, luci abbaglianti, luci paradisiache… (come se si toccassero)

Giov.- … e una vampa di sole sul viso…

Mari - … e la mia anima si smarrisce…

Giov.- … col mio corpo che freme… (come se la stendesse per terra)

Mari - … io sono una corolla di fiore… (come se lo attirasse a se)

Giov.- …che si schiude

Mari -… che ti chiama

Giov.-… che ti brama

Mari- … Oddio, ti sento!  

Giov.-… Ed io ti cerco…

Mari - …e mi trovi.

Giov.-…dentro di te.

Mari - …ci sei tu mio amore.

Giov.-…e la mia anima...

Mari-… e l’anima vola.

Giov.-…Universi infiniti mi frullano il cuore…

Mari -…Eternità e corpi atavici mi serrano l’anima.

Giov.-…la vita scorre dai miei pensieri…

Mari -…e l’accolgo, con gratitudine, in me – la tua vita!

Buio

Quando riprende la luce ci sono in scena tutti i ragazzi, che chiacchierano tra di loro; quindi, arriva il professore e riprendono il giro. Però, questa volta, entrando a destra, non ne usciranno più.

Prof.- Che ne dite, riprendiamo il giro?

Alfio – Come vuole professore…però Giovanni e Marinella non ci sono ancora…

Prof.- Saranno al bar.

Alfio – O si saranno imboscati…

Prof.- Non sia pettegolo! Ci raggiungeranno. Andiamo. (escono da destra)

Alfio – Professore, non ci ha ancora detto quando è morto Musco.

Prof.- Mi meraviglio di lei, per questa ingenua domanda. Sappi che i grandi uomini non muoiono mai! Ed egli fu un grande uomo, un grande della scena, dello spettacolo, della comicità. Come può morire una personalità simile? No, questi uomini grandi vivono in eterno, nei nostri cuori e nei nostri cervelli, nella nostra cultura e, se permettete, in noi stessi, che stiamo facendo questo percorso artistico-culturale a scopo didattico, si, ma anche a scopo rievocativo e di espiazione. Si, proprio così, d’espiazione - per la grande ingiustizia perpetrata da chi doveva e non lo ha ricordato adeguatamente, dignitosamente, direi amorevolmente - il più grande artista della nostra città.

Che gli si renda, finalmente, onore e giustizia! E noi, oggi, molto modestamente, stiamo facendo proprio questo; e stiamo anche dando voce a chi è stato troppo spesso dimenticato.

E, mi creda, quando morì fisicamente, o come morì, importa assai poco…

Alfio – Professore, io non sono un poeta o un drammaturgo, che scrivono quello che gli detta il loro cuore e la loro arte, ma sono solamente un aspirante giornalista, e per un giornalista - mi è stato insegnato – per i fatti che tratta, è indispensabile attingere da notizie certe…mi scusi, sa, per quell’articolo che già le dissi.

Prof.- Capisco, capisco. E lei scriva soltanto che Angelo Musco non è morto mai. I suoi lettori capiranno. (escono)

Entrano, trafelati, Giovanni e Marinella e cercano i loro compagni, poi si avvicinano alla destra del palcoscenico, nella zona dei personaggi evocati. Sotto l’arco bussano.

Giov.-  Abbiamo fatto tardi, hanno ripreso il giro. Affrettiamoci.

Mari -  Ma dove andiamo, a sinistra o a destra?

Giov.- A destra, a sinistra ci siamo già stati. (bussano sotto l’arco)

Voce - E' aperto.-

Giov.- Possiamo?- ( spinge l'uscio ipotetico e si sporge timidamente verso l'interno).-

Voce - Avanti.-

Giov.- Permesso? ( intanto passa l’arco seguito da Marinella) Scusate, siamo del gruppo del professore Bellassai…

Luce dei personaggi rievocati sui due ragazzi. Entra Angelo.

Giov.- Buongiorno ancora.

Angelo – Entrate, entrate, accomodatevi.

Mari. – Scusi, signore, cerchiamo i nostri compagni, li ha visti?

Angelo – Sono là, col loro professore.

Giov.- Allora, col suo permesso, li raggiungiamo…signor…signor

Angelo -( cerimonioso, facendo un leggero inchino)  Permette? Angelo Musco, artista.

Giov.- (impietrito) Come ha detto?

Angelo – Ho detto: Angelo Musco.

Giov.- Musco… Musco?                                

Angelo – Musco Musco, in carne e ossa.

Mari – Ci sta prendendo in giro, per caso? Angelo Musco è morto!       

Angelo – Davvero? (malizioso)

Giov.- (guardando Marinella) A me sembra proprio lui. E’ spiccicato come nelle foto.

Mari – Ma sii serio, come può essere. Sarà un sosia, per fare richiamo a questa villa, per motivi turistici…

Angelo – Ah, le donne, le donne (minacciandola bonariamente con la mano)…Gentile signorina, lei vuole offendermi e offendere l’Arte…un sosia, ma guarda che cose.

Giov.- Marinella, a me sembra…

Mari – Ma Giovanni…

Angelo – (tra se) Marinella? Giovanni? (poi a Giovanni) Scusi giovanotto, lei si chiama Giovanni?

Giov.- Esatto.

Angelo – E mi scusi ancora: Giovanni, come?

Giov.- Giovanni Grasso, signore.

Angelo – Giovanni Grasso? Giovanni sei tu? E tu Marinella? Mamma mia, Madonna Santissima, Sant’Aitina bedda. ( balla sulla scena) Non posso crederci: siete arrivati! (li abbraccia li bacia sulle guance, varie volte) I miei più cari amici…mancavate solo voi…Il miracolo, il miracolo si è compiuto. (gridando) Rosinedda, Eugenio, venite, venite, guardate chi c’è.

Entrano Rosina ed Eugenio.

Angelo – Guardate: Giovanni e Marinella sono di nuovo con noi.

Rosina – Giovanni! Marinella! Che gioia!

Eugenio – Marunnuzza bedda! (se li abbraccia e li bacia).

Rosina – Finalmente siete arrivati. Grazie Gesù (idem, Giovanni e Marinella sono esterrefatti, imbarazzati e si lascio coccolare senza capire veramente il perchè).

Eugenio- Vi abbiamo aspettato per tanto tempo…

Angelo - … e ora sono di nuovo con noi! Picciotti, che grande giorno! Andiamo di là, diciamolo anche agli altri. Facciamo festa!

Eugenio – (saltellando di gioia) Turi, Turi, sono arrivati, Giovanni e Marinella sono qua…sono qua…sono qua (quasi piangendo dalla gioia, se li accarezza).

A soggetto continueranno a fargli festa, mentre Giovanni e Marinella, prima sbalorditi, increduli, ma dopo, quasi come se si arrendessero al trascendente, si uniranno alla loro gioia. Intanto le luci gradatamente di attenueranno fino al buio completo.

Musica adatta.

Fine.