Pick-Up girl

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PICK-UP GIRL

Cronaca in tre atti

di ELSA SHELLEY

Versione italiana di Giampiero Rolandi e Guido Rosada

PERSONAGGI

IL GIUDICE BENTLEY - ELIZABETH COLLINS –

PETER MARTI - LA SIGNORA COLLINS –

LARRY WEBSTER - LA SIGNORA MARTI –

LA SIGNORA BUSCH - IL SIGNOR COLLINS –

OWENS, poli­ziotto - RUBY LOCKWOOD –

ALEXANDER ELLIOTT - IL SIGNOR BRILL –

LA SIGNORINA PORTER - JACK POLUMBO –

LA SIGNORINA RUSSELL - JEAN –

MARY - UN CANCELLIERE UN USCIERE

Un tribunale per minorenni, in America, ai giorni nostri


ATTO PRIMO

L’aula di un tribunale per minorenni

L'aula, di medie dimensioni, è ammobiliata con semplicità. Sono stati fatti notevoli sforzi per abo­lire il severo aspetto legale del tribunale. Non in è il posto per i giurati, ed il giudice siede su una bas­sa piattaforma circondata da una balaustra. Però questa piattaforma e la scrivania dalla quale il giu­dice presiede, costituiscono una sufficiente separa­zione tra la giustizia ed i giovani delinquenti. Nell'aula vi sono tre porte. Una al centro della parete di fondo che mette nella sala d'aspetto. La seconda sulla destra, che mette nello studio del giudice; la terza a sinistra che conduce in una stanza nella quale vengono custoditi i ragazzi in attesa del pro­cesso. La parete di sinistra ha tre finestre; sotto la piattaforma del giudice v'è un lungo tavolo sul quale il giudice depone i documenti, una volta fir­mati, ed al quale siede l'ufficiale delle prove, che prende appunti sullo svolgersi del processo. Sulla sinistra v'è un altro tavolo ad uso degli ufficiali investigatori. Al centro della stanza vi sono diver­se panche; altrettanto sulla sinistra, e tutte sono rivolte verso la piattaforma del giudice. Alle spalle del medesimo pende una grande bandiera ameri­cana. Sulla porta della parete sinistra, un orologio. I vetri della porta che mette nella sala d'a­spetto sono trasparenti. La sede dei testimoni si trova sulla piattaforma, a sinistra della scrivania del giudice. Epoca: una giornata di giugno.

 (Al levar del sipario la Corte è in sessione. Pre­sidente il giudice Bentley. Questi ha occhi pene­tranti, ha l'aspetto di un energico uomo di circa cinquantacinque anni, rapido e preciso nei suoi movimenti. Non ha l'abitudine di guardare spesso negli occhi le persone che testimoniano; ma quan­do lo fa le inchioda con un'occhiata. E' occupato a leggere documenti ed a firmare delle carte, men­tre procede nell'esame di un « coso ». Non indossa la tradizionale toga di giudice, bensì un elegante abito di ottima fattura. Mentre si leva il sipario il giudice sta firmando un documento. La signo­rina Porter, la stenografa della Corte, una zitella di circa quarant'anni, è seduta, al tavolo sulla) piattaforma e mette in ordine alcune carte. La, signora Busch, una delle investigatrici, ha circa cinquant'anni, e siede al tavolo di destra, scriven­do e prendendo appunti. Il cancelliere, un uomo di circa quarant'anni, è indaffarato al suo tavolo che si trova sulla sinistra. La signora Busch si alza e si dirige verso il tavolo di sinistra con due petizioni. La signorina Porter prende un bicchiere dalla scrivania, va al piccolo serbatoio che si trova sulla destra, lo riempie e lo riporta sul tavolo del giudice, infine si risiede alla propria scrivania. L'usciere, un uomo di circa cinquant'anni, entra dalla porta della sala d'aspetto e si dirige verso la piattaforma del giudice).

Il Giudice                      - (ha firmato un documento e lo passa al tavolo che ha di fianco) Va bène. H prossimo caso. (St rimette ad esaminare alcuni documenti sul suo tavolo).

L'Usciere                       - (di fronte alla piattaforma) Giu­dice Bentley...

Il Giudice                      - (senza alzare la testa) Sì?

L'Usciere                       - Vostro Onore, c'è una signora che dice di essere amica del giudice Regan, quello del­la Sessione speciale...

Il Giudice                      - (interrompendolo ma continuando però nel suo lavoro) Cosa vuole?

L'Usciere                       - Dice che le piacerebbe assistere a un processo di questa Corte.

Il Giudice                      - S'interessa di problemi sociali?

L'Usciere                       - Non credo, almeno non l'ha detto.

Il Giudice                      - Che sia un'insegnante, una dotto­ressa o una studentessa di legge?

L'Usciere                       - Ha detto solo che le piacerebbe vedere che cosa succede in un tribunale per ra­gazzi, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Allora ditele che quello che suc­cede in questo tribunale non può essere esposto alla curiosità del pubblico.

L'Usciere                       - (scusandosi) Gliel'ho detto, Vostro Onore, ma insiste e dice di essere un'amica del giudice Regan, e...

Il Giudice                      - (alzando la testa ed interrompendo. bruscamente) Non m'importa di chi sia amica! Questo è un tribunale per minorenni e non è per­messo al pubblico di vedere o sentire quello che si svolge in quest'aula. Grazie a Dio la legge è chiara su questo punto... Ditelo alla signora e fatele le mie scuse... E cominciate col prossimo caso.

L'Usciere                       - Sì, Vostro Onore.

La signorina Porter       - (legge dall'ordine del gior­no del tribunale) Caso di Elizabeth Collins. (La signora Busch si alza e si dirige a destra. L'usciere si ferma dinanzi al tavolo della signorina Porter).

Il Giudice                      - (rivolgendosi alla signorina Porter) Chi è l'ufficiale che ha istruito questo caso? (L'usciere si dirige verso la porta centrale).

La signora Busch          - (fermandosi) Questo caso è mio, Vostro Onore.

L'Usciere                       - (apre la porta della sala d'aspetto e legge un elenco di nomi da un foglio che tiene in mano) Collins, Marti, Webster, Elliott, Lock-wood... (La porta si richiude alle sue spalle).

Il Giudice                      - Quanti altri casi abbiamo oggi, signorina Porter?

La signorina Porter       - Dopo quello di Elizabeth Collins, solo uno, Vostro Onore.

La signora Busch          - Jackie Polumbo. Anche questo è mio. (Sta scrivendo).

Il Giudice                      - E quanti ne abbiamo già esami­nati oggi?

La signorina Porter       - Trentotto.

La signora Busch          - (si avvicina alla sedia dei te­stimoni e la raddrizza) Il mese scorso, quando c'era il giudice Mac Gregor, in un giorno sono pas­sati per questa Corte sessantacinque ragazzi. In un solo giorno! (Rivolgendosi alla signorina Porter) Ricordate? (Si dirige verso la piattaforma e comincia a parlare al giudice. Il giudice scuote la testa gravemente. L'usciere apre entrambe le porte e fa entrare la signora Kate Collins, la signora Marti, Larry Webster, Alexander Elliott ed il si­gnor Brill, avvocato. La signora Collins siede sulla panca N. 2, a sinistra, Larry passa dietro rapida­mente alla N. 1 e N. 2, poi si siede alla N. 2. La signora Marti siede nella N. 4, mentre Elliott e Brill si fermano. Larry si gratta il naso).

L'Usciere                       - Sedetevi dove volete. (Brill e El­liott vanno a sedersi presso la finestra. Una pausa. Elliott e la signora Collins tossiscono. Elizabeth appare accompagnata da Owens, un poliziotto; costui ha aperto la porta di sinistra e l'ha fatta entrare. Elizabeth ha quindici anni ed è spaurita e sgomenta. Sta per dirigersi verso destra, ma Owens l'accompagna a sinistra).

La signora Busch          - (accompagna Elizabeth di fronte alla piattaforma. Da questo momento è lei che si cura della ragazza) Grazie, Owens. (La signora Busch si risiede al proprio tavolo, mentre Owens si siede accanto alla finestra e si pone a chiacchierare col cancelliere. Elizabeth è una ra­gazza dai capelli d'oro e dal volto dì bimba, ha un corpo bello, ma in fase di sviluppo. Nonostante che la giornata sia soffocante, indossa una giacca rossa con un collo di pelo bianco. E' timida. Mentre guarda il giudice abbozza un sorriso spaventato).

Il Giudice                      - Sei tu Elizabeth Collins?...

Elizabeth                       - (spaventata e rispettosa) Sì... Vo­stro Onore... sono io.

Il Giudice                      - (annuisce e le dà un'occhiata di esame. Poi si rivolge ai testimoni) Chi sono i geni­tori di questa ragazza?

La signora Collins         - Io sono sua madre, Vo­stro Onore.

Il Giudice                      - Venite qui, signora. (Le fa cenno di avvicinarsi. Ella si accosta alla piattaforma).

La signora Collins         - Mio marito non è ancora arrivato. Ho paura che faccia tardi.

Il Giudice                      - Perché dite dì temere che faccia tardi, signora? Vi era stato ordinato di essere qui alle dieci stamattina ed ora sono quasi le quattro.

La signora Collins         - Lo so, Vostro Onore, scu­satemi.

La signorina Porter       - Non la sento, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Su, parlate più forte, altrimenti la stenografa non vi può sentire.

La signora Collins         - Ma io sono qui da sta­mattina alle dieci... Però, come ho detto all'altro giudice due settimane fa, durante il... il... come lo chiamate?

Il Giudice                      - L'istruttoria.

La signora Collins         - Appunto. Avevo detto al giudice che mio marito non è ancora in città. Vie­ne dalla California in autobus, ed ho paura che sia in ritardo... Mi dispiace, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Vostro marito vive in California?

La signora Collins         - Sì. Lavora là, Vostro Onore. Gli ho scritto che la nostra ragazza era in questo pasticcio, e lui mi ha risposto che verrà qui espressamente... (Elizabeth si avvicina maggior­mente alla signora Collins) oggi... e... ho anche la sua lettera, Vostro Onore. (Tiene in mano una let­tera sgualcita. La signora Busch la prende e la porge al giudice).

Il Giudice                      - (dà un'occhiata atta lettera e la re­stituisce) H timbro postale è sufficiente, signora Busch... (La signora Collins mette a posto i capetti e l'abito di Elizabeth).

La signora Busch          - Sì, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Esamineremo ora l'altro vostro caso. (Rivolgendosi alla signora Collins) E speriamo che intanto vostro marito arrivi. (Comincia ad esa­minare le carte, e la signora Busch gli passa dei documenti).

La signora Collins         - Grazie, giudice.

Il Giudice                      - Sedete.

La signorina Porter       - (si alza. All'usciere) Il caso Jack Polumbo.

L'usciere                        - (apre la porta della sala d'aspetto e comincia a fare l'appello chiamando) Polumbo, Russell... (La porta si chiude alle sue spalle).

La signora Busch          - (contemporaneamente, paca­tamente alla signora Collins) Potete sedervi là. (Elizabeth e la signora Collins si spostano a si­nistra).

La signora Collins         - Il mio cuore batte come un martello.

La signora Busch          - (a Elizabeth) Siediti qui. (Elizabeth si siede sulla sedia indicata, al centro dell'aula e lontana dagli altri testimoni).

La signora Collins         - (tornando da Elizabeth, in fretta, mentre sorveglia il giudice intento ad osser­vare delle carte) Dammi la giacca.

Elizabeth                       - (implorando) Voglio tenerla ad­dosso, Ma.

La signora Collins         - (con fermezza) Fa troppo caldo oggi. Il giudice penserà che sei scema! To­glila! (Elizabeth si alza riluttante e dà alla madre l'indumento. Questa ritorna a sedere al N. 2. L'u­sciere apre la porta della sala d'aspetto e fa entrare Jackie Polumbo, un ragazzetto di nove anni, e la signorina Russel, la sua insegnante, una donna di una Quarantina d'anni molto affettata. L'usciere fa sedere la signorina Russel sulla panca N. 1 di sinistra ed esce. La signora Busch si incarica di Jackie e lo porta dinanzi alla piattaforma del giu­dice. Jackie è un ragazzo tutto stracciato e scar­migliato; indossa calzoni alla zuava troppo grandi per lui; le sue scarpe sono rotte e la camicia è sporca. La signora Busch si sposta a destra e siede al suo posto. Il giudice guarda il ragazzo sopra gli occhiali).

Il Giudice                      - Sei tu Jack Polumbo?

Jackie                            - Sì.

Il Giudice                      - Sei qui solo, Jackie? Non ci sono i tuoi genitori?

Jackie                            - No.

La signora Busch          - Vostro Onore, la madre del ragazzo è morta, ed il padre lavora a stagione. In questo momento è occupato, perciò non ha potuto comparire qui. (Jackie si volta verso sinistra) La nonna si occupa della famiglia, ma - (obbliga Jackie a voltarsi di nuovo verso il giudice) oggi è malata e non ha potuto venire. Voltato, Jackie. (I calzoni di Jackie scivolano lungo le gambe).

Il Giudice                      - (annuisce) Allora, Jackie, cosa c'è che non va? Qui sta scritto che prendi in giro la gente e che sei molto impertinente colla tua mae­stra. Cos'hai da dire per scusarti? (La signora Busch torna a sedersi).

Jackie                            - (guarda il giudice e poi la terra. Scrolla le spalle) Niente.

Il Giudice                      - (dopo aver consultato un elenco di nomi) Signorina Russell. (La signorina Russell si alza, si avvicina alla cattedra e Jackie la guarda) Prendete posto, prego. (La donna sale sulla piat­taforma ed il giudice la fa giurare).

La signorina Russell      - Giuro. (Siede).

Il Giudice                      - Siete insegnante?

La signorina Russell      - Sì, vostro Onore. Nella scuola pubblica numero 63.

Il Giudice                      - Jackie Polumbo è vostro allievo?

La signorina Russell      - Sì.

Il Giudice                      - Avete avuto delle noie a causa sua?

La signorina Russell      - Proprio così, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Raccontate quel che è successo.

La signorina Russell      - Ecco, molte cose spia­cevoli. Ma mercoledì scorso in modo particolare..... Stavo per terminare la lezione, quando Jackie bloccò la porta e non voleva lasciar uscire i ra­gazzi.

Il Giudice                      - (si china e dà un'occhiata al ragazzo) Non potevate allontanarlo, signorina?

La signorina Russell      - E' più forte di quel che sembra. Non ho potuto farlo allontanare dalla porta.

Jackie                            - (con ira, alla signorina Russell) Perché non volevate darmi indietro la mia armonica!

La signorina Russell      - Vostro Onore, gli avevo portato via l'armonica perché si era messo a suo­nare durante la lezione; e mentre glie la prendevo, mi ha morso la mano. (Mostra la mano al giudice) E alla fine delle lezioni, poiché non gli volevo resti­tuire l'armonica, ha bloccato la porta gridandomi delle parolacce.

Il Giudice                      - Cosa ha detto?

La signorina Russell      - (terrorizzata) Oh! Non vorrete forse che io le ripeta, Vostro Onore?!

Il Giudice                      - Sì, signorina. Altrimenti come fa­rei a saperlo?

La signorina Russell      - (scuote la testa) Mi spiace, Vostro Onore, io... io non sono proprio ca­pace di ripeterle.

Il Giudice                      - (Jackie si trova a disagio. Enfatica­mente) Signorina, questo è un tribunale, e in tribunale si dice pane al pane e vino al vino. Le mie decisioni sono subordinate ai fatti che mi ven­gono riferiti. Dunque, bisogna saperli questi fatti. Allora, che cosa vi ha detto il ragazzo?

La signorina Russell      - (abbassa gli occhi) Ec­co... io... (Deglutisce) Quando gli ho detto che avrei fatto rapporto al direttore, mi ha detto... di an­dare... a farmi... fare qualche cosa.

Jackie                            - (si avvicina minaccioso alla signorina Rus­sell) Perché m'avete dato un calcio nello stinco! (Guarda il giudice e torna al suo posto).

La signorina Russell      - L'ho fatto per auto­difesa, Vostro Onore. Quando ho cercato di allon­tanarlo dalla porta, è diventato una furia.

Il Giudice                      - Signora Busch, c'è un registro delle assenze?

La signora Busch          - Oh, sì, Vostro Onore. (Legge da un foglio che prende in mano) In maggio otto giorni interi e tre mezze giornate; in giugno, que­sto mese, quattro giorni interi, finora.

Il Giudice                      - Vieni qui, Jackie. (Jackie comin­cia a muoversi, ma esita) Coraggio, non aver paura della tua maestra. (Jackie sale sulla piattaforma alla sinistra della scrivania del giudice).

La signorina Porter       - (lo guida) Su, Jackie.

Il Giudice                      - (si toglie gli occhiali) Jackie, tu sei un cattivo ragazzo. Non ti meriti una buona educazione e non ti meriti nemmeno una buona maestra.

Jackie                            - (guarda la signorina Russell) Ce l'ha sempre con me, e mi dice sempre ignorante e zuccone.

Il Giudice                      - Tutti i ragazzi che suonano l'ar­monica quando dovrebbero stare attenti alla lezione sono degli ignoranti. E tutti i ragazzi che prendono in giro la gente sono degli zucconi. Dunque: (si volta) ti posso mandare in un posto dove t'insegne­ranno ad essere un bravo ragazzo. Oppure posso dare a tuo padre una multa di 50 dollari perché tu sei stato cattivo.

Jackie                            - Bene, mandatemi pure.

Il Giudice                      - Vuoi proprio essere mandato lì?

Jackie                            - No. Ma mio padre non ce li ha i cin­quanta dollari.

La signorina Russell      - Vostro Onore,, ho par­lato a lungo col padre di Jackie e m'ha detto che - il ragazzo è nervoso.

Il Giudice                      - (esamina un rapporto) Il referto medico che ho qui non ne parla... (A Jackie) Perché sei nervoso?

Jackie                            - Mi fanno male le tonsille. (Si tocca la gola con la mano sinistra).

La signora Busch          - Le sue tonsille non sono a posto.

Il Giudice                      - (alla signora Busch. Ella annuisce) Non è una buona ragione perché dica delle pa­rolacce alla sua maestra. Allora, Jackie, ti voglio dare ancora una possibilità. Se ti dovessero por­tare qui un'altra volta, ti allontanerò da tuo pa­dre e ti farò mettere in un riformatorio. Dunque, vuoi dimostrarmi che sai essere un bravo ragazzo, Jackie?

Jackie                            - (con calma) Va bene.

Il Giudice                      - D'accordo. Puoi andare.

La signorina Porter       - Stai attento di non ca­scarci un'altra volta. (Si alza e lo fa allontanare dalla piattaforma, poi torna a sedersi. Entra l'usciere. La signora Busch si alza, si avvicina a Jackie e lo accompagna fuori).

Il Giudice                      - (alla signorina Russell) Potete an­dare, signorina. (Ella si alza ed esce, lasciando ca­dere i guanti).

 L'Usciere                      - (è ora di fronte alla cattedra) Vo­stro Onore, c'è al telefono il Procuratore Distret­tuale. Dice che vi vorrebbe parlare del caso di Elizabeth Collins, se avete un minuto libero.

Il Giudice                      - (annuisce, si alza, e tutti nell'aula si alzano alla loro volta) Passate la comunicazione nel mio studio. (La signora Busch entra e si dirige al suo tavolo).

L'Usciere                       - Sì, Vostro Onore. (Esce rapida­mente).

Il Giudice                      - (scende dalla piattaforma, si dirige verso lo studio, ma si ferma) Signorina Porter, non ho visto il rapporto della scuola. E' lì? (Indica la propria scrivania).

La signorina Porter       - (si alza e si dirige alla scri­vania del giudice) Tutti i rapporti sono qui, Vostro Onore. Ve li metterò in ordine. (Si siede. Il giudice annuisce ed esce) Ho idea che questa faccenda di Elizabeth Collins vada per le lunghe.

La signora Busch          - Sì, guardate un po' quanti testimoni. E pensare che io ho un invito a pranzo.

La signorina Porter       - Sono stufa di mangiare tutte le sere con mia madre. (La porta della sala d'aspetto viene aperta da Collins che entra con esitazione, incerto del posto dove si trova. Ha 45 anni circa, aspetto umile con un viso preoccu­pato ed occhi spesso esaltati per la disgrazia di sua figlia. La signora Busch gli va subito incontro).

La signora Busch          - Che cosa desiderate?

Collins                           - (a bassa voce) E' questo il tribunale dei minorenni?

La signora Busch          - Sì.

Collins                           - (apre un po' di più la porta e avanza di un altro passo) Mia figlia... ecco... (Si guarda rapidamente attorno e vede Elizabeth) Ectola là. (Elliott e Brill sussurrano qualche cosa).

La signora Collins         - (eccitata) Carlo! (Gli va incontro rapidamente. Elizabeth la sente e si alza guardando il padre).

Collins                           - (a sua moglie) Ciao, Gate.

La signora Collins         - (alla signora Busch, ecci­tata) Mio marito!

La signora Busch          - (un po' brusca) Ah, sì. n giudice vi ha aspettato.

Collins                           - (scusandosi) L'autobus è arrivato sol­tanto pochi minuti fa. Non ho potuto farci niente, signora.

La signora Busch          - Sedete ed aspettate. (Co­mincia a muoversi verso destra).

Collins                           - Posso salutare mia figlia, per favore?

La signora Busch          - (con indifferenza) Sì, sì, finché il giudice è fuori. (Riprende la conversazione con la signorina Porter).

La signora Collins         - (con voce tesa e bassa men­tre si muove assieme al marito verso Elizabeth) Ecco, siamo in un bel pasticcio. Non so cosa fa­ranno di Elizabeth. (Ambedue si spostano verso si­nistra) Vedi quell'uomo?

Collins                           - Quale?

La signora Collins         - Quello in grigio. E’ stato arrestato assieme ad Elizabeth.

Collins                           - Gli spacco il muso, io, a quel figlio di put... (Elliott si aggiusta nervosamente la cra­vatta).

La signora Collins         - (interrompendolo) Tu non far niente: ci danneggerebbe poi col giudice. (Mo­stra la scrivania del giudice. Collins si guarda at­torno e si dirige da Elisabeth, seguito dalla moglie).

Collins                           - Betty!

Elizabeth                       - (gli butta le braccia attorno al collo, felice di vederlo) Ciao, Pà! Uh!... (Scoppia in lacrime) Mi dispiace così tanto di darti tutte que­ste noie!

Collins                           - Sh-Sh. (La fa sedere. Si siede sulla panca N. 3).

La signora Collins         - Adesso le dispiace!

Elizabeth                       - Mi vogliono mandar via, Pà! Mi farai uscire di qui?!

Collins                           - Faremo tutto il possibile, per te. E poi non sai che ho una sorpresa; andremo in California!

La signora Collins         - (siede sulla sedia di Elisa­beth) In California!

Collins                           - Ho affittato una casa, prima di par­tire.

Elizabeth                       - (gli occhi le scintillano per l'eccita­zione) Una casa? Tutta per noi?

Collins                           - Tutta per noi! Con un giardino da­vanti ed uno dietro. E cosa credi che cresca, là? Aranci.

Elizabeth                       - (esclama emozionata) Oh!

La signora Collins         - E come possiamo pagarlo, un posto come quello?

Collins                           - L'affitto di tutta la casa non costa più di quello che paghiamo per l'appartamento del­la 58.ma Strada.

La signora Collins         - Ma come troveremo il de­naro per trasferirsi in California?

Collins                           - Ho fatto un debito.

La signora Collins         - (terrorizzata) Un altro debito?

Collins                           - Potresti dirmi in due parole quel che è successo? Così potrò aiutarti meglio, poiché io so che tu sei innocente.

Elizabeth                       - (si volta verso sinistra) Non te lo posso dire.

La signora Collins         - (si alza, si dirige verso il centro dell'aula) E' tutto quello che si riesce a farle dire: « Non te lo posso dire ». E tutto quello che sapevo io te l'ho scritto: due settimane fa, venerdì scorso, un poliziotto è entrato in casa no­stra ed ha arrestato... (Il giudice Bentley rientra, si dirige verso la propria scrivania e sì mette a sedere. Collins si alza) Oh, ecco il giudice.

L'Usciere                       - (entra, va al tavolo di sinistra e passa delle carte al cancelliere) Altri tre per domat­tina.

La signora Busch          - (torna al proprio tavolo e si siede) Vostro Onore, è arrivato il padre della ragazza.

 Il Giudice                     - (annuisce) Sta bene... Signori Col­lins, volete venire avanti, per favore? (I coniugi si avvicinano alla cattedra) La ragazza è assistita da un avvocato?

Collins                           - (confuso) Mah... no, Vostro Onore, io... (Guarda la moglie) Sono appena arrivato in città.

La signora Collins         - Abbiamo bisognò di un avvocato, Vostro Onore?

Il Giudice                      - No... Vostra figlia non ha bisogno di un avvocato qui più di quanto ne avrebbe se la interrogaste voi stessi nella vostra casa. I com­piti del tribunale per minorenni sono di pura assi­stenza. Lo capite, vero?

Collins                           - (commosso) Grazie, Vostro Onore.

La signora Collins         - (comincia a piangere) E' la prima volta che Elizabeth ha fatto qualcosa dì tanto terribile, e noi non ne sapevamo nulla.

Il Giudice                      - (esasperato) Ecco quello che sento in quest'aula dozzine di volte al giorno, signora...

I genitori non sanno mai quello che i propri figli fanno se non quando succede una tragedia. (Tam­burella sulla scrivania con le dita) Debbo informarvi che la Corte vi consente di avere un avvocato, se ne volete uno. Lo volete?

La signora Collins         - Non abbiamo denaro per pagare un avvocato.

Owens                           - (si mette a sedere sulla panca N. 3. Fa sedere accanto a lui Elizabeth e le parla).

Il Giudice                      - Allora volete che cominciamo su­bito il dibattito? (Annuiscono) Sta bene. Sedetevi, prego. (I coniugi Collins si siedono sulla panca N. 1. II giudice consulta uno dei documenti che gli stan­no dinanzi e chiama) Agente Owens. (Elizabeth fa per alzarsi, ma Owens la respinge, poi si avvicina alla sedia dei testimoni sulla piattaforma e si ferma. Il giudice lo fa giurare) Giurate solennemente dì dire la verità - tutta la verità - nient'altro che la verità, con l'aiuto di Dio?

Owens                           - Lo giuro. (Siede).

Il Giudice                      - Nome e numero di matricola, prego.

Owens                           - (rivolgendosi alla signorina Porter) Michele Owens. Matricola 7112. Diciottesimo di­stretto.

Il Giudice                      - (indicando Elizabeth) Avete già visto questa ragazza?

Owens                           - Sì, Vostro Onore. Venerdì scorso sono state due settimane, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Dove? E in quali circostanze l'avete vista?

Owens                           - In una camera da letto nella casa dei suoi genitori, 58.ma Strada Owest, Vostro Onore. E quando sono entrato nella stanza, era a letto.

Il Giudice                      - Sola?

Owens                           - No, Vostro Onore. Con un uomo.

Il Giudice                      - Riconoscereste quest'uomo, se do­veste vederlo?

Owens                           - Certo, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Si trova in quest'aula? Potete iden­tificarlo?

Owens                           - Sì, Vostro Onore. (Si volge verso i te­stimoni) E' quell'uomo laggiù, quello con l'abito grigio chiaro.

Il Giudice                      - (dopo aver controllato un elenco di nomi) Signor Elliott, volete alzarvi, prego? (Il giudice guarda Owens e questi fa un cenno affer­mativo. Il pubblico si agita, tutti guardano Elliott, meno Elizabeth. Elliott tossisce. Larry si allunga sulla panca. Elliott si alza. E' un uomo di mezza età, ben piantato e ben vestito. E' l'ultima persona che ci si aspetterebbe di trovare coinvolta in un caso del genere: è la personificazione dell'affarista conservatore e fortunato. Mentre si alza ha l'aspetto offeso e pieno di sé. Subito dopo di lui scatta in piedi anche Brill). .

Brill                               - (si alza e si sposta verso destra) Posso pregare la Corte...

Il Giudice                      - Siete l'avvocato del signor Elliott? (Elliott si siede).

Brill                               - Sì, Vostro Onore. (I Collins si parlano sottovoce).

Il Giudice                      - E' il vostro primo caso in un tri­bunale per minorenni?

Brill                               - Sì, Vostro Onore. Mi chiamo Brill.

Il Giudice                      - L'avevo immaginato. Allora per­mettete di informarvi, signore, che la procedura non è affatto normale in un tribunale per mino­renni. Nell'interesse della ragazza la Corte cercherà di sapere tutti i fatti attinenti al caso, e vi sarò grato se vorrete evitare le formalità legali.

Brill                               - (contrariato) Come desidera Vostro Ono­re. (Torna a sedersi).

Il Giudice                      - Ora, signor Elliott... Alzatevi, prego. (Elliott si alza. A Owens) E' questo l'uomo che ave­te visto a letto con Elizabeth Collins?

Owens                           - (sogghignando) Sì, Vostro Onore. (Brill fa nuovamente sedere Elliott e si mette a parlare con lui. La signora Collins si asciuga gli occhi).

Il Giudice                      - Dunque, signor Owens, come mai avete violato il domicilio dei Collins? Avevate avuto qualche denuncia?

Owens                           - Il comando aveva ricevuto una de­nuncia quella mattina, e toccò a me fare l'indagine. La denuncia diceva che vi erano motivi per rite­nere che in quella notte e in quella casa si sarebbe verificato un atto di immoralità. Così, verso le nove, mi sono messo di guardia sul marciapiede di fronte, nell'ombra, assieme alla denunciante. Verso le nove e mezzo vidi passare il signor Elliott ed un ragazzo, e la denunciante me li indicò. (Brill prende ap­punti).

Il Giudice                      - Poi cosa è successo? Proseguite.

Owens                           - Ecco, i due entrarono nella casa... a proposito, Vostro Onore, non ho dovuto forzare l'ingresso, dopo, perché la porta era aperta. Sono entrato in una piccola anticamera.

Il Giudice                      - (annuisce) Procedete.

Owens                           - Dunque, l'uomo ed il ragazzo erano entrati da appena tre o quattro minuti, quando il ragazzo uscì nuovamente.

Il Giudice                      - Allora voi siete entrato.

Owens                           - Ecco, no. Pensai che sarebbe stato me­glio attendere un quarto d'ora, per... Ecco., perché succedesse qualche cosa.

Il Giudice                      - (indignato) Ma sapendo che c'era di mezzo una ragazzina, perché non siete entrato subito, prima che potesse succedere qualche cosa?

Owens                           - (giustificandosi indignato) Vostro Ono­re, il comandante mi aveva ordinato di arrestarli solo se l'accusa fosse stata vera. Se fossi entrato subito e avessi trovato l'uomo a chiacchierare con la ragazza non avrei potuto arrestare nessuno. Vo­levamo l'uomo, noi, non la ragazza.

Il Giudice                      - Chi ha sporto la denuncia?

Owens                           - La signora Marti, una che vive nella stessa casa.

Il Giudice                      - Signora Marti... alzatevi, prego. (La signora Marti si alza. Il giudice prende un'anno­tazione) E' questa la signora che ha sporto la de­nuncia?

Owens                           - Sì, Vostro Onore.

La signora Collins         - (balza in piedi, guarda la signora Marti e comincia a gridare. Verso il centro prima e poi a destra) Quella ficcanaso! Ci è sem­pre gironzolata attorno spiando la mia famiglia. (La signora Marti siede. Collins cerca di far sedere la moglie, ma ella lo allontana bruscamente).

Il Giudice                      - (picchia il martelletto per ristabilire l'ordine) Signora Collins, se volete rimanere nell'aula dovete mantenervi calma. Capito?

La signora Collins         - Scusatemi, Vostro Onore. (Siede).

Il Giudice                      - (di nuovo a Owens) C'erano altri famigliari in casa, quella notte, oltre a questa ra­gazza?

Owens                           - C'erano altri tre bambini, Vostro Ono­re. Piccoli. Dormivano in un'altra stanza da letto.

Il Giudice                      - C'erano altri adulti in casa... oltre al signor Elliott?

Owens                           - Nessuno. La ragazza mi disse che la madre sarebbe tornata soltanto la mattina dopo ed il padre era fuori città. La signora Marti, la denunciante, si è offerta di badare ai tre piccoli per la notte ed io glie li ho lasciati.

Il Giudice                      - Quando siete entrato nell'appar­tamento, Elizabeth ed il signor Elliott vi hanno sentito?

Owens                           - Credo di no, Vostro Onore, perché avevano proprio un'aria sorpresa quando entrai nella camera da letto. La porta era chiusa, sapete... ed era buio. Ma appena spalancata la porta trovai l'interruttore della luce e lo girai.

Il Giudice                      - Cosa indossava il signor Elliott, quando siete entrato nella camera da letto?

Owens                           - (guarda Elliott) Soltanto una canot­tiera, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Ed Elizabeth?

Owens                           - Niente. (La signora Collins piange).

Il Giudice                      - E poi cos'è successo? Li avete por­tati al comando? (Brill ed Elliott parlano tra di loro).

Owens                           - Sì, Vostro Onore. Ordinai loro di ve­stirsi e, proprio mentre stavamo uscendo, arrivò il ragazzo con una bottiglia di whisky. Allora li ho portati al comando tutti e tre. Elliott è stato trat­tenuto assieme alla ragazza ed il ragazzo è stato rilasciato.

Il Giudice                      - (con uno sguardo malizioso) E la bottiglia?

Owens                           - (con una smorfia) Fatta fuori, Vostro Onore. (Il giudice ride. Owens sorride).

Il Giudice                      - Sta bene, Owens. Potete andare. (La signora Collins tossisce. Owens torna dal can­celliere e si mette a parlare con lui, quindi esce da sinistra).

Brill                               - (si alza e si dirige verso la cattedra) Posso chiedere a questa Corte...

Il Giudice                      - Sì, che c'è?

Brill                               - Se questa Corte permette... vorrei avere un'informazione.

Il Giudice                      - Sì...?

Brill                               - Vostro Onore, senza dubbio l'Ufficio del procuratore distrettuale citerà in causa penale il mio cliente signor Elliott... (Con indignazione) Il che naturalmente è ridicolo, perché qui non si tratta di stupro, ecco... (guarda Elizabeth con oc­chio accusatore)... ma, nel caso in cui il mio cliente dovesse essere processato, lo sarà in un tribunale normale... Vostro Onore, come è possibile proces­sare lo stesso uomo in due tribunali diversi per il medesimo reato? (L'usciere si alza ed esce da destra).

Il Giudice                      - (interrompendolo) Ma qui non pro­cessiamo il vostro cliente, signore. Lo abbiamo con­vocato qui perché abbiamo il diritto d'interrogarlo in questo tribunale in quanto ha contribuito alla consumazione di un reato di una minorenne. (Con­sulta la lista dei nomi e chiama) Lawrence Webster, vieni qui. (Brill, battuto ancora una volta, torna a sedersi. Larry si alza e si dirige rapidamente verso la sedia dei testimoni. E' un ragazzo di sedici anni che mastica nervosamente gomma) Fate copia del verbale della testimonianza di Elliott per l'Ufficio del Procuratore distrettuale.

La signorina Porter       - Sì, Vostro Onore.

Il Giudice                      - (comincia a far giurare il ragazzo, ma sì arresta ed abbassa la mano. A Larry) Larry, sai cos'è un giuramento?

Larry                             - Sì, credo di sì.

Il Giudice                      - Allora, cos'è?

Larry                             - Ecco, è un giuramento.

Il Giudice                      - Mmmh! E' qualche cosa dì più. Quando giuri in tribunale, t'impegni di dire la ve­rità a Dio, non soltanto a me. Lo capisci?

 Larry                            - Sì.

Il Giudice                      - Perciò se mentì potrai ingannare me, ma non ingannerai mai Dio. Capito?

Larry                             - Sì.

Il Giudice                      - Alza la mano destra. Così va bene. Allora, giuri solennemente alla presenza di Dio eter­no di dire la verità?

Larry                             - (masticando) Sì. (Siede).

Il Giudice                      - Dì alla stenografa il tuo indirizzo.

Larry                             - (sempre masticando) 59.ma Strada Ovest. Numero 433.

Il Giudice                      - Non ho sentito. Alza la voce.

Larry                             - 59.ma Strada Ovest; numero 433.

Il Giudice                      - Non andremo avanti finché non avrai finito quella gomma. (Larry si toglie la gom­ma di bocca e non sa che farne. Sta per attaccarla sotto la sedia dei testimoni; ma la signora Busch gli si avvicina con un cestino della carta straccia)

La signora Busch          - Qui. (Gli mostra il cestino. Larry vi butta la gomma. La signora Busch scuote la testa con disgusto e torna a sedersi).

Il Giudice                      - Quanti anni hai, Larry?

Larry                             - Diciassette.

Il Giudice                      - Vai a scuola?

Larry                             - Sì. Seconda avviamento.

Il Giudice                      - In che cosa ti specializzi, Larry?'

Larry                             - Atletica.

Il Giudice                      - (guarda i testimoni) E' venuto. qualcuno con te, oggi? (La signora Busch dice: qualcosa all'orecchio del giudice).

Larry                             - Nessuno. Avevo detto a mio padre di; venire, ma lui mi ha risposto che ho abbastanza lingua da cavarmela da solo; la mamma aveva un mucchio di roba da stirare. Però era spiacente, perché così perdo la paga di un pomeriggio. Vado a lavorare dopo scuola. (La signora Collins dice. qualcosa sottovoce al marito).

Il Giudice                      - Da chi lavori?

Larry                             - Da un droghiere della 59 .ma Strada. Faccio il garzone.

Il Giudice                      - Da quanto tempo conosci Elizabeth; Collins?

Larry                             - Saranno sei mesi. Roby Lockwood ci ha. presentati a scuola. Ruby è mia compagna di classe.

Il Giudice                      - Ed Elizabeth, no?

Larry                             - No. E' una pivella, lei. Ruby ed io siamo anziani.

Il Giudice                      - Due settimane fa, venerdì, sei an­dato in casa dei genitori di Elizabeth col signor Elliott?

Larry                             - (seccato) Sì. Ce l'ho accompagnato io. (Offeso) M'ha detto che voleva vedere Elizabeth soltanto un po', con me, e poi dovevamo andare a fare un giro speciale.

Il Giudice                      - Un giro speciale? (Le sirene suo­nano le quattro).

Larry                             - Sì, insomma, si doveva andare in un ta­barin o qualcosa del genere. (Il giudice reagisce e guarda risentito Elliott) E poi... guarda un po' cosa, ha combinato quello lì.

Il Giudice                      - Quando hai conosciuto il signor Elliott?

Larry                             - Una sera a casa di Ruby. Eravamo tutti lì a divertirci quando è arrivato lui.

Il Giudice                      - Signora Busch, sapete nulla di questa Ruby Lockwood e di sua madre? Sono state trovate?

La signora Busch          - Gli inviti sono stati spediti, Vostro Onore. Ma la loro casa era chiusa e il por­tinaio non sa dove sono andate.

Il Giudice                      - (annuisce) Allora... andavate spesso a casa di Ruby, Larry?

Larry                             - Sì. Quasi ogni notte.

Il Giudice                      - Ma c'era altra gente della fami­glia a casa?

Larry                             - No. Ruby non ha fratelli né sorelle. Non ci ha neanche il padre.

Il Giudice                      - In seconda avviamento non do­vresti dire « non ci ha » neanche il padre.

Larry                             - Non ha il padre.

Il Giudice                      - Morto?

Larry                             - No, non ancora. Solo divorziato.

Il Giudice                      - Ma la mamma di Ruby non era in casa quando andavate a trovare sua figlia?

Larry                             - No, per carità! Quando la signora Lockwood rimaneva in casa, Ruby ci avvisava e noi giravamo al largo.

Il Giudice                      - Perché?

Larry                             - (sogghignando) E allora il bello dov'era?

Il Giudice                      - A che ora vi riunivate di solito?

Larry                             - Verso le otto... appena la signora Lockwood andava a lavorare.

Il Giudice                      - E le ragazze erano tutte della scuola di avviamento o ce n'erano anche di più anziane?

Larry                             - Ma veramente, le ragazze avevano tutte la stessa età, press'a poco: quattordici, quindici. Credo che Ruby fosse la più vecchia.

Il Giudice                      - Quanti anni ha?

Larry                             - Sedici.

Il Giudice                      - Ed oltre al signor Elliot, c'erano molti altri uomini a queste... piccole riunioni?

Larry                             - No. Molti no. Prima eravamo soltanto noi ragazzi, ma poi una volta Ruby ha invitato un tale che aveva conosciuto ad una festa, non so dove, e quello poi è venuto con un amico e via di questo passo. Non erano in molti, ma che razza di scocciatori!

Il Giudice                      - Perché?

Larry                             - Oh, avevano sempre in mano il porta­foglio...

Il Giudice                      - Vale a dire?

Larry                             - Portavano regali alle ragazze. Una volta uno ha portato dei vestiti a tutte quante. Era un commerciante all'ingrosso, quello. E' stato quella notte che Elizabeth ha avuto quella giacca. (Fa se­gno col dito alla giacca).

La signora Collins         - (si alza, guarda prima la giacca, poi Elizabeth e quindi Larry) Guardate che vi sbagliate, giovanotto.

Larry                             - Non mi sbaglio un bel niente: l'ho vi­sta io con questi occhi. (La signora Collins getta la giacca sulla panca, poi guarda Elizabeth. Il giudice cerca di ristabilire l'ordine nell'aula. La signora Col­lins siede e si mette a parlare col marito).

Il Giudice                      - Allora, cosa facevate quando era­vate tutti insieme?

Larry                             - Ci divertivamo.

Il Giudice                      - In che modo?

Larry                             - (imbarazzato) Ecco... Io... Non so... Ci divertivamo.

Il Giudice                      - Liquori?

Larry                             - Qualche volta. Quando li portavano i grandi. Il signor Elliot ne portava.

Brill                               - (balzando in piedi) Vostro Onore, pro­testo! Non posso permettere che questo ragazzo leda la reputazione del mio cliente!

Il Giudice                      - Forse che il vostro cliente non l'ha già fatto abbastanza da solo, avvocato? (Brill siede visibilmente contrariato) E che altro facevate, Larry?

Larry                             - (rassegnato) Si ballava e si giocava.

Il Giudice                      - A che cosa giocavate?

Larry                             - Facevamo la guerra coi cuscini e poi la lotta... (Sogghigna).

La signorina Porter       - Non ho sentito l'ultima frase.

Larry                             - (alla signorina Porter) Facevamo la lotta.

Il Giudice                      - Partecipavano anche gli anziani a questi giochi?

Larry                             - Qualche volta. Però ballavano. (Guar­da il giudice) Ma la lotta... qualcuno spegneva la luce improvvisamente e... via! Nessuno sapeva più cosa succedeva. Roba da matti! (Ride).

Il Giudice                      - (incalzando) Le abbracciavate, le ragazze?

Larry                             - Per forza! Erano loro che lo volevano!

Il Giudice                      - Le ragazze cosa?...

Larry                             - (guarda Elizabeth) Ma sì! A me non piaceva nessuna, solo Elizabeth.

Elizabeth                       - (non vuole che ne parli) Chi ti ha chiesto qualcosa?

Larry                             - Il giudice!

Il Giudice                      - Che c'è, Elizabeth?... Non ti piace Larry?

Elizabeth                       - (abbassa gli occhi) No! (Scuote la testa).

Il Giudice                      - Perché no? (La ragazza non ri­sponde. Il giudice si rivolge a Larry) Perché non le piaci, Larry?

Larry                             - (profondamente colpito) E chi lo sa? Non le ho mai fatto niente di male. Ma mi tratta sempre male. Mi fa gelare come se fossi un veleno o non so cosa...

Il Giudice                      - E allora, come mai ti ha permesso di andare a casa sua con Elliott quella notte?

Larry                             - (imbarazzatissimo) Me l'aveva detto lei.

Il Giudice                      - C'era qualcun'altro dei ragazzi che andasse a casa sua? Ne sai qualcosa?

Larry                             - No, diceva che la mamma non voleva. (Come per consolarsi) Ed era vero perché ho chie­sto agli amici, e tutti m'han detto che non c'erano mai stati.

Il Giudice                      - (severamente) Perché, allora, hai voluto andare?

Larry                             - Perché andavo matto per lei e quando eravamo a casa di Ruby non mi guardava nean­che... neanche quando le ho comprato un disco di Sinatra.

Il Giudice                      - Come hai portato il signor Elliott a casa di Elizabeth? Racconta.

Larry                             - Me l'ha chiesto lui... la prima volta che è venuto a casa di Ruby. Elizabeth doveva an­dare a casa presto, quella sera. E dopo che lei era andata via, il signor Elliott mi ha detto: « Bella cuccioletta, vero? » ed io: «altro che! » e lui: «sai dove sta di casa? » e io: «sì, a due passi da me ». E allora lui dice: «Se mi fai avere un appunta­mento con lei ti dò due dollari, ma Ruby non lo deve sapere». (Spiega al giudice) Sì, perché Ru­by era cotta del signor Elliott. e allora io ho ri­sposto: « Va bene, signor Elliott, vedremo ». (Entra l'usciere che si cerca una sedia e siede) E poi lui ha detto: « Benone, diamoci del tu che io mi chia­mo Alex » e mi voleva dare i due dollari.

Il Giudice                      - Li hai presi?

Larry                             - No. Gli ho detto: « Tienili, Alex. Io me li guadagno in mezza giornata di lavoro ».

Il Giudice                      - Quando gli hai combinato l'ap­puntamento?

Larry                             - Siccome Elizabeth non si è fatta viva da Ruby per un paio di giorni e quando è venuta giovedì sera Elliott non c'era, le ho detto che vo­levo andarla a trovare a casa sua, e lei mi ha detto di sì che andava bene la sera dopo. Allora ho tele­fonato al signor Elliott e gli ho detto che avevo fissato l'appuntamento a casa di Elizabeth, ma che Elizabeth voleva anche me. Lui allora ha doman­dato se c'era a casa il papà o la mamma e io gli ho detto di no. Allora lui mi ha detto che andava bene. Poi quando siamo arrivati, lei ha messo su il mio disco di Sinatra e si son messi a ballare loro due.

Il Giudice                      - Tu che facevi?

Larry                             - (adirato) Seduto là come uno scemo.

Il Giudice                      - (reprimendo un sorriso) Mmm... avanti.

Larry                             - Eravamo lì da cinque minuti che lui le dice: «Che ne diresti di un bicchierino? » E lei: « Ma non ho niente in casa ». Così lui tira fuori un pezzo da cinque dollari, scrive un bigliettino e mi dice: « Ecco qua, ragazzo, porta il biglietto a questo caffè... Mangio là, io. Ti daranno una bot­tiglia di whisky ».

Il Giudice                      - E tu ci sei andato?

Larry                             - Il caffè non era lontano, soltanto alla 57.ma Strada e allora ho detto di sì e sono andato. Poi, quando sono tornato che non erano ancora venti minuti, un poliziotto m'ha braccato e ci ha portati via tutti. (Adirato) Sapete, Vostro Onore, non volevo mica che Elizabeth finisse nei pasticci... Quando il signor Elliott mi ha detto che voleva un appuntamento con Elizabeth, non sapevo che cosa voleva... Me, non mi ha baciato, quella lì... E' ca­scata appena l'ha visto... Solo perché le ha pro­messo chissà cosa, scommetto...

Brill                               - (scatta nuovamente e sì dirige verso la piattaforma) Vostro Onore, io... io protesto! Quel ragazzo fa delle dichiarazioni che vanno a danno del mio cliente! Queste dichiarazioni non possono impegnare il mio cliente... (indica la ste­nografa) ma vengono messe a verbale!

Il Giudice                      - Che intendete dire, avvocato? La verità è che il vostro cliente è stato arrestato in casa della ragazza e il motivo era sufficiente. Quale «danno » maggiore di questo, vorreste? Signor El­liott, volete venire qui, prego? (Brill si ritira. Elliott sì alza e si dirige verso la piattaforma. Giunto presso la signora Collins, questa si alza furiosa e sì mette a gridare. Eccitazione nell'aula).

La signora Collins         - (quando Elliot le è di fron­te) Dovreste vergognarvi! (Brill si frappone fra i due).

Collins                           - (tenendola) Gate!

La signora Collins         - (continuando a gridare, men­tre le si avvicina l'usciere per calmarla) Appro­fittare di una ragazzina! Dio vi castigherà! (Il giu­dice cerca di ristabilire l'ordine).

Collins                           - (cercando di farla sedere) Sta calma, Gate!

Il Giudice                      - Signora Collins, vi ho ammonita già una volta. Se non foste la madre della ragazza vi allontanerei immediatamente dall'aula.

La signora Collins         - (siede e borbotta) Mi spia­ce molto, Vostro Onore. Cercherò di non farlo più.

Il Giudice                      - Speriamo. Allora, signor Elliott... (L'usciere torna a sedersi).

Brill                               - (interrompendolo) Vostro Onore, io...

Il Giudice                      - Non interrompete, per favore. Vo­glio soltanto fare alcune domande al vostro cliente... Signor Elliott, avete mai chiesto a questo ragazzo di combinarvi un appuntamento con quella ragaz­za, Elizabeth Collins, a casa sua?

Elliott                            - No, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Avete sentito che il ragazzo ha te­stimoniato che avevate l'intenzione di dargli dei soldi, pur di avere un appuntamento con la ragazza?

Elliott                            - Che gli abbia detto che avrei voluto vedere la ragazza, sì; ma non a casa sua. Gli ho dato il mio numero del telefono d'ufficio pregan­dolo di farmi telefonare dalla ragazza nel caso in cui ella avesse accettato di uscire con me.

Il Giudice                      - Quanti anni avete, signor Elliott?

Elliott                            - (scosso dalla domanda) Quarantasette.

Il Giudice                      - Alzati, Elizabeth. (La ragazza sì alza. Aumenta la tensione nell'aula. Il giudice in­dica la ragazza a Elliott) Quindici! (Elizabeth torna a sedersi).

Elliott                            - Non sapevo che fosse così giovane, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Quanti anni credevate che avesse?

Brill                               - (si alza e si dirige verso il giudice) Mi spiace, Vostro Onore, ma debbo interrompere ancora. (Si rivolge ad Elliott) Ma vorrei avvisare il mio cliente di non rispondere a questa domanda.

Il Giudice                      - Perché no, avvocato?

Brill                               - E' logico che l'altro processo si svol­gerà specialmente su questo punto... ed io non ho ancora preparato la difesa.

Il Giudice                      - (ad Elliott) Bene. Vediamo di pro­vare in un altro modo. Signor Elliott, sapevate che la ragazza faceva soltanto la prima avviamento?

Elliott                            - (come per difendersi) No, Vostro Ono­re. Non me ne sono interessato. (Brill si appoggia alla balaustra) Perché avrei dovuto farlo? Volevo soltanto portar la ragazza al cinema o a teatro. Ed io avrei combinato di incontrarla direttamente a teatro... Ma questo ragazzo ha insistito perché andassi a casa della ragazza, dicendo che sarebbe venuto anche lui. Non avevo alcun mezzo per tele­fonare alla ragazza e non volevo mancare all'ap­puntamento ed allora ho pensato che le avrei fatto una visitina in modo da non offenderla. Quando sono entrato in casa, la ragazza era... insomma in vestaglia perché stava andando a letto. Io avrei vo­luto andarmene immediatamente ma lei... mi pregò di rimanere e... sapete anche voi, Vostro Onore, come vanno queste cose.

Il Giudice                      - (lo interrompe bruscamente) Cosa intendete dire « So anch'io? ». Cercate forse di gua­dagnarvi la mia simpatia?... Se le vostre intenzioni erano tanto cavalleresche ed onorevoli, perché non ve ne siete andato subito?

Elliott                            - Me ne sarei andato. (Larry lo guarda) Ma questo ragazzo me lo ha impedito.

Il Giudice                      -: Non vi accorgete che quello che dite è ridicolo?

Elliott                            - (si sposta verso destra) Per nulla. La ragazza mi disse sottovoce che aveva paura di ri­manere sola col ragazzo... e mi pregò di rimanere fino a quando sarebbe rimasto anche l'altro. Io lo mandai allora a fare una commissione, pensando che in tal modo ce ne saremmo sbarazzati ed avrei potuto andarmene anch'io.

Il Giudice                      - (sornione) Ma non ve ne siete an­dato, dopo che il ragazzo era uscito.

Elliott                            - E' stata la ragazza che non mi ha la­sciato andare.

Il Giudice                      - Non vi ha lasciato... Volete forse dire che vi ha trattenuto con la forza?...

Elliott                            - In un certo senso, sì. La ragazza...

Brill                               - (portandosi verso Elliott ed interrompen­dolo ancora) Non rispondete a questa domanda, signor Elliott... Vostro Onore, la risposta del mio cliente rivelerebbe la sua linea di difesa contro l'ac­cusa del Procuratore distrettuale e...

Il Giudice                      -  Sentite, avvocato. Io devo mandare degli appunti al Procuratore distrettuale circa que­sto caso e...

Brill                               - (interrompendolo ancora) Ma io voglio che venga messo a verbale questo: che il mio cliente è stato forzato ad andare a casa della ragazza ed il modo col quale questa sua visita...

Il Giudice                      - (interrompendolo a sua volta) Que­sto punto è già stato superato, avvocato. Quel che io voglio sapere, è perché non ha lasciato l'appar­tamento dopo che il ragazzo era uscito. (Si rivolge ad Elliott. Brill torna ad appoggiarsi alla balaustra) Avete detto che la ragazza non vi ha lasciato an­dare. Non poteva certo costringervi con la forza, vero?

Elliott                            - E' stata una specie di costrizione. Quella ragazza non è così innocente come sembra. Insomma... le è venuto voglia. (Elisabeth si agita e guarda il giudice. Questi si copre gli occhi con le mani e cerca di non scoppiare a ridere in faccia ad Elliott. Questi, insistendo mentre Brill si sposta, si asciuga la fronte e torna ad appoggiarsi alla ba­laustra. Brill si sposta verso destra) Ebbene, sì. E' andata proprio così. S'è spogliata e... beh! dopo tutto sono soltanto un uomo, io.

Il Giudice                      - (interrompendolo) Un momento, signor Elliott: « Soltanto un uomo»! Voi siete « soltanto un uomo » in relazione a qualche essere superiore. In questo caso, sarebbe più esatto dire « sono soltanto un cane » o « soltanto un porco ». Voi, signore, posavate da benefattore mentre invece eravate soltanto un vile. (Elliott reprime la propria ira) Sta bene, signor Elliott. Voglio parlarvi ancora, dopo. Favorite attendere qui assieme al vostro av­vocato. (L'usciere si dirige verso destra).

Elliott                            - (piano) Dove dobbiamo attendere?

L'Usciere                       - Qui fuori. (Brill ed Elilott escono in fretta).

Il Giudice                      - (si rivolge nuovamente a Larry) Larry, hai mentito quando hai detto che Elliott avrebbe voluto un appuntamento in casa di Eli­zabeth?

Larry                             - (abbassando gli occhi) Sì.

Il Giudice                      - Questo è spergiuro! Mentire quan­do si è giurato di dire la verità, è spergiuro! Pos­sibile che tu abbia dimenticato quello che t'avevo detto sul giuramento in tribunale? Anche ad Eli­zabeth avevi mentito?

Larry                             - Sì. (Il giudice getta la matita sul ta­volo ed allora Larry scatta) Sì, perché non mi vo­leva mai a casa sua, dà sola, ed io invece volevo esserle vicino: ecco tutto.

Il Giudice                      - Elizabeth... (La ragazza si alza) E' vero che tua madre non ti permetteva di rice­vere in casa visite di ragazzi?

Elizabeth                       - Sì è vero. Non me l'avrebbe per­donato.

Il Giudice                      - E, in modo particolare, non avresti voluto che venisse Larry.

Elizabeth                       - No, non avrei voluto.

Il Giudice                      - Allora, perché hai permesso che quella notte venisse a trovarti lui ed il signor El­liott?

Elizabeth                       - (risentita) Non volevo che venisse nessuno dei due, ma Larry mi ci ha costretta! L'ha voluto lui!

Il Giudice                      - In che modo ti ha costretta?

Elizabeth                       - (contro la propria volontà) Perché una volta aveva scritto della roba sulla mia porta... la porta di casa mia. E mi disse che se non l'avessi lasciato venire quella notte assieme al signor Elliott, l'avrebbe scritto ancora. Io allora ho dovuto lasciarli venire, quando sono stata minac­ciata così!...

Il Giudice                      - Cosa aveva scritto, sulla porta?

Elizabeth                       - (disperata) Non ve lo posso dire! Non voglio! (Siede).

Il Giudice                      - Larry, cosa avevi scritto su quella porta?

Larry                             - (scuote la testa) Oh, nulla.

La signora Busch          - Vostro Onore... erano delle parole molto sconce... L'abbiamo saputo durante l'istruttoria.

Il Giudice                      - Quali, dunque?

Elizabeth                       - (implorando, verso la signora, Busch) Per carità, non dite niente.

La signora Busch          - (ignorandola) Larry aveva scritto: « Qui, stanotte, Elizabeth si è fatta un ma­rinaio ».

La signora Collins         - (guarda Elizabeth incredula).

Collins                           - (si alza incapace di controllarsi. A Larry) Ti spaccherei la testa, schifoso d'un bastardo! (L'usciere si avvicina a Collins e lo fa sedere).

Elizabeth                       - (gridando) L'ha fatto per rabbia!

Larry                             - Ebbene, sì! L'ho fatto per rabbia, ma è vero. E potrei dimostrarlo se quel marinaio non fosse a casa del diavolo. E poi me l'ha detto anche un mio amico. (Il giudice ha un momento di irrita­zione. L'usciere si sposta verso sinistra).

Il Giudice                      - Sta bene, Larry. Ora basta. Ti par­lerò poi a quattr'occhi nel mio ufficio,

Larry                             - (scende dalla piattaforma e torna a se­dersi sulla sinistra, ma quando si trova proprio al centro, la porta centrale si apre dall'esterno ed entra Ruby Lockwood. La signora Marti l'osserva in modo particolare. Larry si ferma. Ruby è una ragazza ardita di sedici anni, bionda, vestita con un certo stile, con una pelliccia sulle spalle, con una truccatura vistosa, sensuale ed impudente in ogni sguardo e in ogni gesto. Sì ferma presso la porta).

Il Giudice                      - E tu chi sei?

Ruby                             - (s'inchina leggermente) Ruby Lockwood. Mi spiace d'aver fatto tardi. (La signora Busch si avvicina a Ruby).

Il Giudice                      - E' venuta anche tua madre?

Ruby                             - Mia madre è ad Atlantic City.

Il Giudice                      - Vieni qui. (La signora Busch l'ac­compagna fino alla sedia dei testimoni, poi torna a sedersi al proprio tavolo).

Ruby                             - (o Larry, passandogli davanti) Ciao, buf­fone! (Si dirige con disinvoltura alla sedia dei te­stimoni e si ferma sollevando una mano. Larry va a sedere).

Il Giudice                      - (a Ruby) Siedi.

Ruby                             - Oh, credevo di dover giurare. (Siede).

 Il Giudice                     - (che si è reso conto della sua esperienza) Ma tu sei già stata in tribunale!

ruby                               - Ma certo! Mi ci ha accompagnata la mamma un paio dì volte, quando ha dovuto venirci lei. (Tranquillamente) Ecco perché credevo di do­ver giurare.

Il Giudice                      - Sei sempre così calma in tribuna­le? Che cosa fa tua madre?

Ruby                             - (calma) Mia madre è una specie di... (Più forte) Oh... Mia madre è una specie di... entreneuse in un club notturno.

Il Giudice                      - E' stato difficile trovare te e tua madre.

Ruby                             - (ride) Non ci nascondevamo mica... Mam­ma accetta le prediche come se fossero assegni... Siamo state ad Atlantic City perché lei deve lavo­rare là per qualche settimana.

Il Giudice                      - Tua madre ti porta sempre con sé quando lascia la città?

Ruby                             - Sì. Le piace tenermi d'occhio.

Il Giudice                      - E per la scuola come fai?

Ruby                             - Non andiamo mica via spesso, però. Era da Natale che non ci muovevamo. Non sarei stata via tanto tempo se avessi saputo che Elizabeth era stata arrestata. E il signor Elliott! Che razza di pasticcio!

Il Giudice                      - Come l'hai saputo?

Ruby                             - (sposta la sedia più vicino al giudice) Elliott mi ha scritto. E' proprio una vergogna met­tere i miei amici in un pasticcio simile!

Il Giudice                      - Alludi ad Elizabeth?

Ruby                             - No, al signor Elliott.

Il Giudice                      - E' la tua amica Elizabeth?

Ruby                             - (guarda Elizabeth) Sentite, Vostro Ono­re, l'ha fatto apposta! Lei e Larry!

Larry                             - (gridando) Sei una bugiarda! (Si alza) Che ne sai tu se non c'eri neanche!

Ruby                             - Storie! Non c'era bisogno che ci fossi!

Larry                             - Credi che tutti siano come te. Pare ap­posta...

Ruby                             - E va bene, basta. (Il giudice non è inter­venuto in questo scambio di frasi perché voleva stu­diare i caratteri, ma ora ristabilisce l'ordine. Larry siede e Ruby sorride al giudice) Vostro Onore, la prima volta che Elizabeth ha conosciuto il signor Elliott a casa mia, mi sono accorta che era cotta. E non l'ha piantata neanche quando le ho detto di smetterla. L'ho detto a tutte le ragazze, ma proprio lei doveva farmela.

Il Giudice                      - Ma che razza di discorsi sono questi. Il signor Elliott potrebbe essere tuo padre.

Ruby                             - Voi non mi capite, Vostro Onore. (Si sposta verso destra) Sentite: Elizabeth sapeva che lui aveva dei soldi e voleva far la furba; farlo arre­stare e poi mungerlo. Dopo tutti i favori che le ho fatto. (Si mette a posto la pelliccia).

Il Giudice                      - Che favori?

Ruby                             - Un mucchio. Quando l'ho conosciuta fa­ceva pena. Non sapeva nemmeno pettinarsi e nessuno le dava un appuntamento. (Ad Elizabeth) Adesso crede di essere chi sa chi... L'ho presentata alla ganga per farla divertire ed ha avuto anche dei regali. Così adesso crede di saperla lunga.

Il Giudice                      - E tu accetti regali dagli uomini?

Ruby                             - Certo. Quando me li fanno.

Il Giudice                      - E tua madre lo sa?

Ruby                             - Sì. Non glie ne importa.

Il Giudice                      - Ma non ti chiede che cosa fai per avere questi regali?

Ruby                             - Cosa faccio? Niente. Del resto la mamma dorme quando io sono sveglia ed è sveglia quando io dormo. E così non c'incontriamo mai.

Il Giudice                      - Tua madre sa che ricevi gente in casa quando lei è fuori?

Ruby                             - Mi ha dato il permesso. Alle otto di sera va a lavorare e non vuole che esca da sola. Cosa dovrei fare allora? Stare in casa tutta la notte da sola? Prima l'ho fatto, due anni fa, e credevo d'im­pazzire perché avevo paura dei ladri. (Fischia con espressione) Mi toccava andare a letto, tirarmi ad­dosso le coperte e tapparmi le orecchie. (Ride) Però mi son fatta furba. E ho detto alla mamma che se non voleva che giocassi in strada di notte doveva lasciar venire a casa i miei amici. E lei ha detto di sì. (Si aggiusta i capelli).

Il Giudice                      - Mi pare che i tuoi genitori siano divorziati.

Ruby                             - Sì.

Il Giudice                      - Dove vive tuo padre?

Ruby                             - Nello Iowa. A Councibluffs. Veniamo di là, noi.

Il Giudice                      - Lo vedi mai, tuo padre?

Ruby                             - D'estate. In agosto. Viene a New York per una settimana e allora facciamo baldoria. Non so perché, ma facciamo baldoria. Tutti bevono. mangiano, papà spende un mucchio di soldi per farmi divertire, poi torna a Councibluffs e per un anno non si fa più vedere. (Fa dei gesti con le mani).

Il Giudice                      - Avevi intenzione di sposare il signor Elliott?

Ruby                             - Sposarlo? Ma non avete appena detto che può essere mio padre, Vostro Onore?

Il Giudice                      - Non hai detto forse alle altre ra­gazze di lasciarlo stare?

Ruby                             - Solo perché mi piace. Mi porta fuori... mi fa divertire.

Il Giudice                      - (si china in avanti) Forse che il signor Elliott o il suo avvocato ti hanno ordinato di dire che Elizabeth avrebbe voluto mungerlo?

Ruby                             - Non ce n'era bisogno. Ho del sale in zuc­ca, io Se lo possono fare le ragazze di Hollywood, possiamo farlo anche noi a New York, e Elizabeth è proprio il tipo. (Ride) Una volta m'ha detto che voleva fare del cinema e credeva che per riuscire bisognava che un uomo si innamorasse, trovare un tipo losco come Larry, perché lui era dalla sua par­te, per poi farlo sorprendere in casa dalla polizia.

Larry                             - (incapace di controllarsi) Tu sei matta! (Indicando la signora Marti) E' stata quella donna a chiamare la polizia!  (Il giudice è costretto a rista­bilire l'ordine).

Il Giudice                      - Basta Ruby. Siediti pure.

Ruby                             - (si avvicina alla scrivania. Fermandosi) Vostro Onore. (Guarda la signora Busch) Potrei aspettare qui fuori? Non ho ancora potuto saluta­re il signor Elliott... e non lo vedo da tre settimane...

Il Giudice                      - Non credo che nessuno di voi due possa essere molto contento dell'incontro, ma puoi vederlo lo stesso. (L'usciere accompagna Ruby alla porta) Signora Busch, prendete nota che sarà bene tener d'occhio tanto Ruby quanto sua madre.

La signorina Porter       - (rimette a posto la sedia dei testimoni).

La signora Busch          - Sì, Vostro Onore. (Prende degli appuntì).

Il Giudice                      - (riprende in mano il solito elenco) Signora Marti. (La signora Marti si avvicina alla sedia dei testimoni. Ha un quarantacinque anni ed è vestita decorosamente. Ha l'aspetto molto serio e si vede che è molto nervosa, ma decisa. La signora Collins la guarda con ostilità) Siete a posto? (La fa giurare).

La signora Marti           - (parla con accento francese. Siede e guarda la signora Collins) Giuro.

Il Giudice                      - Abitate nella stessa casa della fa­miglia Collins?

La signora Marti           - Sì, Vostro Onore. Sullo stesso piano. (Ha una voce calma).

Il Giudice                      - Parlate un po' più forte, signora Marti.

La signora Marti           - Sullo stesso piano, giudice.

Il Giudice                      - Vivete con la vostra famiglia?

La signora Marti           - Sì, Vostro Onore: con mio figlio. Siamo solo in due, noi. Io e mio figlio.

Il Giudice                      - E vostro marito?

La signora Marti           - Sono vedova.

Il Giudice                      - Da quanto tempo abitate nella 58" Strada?

La signora Marti           - Da tre anni, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Chi vi dà da vivere?

La signora Marti           - Nessuno. Ci penso io. Faccio la sarta.

Il Giudice                      - Quanti anni ha vostro figlio?

La signora Marti           - Sedici.

Il Giudice                      - Siete stata voi a riferire alla poli­zia la faccenda di Elizabeth Collins?

La signora Marti           - (con sicurezza) Sono stata io.

Il Giudice                      - Ditemi brevemente perché l'avete fatto.

La signora Marti           - (con passione perché si tratta dell'episodio più importante della sua vita) Vostro Onore... Mio marito era un musicista: suonava il violoncello. Aveva del talento, ma non fu fortunato. Era cubano, ed io sono francese. Luì era povero ed io anche. Ci siamo conosciuti a New York e ci siamo sposati.

Il Giudice                      - Scusate, signora, ma vi avevo pre­gata di essere breve. Sono proprio necessari tutti questi particolari?

La signora Marti           - (implorando) Vostro Onore... Desidero che comprendiate perché sono stata co­stretta a denunciare Elizabeth, anche se mi sento una miserabile per averlo fatto.

Il Giudice                      - Proseguite.

La signora Marti           - Un anno dopo il matrimonio nacque un figlio. Avevamo un piccolo appartamen­to, nella 63.ma Strada Ovest, ma eravamo felici... E poi, quando il nostro piccolo aveva soltanto tre anni, cominciò a dimostrare inclinazione per la musica. Ma mio marito non era robusto e tre anni fa s'è ammalato. Tisi: ed è morto. Io sono rimasta vedova, senza soldi e con un figlio da mantenere.

Il Giudice                      - Mah!... Andate avanti.

La signora Marti           - Mio figlio ha del talento e tutti dicono che potrà divenire un violinista come Heifetz.

Il Giudice                      - Studia ancora?

La signora Marti           - (con passione) Sì, sì! E' tut­ta la nostra vita, la musica! La sua musica, il suo violino! La mia vita è soltanto la carriera di mio figlio!

Il Giudice                      - Continuate.

La signora Marti           - Morto mio marito, abbiamo cercato un appartamento più a buon mercato ed io ho dovuto cominciare a lavorare. Non in un nego­zio, però... perché... chi avrebbe badato a mio figlio? Chi gli avrebbe dato da mangiare e chi l'avrebbe fatto studiare? Allora ho trovato un appartamento al n. 418, piano terreno, ed ho messo un cartello alla finestra: sarta. (La signora Collins tocca il marito col gomito) Il mio Pietro è un ragazzo tran­quillo, studia molto, legge e non dà noia a nessuno. Ma vicino a noi vivono i Collins, ed io mi accorsi subito che mio figlio era innamorato di Elizabeth. Non ci trovai nulla a ridire, Vostro Onore, perché Elizabeth era una brava ragazza, allora.

Il Giudice                      - C'è qui anche vostro figlio?

La signora Marti           - No.

Il Giudice                      - Lo sa di questo processo? (Eliza­beth attende ansiosamente la risposta).

La signora Marti           - (orgogliosamente) Certo che lo sa. Ma oggi ha gli esami. Ha finito la scuola di violino. (Guarda l'orologio) Deve essere dal maestro a quest'ora. (Elizabeth si muove nervosamente sulla sedia).

Il Giudice                      - Proseguite.

La signora Marti           - Ecco... Un sei mesi fa deve essere successo qualcosa ad Elizabeth: la ragazza è cambiata. Ha cominciato ad andare con Ruby, perché l'avete visto voi stesso. Tutti ne parlano nel vicinato e dicono che è una cattiva ragazza. Ma Elizabeth diventa sua amica... E mio figlio è amico di Elizabeth. Allora ho cominciato a preoccuparmi... (La signora Collins tocca ancora il gomito del ma­rito) Così un bel giorno mi sono decisa a parlare alla signora Collins e le ho detto di Elizabeth. Il signor Collins aveva già lasciato la città.

Il Giudice                      - Cosa ha risposto la signora Collins?

.La signora Marti          - Di pensare ai fatti miei. (La signora Collins fa per alzarsi ma il marito la trat­tiene) Certo che erano affari miei! Mio figlio continuava a voler essere amico di Elizabeth, qualunque cosa gli dicessi. Ecco perché era affare mio che Eli­zabeth non frequentasse cattive compagnie. (Il giu­dice annuisce) Pensai di cambiar casa, ma mi ac­corsi che Peter avrebbe continuato a vederla. Ed allora ho preferito rimanere per tenerli d'occhio.

Il Giudice                      - Come vi siete decisa a denunziare Elizabeth alla polizia?

La signora Marti           - Due settimane fa, giovedì, ho sentito che Elizabeth diceva qualcosa a Larry. (Larry ed Elizabeth si guardano) Era già tardi e fa­ceva caldo, Vostro Onore, e non riuscivo a prendere sonno. Allora mi sono alzata e sono andata alla fi­nestra, senza accendere la luce. Dopo un po' è arri­vata Elizabeth con Larry ed hanno incominciato a bisticciare. Sentii quello che dicevano. E finalmente Elizabeth disse che Larry avrebbe potuto venire la sera dopo insieme a Monsieur Elliott. Allora mi de­cisi a denunciarla, e la mattina dopo andai al co­mando di polizia.

Il Giudice                      - Come mai sapevate che il signor Elliott sarebbe andato da Elizabeth con intenzioni immorali?

La signora Marti           - Monsieur, non sono una bam­bina... So benissimo che quando un uomo va a tro­varla non è certo per parlare del tempo, perché già prima m'ero accorta di molte cose, per cui ero con­vinta che Elizabeth non... (Entra Peter Marti dal centro. Ha sotto il braccio l'astuccio del violino. Vede la madre sulla sedia dei testimoni e si ferma di col­po incredulo).

Peter                              - Maman! (L'usciere si alza per fermarlo, assieme alla signora Busch. Eccitazione nell'aula. I coniugi Collins parlano fra loro).

La signora Marti           - (si alza e si volta) Peter!

Peter                              - (con voce che rivela la sorpresa e il suo dolore, mentre l'usciere lo tiene per le braccia e cer­ca dì fermarlo) Que vous arrive-t-il? C'est cruel!

La signora Marti           - (siede) Ho dovuto dirlo, Pe­ter! Perché...

Il Giudice                      - (cerca di ristabilire l'ordine) Ordi­ne! Ordine! Giovanotto, siamo in tribunale! (La signora Busch parla all'usciere).

Peter                              - (eccitato) Mi spiace, signore; ma ho ap­pena saputo di questo processo...

Il Giudice                      - L'avete appena saputo? Signora Marti, non avevate detto che vostro figlio sapeva del dibattito?

La signora Marti           - (interrompe e si torce le mani) Vostro Onore, volevo risparmiargli questa pena.

Peter                              - (adirato verso la madre) L'ho saputo da imo dei ragazzi! (Si dirige verso il giudice) Vostro Onore, ho dovuto venire... Non potevo farne a me­no, Vostro Onore...

Il Giudice                      - Calma, giovanotto. (Alla signora Marti) Signora, avevate giurato di dire la verità. E pensare che voi adulti dovreste dare l'esempio. Dieci minuti d'intervallo. (Si alza. A Peter) Siedi, e aspetta finché ti chiamo io. (Lascia la cattedra e si dirige verso il proprio ufficio. Peter si dirige alla panca N. 3).

Elizabeth                       - (mentre la signora Busch si dirige verso di lei) Peter! Vogliono mandarmi via!

Peter                              - (con la certezza dei ragazzi) Non lo fa­ranno, Betty! Non aver paura!

Là signora Busch          - (è vicina ad Elizabeth e le prende un braccio) Vieni con me, Elizabeth. (Le due donne escono e Peter si alza in piedi a guardar­le mentre l'usciere si versa un bicchier d'acqua).

La signora Marti           - (si avvicina, al figlio, tenera­mente) Peter...

Peter                              - (si scosta dalla madre) Mamma, ti prego, lasciami solo. (Siede sulla panca N. 4 assieme alla madre, mentre l'usciere si mette a chiacchierare assieme alla signorina Porter. Larry si alza e va alla finestra. Estrae una sigaretta e l'accende in fretta. L'usciere lo vede).

L'Usciere                       - (a Larry) Ehi! Ragazzo! Qui non si fuma! (Larry lo guarda risentito e spegne la siga­retta mettendosi il mozzicone in tasca. Poi torna a sedersi. La signora Collins guarda l'orologio e parla sottovoce al marito).

La signora Collins         - Carlo (lo tocca) il giudice ha detto « dieci minuti d'intervallo »?

Collins                           - (profondamente assorto, guarda l'orolo­gio) Sì, dieci minuti... (Larry si caccia in bocca della gomma da masticare e butta la carta sul pavimento).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La medesima scena del primo atto, dieci minuti più tardi

 (Al levar del sipario la signora Marti siede ac­canto al figlio che però non la guarda. La signora Busch siede al tavolo del giudice istruttore e sta esaminando dei documenti. L'usciere è sulla destra. La signorina Porter è al proprio tavolo e si sta ri­facendo il viso. I Collins siedono assieme. Per un po' nessuno parla. Poi l'usciere guarda l'orologio e si avvicina al serbatoio dell'acqua).

L'Usciere                       - (guarda l'orologio e si rivolge alla si­gnora Busch) I dieci minuti sono passati.

La signora Busch          -  Ce ne vorranno altri dieci per fare la predica a quello scavezzacollo di Larry. (Collins si morde le unghie e la moglie lo ferma).

L'Usciere                       - (si toglie di tasca un pezzo di carta) Ohilà! Guarda che combinazione! Nel premio Giamaica c'è un cavallo che si chiama Elizabeth. Par­tono in venti. Volete scommettere un dollaro? (Jean e Mary entrano).

La signora Busch          - Nossignore. (Queste battute vanno pronunciate simultaneamente all'ingresso dì Mary e Jean).

La signorina Porter       - Di un po' Busch, domat­tina il primo caso è tuo?

La signora Busch          - No. Io il secondo.

La signorina Porter       - Chi ha fatto le indagini per tutti questi casi?

 La signora Busch         - Comway e Green.

La signorina Porter       - Ne avrai per molto, do­mani?

La signora Busch          - Oh, ho paura che ne avrò per tutto il giorno.

La signorina Porter       - Chi presiederà domani?

La signora Busch          - Il giudice Atkins.

La signorina Porter       - Non era a Brooklyn?

La signora Busch          - C'era la settimana scorsa. (Mary, bruna, e Jean, bionda, sono ragazze quin­dicenni ed hanno gli occhi sbarrati per l'eccita­zione. Dopo essere entrate, durante il dialogo fra la signora Busch e la signorina Porter, si sono fer­mate accanto alla porta e parlano sottovoce prima che qualcuno si accorga della loro presenza).

Jean                               - (sottovoce a Mary) Spero che non ci but­tino fuori. (Si guarda attorno) Non vedo Elizabeth, però.

Mary                             - (vede Peter) Ehi! Guarda! C'è Peter Marti.

Jean                               - (eccitata) E sua madre, anche! Oh! Lo vedi il signor Collins? Andiamo a sederci accanto a lui... Diamoci un contegno. (Si dirigono verso Col­lins. Jean borbotta qualche cosa e Mary cerca di farla stare zitta, ma l'usciere si è accorto della loro presenza).

L'Usciere                       - (alzandosi) Aspettate un momento, voi due. (Le ragazze si fermano) Chi siete?

Jean                               - (in fretta) Io sono Jean.

Mary                             - (idem) Io mi chiamo Mary.

L'Usciere                       - E che fate qui?

Mary                             - Siamo amiche di Elizabeth Collins.

Jean                               - Vogliamo fare da testimoni.

L'Usciere                       - Siete state chiamate?

Mary                             - No, siamo venute da sole. (Jean ride e Mary le dà una gomitata).

L'Usciere                       - Benissimo. Siete venute da sole e ve ne andrete da sole.

La signora Busch          - (dalla destra delle ragazze) Che c'è, Bill?

Jean                               - (fa appello alla signora Busch) Vogliamo vedere il processo.

Mary                             - (eccitata) Ce l'ha detto un nostro amico.

Jean                               - (c. s.) Siamo amiche di Elizabeth.

La signora Busch          - Siete amiche anche di Ruby Lockwood?

Mary                             - (scuote la testa) Crede che siamo troppo piccole.

Jean                               - Abbiamo quattordici anni.

La signora Busch          - Benissimo. Andate a casa. Non potete stare qui. (Owens apre la porta ed Eli­zabeth entra con lui da sinistra).

L'Usciere                       - Va bene, ragazze, fuori. (Mentre le spinge verso la sala d'aspetto, esse riescono a scor­gere Elizabeth).

Mary                             - (eccitata) Oh! Eccola!

Jean                               - (fischia in modo esclamativo. Elizabeth le vede e si ferma per un attimo a guardare, poi)

La signora Busch          - Allora, ragazze, adesso ba­sta, però. (Owens accompagna Elizabeth alla panca N. 3).

Owens                           - Siedi. (Elizabeth siede, Jean e Mary escono. Owens esce da sinistra. Peter tocca Eliza­beth sulla spalla. Ella si volta e sorride. Entra Lar­ry e siede sulla panca N. 2. Entra anche il giudice che va al proprio posto).

Il Giudice                      - (riprendendo immediatamente la se­duta) Ah, sì. Signori Collins. (Avvicina la sedia alla scrivania. I coniugi Collins si avvicinano alla cattedra. Indica la sedia dei testimoni) Avvicina­tevi, signora Collins. (La donna si ferma accanto alla figlia) Alla presenza di Dio Onnipotente, giu­rate di dire la verità?

La signora Collins         - Giuro. (Siede).

Il Giudice                      - Quanti figli avete, signora?

La signora Collins         - Quattro.

Il Giudice                      - Tutti figli del signor Collins?

La signora Collins         - (sorpresa) Mah... come? Certo. (Collins lascia cadere il cappello e poi lo raccoglie).

Il Giudice                      - Qual è il maggiore dei vostri figli?

La signora Collins         - Elizabeth.

Il Giudice                      - E quanti anni hanno gli altri tre?

La signora Collins         - Roberto sei, Mary sette e Giuseppe nove. Tra Giuseppe e Elizabeth ho avuto due nati morti... E' stato nel '30 e nel '32, all'epoca della crisi, perché ho dovuto lavorare troppo. Mio marito era disoccupato.

Collins                           - (come per difendersi) Non sono pro­prio riuscito a trovar lavoro.

Il Giudice                      - Ma ora lavorate.

Collins                           - Sissignore. In un cantiere navale della California.

Il Giudice                      - Cosa fate?

Collins                           - Vetraio, Vostro Onore.

Il Giudice                      - E voi, signora, lavorate ancora?

La signora Collins         - Per forza. E' poco tempo che mio marito ha ricominciato a lavorare, e sia­mo pieni di debiti.

Il Giudice                      - Quanti giorni alla settimana la­vorate?

La signora Collins         - Torno a casa soltanto alla domenica. E neanche la domenica, qualche volta.

Il Giudice                      - E a che ora tornate a casa, di so­lito?

La signora Collins         - Verso l'una del mattino, Vostro Onore. Faccio da mangiare a due attori, e devo aspettare che finisca lo spettacolo.

Il Giudice                      - (osserva un foglio) Dunque, ci sono degli allegati, adesso... Signora Busch, leg­gete un po' l'elenco delle assenze.

La signora Busch          - (legge) In aprile, otto giorni completi e sei mezze giornate. In maggio, sette giorni interi e tre mezze giornate, e in giugno non è stata mai presente. (Collins si agita) Ma, Vostro Onore, oggi è il dodici, ed Elizabeth è stata arre­stata due settimane fa.

Il Giudice                      - (annuisce) Signora Collins, avete sentito?

La signora Collins         - Non ci vedo proprio nulla di strano, Vostro Onore. Elizabeth non ha mentito, e l'ho detto anche a scuola. E tutte le volte mi avvisava.

Il Giudice                      - Perché lo permettevate?

La signora Collins         - Perché c'era un mucchio da fare in casa! Vostro Onore, Elizabeth bisognava che mi desse una mano: con una famiglia di quat­tro persone, con un marito sempre via e con me che tornavo sempre tardi, dovevo pur avere un aiu­to. Ed Elizabeth era abbastanza grande.

Il Giudice                      - In che modo vi aiutava?

La signora Collins         - Ecco, faceva da mangiare per sé e per i tre piccoli. Ma non per me. Sapete, io non sono mai a casa per l'ora di cena, perché mangio dove lavoro.

Il Giudice                      - E a colazione siete mai tornata a casa?

La signora Collins         - Veramente io esco di casa alle dodici e mezzo. Ma i ragazzi mangiano a scuola.

Il Giudice                      - Quindi dovete preparare da man­giare per loro.

La signora Collins         - Per la verità era Eliza­beth che lo faceva. Non era difficile, Vostro Ono­re... Un paio di panini per uno...

Il Giudice                      - E per la prima colazione, eravate a casa?

La signora Collins         - Sì, ma ai ragazzi non piace fare la colazione, dev'essere un'eredità- di famiglia, perché nemmeno io mangiavo quando ero giovane.

Il Giudice                      - Avreste potuto abituarli.

La signora Collins         - Per carità! Insegnare a quattro ragazzi a mangiare anche di mattina! Non sarebbe mai finita! E poi non sarebbero mai arri­vati a scuola.

Il Giudice                      - Alzatevi un'ora prima e provve­dete: è una cosa importante.

La signora Collins         - Ma se non vogliono fare colazione, perché dovrei alzarmi prima, Vostro O-nore? Non è che io sia pigra, ma avrò ben diritto ad un po' di riposo! Quando torno a casa la notte, sono tanto stanca che non riesco mai ad addor­mentarmi prima delle tre. Come potrei alzarmi alle sette e ricominciare a sgobbare?

Il Giudice                      - (osserva un altro documento) E poi... la scuola dice che i denti di Elizabeth sono in pessimo stato. Lo sapevate?

La signora Collins         - Vostro Onore, l'infermiera me l'aveva detto. Tutti i miei figli hanno una cat­tiva dentatura: a scuola mi hanno detto di farli curare ed io ho risposto di si. Ma come, Vostro Onore? (A Collins) Con che cosa? Forse che i den­tisti lavorano per niente?

Il Giudice                      - Ci sono degli ambulatori gratuiti. .

La signora Collins         - Ma io non ho tempo di accompagnarvi i ragazzi... Anche i miei denti non sono a posto. Qui me ne manca uno, e da quest'al­tra parte ce ne sono quattro cariati. Ed anche a mio marito mancano tutti e due i denti qui di die­tro: quello di sopra e quello di sotto... Carlo, fa vedere al giudice che dico la verità. (Collins si alza, ma il giudice lo ferma).

Il Giudice                      - No, non importa. Chi tiene la casa in ordine, signora Collins? (Entra un impie­gato e si dirige verso il tavolo di sinistra).

La signora Collins         - Tutte le domeniche fac­cio pulizia generale, ed Elizabeth mi aiuta.

Il Giudice                      - Chi lava e stira?

La signora Collins         - Quando mio marito era di­soccupato, lo faceva lui, ma adesso ho una mac­china elettrica e ci pensa Elizabeth.

Il Giudice                      - (togliendosi gli occhiali) Per es­sere una ragazza di quindici anni, Elizabeth aveva troppo da fare.

La signora Collins         - Sembra molto, Vostro O-nore, ma, dopo tutto, dalle otto e mezzo alle tre e mezzo andava a scuola e non doveva far altro che stare seduta. Quando io avevo la sua età, la­voravo dieci ore il giorno in un scatolificio.

Il Giudice                      - E voi, signor Collins, siete con­siderato un buon operaio?

Collins                           - Il mio mestiere lo conosco bene, Vo­stro Onore. Ma prima della guerra non importava se uno sapeva lavorare bene. Non c'era lavoro.

Il Giudice                      - Ma adesso che lavorate, perché vostra moglie non rimane a casa a sorvegliare la famiglia?

Collins                           - (scusandosi) Siamo pieni di debiti, Vostro Onore (La signora Collins annuisce) Ab­biamo dovuto fare molti debiti quando ero disoc­cupato. E adesso che vivo fuori di casa abbiamo spese doppie.

La signora Collins         - Dobbiamo ancora pagare il mobilio, la macchina per lavare e restituire i soldi che ci hanno prestato i nostri parenti.

Il Giudice                      - Ma, signora, non avreste potuto trovare un altro lavoro che non vi obbligasse per tanto tempo lontana da casa?

La signora Collins         - Scusate, Vostro Onore, ma voi fate presto a dire... « Non potreste trovarvi un altro lavoro»... Io faccio la cuoca, ma se do­vessi fare un altro mestiere dovrei sempre uscire di casa la mattina alle sette e ritornare la sera alle otto, alle nove od anche più tardi.

Il Giudice                      - Mmh! Sapevate che vostra figlia era amica di questa... della Lockwood? (Collins guarda Elisabeth).

La signora Collins         - Sì, lo sapevo. Sapevo che Elizabeth andava con lei. Ma quando io l'ho vista non mi è piaciuta, e allora l'ho detto a mia figlia di non vederla più.

Il Giudice                      - Vi siete assicurata che lo facesse veramente?

La signora Collins         - Elizabeth mi ha sempre obbedita.

Il Giudice                      - Non sapevate che Ruby era un po'... selvaggia?

La signora Collins         - (guarda a sinistra) Oh! Nel vicinato sparlano sempre di tutti!

Il Giudice                      - Ma la vostra vicina, la signora Marti, non vi aveva detto che Elizabeth stava fuori con Ruby fino a tardi?

La signora Collins         - (guarda la signora Marti ed arrossisce di sdegno) La signora Marti mi diceva sempre cose che non la riguardavano. Il più delle volte non riuscivo a capire quello che diceva; e se capivo, era sempre un pettegolezzo sull'uno o sull'altro: nessuno era abbastanza degno per Pe­ter. (Peter guarda la signora Marti, che abbassa gli occhi) Ad ogni modo, quando tornavo io, Eli­zabeth era sempre a casa.

Il Giudice                      - All'una di notte?...

La signora Collins         - Ecco... sì...

Il Giudice                      - Permettevate che vostra figlia spendesse soldi?

La signora Collins         - Oh, sì. Le davo qualcosa tutte le settimane per comperarsi un gelato. Per lei gli altri tre.

Il Giudice                      - Ma non vi siete mai accorta che spendesse più di quanto le davate?

La signora Collins         - Non me ne sono mai ac­corta.

Il Giudice                      - Gli abiti glie li comperavate voi?

La signora Collins         - Certamente... meno quel­la giacca. (Guarda Elizabeth) M'ha detto che gliel'aveva data Ruby.

Il Giudice                      - E voi l'avete creduto?

La signora Collins         - Per l'amor del Cielo! Perché non le avrei dovuto credere? Dicono che la madre di Ruby ha dei soldi. E la gente regala spesso della roba, quando è stanca d'averla.

Il Giudice                      - Non era nuova la giacca quando Elizabeth l'ha avuta?

La signora Collins         - (si rimette a posto l'abito) Sì che lo era, ma anche così... anch'io tante volte ho avuto della roba nuova da gente ricca. Vedono qualcosa nei negozi; comperano e quando arrivano a casa si accorgono d'aver cambiato idea. A volte non hanno voglia di tornare indietro, e allora fanno un regalo quando la roba è ancora nuova.

Il Giudice                      - Andavate d'accordo con Elizabeth? O litigavate?

La signora Collins         - (guarda la figlia che ha gli occhi fissi su di lei) Litigare? Per carità, asso­lutamente no... anche se non era sempre come avrebbe dovuto.

Il Giudice                      - In che modo? Datemi un esempio.

La signora Collins         - Ecco, io... un sabato mat­tina stavo cercando di dormire un po', e c'erano gli amici dì Elizabeth che ridevano e facevano bac­cano e mi tenevano sveglia. Oppure, questo mi fa­ceva proprio diventare matta, quando volevo che mi aiutasse un po'... era davanti allo specchio e stava facendo delle smorfie, cambiandosi pettina­tura e guardandosi di profilo.

Collins                           - (si avvicina alla piattaforma ed inter­rompe) Vostro Onore, se mi permettete... non credo che questa vada a sfavore di Elizabeth... sì, insomma... questo fare le smorfie davanti allo spec­chio. Tutte le ragazze lo fanno.

La signora Collins         - Ecco il male! Tu hai sem­pre cercato di scusarla... (Collins si volta e sorride alla figlia) ... e l'hai rovinata. Non tutte le ragazze passano delle ore davanti allo specchio. Io non l'ho mai fatto. (Al giudice) E quando lo faceva, diven­tavo matta e allora bisticciavamo.

Il Giudice                      - (annuisce) Sta bene. Potete ac­comodarvi. (La signora Collins si alza) Ah! An­date in chiesa, signora Collins?

La signora Collins         - (con orgoglio) Oh, sì!

Il Giudice                      - Portate a messa anche i bambini?

La signora i Collins       - (scendendo dalla piattafor­ma) Non ne ho mai il tempo, Vostro Onore. (Si ferma e si volta).

Il Giudice                      - (annuisce) Tornate al vostro po­sto. Anche voi, signor Collins. (Collins torna alla panca N. 1. La signora Collins si dirige verso si­nistra, ma si volta).

La signora Collins         - (al giudice) Vostro Ono­re... Posso riportare a casa Elizabeth? Che diritto avete di portarvi via mia figlia?

Il Giudice                      - E' stata la polizia che ha preso Elizabeth, signora. Dovrà essere trattenuta fino a quando non sarà completata l'inchiesta di questo caso.

La signora Collins         - (spaventata) Dovrà tor­nare in prigione?

Il Giudice                      - E' quello che cerchiamo di deci­dere ora, signora: dove vostra figlia dovrà andare... (Prende qualche appunto. La signora Collins ap­pare molto confusa e torna al proprio posto, panca di sinistra N. 1) Peter Marti!

Peter                              - (si alza con molta energia) Sissignore! (Si dirige verso la cattedra portandosi la custodia del violino).

Il Giudice                      - Lasciate pure il violino. (La si­gnora Marti allunga le mani. Peter sta per darle il violino, ma sì volta e lo dà ad Elizabeth, poi si affretta verso la piattaforma) Siedi. (Peter siede) Da quanto tempo studi il violino?

Peter                              - (seriamente) Che lo studio sul serio sa­ranno sette anni... (Con intensità) Vostro Onore, potreste dirmi, per favore, di che cosa è- accusata Elizabeth?

Il Giudice                      - Non te l'hanno detto i tuoi com­pagni?

Peter                              - No, signore. M'han detto solo che Betty era stata arrestata e che oggi c'era il processo. Non sapevano il perché. E quando seppi che era stata mia madre a farla arrestare, non potevo cre­derlo. Non lo credetti fino a quando non la vidi qui... Vostro Onore, di che cosa è accusata Eliza­beth? Mia madre non me lo vuol dire. Dice che me lo dovrete dire voi.

Il Giudice                      - Parleremo tra poco di Elizabeth; prima voglio sapere qualche cosa di te. Hai già suonato in pubblico?

Peter                              -  Per carità, no! Non sono un bambino prodigio, io!

Il Giudice                      - Che c'è di male ad essere un bam­bino prodigio?

Peter                              - Ecco, non lo so. Ma la maggior parte sono dei falsi allarmi.

Il Giudice                      - (sorride) Hai un buon maestro?

Peter                              - (orgoglioso) Sono allievo del professor Quer!

 Il Giudice                     - Vorresti diventare un concertista?

Peter                              - Vorrei poter lavorare appena possibile. Non voglio che mia madre diventi cieca a furia di cucire, perché io possa suonare al Carnegie Hall.

Il Giudice                      - Che classe fai?

Peter                              - Finisco questo mese. (Sorride) Spero, almeno.

Il Giudice                      - A sedici anni. Bravo. E poi andrai all'Università?

Peter                              - Ecco... il mio maestro vorrebbe che io mi dedicassi soltanto al violino. Io vorrei andare all'Università, ma... i soldi non si trovano per stra­da. (Sì china in avanti) Vostro Onore, vorrei sa­pere se posso fare qualcosa per aiutare Betty.

Il Giudice                      - E' quello che sto cercando di sa­pere anch'io, ragazzo mio... Anche se il mio sistema è un po' diverso. Ecco perché ti faccio tutte que­ste domande, se non ti dispiace. In che cosa ti sei specializzato a scuola?

Peter                              - Lingue, ed anche scienze.

Il Giudice                      - Scienze? E vuoi diventare musici­sta? E' proprio strano.

Peter                              - Pritz Crysler era un macchinista, una volta... William Herschel è conosciuto come astro­nomo... ma era un musicista, un organista. Leonardo da Vinci passava per inventore... ma era un pittore... (Ride) Adesso non me ne vengono in mente altri.

Il Giudice                      - Vedo anche che ti interessi di statistica.

Peter                              - Ho seguito qualche discorso dei nostri deputati alla radio. Loro mettono a posto ogni cosa, con le statistiche.

Il Giudice                      - (lui e la signora Busch sorridono) Io ho suonato il violino quand'ero ragazzo. Ma non volevo mai fare gli esercizi. Adesso però me ne di­spiace. Sai qua! è il mio pezzo favorito?

Peter                              - (enfatico) No.

Il Giudice                      - L'aria per archi in sol, di Bach. La conosci?

Peter                              - Certo.

Il Giudice                      - Sai suonarla?

Peter                              - La suonavo due anni fa.

Il Giudice                      - Mmh... Mi dicono che tu ed Eli­zabeth eravate buoni amici. Conoscevi tutti gli al­tri suoi compagni?

Peter                              - No, signore. Nemmeno lei conosceva tutti i miei amici.

Il Giudice                      - Sapevi che frequentava una com­pagnia di gente poco raccomandabile?

Peter                              - Ritengo che vi riferiate a Ruby ed al suo gruppo. Sì, Vostro Onore, lo sapevo, e penso che ci fosse nulla di male... Posso capire perché lo faceva.

Il Giudice                      - Perché?

Peter                              - ... Ecco. Per lo stesso motivo per cui un affamato ruberebbe del cibo, Betty aveva fame di divertimento: nessuno glie ne dava, e allora' lei si è attaccata dove ha potuto. Forse non era il diver­timento più indicato... ma chi ha fame prende quel­lo che trova. (Il giudice e la signora Busch si guardano. Peter si volta a sinistra) La settimana scorsa ho visto un disgraziato rubare una salsiccia da una bancarella della decima strada. La ingoiò prima che il padrone potesse fermarlo. Poi si appoggiò al mu­ro e la vomitò. (Si guarda attorno e vede la gente meravigliata. Poi continua) Avevo consigliato a Bet­ty di non frequentare più né Ruby né la sua com­pagnia, ma non avevo nessun diritto di farle delle prediche: capisco troppo bene come va il mondo.

Il Giudice                      - Cioè?

Peter                              - Beh... le tentazioni che può provare una ragazza giovane. Sfido io! I giornali e le riviste pubblicano fotografie di... Gloria Vanderbilt e Doris Duke e persino di ragazze di quattordici o quin­dici anni che si divertono in montagna, al mare, alle corse di cavalli, nei giardini di ville meravi­gliose. Cosa credete che pensi una ragazza come Betty o come Ruby quando vedono queste fotogra­fie?... Col passare degli anni queste cose si capi­scono, ma quando si è giovani non si riesce a farsene una ragione, e ci si addolora. Ed allora, alla prima occasione... le ragazze finiscono per cercare dì divertirsi un po' anche loro.

Il Giudice                      - Non hai mai portato Elizabeth a divertirsi?

Peter                              - Poche volte. Non ho potuto perché ho sempre moltissimo da studiare. Ma quando non avevo da fare esercizi e lei non doveva lavorare in casa, l'accompagnavo al cinema o a fare una passeggiata. Ed ogni volta- che la invitavo ad un concerto, non voleva venire.

Il Giudice                      - Perché no?

Peter                              - Ecco: diceva di non aver niente di bel­lo da mettersi addosso.

La signora Collins         - (interrompendolo) Aveva tanta bella roba! (Collins cerca di farla stare zit­ta) Ma non era mai contenta! (L'usciere apre la finestra).

Peter                              - Beh, ad ogni modo a me non impor­tava l'abito. Volevo solo che ascoltasse un po' di buona musica... (guarda Elizabeth e le sorride) perché le piaceva.

Il Giudice                      - (approvando) Ma non è mai ve­nuta al concerto...

Peter                              - (sorride) Sì, a uno è venuta. Alla scuola del mio maestro. Era un concerto di ragazzi ed io ho suonato per quasi tutto il programma.

Il Giudice                      - E Betty voleva sentirti?

Peter                              - (guardia Elizabeth) Sì. (Tende l'indice verso di lei) Quando ha avuto quella giacca rossa, si è decisa a venire.

Il Giudice                      - Ti ha detto come l'ha avuta?

Peter                              - Come l'ha avuta?

Il Giudice                      - Sì. Elizabeth ti ha detto che glie l'aveva comperata la mamma?

Peter                              - Sì. (Cercando di ricordare segue lo sguardo del giudice che sta osservando Elizabeth) ... O forse no. Non ho approfondito.

Il Giudice                      - Ma se qualcuno ti dicesse che quella giacca le è stata regalata da un uomo...

 Peter                             - (sorpreso) Da un uomo?

Il Giudice                      - Sì. Da uno degli amici di Ruby.

Peter                              - Davvero? (Nota l'espressione imbaraz­zata di Elizabeth e si mette a ridere) Beh, ad ogni modo Betty si è divertita al concerto... poi, siamo andati a remare al Parco, abbiamo fatto uno spun­tino in piedi e ci siamo divertiti un mondo. Le feci da cameriere io: lei si comportava come una stella del cinema. (Guarda Elizabeth che a sua volta lo fissa. Le sorride con piacere al ricordo di quel gior­no, ed ella ricambia il sorriso. Il loro sorriso diventa a poco a poco un gorgheggio, una risata spensierata, probabilmente simile a quella di quel giorno. Gli adulti che si trovano nell'aula sono stranamente affascinati dallo spontaneo entusiasmo dei due gio­vani, e il giudice permette che si beino del radioso riflesso della loro felicità passata. Improvvisamente Betty si ricorda dove si trova e tronca la risata dì colpo. Altrettanto fa Peter). .

Il Giudice                      - Sta bene, Peter. Torna pure al tuo posto.

Peter                              - (si alza) Vostro Onore, c'è solo una cosa che voglio sappiate... Qualsiasi cosa abbia fatto, è buona. Io la conosco e so che è buona. Darei non so che cosa per poterla aiutare, Vostro Onore, perché... non è che Betty mi piaccia... Io l'amo.

Il Giudice                      - (annuisce) Mah! Sta bene, ra­gazzo mio. Va' pure.

Peter                              - (torna a sedersi accanto alla madre e ride ad Elisabeth. La signora Marti scuote la testa, di-. sperata. Poi, quando Peter è seduto, tossisce).

Il Giudice                      - Elizabeth Collins!

Elizabeth                       - (si alza. Ha l'aspetto spaventato) Sì, signore. (La signora Busch si alza e l'accompa­gna alla piattaforma).

Il Giudice                      - Vieni qui, figliola. (Elizabeth si volta e rida il violino a Peter che lo appoggia a terra. La signora Busch accompagna la ragazza alla sedia dei testimoni e si ferma vicino alla signorina Porter) Avanti. (Elizabeth si avvicina timorosa alla sedia dei testimoni e pensa che il giudice la faccia giurare, ma non è così. Tensione nell'aula. La si­gnora Collins tossisce) Siedi. (La ragazza siede. Il giudice si rivolge all'usciere) Tutti, meno i ge­nitori della ragazza, devono sgombrare l'aula. (Pe­ter ed Elizabeth si guardano. L'usciere si dirige alla porta, l'apre e si volta. I testimoni non hanno però ben capito l'ordine e si guardano interroga­tivamente l'un l'altro. L'usciere spiega).

L'Usciere                       - (si dirige alla panca N. 2 e tocca Larry su una spalla) Fuori. (Indica la sala d'aspetto. Larry esce voltandosi indietro, e l'usciere si rivolge alla signora Marti) Fuori. (La signora Marti si alza, guarda Peter. L'usciere a Peter) Presto.

Peter                              - (guarda l'usciere e poi il giudice) Anch'io? (Elizabeth sì rivolge al giudice il quale però sta osservando dei documenti).

L'Usciere                       - Anche voi. (Larry è uscito. La signo­ra Marti esce a sua volta. Peter si alza, prende il violino, sorride a Betty ed esce anche lui).

Il Giudice                      - (all'usciere che sta accompagnando fuori i tre) Fateli aspettare di là.

L'Usciere                       - Bene, Vostro Onore. (Chiude la porta ed esce),

Il Giudice                      - Elizabeth... Non ti faccio giurare: voglio che tu dica la verità sul tuo onore. Se dirai la verità sarai tu la prima a beneficiarne. Lo ca­pisci, vero?

Elizabeth                       - Sì.

Il Giudice                      - Sta bene. Ora voglio che mi rac­conti a modo tuo come mai tu, che sei una ragazza di quindici anni, hai potuto fare delle cose tanto brutte. (Collins scivola sulla panca).

Elizabeth                       - (comincia a piangere) Io... io... non vi voglio dire la verità di fronte a mio padre e a mia madre. (I Collins si stupiscono).

Il Giudice                      - (severamente) Se avessi detto tutto a tuo padre e a tua madre prima, non dovresti dirlo adesso, in tribunale... Avanti.

Elizabeth                       - (infelicemente) Ecco... in principio non sapevo che avrei fatto quelle cose.

Il Giudice                      - Cosa vuol dire « in principio »?

Elizabeth                       - Quando ho incominciato a uscire con Ruby.

Il Giudice                      - Quando è stato?

Elizabeth                       - Circa sei mesi fa.

Il Giudice                      - Parla un pò più forte'

La signora Busch          - Più forte, Betty.

Il Giudice                      - Non devi aver paura. Dove hai co­nosciuto Ruby?

Elizabeth                       - A scuola... è stato quando non ave­vo il vestito per la festa della scuola... Avevo finito le inferiori e, un giorno che piangevo, Ruby mi vide.

La signora Collins         - (si alza e si dirige verso Eli­zabeth interrompendo furiosa) Questa non è altro che una bugia... Scusatemi, Vostro Onore... L'aveva il vestito per la festa della scuola. L'avevo fatto io stessa. (A Elizabeth) Perché non dici la verità al giudice?

Elizabeth                       - (di rimando) Io non dico bugie! Non ce l'avevo il vestito! (La signora Busch inter­viene per calmarla, ma il giudice le fa cenno di desistere) Quello che mi avevi fatto tu non l'avrei messo nemmeno a carnevale. Tutte le ragazze avreb­bero riso di me! (Sentendo un improvviso senso di pena per sua madre) Lo so che hai fatto meglio che hai potuto, mamma; ma... scusa... era... tre­mendo!

Il Giudice                      - Sta bene. (La signora Collins torna a sedere) Allora tua madre ti ha fatto un vestito che non ti piaceva, tu piangevi e Ruby ti ha vista. Continua da qui.

Elizabeth                       - Ecco, mi chiese perché stavo pian­gendo, ed io non glie lo volevo dire. Ma insistette tanto che glie lo dissi. Allora lei mi disse: « Sei proprio una stupida a piangere così per un vestito. Quando è così facile procurarselo ». Ed io allora chiesi « come » e lei mi disse «Perché non metti in azione il fornello davanti?». (Appare imbaraz­zata dalla frase pronunciata e si scusa presso il giudice) Ha detto proprio così.

Il Giudice                      - Continua.

 Elizabeth                      - Ecco, allora mi ha prestato uno dei suoi vestiti per il ballo.

Il Giudice                      - Mmh. Così, da quel giorno, hai co­minciato ad incontrarti regolarmente con Ruby, vero?

Elizabeth                       - Per la verità, è stata una sera della settimana dopo.

Il Giudice                      - Già. E dove siete state?

Elizabeth                       - (abbassa gli occhi perché non, vor­rebbe parlare ed è riluttante. Il tono di voce è bas­sissimo) Prima siamo andate a Broadway.

Il Giudice                      - Dove? Non ho sentito. Parla più forte.

Elizabeth                       - (parla più forte) Siamo andate a Broadway... sapete... «Times square».

Il Giudice                      - (severamente) Perché siete andate là? Per trovare degli uomini? Dei militari?

Elizabeth                       - Ecco, Ruby mi disse che sarebbe stato solo una passeggiata. E poi, quando siamo arrivate vicino alla 43.ma Strada, mi ha detto: « Fermiamoci qui ». Allora ci siamo fermate. E poco dopo sono passati due marinai, due della marina mercantile. Ci hanno guardate ed hanno sorriso e anche Ruby ha sorriso, così che i due si sono fer­mati e ci hanno chiesto che cosa facevamo e Ruby disse « Niente ». Allora uno disse: « Andiamo alla Trattoria del Parco; perché non venite anche voi? ». E Ruby disse di sì.

Il Giudice                      - Allora andaste coi marinai.

Elizabeth                       - Sì.

Il Giudice                      - Che ora era?

Elizabeth                       - Saranno state le dieci. Avevo già messo a letto i fratellini.

Il Giudice                      - Quando è stato?

Elizabeth                       - In gennaio. Sei mesi fa.

Il Giudice                      - (prende appunti) Dov'è la Tratto­ria del Parco?

Elizabeth                       - Vicino al Parco dei Van Cortlandt. (Orgogliosamente) Abbiamo preso un tassì, però.

Il Giudice                      - Cosa avete fatto in quella trattoria?

Elizabeth                       - Abbiamo mangiato un po'. Io un pollo in gelatina. Jerry mi aveva detto di ordinare quel che volevo. Jerry era il mio marinaio.

Il Giudice                      - Han bevuto i marinai? (Elizabeth ride) Perché  ridi?

Elizaeeth                       - Tutti i marinai bevono... Non è vero?

Il Giudice                      - E tu e Ruby avete bevuto?

Elizabeth                       - Ruby altro che! Io soltanto un co­gnac col rum.

Il Giudice                      - Era la prima volta che lo. bevevi?

Elizabeth                       - Sì... M'ha fatto venir da piangere... (Ride).

Il Giudice                      - Come mai?

Elizabeth                       - (scrolla le spalle) Ecco. Quella sera avevo picchiato la mia Mary e mi dispiaceva. Ma non voleva andare a letto...

Il Giudice                      - E quella Trattoria del Parco, è sol­tanto un ristorante?

Elizabeth                       - Sì un ristorante... Ma di sopra, vo­lendo, vi sono delle stanze.

Il Giudice                      - Siete saliti?

Elizabeth                       - Sì... Mi girava la testa e il mio ma­rinaio disse che sarei stata meglio di sopra. (Ab­bassa gli occhi).

Il Giudice                      - Era la prima volta che avevi con­tatto intimo con un uomo?

Elizabeth                       - Come dite? (Guarda il giudice e ab­bassa ancora la testa. Tocca con le dita il bordo della sedia) Sì.

Il Giudice                      - Non avevi paura di avere un bam­bino? (Elizabeth scrolla le spalle) Hai mai fatto un aborto?

Elizabeth                       - (guarda a sinistra e poi indietro) Dopo quella volta, sì.

La signora Collins         - (piange mentre il marito mal­tratta il cappello) Dio mio! Non posso resistere più! (Piange silenziosamente).

Il Giudice                      - Chi ti ha accompagnata dal me­dico?

Elizabeth                       - Ruby. Ne conosceva uno, lei.

Il Giudice                      - E chi l'ha pagato il medico?

Elizabeth                       - Jerry... il marinaio. Non ha aperto becco. Aveva appena avuto la quindicina... (La si­gnora Collins si soffia il naso mentre la signorina Porter e la signora Busch parlano tra loro).

Il Giudice                      - Quando hai cominciato ad andare alle feste di Ruby, non ti pareva che fossero un po' troppo movimentate? (Collins fa sedere la moglie).

Elizabeth                       - (scrolla le spalle) Era un gran di­vertimento.

Il Giudice                      - E gli uomini che venivano a quelle feste, ti hanno mai dato del denaro?

Elizabeth                       - Qualche volta. Dicevano sempre di domandarlo, quando ne avevo bisogno.

Il Giudice                      - E' per questo che hai permesso che stringessero relazioni con te?

Elizabeth                       - Io non ho permesso niente. Ci di­vertivamo, ecco tutto. Ci compravano il gelato, le paste, e tutto quello che volevamo. Gente che spen­deva molto. E il signor Elliott era simpatico. Fin dalla prima volta che l'ho visto m'ha detto che potevo chiamarlo « Alex ».

Il Giudice                      - E poi ha detto che avrebbe voluto venirti a trovare a casa.

Elizabeth                       - Sì. Ma nessuno perde tempo quando c'è in vista un obbiettivo militare.

Il Giudice                      - « Un obbiettivo militare »?

Elizabeth                       - Ma sì... Vuol dire una ragazza colla quale si vuole avere un appuntamento.

Il Giudice                      - Sta bene. E i ragazzi che venivano a quelle feste, invece? Quanti anni avevano?

Elizabeth                       -  Avevano quasi tutti la mia età.

Il Giudice                      - Quindici?

Elizabeth                       - (annuisce) Cominciano presto, adesso.

Il Giudice                      - E le ragazze... Quante ce n'erano, di solito?

Elizabeth                       - Cinque o sei.

 Il Giudice                     - (accingendosi a scrivere) Come si chiamano? Dobbiamo rintracciarle? (Elizabeth ta­ce) Queste ragazze hanno bisogno del nostro aiuto. Faresti loro un favore.

Elizabeth                       - (scuote la testa) Non lo voglio dire.

La signora Busch          - Vostro Onore, abbiamo fat­to un'ispezione a scuola e abbiamo trovato delle sigarette all'oppio. L'Ufficio del Procuratore di­strettuale sta svolgendo le indagini per sapere di dove sono venute.

Elizabeth                       - Ma io non le ho fumate, quelle sigarette. Qualcuno dei ragazzi, sì; quando era già un po' sbronzo. Ma io no.

Il Giudice                      -  E hai bevuto?

Elizabeth                       - Soltanto un goccio ogni tanto.

Il Giudice                      - Tutte le ragazze che venivano a quelle feste, hanno avuto relazioni intime con i ragazzi?

Elizabeth                       - (scrolla le spalle) Proprio non lo so. Io non l'ho mai fatto.

Il Giudice                      - (enfatico) Ora, tornando a quella notte quando Elliott e Larry sono venuti da te: era la prima volta che il signor Elliott veniva a casa tua?

Elizabeth                       - Ma certo!

Il Giudice                      - Ed era la prima volta anche per Larry?

Elizabeth                       - Certamente! Prima non l'avevo mai lasciato venire... perché non mi piaceva.

Il Giudice                      - Perché non ti piaceva?

Elizabeth                       - Perché è un villano. E' un villano.

Il Giudice                      - Hai avuto del denaro da Elliott quella notte?

Elizabeth                       - No.

Il Giudice                      - Te ne ha promesso?

Elizabeth                       - Ecco, m'ha detto che avrei potuto averne quando volevo e mi ha chiesto se mi pia­cevano gli orecchini. E gli orecchini mi piacciono, sì. (Sì infiamma) Ma non volevo che venisse a casa mia perché mia madre non voleva che ci venis­sero nemmeno i ragazzi. Ma Larry disse che se non li avessi lasciati venire avrebbe scritto quella roba sulla porta, un'altra volta. Così io ho detto che andava bene. (Guarda in alto) Ma, allora, verso le nove, spensi la luce per far credere che ero già a dormire. E loro non la smettevano più di suonare il campanello, così ho dovuto alzarmi perché non volevo svegliare i bambini. Poi sono en­trati e io ho messo un disco da ballare perché volevo dire a Elliott di non andare via prima di Larry perché non volevo star sola con lui. E' troppo un villano invadente. Fu allora che Elliott mandò Larry a prendere del wisky. Cercai di impedire che lo mandasse perché non volevo star sola nem­meno con lui. Ma lui disse che voleva bere e io non avevo niente da dargli. Allora Larry uscì e il signor Elliott... cominciò a mettermi le mani addosso. Al­lora io dissi: «Piantatela, signor Elliott » e lui rispose: « Non ti avevo mai detto di chiamarmi Alex »?  Ed io, di rimando: « Va bene, Alex, ma non far lo spiritoso ». Allora lui chiuse la porta ed io dissi: « Meglio lasciarla aperta che se no Larry la prende a calci, quando toma». Così lasciò la porta aperta, ma mi spinse nella camera da letto, chiuse la porta e mi fece togliere la vestaglia e... dopo arrivò la polizia. (Si aggrappa alla sedia. La signora Collins piange pianamente. Si sente la si­rena delle cinque).

Il Giudice                      - Elizabeth, hai sentito anche tu che Peter ha detto che ti ama? E tu?

Elizabeth                       - Certo! Solo, che sua madre diceva sempre che io non ero abbastanza buona per lui. (Rivelando un sentimento che è stato nascosto per molto tempo) Subito quando abbiamo cominciato a fare amicizia. Tutte le volte che Peter voleva farmi qualcosa, come aggiustarmi la bicicletta o non so altro, sua madre correva fuori e gridava: « Non farlo che devi stare attento alle mani » e una storia e l'altra. E tutte le volte che volevamo andare a fare una passeggiata o al cinema, di­ceva che Peter doveva fare gli esercizi... anche se non era vero...

Il Giudice                      - Ma siete andati lo stesso, a spasso o al cinema.

Elizabeth                       - Una volta ogni tanto. E sua ma­dre poi aveva sempre qualcosa di brutto da dire contro di me, e lo diceva forte, così potevo sen­tirla... E quando Peter m'invitò al suo concerto, lei mi fermò sulle scale, un giorno che non c'era, e mi disse che non voleva che andassi al concerto di suo Aglio. « Mi ha invitato lui, risposi, e non vedo perché dovrei rinunciare », e lei: « Perché tu non sei nemmeno degna di lucidare le scarpe di Peter ». Poi disse che gli sciupavo la carriera e che se avevo un po' di pudore avrei dovuto stare lontana, eccetera, eccetera.

Il Giudice                      - Hai detto a Peter quel che t'aveva detto sua madre?

Elizabeth                       - No. Non volevo che bisticciassero.

Il Giudice                      - Quand'è stato il concerto?

Elizabeth                       - Un mesetto fa... il 14 maggio.

Il Giudice                      - (sorpreso guarda un calendario sulla sua scrivania) Ma come! Meno di due setti­mane prima del tuo arresto?... (Guarda un documento) Sei stata arrestata esattamente il 26 maggio.

Elizabeth                       - (abbassa gli occhi) Sì.

Il Giudice                      - Meno di due settimane dopo esser uscita con Peter, tu hai permesso ad Elliott di ve­nire a casa tua, e col tuoi fratellini nella stanza vicina hai disonorato quella casa!

Elizabeth                       - (abbassa la voce di tono) Era la prima volta!

Il Giudice                      - (alza la voce, severamente) Ma lo era?... Stando a Larry c'era stato qualcun altro prima... Quando è venuto quel marinaio...

Elizabeth                       - (ingenuamente) Era il marinaio che mi aveva portato alla Trattoria del Parco: Jerry. Era venuto a dirmi addio perché partiva il giorno dopo. E siccome aveva paura che la sua nave venisse silurata, e di morire, e una storia e l'altra, io mi sentii commuovere tanto che mi misi a pian­gere.

Il Giudice                      - E' stato dopo il concerto anche questo?

Elizabeth                       - (abbassa nuovamente gli occhi) E' stato prima. Lo stesso giorno che la signora Marti mi disse che non ero nemmeno degna di lucidare le scarpe a suo figlio.

Il Giudice                      - Ti ha lasciato del denaro, Jerry?

Elizabeth                       - (offesa) No. Era in bolletta. Ho dovuto persino dargli i soldi per il tram.

Il Giudice                      - (sì allunga sulla sedia e dopo un mo­mento dì pausa parla gravemente) Dunque, Eli­zabeth. Adesso ti devo fare una domanda molto importante e devi assolutamente rispondere la verità.

Elizabeth                       - Ma io ho sempre detto la verità, Vostro Onore!

Il Giudice                      - Sta bene... Hai avuto contatti in­timi, con altra persona, oltre che con quel mari­naio e... il signor Elliot?

Elizabeth                       - (abbassa rapidamente gli occhi e ri­sponde con voce quasi inintelligibile) No.

Il Giudice                      - (si china verso di lei) Cos'hai detto? Non ho sentito: devi rispondere più forte.

Elizabeth                       - (parla più forte, ma non è convin­cente) No.

Il Giudice                      - (la guarda un istante e non è sicuro che dica la verità) Sta bene. Per ora basta.

Elizabeth                       - (si alza e si appoggia al tavolo) Vo­stro Onore, per carità non mandatemi via! Non voglio lasciare la mia mamma e... mio padre e la mia sorellina e i miei fratellini... Vostro Onore, non le farò più quelle cose. Vostro Onore, per carità...

Il Giudice                      - (scuote leggermente la testa mentre la studia) Torna al tuo posto. (La signora Busch accompagna Elizabeth alla panca numero tre e la fa sedere. Poi si sposta verso destra mentre il giu­dice le dice) Datemi il referto medico, ed il rap­porto delle assenze! (La signora Busch esegue).

L'Usciere                       - (dirigendosi rapidamente alla piatta­forma) Giudice Bentley?

Il Giudice                      - (osservando i documenti) Che c'è?

L'Usciere                       - Il procuratore distrettuale vi ha te­lefonato ancora, Vostro Onore. Dice che se avete qualche minuto dì tempo vi varrebbe chiedere qualcosa sul signor Elliott.

Il Giudice                      - (si alza) Prenderò la comunica­zione nel mio ufficio privato.

L'Usciere                       - Sì, Vostro Onore.

Il Giudice                      - Fate entrare il ragazzo: gli devo parlare ancora.

L'Usciere                       - Sì, Vostro Onore. (Il giudice entra nel proprio ufficio e porta con sé delle carte. L'u­sciere esce).

La signora Busch          - (alzandosi e andando verso la comune, alla signorina Porter) Vado fuori a prendere una boccata d'aria. Ne ho proprio bi­sogno.

La signorina Porter       - (alzandosi) Anch'io. (Prende la borsetta. Guarda la gente nell'aula e parla camminando) Dì' un po', Busch?... Pensi che ci sia da fidarsi a lasciar qui questa gente sola?

La signora Busch          - E perché no? Certo che va bene. (Ai Collins) Torneremo subito.

La signorina Porter       - (estrae il portasigarette) Dì' un po' Busch... ti ho già fato vedere questo portasigarette? Me lo ha regalato mia madre... (Escono).

La signora Collins         - (Elizabeth ha gli occhi fissi sul pavimento) E allora, Carlo?... Pare che non ci sia più speranza, vero?

Collins                           - (scuotendo tristemente la testa) Non potevo credere che era nostra figlia, quella che ha detto... tutte quelle cose...

La signora Collins         - Senti: devi parlare al giu­dice e pregarlo. Hai sentito? (Elizabeth ha trovato per terra un pezzo di corda e si è messa a giocare).

Collins                           - (sfiduciato) Cosa posso dire?... Gli dirò che andiamo in California. Può darsi che questo lo possa influenzare.

La signora Collins         - Prova. Magari possono mandare anche Betty in California. Se la man­dano via, ce la potrebbero mandare vicino. (Si alza) Voglio domandare alla signora Busch. (Va alla por­ta ma si volta) Oh senti, Carlo, prima che mi di­mentichi. Se dovessero sapere di questa faccenda, al cantiere, non devi dire che è tua figlia. Ce ne sono tanti di Carlo Collins, a New York.

Collins                           - E come potrebbero saperlo in Cali­fornia?

La signora Collins         - Per via di quell'Elliott. Forse lo metteranno sui giornali. Non ci manche­rebbe altro che tu perdessi il posto.

Collins                           - (dirigendosi verso di lei) Cate... Dì' qualcosa a Betty... tirala un po' su di morale.

La signora Collins         - (dopo aver guardato la fi­glia) Voglio parlare alla signora Busch. E' più importante, adesso. (Guarda ancora la figlia) Avrei bisogno anch'io, di essere tirata su di morale. (Esce. Collins si porta a sinistra e per un momento sor­ride alla figlia. Questa lo guarda spaventata, ra­pidamente poi comincia a piangere).

Collins                           - (batte i piedi) - Maledizione al giorno che ho lasciato New York... (Si volta a sinistra) Quando ero a casa io, non andavi in giro, tu... non avrei mai dovuto andar via... non avrei mai dovuto farlo.

Elizabeth                       - Ma io sono stata contenta che l'hai fatto, papà! Contenta!

Collins                           - (dietro alla panca) Perché ti ingom­bravo la strada, vero? Perché non ti potevi « di­vertire »...

Elizabeth                       - (si volta e si mette in ginocchio) No! Non per quello! Ero contenta che te ne andavi via perché mi faceva male vederti fare i lavori di casa e mi faceva pena vederti addosso il grem­biule della mamma. E sapevo che tu lo odiavi. Quando hai avuto il posto, mi sono messa a bal­lare dalla gioia. Ti ricordi papà? Perché sapevo che non avresti più dovuto aver vergogna, coi vicini e tutti gli altri; e la famiglia della mam­ma non ti avrebbe più rinfacciato che era la mamma che ti manteneva...

Collins                           - (si volta a sinistra) Questo significa che tu pensavi a me e che mi volevi bene, non è vero?

Elizabeth                       - (scivola sulla panca) Ti voglio bene, papà. (Si alza e si porta verso destra).

Collins                           - E allora, perché hai fatto quelle cose così brutte che mi fanno tanto vergognare? Più vergogna di quando ero disoccupato...

Elizabeth                       - (scuote la testa) Non lo so. Non lo so spiegare. Ma il giudice mi manderà via?

Collins                           - (Elizabeth gli è di fronte. Siede sulla panca N. 1) Vorrei poter dire «no ». Vorrei con­solarti, ma se si decide in quel senso, cosa posso farci io? Niente!

Elizabeth                       - (spaventata) Niente?! )

Collins                           - (Elizabeth si sposta verso sinistra e sie­de al N. 3) Ho pensato che ti potrebbe aiutare. Ma devi avere delle raccomandazioni. Ed io non ne ho. Ma non scoraggiarti, forse... (La sua voce è però sfiduciata) Vedrai che andrà tutto a finir bene. (L'usciere apre la porta ed entra con Peter).

L'Usciere                       - (a Peter) Sedete. Il giudice vi vuole parlare ancora. (La signora Marti, ancora dell'e­sterno, cerca di seguire Peter, ma l'usciere la ferma) Voi no, signora. Solo vostro figlio.

La signora Marti           - (triste) Vi prego... voglio essere con mio figlio... (L'usciere esce e chiude la porta dall'esterno. Peter si guarda attorno e va da Elizabeth. Appoggia il violino sulla panca N. 3. Collins li guarda dalla sedia dei testimoni).

Peter                              - Betty...

Elizabeth                       - (lo guarda e cerca dì sorridere) Oh Peter, grazie... per aver detto tutte quelle belle cose al giudice... grazie proprio.

Peter                              - Non le ho dette per essere ringraziato. Le penso veramente, io. Spero solo che siano ser­vite un po' per aiutarti. (Collins guarda Peter. Pe­ter guarda Collins. Questi esce. Peter siede in fondo alla panca accanto a lei e si appoggia in avanti) Cosa è successo? Perché ci ha fatti uscire tutti? (Elizabeth si stringe nelle spalle) Perché piangi?

Elizabeth                       - Perché mi vogliono mandar via...

Peter                              - L'ha detto lui?

Elizabeth                       - No. Ma quando' gli ho detto di non mandarmi via, non ha risposto niente. Così mi manderà via.

Peter                              - Accidenti, perché non me l'hai detto prima che eri in questo pasticcio?

Elizabeth                       - Credevo che lo sapessi. Tutti lo sanno nel nostro quartiere, anche a scuola.

Peter                              - Noi credevamo tutti che fossi a casa della nonna a curarla, perché era ammalata...

Elizabeth                       - Chi te l'ha detto?

Peter                              - Tua madre.

Elizabeth                       - E tua madre, non l'ha detto dove ero?

Peter                              - Non ha mai aperto bocca. Io non c'ero, quando sei stata arrestata.

Elizabeth                       - Chi t'ha detto che ero stata ar­restata?

Peter                              - Sammy Jinkins. Lo conosci? E' quello zoppo. Me l'ha detto proprio mentre stavo andando a lezione.

Elizabeth                       - Lo dirà a tutti, quello.

Peter                              - Ma lui non sa perché sei stata arrestata. Perché ti hanno portata qui? Voglio saperlo.

Elizabeth                       - (lo guarda negli occhi un momento) Mi odieresti se te lo dicessi, Peter... e non vo­glio che mi odii.

Peter                              - (raddrizza la sedia. Con fervore giova­nile) E come potrei mai odiarti? Hai ben sen­tito, quel che ho detto al giudice... E' la prima volta che l'ho detto così deciso. (Peter accavalla una gam­ba su una sedia) Ma sono sicuro che tu l'hai sempre saputo, vero? Lo sapevi           - (gioca con un piede) che sono innamorato pazzo di te!... E allora, come potrei odiarti?

Elizabeth                       - Ma se io fossi stata una cattiva ra­gazza...

Peter                              - (si piega in avanti) « Cattiva »? E che vuol dire, cattiva? Ci dicono di non mentire perché è male, ma noi sappiamo che loro mentono. Molto di più di noi ragazzi... Così è male quando lo faccia­mo noi, ed è bene quando lo fanno loro.

Elizabeth                       - Proprio vero. Come quando ti dicono che non devi baciare nessuno... e loro invece baciano.

Peter                              - (contro voglia, geloso) Beh... Può darsi che questo sia un po' diverso.

Elizabeth                       - (si alza. Cerca di parlar chiaro e si porta verso destra) E perché? Non lo posso spie­gare a nessuno. Non lo capisco nemmeno io. (Si volta verso sinistra) Ma forse tu sei capace, Peter... sei così intelligente, tu... (Peter ha un gesto come per respin­gere il complimento e ride) Gli anziani non lo po­trebbero proprio capire, ad ogni modo. Ma quel che vorrei dire è che... (S'inginocchia sulla panca N. 3) A volte mi sento come se... come se amassi tutti... tutti... in tutto il mondo; soltanto amarli... (stringe il pugno) così tanto che... sai... il mio (porta il pugno al petto) corpo si sente troppo piccolo... per tenersi dentro tutto quell'amore... e quando mi viene vicino qualcuno... mi vien solo voglia di baciarlo e di ab­bracciarlo... (Allarga le braccia) Chiunque sia... un bambino, un gatto, un uomo... chiunque sia. Questo vuol dire che non sono una cattiva ragazza, credo... non so proprio cosa c'è che non va dentro di me.

Peter                              - (si alza. Gira attorno alla panca N. 3 e la tocca con affetto sulle spalle) Lo so, come ti senti. Ma gli altri non lo capiscono. Lo dimenti­cano mentre diventano grandi, capisci?

Elizabeth                       - Sì... così... se senti che... sono una cattiva ragazza... Io... io non so perché... (Scoppia in lacrime).

Peter                              - (si sposta a destra) E su! Non cercare di spiegare a me...

Elizabeth                       - E adesso mi mandano via, in pri­gione...

Peter                              - Ma i ragazzi non li mandano in prigio­ne...

Elizabeth                       - (si aggiusta sulla panca. Appare sfidu­ciata) Ecco, è come una prigione. Me l'ha detto una delle ragazze che ho incontrato qui. E' in mezzo alla campagna, vicino a dei boschi, e non si vede mai nessuno: soltanto delle sorveglianti e della gente come la signora Busch: gente che grida sempre e non fa altro che castigare.

Peter                              - (si sposta e guarda la porta appassionata­mente) Ecco, tu non ci andrai! Non ci andrai, se io posso fare qualche cosa. (Guarda la porta e s'in­ginocchia sulla sedia) Senti, Betty: mi è venuto in mente qualcosa. Ci ho pensato per tutto il tempo che sono stato nell'ufficio del giudice... Se il giudice ti vuol mandare via, allora io e te scappiamo.

Elizabeth                       - (si alza e sbarra gli occhi) Scappa­re?...

Peter                              - (si alza) Sì... tu ed io. .

Elizabeth                       - Cosa stai dicendo? Non possiamo scappare... Da dove?

Peter                              - Da qui.

Elizabeth                       - Da qui?... Tu puoi uscire, da qui; ma io no.

Peter                              - Ti farò uscire io: non aver paura.

Elizabeth                       - E come potresti se non posso cammi­nare da sola nemmeno in corridoio?

Peter                              - (guarda la porta) Sì, lo so. Ma per que­sto ho pensato al gabinetto.

Elizabeth                       - Quale gabinetto?

Peter                              - (le si avvicina) Quello delle signore... C'è una finestra, là; te ne sei accorta? E ce n'è anche una in quello degli uomini.

Elizabeth                       - (si siede sulla panca N. 3) Sì; c'è ima finestra.

Peter                              - Ebbene, è tutto quello che ci serve. Se quella finestra guarda nel cortile.

Elizabeth                       - Sì che guarda sul cortile. E allora?

Peter                              - (siede e si curva su di lei) Ecco il mio piano: se il giudice dice che ti vuol mandare via, non metterti a piangere e non eccitarti... mantie­niti calma e chiedigli se puoi andare un momento al gabinetto.

Elizabeth                       - Perché?

Peter                              - (si guarda attorno) Perché dovrai scap­pare da quella finestra!

Elizabeth                       - Vuoi dire che devo saltare in cor­tile dalla finestra?

Peter                              - (scuote la testa. Si alzai e si sposta verso sinistra) No... è troppo alto, vieni qui che ti faccio vedere. (La prende per mano ed i due cor­rono verso la finestra centrale. Egli guarda giù) Vedi? (Anche Elizabeth guarda giù) Questo cortile è un altro, ma l'altezza è la stessa: saranno al­meno sei metri.

Elizabeth                       - (si volta e siede sulla sedia presso la finestra. Guarda a sinistra) E allora?... Salto bene, io. Sono la migliore della scuola.

Peter                              - Ma qui è diverso. Non voglio che tu ti faccia male.

Elizabeth                       - (dimenticando i suoi guai per un mo­mento, guarda l'aria e respira profondamente) Mmh!... Com'è bello il sole!... Mmm... (Peter an­nuisce e le tocca i capelli, poi mentre ella conti­nua toglie la mano) Dì, vuoi sentirne una? Sono due settimane che non prendo una boccata d'aria fresca.

Peter                              - Accidenti... .

Elizabeth                       - (respira profondamente e si rivolge a lui) Oh!... cosa stavi dicendo, Peter? Ti ho interrotto.

Peter                              - Ecco... volevo dirti che avevo un'idea migliore della tua, per saltare in cortile. Aspetta un momento. (Va alla panca N. 3, apre la custo­dia del violino e ne prende la custodia di stoffa. Elisabeth si piega su di lui. Peter si mette in gi­nocchio e guarda la porta) Vedi questa custodia?

Elizabeth                       - (la guarda senza fiato, meravigliata) E' bella! Chi te l'ha data?

Peter                              - (si alza) Me l'ha regalata il mio mae­stro per coprire il violino. Guarda: è lunga un metro e ottanta: se la tagliamo in due, diventano tre e sessanta. Giusto? (Elizabeth annuisce) Am­mettiamo di perdere trénta centimetri per fare un nodo, ne rimangono sempre tre metri e trenta. Capito?

Elizabeth                       - Non ancora.

Peter                              - (siede sul bracciolo della panca N. 3) Ascolta: nel gabinetto degli uomini c'è un gran tubo dell'acqua che attraversa la stanza, proprio sotto il soffitto, e scommetto che lo stesso tubo passa poi in quello delle donne. In questo caso tu annodi questo panno al tubo o a qualsiasi altra cosa vicino alla finestra. Poi ti lasci calar giù ada­gio adagio fin che puoi. Così dovrai saltare soltan­to un metro e mezzo. E questo lo potrai fare senza paura.

Elizabeth                       - Ma certo.

Peter                              - Io ti aspetterò in cortile e... (fa schioc­care le dita) prima che se n'accorgono, saremo lontani di qui.

Elizabeth                       - E' un'idea meravigliosa, se pos­siamo farlo.

Peter                              - Dobbiamo tentare, Betty! E' l'unica via d'uscita che abbiamo, se il giudice dice che ti vuol mandar via. (Elizabeth appare meravigliata ed impaurita) Tieni... prendi la custodia. (Ella la prende) Mettila nella tua borsa... e quando scendi giù, sta attaccata bene. (Rassicurandola) E' forte, sai. (La tira un po' per dimostrazione) Resisterà.

Elizabeth                       - E come faccio per tagliarla?

Peter                              - E' vero. Prendi il mio temperino. (Ese­gue).

Elizabeth                       - (grata, ma come trasognata, incerta se. questo meraviglioso piano può essere realizza­to) Oh, Peter... sei fantastico: pensi proprio a tutto.

Peter                              - (fa per voltarsi ma si ferma) Oh, a-spetta un momento: il segnale... me l'ero dimen­ticato.

Elizabeth                       - Il segnale? .

Peter                              - (siede sulla spalliera della, panca N. 3) Sì: dobbiamo avere un segnale. Se il giudice dice che ti manda via, subito dopo tu devi dire: « Per favore, potrei andare un momento al gabinetto? ». Quello sarà il segnale.

Elizabeth                       - (ripete) « Per favore, posso an­dare ali gabinetto? ».

Peter                              - Benissimo. Poi, dopo cinque minuti che tu sei uscita, esco anch'io ed usciremo dal cortile. D'accordo?

Elizabeth                       - D'accordo. Oh, Peter, tu sei pro­prio... fantastico... a voler...

Peter                              - (si alza. Ad Elizabeth) Lascia perdere. Tutto è combinato, allora?

Elizabeth                       - Sì... Uh... ti abbraccerei, Peter: sono così felice!

Peter                              - (siede alla panca N. 3) Senti, Betty... Avevo pensato anche ad un'altra cosa... Ma non so come la prenderai, questa... Però se vogliamo scappare, dobbiamo sposarci da qualche parte, e subito. Sai perché?

Elizabeth                       - Hai detto « sposarsi »?  

Peter                              - Esattamente. Sai perché?

Elizabeth                       - Perché?

Peter                              - Perché dopo che saremo scappati, ci daranno la caccia: lo fanno sempre.

Elizabeth                       - Sì... l'avevo pensato anch'io: ci riporteranno indietro e poi mi manderanno via.

Peter                              - Se siamo sposati, no. Sai perché?

Elizabeth                       - Perché?

Peter                              - (si alza e mette le mani in tasca) Perché non possono mandare una donna sposata in un riformatorio.

Elizabeth                       - Oh... sì!

Peter                              - (si accovaccia sulla sedia) Allora, cosa ne dici? Ho un po' di soldi in banca e li ritiro subito. Poi andremo a sposarci in uno stato dove danno la licenza! anche se il marito ha sedici anni. Credo che sia qualche Stato del Sud. Ci in­ formeremo bene, andremo là, e ci sposeremo su­bito. , .

Elizabeth                       - (si sposta verso destra e Peter la se­gue. E' pensierosa e scuote la testa) No, Peter.

Peter                              - Perché no? Questo è l'unico sistema perché non ti mandino via.

Elizabeth                       - (scuote ancora la testa) E tua ma­dre? M'ha detto che non ti saresti mai sposato, tu.

Peter                              - (sorpreso) Ha detto così?

Elizabeth                       - (annuisce) Ha detto che i grandi concertisti di violino sono tutti scapoli.

Peter                              - Ma neanche per idea: Heifetz è spo­sato. Elmann è sposato e Menuihin si è sposato che aveva soltanto 19 anni.

Elizabeth                       - Ma tu ne hai solo sedici.

Peter                              - Sì, ma io ho più guai di loro.

Elizabeth                       - (scuote la testa) No, non voglio rovinare la tua carriera.

Peter                              - Che dici mai?... E come potresti ro­vinare la mia carriera? Non potrei fare esercizi anche dopo sposato? (Si curva in avanti) Allora, cosa dici? Ci sposiamo?

Elizabeth                       - Va bene, Peter... se sei sicuro che vuoi andare incontro a dei pasticci per avermi sposata.

Peter                              - (La guarda adorandola) Ripeto. Sono sicuro. (Siede) Sono sicuro che non c'è nulla su questa terra che non farei per te.

Elizabeth                       - (gli prende la mano destra) Sei proprio buono, Peter, e ti voglio un gran bene... proprio tanto. (Per coprire la reciproca emozione, mentre le loro mani si toccano) Ce li hai ancora i calli alle dita?

Peter                              - Sulla sinistra. (Le dà la sinistra).

Elizabeth                       - Oh!

Peter                              - Ma certo: lì ho sempre avuti. Sono le corde del violino.

Elizabeth                       - (gli prende un dito e ride) Ti ri­cordi quando ti ho punto con un ago?

Peter                              - (ride) Sì, e hai spinto troppo perché mi faceva un male del diavolo quando suonavo. (Ella ride e prende le due mani di Peter. Poi premurosa).

Elizabeth                       - Ma le tue mani sono gelate! (Le scalda con le sue. Scherzando) Cuore caldo, vero? (Entrano la Busch e la Porter. Vanno a sedersi. Peter siede sulla panca N. 4 col violino. Elizabeth siede alla N. 3).

La signora Busch          - (guarda Peter ed Elizabeth) Quante volte sei uscita con lui?

La signorina Porter       - Tre volte.

La signora Busch          - E poi non hai più sa­puto niente?

La signorina Porter       - No, e sì che cominciava a piacermi. Forse me ne sono fatta accorgere trop­po. A volte questo li fa scappare. (Entra l'usciere coi Collins. Entra il giudice e dice Qualcosa alla signora Busch. Guarda i Collins poi va a sedere).

L'Usciere                       - (in fretta) Entrate,, signori. (I Collins siedono alla N. 1 e l'usciere si mette ac­canto a loro).

Il Giudice                      - (atta signorina Porter) Ricorda­temi di chiamare Prendergast all'ufficio del Pro­curatore distrettuale, non appena la Corte si sarà aggiornata. (Riordina alcune carte. La signora Collins tossisce) Dunque... Ah, sì: Peter. (Peter si alza) Sta seduto, sta seduto. (Peter siede meravi­gliandosi di quel che deve accadere) Elizabeth! (Entra il cancelliere che siede al proprio tavolo).

Elizabeth                       - (si alza) Sì, Vostro Onore.

Il Giudice                      - (all'usciere) Portate fuori la ra­gazza.

L'Usciere                       - (si avvicina ad Elizabeth).

Elizabeth                       - (presa dal panico) Mi portano via! (Peter si alza e si dirige verso di lei per rassicu­rarla. Si alzano anche i Collins e la signora Col­lins si avvicina alla figlia).

Il Giudice                      - (ristabilisce l'ordine) Calma, cal­ma... Elizabeth ti chiamerò ancora. E presto.

Elizabeth                       - (riassicurata, torna a sorridere) Oh, benissimo. (Prende la borsa e si dirige verso la porta mentre Collins la guarda) Benissimo. (I Collins tornano a sedere. Anche Peter. Elizabeth esce con l'usciere).

Il Giudice                      - Venite qui, prego, signori Collins. (I due si alzano, si guardano e si dirigono verso la piattaforma. Il giudice fa loro cenno dove fer­marsi) Anche Peter. (Peter si avvicina ai Collins che stanno tremando per quel che deve accadere. I due guardano Peter) Ho fatto allontanare dall'aula Elizabeth perché ho da dirvi una cosa molto grave... Signora Collins. Quando vostra fi­glia è stata portata qui, voi avete permesso che si facessero degli speciali esami. Prove psichia­triche...

La signora Collins         - (interrompe) Sì, Vostro Onore e non sono riuscita a spiegarmi perché il tribunale volesse quelle prove... per una ragazza giovane come Betty...

Il Giudice                      - Noi dobbiamo avere rapporti di laboratorio su tutti i ragazzi che ci compaiono da­vanti. Allora possiamo stabilire se le cause della loro colpa sono di ordine fisico, emotivo o men­tale...

La signora Collins         - (interrompe ancora) C'è qualcosa che non va nella testa di Betty, Vostro Onore? A volte mi sono meravigliata anch'io...

Il Giudice                      - No, no. Stando al referto psico­logico, e per quanto ho potuto osservare io stesso, Elizabeth è perfettamente normale di mente.

La signora Collins         - Allora, perché ha fatto quel che ha fatto, Vostro Onore?

Il Giudice                      - Esamineremo tra breve l'aspetto morale della faccenda: è il punto più importante da prendere in considerazione, nonostante che io non possa fare qui una analisi completa. Ci por­terebbe troppo lontani. Il caso di vostra figlia è tipico: Elizabeth non è altro che la rappresen­tante di centinaia di altre delinquenti minorenni.

Peter                              - (osa interrompere il giudice al quale si avvicina. Ha gli occhi infiammati) Scusate, Vostro Onore, ma quel che avete detto mi ha colpito come una mazzata. Chiamare Betty una delinquente... So cosa significa delinquente, io. Delinquente  è chi trascura di compiere un dove­re... e allora, perché non chiamare delinquenti anche i genitori? Gli insegnanti? I ministri? (/ Collins parlano tra loro) Sissignore e anche i tu­tori della legge! E' delinquenza di adulti.

La signora Collins         - (temendo che Peter rovini la situazione) Non dovresti essere così prepo­tente, giovanotto!

Collins                           - (anch'egli timoroso) Suo Onore non ti ha chiesto il tuo parere.

Il Giudice                      - (indulgente) Non importa, lascia­te che parli pure... ma per tua norma, Peter... io ho parlato di « delinquenza » di adulti molto pri­ma che tu fossi nato.

Peter                              - (riscaldato) E allora perché tutti par­lano di delinquenza di minorenni?... E perché tutti dicono che è una conseguenza della guerra?

Il Giudice                      - Peter... tu sei un ragazzo intelli­gente e vale la pena che ti spieghi che quella che noi chiamiamo « delinquenza giovanile » è conseguenza di cause diverse, troppo complicate, per essere qui esaminate, perché sono collegate a molti altri motivi di carattere sociale, economico e per­sino razziale. Intendo dire dell'origine della razza umana... ma questo tribunale non può perdere tempo a fare meditazioni sull'interpretazione eco­nomica e sociale della materia... dobbiamo trattare il caso specifico di Elizabeth Collins... e presto-prima di poter trovare un rimedio per tutto il mondo. (/ Collins si dicono qualche cosa) Capito? (Peter non risponde e Collins non attende che il ragazzo trovi Qualcosa da dire).

Collins                           - (supplicando il giudice) Vostro Onore... Giudice Bentley... non è che io vi voglia dare con­sigli o vi voglia dire quel che dovete fare... non lo voglio assolutamente. Ma... io so che mia figlia non è corrotta. E' stata soltanto rovinata dalle cattive compagnie. (La signora Collins lo tocca) Ma io credo che d'ora, innanzi, dopo lo spavento che ha preso, essa tornerà sulla strada giusta. (La signora Collins lo tocca) Porterò tutta la famiglia in Cali­fornia e là la ragazza potrà cominciare una nuova vita.

Il Giudice                      - Signor Collins, tutte le volte che io posso, rimando i figli ai loro genitori. Il rifor­matorio o « in casa », come lo chiamiamo noi, è l'ultima risorsa. Perché io credo che questi ragazzi si possono meglio correggere frequentando com­pagni normali. Ma la difficoltà, questa volta, signor Collins, è che per un tempo indeterminato non posso permettere che Elizabeth si mescoli agli altri ragazzi ed alle altre ragazze.

La signora Collins         - Non dovrebbe mescolarsi?

Collins                           - Lascia parlare il giudice.

La signora Collins         - (continua indignata mentre il marito cerca dì tenerla) Ma come, Vostro Ono­re, non c'è nessuno migliore...

Il Giudice                      - Può essere, signora...

La signora Collins         - (avanti, decisa) Bevono tutti!

Il Giudice                      - Un momento...

La signora Collins         - (come prima) Fumano tutti!

Collins                           - (cercando di farla tacere e dì ascoltare il giudice) Cate, vuoi ascoltarmi?

La signora Collins         - (ignorandolo) Tornano a casa tutti tardi...

Il Giudice                      - (batte il martelletto) Basta! Basta! (La Collins tace e lo guarda) C'è una differenza, signora Collins: vostra figlia è gravemente amma­lata. Elizabeth... ecco... Elizabeth ha una malattia venerea. (Peter si aggrappa al tavolo del giudice).

La signora Collins         - (non osando credere a quan­to ha sentito) Cosa?

Collins                           - (spettrale) Non è possibile, Vostro Onore.

Il Giudice                      - E' qui, nel referto medico. (Lo passa alla signora Busch che lo dà ai Collins).

La signora Busch          - Proprio qui.

Il Giudice                      - L-u-e vuol dire sifilide! (La si­gnora Collins si ferma).

La signora Collins         - (guarda terrorizzata il giudice e grida) Oh, no, no! (Il giudice non può dir nulla per consolarla ed ella si rivolge al marito come pazza) Carlo, no! (Il giudice fa un cenno alla signora Busch).

Il Giudice                      - Aiutatela. (La signora Collins ha una crisi di isterismo).

La signora Collins         - No, no, no... non può es­sere... non può essere... (La signora Busch le si avvicina e la tiene stretta ai polsi).

La signora Busch          - (la scuote severamente) Su, su, finitela. (La signora Collins continua a gridare e a singhiozzare) Finitela! (Entra l'usciere che as­sieme alla Busch tiene ferma la Collins. La Busch fa un segno al cancelliere che si avvicina, prende la donna ai fianchi e la accompagna fuori).

L'Usciere                       - (al cancelliere) Chiudete quella porta! Chiudete quella porta! (Il cancelliere esegue e poi torna a sedersi. Collins è come paralizzato e il referto medico trema tra le sua dita. Peter sembra inchiodato al pavimento. Si sente sbattere una porta e le grida della Collins cessano).

Il Giudice                      - La seduta è sospesa sino a quando la signora Collins non si sarà rimessa. (Al signor Collins) Signor Collins, vostra figlia può essere cu­rata. (Prende il referto ed esce. Collins tace e piange. Peter sviene sulla piattaforma).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena dieci minuti dopo.

(Al levar del sipario Collins siede solo, allungato sulla panca. L'usciere e la signorina Porter siedono al tavolo sotto la piattaforma. La signorina Porter sta esaminando delle carte. L'usciere è appoggiato al tavolo. Dalla stanza del giudice giunge il suono dì un violino. Stanno suonando l'aria in sol di Bach, in modo magnifico. Per un pezzo nessuno parla. Poi)

L'Usciere                       - Pensate un po' che quel ragazzo sta suonando per il giudice, adesso, proprio a metà dell'udienza.

La signorina Porter       - (scrivendo) Pare che ab­bia un certo interesse per quel ragazzo. Credo che voglia sincerarsi se ha davvero del talento.

L'Usciere                       - E allora? Vi par forse questo il po­sto per farlo? E' matto.

La signorina Porter       - Non eravate qui la set­timana scorsa, quando ha fatto cantare una ra­gazza?

L'Usciere                       - Non c'ero quel giorno. Ero malato. Ma ne ho udito parlare. (Scuote la testa).

La signorina Porter       - La ragazza aveva rubato: faceva la bambinaia, dopo scuola, e rubò quasi cento dollari alla madre del piccolo che le era stato affidato. La sua scusa fu che aveva rubato per pagarsi le lezioni di canto. Allora il giudice la fece cantare proprio qui, per prova.

L'Usciere                       - Chissà mai se dovesse capitare qui una che dice di saper fare la danza dei sette veli! Ad ogni modo, non siamo altro che un ufficio per la ricerca dei talenti.

La signorina Porter       - M'hanno detto che il giudice Bentley, qualche volta, aiuta questi ra­gazzi di talento, in privato, naturalmente. Prende gli indirizzi dall'archivio e poi finisce sempre per fare qualcosa. E' veramente bello da parte sua!

L'Usciere                       - Sì. (Si alza, guarda l'orologio, si dirige verso la parete di fondo, poi torna alla ta­vola e leva dalla tasca un programma dì corse ip­piche) Se sapessi quanto dura ancora questo pezzo, potrei fare una telefonata per l'ottava corsa di Narragansett. Pensate un po' che Elizabeth è stata battuta.

La signorina Porter       - Chi l'ha battuta?

L'Usciere                       - (voltandosi a sinistra) Chi l'ha bat­tuta!

La signorina Porter       - (smette di scrivere e mette i fogli in cartelletta) Oh, ma voi state parlando ancora di cavalli. Non sposerei mai un uomo che scommette sui cavalli.

L'Usciere                       - Forse per questo non vi siete mai sposata.

La signorina Porter       - Credete? (L'usciere si dirige verso sinistra e raddrizza la panca N. 3. La musica cessa).

L'Usciere                       - Benone! Adesso gireremo col piat­tino! (Entra la signora Busch e si dirige al suo tavolo).

La signorina Porter       - Ho fatto queste copie per voi.

La signora Busch          - Grazie.

L'Usciere                       - Come sta Sarah « Boinard »?

La signora Busch          - Sarah « Boinard »? E chi è?

L'Usciere                       - (indicando Collins) Sua moglie: che razza di tragedia s'è pensata di fare!

La signora Busch          - La fareste anche voi, se vi dovessero dare delle notizie come quelle su vostra figlia.

L'Usciere                       - (guardando un foglio) Io non avrei figli. (Esce).

La signora Busch          - (estrae un notes da un casset­to) Chi c'è col giudice Bentley?

La signorina Porter       - Il violinista.

La signora Busch          - (scrivendo) Oh, signor Col­lins!

Collins                           - (si alza) Sì, signora?

La signora Busch          - Vostra figlia sta bene, ora. La lasciamo riposare sino a quando il giudice non riprenderà l'udienza.

 Collins                          - Grazie, signora. (La signora Busch torna al proprio tavolo)

La signorina Porter       - Dì un po', quella ragazza ha detto che lei e Ruby sono andate giù a Broadway, si sono fermate... e subito sono state notate da due uomini.

La signora Busch          - Sì.

La signorina Porter       - Ecco, mi è capitato a volte di aspettare un autobus, a Broadway. A pro­posito, non è stato proprio una vergogna quando la ragazza ha detto di essersi commossa per il ma­rinaio e di essere andata a letto con lui per quello?

La signora Busch          - Quando sono pazzi, sono pazzi.

La signorina Porter       - Chissà se io mi commuo­verei a tal punto per un uomo. (Sale sulla piatta­forma e va a sedersi. Entra il cancelliere da sini­stra. Entra anche il giudice e siede al proprio ta­volo).

Il Giudice                      - Signora Busch... Sta meglio la si­gnora Collins?

La signora Busch          - Sì, Vostro Onore. Adesso sta bene.

Il Giudice                      - Fatela entrare, prego. (Prende de­gli appunti, quindi parla con il cancelliere. La si­gnora Busch esce rapidamente) A proposito, signor Kelleher, ci sono dei letti disponibili per un rico­vero?

Il Cancelliere                 - Praticamente non ce ne sono. (Estrae un libro e si dirige verso la cattedra) Ora vi faccio vedere. (Volta una pagina) Dunque, Ards-ley... ce n'è uno a Hudson.

Il Giudice                      - Hudson va bene. Preparate il mo­dulo.

Il Cancelliere                 - Sì, Vostro Onore. (Torna al proprio tavolo. Il giudice parla con la signorina Porter).

La signorina Porter       - Hudson?

Il Giudice                      - Sì. (Entrano la signora Busch, la signora Collins e l'usciere. L'usciere siede) Benis­simo. Venite qui, prego; anche voi, signor Collins. (La signora Busch accompagna la signora Collins alla piattaforma, Quindi siede al proprio tavolo. Il giudice si toglie gli occhiali e sgombera un poco il tavolo) Dunque, signori Collins, la decisione fi­nale del tribunale è che Elizabeth non vi sarà re­stituita.

La signora Collins         - (si volta a sinistra e ricomin­cia a piangere) Oh, no! No!... Carlo!

Il Giudice                      - Signora, siate ragionevole! Non dovreste aver nulla in contrario che noi ci si oc­cupi di Elizabeth sino a quando non sia stata con­dotta sulla retta via. E' ancora abbastanza giovane da potersi rifare una vita... Ma ha bisogno di guida.

La signora Collins         - (piangendo, mentre parla) Vostro Onore... se mi lasciate riportare a casa Betty penserò io a guardarla.

Il Giudice                      - Non lo potrei assolutamente per­mettere, signora Collins. Dobbiamo ricominciare da capo ad insegnare a vostra figlia cos'è la disci­plina. Ancora un anno e non vi sarebbe più nulla da fare... Ho paura che diverrebbe un'altra Ruby... Ma Elizabeth è ancora timida e buona, e questo lascia sperare. Potrebbe diventare una donna come si deve... se tiriamo le redini ora.

La signora Collins         - Allora perché non posso farlo io? Io sono sua madre.

Il Giudice                      - (severamente)  Non l'avete fatto per il passato, signora, e siete stata sua madre per Quindici anni... Avete trascurato vostra figlia e siete in gran parte responsabile di quanto le è successo. Voi non potete trascurare e far lavorare troppo un'adolescente senza aspettarvi da parte sua una rivolta.

La signora Collins         - Conosco dozzine di ra­gazze della sua età che lavorano come lei e che hanno la madre che passa quasi tutto il suo tempo fuori di casa, a giocare a carte o a divertirsi, ma­gari... non a sfacchinare come me. Eppure hanno delle figlie per bene. Non so proprio cosa sia suc­cesso a Betty. Dev'essere proprio nata così.

Il Giudice                      - No, no, no! Nessun figlio nasce male. Nessuno nasce ladro, bugiardo o altro... Da bambini fanno presto ad imparare il bene o il male. E allora bisogna insegnare loro quello che è giusto. Bisogna insegnar loro la virtù!

La signora Collins         - Non credevo si dovesse in­segnare ad una ragazza ad essere buona: mia ma­dre non mi ha insegnato nulla. (Piangendo ancora) Ora sento che sono io a dover essere rimproverata per i pasticci di Betty. Tutto è colpa mia.

Il Giudice                      - No, non è soltanto colpa vostra. E' colpa di tutti noi... della nostra indifferenza, della nostra cupidigia: ecco le nostre colpe. Noi non ci rendiamo conto che il vero e naturale be­nessere del mondo si basa sui bambini.

Collins                           - (annuisce e mormora) E' vero.

Il Giudice                      - Sì, in ogni bambino vi è il germe della divina bontà. Ma noi adulti dobbiamo curarlo quel seme, e dobbiamo nutrirlo. Se lo trascuriamo, roviniamo una giovane vita e non possiamo biasi­mare altri che noi stessi.

Collins                           - (timidamente) Tutto perché avevamo troppi debiti da pagare, Vostro Onore. (La signora Collins annuisce e il giudice picchia la matita sul tavolo).

Il Giudice                      - No, no, questa non è una scusa. Prima vengono i debiti verso i figli, in tutti i casi. La vostra vicina signora Marti è una vedova, e deve anche lavorare per vivere. Ma con tutti i suoi difetti riesce anche a pensare all'educazione di suo figlio ed alla sua carriera. (I Collins hanno un'aria colpevole) Allora... vorrei darvi una possibilità per salvare vostra figlia, ma... sono convinto che le condizioni attuali della vostra famiglia non siano per il momento favorevoli...

Collins                           - E non potremmo mutarle, Vostro Onore?

Il Giudice                      - Dal giorno alla notte? No, no. Eli­zabeth deve essere mandata ad una scuola di cor­rezione dove sanno come combattere i conflitti emotivi dei bambini.

La signora Collins         - (implorante) Ho sentito che le trattano male, là.

Il Giudice                      - Li trattano scientificamente.

La signora Collins         - Saranno capaci di cam­biarli, Vostro Onore?

. Il Giudice                    - Speriamo di sì. (Un po' impaziente) Ad ogni modo è l'unica via d'uscita che abbiamo oggi. Ora bisogna che dica ad Elizabeth che andrà in una casa di correzione; è sempre un grave colpo questo per i ragazzi, e bisogna che voi lo ammor­tizziate un po' rimanendo calmi. (La signora Busch si mette la giacca e la signora Collins comincia a piangere) Mia cara signora, sarà molto più facile per vostra figlia il separarsi da voi, se avrete un po' di ritegno e vi controllerete.

La signora Collins         - (piangendo) Non ci posso far nulla... Non voglio che mi portino via Betty.

Il Giudice                      - E' meglio che aspettiate fuori, signora. Almeno sino a quando non sarete in grado di controllarvi. Allora vi permetterò di salutare vostra figlia. Accompagnatela, signor Collins. (L'u­sciere apre la porta, i due escono. Il giudice fa cenno all'usciere) Liberiamoci di quell'Elliott. Lo vogliono in città. (Chiamando) Signor Elliott! (En­trano Brìll ed Elliott bisbigliando).

L'Usciere                       - (dice loro di fermarsi di fronte al giu­dice. Entra anche Ruby che si siede sulla panca N. 2).

Il Giudice                      - (guardando Elliott) Signor Elliott, m'hanno detto che siete in stato d'accusa. (Elliott tace) Ora non vi voglio più far domande. Non voglio nemmeno sapere se siete scapolo o se siete sposato, se avete anche voi una figlia, magari di quindici anni. La vostra storia personale interessa poco quanto la storia... di un gorilla dello zoo. Dei due, voi siete il più pericoloso per la società, perché il gorilla si trova dietro a solide sbarre. Penso però che ci sarete anche voi tra poco. Ma voglio dirvi qualcosa su cui possiate riflettere nei momenti d'ozio: la prudenza e l'esperienza sono doni dell'età. Non è un disonore che una persona giovane non abbia prudenza. Un giovane imprudente de­v'essere compatito. Ma quando un uomo della vo­stra età decide deliberatamente di rovinare la propria vita, non può essere compatito. E' vero che l'uomo appartiene al regno animale... ma persino gli animali a quattro gambe hanno la dignità di non debosciare i loro piccoli. A volte li mangiano, ma non li corrompono mai. (Si ferma un momento, poi agita una mano) Basta così. (Getta la matita sul tavolo; Brìll ed Elliott si dirigono in fretta verso la porta) Oh, aspettate un momento. (Elliott e Brìll si fermano) Avvocato... (Brìll si dirige verso la cattedra) voglio che diate un'occhiata a questo referto medico delle ragazza. (Passa il referto alla signora Busch che lo mostra a Brill).

La signora Btjsch          - (a Brill, mostrandogli un punto del foglio) Proprio qui. (La signora Busch torna a sedere. Brill legge e il suo volto rivela la gravità della notizia letta. Brill guarda Elliott questi fa per muoversi. Brill guarda il giudice).

Il Giudice                      - (a Brill) Informate il vostro cliente.

Brill                               - (calmo) Lo farò, Vostro Onore. (Rimet­te il referto sul tavolo della signora Busch e muove verso Elliott).

Elliott                            - (calmo) Cos'è? (Brill gli fa cenno di tacere ed esce con lui).

Ruby                             - (alzandosi) Vostro Onore, me ne posso andare, adesso? Ho promesso a mia madre di pren­dere il treno delle sei, e se non lo faccio le viene un colpo.

Il Giudice                      - Capisco. Puoi andare... e cerca di mantenere la promessa.

Ruby                             - Certamente. (Esce).

Il Giudice                      - Chiamate Peter Marti.

L'Usciere                       - (si dirige alla porta. L'apre) Peter Marti!

Peter                              - (dalla stanza del giudice) Sì, signore!

L'Usciere                       - Entrate. (Peter entra).

Il Giudice                      - (indicando la sedia dei testimoni) Vieni qui, ragazzo. Siedi. Peter... nella mia stanza, poco fa ti ho fatto una domanda molto importante e ti sei rifiutato di rispondere. Perciò esigo avere una risposta qui in tribunale. (Peter abbassa ra­pidamente gli occhi e tace) Elizabeth sarà imme­diatamente ricoverata in un ospedale. Questo ti convince della gravità della mia domanda? (Peter tace sempre) Ti ho parlato da uomo a uomo. An­che se agli occhi della legge tu sei ancora un ra­gazzo, sei abbastanza maturo da capire di che cosa si tratta. Ora rispondi alla mia domanda. (Peter rimane ancora silenzioso) Ecco... avrei vo­luto risparmiare questo tormento a tua madre, ma se non mi vuoi rispondere dovrò informarla della faccenda di Elizabeth. (Peter alza la testa) Ed allora dirai a tua madre se hai avuto dei contatti intimi con quella ragazza. (All'usciere) Fate en­trare la signora Marti. (L'usciere fa per muoversi).

Peter                              - (balza in piedi) No!

Il Giudice                      - (severamente) Allora rispondimi.

Peter                              - (si piega sul tavolo e tormentato grida) Come mi potete chiedere una cosa simile, Vo­stro Onore? Betty avrebbe dovuto essere mia mo­glie un giorno. Come avrei potuto... (Si stacca vio­lentemente dalla scrivania cercando di frenare le lacrime).

Il Giudice                      - Sta bene, Peter. Puoi aspettare fuori, ora.

Peter                              - (scende dalla cattedra asciugandosi fur­tivamente gli occhi. Si ferma e si volta) Posso prendere il violino, signore?

 Il Giudice                     - Certo. Aspettami nel mio ufficio. Ti voglio vedere ancora.

Peter                              - Sissignore. (Esce).

Il Giudice                      - (all'usciere) Fate entrare la ra­gazza. (L'usciere esce. Il giudice firma dei docu­menti e dice) Signora Busch...

La signora Busch          - Sì, Vostro Onore?

Il Giudice                      - (alla signora Busch che si avvicina al­la piattaforma) Ecco, signora, i documenti di accompagnamento della ragazza. L'ho inviata al riformatorio femminile di stato di Hudson. (Il can­celliere apre un cassetto ed estrae alcuni moduli).

La signora Busch          - Sì, Vostro Onore.

Il Giudice                    - Non è possibile che una ragazza come quella possa circolare liberamente contami­nando chiunque venga a contatto con lei... Non solo fisicamente, ma anche moralmente... Penso che ci vogliano almeno tre anni di riformatorio. Può darsi che possa rimettersi a posto. Ma prima... prima deve essere portata all'ospedale. (Alla si­gnorina Porter) All'Ospedale di Bellevue. (La si­gnorina Porter prende l'appunto e lo passa alla signora Busch) Voglio che sia portata là immedia­tamente... Oggi stesso. Bisognerà che l'accompa­gnate e che la facciate ricoverare. (Il giudice si rimette a scrivere). ,

La signora Busch          - (brontolando) Se proprio volete che lo faccia, Vostro Onore... questa sera avrei un invito a cena. (Il giudice non l'ascolta e la signora Busch si scrolla nelle spalle e torna al proprio tavolo. Passa i documenti al cancelliere mentre l'usciere introduce Elizabeth. Vedendo che nell'aula c'è soltanto il giudice, la ragazza si al­larma e si ferma timidamente accanto alla signora Busch che - come il giudice - sta scrivendo. L'u­sciere esce).

Elizabeth                       - Uh!... se ne sono andati tutti?

La signora Busch          - (si alza e appare molto irri­tata) Vieni qui, Elizabeth

Il Giudice                      - (alza la testa dai fogli) Qui, Eli­zabeth. (Elisabeth si avvicina lentamente assieme alla signora Busch) Qui. (Il giudice si china in avanti, la signora Busch siede, Elizabeth guarda per terra) Elizabeth, un vecchio proverbio militare dice che una saggia ritirata non è meno gloriosa di un attacco coraggioso. A volte questo è vero anche nella vita civile. (7Z cancelliere esce con delle carte in mano) Dobbiamo allontanarci dal campo di battaglia, per parlare in modo, figurato, affinché si possano gettare bene i piani per il prossimo movimento. Tu hai solo 15 anni, ora, ma non sei troppo giovane da non sapere dare un significato alla tua vita. Sinora, lo saprai anche tu, l'hai buttata via senza ritegno. E' vero? (Ella si stringe nelle spalle ed ha l'aspetto spaventato) Dunque, alla tua età si è per natura fiduciosi, ma tu sei stata guidata male. Perciò noi non condan­niamo te. Però non vogliamo che tu continui a sciupare la tua vita e pertanto ti diamo la possibilità di prepararti ad un futuro migliore. (Eli­zabeth alza la testa) Togliendoti dalla influenza del passato.

Elizabeth                       - (allarmata) Cosa volete dire?... Mi volete mandar via?

Il Giudice                      - Sì.

Elizabeth                       - Quando?

Il Giudice                      - Adesso, proprio adesso.

Elizabeth                       - (con terrore) Non voglio andare. (La signora Busch si alza e si dirige verso destra) Dove sono mio padre e mia madre? Dov'è Peter? (Il giudice cerca di ristabilire l'ordine mentre la signora Busch si avvicina ad Elizabeth).

La signora Busch          - (prendendo rudemente per un braccio Elizabeth) Ehi, tu, comportati come si deve davanti a Suo Onore!

Elizabeth                       - (grida) Non voglio venire con voi! Non voglio andare con voi! Mamma! Peter! Peter! (Il cancelliere entra da sinistra e si avvicina loro. La signora Busch scuote Elisabeth che però sì li­bera da lei e scivola sulla piattaforma).

La signora Busch          - Non fare sciocchezze da­vanti al giudice. (La signora Busch fa per affer­rare Elizabeth che grida).

Il Giudice                      - (rimproverandola) Signora Busch, lasciate che la ragazza... (La Busch si stacca) Vie­ni qui, Elizabeth: non aver paura. (Il cancelliere esce da sinistra e la Busch torna dalla Porter. Elizabeth si appoggia alla scrivania del giudice) Tua madre e tuo padre sono Qui. C'è anche Peter. Potrai salutarli.

Elizabeth                       - (respirando forte) Oh, meno male.

Il Giudice                      - E quel tuo caratterino non ti sarà certo di aiuto, dove andrai. Non vuoi essere una disutile, vero? Vuoi essere utile alla comunità, al tuo paese, a questa bandiera, ai tuoi genitori che ti amano...

Elizabeth                       - (cercando di non piangere) Lo so.

Il Giudice                      - ...E poi aggiungi Peter, nel cui cuore tu occupi molto posto. (Elizabeth sorride) E tu vuoi essere utile a te stessa, vero?

Elizabeth                       - (pateticamente) Uh...

Il Giudice                      - Ecco, così devi essere. Puoi essere, così... sta bene. Adesso potrai salutare i tuoi. (Si alza. Alla signorina Porter) Fine della seduta. (Va verso il suo ufficio, apre la porta e chiama. Eliza­beth si sposta verso sinistra) Peter!

Peter                              - (entra disfatto. Ha il violino nella custo­dia) Sissignore.

Il Giudice                      - Saluta ' Elizabeth. Sta per andar via. (Peter si muove. Il giudice esce da destra. La Busch siede sulla sedia dei testimoni e parla con la Porter. Peter appoggia il violino alla panca N. 1 e guarda fissamente Elizabeth. Ella gli sorride e gli si avvicina dietro la panca).

Elizabeth                       - (dopo aver data un'occhiata alle due del tribunale, sottovoce a Peter) Fa finta di dirmi addio. Potrebbero sentirci.

Peter                              - Benissimo: ho capito. (Si schiarisce la gola. A voce alta) Allora... Betty... credo proprio di doverti dire addio. (Si volta e guarda la Porter e la Busch che tacciono. La Porter si accorge del silenzio e li guarda).

La signorina Porter       - (si alza) Lasciamo soli questi ragazzi. Non riescono a parlare se noi ri­maniamo qui.

La signora Busch          - (si alza e dà una severa oc­chiata ai ragazzi. Scende dalla piattaforma. Scende anche la Porter che prende la borsetta) Questa è indulgenza. Hai un appuntamento stasera?

La signorina Porter       - Un appuntamento? Che dici mai? (Escono).

Peter                              - (s'inginocchia sulla panca N. 1 immedia­tamente dopo che le due sono uscite) Cosa è successo? Allora il giudice ha detto che ti manda via, non è vero?

Elizabeth                       - Sì..Credevo che lo sapevi.

Peter                              - Sì. Lo sapevo. Ma non importa.

Elizabeth                       - (lo osserva per un istante) Cosa facevi nella stanza del giudice, Peter? E' il suo studio privato, quello?

Peter                              - Sì... Ha voluto... che suonassi per lui. Te lo immagini?

Elizabeth                       - E hai suonato?

Peter                              - Sì. Mi pareva di suonare ad un fune­rale.

Elizabeth                       - (perplessa) Perché?

Peter                              - (quasi a se stesso) Non lo so. Mi pa­reva di essere appena morto e di suonare ai miei funerali.

Elizabeth                       - Forse perché mi vuol mandar via? (Egli la guarda) Ma io non vado via!

Peter                              - (s'inginocchia sulla sedia e si volta a de­stra) Betty, che cosa ti ha detto il giudice?

Elizabeth                       - Mi ha detto che mi devo ritirare come un generale... per preparare una nuova bat­taglia per la mia vita.

Peter                              - Ah, sì? Lui può ritirarsi... lui è più vecchio... (Intensamente) Che altro ti ha detto?

Elizabeth                       - Che altro? (Peter si stacca dalla sedia. Elizabeth cerca di ricordare) Ha detto che ho sciupato la mia vita e che non devo farlo più. E allora lui mi stacca dall'influenza del passato.

Peter                              - E poi?

Elizabeth                       - Niente altro... Oh, sì... ha detto... (Egli attende senza fiato. Ella si ferma e gli sor­ride) Ha detto che io occupo molto posto nel tuo cuore. Questo è tutto quello che ha detto. (Peter si volta alla finestra. Ella lo guarda per un istante).

Peter                              - Ah!...

Elizabeth                       - (guarda la porta, segue Peter che va verso la finestra e si ferma alla panca) Peter, ed a te che cosa ha detto? Intendevo dire quando mi ha fatto uscire dall'aula e tu sei rimasto den­tro con i miei...

Peter                              - (si ferma) Cosa?... Oh, ha detto press'a poco le stesse cose... Betty... (Esita) Non im­porta. (Siede accanto alla finestra).

Elizabeth                       - (siede anch'essa accanto alla finestra) Che c'è? Cosa volevi dire?

Peter                              - (si osserva una scarpa) Niente. Niente di speciale... Come ti senti?

Elizabeth                       - Come mi sento? Benone. Perché?

Peter                              - Così. Ti senti abbastanza forte da...

Elizabeth                       - Da uscire dalla finestra, vuoi dire?

Peter                              - Sì. Hai visto qualcosa nel gabinetto?

Elizabeth                       - Sì. E c'è proprio la tubatura dell'acqua che attraversa la stanza. E' un po' alta, ma salendo sul lavandino sono riuscita ad arri­varci. Ho provato. Uh, guarda: ho già preparato la corda. (Ride. Si guarda attorno e toglie la cu­stodia dalla borsetta. Si assicura che nessun altro veda e la mostra a Peter) Vedi? Oh, prendi il tuo temperino.

Peter                              - (prende il coltello e si alza) L'hai fatto bene il nodo? (Lo prova) Benissimo. Mettilo via.

Elizabeth                       - (mettendolo via) Ho voluto pro­vare e ho impiegato soltanto due minuti per fare il nodo al tubo dell'acqua.

Peter                              - Magnifico! Allora, dopo il segnale... te , lo ricordi?

Elizabeth                       - (si alza) Certo. «Per favore, posso andare un momento al gabinetto?».

Peter                              - (annuisce) Dopo che sei uscita di qui, ti posso dare solo quattro minuti. (Si guarda at­torno) Poi ti seguirò. Ti bastano quattro minuti?

Elizabeth                       - (spaventata) Credo di sì...

Peter                              - Allora d'accordo... (Alza quattro di­ta)... Quattro! '(Fa schioccare le dita. Elisabeth lo osserva per un istante poi)

Elizabeth                       - (siede alla panca N. 1) Peter, cosa è successo?

Peter                              - (nervosamente) Perché?

Elizabeth                       - Ecco, io non so. Perché cammini in quel modo e fai schioccare le dita e sei così ner­voso? E' strano.

Peter                              - Cosa vuoi dire, strano? Certo che sono nervoso. Voglio che ce ne andiamo. (Si dirige alla piattaforma e guarda lo studio del giudice) Vorrei che fosse già tornato.

Elizabeth                       - (si alza e va a destra. Intuisce) Credo che c'è qualche cosa. Credo che ti dispiace d'aver detto che mi vuoi sposare.

Peter                              - (si guarda attorno in fretta) Che cosa te lo fa pensare?

Elizabeth                       - Non lo so. Qualcosa (accenna il cuore) me lo dice.

Peter                              - Ma hai torto.

Elizabeth                       - Se vuoi farlo, dillo. Non sarà la prima volta che uno mi manca di parola. Nessuno mantiene mai le promesse, ad ogni modo. (Si agita) La mamma mi aveva promesso di farmi imparare la claquette e non ha mai mantenuto la promessa. Papà mi ha promesso di portarmi a Washington con la mamma a vedere gli alberi di ciliege, una volta ha avuto un posto, e se ne è dimenticato del tutto. Così se non mi vuoi sposare, va bene lo stesso. Andrò in Riformatorio, ecco tutto. (Siede alla panca N. 1).

Peter                              - Chi dice che voglio ritirarmi? Io non mi ritiro. (Si porta atta panca N. 1 come per con­vincere se stesso) L'estate scorsa ho visto uno di quei Riformatori, dalle parti dove vive mia zia. E' un posto molto grande (appoggia un piede alla panca) ma soltanto per ragazzi. Mia zia conosceva una delle guardie e così abbiamo potuto fare una visita. Che sia dannato, se quel posto non è pro­prio come una prigione, con le celle e tutto il resto e la guardia ci disse che ci sono anche delle celle di punizione in cantina, dove i puniti hanno sol­tanto pane e acqua.

Elizabeth                       - Ma certo! L'hanno detto anche a me!

Peter                              - (guardandola) Ebbene, tu non andrai in uno di quei posti. Nossignore. (Si porta sulla piattaforma e guarda la porta dell'ufficio del giu­dice) Avanti, Vostro Onore: vogliamo soltanto dirvi addio!

Elizabeth                       - (si alza. Prendendo il suo umore) E anche la signora Busch... Sono contenta di sa­lutare anche lei! (Guarda con risentimento, la porta della sala d'aspetto) Quella vecchia pasta molla! Sempre dietro di me! Portarmi da una parte e dall'altra e ficcare il naso dappertutto! (Si volta a sinistra) Stamattina mi ha fatto una domanda molto personale. (Sì volta a destra) Io non le vo­levo rispondere e ho detto « Sono affari miei ». E lei mi ha detto che tutto quello che faccio io ades­so, è affare suo.

Peter                              - (avvicinandosi a lei) Benissimo... Avrà una sorpresa, allora. La smetterà di farti girare.

Elizabeth                       - (grata) Oh, Peter, sei un vero amico tu... Mi sento così bene perché tu mi aiuti quando sono nei guai...

Peter                              - Auff, che importa... quando sei nei guai tu, ci sono anch'io. Ad ogni modo, è stata mia madre a cacciarti in questo pasticcio ed io te ne tirerò fuori.

Elizabeth                       - (col volto luminoso) E' proprio come ho letto una volta in uno dei libri che mi hai dato: l'amicizia è come l'aritmetica. Ricordi?

Peter                              - Oh, sì, sì... L'ha detto Cicerone.

Elizabeth                       - Sì. Ha detto che l'amicizia è come l'aritmetica: moltiplica la felicità e divide l'infe­licità, eccetera, eccetera.

Peter                              - (rigido, guardandola) Eccetera, ecce­tera... Oh, Bety... sei così bella... ma perché hai... (Si ferma).

Elizabeth                       - (cercando i suoi occhi) Come?

 

Peter                              - (si volta a sinistra. Pianamente. Si stacca da lei) Niente. (La porta della sala d'aspetto si apre e si vede Collins che apre e guarda dentro timidamente. Vedendo che nell'aula ci sono solo i due ragazzi, fa cenno alla moglie di entrare. Peter prima va alla finestra e poi esce).

Collins                           - Volevo salutarti, Betty. Anche la mamma. (I genitori le si avvicinano rassegnati).

Elizabeth                       - Oh, sì.

Collins                           - (non sa proprio cosa dirle) Mmm... fa la brava, vero, e rispetta tutti.

Elizabeth                       - (deve simulare)  Sì.

Collins                           - E scrivici spesso. (Le dà un pezzo di carta) Questo è il nostro indirizzo di Los Angeles.

Elizabeth                       - (con risentimento) Ti scriverò, papà,  

Collins                           - Allora... addio Betty.

Elizabeth                       - (gli getta le braccia al collo) Addio, papà, ti vedrò presto.

Collins                           - Speriamo... speriamo... Tutto andrà bene, sono sicuro. (Cessa l'abbraccio e sì sposta verso sinistra. Si soffia il naso. E' il turno della moglie).

La signora Collins         - Certo che andrà tutto bene, cara. Fa tutto quello che ti dicono.

Elizabeth                       - Sì, va bene. (Collins va nella sala d'aspetto per lasciar sola la moglie a dire addio).

La signora Collins         - (trattenendo le lacrime) Sentiremo la tua mancanza. Ma io... dirò ai ra­gazzi che sei ancora dalla nonna. Spero solo che tu non debba avere del risentimento verso di me, Betty.

Elizabeth                       - Contro di te? Ma no, mamma.

La signora Collins         - (scusandosi) Sai, il giu­dice ha detto che ti ho fatta lavorare troppo. Ma quando ero giovane io, ho lavorato anche di più.

Elizabeth                       - (con simpatia) Scommetto di sì.

La signora Collins         - Allora... scrivi presto, cara. (Implorando) E ubbidisci, ubbidisci sempre. E quando ti danno le medicine, prendile.

Elizabeth                       - (interdetta) Medicine?

La signora Collins         - Se ti mettono a letto, non fare storie. Devi fare esattamente quello che ti dicono, se vuoi guarire.

Elizabeth                       - (arretra e siede sulla panca N. 1) Guarire? Ma di che cosa parli? Io non sono malata. Che storia è questa? (Guarda davanti) Peter che mi chiede sa mi sento bene, e tu che mi dici di prendere le medicine. Ma io non sono malata.

La signora Collins         - (avvicinandosi a lei) Fi­glia, se non fossi malata, perché ti manderebbero all'ospedale?

Elizabeth                       - All'ospedale?

La signora Collins         - (attonita) Non te l'ha detto il giudice?

Elizabeth                       - No. Non mi potrebbero portar là su una barella. (Si alza improvvisamente sospetta) Sei stata tu a dire che sono malata, così ti puoi liberare di me?

La signora Collins         - (offesa) Che stai dicendo?

Elizabeth                       - (ora l'accusa apertamente e con ira)Perché non mi hai mai voluto bene! Tu vuoi bene a Mary e ai ragazzi, ma non a me! E' per questo che dici che sono malata! Per farmi portar via e liberarti di me!

La signora Collins         - (perdendo il controllo) Tu stai dicendo delle sciocchezze e non ti voglio più sentire. (Indica la scrivania del giudice) Il giu­dice ci ha fatto vedere il referto medico e tu dici che sono io che invento le cose! Non dovrei nem­meno cercare (scuote Elizabeth) cercare di avere dei riguardi perché tu sei una donnaccia (Eliza­beth lascia cadere la borsa) e sei stata a letto con della gente sporca e adesso ti sei presa la malat­tia (Elizabeth va verso la panca N. 4) di tutte le donne da marciapiede.

Elizabeth                       - (spaventata) Cosa vuoi dire? (Cade a sedere).

La signora Collins         - (incapace di intrattenersi) Sì, la malattia di tutte le donnacce! Ecco che cos'hai! Perché tu non sei altro che una donna da marciapiede!

Elizabeth                       - (terrorizzata) Non lo sono.

La signora Collins         - (chinandosi sulla figlia) Sei andata in giro a cercare uomini... e allora ti è capitato quello che capita a tutte le sgualdrine! (Si tira indietro).

Elizabeth                       - (con una voce che esprime tutto il suo terrore) Tu sei ima bugiarda!

La signora Collins         - (parlando a se stessa, agita-tissima) Dirmi che invento le cose per liberarmi di lei'.

Elizabeth                       - (avvicinandosi alla madre e gridando istericamente) Non ce l'ho! Non c'è l'ho! Lo inventi tu perché mi odi... (Balza in piedi e piange) Non ce l'ho! Il giudice non ha detto niente!... non ce l'ho,.. sei una bugiarda! (Colpisce la madre su una spalla. La madre siede sulla panca N. 3 e la figlia si getta ai suoi piedi) Oh, mamma, non vole­vo colpirti... Non volevo dirti che sei una bugiarda... (Piange selvaggiamente. La madre l'abbraccia con­solandola).

La signora Collins         - Come avrei potuto men­tirti per una cosa come questa?... Ma ti possono curare, sai... E ti guariranno.

Elizabeth                       - (solleva la testa sfiduciata) Non è vero. Ce l'ha avuta un mio compagno di scuola e tutti hanno detto che è diventato matto e han do­vuto mettergli la camicia di forza... (Urlando) Mamma, pietà! Non lasciarmi portare all'ospedale! Mi faranno del male... Morirò là! (Geme).

La signora Collins         - No, non morirai. Ho detto al giudice di lasciarti venire a casa, ma mi ha ri­sposto che non puoi mescolarti cogli altri ragazzi e le altre ragazze.

Elizabeth                       - (si stacca dalla madre e si alza) Non posso star vicina ai ragazzi? Non posso vedere Mary, Bobby, o... (Improvvisamente le viene in men­te Peter) Allora non posso essere vicino a nessuno!

La signora Collins         - Solo per un po', cara.

Elizabeth                       - (pensando a Peter si sente gelare. Sie­de) Mamma...

La signora Collins         - (si alza e si dirige verso la figlia) Che c'è cara? Che c'è?

Elizabeth                       - (senza fiato) Chi altri sa... che sono malata? Chi altri lo sa?

La signora Collins         - Ecco... tuo padre...

Elizabeth                       - (interrompendola con impazienza) Papà... e poi...

La signora Collins         - (non vorrebbe parlare) Eb­bene, non so perché il giudice l'abbia fatto, ma ha voluto che ci fosse anche Peter quando ha fatto vedere il referto medico e ci ha detto...

Elizabeth                       - (interrompe) Allora Peter sa, vero?

La signora Collins         - (miseramente) Lo sa.

Elizabeth                       - (si volta) Lo sa, eppure è ancora di­sposto a...

La signora Collins         - Cos'hai detto, cara?

Elizabeth                       - Niente. (Trema per i brividi che frugano il suo corpo).

La signora Collins         - Ma tu tremi... metti que­sto... (Le appoggia sulle spalle la giacca. Entra la Busch col cappello in mano. Entra anche la Porter. Le due si siedono al loro posto. Entra il giudice. Entra Collins che siede alla panca N. 1. Entra Peter che siede alla panca N. 4. Entra l'usciere che chiu­de la porta).

Il Giudice                      - (vedendo che Elizabeth ha addosso la giacca) Allora... sono finiti gli addii?

La signora Collins         - (raucamente) Sì, Vostro Onore. (Asciuga le lacrime sul volto della figlia. Il giudice dice qualche cosa alla Busch e questa si avvicina ad Elizabeth).

Il Giudice                      - Vieni qui, Elizabeth. (Ella si alza e la Busch la guida alla piattaforma. La Collins sie­de alla panca N. 1 e la signora Busch si avvicina alla Porter) Ora te ne vai. C'è qualcosa che mi vuoi chieder prima di andartene? (Peter si curva in avanti).

Elizabeth                       - (guarda Peter e poi il giudice) No.

Il Giudice                      - (fa un cenno alla Busch) Accom­pagnatela via. (La Busch si alza e si dirige verso Elizabeth).

Peter                              - (si alza e si dirige verso di loro. Le due si fermano) Betty... (calmo) non dovevi chiedere qualcosa al giudice?

Elizabeth                       - (guarda Peter) Sì...

Peter                              - Allora chiedi.

Elizabeth                       - (torna quasi di fronte alla piattafor­ma seguita da Peter. Senza fretta rivolgendosi al giudice) Vostro Onore, potrei prima... (Guarda Peter, che attende con impazienza il suo segnale).

Il Giudice                      - (severamente) Che vuoi prima, ra­gazza?

Elizabeth                       - (guarda Peter. Al giudice, mentre strin­ge la borsetta) Posso prima restituire qualcosa a Peter?

Il Giudice                      - Certo. (Peter impallidisce mentre Elizabeth gli si avvicina. Apre la borsetta e ne trae la custodia che dà a Peter).

Elizabeth                       - Ecco la tua custodia, Peter... Io (cercando di far capire) io... non posso adoperarla adesso.

Peter                              - (cerca disperatamente di restituirgliela, ma Elizabeth lo respinge) Cosa fai?... Chi è che non mantiene la promessa, adesso?

Elizabeth                       - (coraggiosamente) Io, Peter... Maio (si appoggia una mano al cuore) io però ti faccio un'altra promessa... di diventare abbastanza degna per fare... quello che avevamo deciso prima, e oh... (arretrando) penserò sempre a quello che volevi fare, anche sapendo... (Una sirena suona le sei).

Il Giudice                      - Va bene, Elizabeth. Ora devi an­dare. (Elizabeth si muove verso destra e Peter si volta a guardarla. La Busch va verso la porta di sinistra. Elizabeth si ferma e saluta i genitori).

Elizabeth                       - Allora ciao, mamma, ciao, papà.

Collins                           - (senza voce) Ciao. (Elizabeth si di­rige verso la sala d'aspetto).

La signora Busch          - L'altra porta. (Indica quel­la di sinistra).

Elizabeth                       - («Masi mancando) Oh! (La Busch apre la porta ed esce da sinistra con Elizabeth. Peter è all'altra porta ed osserva).

FINE