Pezzenti in paradiso

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PEZZENTI IN PARADISO

Commedia in tre atti e quattro quadri

di M. MARTENS E ANDRÉ OBEY

VERSIONE DI CESARE VICO LODOVICI


PERSONAGGI

BULE, grasso pizzicagnolo fiammingo

RITGE, suo compare

FLAVIA, sua moglie

GHELEKE, sua figlia

CLEMENZA (MENZA), amica di Ritge

GIÀCCHE, figlio di Ritge

L'ASINO

LA GUARDIA CAMPESTRE  - IL SAGRESTANO

IL NEGRETTO - IL BARMAN

IL DUCA D'ALBA

BÀLTI, padre di Bule

TRE DEMONI  - IL BANDITORE

SAN MICHELE  - SAN NICOLA

SAN NICODEMO  - SAN PIETRO

LA VER­GINE MARIA -  MARIUCCIA

LA MADRINA - MENTI, il falegname

WIES, barbiere - UN BAMBINO

NOTA: 127 personaggi si riducono a 19 coi seguenti raddoppi: Il Sagrestano (Un Barman -Un Demonio); l'Asino (San Michele - Baiti); Giacche (il Banditore); San Pietro (un Demonio); Menti (un Demonio); il Negretto (Wies).

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 (Appare il quartetto dei cantastorie. Fanno l'atto di camminare, segnando il passo, e cantano. Poi si fer­mano e posano i loro sacchi. Si apre il sipario e appare la taverna di Bule).

Bule                              - Flavia, se capitano altri clienti, servi tu, dico; tu, dico, e Gheleke.

Flavia                            - Pensi di uscire?

Bule                              - Sì. Con Ritge Eans.

Flavia                            - (sogghigna) Ah!

Bule                              - Andiamo a portare giocattoli e caramelle.

Flavia                            - (sorniona) Ecco: giocattoli e caramelle. Già.

Bule                              - Per i ragazzini.

Flavia                            - (c. s.) Già. Per i ragazzini.

Bule                              - E che è, una novità? Oggi, festa di San Nicola. I ragazzini ci aspettano. Ohe, Gheleke?

Gheleke                         - (entra) Papà?

Bule                              - Prendimi un... no, due metri di salsiccia, da mangiare nel giro.

Gheleke                         - Sì, papà.

Flavia                            - Avete in testa di mettervi ancora a fare i matti, Bitge e tu?

Bule                              - I santi, non i matti. Bitge fa San Nicola.

 Flavia                           - Ecco. E tu, San Mcodemo, il negro.

Bule                              - San Nicodemo.

Flavia                            - E non hai vergogna, non hai? Bule Ferbuik, il proprietario della «Vacca grassa », che si sporca la faccia di nero per andare in giro con Bitge Bans, il più sfaticato bighellone del paese.

Bule                              - Che dici, tu? Bitge è un gran brav'uomo.

Flavia                            - (ironica) Ah, sì?

Bule                              - Il più brav'uomo del paese.

Flavia                            - Sul serio? (Ride) Ahahah!

Bule                              - (pugno sulla tavola) Giuraddio, taci, Flavia, moglie: o ti taglio a pezzi. (Compare il quar­tetto dei cantastorie. Bule e Flavia si irrigidiscono immobili. Il quartetto presenta, cantando, Bule, Flavia e Gheleke. I cantori spariscono. Gli attori riprendono i movimenti) Non mi va giù di sentir parlar male di Kitge. Un amico da quarant'anni; nati lo stesso giorno, insieme.

Flavia                            - (ride) Mica nello stesso letto!

Bule                              - E io gli sono affezionato tale e quale un fratello gemello. Sì. E noi due si va d'accordo dalla prima succhiata di latte.

Flavia                            - E ce n'è state tante, dopo quella prima. E non proprio di latte, a mia idea.

Bule                              - L'uomo più geniale di tutta la contrada di Fiandra. E io, il più grande e grosso. Siamo - capisci, Flavia - la gloria del borgo. Senza noi, come farebbe, il borgo?

Flavia                            - Il borgo?

Bule                              - Sicuro, ragazza.

Flavia                            - Andrebbe molto meglio. Meno paro­lacce, per cominciare. E meno bestemmie. I santi, vogliono fare! Uh, che ridere! Non avete più timor di Dio, due cani d'eretici! Non vi accostate in chiesa che quando vi sentite male.

Bule                              - E si guarisce. (Si versa un gotto di birra) Pronti - e che Dio mi benedica. (Beve tutto d'un fiato) E mi benedice, positivo. Perché tengo in onore i santi del suo Paradiso.

Flavia                            - In onore! Mi fa male a pensarci. Tu ritornerai sborniato.

Bule                              - Questa volta no. Giuro. Ma se torno a barile pieno, sarà per aver troppo bevuto alla salute del gran Santo Nicola.

Flavia                            - Che uomo! (Rientra Gheleke con le sal­sicce).

Gheleke                         - Ecco, papà. (Oli dà le salsicce).

Bule                              - Ah! (Morde la punta di una salsiccia) E adesso mi fai un salto da Ghedghebar il birraio, a prendermi i paramenti.

Gheleke                         - Sì papà. (Via di corsa).

Bule                              - Ehi! Non ti scordare la mitria, il pasto­rale e l'anello. Mi raccomando l'anello!

Gheleke                         - Sì, papà. (Esce. Contemporaneamente si sente un forte stridore di freni).

Bule                              - All'anima di queste automobili. (A Flavia) Un altro che per poco non si fracassava contro il muro. Vanno come matti. (Va a guardare sulla porta) Uno su dieci piglia male la curva. (Toma in scena) Ieri il sagrestano per un'unghia non è andato sotto. Ma è così segaligno che passa dappertutto. Un giorno o l'altro... (va verso la sua camera) avremo davanti a casa della marmellata di cristiano, Flavia... te lo dico io. (Entra in camera sua).

Flavia                            - Eh, può anche darsi. (Entra il sagre­stano. Appare il quartetto dei cantastorie. Flavia e il sagrestano si irrigidiscono. Il quartetto presenta il sagrestano. Il quartetto scompare. Gli attori si animano).

Il Sagrestano                 - Buona sera, Flavia, buona sera.

Flavia                            - Buona sera, sagrestano.

Il Sagrestano                 - Favorite - già - un bicchie­rino digestivo.

Flavia                            - Non funziona lo stomaco?

Il Sagrestano                 - No. Da quando è morta mia moglie è una disdetta.

Flavia                            - Oh, povero sagrestano!

Il Sagrestano                 - Con quel che mi è costata, già, quella buonanima. Trasporto, messe, banchetto funebre per la famiglia e vicinato, falegname, bec­chino, curato...

Flavia                            - Il sagrestano, però, no.

Il Sagrestano                 - Anche quello. Ho dovuto met­tere uno al mio posto, quel giorno. Quante spese! Un disastro. Migliaia di franchi. E, prima di morire, quanto mi è stata malata!

Flavia                            - Poverina!

Il Sagrestano                 - Malata - già - tutta la vita. La sua e la mia. E così, il dottore, lo speziale, le diavolerie...

Flavia                            - Ma lei un po' di soldi ce li aveva, sagre­stano.

Il Sagrestano                 - Uh!... Eh, già... Ma se li è anche mangiati con la malattia.

Flavia                            - Mica tutti!

Il Sagrestano                 - Bah... Quel po' che è rimasto se l'è preso l'esattore. (Entra Bule).

Bule                              - Oh, sagrestano...

Il Sagrestano                 - Buona sera, Bule. Si esce?

Bule                              - Sì. Bule ora esce. Ma quello che tornerà sarà certo un Bule più sant'uomo di voi, del curato, e di tutte le beghine della parrocchia messi insieme. (Esce con un paniere).

Il Sagrestano                 - Che ha voluto dire?

Flavia                            - Esce anche questa volta con Ritge Hans per la festa di San Nicola.

Il Sagrestano                 - E voi glielo lasciate fare?

Flavia                            - Quando Bule Ferbuik s'è messo in testa una cosa... .

Il Sagrestano                 - Già, già. (Pausa) Quel Ritge Eans. Dove li trova ancora, quello là, i soldi da spendere, io non lo so. Suo padre era un ricco bir­raio, lui, e Ritge suo figlio unico. Ce n'è voluti, quat­trini, a tirare su il ragazzo! E studi e compagnia bella. All'Università. Sa anche fare i versi.

Flavia                            - I versi?

Il Sagrestano                 - Poesie, voglio dire.1 Aveva tutto con sé, quel Ritge, per campare da signore. Ma l'hanno rovinato le gonnelle.

Flavia                            - Eh, sì.

Il Sagrestano                 - Ed eccolo lì, adesso, a batter gli alberghi con Manse Lappers, la più brutta del paese. (Sospira) Ah! Bule sì che ha avuto fortuna!

Flavia                            - Fortuna come, sagrestano?

Il Sagrestano                 - lo no, che fortuna non ne ho avuto. Eppure un sagrestano è un uomo come tutti gli altri. Il sangue nelle vene anch'io ce l'ho: la chiesa, lì, non ci può far niente. Eh, Flavia, già, ce l'ho avuto un magone qui, la sera che vi siete sposata. Un fiore, eravate - e siete ancora - eh, già. E io con la moglie brutta, malata, e che mi costava un occhio.

Flavia                            - Avete voglia di ridere, eh, sagrestano, adesso ?

Il Sagrestano                 - Sì. Fresca come una rosa: allegra e lavoratora. I soldi, qui, si sa chi li ha fatti: voi. Non mica Bule, mangiafuoco, spugna, fannullone. Quello non invecchierà le ossa, vedrete; creperà per troppa salute. Lo stesso che il suo vecchio padre, Baiti: pesava un quintale e mezzo, ma a quarant'anni era già un paracqua. E Bule? È già più di là che di qua... Sentite, Flavia, se dovesse capitare la disgrazia...

Flavia                            - 0 sagrestano, ma le dite un po' grosse, non vi pare?

Il Sagrestano                 - Sì. Già. Scusate. Noi. sagrestani, c'è tanto l'abitudine di star in mezzo alle sepolture, che a prendere ogni tanto un vivo per un morto, è un momento. Già, per Bule forse è un po' anticipato. Scusate, Flavia. Ehm. Già pagato, vero?

Flavia                            - Ancora no, sagrestano.

Il Sagrestano                 - Ah... (Paga) Prego, Flavia.

Flavia                            - Grazie.

Il Sagrestano                 - Arrivederci, Flavia. Arrivederci. (Si avvicina alla porta. Entra Bule).

Bule                              - (imitandolo) Arrivederci, sagrestano, arrivederci.

Il Sagrestano                 - (confuso) Ehm... Buona sera a tutti. (Esce alla svelta).

Bule                              - Ah, buona sera, acciuga! Che cosa vuole, quello fi? «Arrivederci, Flavia, arrivederci...». Eh già, gli è morta la moglie, ci ha il prurito e vorrebbe .farsi grattare da te, eh?

Flavia                            - (indignata) Eh?

Bule                              - Si fa per ridere, Flavia: io ho fiducia in te. Ritge non è arrivato?

Flavia                            - Vuoi proprio andare in giro con lui?

Bule                              - Eh, non vedi? (Mostra i panieri) Perché vuoi fare sempre la sofistica, tu? Flavia, lo sai, se io faccio il San Nicodemo, sarà magari per un po' di vacanza...

Flavia                            - Un pochino... già.

Bule                              - Appena appena. Ma è quasi un impegno con la nostra Mariuccia... che è morta il giorno di San Meo demo.

Flavia                            - (come fra sé) La nostra Mariuccia?

Bule                              - Sì. La vedo ancora nel suo lettino con la gran bambola di San Nicola. « Papà - mi diceva - darai la mia bambola... darai la mia bambola a... ». (Piange).

Flavia                            - Sta zitto, Bule, sta zitto. (Fra sé) Ma­riuccia, angelo mio! Va, va Bule. Ho capito. Va a fare il San Nicola ai bambini: va, Bule.

Bule                              - Tu sei una gran brava moglie. (Le dà un bacio. Breve pausa) E non aver paura, Flavia, che questa volta... (Posa i panieri dietro al banco. Comincia a tingersi la faccia di nero. Pausa) Guarda un po' se...

Flavia                            - (si volta e lo vede) Vergine santa!

Bule                              - Che ti prende?

Flavia                            - Gesù! Senza dir niente mi comparisci davanti come Lucifero... Mi vuoi proprio veder morta?

Bule                              - Morta? La mia Flavia? Morta l'ultima brava moglie del mondo? Quando tutto il mondo dovrebbe mettersi a lutto perché brave mogli non se ne trova più una; e l'ultima è toccata a me.

Flavia                            - Ehm, ohm. (È un po' impacciata).

Bule                              - Grazie a voi, Flavia Ferbuik, ho una casa mia, bottega piena di carne e borsa piena di soldi. Senza contare Gheleke, un bel tocchetto di bambina, impastata personalmente da voi. Una gran brava moglie, sì, Flavia. E se il borgomastro creperà, avrete molta probabilità di diventare borgomastressa.

Flavia                            - Perché? Diventerete voi borgomastro?

Bule                              - Mah! mah!... E Gheleke, la mia figliola, borgomastresina. Allora i pretendenti fioccherebbero come mosche allo zucchero.

Flavia                            - Fa' piuttosto di tenerla d'occhio Ghe­leke: - sai - mi sa che Giacche Rans, il figliuolo di Kitge, le sta dietro.

Bule                              - Eh!

Flavia                            - Non mi va molto quel ragazzo: è suo padre nato e sputato.

Bule                              - Eccolo qua, suo padre. (Entrano Bitge e Menza dal fondo. Riappare il quartetto dei cantastorie. Gli attori si irrigidiscono. Presentazione di Bitge e di Menza. Il quartetto scompare. Gli attori si rianimano).

Ritge                             - Ah!

Menza                           - Oh, questa neve! (Se la scuote di dosso).

Ritge                             - Troppo bianca per noi poveri peccatori. E noi, a pigliarcela tutta come due spaventapasseri. Buona sera, signora Ferbuik. Pure il moretto ci abbiamo ?

Menza                           - Ma... ma è Bule! Guarda che faccia feroce. Mi fa paura.

Ritge                             - Bravo Bule! Menza che ha paura... di un uomo. Mai visto. Tu hai fatto un miracolo, gran San Nicodemo. Ne potresti fare un altro?

Bule                              - Dite pure, figliolo. Ascolterò la vostra preghiera, figliolo.

Bitge                             - San Nicodemo, vi prego, fate di Menza una vergine pura.

Bule                              - Vergine? Giuraddio! Faccio più presto a trasformarmi in piroscafo. Menza vergine... (Bidè) Ma il Nostro Signore in persona non ci si proverebbe neanche.

 Menza                          - Brutta faccia di frittata! Salsiccione!... A me questi affronti?

Ritge                             - Menza, non ti arrabbiare: la vita è breve. Oh, che cosa offriamo alla tortorella? Un cocktail?

Menza                           - Che roba è? Meglio un grappino.

Ritge                             - Due grappe, Flavia.

Flavia                            - Bene. (Esce).

Ritge                             - (a Bule) I vestiti ci sono?

Bule                              - Vengono. Ho mandato Gheleke. Ma la salsiccia è pronta. Due metri. E tu?

Ritge                             - Io il ginepro. Due bottiglie.

Bule                              - Questo va bene. E l'asino? San Nicola senz'asino non va.

Ritge                             - Si capisce. Giacche lo porterà qui. (Bien-tra Flavia, riempie due bicchieri).

Menza                           - (buttando giù il suo tutto d'un fiato) Sanctus!

Ritge                             - In onore di Nicola e Nicodemo. (Vuota d'un sorso) Vedi, caro Bule, noi non onoriamo mai abbastanza questi due grandi santi. Un asino pidoc­chioso, eh? Bella cavalcatura!

Bule                              - E poi, per due.

Ritge                             - E già. Povera bestia. Quando si dovreb­bero montare superbi cavalli tutti bardati d'oro. Dietro dietro, nell'alta montura del Paradiso, servi e servitori carichi di panieri a buttar giocattoli e dolci a manate. E, davanti, una banda di angeli musicanti...

Menza                           - (scoppia a ridere).

Ritge                             - Che ha da ridere quella lì?

Menza                           - Non so. (Bidè di nuovo).

Ritge                             - (a Bule) Guardala lì! « Il riso della donna è un riflesso del cielo » ha detto non ricordo chi.

Bule                              - Quello non aveva visto Menza. A buon conto, se c'entra lei in cielo io me la batto per la porta di servizio. Veder quella bigoncia lì per omnia saecula saeculorum? Ma all'inferno subito, piuttosto.

Ritge                             - Tanto più che non vi si sta mica male, caro il mio mortadella. Lo abbiamo già visto l'in­ferno, noi due.

Flavia                            - Quando eravate sborniati cotti, è sicuro.

Ritge                             - No, madama Ferbuik: no. L'abbiamo visto la notte di Valpurgis. A teatro. Lucifero sul suo trono... e tutt'intorno dei pezzi di donne: le più belle donne del mondo.

Flavia                            - (a Bule) Non me lo avevi mai detto.

Bule                              - Ma tu non c'eri ancora, Flavia, brava moglie. Ero ancora un giovanotto.

Menza                           - È stato giovane anche lui, quel barile lì?

Bule                              - Come tu sei stata vergine.

Ritge                             - (prosegue) Sì, sì. Tutte quelle belle donne. Perché le più belle sono all'inferno, non si scappa. Me le rivedo ancora.

Bule                              - E ballavano.

Ritge                             - Sì. Con una Bmanicatura da tentare l'Arcangelo in persona. Quando il nostro Bule si è trovato a quello spettacolo, s'è messo a sbavare come un moccioso che granisce i denti...

Bule                              - E tu no, eh? Tu non sbavavi?

Ritge                             - Anch'io. Ma con maniera. E la musica, Bule!

Bule                              - Un perù.

Ritge                             - Divina, anche se all'inferno. Come faceva più?... Aspetta... (Cerea di ricordarsi il motivo; anche Bule. I due cantano scandendo il ritmo sulla tavola) Sotto! Sotto! Entrate, Menza, Clemenza, nel bal­letto di Lucifero! (Danza di Menza. Entra Gheleke).

Flavia                            - (si avvia ad uscire) Che matti! Oh, Signore! Che matti! (Esce).

Gheleke                         - Oh, papà! Siete già tutto nero!

Bule                              - Ecco i vestiti.

Ritge                             - Porca miseria! La mia barba da santo! Mi sono scordato la mia barba da San Nicola. (A Menza) Cocca bella, allunga una volta tanto le tue gambette a esse e fa un salto qui dal barbiere.

Menza                           - Non gli si può mai dir di no, a quello lì. (Esce).

Ritge                             - Alla svelta, caro bene.

Bule                              - (a Gheleke) Portaci i vestiti di là - foglietta.

Gheleke                         - Si, papà. (Esce. Dal fondo entra Giacche con l'asino. Flavia esce. I cantastorie appaiono e presentano Giàeche e l'asino. Solito gioco degli attori prima dell'apparizione e dopo la scomparsa dei can­tastorie).

Giacche                         - Ecco la bestia. Ma ho idea che sta­mani s'è levato col didietro alla rovescia: ha la luna.

Ritge                             - Molla la cavezza, figliolo. (All'asino) Sicché, Martin, è proprio vero che hai la luna! (L'asino afferma col capo).

Gheleke                         - (tornando) Oh, Giacche!

Giacche                         - Sì, robettino. (Stretta di mano).

Ritge                             - (guarda l'asino) Guarda il camerata! Che lenza! Guardalo, guardalo: lo chiamano «asino» e ne sa quasi più di tutti noi. (All'asino) Te lo bevi un bicchierotto? (Gli tende il bicchiere, l'asino rifiuta. Dal fondo entra la guardia campestre).

La Guardia                    - Che si combina, qui, con questo asino ?

Ritge                             - (all'asino) E bevi. (L'asino rifiuta) Se bevi questo, ti nomino guardia campestre.

La Guardia                    - Cosa?

Ritge                             - Bevi, caro campestre.

La Guardia                    - Che dici?

Ritge                             - (alla guardia) Lo chiamo guardia cam­pestre, e rifiuta di bere. Tutto differente da te, no?

La Guardia                    - Ah! ricominciamo? Cominciamo a... (Avanza lasciando la porta aperta. L'asino esce alla chetichella).

Bule                              - Ehi là, perdiaccia!

Ritge                             - Giacche, Martin taglia la corda!

Giacche                         - Ah, ruffiano! (Esce di corsa, seguito da Gheleke).

Bule                              - Campestre, tu lasci andar via l'asino di San Nicola. Sarai impiccato.

Ritge                             - Sì, per il naso.

La Guardia                    - Basta, voi due! (Appaiono i can­tastorie. Solito gioco: presentano la guardia) Ordine del borgomastro: Ogni qualsivoglia bestia...

Bule                              - Che borgomastro?

Ritge                             - Che bestia?

La Guardia                    - Basta, dico! Ogni qualsivoglia bestia non deve essere maltrattata. Questa è la legge.

Ritge                             - Che legge?

La Guardia                    - La protettrice degli animali: Legge.

Ritge                             - Ma io gli animali li proteggo: io gli do da bere.

 Bule                             - E io gli darei le salsicce. Dopo di che, campestre, che cosa ti possiamo servire?

La Guardia                    - Niente.

Bule                              - Un momento. Questa è una taverna e ci si viene per consumare.

La Guardia                    - Io entro dappertutto. Dite un po' su, ragazzi, voi - è chiaro - vi scordate che io sono come chi dicesse la testa della polizia.

Ritge                             - La testa?

Bule                              - O il didietro?

La Guardia                    - Bule Ferbuik!

Bule                              - M'insulta! Tu sei testimone: mi chiama « Bule », e io mi chiamo Baldovino, che è un bel nome. Ma io gli renderò pan per focaccia. (Alla guardia) Aringa! Macaco! Cane rognoso! Cadavere! Carcassa di scheletro! Scoiattolo morto di fame! Porco magro! Cotenna senza lardo! Ouff! Sotto, Ritge: ora tocca a te.

Ritge                             - Va bene. Siete pari. (Entra Flavia).

La Guardia                    - Pari? Ve la farò vedere io! Con­travvenzione! (A Sitge) E voi... io..., si vedrà. Ah, ah, ma per Cristoforo, voi siete le due più gran cana­glie di tutto il circondario. Parola mia, signora Ferbuik, mi dan più da fare questi due che tutta la parrocchia. Non può essere a meno, del resto. Bevono contro le stelle.

Flavia                            - Guardia!

Ritge                             - Che, guardia: tu sei poeta. Non lo sapevo. Bere « contro le stelle».

Bule                              - Con quella faccia di luna.

Ritge                             - E quel naso colpo di sole.

Bule                              - Che gli dà fuoco alle mascelle.

La Guardia                    - Oh, basta, alla fine! Che sono, il vostro zimbello, io? Me ne vado, ma vi tengo d'occhio. Guardate di lasciare in pace l'asino, altrimenti, pezzi di scapestrati, vi trovo io.

Bule                              - Mai. Io mi nascondo a ridosso del tuo naso.

La Guardia                    - Vi faccio vedere io, una volta o l'altra. (Esce).

Ritge                             - Come dice il proverbio. Quando un asino ne vede un altro, va tutto di traverso.

Flavia                            - Di traverso ci andate voi due; e quando tornerete a casa stasera, tutti e due sbronzi come due asinacci, andrete più di traverso.

Bule                              - Ma via, Flavia!

Ritge                             - Saremo serii.

Flavia                            - Non ce la fate.

Bule                              - Vedrai...

Flavia                            - Ho già visto.

Ritge                             - Ecco la mia Dulcinea.

Menza                           - (entra portando la barba) Uff! Ho fatto una corsa!!! Sono senza fiato.

Ritge                             - Versale un grappino, Flavia, e avrà più fiato d'una foca.

Bule                              - Su, .su, vestiamoci. I bambini perdono la pazienza. Ehi, Flavia, ci vieni a darmi una mano? L'anno scorso il vestito mi andava già troppo stretto.

Ritge                             - Figuriamoci quest'anno.

Bule                              - Sveglia, Ritge. Ale, Flavia. (Esce con la moglie).

Menza                           - Vuoi che ti aiuti a vestirti?

Ritge                             - Vestirmi - ehilà - e chi si fida? Tutti i pasticci della mia vita sono venuti dal vestirsi e dallo spogliarsi. Ma, volta più, volta meno..., su andiamo. (Esce con Menza. Entra Gheleke canticchiando. Mette ordine sul banco. In punta di piedi entra Giacche. La prende per la vita).

Gheleke                         - Ah!...

Giacche                         - Mi caschi in mano come una pera matura. (La bacia) Ma tu ribalti, mia cara. Non mi dar del naso in terra, capito?

Gheleke                         - O, Giacche, se ci vedesse il mio papà!

Giacche                         - E che è peccato, di darsi un bacio? Tuo padre lo ha fatto in nostra presenza.

Gheleke                         - E l'asino, dov'è?

Giacche                         - Alla porta. L'ho lasciato in consegna ai ragazzi. (La stringe di nuovo fra le braccia) Non te ne dar pensiero. (La bacia) Tua madre ti ha fatto far la confessione?

Gheleke                         - Confessione, di che?

Giacche                         - Di noi due. Immagina qualche cosa. Mi guarda in un certo modo. Di' un po', lo sai che dopodomani devo fare il padrino a un battesimo?

Gheleke                         - Il padrino?

Giacche                         - Sì. Un figlio della figlia del fratello della seconda moglie di mio padre. Lui non vuole farlo. Dice che è troppo vecchio. Allora hanno invi­tato me, e io ho dovuto accettare.

Gheleke                         - Che nome gli mettono?

Giacche                         - Oh - un bel nome, sai - Tyll Giacche Ulienspigel: come l'allegro compare di Fiandra. Voglio che anche questo bimbo sia un giovialone come lui.

Gheleke                         - "Vorrei tanto vederlo una volta.

Giacche                         - Lo vedrai. Dopo il battesimo verrò qui con la balia a fartelo vedere. E mi dirai se ne vuoi uno uguale. Ci sposiamo, e la cosa è fatta.

Gheleke                         - Oh, magari! (Oli salta al collo e lo bacia).

Giacche                         - La mia coniglietta calda calda... Sst. (Entra Bule, travestito da San Nicodemo. Si abbot­tona, Flavia lo segue. Poi entra Bitge travestito da San Nicola, seguito da Menza).

Bule                              - Se i santi del Paradiso non sono più rotondi di me, vuol dire che lassù si muore di fame. Flavia, alla riscossa!

Flavia                            - Eccomi.

Bule                              - Ancora quest'ultimo bottone. Oooh!

Flavia                            - Issa! (Il bottone è a posto).

Bule e Flavia                 - (insieme con sollievo) Ah!

Flavia                            - Ecco San Nicodemo.

Bule                              - E la sua Flavia. (L'abbraccia e bacia).

Flavia                            - (ride) Ah, ribaldo! (Si pulisce la faccia che le è rimasta tinta di nero).

Bule                              - Potrai dire di aver avuto un fior di santo. Non è da tutti.

Menza                           - E a me niente, San Nicola?

Bitge                             - (a braccia aperte) Che per virtù di questo santo bacio, questa carne di peccato diventi pura come quella di un neonato. Alleluia! (La bacia).

Menza                           - L'anello, gran santo! Lasciatemi baciarvi l'anello.

Ritge                             - (le dà l'anello da baciare) Sì, ma non lo mangiate.

 Flavia                           - Su, su, non si scherza così, con i santi. Dio vi castiga.

Bule                              - Positivo. E adesso, andiamo... Gheleke, i panieri.

Gheleke                         - I panieri. Sì, papà.

Bitge                             - E l'asino, Giacche?

Giacche                         - Lì fuori. Lo vado a prendere.

Bule                              - Le bottiglie le hai prese, Ritge?

Bitge                             - Sì, Bule. E tu, le salsicce?

Bule                              - Eccole qui, a panciera.

Giacche                         - (torna con l'asino) Riecco l'asino.

Bule                              - Ohe, basta, adesso. Non si ride più. Tutti in ginocchio. Che il gran Nicola vi benedica in tondo. (Menza s'inginocchia) Su, su, anche tu, Giacche. E anche Gheleke. E anche tu, Flavia. Avanti - e anche l'asino - ehi, Martin! (Cambia tono) Ritge, attenzione alla guardia, vedo il suo brutto grugno.

Ritge                             - Sveglia! Compagno Martin! In ginocchio. (Lo tocca col pastorale).

La Guardia                    - (entrando di colpo) Tu hai picchiato quest'asino: t'ho visto con questi occhi. Contrav­venzione!

Flavia                            - Una contravvenzione per questo! Guardia, non ti vergogni?

Bule                              - Giuradd... (S'interrompe) Oh, far bestem­miare un santo? Guardia, tu sei maledetto!

Ritge                             - Avanti, Nicodemo. Si comincia il nostro giro. Io inforco la mia cavalcatura.

La Guardia                    - Alt! In nome della legge, sequestro l'asino.

Ritge                             - Sei sequestrato, Martin? (Lo guarda) No, ci vuol altro! (Lo volta col posteriore verso la guardia) Fa vedere a questa sagoma che cosa è un sequestro. Fuoco! (Gli dà una pedata nella pancia. L'asino molla un calcio a cippiola. La guardia vacilla e cade. Risata generale).

Ritge                             - Presto, in cammino. (Inforca l'asino che Giacche porta fuori in gran fretta. Bule lo segue).

La Guardia                    - (rimettendosi in piedi) In nome della legge... (Li insegue. Frastuono di fuori, si sente: « Ferma ». « No! ». « Bravo ». « Molla!», ecc. Improv­viso colpo di claxon seguito da un grido. Poi silenzio).

Flavia                            - Vergine santa!

Gheleke                         - Giacche! (Si precipita fuori).

Menza                           - Ehi! (Esce di corsa. Flavia, rimasta sola, s'appoggia al banco. Pausa. Rientra Menza semisve­nuta. Balbetta) Un... un'automobile... schiacciati, tutti e due! (Pausa) Una grappa, o crepo anch'io! (Si serve da sé, al banco).

Gheleke                         - (entra piangendo) Mamma, papà...

Flavia                            - È... è morto?

Gheleke                         - Non so... Giacche è salvo. Li portano qui. (Si apre la porta) Mamma... (Si getta fra le braccia di Flavia. Entra Giacche, portando sulle braccia suo padre. Poi i cantastorie, curvi sotto il peso, portano Bule inerte).

Flavia                            - (disperata) Bule Ferbuik! Bule Ferbuik! (Lentissima cala la tela).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

PRIMO QUADRO

(Il quartetto dei cantastorie compare davanti al sipario calato, canta la triste sorte delle due vittime e scompare. Oscurità. Bule e Bitge, sempre travestiti da santi, entrano dai due lati opposti del proscenio. Si urtano di schiena). .

Bule e Ritge                  - (insieme, spaventati) Uhè! (Indie­treggiano).

Bitge                             - Chi è là?

Bule                              - Eh, beh, un uomo!

Bitge                             - Un uomo, chi?

Bule                              - Non lo so.

Bitge                             - Non sapete chi siete?

Btjle                              - No. Mi sono sperso. Sperso come un bambino abbandonato da padre e madre. E voi?

Bitge                             - Io?

Bule                              - Sì. Chi siete, voi?

Ritge                             - Non lo so. Sono sperso. Anch'io. (Breve pausa).

Bule                              - Epperò è piuttosto buffo, sapete?

Ritge                             - Sì. È curioso. Ho un bel tastarmi...

Bule                              - Già. (Si tasta) Niente. (Cambia tono) Sì. Ecco. Qui. Qualcosa. Che riconosco. Una specie di sciarpa, una cintola. (Grida) Oh, le salsicce! le mie salsicce! Ci siamo! Io sono Bule Ferbuik. (Mangia).

Ritge                             - Bule? Che vedo! (Lo tasta) Sì, sì, è il tuo gran pancione. Allora, io sono Ritge.

Bule                              - Come no? (Si abbracciano).

Ritge                             - Il mio gran bigoncio!

Bule                              - Il mio saltacanali! (Voce lontana) Sta' un po'... (La voce del banditore, di dentro. Breve pausa. Inquieto) Che roba è?

Bitge                             - E chi ne sa niente?

Bule                              - Due anime, dicono. Due anime sperse. (Trema) Mi si ghiaccia il cervello.

Ritge                             - Ma no, andiamo!

Bule                              - Non saremo mica noi, per caso, le due anime?

Ritge                             - Tu, come anima, hai troppa ciccia in­torno. (Bidè).

Bule                              - Siamo scrii, Bitge! (Pausa) Mi sento un po' di spaghetto...

Bitge                             - E perché?

Bule                              - Mah, non saprei... (Di nuovo il banditore, di dentro) E dai, con quelle due anime sempre in ballo. Qui sotto, gatta ci cova.

Bitge                             - Non avremo preso una sbornia da cataletto ?

Bule                              - Tu, ti senti sbronzo?

Bitge                             - Però mi sento in un modo curioso.

Bule                              - Curioso, come?

Ritge                             - Come se non avessi più corpo. Sento, ma non dalle orecchie; vedo, ma...

Bule                              - Ma non dagli occhi. È vero. E queste salsicce (mangia) non hanno gusto al palato.

Bitge                             - Ecco. Proprio come questa grappa  - (beve) più pallida dell'acqua chiara. (Pausa) È grave, Bule, quando non si sente più sapore a bere.

 Bule                             - Né a mangiare... Ritge - vedi un po' ho la tremarella addosso. (Passa un negretto vestito da fattorino di bar). ..

Ritge                             - Sst! Attenzione. Ehi, amico; senti un po': qui, dove siamo?

Il Negketto                   - Beh... Nell'anticamera del grande impero. (Si avvicina a loro) Ohe, due santi! Siete due santi?

Bitge                             - Noi siamo...

Il Negretto                    - Che lusso! Una gran rarità. Due santi: da noi. Bisogna avvertire subito il principale. (Esce di corsa).

Bule                              - (richiamandolo) Ehi? Ah, beh: fila come una zebra! (A Bitge) Il principale, dice. Chi, il principale ?

Ritge                             - Questo, amico, io...

Bule                              - E quel grande impero - il Grande Impero - non sarà un albergo?

Ritge                             - Sì. Oppure, una specie di teatro d'operette.

Bule                              - Sì. Un teatro d'operette. Molto meglio. (Breve pausa) Però, musica non se ne sente. (Accosta l'orecchio al telone) Non si sente niente.

Ritge                             - No: proprio niente. (Breve pausa).

Bule                              - Ritge... ho paura.

Ritge                             - Bule, non mi sento un eroe neanch'io.

Bule                              - Ho paura perché mi ricordo... (Si anima) Ritge, comincio a ricordare, è orribile!

Ritge                             - Che ti succede?

Bule                              - Due santi, ha detto: perché due santi? Cerca, Ritge, cerca.

Ritge                             - (ricordando a un tratto) Oh, perdiaccia! San Nicola!

Bule                              - San Nicola, ecco, il giro, l'asino Martin...

Ritge                             - La guardia campestre, l'auto...

Bule                              - ... mobile.

Tutti e due                    - (con un grido) L'automobile! (Pausa).

Bule                              - Morti, siamo, Bitge. Ecco, che cosa siamo.

Bitge                             - Morti.

Bule                              - Preciso. E il Grande Impero è...

Ritge                             - (di soprassalto) Non lo nominare!

Bule                              - Siamo fritti! (Breve pausa) Pensa un po' a tutto quello che abbiamo commesso in tutta la nostra sporca vita... Siamo fritti! Siamo fregati. Siamo fottuti... (Pausa).

Ritge                             - Fottuti, no. Ho un'idea.

Bule                              - (pieno di speranza) Sul serio!

Ritge                             - Aspetta... (Riflette) Sì; una buona idea. Il negretto è andato ad annunciarci come santi. Due santi all'inferno? Che ci fanno? Bule, che ci sono venuti a fare?

Bule                              - Ma, non so, io.

Bitge                             - Scappati dal Cielo, caro mio... come quella volta Lucifero.

Bule                              - Beh... e con questo?

Ritge                             - Non capisci? La pensano contro il governo di lassù, e Lucifero li accoglie a braccia aperte, come alleati. Fuorusciti.

Bule                              - Bellissimo. E dopo?

Ritge                             - E dopo si vedrà. Per ora, quel che occorre è di non fare il gran tuffo nel fuoco.

Bule                              - Ahi!

Ritge                             - Le fiamme di zolfo.

Bule                              - Ubi!

Ritge                             - Il piombo fuso.

Bule                              - Ubi! Il negretto. (Rientra il negretto).

Bitge                             - Attenzione.

Il Negretto                    - Obè, gran santi! (Saluta) Devo condurvi in palazzo. (Si alza il sipario. Si vede una strana taverna notturna: a dritta un bar americano. A sinistra una taverna fiamminga) Avanti, avanti, bravi signori. Il maggiordomo sta mettendosi in or­dine per ricevervi.

Bule                              - Il maggiordomo?

Il Negretto                    - Sarà qui a minuti. Salute, gran santi! (S'inchina ed esce).

Ritge                             - Bule! Bule! Un bar! Vieni un po' a vedere: un bar americano. Guarda il banco. Almeno cento bottiglie, e come luccicano!

Bule                              - (voltato verso la sala) Io non ho sete. E poi ho... paura. Lo vedi, il fuoco, tu?

Ritge                             - Che fuoco?

Bule                              - ... dell'Inferno!

Ritge                             - Quanto nella mia pipa.

Bule                              - Sei sicuro?

Ritge                             - E guarda!

Bule                              - (si volta) Eppure, l'inferno...

Ritge                             - Bah! Idee! Il curato raccontava tante storie...

Bule                              - Niente fuoco?

Ritge                             - No, ti dico. Muoviti! (Bule obbedisce con prudenza. Bitge si dirige verso destra) Oh! Salute! Come dice il negro: una taverna come da noi.

Bule                              - Da noi?

Ritge                             - Come la tua.

Bule                              - (a mezza voce) Flavia!...

Ritge                             - Non dar nel tenero, adesso. Guaxda: la vedi, quella scansia? Ci gioco che è piena di beve­raggio.

Bule                              - Credi?

Ritge                             - Come no?

Bule                              - Beh, ma, allora, è portentoso! Ritge, amico, siam cascati col didietro nel burro. (Scoppia dal ridere anche Bitge).

Ritge                             - Vieni a bere un cicchetto... americano. (Lo mena al bar e batte sul banco) Cameriere! Came­riere! (Breve pausa).

Bule                              - E l'inferno sarebbe così?

Ritge                             - E perché no?

Bule                              - Credo che mi ci farò di casa. Cameriere! cameriere! (Breve pausa) Non c'è nessuno!

Ritge e Bule                  - (insieme) Cameriere! cameriere! (Senza dir parola, un barman negro, vestito dì bianco, sorge di dietro al banco).

I Due                             - (sussultando) Op-là!

II Barman                     - (contorcendosi come se soffrisse) Beh, non potreste levarvi di tra i piedi? Che cosa volete?

Ritge                             - (timido) Un... grappino.

Bule                              - (timido) Due grappini.

Il Barman                      - Grappino? Mai visto. Siete anche voi due di quei forestieri sporconi.

Ritge                             - Forestieri? Noi?

Il Barman                      - Eh già, di quei bulgari o tedeschi che ci arrivano qui a camionate piene.

Ritge                             - Noi!

Bule                              - Tedeschi!

 Il Barman                     - Va bene. Me ne frego. Ma il vostro grappino, niente di quello. (Tra sé) Ab, Dio buono, oh, là! Là! (Si contorce).

Bule                              - Vi sentite male?

Il Barman                      - Io no. E voi?

Ritge                             - Noi? No.

Bule                              - Perché?

Il Barman                      - Ve ne accorgerete. (Dà un grido. Geme) Oh! Madonna d'Iddio! (Si contorce, poi, secco) Allora due Martini secchi? Due rhum? Due cocktails? Due Manhattan? Presto, che mi prendono i soliti dolori.

Bule                              - Che è? Reumi?

Il Barman                      - (tutto rosso) Reumi? (Un accesso lo abbatte sul banco) Uh! Uhi! Madonna d'Iddio! (Breve pausa) Uff! Passato.

Bule                              - (tremando) Siete verde come un aglio.

Il Barman                      - Vedrete, quando li avrete anche voi.

Ritge                             - Che cosa?

Il Barman                      - I dolori! Vedremo diche colore sarete. (Sospira, poi) Allora, alla svelta: che cosa? due cocktails?

Bule                              - Due... che cosa?

Il Barman                      - (furibondo) Mi prendete in giro, voi due, eh? Io vi rivolgo due cocktails, e taglio la corda. (Afferra lo shaker e si mette ad agitarlo su un ritmo accompagnato da accordi di jazz. Canta la rap­sodia nostalgica della sua giovinezza).

Bule                              - Che fa? È matto?

Ritge                             - Taci! (Il barman canta ancora. Ha « cen­trato » due poliziotti e lo hanno arrostito sulla sedia elettrica, e ora brucia).

Bule                              - (atterrito) Bruciate?

Il Barman                      - (strillando) Brucio! (Ma finito il cocktail, ne riempie due bicchieri) E anche voi bru­cerete: tale e quale.

Bule e Ritge                  - (spaventati) Noi?

Il Barman                      - Voi. Tutti bruciano. (Si contorce di spasimo) Tutti bruciano in questa fucina di tristezza, di dolore e di disperazione.

Bule                              - Tutti bru... Ma il fuoco, dov'è?

Il Barman                      - Pezzo di stupido! Ma dentro, intemo. (Sparisce di colpo hop! dietro il banco. Breve pausa di silenzio pesante).

Bule                              - Che interno?

Ritge                             - E che lo so, io? L'interno della terra, forse.

Bule                              - Come i vulcani?

Ritge                             - Probabile...

Bule                              - E il negro c'è cascato dentro?

Ritge                             - Si sa.

Bule                              - Ma Ritge, Ritge! È spaventoso!

Ritge                             - Beh. Se è così, certo non è divertente. (Breve pausa. Macchinalmente Bitge prende un bic­chiere, beve una sorsata, si sente soffocare e sputa) Sangue di D...! (A Bule che ha preso l'altro bicchiere) Posa quella roba, Bule! (Tossisce).

Bule                              - Che c'è?

Ritge                             - (tossisse) Non bere. Posa il bicchiere.

Bule                              - Ma che c'è, dentro?

Ritge                             - (brucia) Ah! Ah! Ab! Come vetriolo!

Bule                              - Vetriolo? (Posa il bicchiere) Perdiaccia! E mille volte perdiaccia! Che cos'è questo inferno del diavolo? (Picchia sul banco) Negro! Negro! (A Bitge) Gli do io una pedata nel sedere, che lo faccio rispuntare sulla terra. (Picchia un'altra volta) Ehi là, negro! (A Bitge) Vetriolo! A due santi! A due gran santi del Paradiso! (Si mette a camminare in lungo e in largo e urta contro il duca d'Alba che entra da destra. È vestito un po' come un ufficiale tedesco : cara­mella, pettinatissimo, baffetti e controspalline gran­dissime).

Il duca d'Alba               - Signori santi....

Bulb                              - (furibondo) Oh, benone!

Bitge                             - (affrettandosi a mettersi vicino a Bule) Sta in guardia, Bule! (Forte al duca d'Alba) A chi abbiamo l'onore...

Il duca d'Alba               - (s'inchina) Al maggiordomo di questa casa.

Ritge                             - (inchinandosi a sua volta) Onoratissimo.

Bule                              - Maggiordomo o no...

Ritge                             - (piano) Tu vuoi star zitto? (Forte al duca d'Alba) San Nicodemo qui presente...

Il duca d'Alba               - (s'inchina a Bule) I miei omaggi. (A Bitge) San Nicodemo?

Ritge                             - Non può soffrire il cocktail.

Bule                              - (crudo) Io non posso soffrire...

Ritge                             - (piano) L'animaccia tua!

Il duca d'Alba               - Vediamo un po'. (Va al banco, si versa del cocktail, beve, assapora, ingoia) Già: non molto rinomato.

Bule                              - Non molto rinomato?

Il duca d'Alba               - Già: torbido; senza sapore, latte scremato  - (montandosi a poco a poco) siero -per i porci. (Chinandosi di sopra al banco) Barker!... Barker!?... Non risponde. (Quasi furibondo) Barker! Non risponde.

Bule                              - Si è sentito male.

Il duca d'Alba               - Male? Ah!

Ritge                             - I suoi soliti dolori.

Il duca d'Alba               - I « suoi » dolori? Davvero i « suoi » dolori? E va bene. Ora avrà i miei. (Sadico) I miei, dolori, questo negro schifoso, quelli che gli preparerò io. (Soffia tre volte in una strana tromba che porta ad armacollo) Preparatemi la camera verde!... (Suoneria lontana, come d'allarme) Ahahahahà! Il signor Barker! (Salta oltre il banco e scompare).

Bule                              - (disanimato) Ritge!

Ritge                             - (disanimato) Bule mio! (Si stringono l'uno all'altro).

Il duca d'Alba               - (ricomparendo di dietro al banco) Scusate un momento. (Èiscompare. Pausa, silenzio. Poi una musica sotterranea da « camera verde » accom­pagnata da un coro di dannati).

Bule                              - Ritge! Ritge!

Ritge                             - Son qui, Bule mio. (Le lampade si abbas­sano come a Sing-Sing per le esecuzioni con la sedia elettrica).

Bule                              - Oh, Dio! Guarda! Tagliamo la corda!

Ritge                             - Se trovi la porta, io ci sto. (Vanno un po' qua, un po' là per la scena, in penombra. Bumori sotterranei).

, Bule                            - Tutta da rifare. Ah, là là, sì, tutta da rifare.

Ritge                             - Da rifare che cosa, tutta?

 Bule                             - La mia virtù; Ritge. Ah, io farò alla virtù , come tu facevi all'amore.

Ritge                             - Credi?

Bule                              - Ah, se tu sapessi con quanto... (Voce del banditore, lontanissima. Palpito delle lampade. Coro di dannati da sottoterra) Ritge, trova un'idea.

Ritge                             - E dove la trovo, Bule? Dove vuoi che : la trovi?

Bule                              - (a mezza voce) Flavia, oh, Gheleke...

Ritge                             - Vieni a sederti, sì, vieni. (Vanno a sedersi ì a un tavolino alla taverna fiamminga. Penombra. Coro ] dei dannati, in sordina. Bitge a voce bassa) Coraggio, Bule. Sta attento a quel che fai e a quel che dici; e vedrai che tutto andrà bene. Coraggio.

Bule                              - (piano) Già. Il male è che non ne ho, ! del coraggio.

Ritge                             - Neanch'io. (Pausa) Lo sai chi è quel... i maggiordomo?

Bule                              - No... no. E tu?

Ritge                             - L'ho riconosciuto: baffi di ferro, naso di tapiro e grinfie di carnivoro. E il duca d'Alba.

Bule                              - Il duca d'Alba?

Ritge                             - Sì, il duca d'Alba. Il vampiro dei Paesi Bassi. Il vecchio vampiro del sangue di Fiandra. Un fiammingo! No! Uno straniero. Un occupante.

Bule                              - Un occupa... All'animacela sua, un gauleiter. (Egli pronunzia un gauléiter).

Ritge                             - Press'a poco. Trecento anni fa.

Bule                              - (sdegnato) Un gauléiter?

Ritge                             - Sì. Un saccheggiatore incendiario massacratore.

Bule                              - Un fucilatore.

Ritge                             - A quel tempo non fucilavano ancora.

Bule                              - E che facevano?

Ritge                             - Impiccavano.

Bule                              - Impiccano anche adesso. E mettono alla tortura: gli occhi, le unghie, le dita dei piedi.

Ritge                             - Per la tortura, il duca d'Alba, poteva dargli dei punti.

Bule                              - Sul serio?

Ritge                             - Sul serio. Solo a pensare a quella camera... verde...

Bule                              - (scattando) Ah, mascalzone! (Più forte) Ah, mascalzone! Io lo prenderò a calci nel di dietro.

Ritge                             - Tu non farai proprio niente. E starai proprio buono. Se no, le prime salsicce le insacche­ranno nelle tue budella.

Bule                              - Non mi fa mica paura.

Ritge                             - Non ti fa paura? (Nuovo palpitare dette lampade. Coro sotterraneo. Breve pausa).

Bule                              - (a voce bassa) Mi fa paura. (Pausa. Poi, con disgusto) Bah! tutto mi. fa paura. Che schifo! Quando penso a Till Ulienspigel...

Ritge                             - Non ci pensare.

Bule                              - (sospira) Io sono un vigliaccone.

Ritge                             - Tu sei un santo: San Nicodemo, e io sono San Nicola. Teniamoci fermi a questo, se no son pasticci. (Improvviso ritorno della luce alla tensione normale, cori e musica cessano) Bah, finito...

Bule                              - Che cosa?

Ritge                             - Giù sotto.

Bule                              - Il negro è morto?

Ritge                             - No, purtroppo.

 

Bule                              - Perché, «purtroppo?».

Bitge                             - Perché torneranno da capo.

Bule                              - Come, da capo?

Bitge                             - Dieci volte, cento volte, centomila Tolte. L'eternità, Bule, capisci?

Bule                              - (esterrefatto) L'eternità? (Pausa) Dove­vano almeno avvisarci, su, in terra.

Ritge                             - Ce lo dicevano.

Bule                              - Ma non com'è: non come è qui. (Piano) Ah, sacram...

Ritge                             - Sarà forse meglio non bestemmiare più.

Bule                              - Credi?

Ritge                             - Eh, per la Mad...

Bule                              - Basta di bere, basta di ridere, basta di bestemmiare. Diavolo! E allora che cosa ci resta che si può fare? No, sul serio: scoppiare.

Ritge                             - Mah...

Bule                              - Il male è che mi batte l'appetito... (più forte) crepo di fame! Avete capito? (A Bitge) Ora si vedrà. Dopo tutto è un albergo, no? (Batte sulla tavola) Cameriere! cameriere! (Da sinistra vien fuori un bottaccione, vestito come ai tempi di Breugliel, carico di una montagna di prosciutti, salsicce, e san­guinacci. Porta davanti alla bocca la museruola di giunco elle si mette ai vitellini, per impedire loro di rimpinzarsi. Bule, rallegrato) Oh! ora si ragiona! (All'uomo) Qua, qua! (L'uomo viene avanti con mo­vimenti da automa) Bravo! ah! Salsicce! (Cambia tono) Oh! cazzeruola!

Ritge                             - Che c'è?

Bule                              - È... è mio padre, Ritge, guarda: Baiti! Baiti, mio padre.

Ritge                             - Oh, sanue di ma!... è proprio Baiti. (L'uomo avanza lentamente, lo sguardo sperduto, come «n dio della macelleria; posa sulla tavola un pezzo di salsicciotto e si avvia verso destra).

Bule                              - Vedi come va avanti? Come una salu­meria ben fornita. E gli hanno appioppato, per impe­dirgli di mangiare a crepapancia, una museruola da vitelli. E ha una fame del diavolo. Ah, briganti! assassini!

Ritge                             - Sta fermo.

Bule                              - Ma gliela levo io, ora, la museruola.

Ritge                             - Sta fermo, ti dico. (Baiti torna fuori, in primo piano, a sinistra) Se no la museruola te la mettono a te.

Bule                              - Me ne frego, Ritge.

Ritge                             - Sta zitto. Se Lucifero...

Bule                              - Lucifero? Lo prendo a pedate nel di dietro, Lucifero, io.

Ritge                             - E basta, sbruffone! Non ti basta il piede che hai; positivo!

Bule                              - (contrito) Già, Ritge, è vero. Hai ragione.

Ritge                             - Sei un vigliacco, la sai?

Bule                              - Sì, Ritge.

Ritge                             - Anch'io.

Bule                              - Sì.

Ritge                             - Questo, fra noi. Per gli altri, noi siamo due santi.

Bule                              - Due santi, sì, Ritge. Teniamoci fermi a questo. (Il duca d'Alba torna dal fondo).

Ritge                             - (piano e presto) Soprattutto, tieniti fermo a questo, Bule, se no...

 Bule                             - Sì, Ritge.

Il duca d'Alba               - Signori santi, domando scusa. Eccomi da voi. Va tutto bene, adesso? Secondo i vostri desideri?

Ritge                             - Grazie, signore. Tutto bene. (Breve pausa d'imbarazzo).

Il duca d'Alba               - E siete venuti a farci una visita?

Ritge                             - Sì, sì. Ecco. In cielo, lassù, capite, non funziona. (Piano a Bule) Di' qualche cosa.

Il duca d'Alba               - Ma guarda! E come mai?

Ritge                             - (cerca la parola) Mah, non saprei dire... Ci-ci-ci si annoia, ecco. Non c'è quasi nessuno, e sembra che il buon Dio sia di un umore - sì - da cani.

Il duca d'Alba               - « Sembra? ». Voi non lo avete visto?

Ritge                             - Eh! non si vede mica tanto in canna, il buon Dio!

Il duca d'Alba               - Già, quel poveretto si immagina che a fare il misterioso... (Bidè) Hi! hi! (Pausa) Oh, capisco che si faccia cattivo sangue... Qui gli affari vanno a gonfie vele. Con la guerra la nostra clientela è triplicata.

Ritge                             - Triplicata!

Il duca d'Alba               - Per lo meno. Non sappiamo più dove mettere gli ospiti. Giù da basso il padrone ha convocato gli architetti per esaminare i piani di amplificazione. Ci occorre uno spazio... vitale. (Bidè. Anche Bitge, per servilismo, ride. Poi, piano, a Bule).

Ritge                             - Ma di' qualche cosa, alla fine!

Il duca d'Alba               - San Nìcodemo è di cattivo umore?

Ritge                             - (presto) Già - no, no - voglio dire - non si sente troppo bene.

Il duca d'Alba               - (a Bule) Posso fare qualche cosa per voi, padre santo?

Bule                              - Io? No. Ehm, sì. Io vorrei sapere...

Ritge                             - (piano) Prudenza.

Il duca d'Alba               - Sapere?

Bule                              - Che gli avete fatto al negro?

Il duca d'Alba               - Che negro? Ah, sì, l'uomo del bar?

Bule                              - Ecco.

Il duca d'Alba               - L'ho punito.

Bule                              - Punito?

Ritge                             - (piano) Zitto! (Breve pausa).

Bule                              - E voi?

Il duca d'Alba               - Io?

Bule                              - Chi vi punisce, voi? (Brève pausa).

Il duca d'Alba               - Amate la giustizia, padre santo ?

Bule                              - Il fatto è che io sono un santo, capite?

Il duca d'Alba               - (ride) Hi! hi!

Bule                              - Un gran santo, sì. (Indica Bitge) E anche lui.

Ritge                             - (in. imbarazzo) Già. Già. Sicuro.

Bule                              - (al duca d'Alba) Vi domando: chi vi ha punito, voi?

Il duca d'Alba               - Di che?

Bule                              - Di che?... Ma del male che avete fatto. Tutte quelle rovine al mio Paese.

Il duca d'Alba               - Siete fiammingo?

Ritge                             - (piano) Prudenza!

Bulb                              - Perché? Vi dà noia?

Il duca d'Alba               - Nascono negri, in Fiandra?

Bule                              - Ce n'è, che muoiono all'inferno.

Il duca d'Alba               - Non muoiono.

Bule                              - (trasale) Oh, no. Lo so.

Il duca d'Alba               - I negri non mi piacciono.

Bule                              - È un vostro diritto.

Il duca d'Alba               - Né i fiamminghi.

Bule                              - Né gli ebrei. Si sa.

Ritge                             - (piano) Prudenza!

Il duca d'Alba               - Io sono il generale dell'esercito vincitore: formidabile, invincibile, il primo del mondo. E sono entrato nel vostro paese, portato dalla vit­toria.

Bule                              - Ebbe... E con questo?

Il duca d'Alba               - Con questo, avevo il diritto di guerra nelle fondine della mia sella, insieme alle mie pistole.

Bule                              - Il diritto di guerra?

Il duca d'Alba               - Sì.

Ritge                             - (piano) Prudenza, Bule!

Bule                              - La guerra vi dava il diritto di schiacciare i fiamminghi?

Il duca d'Alba               - Dei vinti!

Bule                              - Vinti? (Si alza) lo sono San Nicodemo: uno dei patroni delle Fiandre, ed amo la giustizia, il Natale, e i bambini...

Il duca d'Alba               - (ride) Hi! hi! hi!

Bule                              - E tutti i deboli e miseri del mondo sono il mio esercito: mio di me... formidabile... invincibile...

Ritge                             - (lo supplica) Bule! Bule!

Bule                              - È il nostro esercito, di questo santo (indica Bitge) e mio (indica se stesso). Tutto quanto c'è al mondo di libero e di vero, è al nostro seguito, e noi in testa, io e San Nicola. (Incalzando il duca d'Alba) E quanto al generale dell'esercito invasore...

Ritge                             - (piano) Tu sei un vigliacco, Bule, non te lo scordare.

Bule                              - (piano) Non me lo scordo. (Al duca d'Alba) Io non sono che un vigliacco, signor duca, e un vinto; ma vi prendo - io che vi parlo - vi prendo a calci nel sedere.

Ritge                             - Bule!

Bule                              - Nel sedere! (Dà una pedata al duca d'Alba).

Il duca d'Alba               - Sangre de Dios! (Grida sot­terranee. Le luci delle lampade si riabbassano).

Bule                              - (tranquillo) E adesso, vado a farmi una mangiata. (Si rimette a sedere e chiama Bitge) San Nicola?

Ritge                             - (lo raggiunge) Che hai fatto?

Bule                              - Non ti far cattivo sangue. (Divide le salsicce) Noi siamo dei santi, o no?

Ritge                             - Hm! Hm!

Il duca d'Alba               - (furibondo) Por la Madre del Pilar! (Campanelli d'allarme dal sottosuolo).

Bule                              - (addentando) Alla tua salute! (Sputa subito fuori) Giuraddio, brucia.

Ritge                             - (spaventato) Che è? che è?

Il duca d'Alba               - (trionfante) Brucia? Ahà! Lo sapevo, io! (Tuono. Appare Lucifero. Compaiono diavoli di sotterra).

Bule                              - (bianco di paura) Ritge! I diavoli!

Ritge                             - Eh, li vedo!

Bule                              - Spaventosi! Colpa mia! Perdonami!

Ritge                             - No, no, caro Bule, hai fatto bene: alza la testa, Bule. Io sono con te.

Bule                              - (avanzando verso Lucifero) Tradimento, maestà. Questi uomini... (Campanello vicinissimo | dietro la scena. Voce del banditore).

La voce del Banditore - (canta) Due anime se ne andarono cercando il loro sentiero.

Il Banditore                  - (entra da sinistra) Prendiamoci per mano che lungo è il corso del tempo  - (Viene a mettersi alle spalle di Bitge e di Bule).

Il duca d'Alba               - Ne ero certo. (A Lucifero) Sì, maestà: ne ero certo. Questi due bei campioni da carnevale non sono santi più di voi o di me. Il più magro, un ubbriacone: l'alcool, l'alcool dell'inferno gli ha bruciata la gola. Il più grosso è un gran pap­patore: la trippaglia dell'inferno gli ha messo a fuoco la pancia. (Avvicinandosi ai due) Traditi. Traditi i traditori.

Lucifero                        - (fa un cenno. I diavoli cominciano a pe­stare i piedi intorno ai due atterriti).

Il duca d'Alba               - Ohò! I miei buontemponi, potrete bere e mangiare a crepapancia. (Ai diavoli) Abbocca! Azzanna! Braccate le anime! (I diavoli vanno a fiutare Bule e Bitge. Ai due) Al fuoco! al fuoco!

Bule                              - Il fuoco non c'è.

Il duca d'Alba               - (ride) Ah no, eh? lo vedrete. In voi! in voi! è l'inferno. Il fuoco nella pancia e nelle budella. L'inferno, spaventoso, delle vostre neces­sità... (Ai diavoli) Abbocca! Azzanna! Tirate fuori le anime! (Grida dei demoni).

Bule                              - Aiuto Ritge!

Ritge                             - Coraggio, Bule! Fatti... fatti un'anima bianca. (Bidono i demoni).

Bule                              - Un'anima, come?

Ritge                             - Bianca: la tua di bambino. (Grida, risate, tumulto, musica d'inferno).

Bule                              - Gesù Bambino! Gesù Bambino!

Ritge                             - Santa Vergine cara!

Bule                              - Natale del paese bianco di Fiandra!

Ritge                             - Neve, neve degli inverni fiamminghi... (I diavoli si accostano) Segno di croce, Bule!

Bule                              - (nel tumulto) Che?

Ritge                             - (urla) Segno di croce! (In mezzo alla ronda dei diavoli si fanno entrambi spasmodicamente il segno della croce).

Bule                              - (con forza) Credo in Dio.

Ritge                             - (con forza) In Dio Padre...

Tutti e Due                    - Onnipotente! (Tuono, tenebre. Poi un'ondata di luce d'alba che passa molto veloce­mente all'aurora).

I Demoni                       - Ahi! Ahi! Il fuoco! Il fuoco di Dio!... (Piegano sulle ginocchia e cascano a terra).

II duca d'Alba              - Azzannate! Abboccate! Si fa buio!

Ritge                             - No! no! Si fa giorno! Il sole!

I Demoni                       - (a terra gemendo) Sole!

Ritge                             - Sole di Dio!

Bule                              - Eccolo, il fuoco!

I Demoni                       - (come spirando) 11 fuoco! Il fuoco!

Ritge                             - Vieni, Bule, vieni presto, verso la luce! (Trascina Bule, scompaiono).

I Demoni                       - (voci spente) Il fuoco! Il fuoco! Ahi! Il fuoco! (Sulla scena, dove si trascinano i diavoli, sorge un giorno radioso di primavera. Musica divina. Coro lontano di eletti).

SECONDO QUADRO

(Il quartetto dei cantastorie compare davanti al sipario. Cantano di Bitge che vanno d'Inferno in Para­diso, senza passare per il Purgatorio. I cantastorie scompaiono a destra. Bitge appare dall'altro capo del proscenio. Sono davanti al velario chiuso).

Ritge                             - (voltandosi verso la quinta) Arranca! Arranca!

La voce di Bule            - (di dentro) Eh! Non ce la faccio più!

Ritge                             - Sì, sì. Coraggio. Ci sei. Forza: forza! (Entra Bule col fiato corto. Fa tre passi e crolla a terra) Bravo, il botticello! Là! Ci sei.

Bule                              - (ansimando) Fa silenzio, che mi voglio sentir respirare. (Soffia come un mantice per qualche secondo, poi) Aliaaa! Che roba!

Ritge                             - Molto bene, Bule mio! Ti sei strascinato il tuo gran baule a gran velocità.

Bule                              - Ah, quei demoni!

Ritge                             - Li abbiamo spersi.

Bule                              - Dove siamosi

Ritge                             - E chi lo sa?

Bule                              - Dobbiamo essere in cima a un monte. Mi hai fatto arrampicare finora. Cristo... foro! Che ascensione! (Si alza) Non fa caldo niente.

Ritge                             - Già, già. C'è un'arietta fina fina. Senti un po'... (Suono chiaro di campane in lontananza. Il sipario si alza lentamente. Luce di bella mattinata pasquale. A destra della scena, su uno zoccolo, la grande figura d'oro d'un Arcangelo, con le braccia incrociate sull'elsa della sua spada).

I due                             - (stupiti) Ah!

Bule                              - (senza voce) Ritge! Kitge!

Ritge                             - (piano) Taci... prudenza. È il Paradiso.

Bule                              - Il Para...

Ritge                             - Sì. (Musica celeste, coro aereo. Piano a Bule) Quel grande, là, con la sua spada, è senza dubbio, l'Arcangelo Michele.

Bule                              - L'Arcangelo...

Ritge                             - ... Michele. Sì. San Michele. Siamo alle porte del Cielo.

Bule                              - Sangue di Cri...

Ritge                             - Sei matto?

Bule                              - Perché?

Ritge                             - A bestemmiare qui?

Bule                              - (spaventato) Per la Ma...

Ritge                             - Bule!

Bule                              - Perdono! (Oasca in ginocchio e si segna con fervore).

Ritge                             - Sta attento, via: o questa volta siamo buggerati.

Bule                              - Sì, Ritge. (Si rimette in piedi e guarda la scena) Il Paradiso! Ma come si fa ad entrar dentro?

 Ritge                            - Come una lettera in cassetta, noi siamo due santi che...

Bule                              - (gli taglia la parola) ... ancora? No, Kitge: trova qualche cos'altro.

Ritge «                          - Perché?

Bule                              - Perché questi santi della malora ci por­tano scalogna!

Ritge                             - Oh, Bule!

Bule                              - Ci fanno spianare da un'automobile, e poi ci cacciano dietro tutti quei demonii. Vedrai, questa volta ci fanno la pelle.

Ritge                             - Tu bestemmii, Bule. (Pausa. Bule si svia) Che hai?

Bule                              - Niente.

Ritge                             - Ma, sì!

Bule                              - Senti, Kitge... (Si ferma).

Kitge                             - Beh?

Bule                              - Vorrei... tornare a casa.

Kitge                             - Eh?

Bule                              - Sì, vorrei essere nel mio letto, coricato, con Flavia... e Gheleke tutta bianca nella sua camera vicina, e la neve sul tetto e il vento nel camino...

Ritge                             - E dieci metri di salsicce sul comodino.

Bule                              - Kitge! Ritge! Vorrei tanto tornare al paese!

Ritge                             - Sì? E io vorrei tanto essere l'imperatore della Cina. Tu mi vai fuori del solco, Bule.

Bule                              - Ma...

Ritge                             - Tu mi perdi la sinderesi, Bule. Noi ci dobbiamo rimettere in pala, e tu molli proprio adesso!

Bule                              - Ritge...

Ritge                             - No. Non voglio sentir più niente. Avanti. Tirati su la pancia. Respira. Tieniti a modo; con dignità. Sei San Nicodemo.

Bule                              - No!

Ritge                             - (con forza) Tu sei San Nicodemo. E io, . San Nicola. Noi torniamo tutti e due da un viaggio sulla terra, dove siamo stati a portare i dolcetti ai ragazzi. Dunque, su. Tirati su la pancia. (Bule obbe­disce) Ancora... ancora... Bravo... abbordiamo San Michele. (Fanno tre passi verso il centro del proscenio, ma, improvvisamente, si fermano. Entrano due perso­naggi vestiti come i nostri due compari: sono i veri San Nicola e San Nicodemo. Bitge stupito). Oh! oh!

Bule                              - Sacre... nespola!

I due Santi veki            - (cantano sereni) Ah! ah! ah! ah!

Bule                              - 0 Ritge! Sono quelli veri!

Ritge                             - Quelli? Ma va! Due patacche. (I santi, sempre cantando, arrivano alla soglia del Paradiso) Ehi!

Bule                              - Ehi! (Si slanciano avanti e sbarrano la via ai due santi veri).

Ritge                             - Indietro!

Bule                              - Indietro!

Ritge                             - Sbruffoni!

Bule                              - Pagliacci!

Ritge                             - Se credete di portarci via il posto...

Bule                              - Questo, mai!

Tutti e due                    - ... vi sbagliate! (I due santi pro­seguono imperturbabili: «Ah! ah! ah!»).

Ritge                             - (alza la voce) Avete sentito?

Bule                              - Siete sordi?

I Santi                           - (imperturbabili) Ah, ah, ah!

Ritge                             - (urlando) Volete star zittì, sì o no?

Bule                              - 0 volete che vi prenda a calci nel sedere?

I Santi                           - (come sopra) Ah! ah! ah! (Tumulto di canti e di grida che tolgono l'Arcangelo Michele dalla sua meditazione. Egli, come risvegliato, tira un gran cordone dorato che pende lì vicino; un greve suono di campana: e subito San Pietro entra svelto svelto dal fondo. È un vecchietto tutto curvo, capelli e barba ben pettinati. Porta una smisurata chiave d'oro).

San Pietro                     - Che succede, ragazzi? Che succede?

Ritge                             - Gran San Pietro...

San Pietbo                     - Silenzio! (Sì mette gli occhiali) Oh, Nicola, vi domando scusa: non vi avevo rav­visato. Parola mia, divento cieco come una talpa. Avanti, accomodatevi, caro.

Ritge                             - (tutto contento) Ahahaha!

Bule                              - Anch'io.

San Pieteo                     - Certo, come no? Nicodemo. E come va la vecchia terra?

Ritge                             - Ammalata.

San Pietro                     - Oh!

Bule                              - Ammalata seriamente.

Ritge                             - Ha una specie di colica.

Bule                              - Si vomita le budella sue.

San Pietro                     - No!!!

Ritge                             - Gli uomini sono matti. Perdono il tempo a demolirsi.

Bule                              - Di gente savia non c'è che i bambini.

Ritge                             - Ma non gli si domanda mai il loro parere.

San Pietro                     - Eh, sicuro! Sicuro! (Scopre appena i due santi) Oh, e là, chi ci abbiamo? (Come un sol uomo, i due santi si rimettono a cantare) Silenzio, là! (Si avvicina a loro e sussulta) Ma che succede? (Si volta a Bule e a Bitge) Eh, perbacco! Non mi era mai capitato. (Verso i santi) Due Nicolò! (Verso Bitge e Bule) Due Nicodemi! (Verso il pubblico) Un bel pasticcio, sapete!

Bule                              - San Pietro nostro buono...

Ritge                             - Ee dei portinai...

I due Santi                    - (cantano) Ah! ah! ah!

San Pietro                     - (furibondo) E tacete un momento, corpo d'un sette! (A se stesso) Vediamo, vediamo: Che ci fa, qui? Oh, un'idea: la parola d'ordine. (Agli altri) Dite la parola d'ordine, a mano a mano. Su! (San Nicodemo - il vero - si avanza e gli parla all'orecchio) Va bene: entrate. (Il San Nicola vero, stessa azione) Entrate. Va bene. (I due santi passano la soglia cantando. San Michele li saluta con la spada. Scompaiono nel fondo. San Pietro a Bule e a Bitge) E ora a noi, compari. La parola, presto.

Ritge                             - La parola? Ehm... Ecco. Ah! ah! ah! (Canta stonato).

San Pietro                     - (a Bule) E voi?

Bule                              - Ah...! (Canta a squarciagola).

San Pietro                     - Ah! ah! ah! Compari, ora ve li do io, gli «Ah! ah! ah! ».

Bule e Ritge                  - (insieme) San Pietro...

San Pietro                     - Silenzio! Sicché ci si immagina di potermela fare in barba, eh? Si scherza, ci si imma­schera, si prende il Paradiso per un veglione. Adesso vi ci mettiamo noi all'ordine, voi due. Detto fatto, compari belli.

Bule e Ritge                  - San Pietro...

 San Pietro                    - Basta! basta! Michele, tienli d'occhio! Torno subito. (Esce. Pausa).

Ritge                             - Beh! Adesso siamo cucinati a dovere.

Bule                              - E in salsa piccante.

Ritge                             - Che scalogna, quei due colleghi, uguali j a noi spiccicati.

Bule                              - E che pignolo, quel San Pietro. Che gli! ci voleva, a...

Ritge                             - (gli taglia la parola) Attenzione a San I Michele.

Bule                              - (abbassando la voce) Che ha da far tanto 1 il prepotente, quel San Pietro? Come se non l'avesse] rinnegato lui, Iddio, ai suoi tempi!

Ritge                             - Questo, poi, sì.

Bule                              - Perché, siamo giusti, se quel gallo non cantava da crepare...

Ritge                             - Attenzione! (Bientra dal fondo San Pietro, portando un gran registro).

Bule                              - Uhè, uhè, ecco il libro di cassa. Ritge, questa è la volta, ho idea, che l'abbiamo fatta nel pulito.

Ritge                             - Aspetta. Non si sa mai.

Bule                              - Ci sgnaccano tutti e due a cavallo d'un lampo, e ci scaraventano a fare il tuono in fondo all'inferno.

Ritge                             - Sta zitto, ti dico; e aspetta.

San Pietro                     - Il vostro nome, voi due?

Ritge                             - Ritge Eans.

Bule                              - Bule Ferbuik.

San Pietro                     - Bene. Un momento. (Volta alcune pagine) Ah, ecco. Ci siamo. San Pietro...

Bule e Ritge                  - Niente. Niente.

San Pietro                     - (A Bule) Tu, qui. (A Bitge) E tu, là. E avete da comparire davanti al Signore Iddio, con le vostre brutte facce. (Toglie la barba finta a Bitge) ... quelle che vi ha fatto lui. (Spazza deciso la faccia di Bule con la manica) Ecco. Così siete più belli, no?

Bule                              - Se pare a voi...

San Pietro                     - Silenzio. Vediamo il registro. (Pausa. Legge, poi) Oh, là, là! Amici belli!

Ritge                             - (spaventato) Che cosa? Che cosa?

Bule                              - (idem) Che significa?

San Pietro                     - (legge) Eigo Pietro Eans, detto Ritge...

Ritge                             - (automaticamente) Presente.

San Pietro                     - (prosegue) « Fannullone, screanzato, ubriacone... e lussurioso ».

Ritge                             - Io?

San Pietro                     - • Tu. Eccoti servito. (Legge) Baldo­vino Ferbuik, detto Bule.

Bule                              - Eccolo,

San Pietro                     - (legge) « Bugiardo, bestemmiatore, iracondo ».

Bule                              - Non è vero.

San Pietro                     - (minaccioso) Come, non è vero? Legge) « Gran carnivoro ».

Bule                              - E poi?

San Pietro                     - (leggendo) Uomo leggero.

Bule                              - Leggero? Non lo dicevo, io, che c'è errore? C'è errore, San Pietro.

San Pietro                     - (ride) Errore, eh?

Bule                              - Guardami. (Si gonfia).

San Pietro                     - Non fare il furbo, vai! (Incalzandolo) Leggero: proprio così, e tanto leggero che sulla nostra bilancia tu sarai una piumetta.

Bule                              - (ride) Una piuma! Ritge, hai sentito? Una piuma di centocinquantatre (o quattro) chili. Ah! ah! ah!

Ritge                             - Non esaltarti, amico. (A San Pietro) Noi avremmo da ribattere molto, ma non insistiamo.

San Pietro                     - Che cosa!

Ritge                             - (marcato) Non insistiamo. C'è un equi­voco, o un colpo mancino: chiacchiere del vicinato. Non fa niente, non fa niente. Verrà tutto in chiaro a poco a poco.

San Pietro                     - A poco a poco?

Ritge                             - Alla lunga. Per ora, San Pietro - ehm -vi facciamo riverenza e... ci ritiriamo. Vieni, Bule.

Bule                              - Subito.

San Pietro                     - (sempre stupito) Che cosa?

Bule e Ritge                  - (salutando) A rivederci, gran San Pietro! (Fanno per andarsene).

San Pietro                     - (indignato) Ohooo! (Oli sbarra la via) Pezzi di stupidi, volete capirla di restare lì, eh? E non fare storie? Ma... ma... in parola mia, questi se ne strabuscherano di me!

Bule e Ritge                  - Noi...

San Pietro                     - Basta! Non una parola, non una mossa di più. Comparirete davanti al Giudice dei Giudici.

Bule                              - (in ginocchio) Grazia!

San Pietro                     - Oh, era ora! (Seguita) ...davanti al Re dei Re: colui che vede il fondo di ogni cosa. (A Bitge) In ginocchio anche tu.

Ritge                             - No.

Bule                              - (supplica) Ritge!

Ritge                             - (non senza una certa nobiltà di tono) So reggermi in piedi.

San Pietro                     - Orgoglioso anche, eh? Va pur là... (All'angelo) A te, Michele.

San Michele                  - Sì, Pietro. (Appare la Vergine, con la piccola Mariuccia di Bule ai suoi piedi. Intorno a loro, angeli e santi).

Mariuccia                      - (grida) Babbino!

Bule                              - (tendendole le braccia) Mariù! Pigliuccia mia!

San Michele                  - Silenzio!

Bule                              - Oh, oh! La Martellina! (Scoppia in lagrime).

San Pietro                     - (avanzando verso il trono) Signore Iddio, abbiamo qui due gran canaglioni!

La Vergine                    - (con rimprovero) Pietro!

San Pietro                     - (confuso) Scusa, Maria! (Riprende) Abbiamo qui due... imputati che in terra ne hanno fatte di cotte e di crude. E, inoltre, sbornioni, falsi e ribottieri.

Il coro degli Angeli       - Oh!

San Michele                  - Silenzio!

San Pietro                     - Fannulloni e libertini.

Il coro degli Angeli       - (crescendo) Oh!

San Michele                  - Silenzio!

San Pietro                     - E tutto questo non sarebbe niente!

Il coro degli Angeli       - Oh!

San Michele                  - Silenzio!

San Pietro                     - Niente. Il bello viene ora. Ecco qua: travestiti, tutti e due da santi del Paradiso, per poco non hanno forzata la frontiera del Cielo.

 Il cobo degli Angeli     - (decrescendo) Oh!

San Michele                  - Silenzio!

San Pietro                     - E se non fossero arrivati giusto in tempo i due veri santi - oh! eh! non so neanche io dove sarebbero andati a finire questi due qui.

Il coro degli Angeli       - (sui bassi) Oh!

San Michele                  - Silenzio!

San Pietro                     - (a Bule e a Bitge) Che avete da rispondere a vostra difesa?

Bule                              - Io?... Io ho un nocciolo qui, in gola...

San Pietro                     - (ride) Ah, un nocciolo? (A Bitge) E tu? (Bitge non risponde) E tu? dico a te!

Ritge                             - Io voglio un avvocato.

San Pietro                     - Lui « vuole »... Oh!

Ritge                             - Ne ho il diritto.

San Pietro                     - Ne ha il diritto, lui! (Lo incalza) Non hai nessun diritto, hai capito, moscerino? Tu sei un verme di...

La Vergine Maria          - Pietro!

San Pietro                     - (confuso) Sì, sì, Maria... (A Bitge) E chi porti per avvocato, verme di terra?

Ritge                             - La Santa Vergine.

San Pietro                     - (atterrito) La...?! ?!

Ritge                             - (calmo) ... Santa Vergine.

Il coro degli Angeli       - Oh!

La Vergine Maria          - (con una sorpresa infantile) Io?

Bule                              - (atterrito) Sacramescola!     - (Cade a terra).

Ritge                             - (avanza d'un passo verso la Vergine) Signorìa... Maestà...

San Pietro                     - Fermo lì, tu!

La Vergine Maria          - Lascialo, Pietro.

Ritge                             - O dolce Regina del Cielo... Io non vi immaginavo così giovane e gentilina. Ma vi vedevo nel fondo dell'anima mia - un'anima triste e nera      - vi vedevo, spesso, come siete nei quadri di pittura della nostra vecchia Fiandra... giovane, ma non ragazza... Bionda, ma non bionda così... bionda come una nativa di Malines o di Bruges. Vero, Bule? Eh?

Bule                              - (piano) Sì, sì. (Si risolleva un po').

Ritge                             - (prende ardire) E quel vostro nasino lì, quel nasino buffo che avete...

San Pietro                     - (indignato) Ooooh!

Gli Angeli                     - (idem) Ooooh!

Bule                              - (atterrito) Ooooooh!

La Vergine Maria          - (ride) Ho un nasino buffo, io? (Se lo tocca con un dito).

Ritge                             - (con fervore) È... è... è... autentico. Ne conoscono... se ne vedono nella vita ogni giorno... E sono una meraviglia! È un naso vero, da credere in lui. Io ero un miscredente: credo al vostro nasino. (Crescendo) Credo, credo a tutto il vostro viso, reale e vero... a tutta la vostra persona divina, Vergine Maria, divina e così umana, così meravigliosamente umana e vicina a noi, che parlandovi mi sembra di parlare a una di casa... (abbassando la voce) a una sorella... a mia madre ancora ragazza... una ragazza della vecchia Fiandra. (Si mette in ginocchio a lato di Bule, e con forza) Madre, Vi prego, proteggete due vostri figliuoli.

Bule                              - (commosso) 0 Ritge! (Breve pausa. La Vergine si alza. Tutti meno San Michele, si ingi­nocchiano. Musica in sordina).

La Vergine Maeia         - Iddio Signore, col Vostro consenso, io dirò una parola per quei due uomini lì.

Bule e Ritge                  - (con aria di trionfo) Parla la nostra lingua! (Si abbracciano).

San Michele                  - Silenzio, olà! Silenzio!

La Vergine Maria          - Due uomini: dovrei dire « due ragazzi », Signore, e vengono di Fiandra, il paese dei ragazzi, dei Vostri ragazzi, Signore. Volgete, volgete per un attimo il vostro sguardo su quella terra felice e tribolata, laggiù... (Fa il gesto di guar­dare dall'alto in basso, nel pubblico) La neve!... la neve del cielo sul carbone dell'inferno... La ricchezza delle officine, dei navigli, delle banche, in ginocchio sul mantello bianco della povertà... la pena e la gioia, le brume e la luce... Guardate! guardate! guardate! Da Anversa la bene viva, fino a Bruges la morta, guardate la vita fluire e rifluire, Signore; la vita, la vera vita, come voi l'avete fatta, semplice e mira­colosa. Miracolo del pane quotidiano nella madia, dell'acqua chiara nel bacile, della fiamma nel foco­lare... miracolo di sentire il bronzo delle campane risonare dal campanile, e il ferro del pattino suonare sul ghiaccio. Miracolo di vedere la pietra cittadina grigia e sterile, fiorire nelle cappelle, i conventi, le chiese, le alte cattedrali. E le cornacchie calare sulle, trappole per gli uccelli, empirsi di grano, di pan duro, e risalire nere fra i fiocchi bianchi della neve verso il gran cielo invernale, e il fumo dei camini come il sogna­re delle case. E il sangue del porco ucciso per la festa notturna arrossa la neve davanti all'albergo, l'alber­gatore aspetta il corteo dei Re Magi. E tutti i venerdì, nell'ora che Gesù mio rese l'anima sulla croce, una nuvola sinistra cancella il sole. 0 miracoli! Miracoli! Buona terra di miracoli, dove ogni anno il Natale riporta la speranza, l'allegrezza... e... (abbassa la voce) e l'angoscia del censimento in Betlemme. Guardate, Signore, guardate laggiù, sul margine dello stagno gelato, quei due fanciulli che sembrano dipinti da Brueghel il Vecchio: quei due fanciulli, serii come anziani, guardare in basso senza dir niente. E adesso guardate qui, o Signore, sul margine del cielo lumi­noso questi due uomini ingenui come fanciulli, guar­dare, senza dir niente, in alto... Capiteli, e perdonate. Se per i bambini di Fiandra si sono abusivamente travestiti da santi del Paradiso, non vorrete per questo farne due diavoli d'inferno, vero? Ho finito. Ho fiducia. Rimetto, Iddio Signore, nelle Vostre Mani, l'anima di questi due poveri peccatori; che le Vostre Grandi Mani siano a loro dolci e paterne. Amen. (La Vergine s'inginocchia. Pausa. San Michele alza gli occhi verso Dio Padre. Altra pausa. Singhiozzi trattenuti di Bule e di Bitge annientati. Michele Arcan­gelo, per tre volte, fa cenno col capo).

San Michele                  - (si chiarisce la gola) A-hm  - (Tromba) Viste le lagrime di questi due uomini; sentita l'ora­zione della Vergine Maria; considerata la fede del buon popolo di Fiandra; nostro Signore perdona... (Tromba, rumori) Per altro... (Silenzio) Ordina: che per rendere testimonianza del loro pentimento, questi due uomini tornino sulla terra, la terra felice e tribolata, la terra bianca e nera di Fiandra. (Pausa, tromba).

Il coro degli Angeli       - (a piena voce) Glo-o-ria in e-ex-celsis!... (Il sipario comincia a chiudersi innanzi alla Vergine).

La Vergine Maria          - (piena di grazia, a Bule e Bitge) A rivederci! a rivederci! (Il sipario si chiude).

Ritge                             - (con le braccia tese, disperato) Signora! Signora! (Piangono desolati).

Bule                              - Signora!... Non c'è più! (Bitge lo prende per mano. Si rimettono in via).

 (Il quartetto dei cantastorie appare davanti al sipario chiuso e celebra San Nicodemo e San Nicola. Poi se ne va. Si alza il sipario. Scena divisa in due. A destra la camera di Bule. Bule e Bitge stesi affiancati sul letto. I ceri sono già pronti. A sinistra una porzione di stanza del bar. Si vede il banco di mescita. Flavia è sola. Poi entra Menza).

Flavia                            - Sono in coma, ha detto il dottore.

Menza                           - Che vuol dire «in coma»?

Flavia                            - Io non lo so, Clemenza: ma il dottore dice che quando dura molto, il coma è una cosa pericolosa.

Menza                           - Sì, ma... Sì, ma... Flavia, non bisogna mica sempre credere ai dottori. Son curiosi, certe volte, come parlano. Per me, vedi,' ho idea che quell'automobile del diavolo li ha spacciati, quei due là.

Flavia                            - Sì? Oh, assassini!

Menza                           - Mettersi sotto due morti alla volta, a questo modo...

Flavia                            - Proprio morti? Credi?

Menza                           - Io sì, purtroppo. E tu?

Flavia                            - Finché c'è fiato c'è speranza. E il dot­tore ha detto di tentare la prova dello specchio. Fra mezz'ora. Se non si vede niente sullo specchio, vuol dire che...

Menza                           - Non si vedrà niente, Flavia. Quando quegli uomini istruiti ti dicono che si possono lavare, rasare, e tutto il resto...

Flavia                            - (abbandonandosi su una sedia) È vero. (Piange) Bule è morto.

Menza                           - Coraggio, la mia Flavia. Vuoi fare la prova dello specchio?

Flavia                            - Non ancora. Non ne ho il coraggio. (Piange).

Menza                           - Flavia, non puoi lasciarti andare così. Vieni via.

Flavia                            - No...

Menza                           - E vieni! (La mette in piedi, la porta nella stanza della taverna e le versa da bere) Giù! (Flavia beve) Io, vedi, mi faccio coraggio. Eppure Ritge è là, lungo e steso: il mio amico.

Flavia                            - Sì... sì... E anche Bule - così buono -tanto di cuore. Che ho da fare io, adesso?

Menza                           - Bere, intanto, un altro bicchierino di grappa. (Versa) E poi seguitare la tua vita, per Gheleke... Prima, bevi. Vedrai. Faremo loro un fune­rale coi fiocchi. (Beve) Bah, vado a chiamare il sagre­stano, e subito dopo faccio venire il barbiere e il falegname.

Flavia                            - No, no. Il falegname, no: non lo chiu­diamo così subito.

Menza                           - No: ma potrà prendere intanto le misure, no? E tu metterti un po' d'accordo sul prezzo. Su, su: adesso io accendo i ceri, metto a posto la croce e l'acquasantiera. (Esegue) Flavia, figliola, sei più mencia d'uno straccio. Devi ribere un grappino. (Escono. Pausa. Qualche cosa si è mosso, sul letto, poi si vede la mano di Bitge cascare sulla faccia di Bule).

Bule                              - Ehi!             - (Si spinge via le coperte) Flavia...

Ritge                             - Eh... (Stesso movimento).

Bule                              - Sacram...

Ritge                             - Che? (Si scuote: vede Bule) Ehi, Bule...

Bule                              - Che? (Si tira a fatica a sedere) Ahi, il mio didietro... Ritge. E tu?

Bitge                             - Io, che cosa?

Bule                              - (si guarda intorno) Io sono nel mio letto. E tu, qui lungo e steso vicino a me. Che vuol dire tutto questo?

Bitge                             - Avremo preso una sbornia, per San Nicola. (Vede ì ceri) Guarda un po' questa roba...

Bule                              - Sacr... Sacram... Che è? Noi non saremo mica morti? (La porta della taverna si apre).

Bitge                             - Zitto. E non ci muoviamo. (Entra il sagrestano, si avvicina con molta cautela alla stanza, vede i due fermi, impalati, sorride, si dà una fregatina alle mani. Entra Flavia).

Il Sagrestano                 - Flavia, povera creatura, che pasticcio, Signore Iddio! Menza è venuta a portarmi la notizia. Morti! Senza i Sacramenti...

Bitge                             - (piano) Hai capito? Morti.

Bule                              - Oh!

Bitge                             - Sst!

Il Sagrestano                 - Due morti. Due uffìzi funebri: uno di terza classe, per Ritge Rans, e uno per Bule... vogliamo fare di seconda classe, Flavia? Mi pare che sia il meno...

Flavia                            - Che vuol dire, per un servizio funebre, la seconda classe?

Il Sagrestano                 - Un bell'uffìzio. Alle dieci; con molti ceri, canti, e tutte le campane fuorché il cam-panone in sol. E io ti farò il prezzo più ristretto possibile... Flavia, ti ricordi quello che ti dicevo non più tardi di ieri? « Bule non farà le ossa vecchie », e un quarto d'ora dopo l'avevano morto rovesciato.

Ritge                             - Noi siamo morti rovesciati.

Il Sagrestano                 - Un bel caso. Voglio dire, un triste caso, che mi ha messo tutto sossopra. Flavia, capisci, vero? È - già - una probabilità per me.

Bule                              - Ah sacr...

Bitge                             - Sst!

Flavia                            - Ma, sagrestano, Bule è ancora sopra la terra.

Il Sagrestano                 - Vero: ma noi lo metteremo sotto terra. E poi, Flavia, che ci posso fare? Non posso parlare che così. Tanti anni che ci penso, a te. E poi, la mia paura è che, quando si saprà, te ne troverai ai panni almeno Una dozzina, sono sicuro. Ma io sono stato il primo. E sono il primo a doman­darti in moglie. (Pausa) E tu che dici?

Flavia                            - Che mi vergogno per voi, sagrestano. Sì. Io la prendo come un affronto. Domandarmi in moglie così subito.

 Il Sagrestano                - Vero: è ancora presto; sì, ma, Flavia, tu devi essere intelligente. Non vorrai mica vivere con un morto, no? E io, per te, sono pronto a tutto. A tutto, capisci? Ora vado a cercare il curato.

Flavia                            - Non volete vederlo un momento?

Il Sagrestano                 - Bule?... oh no... Io...

Flavia                            - Un'ultima volta...

Il Sagrestano                 - E va bene. Un segno di croce, e me ne vado.

Ritge                             - (piano a Bule) Sta fermo, tu, hai capito?

Flavia                            - (socchiude la porta della cucina) Gheleke, vieni un momento anche tu a vedere papà. (Entra Qheleke con gli occhi rossi. La madre la porta nella camera. Il sagrestano la segue. Segni di croce sul letto col ramo di bosso).

Gheleke                         - (piangendo) Papà! Papà! (Ritorna in cucina).

Flavia                            - Non sembrerebbe ancora vivo? Guar­date che colore, ha...

Il Sagrestaho                 - Colore non significa. Ho visto dei morti già marci spantanati che avevano il colore di una bistecca. Dipende, sapete, da come hanno vissuto. Bule è vissuto di carne rossa, e il suo colore è il frutto del capitale. Puoi star tranquilla che è morto davvero.

Flavia                            - È pur sempre una gran disgrazia.

Il Sagrestano                 - Sicuro, che è: così, tutt'a un tratto, e senza essere malato. Ma è anche un vantaggio, sai Flavia. Ti sei risparmiata un mucchio di spese, e avrai anche molti soldi dall'assicurazione. (Le tende la mano) Beh, arrivederci. Coraggio, e a presto. (Esce. Flavia guarda un momento il letto, poi torna in cucina).

Bule                              - Corpo di mille milioni di...

Ritge                             - Zitto! Aspetta. Vado a dare un'occhiata. (Esce dal letto, guarda alla porta) Nessuno. Ti puoi sfogare.

Bule                              - Sagrestano! Oh! Mangiacandele! Lecca-sottana! Bevitore d'acqua santa! E sporcaccione, anche. Sporcaccione. Donnaiolo! Non sono ancora sottoterra, che già mi sta dietro alla mia vedova. Ma, niente da fare, hai visto? È l'ultima delle buone mogli. Non è così?

Ritge                             - Ah sì. Positivo, anche. Ti farà un bel funerale di seconda classe, con tutte le campane fuorché il campanone in sol. Eccole, senti. (Scampanìo lontano).

Bule                              - Che è?

Ritge                             - Le «tue» campane, perbacco!

Bule                              - Le « mie » campane? Per me e per te, se mai.

Ritge                             - No. Il mio è un viaggio in terza classe, nel più assoluto silenzio... Senti: le tue campane. (Scampanìo più vicino).

Bule                              - Posso offrire?

Ritge                             - No, grazie. Buon prò ti faccia.

Bule                              - No, no. Hai da prendere la tua parte, sacramesoola. Si deve spartire anche questo, come tutto il rimanente. (Musica celeste, lontana) Senti?

Ritge                             - Sento.

Bule                              - Ti piace?

Ritge                             - Sì. Mi ricorda...

Bule                              - Anche a te?

Ritge                             - Che cosa?

Bule                              - Prima di' tu che cosa ti ricorda; e io vedrò se è la stessa cosa per me.

Ritge                             - No. Prima tu.

Bule                              - Allora, insieme... Mi ricorda il...

Ritge                             - ... Pa...

Bule                              - ... ra...

In Due                           - ... diso... (Pausa).

Bule                              - (assorto) Il Paradiso...

Ritge                             - (e. s.) Il Paradiso. (Pausa).

Bule                              - Allora l'hai visto, anche tu?

Ritge                             - Sì. E prima, ho visto l'inferno.

Bule                              - Anch'io. Con Lucifero.

Ritge                             - E i demoni?

Bule                              - E i demoni. E le tue due donne, tra i demoni.

Ritge                             - E tuo padre con la museruola.

Bule                              - Sì. Tutto uguale. E Mariuccia...

Ritge                             - Sì, Mariuccia ai piedi della Vergine.

Bule                              - Abbiamo fatto lo stesso sogno, tale e quale.

Ritge                             - Un sogno, no.

Bule                              - No?

Ritge                             - No. Un sogno no: quello può farlo uno, da solo. Ma che in due capiti di sognare la stessa cosa, eh no, questo non succede. Non è un sogno. È proprio successo.

Bule                              - Oh! Giura...

Ritge                             - Sst! Tu scendi dal Paradiso, e ricominci a bestemmiare.

Bule                              - Questo è vero, sangue di...

Ritge                             - Sst! Fa attenzione, ti dico, se non vuoi finire con una buona arrosolata.

Bule                              - Sì. Sì. Dici bene. (8i fa il segno della croce) Dunque è proprio successo...

Ritge                             - Sicuro. Proprio successo. Siamo stati morti. E siamo saliti fin lassù.

Bule                              - (assorto) Siamo stati morti.

Ritge                             - E ci hanno rimandati indietro per acqui­starci il Paradiso.

Bule                              - (assorto) E siamo stati lassù...

Ritge                             - E adesso siamo qui, e siamo vivi.

Bule                              - Siamo vivi. (Pausa. Improvvisamente, altro tono) Questo è positivo: siamo vivi. E io ho una fame... Vieni. Ci pappiamo un porco intero intero, dalla testa alla coda. (Fa Tatto di alzarsi).

Ritge                             - (lo trattiene) Sta fermo. C'è una visita. (Rumore. Entra Giacche, dal fondo. Lo segue la madrina del bambino. Dalla sinistra entra Flavia).

Giacche                         - E così, Flavia, che dice il dottore?

Flavia                            - Non so. Parla di un coso... di un coma. (Entra Gheleke tutta in lagrime).

Gheleke                         - Giacche! (Va verso di lui).

Flavia                            - Ti aspettavo, Giacche, per far la prova dello specchio, ancora una volta: l'ultima. Venite. (Tutti entrano nella camera. Flavia tiene lo specchio davanti alla bocca di Bule) Niente! È finita!... (Piange).

Giacche                         - (fa Vesperimento dello specchio davanti alla bocca del padre) Niente anche qui. Maledizione! Era un bravo ometto, in fondo! (Gheleke gli prende la mano).

La Madrina                   - Così va la vita: uno parte, l'altro arriva. E-ecolo qui. (Indica il neonato che tiene sulle braccia) E così il mondo tira avanti.

 Giacche                        - (con convinzione) È vero, madrina.! Su, su, basta, ora, Flavia, coi pianti. Hanno avuta | la loro parte, no? Loro hanno finito, altri cominciano. (Prende il bambino dalle braccia della madrina e si solleva sopra al letto) Avanti, Tyll! Guarda quei due | uomini lì, marmocchio! E anche tu, sai, piccolo, sei! fiammingo. E adesso andiamocene a bere un gotto. Su, Flavia, non vi mettete a piagnucolare come una vecchia zitella. (Esce con la madrina e passa nella taverna).

Gheleke                         - (piangendo) Papà!

Giacche                         - Niente piagnistei, capito Gheleke!

Gheleke                         - Giacche!

Giacche                         - Qua. (La prende fra le braccia e la bacia sulla bocca appassionatamente).

Gheleke                         - Oh, qui, davanti a loro che sono § morti...

Giacche                         - Non li abbiamo mica ammazzati noi. (La riprende fra le braccia) E noi siamo vivi. (La riabbraccia) Ora vieni via. (Passano nella taverna, dove Flavia ha empito quattro bicchieri di liquore) Beviamo.

La Madrina                   - Sì.

Giacche                         - Alla nostra salute! (Bevono tutti e r quattro).

Flavia                            - E adesso andiamo in cucina a prepa­rare tutto (piange) ... per il funerale.

Giacche                         - Non piangete, Flavia.

Flavia                            - (con sforzo) No. (Escono. Pausa).

Bule                              - Ah Gheleke, righetta coraggiosa. (A Ritge) Ma tu, che ne dici di Giacche?

Ritge                             - Che mi piace un pozzo! Ahi! Trova suo! padre morto « Però era un bravo ometto »: dice con ; un gran gruppo alla gola. E subito dopo si abbraccia L una ragazza e porta tutti a bere un bicchiere!... Sì. I Mi piace.

Bule                              - Ci ha pur sempre spazzato via alla svelta, t no?

Ritge                             - Non è lui, è la morte che ci voleva spazzar via: lei fa presto a far piazza pulita.

Bule                              - Già. Nella casa noi non contiamo più niente.

Ritge                             - E vorresti contare qualche cosa, Bule pancione? I morti non contano, caro mio.

Bule                              - E non si potrebbero rimpiangerli, almeno!

Ritge                             - Eh, si rimpiangono con un occhio: ma con quell'altro si guarda dal lato della vita. E da quel lato il giorno segue la notte e la notte segue il giorno: la gente si alza dal letto e va al lavoro. E Flavia passa dal suo negozio di insaccati alla cucina. E alla fine della settimana fa ammazzare un I porco. E mio figlio abbraccia tua figlia. E la bacia, E la primavera riporta le foglie. E l'acqua del fiume va al mare. Ecco: così vanno le cose dal lato della vita, caro il mio Bule. Devi fartene una ragione.

Bule                              - Ma in fondo, poi, non sono mica morto. Non sono morto. E sono stufo di star qui a letto, l e mi alzo. (Scende dal letto) Ahi il mio didietro! (Furibondo) Questi ceri della malora hanno durato già anche troppo a bruciare. (Li spegne soffiando) Là! E ora vado a vedere. (Rumori di fuori).

Ritge                             - Presto. Torna a letto. Ecco gente.

Bule                              - Sono stufo.

Ritge                             - E torna a letto, testa dura del diavolo! Se è Flavia, o Gheleke, a vederti in piedi gli piglia un accidente.

Bule                              - Già, già. Hai ragione. (Si rimette a letto. Pausa. Entrano i/Lenza e Menti il falegname).

Menti                            - Dove sono?

Menza                           - Aspetta un po'... che riprendo flato. Tu corri come un ladro.

Menti                            - Ti pare? Perché tu vai avanti a zig-zag. Tu cominci a sbandare da far paura, lo sai?

Menza                           - Sbandare, io! Ho bevuto tre grappini per vedere di mandar giù il magone che ho qui. (Piange di colpo) Ma mi è rimasto lì. Che spina! Che spina al cuore... Il mio caro bravo amico è morto! (Entra Flavia seguita da Gheleke e da Giacche).

Menti                            - Buonasera, Flavia. Clemenza è venuta a chiamarmi. Che cosa facciamo, per quella cassa da morto?

Flavia                            - Io non me ne intendo. A che prezzi vanno?

Menti                            - Da 150 a 500 franchi, secondo il legno. Di pioppo, va a 150. Di quercia, di primissima, va a 500. La più conveniente per te sarà a 350.

Flavia                            - Trecentocinquanta! Mi sembra un po' caro.

Menti                            - Caro? Via, Flavia: anche Bule è caro, capisci? Passa la misura, e ci devo mettere un fondo rinforzato, che non mi passi di sotto. Con Bule ci rimetto, si sa: ma è per amore del mestiere. Trecen­tocinquanta.

Flavia                            - Va bene, Menti. Facciamo così.

Menti                            - Vedrai che resterai contenta. Quando ritirano fuori una delle mie casse da morto, dopo tanti anni è ancora nuova fiammante. (A Giacche) E per te, ragazzo, una da centocinquanta.

Giacche                         - Mi pare un po' troppo poco: lo sapete che mio padre è nato nella bambagia. E poi, Menti, le vostre casse sono troppo dure per lui.

Menti                            - Troppo dure? Che vuol dire, troppo dure?

Giacche                         - Troppo dure: l'anima delicata di mio padre resterebbe tutta acciaccata nella vostra cassa. Gliela farò io la sua bara.

Menti                            - (ride) Ah! ti credi capace?

Giacche                         - Gliela faccio io: perché tutto il mio patrimonio in Borsa non arriva neanche a tanto da pagarti i chiodi.

Menti                            - Ah! è questo... (Breve pausa).

Gheleke                         - Giacche, io... io...

Flavia                            - Gheleke!

Gheleke                         - Lasciatemi fare, mamma: sono soldi del mio salvadanari. Fagli la cassa, Menti.

Giacche                         - Gheleke, tu! (Le prende la mano) Io devo andare al battesimo. (Esce).

Menti                            - Ora prendo le misure.

Flavia                            - Ci vai tu con lui, Menza, per favore.

Menza                           - Sì, sì, Flavia. (Entra con Menti nella stanza mortuaria. Flavia e Gheleke ritornano in cu­cina. Scoprendo i due uomini) To', eccoli qui. Guar­dali un po' : sembrano un coniglino accanto a un elefante.

Ritge                             - Dio buono! così piccolo; ma era ancora un asso, ah sì! e adesso: morto duro. (Si curva sul letto) Finita, con la grappa? eh? Finito di ruzzare, eh, « povèta » del mio cuore. (Piange) E adesso ti do un bacetto, omarino mio, l'ultimo... (Piange).

Menti                            - (prendendo la misura di Bule) Menza, non bisogna piangere così.

Menza                           - Gli volevo bene.

Menti                            - Eh già... Eh sì... sì... (Menza si curva su Pitge, Menti si volta dall'altra parte. Menza bacia Sitge e si rialza di scatto).

Menza                           - Oh, è ancora caldo.

Menti                            - Già. Anche Bule. È il caldo della fermen­tazione. Tutto l'alcool che hanno bevuto gli passa nel cuoio, già, già. (Chiude il taccuino) Eccoli in nota. (Entra Wies, il barbiere).

Menza                           - Buongiorno, Wies.

Wies                              - Buongiorno.

Menti                            - Ora li lascio a te.

Wies                              - E io me li prendo volentieri. Perché -sì - mi piace radere i morti. Con loro si può fare senza tanti complimenti. Capisci? Andar di contro­pelo, dal basso in alto, dall'alto in basso, di sbieco, di fianco, o di lato. (Con Menti, ridono) Menza, vammi a prendere un po' d'acqua calda. (Menza esce).

Menti                            - Addio, Wies, buon lavoro. Arrivederci (Esce).

Wies                              - Arrivederci, Menti. (Pausa. Prepara i suoi arnesi; rientra Menza con l'acqua calda) Oh, via, facciamo queste barbe. (Prende il mento di Bule e fa un salto per aria) Ehi là!

Menza                           - Che è?

Wies                              - Sei certa che sono morti? Sono caldi caldi!

Menza                           - È, già, è la fermentazione. Menti dice così: che fermentano.

Wies                              - Fermentazione. Ma fermentare così non ne ho mai visti.

Menza                           - Hai paura, eh?

Wies                              - Paura? Io? ahà!... Di un morto o due? Dammene mille, morti davvero, però; ma morti che non sono morti... Su, fammi un po' di luce.

Menza                           - Più luce? Ma, ma... (Spaventata) I ceri, Wies! I ceri, lì, erano accesi: e adesso li hai smorzati tu?

Wies                              - Macché! Ma erano poi... davvero accesi?

Menza                           - Che dici? Non hai mai visto dei ceri accesi per i morti?

Wies                              - Sì, li ho visti, ma ardevano... (Breve pausa. Si guardano).

Menza                           - Vado a vedere di là... (Esce di corsa e va in cucina. Wies, rimasto solo, guarda i due stesi sul letto. Arretra lentamente verso la porta, si volta di colpo e sgattaiola in taverna, dove fa finta di leggere dei manifesti).

Btjle                              - (esce dal letto, si trascina sulle ginocchia fino alla porta, spinge la testa attraverso la porta socchiusa, guarda; Wies vede all'improvviso la testa, getta un grido, poi)

WiES                            - Ohe! (Lascia cadere la catinella da bar­biere, e taglia la corda).

Bule                              - Uhi! Il barbiere m'ha visto. Scappa come una lepre. Se non lo fermano arriva di questo passo a Singapore. Su, Ritge, esci fuori da questo letto. Sono stufo di essere morto. (Esplorando in giro e facendo ogni tanto capolino, ha aperto la porta di una stanza a destra) Oh, guarda le nostre cappe.

Ritge                             - Le cappe?

Bule                              - Le hanno posate lì, sul letto di Gheleke. Ce le rimettiamo?

Ritge                             - Per che fare?

Bule                              - Non saprei. Per cominciare più a modo la nuova esistenza.

Ritge                             - Tu vuoi farti santo, Bule grassone?

Bule                              - È che ho una paura dannata di quella museruola, sai... Su, andiamo.

Ritge                             - Vengo via. (Escono a dritta. Rientra Menza. La seguono Flavia e Gheleke).

Menza                           - E Wies ha detto che però erano magari troppo fermentati... per dei morti... Aspettate... Ora vedo. (Chiama) Wies. (Entra nella camera mortuaria. Nessuno) Oh!

Flavia                            - Che?

Gheleke                         - Menza!

Flavia                                       - Che c'è?

Menza                           - Un... grappino grande...

Flavia                            - Sì. Va bene. Tieni. (Serve: Menza beve) E ora parla!

Menza                           - Non ci sono più. Andati. Via.

Flavia                            - Andati via?

Gheleke                         - Papà!

Menza                           - Vado a chiamare la guardia campestre o il curato. (Apre la porta) Oh, eccola là. C'è andato Wies a chiamarlo. (Chiama) Guardia! (La guardia entra, esitante, seguito da Wies).

La Guardia                    - Buona sera, Flavia... È un fatto grave. Wies, di' che cosa hai visto.

Wies                              - Ho visto... Lasciatela aperta, la porta!... Ilo visto la testa di Bule!...

Flavia                            - La sua testa!

Gheleke                         - Oh papà!

Wies                              - La sua testa, sì, la testa, sola, fra i due battenti della porta, qui,    - (va e indica) a questa altezza - sospesa nel vuoto - la testa sola.

Tutti                              - Sospesa!

Wies                              - Sì, nel vuoto. Il suo testone grosso come una zucca.

Tutti                              - Oh! (Breve pausa).

Menza                           - Va a vedere tu, guardia. È roba di tua competenza. (La guardia avanza tremando. Estrae la sciabola, va per entrare, ma non ce la fa).

La Guardia                    - Eh, no. Non è mia competenza. I morti sono di competenza del curato.

Menza                           - Ma i fantasmi?

La Guardia                    - Anche di più. Li spedisce a quel paese con la preghiera e l'acqua santa. Una cosa che io non so fare.

Wies                              - Ma tu sei pur sempre la guardia campestre, no? Perdiaccia! E devi tu far rispettare l'ordine.

La Guardia                    - Tra i vivi. Ma i fantasmi...

 Wies                             - Ma sta zitto, tremarella! Ah, se l'avessi io, la tua sciabola!

La Guardia                    - E to': pigliala. (Gliela porge).

Wies                              - Non sono mica un militare, io!

La Guardia                    - Tremarella!

Wies                              - Io? Ma io... (Lo interrompe un grido acuto di Menza).

Menza                           - Ahaaaaa! (Mostra a dito la stanza, donde, per la porta rimasta aperta, dallo sgabuzzino di Cheleke si vedono uscire Bule e Bitge nei loro travestimenti di santi. Fuga di tutti a gambe levate. Bule e Bitge entrano nella taverna).

Bule                              - (sbigottito) Beh...

Ritge                             - (c. s.) Eh... (Si siedono guardandosi in faccia).

Bule                              - Come chi dicesse un successone... alla rovescia.

Ritge                             - Già. Tutti via.

Bule                              - Spaventati. Sono scappati per lo spavento.

Ritge                             - Hanno avuto paura.

Bule                              - Sicuro. E non capisco. L'emozione, va bene; ma lo spavento!

Ritge                             - Ci hanno preso per fantasmi.

Bule                              - Che idea! Io, se fosse morta Flavia o Gheleke, avrei più piacere di rivederle, magari come fantasmi, che non rivederle più. (Pausa) Ritge, amico, questa storia si mette male, mi pare. Tuo figlio ci caccia dall'esistenza.

Ritge                             - Eh, come cammini, tu!

Bule                              - Ci spazza via - l'hai detto anche tu -con la scopa della morte... Ci sostituisce con un mar­mocchio, che non si sa neanche se un giorno reggerà alla bevuta.

Ritge                             - Reggerà.

Bule                              - Che ne sai?

Ritge                             - Giacche ha detto che è fiammingo.

Bule                              - Ma ci sono fiamminghi mezze cartucce.

Ritge                             - Non tanti.

Bule                              - Ma ce n'è. Dei lunghignoni, stecchi, pisciaceto, come per esempio il sagrestano (si scalda) quel giuraddio di sagrestano che fa lo spasimante a Flavia, e finirà per...

Ritge                             - Qui ti fermo; tu corri troppo, Bule, te l'ho detto.

Bule                              - (seguita) E mia figlia che si lascia abbrac­ciare a due passi dal cadavere di suo padre. Si lascia brancicare... Ah, vedi, Ritge, quando penso a tutte queste cose, mi dispiace forte che non siamo rimasti morti come eravamo. (Breve pausa).

Ritge                             - Ma noi siamo morti.

Bule                              - Che dici?

Ritge                             - Siamo morti; perché nessuno ci crede vivi.

Bule                              - Perdio, se è vero! È uno spavento. Nes­suno crede più a noi; nessuno. (Disperato) Nessuno! (Pausa. Entra, dalla strada, un bambinetto solo solo; avanza verso i due, con una specie di ardita timidità. Bule, duro) Che vuoi?

Il Bambino                    - San Nicola...

Bule                              - San Nicola non c'è più.

Il Bambino                    - Sì che c'è: lo vedo.

Bule                              - Tu vedi...

Ritge                             - (l'interrompe) Taci!

Il Bambino                    - (a Bule) E voi siete San Nicodemo.

Bule                              - Io sono...

Ritge                             - (l'interrompe) Lui è San Nicodemo.

Il Bambino                    - (inginocchiandosi) Gran santi...

Bule                              - Basta. E prima di tutto, alzati.

Ritge                             - Ci stai, zitto? (Al bambino) Di' pure.

Il Bambino                    - San Nicola: ho una lettera per voi. La mamma l'ha scritta perché io non so ancora, ma le cose che sono là sulla carta le ho dette tutte io...

Ritge                             - Dà a me. (Il bambino esegue) Io la leggerò. E tu avrai tutto quello che domandi in questa lettera. Avrai tutto.

Il Bambino                    - (sgrana gli occhi) Dio Signore! Ah lo sapevo. Lo sapevo. (Si alza) Sono contento.

Bule                              - Che cosa sapevi?

Il Bambino                    - Che eravate santi veri. I miei amici dicono così che non bisogna crederci... che non è vero. Ma io sapevo... sapevo bene... (Si alza) E sono contento.

Ritge                             - (commosso) E non è bello, questo, Bule grassone?

Bule                              - (commosso) Bello... sì. Bello. (Al fanciullo) Sicché io sono San Nicodemo!

Il Bambino                    - Sicuro, che siete San Nicodemo. Ma bisogna avere la faccia più nera perché San Nico­demo era nero.

Bule                              - Vieni qui. Ti voglio dare un bacio prima di annerirmi la faccia. (Gli dà un bacio) Ah, piccolo uomo di fede. (Va dietro il banco) To' piglia questo. (Gli porge uno dei panieri) Prendi intanto questo in attesa delle cose che sono nella lettera.

Il Bambino                    - (s'illumina tutto) Oh, oh... grazie... Arrivederci gran santi. (Se ne va di corsa).

Bule                              - (esultando) Eccoci rimessi al mondo.

Ritge                             - (e. s.) Sì, mio buon Bule: da un bambino.

Bule                              - Puro, bianco.

Ritge                             - Che ci somiglia.

Bule                              - Sì, perché noi siamo due bambini.

Ritge                             - ... un po' rugosi e tarlati.

Bule                              - Solo la pelle, Ritge, la pelle. Perché dentro, il cuore... il cuore è liscio.

Ritge                             - Sì, Bule: il cuore è liscio.

Bule                              - Giusto. E ben detto, davvero: il cuore, dentro, in noi, è liscio. Su, su, cantiamo un po' con tutto il nostro cuore senza rughe. (Intonano la can­zone « San Nicodemo è nero ». Rumori a sinistra. Entra Giacche. La canzone è interrotta).

Giacche                         - Fantasmi o non fantasmi?

Ritge                             - Come vorrai tu, ragazzo mio.

Giacche                         - Allora meglio peccatori di carne e ossa che santi di vento o di nebbia.

Ritge                             - Accordato, Giacche. Tu vedi qui davanti a te due peccatori.

Bule                              - Ma bene in carne. (Ridono tutti e tre).

Gheleke                         - (entra tutta paurosa) Papà, siete voi, papà.

Bule                              - Faccio buonanima chi dirà il contrario. (Gheleke si alza e si getta fra le sue braccia) Gheleke, cara Gheleke...

Giacche                         - (andando alla porta) Tutto va bene, Flavia: vieni un po' qui...

 Flavia                           - (sulla soglia della porta) Oh!!!... oh!... Baldovino! Non eri morto?

Bule                              - Ero.

Flavia                            - E adesso, finito?

Bule                              - Hm... hm... Finito, sino alla prossima.

Flavia                            - Oh, Bule! Bule!

Bule                              - (piange) Su, su! (L'abbraccia e la bacia) Il sagrestano avrà da aspettare per un pezzo, la mia vedova!

Flavia                            - Oh Dio! L'hai saputo?

Bule                              - Noi sappiamo tutto. E anche di più. Ma tu sei l'ultima buona moglie. (Entra Menza).

Menza                           - (piange di gioia) È un miracolo.

Ritge                             - Non piangere. Sei coraggiosa, tu.

Menza                           - Oh, Ritge Bans.

Ritge                             - Sei brava e di gran cuore. (L'abbraccia e la bacia. Tutti si abbracciano e si baciano).

Bule                              - (sciogliendosi) Ecco: l'immagine del Para­diso. (Risata generale. Entra il sagrestano).

Il Sagrestano                 - Flavia! Flavia! Il funerale è...

Ritge                             - (con voce sepolcrale) Einviato.

Il Sagrestano                 - Oh perdiaccia! (Scappa. Risate).

Bule                              - Non lo rivedremo tanto presto.

Ritge                             - Questo è positivo. Se l'è fatta nei cal­zoni. (Altra risata).

Bule                              - E adesso, di noialtri, basta. Largo ragazzi; largo ai ragazzini di Fiandra. (Ha preso il vasetto del lucido e si annerisce la faccia) San Nicodemo era nero. Ah, ah, ah! In cammino!

Ritge                             - In cammino! Faremo il nostro giro senza sborniarci.

Bule                              - E senza bestemmiare.

Ritge                             - E senza empirci la pancia come cannibali.

Bule                              - Solo un pezzettino di salsiccia. (Dà un morso alle salsicce).

Ritge                             - E una sorsatina di grappa. (Beve a una delle sue bottiglie. La grappa gli va a traverso e tossisce) Bule, amico mio!

Bule                              - Che vuoi?

Ritge                             - Ricominciamo già...

Bule                              - Sì. A far peccati.

Ritge                             - Via queste bottiglie. (Le butta via).

Bule                              - Via queste salsicce. (Fa per gettarle via, si ferma, dà un morso e poi le butta) Ah sarà amaro, amico mio!

Ritge                             - È positivo, ma il cielo è così dolce! Arrivederci!

Tutti                              - Arrivederci! (Tutti intonano la canzone: « San Nicodemo è nero ». Campane di fuori, luce di neve. Tutti si inginocchiano. I due santi lentamente si avviano verso la porta).

FINE.