Pigmalion

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Atto primo

PIGMALION

di George Bernard Shaw

Atto primo

Londra, ore 23,15. Torrenti di violenta pioggia estiva. Fischi di richiamo dei taxi risuonano ovunque freneticamente. Pedoni corrono a ripararsi sotto il portico della chiesa di S. Paolo (non la cattedrale di Wren, bensì la chiesa di Inigo Jones, al mercato di frutta e verdura di Covent Garden); tra essi, una signora e sua figlia in abito da sera. Tutti sbirciano fuori, incupiti, in atte­sa che la pioggia cessi, tranne un uomo che volge la schiena agli altri, preso esclusivamente dal taccuino sul quale sta scrivendo. Al campanile della chiesa batte il primo quarto.

LA FIGLIA (nello spazio tra le due colonne centrali, più vicina a quella di sinistra). Comincio a sentirmi gelare. Che cosa sta combinando Freddy? Saranno venti minuti che se n’è andato.

LA  MADRE (alla destra della figlia). No, venti non sono. Ma un taxi avrebbe dovuto ormai trovarlo.

UN TALE (alla destra della signora). Non se ne trova gnanca uno fino alle undici e mezza, sciura, quando che tornano indietro dopo che hanno scaricato i clienti del teatro.

LA MADRE Ma dobbiamo trovarne uno! Non possiamo starcene qui fino alle undici e mezza.  E’spaventoso.

IL TALE Be’, mica l’è colpa mia, sciura.

LA FIGLIA Se Freddy avesse avuto un po’ di sale in zucca, ne avrebbe preso uno all’ingresso del teatro.

LA MADRE Come avrebbe potuto fare, povero ragazzo?

LA FIGLIA Altri ne trovano. Perché lui no?

Freddy arriva di corsa sotto la pioggia, provenendo dal lato di Southampton Street, e si infila tra di loro chiudendo un ombrello gocciolante. E’ un giovanotto sulla ventina, in abito da sera zuppo fino alle caviglie.

LA FIGLIA E il taxi?

PREDDY Non ce n’è uno a pagarlo a peso d’oro.

LA MADRE Oh, Freddy, ma ce ne devono essere! Si vede che non hai cercato.

LA FIGLIA E’ esasperante. Tocca forse a noi andare a cer­carne uno?

FREDDY Credimi, erano tutti occupati. La pioggia è venu­ta all’improvviso, nessuno se l’aspettava, e tutti all’assal­to dei taxi. Sono arrivato da una parte fino a Charing Cross, e dall’altra fin quasi a Ludgate Circus. Bene, tuttioccupati.

LA MADRE Hai provato in Trafalgar Square?

FREDDY Lì non ce n’erano.

LA FIGLIA Ma hai provato?

FREDDY Ti dico che sono arrivato alla stazione di Charing Cross. Che volevi, che andassi a piedi fino ad Hammer­smith?

LA FIGLIA Tu non hai cercato un bel niente.

LA MADRE Sei proprio un inetto, Freddy. Torna a cercare, e non farti rivedere finché non ne hai trovato uno.

FREDDY L’unico risultato sarà di inzupparmi per niente.

LA FIGLIA E noi? Dobbiamo starcene qui tutta notte, in questa corrente d’aria, con quasi niente addosso? Sei un egoista, ecco quello che sei.

FREDDY E va bene, vado, vado.

(Apre l’ombrello e si butta in direzione dello Strand, ma si scon­tra con una fioraia che cerca riparo sotto il portico, facendole cadere di mano il cesto. Un lampo accecante, immediatamente seguito da un fragoroso tuono, sottolinea l’incidente.)

LA FIORAIA Ehi, Freddy, non ci hai occhi per vedere dove metti i piedi?

FREDDYMi scusi. (Corre via.)

LA          FIORAIA (raccogliendo i fiori sparpagliati e risisternandoli nel cesto). Che modi! Du’ massetti di viulette sbattuti in te la fanga. (Si siede sulla base della colonna, alla destra del­la signora, riordinando i fiori. Non è certo quel che si dice un personaggio romantico. E’sui diciotto, massirno vent’anni. Porta un cappellino alla marinara di paglia nera che è stato esposto a lungo alla polvere e ai fumi di Londra, assai proba­bilmente senza venir mai spazzolato. I capelli avrebbero biso­gno di una buona lavata: sono di un color topo che non può essere naturale. Indossa un cappottino nero che le giunge a malapena alle ginocchia e le sta stretto, una gonna marrone e un grembiulaccio. Le scarpe sono scalcagnate. Certo, è pulita quanto può esserlo, ma a paragone delle due signore è sozza. Ha una faccia che non è peggio della loro, ma che non è pro­prio uno specchio. E avrebbe bisogno dell’opera di un denti­sta.)

LA  MADRE Scusi, ma come mai sa che il nome di mio fi­glio è Freddy?

FIORAIA Oh, el saria el so fioeu? Be’, che mi vegna un colpo se mai avaria pensà che la podaria vess la so mama, l’avria fa’ mei a catà su i fiur d’una pora tusa invece che cur via sensa pagai. Me li paga le’? (Mi scuso per questo di­sperato tentativo di trascrivere un dialetto che, in mancanza

    di un alfabeto fonetico, risulta difficilmente comprensibile fuori città.)

LA FIGLIA Ma neanche per idea, mamma. Ma guarda un po’!

LA MADRE Lascia fare a me, Clara. Hai qualche spicciolo?

LA FIGLIA No. La moneta più piccola che ho è una da sei pence.

LA FIORAIA (speranzosa). Ce la posso cambiare me, gentil sciura.

LA MADRE (a Clara). Dammela. (Clara se ne separa di mala­voglia.) Ecco (alla ragazza), questo per i suoi fiori.

LA FIORAIA Grasie mille, sciura.

LA FIGLIA Fatti dare il resto. Questa roba vale solo un penny al mazzetto.

LA MADRE Sta’ zitta, Clara. (Alla ragazza.) Tenga il resto.

LA FIORAIA Oh, grasie, sciura.

LA MADRE E adesso mi dica come mai sa il nome dì quel giovane signore.

LA FIORAIA Mica lo sapevo.

LA MADRE Ma se l’ho sentita chiamarlo Freddy! Non cer­chi di imbrogliarmi.

LA FIORAIA (con tono di protesta). E chi è che vole imbro­gliarla? L’ò ciamà Freddy o Charlie come che la faria le’ se parla a un foresto e vuol essere gentile.

LA FIGLIA Una moneta da sei pence gettata al vento! Dav­vero, mamma, Freddy non se lo meritava. (Si ritrae disgu­stata dietro la colonna.)

Un anziano gentiluomo di aspetto gradevolmente militaresco corre a mettersi al riparo, chiudendo un ombrello gocciolante. Al pari di Freddy, è zuPpo fino alle caviglie. E vestito da sera con un leggero soprabito. Prende il posto libero lasciato dalla figlia.

IL GENTILUOMO Fiuuuu!

LA MADRE(al gentiluomo). Scusi, signore, c’è segno che stia cessando?

IL GENTILUOMO Temo proprio di no. Un paio di minuti fa ha cominciato a venir giù peggio che mai. (Va al plinto della colonna, accanto alla fioraia, vi mette un piede e si chi­na a rivoltare il fondo dei calzoni.)

LA MADREOh, mio Dio! (Si ritrae scuotendo il capo e rag­giunge la figlia.)

LAFIORAIA (approfittando della vicinanza del gentiluomo dal­l’aria militaresca per instaurare con lui rapporti amichevoli). Se la vien giò pegg che mai, el voeur dir che tra un poco l’è finida. Sicché, su con la vita, capitano, e crompi un fiur da una pora tusa.

IL GENTILUOMO Spiacente, non ho spiccioli.

LA FIORAIA Posso darci il resto, capitano.

IL GENTILUOMO Di una sovrana? Di meno non ho.

LAFIORAIA ‘cidenti. Su, mi compri un fiur, capitano. Po­dria cambiarci mesa corona. Quest chi per due pence.

IL GENTILUOMO Su, non sia insistente, da brava. (Frugan­dosi in tasca.) Davvero, non ho spiccioli... Un momento: eccotre mezzi pence, se le fan comodo. (Si ritrae verso l’altra colonna.)

LAFIORAIA (delusa, ma pensando che tre mezzi pence son me­glio che niente). Grasie, sciur.

IL TALE (alla ragazza). Su, dacci in cambio un fiore, no? Perché c’è un tisio qui dietro che mette giù ogni paroli­nache dici. (Si volgono tutti verso l’uomo che prende ap­punti.)

LA FIORAIA (balzando in piedi terrorizzata). Mica o fa’ nient de mal a parlà col sciur qui presente. Ho ben il diritto de vend fiur se sto alla larga dal marciapiedi. (Istericamente.) Sono una ragassa onesta, me, e non ci ho parlato altro che per chiederci di comprare un fiore.

Vocìo generale, con prevalenza di attestazioni di simpatia per la fioraia, di cui però si depreca l’eccessiva suscettibilità. Grida di «Non cominciare a strillare», «T’han fa’ un quaicos?», «Nissuno gnanca ti tocca», «Che bisogno c’è di agitarsi tanto?», «Cal­ma», «Su, su», eccetera, giungono da parte dei pacati spettatori anziani, che la consolano battendole colpetti sulla spalla. i meno pazienti le ingiungono di piantarla o le domandano sgarbatamente che cosa c’è che non va. Alcuni, più distanti e che non sanno di che si tratta, si uniscono al capannello aumentando la confusione con domande e risposte: «Cos’è questo baccano?», «Che cos’ha fatto la ragassa?», «E lui dov’è?», «L’ha beccata un polisiotto», «Chi, quello?», «Sì, quello là: la ragazza ha preso soldi dal signore», eccetera.

LA FIORAIA (aprendosi un varco tra i presenti verso il gentiluo­mo, e strillando all’impazzata). Oh, sciur, non lasi mica che mi accusano. Lei sa no che cosa che vuoi dire per me. Mi rovineranno la reputasione e mi sbatteranno sul­la strada solo per aver parlato a un sciur. Loro...

L   UOMO DAL TACCUINO (facendosi avanti a destra della ra­gazza, mentre gli altri gli si affollano alle spalle). Da brava, da brava! Chi ti fa niente, sciocca? Per chi mi hai preso?

IL TALE E tutto un sbalio, l’è un sciur: guardaci le scarpe. (Rivolto all’uomo dal taccuino.) La ragassa a creduto che lei era un soffia, sciur.

L’UOMO DAL TACCUINO (con improvviso interesse). Che Co­s’è un soffia?

IL TALE (incapace di spiegarlo). E... Be’, l’è un soffia, no? Come si dice, se no? Uno che informa, no?

LA          FIORAIA (ancora isterizzata). Giuro sulla Bibbia, giuro, che non ho mai di’ una parola, me...

L’UOMO DAL TACCUINO (imperioso ma di buon umore). E piantala una buona volta! Ho forse l’aria di un poli­ziotto?

LA FIORAIA (ben lungi dall’essere rassicurata). E alura perché metteva giù quel che me diseva? Corna faccio a sapere che trascrive giusto? Mi facci vedere cusa l’è che a scnitt de me. (L’uomo spalanca il taccuino e glielo pianta sotto il naso, sebbene la pressione della folla che cerca di leggerlo al di sopra delle sue spalle sia tale che travolgerebbe un tipo me­no robusto di lui.) Che cus’è? Quella mica è una scrittura giusta. Sun mica capace di leggerla.

L’UOMO DAL TACCUINO Io sì. (Legge, riproducendo esatta­mente la pronuncia della ragazza.) «Su con la vita, capita­no, e crompi un fiur da una pora tusa.»

LA FIORAIA (ancor più preoccupata). E perché ci ho detto capitano. Non volevo mica offenderlo. (Al gentiluomo.) Oh, sciur, non facci una denuncia contra de me per una paroletta così. Lei...

IL GENTILUOMO Denuncia!Io non faccio nessuna denun­cia. (All’uomo dal taccuino.) Signore, se lei è un poliziotto non ho bisogno di essere protetto da molestie a opera di giovani donne, a meno che non glielo chieda io espres­samente. Chiunque può vedere che questa ragazza nonera animata da cattive intenzioni.

GLI ASTANTI IN GENERALE (protestando contro gli interventi della polizia). Naturale che è così. Sono forse affari sui? Che facci gli affari sui. Vuole una promosione, ecco che cosa vuole. Lui prende nota di quello che dice la gente! A lui la ragassa non ci ha detto gnanca mesa parola. Che male ha fatto, si può sapere? E già tanto che una ra­gassa trovi di ripararsi dalla piova sensa che qualcuno la maltratti, eccetera, eccetera. (Dai dimostranti più entusia­sti, la fioraia viene ricondotta alla sua colonna, dove si rimet­te a sedere, cercando di dominare la propria emozione.)

IL TALE Nonè mica un pulotto. L’è solo un ficcanaso, ec­co cos’è. Ve lo dico me, basta guardarci le scarpe.

L’UOMO DAL TACCUINO (rivolgendosi con aria cordiale). E come stanno i suoi a Selsey?

IL TALE (sospettoso). E lei come fa a sapere che i me’ son di Selsey?

L’UOMO DAL TACCUINO Non cipensi. Lo sono. (Alla ragaz­za.) E com’è capitata qui, in questo quartiere così orien­tale, lei che è nata a Lisson Grove?

LA          FIORAIA(sgomenta). Oh, e se gh’è de mal se son vegnu­da via da Lisson Grove? L’è gnanca buna per i purscei, e pensa’ che me toca paga’ quater e ses la setimana per la Ca’. (Scoppiando a piangere.) Oh, uh-uh-uh-uh.

L’UOMO DAL TACCUINO Può vivere dove le pare e le piace, solo la smetta di far tanto chiasso.

ILGENTILUOMO (alla ragazza). Su, su, da brava, quest’uo­mo non può farle niente: lei ha il diritto di vivere dove le aggrada.

UNO SPETTATORE SARCASTICO (intrufolandosi tra l’uomo dal taccuino e il gentiluomo). Già, magari a Park Lane. Perché non discutiamo unpochino il problema della casa, eh?

LA FIORAIA (sprofondando in piagnucolosa malinconia, a testa bassa sopra il cesta, abbacchiata, parlando più che altro tra sé). Mi sunt una brava tusa, propri inscì.

IL SARCASTICO (senza badarle). E lei sa anche di dove che vengo io?

L’UOMO DAL TACCUINO (prontissimo). Da Hoxton.

Risatirie. L’interesse del pubblico per le esibizioni dell’uomo dal taccuino aumenta.

IL SARCASTICO (sbalordito). Be’, ho detto forse il contrario? ‘Cidenti, ma questo sa tutto.

LA FIORAIA (sempre alle prese con il suo orgoglio offeso). L’ha no motiv di prendersela con me, eh, no.

IL TALE (a lei). Certo che non ne ha. Hai mica bisogno di darci retta. (All’uomo dal taccuino.) Dica un po’: che di­ritto ha di sapere tutto di gente che non l’ha mai vista né conosiuta, a lei?

LA          FIORAIA Oh, ch’el diga quel che ghe pias. Io non ci vo­glio aver gnente da spartire, non ci voglio.

IL TALE Noi siamo le sue pesse da piedi, vero? Vorrei vederla prendersi certe libertà con questo   signore qui pre­sente

IL SARCASTICO Già: ci dica un po’ a lui di dove che viene, visto che gioca a far tanto l’indovino.

L’UOMO DAL TACCUINO Cheltenham, Harrow, Cambridge eIndia.

IL GENTILUOMO Giustissimo.

Risata generale. Reazione a favore dell’uomo dal taccuino. Esclamazioni tipo: «Ma el sa propri tutto», «L’ha indovina­ta giusta», «Sentito? Ha fatto centro anche col signore», ec­cetera.

IL GENTILUOMO Posso farle una domanda, signore? Per ca­so lei lavora in un music hall? È per questo che lo fa?

L’UOMO DAL TACCUINO Ci ho pensato, e chissà che un giorno non mi ci decida.

La pioggia è cessata, e le persone ai margini del capanello co­minciano a sfollare.

LA FIORAIA (offesa per la reazione a favore dell’uomo dal tac­cuino). Non è mica da gentiluomo, eh, no, andare a fic­canasare in te gli affari di una pora tusa.

LA          FIGLIA (perduta la Pazienza, si fa strada a gomitate, sco­stando rudemente il gentiluomo che, paziente, si ritira sull’al­tro lato della colonna). Che diavolo sta combinando Freddy? Mi piglierò una polmonite se sto ancora un po’ in questa corrente d’aria.

L’UOMO DAL TACCUINO (tra sé, prendendo rapidamente nota del modo con cui ha pronunciato «polmoniite»). Earls Court.

LA          FIGLIA (con veemenza). Vuoi essere così cortese da tene­re per séle sue impertinenze?

L’UOMO DAL TACCUINO Perché, ho parlato ad alta voce? L’ho fatto senza volere. Comunque le chiedo scusa. Sua madre è di Epsom, non c’è dubbio.

LA          MADRE (interponendosi tra la figlia e l’uomo dal taccuino). Ma è davvero straordinario! Sono cresciuta a Largelady Park*, a due passi da Epsom.

L’UOMO DAL TACCUINO (esilarato). Ah, ah! Che nome di­vertente! Oh, mi scusi.(Rivolto alla figlia.) Lei vuole un taxi, vero?

LA FIGLIA Come osa rivolgermi la parola?

LA          MADRE Oh, ti prego, Clara, ti prego. (La figlia fa spal­lucce con aria stizzita e si scosta altera.) Le saremmo così grate, signore, se ci trovasse un taxi.(L’uomo dal taccuino cava di tasca un fischietto.) Oh, grazie mille. (Va a mettersi accanto alla figlia.)

L’uomo dal taccuino emette un sibilo acuto.

IL SARCASTICO To’, l’avevo ben detto, me, che era un pu­lotto in borghese.

IL TALE Quel lì l’è mica un fischietto da pula: è de quei per fare sport.

LA FIORAIA (sempre alle prese con i suoi sentimenti offesi). Non ci ha il diritto di rovinarmi la riputasione. La mia riputasione l’è come quella di una sciura.

L’UOMO DAL TACCUINO Non so se ve ne siete accòrti, ma è già qualche minuto che la pioggia è cessata.

IL TALE Già, l’è vera. Perché l’ha mica detto prima, inve­ce di farci perder tempoad ascoltare le sue baggianate? (Se ne va in direzione dello Strand.)

IL SARCASTICO Io le posso dire di dove che viene lei. Vie­ne da Anwell. Non ha che da tornarci.

L’UOMO DAL TACCUINO (pronto). Hanwell, con l’acca !

IL SARCASTICO (affettando un tono di grande distinzione). Gròzie tònte, maestro. Ah, ah. Be’, ci vediamo. (Si tocca il cappello con ironica cortesia, e se ne va.)

LA          FIORAIA Far tanta paura alla gente. E se ce io fariano a lui, eh?

LA MADRE Non piove più, Clara. Possiamo prendere un autobus. Vieni. (Si tira un po’ su la gonna e si avvia in fret­taverso lo Strand.)

LA FIGLIA Ma il taxi...(La madre è ormai  troppo lontana per sentirla.) Uffa! (La segue stizzita.)

Se ne sono andati via tutti, tranne l’uomo dal taccuino, il signo­re dall’aria militaresca e la fioraia che se ne sta seduta, risistemando i fiori nel cestino e continuando a compassionarsi sotto­voce.

LA          FIORAIA Ohimemì, pora tusa! Come se non ci avria già a bastadi preoccupasioni e di pensieri.

IL GENTILUOMO (tornando al posto di prima, alla sinistra del­l’uomo dal taccuino). Ma come fa a riuscirci così bene, se è lecito?

L’UOMO DAL TACCUINO Semplice fonetica.La scienza del linguaggio. E la mia professione ed è anche il mio hohby. Felice l’uomo che può guadagnarsi da vivere con il suo hobby! Un irlandese o uno dello Yorkshire, lei lo riconosce dalla parlata, ma io sono in grado di collocarlo con un’approssimazione di dieci chilometri. A Londra, poi, lo scarto è di forse tre o quattro chilometri, e a volte riesco a indovinare persino la strada o il gruppo di strade.

LA FIORAIA Dovaria vergugnas, bel curag’, sì!

IL GENTILUOMO Ma ci si può guadagnare da vivere così?

L’UOMO DAL TACCUINO Oh, certo. E bene, anche. Questa è un’epoca di nuovi ricchi. Ci sono individui che co­minciano a Kentish Town a ottanta sterline l’anno, e fi­niscono a Park Lane con centomila. Vogliono far di­menticare Kentish Town, ma si tradiscono ogni volta che aprono bocca. E io posso insegnar loro...

LA          FIORAIA Che badi ai suoi, di affari, e che lasi in pace una pora ragassa.

L’UOMO DAL TACCUINO (sbottando). Cara la mia figliola, piantala con questo piagnucolio, e seduta stante, oppure cercati riparo in qualche altro luogo sacro.

LA          FIORAIA (con timida sfida). Me ho il diritto di star qui, se mi gira, come lei.

L’UOMO DAL TACCUINO Una donna che emette suoni così deprimenti e disgustosi nonha il diritto di stare da nes­suna parte  neanche quello di vivere. Ricordati che sei un essere umano dotato di anima e del dono divino del linguaggio articolato. Ricordati che la tua lingua natia è la lingua di Shakespeare, di Milton e della Bibbia di Re Giacomo, e non startene qui a lagnarti come un piccio­ne bilioso.

LA FIORAIA (sopraffatta, alzando solo gli occhi, a guardarlo con un misto di meraviglia e disapprovazione, senza avere il coraggio di alzare il capo). Ah-ah-ah-ow-ow-ow-oo!

L’UOMO DAL TACCUINO (cavando subito di tasca il taccuino). Cielo! Che suoni! (Scrive, quindi, tenendo discosto il taccui­no, legge, riproducendo esattamente la serie di vocali strasci­cate emesse dalla ragazza.) Ah-ah-ah-ow-ow-ow-oo!

LA FIORAIA (lusingata dall’imitazione e costretta a ridere suo malgrado). Urca!

L’UOMO DAL TACCUINO Ecco qui questa creatura con il suo inglese da marciapiede: l’inglese che la terrà nel fan­go fino alla fine dei suoi giorni. Vede, signore, nel giro di tre mesi ioquella ragazza potrei farla passare per una duchessa a un ricevimento d’ambasciata. Riuscirei per­sino a procurarle un posto da cameriera personale o da commessa, ciò che richiede un inglese abbastanza raffi­nato.

LA FIORAIACusa l’è che sta dicendo?

L’UOMO DAL TACCUINO Già, tu, foglia di cavolo calpestata, tu che sciupi là nobile architettura di queste colonne, tu, incarnato insultoalla favella inglese: io potrei farti passare per la regina di Saba. (Al gentiluomo.) Non ci crede?

IL GENTILUOMO Sono io stesso uno studioso di dialetti in­diani, e...

L’UOMO DAL TACCUINO (con avida curiosità). Davvero? E conosce il colonnello Pickering, l’autore di “Parlare in sanscrito”?

IL GENTILUOMO Sono io,il colonnello Pickering. E lei chi è?

L’UOMO DAL TACCUINO Henry Higgins, l’autore dell’Alfa-beta universale Higgins.

PICKERING (con entusiasmo). Ma io sono venutodall’India apposta per cercare lei!

HIGGINS E io stavo per venire in India a cercare lei!

PICKERING Dove abita?

HIGGINS Al 27/a di Wimpole Street. Venga da me do­mani.

PICKERING Io alloggio al Carlton. Venga lei con me ades­so, così chiacchieriamo un po’ mentre si cena.

HIGGINS Ma sì, perché no?

LA FIORAIA (a Pickering, mentre le passa accanto). Crompi un fiore, gentile signore. Ho bisogno di grana peril fitto.

PICKERING Mi dispiace, ma non ho spiccioli. (S’allontana.)

HIGGINS (sbalordito dalla bugiarderia della ragazza). Bugiar­da. Avevi detto che potevi cambiare mezza corona.

LA FIORAIA (insorgendo disperata). Che ci vegna un acci­dent. (Gettandogli il cestino ai piedi.) Che se io prenda tut­to, questo maledetto coso, ce lo lasio per sei pence.

L’orologio della chiesa suona il secondo quarto.

HIGGINS (avvertendo nel suono la voce di Dio che lo rimprove­ra per la sua farisaica mancanza di carità verso la povera ragazza). Un ammonimento. (Si toglie con aria solenne il cap­pello, quindi getta una manciata di monete nel cestino e se­gue Pickering.)

LA FIORAIA (raccattando una mezza corona). Ah-ow-ooh! (Raccattando un paio di monete da due scellini.) Aaah-ow­ooh! (Raccattando monete varie.) Aaaaaaaaah-ow-ooh!

FREDDY(balzando fuori da un taxi). Finalmente ne ho tro­vato uno. Ehi! (Alla fioraia.) Dove sono le due signore che erano qua prima?

LA          FIORAIA Andate a piedi all’autobus ‘pena che la piog­gia ha smesso.

FREDDY E mi hanno lasciato con un taxi sul gobbo! Male­dizione!

LA          FIORAIA (con tono grandioso). Non ci badi, giovinotto. A ca’ in taxi ci vado me. (Veleggia verso il taxi. Il condu­cente, allungando la mano all’indietro, tiene fermamente chiusa la portiera per impedirle di salire. Intuendone la diffi­denza, lei gli esibisce la manciata di quattrini.) Una gita in taxi l’è roba da ridere, per me, Carletto. (L’uomo sorride e apre la portiera.) Eccoci. E el cest?

IL TAXISTADa’ qua. Due pence extra.

LIZA No, non voglio che nissuno lo vede. (Lo spinge dentro il taxi, vi sale, continuando la conversazione attraverso il fi­nestrino.) Ciao, neh, Freddy.

FREDDY(levandosi il cappello sbalordito). Ciao.

TAXISTA Dove?

LIZA BucknamPellis.

TAXISTA E dove saria questo Bucknam Pellis?

LIZA Come, non sai dove che è? Nel Green Park, dove che sta di casa il re. Ciau, Freddy. Non voglio trattener­ti. Ciau, neh.

FREDDY Ciao. (Se ne va.)

TAXISTA E allora? Cusa l’è ‘sta storia di Bucknam Pellis?

Cosa ci hai te ache fare con Bucknam Pellis?

LIZA Niente, naturale. Però non volevo che lui lo sa. Por­tem a ca’.

TAXISTA E dove sana casa?

LIZA Angel Court, Drury Lane, vicino alla bottega di Meiklejohn, quel che vende olio.

TAXISTA Questo sembra già piùpossibile, Marietta.

(Parte.)

Seguiamo il taxi fino all’ingresso di Angel Park, un angusto vicolo che si apre tra due botteghe, una delle quali è quella di Meiklejohn. Il taxi si ferma, e Liza ne esce tirandosi dietro il cesto.

LIZA Quanto fa?

TAXISTA (indicando il tassametro). Be’, non sai leggere? Un sellino.

LIZA Un sellino per due minuti!

TAXISTA Due minuti o dieci, l’è semper istess.

LIZA Be’, me non mi pare mica giusto.

TAXISTA Mai stata prima su un taxi?

LIZA (con aria di degnazione). Centinaia, migliaia di volte, giovinotto.

TAXISTA (ridendo). Buon per te, Marietta. Tienti il sellino, va’, bellessa, e tanti saluti a casa. Buona fortuna! (Parte.)

LIZA (umiliata). lmpidente!

Prende il cesto e imbocca il vicolo che porta al suo alloggio: una stanzetta tappezzata di vecchissima carta da parati che nei punti più umidi pende a brandelli. Alla finestra, un vetro rotto rappez­zato con carta. Il ritratto di un attore popolare e una stampa

con dei figurini di moda, tutti terribilmente al di sopra dei mezzi della povera Liza, l’uno e l’altra strappati da qualche giornale e appuntati alla parete. Nel vano della finestra, una gabbia da uc­celli, il cui inquilino èmorto molto tempo fa: non ne resta che il ricordo.

Questi sono gli unici lussi visibili. Quanto al resto, èl’irriduci­bile minimo dei bisogni della miseria: un letto sfondato, sui qua­le sta accumulata ogni sorta di stracci capaci di garantire un po’ di calore; una cassa da imballaggio coperta da una stoffa con so­pra una brocca, un catino e uno specchietto; un tavolo e una seggiola, residui di qualche cucina suburbana, e una sveglia sulla mensola sopra il caminetto mai usato. Il tutto, illuminato da una lampada a gas, per accendere la quale bisogna infilare un penny nel contatore. Affitto: quattro scellini la settimana.

Qui Liza, afflitta da stanchezza cronica ma troppo eccitata per mettersi a letto, se ne sta seduta a contare il suo tesoro, so­gnando e facendo progetti su come spenderlo, finché il gas si esaurisce, e allora per la prima volta lei si gode il piacere di poter infilare nel contatore un altro penny senza rimpianti: improvvi­sa prodigalità che non basta a estinguere il solito assillo della ne­cessità di fare economia tanto da impedirle di rendersi conto che potrebbe sognare e fare castelli in aria a letto, più a buon merca­toe più al caldo che non standosene seduta lì, senza fuoco. Si toglie allora scialle e gonna che aggiunge alla miscellanea di co­perte. Poi si sfila le scarpe e si mette senz’altro a letto.

Atto secondo

Ore 11 del giorno dopo. Studio di Higgins in Wimpole Street. Èuna stanza al primo piano che dà sulla strada; in origine avrebbe dovuto essere un salotto. Sullo sfondo, una porta doppia; chi en­tra trova, nell’angolo a destra, appoggiate alle pareti, due alte cassettiere perpendicolari l’una all’altra. Nell’angolo così forma­to, un tavolo che funge da scrittoio, sul quale stanno un fono­grafo, un laringoscopio, una fila di minuscole canne da organo con un mantice, una serie di tubi per lampade sonore, con bru­ciatori alimentati a gas attraverso un tubo di gomma connesso a un rubinetto a parete, parecchi diapason di diverse dimensioni, un calco a grandezza naturale di mezza testa umana mostrante in sezione gli organi vocali, e una scatola che contiene una serie di cilindri di cera per il fonografo.

Più in la, sullo stesso lato, un caminetto e una comoda poltro­na rivestita di pelle e collocata di fianco al caminetto, vicino al­l’uscio, insieme a un secchio di carbone. Un orologio sta sulla mensola del caminetto, tra il quale e la scrivania si trova un por­tagiornali.

Sull’altro lato della stanza, a sinistra di chi entra, uno stipo a cassettini. Su di esso, un telefono e l’elenco. L’angolo al di la dello stipo è occupato, al pari di gran parte della parete, da un pianoforte a coda, con la tastiera parallela alla porta; il suonato­re ha a disposizione una panchetta lunga quanto la tastiera stes­

sa. Sul pianoforte, un piatto da dessert con frutta e dolci, soprat­tutto cioccolatini.

Il centro della stanza è sgombro. Oltre alla poltrona, alla pan­chetta davanti al pianoforte e a due seggiole accanto al tavolo col fonografo, ce n’è soltanto un’altra, scompagnata, di fianco al caminetto. Alle pareti, incisioni, per lo più Piranesi e ritratti a mezzatinta. Nessun quadro.

Pickering è seduto al tavolo, intento a riporre delle carte e un diapo.son di cui si è servito. In piedi accanto a lui, Higgins, che sta chiudendo gli sportelli ribaltati di due o tre cassetti dell’archi­vio. Alla luce del giorno, appare quale un uomo robusto, vigoro­so, di bell’as petto, sulla quarantina, vestito con una marsina ne­ra dall’aria professorale, con camicia candida e cravatta di seta nera. E il tipo deU ‘uomo energico, amante della scienza, cordia­le, interessato, in maniera addirittura esasperata, a qualsiasi co­sa possa essere ridotta a oggetto di studio, e incurante di se stes­so e degli altri, sentimenti compresi. In effetti, non fosse per l’età e per la staturn, lo si direbbe più che altro un bambino irruénto e rumoroso, avido di esperienze e che ha bisogno di qualcuno che lo tenga quasi continuamente d’occhio per evitargli di combinare guai. I suoi modi oscillano da una tirannica giovialità, quand’è di buon umore, a una tempestosa petulanza quando qualcosa gli va storto; ma è così aperto e senza malizia, da riuscire simpatico anche nei suoi momenti peggiori.

HIGGINS (mentre chiude l’ultimo cassetto). Be’, credo che questo sia tutto.

PICKERING Davvero sorprendente. Devo dirle che non ne ho afferrato neanche la metà.

HIGGINS Vuole risentire qualcosa?

PICKERING (alzandosi, accostandosi al caminetto e qui pian­tandosi con la schiena al fuoco). No, grazie: non adesso. Per questa mattina ne ho abbastanza.

HIGGINS (seguendone l’esempio e piazzandosi alla sua sini­stra). Stanco di ascoltare suoni?

PICKERING Sì. Richiede una spaventosa attenzione. Ero piuttosto soddisfatto di me stesso, per il fatto che riesco a pronunciare ventiquattro diverse vocali; ma è niente a paragone delle sue centotrenta. Non sono in grado di co­gliere la minima differenza tra gran parte di quei suoni.

HIGGINS (sogghignando e dirigendosi al pianoforte per man­giucchiare dei dolciumi). Oh, è una cosa che viene con la pratica. Dapprima non si coglie alcuna differenza, ma se si continua ad ascoltare si finisce per rendersi conto che c’è altrettanta differenza che tra la A e la B. (Fa capolino la signora Pearce, governante di Higgins.) Che c’è?

SIGNORA PEARCE (esitante, evidentemente perplessa). Una giovane chiede di vederla, signore.

HIGGINS Una giovane! E che vuole?

SIGNORA PEARCE Be’, ecco, signore, dice che lei sarà lieto di vederla quando saprà perché è venuta. Èdi estrazione piuttosto bassa, signore. Molto bassa, anzi. Stavo per mandarla via, ma poi mi son detta che forse le occorreva per farla parlare in quelle sue macchine. Spero di non avere combinato un pasticcio. Certo, però, che a volte si vede della gente così strana... Spero che vorrà scusarmi, signore...

HIGGINS Non fa niente, signora Pearce. Ha un accento in­teressante, la ragazza?

SIGNORA PEARCE Oh, è qualcosa di spaventoso, signore, davvero spaventoso. Non riesco a capire come possa in­teressarle.

HIGGIN5 (a Piclcering). Facciamola venire. Le dica di salire, signora Pearce. (Si precipita alla scrivania, afferra un cilin­dro da inserire nel fonografo.)

SIGNORA PEARCE (non del tutto persuasa). Benissimo, signo­re, sta a lei decidere. (Scende dabbasso.)

HIGGINS Questa sì, che si chiama fortuna. Le mostrerò co­me faccio le registrazioni. La faremo parlare, e io registrerò quello che dice dapprima con il metodo stenogra­fico Beh, quindi in “romic” esteso; e poi la farò parlare nel fonografo, in modo che lei possa ascoltarla quanto vuole, avendo sott’occhio la trascrizione.

SIGNORA PEARCE (ricomparendo). Questa è la giovane, si­gnore.

Entra la fioraia in pompa magna. Ha un cappello con tre piume di struzzo, una arancione, una azzurra e una rossa; un grem­biale quasi lindo, e anche il cappottino è stato ripulito. La pateti­cità di questo deplorevole personaggio, con la sua innocente va­nità e l’aria arrogante, commuove Pickering, che al riapparire della signora Pearce si è subito dato un contegno. Quanto a Higgins, invece, l’unica differenza che fa tra donne e uomini è che, quando non è protervo nè grida vendetta al cielo per qual­che minuscola difficoltà, blandisce le donne come fa il bambino con la balia quando vuole ottenerne qualcosa.

HIGGINS (con tono brusco, riconoscendo la fioraia con un di­sappunto che non nasconde, e insieme prendendola, infantil­mente, come un’intollerabile ingiustizia). Ma come, questa è la ragazza di cui ho trascritto le espressioni ieri sera! Non serve a niente: ho tutte le registrazioni che voglio del gergo di Lisson Grove, e non ho nessunissima inten­zione di sprecare un altro cilindro. (Alla ragazza.) Vatte­ne. Non mi servi.

LA FIORAIA Dico, non la metta giù così dura. Non sa gnanca perché sono venuta. (Alla signora Pearce, in attesa di altri ordini accanto all’uscio.) Ma ce l’ha detto che sono venuta col taxi?

SIGNORA PEARCE Sciocchezze, ragazza mia. Tu credi che a un gentiluomo come il signor Higgins facciano impres­sione i mezzi di trasporto di cui ti servi?

LA FIORAIA Oh, quante spusse sotto il naso! Ma lui le le­sioni le dà, mica balle: ho sentito io che lo diceva. Be’mica sono vignua chi per sentirmi fa’ di còmpliment; e se le mie svanziche non sono bastansa bune, posso anda­re da un’altra parte.

HIGGINS Abbastanza buone per che cosa?

LA FIORALA Bastansa bune per leei. Capito, ‘desso? Sono vignuta per venire a lesione, capito? E per pagare per le. lesioni, chiaro?

HIGGINS (sbalordito). Questa, poi! (Riuscendo finalmente a respirare.) E che ti aspetti che ti dica?

LA FIORAIA Be’, se lei sana un gentiluomo, può anche dir­mi di sedermi, neh? Non ci ho detto che ci porto grana?

HIGGINS Pickering, secondo lei dobbiamo invitare questa buzzurra ad accomodarsi oppure dobbiamo buttarla dalla finestra?

LA FIORAIA (corre terrorizzata al pianoforte, dietro il quale si ripara). Ah-ah-oh-ow-ow-ow-oo! (Ferita e pianucolante.) Non voglio che mi chiamano busurra quando che sono disposta a sganciare come una sciura.

Immobili, i due uomini stanno a fissarla a bocca aperta dall’al­tra parte della stanza.

PICKERING (con tono gentile). Ma si può sapere che vuole?

LA FIORAIA Voglio essere una dama che sta in un chiosco a vender fiuri all’angolo di Tottenham Court Road. Ma non mi prendono se non posso parlare più meglio. Lui ha detto che può insegnarmi. Be’, eccomi qua, pronta a pagarlo, e mica gli chiedo un favore, neh?, e lui mi tratta gnanca che fussi una cacca.

SIGNORA PEARCE Come si fa a essere così stupidi e igno­ranti da pensare che ci si può permettere di pagare il si­gnor Higgins?

LA FIORAIA Perché no? So quanto che costano le lesioni propio come che lo sa lei, e son pronta a sganciare.

HIGGINS E quanto?

LA FIORAIA (tornando verso di lui, trionfante). Adesso sì ch’el parla ciar! Mi son detta che cambia musica quando che vede la possibilità di cuccarsi indietro un po’ della grana che mi ha rifilato ieri sera. (Con tono confidenziale.) Bevuto un cincinino troppo, eh?

HIGGINS (perentorzo). Siediti.

LA FIORAIA Uh, se la mette su questo tono...

HIGGINS (tonante). Siediti!

SIGNORA PEARCE (severa). Siediti, ragazza. Fa’ come ti vien detto.

LA FIORAIA Ah-ah-ah-ow-ow-oo! (Resta in piedi, tra ribelle e sconcertata.)

PICKERING(con estrema cortesia). Non vuole accomodarsi? (Colloca la sedia scompagrtata sul tappetino davanti al cami­netto,tra sé e Higgins)

LIZA(intimidita). Posso? (Si siede. Pickering torna al suo po­sto.)

HIGGINS Come ti chiami?

LA FIORAIALiza Doolittle.

HIGGINS (declamando con tono pensoso). Eliza, Elisabetta, setta e Bettina

vanno nell’orto a cercar una gallina.

PICKERINGTrovano un nido con quattro uova dentro.

HIGGINS Ne prendono uno a testa, e ne lasciano cento.

Scoppiano a ridere divertiti dal loro gioco.

LIZAOh, fate mica gli semi.

SIGNORA PEARCE (piantandosi dietro la seggiola di Liza). Co­me ti permetti di rivolgerti così al signore?

LIZABe’, e lui perché non mi parla come che si deve?

HIGGTNS Torniamo agli affari. Quanto intendi pagare per le lezioni?

LIZA Oh, so ben mi quel che è giùst. Una sciura amica mia prende lesioni di francese per diciotto pence all’ora da uno che è propio un gentiluomo francese. E allora io dico che lei deve avere ‘na bella faccia di bronso per chiedermi la stessa cifra per insegnarmi la lingua che  è mia come che saria il francese. Sicché, ci darò un sellino e basta. Prendere o lasciare.

H1GGINS (passeggiando su e giù per la stanza, facendo tintin­nare in tasca chiavi e monete). Sa che le dico, Pickering? Se si considera uno scellino, non semplicemente in quanto tale, ma quale percentuale degli introiti di questa ragazza, equivale esattamente a sessanta o settanta ghi­nee per un milionario.

PICKERING Non capisco.

HIGGINS Ma è chiaro. Un milionario guadagna, diciamo, centocinquanta sterline al giorno. Questa ragazza intasca circa mezza corona.

LIZA (altera). Chi ci ha detto a lei che io guadagno solo...

HIGGINS (proseguendo). E mi offre due quinti dei suoi gua­dagni giornalieri per una lezione. Ora, due quinti degli introiti giornalieri di un milionario equivarrebbero sup­pergiù a sessanta sterline. Mica male. Perdio, è una cifra enorme! La più grossa offerta che abbia mai ricevuto.

LIZA (balzando in piedi terrorizzata). Sessanta sterline! Oi, dico, ma diamo i numeri? Mai offerte, io a lei, sessanta sterline. E dove cavolo le...

HIGGINS Zitta!

LIZA(piangendo). Ma io non ci ho le sessanta sterline, oh, oh...

SIGNORA PEARCE Non piangere, sciocca.Siediti. Nessuno vuoi toccare il tuo denaro.

HIGGINS Ma qualcuno toccherà te, e con una scopa, se non la pianti di frignare. Seduta!

LIZA (obbedendo lentamente). Ah-ah-ah-ow-oo-o! A credere che èil mio papà.

HIGGINS Se mi decido a darti lezioni, sarò peggio di due padri, per te. To’ (porgendole il proprio fazzoletto di seta)!

LIZA E servirebbe per cusa?

HIGGINS Ad asciugarsi gli occhi. A tamponarti tutte quel­le parti della faccia che ti senti umide. Ricordatelo: que­sto è il tuo fazzoletto, e questa è la tua manica. Non scambiare l’uno con l’altra, se vuoi diventare una dama che sta in un negozio.

Liza, completamente sbalordita, lo fissa a bocca aperta.

SIGNORA PEARCE Inutile parlarle così, signor Higgins: tan­to non la capisce. E poi, si sbaglia di grosso: lei queste cose non le fa di sicuro. (Le prende il fazzoletto.)

LIZA (strappandoglielo di mano). Dia qua! Il fassoletto l’è mè, me l’ha dato lui, mica lei.

PICKERING (ridendo). Ghiel’ha dato lui, sì, e penso che deb­ba essere considerato proprietà della signorina, signora Pearce.

SIGNORA PBARCB (rassegnata). Ben le sta, signor Higgins.

PICKERING Sa che le dico, Higgins? La cosa mi interessa. Che ne direbbe del ricevimento all’ambasciata? Se ci riuscisse, direi che lei è il più grande insegnante vivente. Pronto a scommettere con lei l’equivalente dell’intero costo dell’esperimento che non ce la fa. E le lezioni le

pagherò io.

LIZA Oh, lei è propri un angelo, sa? Grasie, sa, capitano.

HIGGINS (tentato, squadrandola). È quasi irresistibile. E così deliziosamente infima, così orribilmente sudicia...

LIZA (protestando con veemenza). Ah-ah-ah-ah-ow-owOO oo!!! Io son mica sudicia. Io mi sono fregata il muso e le mani, primadi venire, altro che!

PICKERING Evidentemente, non intende farle girare la te­sta con le adulazioni, Higgins.

SIGNORA PEARCE (sulle spine). Oh, non dica così, signore: ci sono tanti modi di far girare la testa a una ragazza, e nessuno sa farlo meglio del signor Higgins, anche se non sempre lo vuole. Spero, signore, che non vorrà incorag­giarlo a fare qualche sciocchezza.

HIGGINS (sempre più eccitato a mano a mano che l’idea mette radici in lui). Che cos’è la vita se non una serie di splen­dide follie? Il difficile è trovare da farne. Mai lasciarsi sfuggire un’occasione... Non capita ogni giorno. Io farò una duchessa di questo spurgo di fogna.

LIZA (protestando con vigore per la definizione). Ah-ah-ah­ow-ow-oo!

HIGGINS (Ormai lanciato). Sì: fra sei mesi  -  fra tre avrà un buon orecchio e lingua sciolta  -  la porterò dovunque, la farò passare per qualsiasi cosa. Cominciamo oggi stesso. Ora! In questo momento! Se la porti via e la ripulisca, si­gnora Pearce. E giù di striglia, se non c’è altro modo. Il fuoco è acceso in cucina?

SIGNORA PEARCE (protestando). Sì, ma...

HIGGINS (andando avanti a testa bassa). Le strappi di dosso gli indumenti e li bruci. Telefoni a Whiteley o a chi vuole per averne di nuovi. E in attesa che arrivino, la avvolga in carta da pacchi.

LIZA Mica èun gentiluomolei, sa, per dire di queste robe. Io sono una ragassa onesta, sa? Ah, so ben io che tipo è lei, sa?

HIGGINS Non sappiamo che farcene, qui, delle tue ritrosie da Lisson Grove, giovinotta. Devi imparare a compor­tarti come una duchessa. La porti via, signora Pearce. E se le pianta grane, gliele suoni.

LIZA (balzando in piedi e correndo da Pickering alla signora Pearce e viceversa in cerca di protezione). Ah, no, eh? Io chiamo la polisia, chiamo.

SIGNORA PEARCE Ma non ho dove metterla.

HIGGINS La mettanel secchio dell’immondizia.

LIZA Ah-ah-ah-ow-ow-oo!

PICKERING Oh, andiamo, Higgins! Sia ragionevole.

SIGNORA PEARCE (con tono deciso). Sì, deve essere ragione­vole, signor Higgins, dico sul serio. Mica può calpestare tutti a questo modo.

Higgins, di fronte al rimprovero, mette la coda tra le gambe. Al­la tempesta, fa seguito uno zeflro di amabile sorpresa.

HIGGINS (con pronuncia professionalmente ricercata e squisi­ta).Io calpestare tutti? Ma mia cara signora Pearce, mio caro Pickering, non ho mai avuto la minima intenzione di calpestare chicchessia. Io mi limito a proporre di mo­strarci gentili con questa povera ragazza.Dobbiamo aiu­tarla a prepararsi, a mettersi all’altezza della sua nuova posizione. Se non mi sono espresso chiaramente, è stato solo perché non volevo ùrtare i suoi sentimenti e i vo­stri.

Liza, rassicurata, torna in punta di piedi alla sua seggiola.

SIGNORA PEARCE (a Pickering). Bah, ha mai sentito nulla di simile, signore?

PICKERING (ridendo di cuore). No, signora Pearce, mai. Pro­prio mai.

HIGGINS (con tono paziente). Si può sapere che vi piglia?

SIGNORA PEARCE Be’, vede, signore, la faccenda è che lei non può raccattare una ragazza così, come se raccogliesse un sasso sulla spiaggia.

HIGGINS Perché no?

SIGNORA PEARCE Perché no, perché no! Ma se non sa niente di lei! E i suoi genitori? Magari è sposata.

LIZAMa va’!

HIGGINS Esatto! Come dice giustamente la ragazza, ma va’! Sposata, bella questa! Ma non sa che una ragazza della sua età, se èdi quella classe sociale, una volta spo­sata sembra un rudere di cinquant’anni?

LIZAE chi el veur che mi sposi?

HIGGINS (all’improvviso passando ai toni bassi, più suadenti e carezzevoli, del suo miglior eloquio). Oh, cara Eliza, ma le strade saranno costellate dei cadaveri degli uomini che si sono sparati per amor tuo prima che la mia opera sia conclusa.

SIGNORA PEARCE Assurdo, signore.Non può parlare così.

LIZA(levandosi e rassettandosi con aria decisa). Io comunque taglio. Mica ci ha tutte le rotelle al posto giusto, questo qua. Mica voglio aver lesioni da un tocco in testa, io.

HIGGINS (toccato nel vivo da tanta insensibilità per il suo elo­quio). Oh, davvero? Sicché sarei matto, eh? Benissimo, signora Pearce. Non occorre che le ordini abiti nuovi. La sbatta fuori.

LIZA (frignando). Noooo! Non ha il diritto di mettermi le mani addosso.

SIGNORA PEARCE Vede adesso che cosa capita a essere im­pertinenti? (Indicandole la porta.) Da questa parte, prego.

LIZA (quasi in lacrime). Io non voglio vestiti. Io mica li avrei presi. (Getta il fazzoletto.) Io la mia roba me la posso crompareda sola.

HIGGINS (recuperando destramente il fazzoletto e interponen­dosi tra Liza e l’uscio verso il quale si dirige riluttante). Sei una ragazzaccia ingrata. Questa èla ricompensa che mi tocca per averti proposto di toglierti dalla strada, vestirti splendidamente e fare di te una dama!

SIGNORA PEARCE La smetta, signor Higgins. Questo non lo permetto. E lei, che èun ragazzaccio. Torna dai tuoi genitori, ragazza, e di’ loro di prendersi un po’ più cura di te.

LIZACe li ho mica, i genitori, io. Mi hanno detto che ero ‘bastansa grandicella per guadagnarmi da vivere e mi hanno misa feura.

SIGNORA PEARCE Dov’è tua madre?

LIZAMica ce l’ho io, la mamma. Quella che mi ha miso feura é la mia sesta matrigna. Ah, ma io me la cavo be­none sensa bn. E sono una brava ragassa, io.

HIGGINS Benissimo, allora.Perché diavolo tanto baccano? La ragazza non appartiene a nessuno —. e non serve a nes­suno, altri che a me. (Si avvicina alla signora Pearce e pren­de a blandirla.) Potrebbe adottarla lei, signora Pearce: so­no certo che una figlia sarebbe un grande svago per lei. Su, non la faccia così lunga. La porti dabbasso e...

SIGNORA PEARCE Ma che cosa ne facciamo? Bisogna darle dei quattrini? Sia ragionevole, signore. -

HIGGINS Oh, le dia quel tanto che basta: lo segni nel libro delle spese. (Con impazienza.) E poi, perché diavolo do­vrebbe aver bisogno di quattrini? Avrà da mangiare e da vestirsi. Se le dessimo dei quattrini, se li berrebbe.

LIZA (voltandosi inviperita). Oh, che mostro che l’è lu! Questa è una balla bella e buona. Nessuno me mi ha mai vista alsare il gomito. (A Pickering.) Oh, signore, lei che è un gentiluomo non ci permetta di dirmi di queste robe.

PICKERING (con tono di divertito rimprovero). Non le passa per la mente, caro Higgins, che la ragazza ha anche dei sentimenti?

HIGGINS (squadrandola con occhio critico). No, non credo. Niente sentimenti di cui preoccuparsi. (Cordiale.) Ne hai, Eliza?

LIZA Io ci ho i miei sentimenti come che chiunque altro.

HIGGINS (a Pickering, pensoso). Vede la difficoltà?

PICKERING Quale difficoltà?

HIGGINS Riuscire a farla parlare in maniera grammatical­mente corretta. Per quanto riguarda la sola pronuncia, è abbastanza facile.

LIZAIo mica voglio parlare in maniera grammaticalmen­te. Io voglio parlare come una dama in un negossio di fiori.

SIGNORA PEARCE La prego, signor Higgins, non esca dal seminato. Desidero sapere in quale veste questa ragazza si troverà qui. Deve avere un salario? E che ne sarà di lei quando avrà finitodi darle lezioni? Deve essere un po­chino previdente.

HIGGINS (seccato). E che ne sarà di lei se la lascio nella fo­gna? Sentiamo, signora Pearce.

SIGNORA PEARCE Sono affaridella ragazza, e non suoi, si­gnor Higgins.

HIGGINS Bene, quando avrò finito possiamo ributtarlanel­la fogna. E saranno ancora una volta affari suoi, così tut­to sarà a posto.

LIZA Oh, lei èproprio sensa cuore. Lei non vede altro che lui istesso. (Si alza, e si pianta in mezzo alla stanza.) Basta, ne ho avuto a basta. Me ne vado. (Avviandosi all’uscio.) Dovaria vergognasdi lui istesso, dovaria.

HIGGINS (prendendo un cioccolatino alla crema dal pianoforte, con aria improvvisamente maliziosa). Gradisci un cioccola­tino, Eliza?

LIZA (fermandosi tentata). E come faria a saver che cosa che c’è drento? Ho sentito di ragasse che sono state dro­gate da tipi come lei.

Higgins cava di tasca il temperino; taglia in due un cioccolatino; se ne mette mezzo in bocca e lo inghiotte; offre l’altra metà a Liza.

HIGGINS È una prova sufficiente?Io ne mangio metà, e tu l’altra. (Liza apre la bocca per rispondere, e Higgins ne ap­profitta per cacciarle in gola il mezzo cioccolatino.) Ne avrai scatole intere, barili, e questo ogni giorno. Non mange­rai altro che cioccolatini. Ti va?

LIZA (che ha inghiottito il cioccolatino dopo esserne rimasta quasi soffocata). Non l’avrai mangiato mica, solo che so­no troppo signora per tirarmelo fuori di bocca.

HIGGINS Stammiad ascoltare, Eliza. Se non mi sbaglio, hai detto di essere venuta in taxi.

LIZAE anca se? Avrò bene il diritto di marciare in taxi co­me tutti, no?

HIGGINS Ma certo, Eliza. In futuro di taxi ne avrai quanti ne vorrai. Potrai andare e venire, fare il giro della città in taxi ogni giorno. Pensaci, Eliza.

SIGNORA PEARCESignor Higgins, lei sta tentando questa ragazza. E non è giusto. La ragazza dovrebbe pensare al suo futuro.

HIGGINS Alla sua età! Sciocchezze. C’è sempre tempo di pensare al futuro, quando non si ha un futuro cui pensa­re. No, Eliza: fa’ come questa signora, pensa al futuro di altri, ma non pensare mai al tuo. Pensa ai cioccolatini, al taxi, all’oro, ai diamanti.

LIZAAh, no, me non voglio niente oro e niente diaman­ti. Io sono una ragassa onesta, cusa crede? (Si risiede, ten­tando di darsi un’aria dignitosa.)

HIGGINS Tu, cara Eliza, sarai affidata alle cure della signo­ra Pearce. E sposerai un ufficiale della guardia con un bel paio di baffi: il figlio di un marchese, che lo diserederà per aver sposato te, ma che si ricrederà quando t’avrà vi­sta così bella, e brava, e...

PICKERINGMi scusi, caro Higgins, ma a questo punto non posso fare a meno di intervenire. La signora Pearce ha perfettamente ragione. Se questa ragazza deve mettersi nelle sue mani per sei mesi, per un esperimento didatti­co, deve capire esattamente quel che sta facendo.

HIGGINS E come può capinlo? Ma se è incapace di capire qualsiasi cosa. E poi, chi di noi capisce quello che stiamo facendo? Se lo capissimo, lo faremmo?

PICKERING Molto acuto, Higgins; ma non c’entra con il caso in esame. (A Eliza.) Signorina Doolitttle...

LIZA(sopraffatta). Ah-ah-ow-oo!

HIGGINSVisto? Ecco tutto quel che ricava da Eliza. Ah­ - ah-ow-oo. Le spiegazioni sono inutili e, da militare qual è, lei dovrebbe saperlo. Bisogna impartirle ordini, e nient’altro. Eliza: tu vivrai qui per i prossimi mesi, impa­rando a parlare correttamente, come una dama d’un ne­gozio di fiori. Se sarai brava e farai quel che ti vien det­to, dormirai in una stanza come si deve, avrai pasti ab­bondanti e denaro per comperarti cioccolatini e marcia­re in taxi. Se sarai cattiva e pigra, dormirai nel retrocuci­na insieme con gli scarafaggi, e la signora Pearce ti pic­chierà con una scopa. Alla fine dei sei mesi, andrai a Buckingam Palace in carrozza, splendidamente vestita. Se il re giudicherà che non sei una signora, la polizia ti porterà alla Torre, dove sarai decapitata a monito di al­tre fioraie presuntuose. Se invece non sarai smascherata, avrai in dono sette sterline e sei pence per cominciare una vita da commessa in un negozio. Se rifiuti quest’of­ferta, vuoi dire che sei la più ingrata e perfida ragazza che ci sia. E gli angeli ne piangeranno. (A Pickering.) Soddisfatto, Pickering? (Alla signora Pearce.) Non l’ho messa giù abbastanza chiaramente e correttamente, si­gnora Pearce?

SIGNORA PEARCE (con tono paziente). Io penso che farebbe meglio a lasciarmi fare un discorsino a quattr’occhi con la ragazza. Non so se posso prendermi cura di lei o ac­consentire a questa soluzione. Naturalmente, so benissi­mo che lei non vuole farle del male; ma so anche che, quando viene colto da quello che lei definisce interesse per gli accenti della gente, non pensa minimamente né si cura di quello che può succedere alla gente o a lei. Vieni con me, Eliza.

HIGGINS Così va bene. La ringrazio, signora Pearce. La trascini in bagno.

LIZA(alzandosi riluttante e sospettosa). Lei è propri un gran preputente, ecco cus’è. Io qua non resto se non mi va giù di restare. E non voglio che nessuno mi picchia. Mai chiesto, me,di andare a Bucknam Palace. Mai avuto guai con la pula, me. Io sono una ragassa onesta...

SIGNORA PEARCE Inutile ribattere, ragazza. Tu non riesci a capire il signore. Vieni con me. (Si avvia all’uscio, lo apre per far passare Liza.)

LIZA(uscendo). Be’, però ne ho detto una giusta. Io non voglio andarci gnanca vicino al re, se poi corro il rischio che mi tagliano la testa. Se avria saputo indove che mi mettevo, non saria venuta qua. Sempre stata una ragassa onesta, me, mai pensato gnanca di rivolgergli la parola, a quello. E non gli devo niente, non gli devo. E poi, a me mi fa, ma io non voglio che mi mette sotto i pe’, e io ci ho i miei sentimenti come tutti in questo mondo...

La signora Pearce chiude l’uscio, e le lamentele di Eliza non sì sentono più.

Con sua grande sorpresa, Eliza viene accompagnata al terzo pia­no: s’aspettava infatti di finire nel retrocucina. La signora Pear­ce apre una porta, la fa entrare in una stanza da letto vuota.

SIGNORA PEARCE Ti sistemerò qui. Questa sarà la tua stan­za da letto.

LIZAOooh, ma io posso mica dormire qui dentro, sciura. Troppo bello per una come me. Avria paura di toccare qualsiasi roba. Sa, mica sono ancora una duchessa.

SIGNORA PEARCETu devi semplicemente diventare pulita come la stanza, e vedrai che poi non ne sarai più intimo­rita. E devi chiamarmi signora Pearce, non sciura. (Spa­lanca la porta dello spogliatoio, di recente trasformato in ba­gno.)

LIZASignur! Cusa l’è sta roba chi? È dove che fa il buca­to? Che strano mastello, dico io.

SIGNORA PEARCE Non èun mastello. Èlà dentro che ci si lava, Eliza, e dove adesso laverò te.

LIZACosa, dovria andarelà dentro a bagnarmi tutta? Ah, no, eh? Voglio mica crepare, me. Conoscevo una che lo faceva ogni sabato sera, e così è crepata.

SIGNORA PEARCE Il signor Higgins ha la sua stanza da ba­gno dabbasso, e lui il bagno lo fa ogni mattina con l’ac­qua fredda.

LIZAUrca! Ma è fattodi ferro, quello là.

SIGNORA PEARCESe vuoi frequentare lui e il colonnello, ed essere istruita, devi fare lo stesso. Altrimenti, non tol­lereranno il tuo odore. Ma l’acqua puoi averla calda quanto vuoi. Ci sono due rubinetti: calda e fredda.

LIZA(piangendo). Non posso, non posso, non ho il corag­gio, mica è naturale, mi farebbe morire, mai fatto un ba­gno in vita mia, me, un bagno come dice lei, voglio dire.

SIGNORA PEARCE Be’, non vuoi essere pulita, profumata e ammodo come una signora? Sai bene che non puoi esse­re una ragazza come si deve dentro, se fuori sei sporca da far schifo.

LIZAUhuuuu.

SIGNORA PEARCESmettila di frignare, va’ in camera tua e togliti i vestiti. Poi infilati questo (prende una vestaglia dall’attaccapanni e gliela porge) e torna da me. Io intanto preparo l’acqua.

LIZA(piangendo a calde lacrime). Non. posso, non voglio, non sono ‘bituata, io, mai tolta prima la roba che ho in­dosso, non ègiusto, non è decente.

SIGNORA PEARCE Sciocchezze, bambina mia. Non ti spogli forse ogni notte quando vai a letto?

LIZA(turbata). No, e perché dovria? Mica voglio crepare. Sì, la gonna me la cavo, quella sì.

SIGNORA PEARCE Vuoi dire che dormi con la biancheria che porti di giorno?

LIZAE con che altro dovria dormire?

SIGNORA PEARCENon lo farai più finché resterai qui.Ti procurerò una camicia da notte.

LIZAVuoi dire che bisogna infilarsi in robe fredde e stare sveglia a battere i denti metà della notte? Ma lei vuole ‘masarmi, vuole.

SIGNORA PEARCEIo voglio trasformarti da quella sudiciona puzzolente che sei in una ragazza rispettabile, che possa stare nello studio con i signori. E adesso, vuoi fidarti di me e fare quel che ti dico, o vuoi essere sbattuta fuori e tornare ai tuo cesto di fiori?

LIZAMa lei non sa mica cosa che èil freddo, per me. Lei non sa quanta paura che c’ho.

SIGNORA PEARCEQui a letto non avrai freddo: ti ci mette­rò una bottiglia d’acqua calda. (Spingendola in camera da letto.) E adesso, fila di là e spogliati.

LIZAOh, se solo avria saputo che roba terribile èessere puliti, di ‘ste grane, me... (La signora Pearce la spinge oltre l’uscio, che però lascia socchiuso per timore che la prigioniera tagli la corda.)

La signora Pearce si infila mezze maniche bianche di gomma, riempie la vasca, miscelando acqua calda e fredda e misurandone la temperatura con il termometro. La profuma con una man­data di sali da bagno e vi aggiunge un pugno di senape. Quindi afferra una minacciosa spazzola dal lungo manico e la insapona abbondantemente.

Eliza ricompare con la vestaglia che si stringe addosso, pietosa personificazione di abietto terrore.

SIGNORA PEARCE Su, vieni qua. Togliti quella roba.

LIZAOh, non potria mai, signora Pearce, dico sul serio, sa? Mai fatta una roba così.

SIGNORA PEARCE Stupidaggini.Su, entra nella vasca e dimmi se per te l’acqua è abbastanza calda.

LIZAAh-oo! Ah-oo! Troppo calda, troppo calda.

SIGNORA PEARCE(destramente, le toglie la vestaglia espinge Liza dentro l’acqua). Non ti farà male. (Si mette al lavoro con la spazzola.)

Eliza stilla da spezzare il cuore.

Nel frattempo, Pickering discute con Higgins il problema di Li­za. Allontanatosi dal caminetto, si è seduto a cavalcioni della seggiola, appoggiando le braccia allo schienale, accingendosi a tempestare Higgins di domande.

PICKERINGMi permetta una domanda senza peli sulla lin­gua, caro Higgins. Lei si comporta da persona come si deve, quando ha a che fare con donne?

HIGGINS(imbronciato). Ha mai conosciuto un uomo che si comporti come si deve, quando ha a che fare con donne?

PICKERINGSì, e molto spesso, anche.

HIGGINS(con tono dogmatico, posando le mani sul pianoforte e sede ndovisi con un saltello). Bene.Io mai. Ho constatato che, non appena do un po’ di confidenza a una donna, questa diventa gelosa, esigente, sospettosa, insomma una peste. E constato anche che, non appena entro in confi­denza con una donna, divento egoista e tirannico. Le donne buttano tutto all’aria. Se le lasci entrare nella tua vita, subito la donna si mette a tirare da una parte e tu dalla parte opposta.

PICKERINGMirando a che cosa, per esempio?

HIGGINS (calando dal pianoforte, innervosito). Oh, lo sa il cielo! Penso che la donna voglia vivere la sua vita, e l’uomo la propria. E ciascuno dei due cerca di tirare l’al­tro sul sentiero sbagliato. Uno vuole andare a nord, l’al­tra a sud, col risultato che entrambi si trovano ad andare a est, benché tutti e due detestino il vento di levante. (Si siede sulla panchetta davanti alla tastiera.) E così, eccomi qui, vecchio scapolo incallito, con ogni probabilità de­stinato a rimanere tale.

PICKERING(alzandosi e avvicinandoglisi a sovrastarlo con aria grave). Su da bravo, Higgins,lei sa benissimo che cosa intendo dire. Se devo aver mano in questa faccenda, non posso non sentirmi responsabile per quella ragazza. Spero sia sottinteso che non si debba approfittare della sua situazione.

HIGGINSCosa, cosa?Ma questo è sacrosanto, glielo assicu­ro. (Alzandosi a sua volta, per spiegare meglio.) Capisce? La ragazza sarà un’allieva, e qualsiasi insegnamento sarebbe impossibile se gli allievi non fossero sacri. Ho insegnato a parlare l’inglese a decine di milionarie americane: le più belle donne del mondo. Io sono ferrato. Per me, po­trebbero anche essere fatte di legno. E anch’io è come se fossi di legno. Vede...

La signora Pearce apre l’uscio. Ha in mano il cappello di Eliza. Pickering ritorna alla poltrona accanto al caminetto e vi si siede.

H1GGINS (avidamente). E allora, signora Pearce, tutto bene?

SIGNORA PEARCE(sulla soglia). Vorrei dirle solo due parole, signor Higgins, se posso.

HIGGINSMa certo. Venga, venga. (La signora Pearce entra nella stanza.) Non lo bruci, signora Pearce. Lo terrò come cimelio. (Le prende il cappello.)

SIGNORA PEARCE Lo tratti con cura, signore, la prego. Ho dovuto prometterle che non l’avrei bruciato; ma preferi­rei metterlo nel forno per un po’.

HIGGINS(affrettandosi a deporre il cappello sul pianoforte). Oh, la ringrazio. Be’, e allora, che ha da dirmi?

PICKERINGSono di troppo?

SIGNORA PEARCENient’affatto, signore. Signor Higgins, vorrebbe essere così cortese da misurare attentamente le parole in presenza della ragazza?

HIGGINS (accigliandosi). Ma certo. Peso sempre attenta­mente le parole. Perché me lo dice?

SIGNORA PEARCE(senza scomporsi affatto). No, signore: non le pesa affatto quando piglia una cantonata o quando  è un tantino irritato. Ora, per quanto mi riguarda, non ha nessuna importanza, ci sono abituata. Ma davanti alla ra­gazza, non dovrebbe imprecare, mi creda.

HIGGINS (indignato). Io imprecare. (Con la massima enfasi.) Io non impreco mai. È un’abitudine che detesto. Che diavolo intende dire?

SIGNORA PEARCE (incrollabile). Proprio questo, signore: che lei impreca tanto, troppo. Se lei dice dannato questo e maledetto quello, e che diavolo questo e che diavolo quest’altro, io non ci faccio caso, ma...

HIGGINS Signora Pearce, un linguaggio simile in bocca sua! Ma insomma!

SIGNORA PEARCE (tirando diritto). C’è una certa parola che devo pregarla di non usare. La ragazza l’ha pronun­ciata lei stessa quando ha cominciato a sentirsi a suo agio nella vasca. E comincia con la stessa lettera di va­sca. La ragazza non sa quel che dice: l’ha imparata col latte materno, ma non deve assolutamente sentirla usci­re dalla sua bocca.

HIGGINS (altero). Respingo l’accusa di averla mai pronun­ciata, signora Pearce. (Lei lo guarda fisso, e lui aggiunge, ce­lando la cattiva coscienza con un tono obiettivo.) Be’, forse solo in un momento di estrema e giustificata irritazione.

SIGNORA PEARCE Solo questa mattina, signore, lei l’ha usata a proposito del vestito, della colazione vegetariana e di un volume che non trovava.

HIGGINS Oh, pura allitterazione, signora Pearce, del tutto naturale in un poeta.

SIGNORA PEARCEBe’, signore, comunque lei la chiami, la preghereidi non ripeterla di fronte alla ragazza.

HIGGINS D’accordo, d’accordo. E’ tutto?

SIGNORA PEARCENo, signore. Dobbiamo stare molto at­tenti con la ragazza per quanto riguarda la pulizia perso­nale.

HlGGINSCertamente. Giustissimo. Importantissimo.

SIGNORA PEARCE Voglio dire che non bisogna permetterle sciatterie nel modo di vestire nè che lasci roba in giro.

HIGGINS (avanzando verso di lei con aria solenne). A propo­sito. Volevo richiamare la sua attenzione proprio su que­sto. (Rivolto a Pickering, che si gode un mondo la conversa­zione.) Sono queste piccole cose quelle che contano, ca­ro Pickering. Abbia cura del penny, e le sterline avranno cura di se stesse: un proverbio che vale per le abitudini personali come per il denaro. (Appoggia i gomiti sulla men­sola del caminetto, con l’aria dell’uomo inappuntabile.)

SIGNORA PEARCE Certo, signore.E allora, mi permetta di pregarla di non scendere a colazione in vestaglia, e co­munque di non servirsene come di un tovagliolo come usa fare tanto spesso, signore. E se fosse così cortese da non mangiare tutto quanto nello stesso piatto, e di ricor­darsi di rimettere la scodella del porridge sul sottopiatto anziché sulla tovaglia pulita, darebbe il buon esempio al­la ragazza. Se ben ricorda, solo la settimana scorsa lei si è mezzo soffocato con una lisca di pesce che le era andata di traverso

HIGGINS (in ritirata dal caminetto verso il pianoforte). Sì, può darsi che queste cose le faccia, così, per distrazione; ma è certo che non le faccio abitualmente. (Seccato.) E a pro­posito: la mia vestaglia puzza maledettamente di ben­zina.

SIGNORA PEARCE Per forza, signor Higgins. Ma se lei si pu­lisse le dita...

HIGGINS (alzando la voce). Oh, benissimo, benissimo: vuoi dire che d’ora in poi me le pulirò nei capelli.

SIGNORA PEARCE Spero che non si sia offeso, signor Hig­gins.

HIGGINS (sbalordito all’idea che lo si possa credere capace di un sentimento malevolo). Ma nient’affatto. Ha perfetta­mente ragione, signora Pearce: starò attentissimo di fronte alla ragazza. E tutto?

SIGNORA PEARCE No, signore. La ragazza può usare qualcu­no degli abiti giapponesi che lei ha portato dall’estero? Capirà, non posso rificcarla nei suoi vecchi stracci.

HIGGINS Ma certo! Faccia come crede. E’ tutto?

SIGNORA PEARCE Grazie, signore. E’ tutto. (Esce.)

HIGGINS Vede, Pickering, quella donna si fa le idee più strane del mondo sul mio conto. Io sono un tipo riserva­to, sto sulle mie. Non sono mai riuscito a sentirmi dav­vero adulto e sicuro come altre persone. Eppure, quella donna è fermamenteconvinta che io sia un tipo d’uomo terribilmente e insopportabilmente autoritario. Non rie­sco proprio a spiegarmelo.

Ricompare la signora Pearce.

SIGNORA PEARCE Col suo permesso, signore, i guai stanno già cominciando. Di sotto c’è uno spazzino, Alfred Doo­little, si chiama, e vuole vederla. Dice che lei ha qui sua figlia.

PICKERING (balzando in piedi). Ma dico! Questa, poi!

HIGGINS (senza esitare). Mi spedisca su quel manigoldo.

SIGNORA PEARCE Benissimo, signore. (Esce.)

PICKERING Può darsi che non sia un manigoldo, Higgins.

HIGGINS Sciocchezze. Certo che èun manigoldo.

PICKERING Che lo sia o meno, temo che sarà un osso duro.

HIGGINS (fiducioso). Oh no, non credo proprio. Se mai, di grane ne avrà lui da me, e non viceversa. E sono certo che gli caveremo qualcosa d’interessante.

PICKERINGA proposito della ragazza?

HIGGINS No, mi riferivo al dialetto.

PICKERINGAh!

SIGNORA PEARCE (sulla soglia). Ecco Doolittle, signore. (Fa entrare l’uomo e si ritira.)

Alfred Doolittle èuno spazzino anzianotto, ma vigoroso, che in­dossa i panni della sua professione, compreso un cappello con una falda che scende a coprirgli collo e spalle. Ha tratti ben mar­cati e piuttosto interessanti, e sembra immune sia da timidezza che da imbarazzo. Ha una voce singolarmente incisiva, conse­guenza dell ‘abitudine di esprimere quel che gli passa per la testa senza peli sulla lingua. L’atteggiamento che ha scelto è quello dell’onore offeso e della ferma risoluzione.

DOOLITTLE(sull’uscio, non sapendo quale dei due sia il suo uomo). Il prufesur Igins?

HIGGINS Sono io. Buongiorno.Si accomodi.

DOOLITTLE ‘Giorno, capo.(Si siede con aria imperiosa.) Son vegnuto per una questione ‘sai grave, capo.

HIGGINS (a Pickering). Cresciuto a Hounslow.Madre galle­se, direi. (Doolittle spalanca la bocca, sbalordito. Higgins prosegue.) Allora, che vuole, Doolittle?

DOOLITTLE (con tono duro). Voglio la mia fiola. Ecco che cosa è che voglio. Chiaro?

HIGGINS Ma è logico che la voglia. Èsuo padre, no? Non supporrà per caso che la voglia qualcun altro, vero? So­no lieto di vedere che in lei c’è ancora una scintilla di sentimento paterno. È di sopra. Se la porti via subito.

DOOLITTLE(alzandosi in piedi spaventato, preso alla sprovvi­sta). Come saria?

HIGGINS Se la porti via. Crede forse che voglia provvede­re a sua figlia al posto suo?

DOOLITTLE (contono di rimostranza). Momento, momento, capo. Ci pare ragionevole? Ci pare giusto di approfittarsi di un uomo così come che fa? La ragazza èroba mia. Lù se l’è presa. Ma dove cavolo sono capitato? (Si risiede.)

HIGGINS Sua figlia ha avuto la sfacciataggine di venire in casa mia e di chiedermi di insegnarle a parlare come si deve, perché possa ottenere un posto di commessa in un negozio di fiorista. Questo signore e la mia governante sono stati sempre presenti.(Dandogli addosso.) E come osa venir qui a tentare di ricattarmi? Lei ha mandato la ragazza apposta.

DOOLITTLE(protestando). Ma no, capo, ma no.

HIGGINS Sì, invece, sì. Altrimenti, come saprebbe che è qui?

DOOLITTLE Nonsi tratta mica così un poero crist, capo.

HIGGINS Vedrà come la tratterà la polizia! Questo è un trucco architettato per estorcere denaro con minacce. Chiamo subito la polizia. (Si affretta verso il telefono e prende a sfogliare l’elenco.)

DOOLITTLECi ho chiesto forse un soldo che è un soldo? Ce lo lascio decidere al signore qui presente: ho detto una parola a proposito di grana?

HIGGINS (gettando l’elenco e avanzando verso Doolittle con aria inquisitoria). E per che altro è venuto, allora?

DOOLITTLE(conciliante). Be’, per cosa pudria venire un uo­mo? Siamo umani, capo.

HIGGINS (disarmato). Alfred: mi dica, gliel’ha messo in te­sta lei?

DOOLITTLECapo, mi creda, mai fatto una cosa simile. Giuro su Dio che la ragazza sono due mesi che gnanca la vedo.

HIGGINS E allora, come fa a sapere che è qui?

DOOLITTLE(tono da “cantando sotto la pioggia”). Ce lo dico subito, capo, se solo mi lascia dire una parola. Son qua per dircelo, non vedo l’ora di dircelo, sento il bisogno di dircelo.

HIGGINS Caro Pickering, come vede quest’individuo ha un talentaccio naturale per la retorica. Noti il ritmo del suo selvatico eloquio. «Sono qua per dircelo, non vedo l’ora di dircelo, sento il bisogno di dircelo.» Sentimen­tal-retorico! Èil suo retaggio gallese. E costituisce in pari tempo la riprova della sua tendenza alla menzogna e alla disonestà.

PICKERING La prego, Higgins: anch’io vengo dall’ovest. (A Doolittle.) Come ha saputo che la ragazza era qui, se non è stato lei a mandarla?

DOOLITTLE Ecco come’è andata, capo.La ragassa ha preso su un ragasso in tel taxi per farci fare un giro. Il figlio della sua padrona di casa, ecco chi l’è. È rimasto a giron­dolare da queste parti nella speransa che poi la fiola se lo porta indietro a casa sempre in tassi. Be’, e alura la fiola l’ha rimandato per prenderci la sua roba quando che ha saputo che ha voleva che la fiola si ferma qua. Ho incoc­ciato il ragasso all’angolo che fa Long Acre con Endell Street.

HIGGINS All’osteria, vuoi dire.

DOOLITTLEIl circolo del poero crist, capo: perché non do­vrei?

PICKERING Lo lasci raccontare la sua storia, Higgins.

DOOLITTLEE il ragasso mi conta su come che stanno le cose. E io ci chiedo a ha, quale deve essere il mio senti­mento e il mio dovere in quanto padre? Al ragasso ci ho detto, ci faccio: «Tu il bagaglio me lo porti a me».

PICKERINGE perché non è andato a prenderlo lei stesso?

DOOLITTLE Vede, capo, la padrona di casa non si saria fi­data di darmelo. Sa, è una fatta a modo suo, non so se mi spiego. Ho dovuto sganciare al ragasso un penny, pri­ma che lui me lo molla, quel fetente. Ce l’ho. portato al­la mia fiola solo per farci un piacere a lu’, signore, e ren­dere un servisio. Ecco tutto.

HIGGINS Che bagaglio?

DOOLITTLEUno strumento musicale, capo. Poi qualche quadretto, gioiellini, una gabbietta. La ragassa ha detto che di vestiti non ne vuole. E io come dovevo prenderla, capo? Ce lo chiedo a ha come genitore, come dovevo prenderla?

HIGGINS Sicché, lei è venuto a salvarlada una sorte peg­giore della morte, eh?

DOOLITTLE(con tono di apprezzamento e di sollievo per essere stato così bene inteso). Propio così, capo. Giustissimo.

PICKERING Ma perché non ha portato il bagaglio di sua fi­glia, visto che voleva riprendersela?

DOOLITTLEHo parlato di riprenderla? E lo dico forse in questo momento?

HIGGINS (con decisione). Lei se la porta via, e immediata­mente. (Va al caminetto, suona il campanello.)

DOOLITTLE(alzandosi). No, capo. Non mi dica questo. Non son mica tipo da mettere i bastoni tra le ruote alla mia fiolina. C’ha una carriera davanti, come diria lu’, e...

La signora Pearce apre l’uscio e attende ordini.

HIGGINS Signora Pearce, questoè il padre di Eliza. E’ ve­nuto a riprendersela. Gliela consegni. (Torna al pianofor­te con l’aria di volersene lavare le mani.)

DOOLITTLEMa no, ma questo è un frainteso. Ma dico...

SIGNORA PEARCENon può portarsela via, signor Higgins. Impossibile. M’ha detto lei di bruciarne i vestiti.

DOOLITTLEGiustissimo, mica posso portarmi la fiola per la strada nuda come un verme, ci pare? Ma dico...

HIGGINS Lei mi ha detto che vuole sua figlia. E se la pren­da. Se non ha vestiti, esca e vada a comprargliene.

DOOLITTLE(ridotto alla disperazione). Dove sono quelli che aveva quando che è rivata? Ce li ho bruciati io o ce li ha bruciati la sciura qui presente?

SIGNORA PEARCEIo sono la governante, col suo permesso. Ho ordinato degli abiti per sua figlia, e quando arrivano se la può portarvia. Può aspettare in cucina. Da questa parte, prego.

Doolittle, profondamente turbato, la segue fino alla porta, ma qui esita e finalmente si rivolge a Higgins con aria confidenziale.

DOOLITTLE Dica un po’, capo. Me e  ela siamo omini di mondo, dico bene?

HIGGINS Oh, siamo uomini di mondo? Meglio che vada, signora Pearce.

SIGNORA PEARCESono anch’io dello stesso parere, signo­re. (Esce con aria di sussiego.)

PICKERINGIl proscenio è suo, signor Doolittle.

DOOLITTLE(a Pickering). Grasie, capo.(A Higgins, che si èrifugiato sulla panchetta del pianoforte, un po’ sopraffatto dalla vicinanza del visitatore, attorno al quale stagno un alo­ne di professionale lezzo.) Be’, la verità è che la mi è propio simpatico, capo; e se propio vuole la fioia, non son mica così fissato che voglio che torna a casa a ogni co­sto, ma sono disposto a un accomodamento. Se la guar­diamo come quella ragassa che è, è propio carina. Come mia fiola, non vale una sverza, questo ce io dico chiaro e tondo. Quel che domando sono i miei diritti di padre, e la l’è l’ultima persona al mondo che può ‘spetarsi che me la lasio andare a gratis, anche perché vedo che ha è uno che c’ha possibilità, capo. Insoma, che cosa sono cinque sterline per lu’? E che cosa è Liza per me? (Torna alla sua seggiola e vi si accomoda con gesto maestoso.)

PICKERING Secondo me, lei dovrebbe rendersi conto, caro Doolittle, che le intenzioni del signor Higgins sono asso­lutamente oneste.

DOOLITTLECerto che sì, capo. Se pensavo che no, chie­devo cinquanta.

HIGGINS(indignato). Vuoi dire che sarebbe disposto a ven­dere sua figlia per cinquanta sterline?

DOOLITTLEParlando in generale, no che no voria. Ma per farci un piacere a un signorone come l’è lu’, disposto an­che a perderci, ce lo garantisco.

PICKERINGMa lei non ha senso morale, caro il mio uomo?

DOOLITTLE (per niente smontato). Non posso permetterme­lo, capo. E gnanca lu’ non podaria, se è povero come me. Mica che io abbia cattive intensioni, sia chiaro. Ma Liza da tutto questo ci ricava qualcosa, no?, e perché me in­vece no?

HIGGINS (turbato). Non so che fare, Pickering. Èfuori dub­bio che, dal punto di vista etico, è senz’altro un delitto dare a quest’uomo anche un solo centesimo. E tuttavia, nella sua pretesa avverto una sorta di rozza giustizia.

DOOLITTLE Propio così, capo, è questo che volevo dire. Il cuore di un padre, per così dire.

PICKERING Be’, capisco i suoi scrupoli, ma in effetti non mi pare giusto che...

DOOLITTLE Non dica questo, capo. Non la metta giù in questo modo. Chi sono me, lo chiedo a voi due capi: chi sono me? Me sono un poero crist immeritevole, ecco co­sa che sono. E rendetevi conto di che cosa che questo vuol dire per un omo. Vuoi dire che lui è sempre contro la morale del borghese. Se gh’è in ballo qualcosa, e anca me ne voria un pesetin, sempre la stessa storia: «Te sei immeritevole, a te niente». Ma il mio bisogno è mica meno della vedova più meritevole che incassa grana da sei diversi enti di ‘sistensa ogni settimana per la morte di un solo marito. E mica che me ho bisogno di meno che un omo meritevole: anzi, ho bisogno di più. Mica che me sbafo meno volentieri che lui; e con la bibita ci mar­cio più di brutto che lui. Me mi occorre un cincinino di svago, perché sono un omo pensante. Ho bisogno di allegria, di canti e musica quando che son giù di corda. Bene, e per tutto questo a me mi fanno pagare tale e quale come al meritevole. Cosa l’è la morale del borghe­se? Solo una scusa per lasiarmi a bocca ‘siutta. Sicché, me chiedo a voi, che siete due signori, di non giocare a carte false con me. Me con voi gioco pulito. Me mica fingo di essere meritevole. No, sono immeritevole, e vo­glio continuare a essere immenitevole. Mi va così, paro­la. E voi volete profittarvi della natura di un orno per fregargli il presso della sua propia fiola che lui ha cressiu­to e nutrito e vestito con il sudore della sua fronte finché è diventata grande tanto che interessa voi due gentiluo­mini? Cinque sterline non è una cifra ragionevole? Lo chiedo a voi, e lassio a voi di decidere.

HIGGINS(alzandosi e accostandosi a Pickering). Sa che le di­co, Pickering? Che se noi potessimo avere in mano que­st'uomo per tre mesi, potrebbe scegliere tra un ministero e una buona parrocchia del Galles.

PICKERING Ha sentito, Doolittle?

DOOLITTLE Fa mica per me, capo, anche se la ringrasio tanto. Ho sentito tutti i predicatori e tutti i primi mini­stri, perché sono un omo pensante e comprensivo per la politica, la religione o le riforme sociali, se a uno ci pia­ce, ma ce lo dico me che è una vita da cani, quella, co­me che la si guarda. Povertà immenitevoie: questa è la mia linea di condotta. Divertirsi un cincinino in buona compagnia be’, ecco, l’è l’unica che ci abbia un poco di pepe, non so se mi spiego.

HIGGINSCredo proprio che dobbiamo dargli quelle cin­que sterline.

PICKERINGNe farà cattivo uso, temo.

DOOLITTLE Mica me, capo. Ah, me no. Non deve aver paura che me le metto via, le risparmio e ci vivo su lusuo­samente. Fino a lunedì, gnanca un penny non mi resta, e mi toccherà andare allo sgobbo come che gnanca le avria ‘vute. Non mi renderà più miserabile, può scom­metterci. Gnente, solo un po’ di bisboccia per me e per la mia ganza, garantendo divertimento a noi e lavoro ad altri, e soddisfasione a lù che sa che non vengono butta­te via. Lù non podania spenderle meglio, ce lo assicuro.

HIGGINS (cavando di tasca il portafogli e interponendosi tra Doolittle e il pianoforte). È irresistibile. Diamogliene dieci.(Porge due biglietti di banca allo spazzino.)

DOOLITTLENo, capo. La mia ganza non avria il coraggio di spenderne dieci, e forse gnanca me. Dieci sterline, ma sono una barca di soldi, e portano uno ad andarci piano, e allora addio divertimento. No, capo, lù mi dà quanto me ci chiedo, non un penny di più e non un penny di meno.

PICKERINGPerché non se la sposa, questa sua ganza? Io so­no piuttosto contrario a incoraggiare irnmoralità del ge­nere.

DOOLITTLE Ce lo dica lù, capo, ce lo dica lù, a quella. Me sono più che disposto, e sono me che ci soffro, per que­sto. Ma quella, gnente. E me mi tocca rassegnarmi. De­vo farci dei regali. Devo cromparci dei vestiti che è una vergogna. Sono schiavo di quella donna, capo, propio perché son mica suo marito davanti alla legge. E anca ela lo sa. Ah, la convinca a sposarmi! Ansi segua il mio consiglio, capo: sposi Eliza fino a che l’è giovane e non la sa ancora tanto lunga. Se non lo fa, ci dispiacerà do­po. E se lo fa, ci smenerà Eliza dopo, ma meglio Eliza che lù, no? Perché lù è un omo e Eliza è solo una donna e co­munque non sa mica cos’è la felicità.

HIGGINS Caro Pickering, se stiamo ad ascoltare quest’uo­mo ancora per un istante, non ci resta più nessuna certez­za. (A Doolittle.) Cinque sterline, mi pare che abbia detto.

DOOLITTLE Grasie tante, capo.

HIGGINSSicuro che non ne vuole dieci?

DOOLITTLENon adesso. Un’altra volta, capo.

HIGGINS (porgendogli un biglietto da cinque sterline). Ecco qua.

DOOLITTLEGrasie, capo, e buongiorno.(Si precipita verso l’uscio, ansioso di svignarsela col bottino. Ma come apre la porta, si trova di fronte una giovane giapponese linda, grazio­sa, raffinata, con indosso un semplice kimono azzurro, sa­pientemente stampato a minuscoli fiori candidi di gelsomino. Con lei è la signora Pearce. Doolittle si scosta deferente chie­dendo scusa.) Pardon, signorina.

LA GIAPPONESEUrca, veh! Non conosi la tua stessa tusa?

DOOLITTLEesclamando ( Porc! Ma è Eliza!

HIGGINS                   all’uni-         Ma guarda un po’!

PICKERING )       sono           Per Giove!

LIZACi ho no l’aria sema?

HIGGINS Scema?

SIGNORA PEARCE (sulla soglia). Da bravo, signor Higgins, la prego di non dire niente che possa montare la testa alla ragazza.

HIGGINS(con tono comprensivo). Oh, ha perfettamente ra­gione, signora Pearce. (A Eliza.) Sì, dannatamente scema.

SIGNORA PEARCE La prego, signore!

HIGGINS (correggendosi). Voglio dire, estremamente scema.

LIZAStaria benissimo col me’ cappel in testa. (Prende il cappello, se lo ficca in capo e attraversa la stanza diretta al caminetto, con aria da gran dama.)

HIGGINS Una nuova moda, perdio! E pensare che dovreb­be sembrare orribile.

DOOLITILE (con paterno orgoglio). Be’, mai pensato che sa­ria riussita a ripulirsi tanto da sembrare un tocco simile, capo. Va a mio credito, non ci pare?

LIZAGuarda, pa’, che è facile darsi una ripulita, qua.Ac­qua calda e fredda dal robinetto, fin tanta che ne vuoi, ecco cosa che c’è. E ‘siugamarìi di lana, ecco cosa. E un cavaletto per tenerceli su così caldo che ti brucia i diti. Spassole morbide per sgrugnarti, e una tassa di legno di saponeche spussa di primule. Adesso sì che so perché le sciure sun così nette. Lavarsi per loro è uno spasso. Voria che vedono loro quello che è per una come me.

HIGGINS Sono lieto di apprendere che la stanza da bagno sia di tuo gradimento.

LIZAMacché, micatutto, e a me mi frega se sentono che lo dico. Ce lo chieda alla signora Pearce.

HIGGINS Cosa c’è che non va, signora Pearce?

SIGNORA PEARCE (accomodante). Oh, nulla, signore, non ha importanza.

LIZAAvevo una mesa intensione di romperlo. Non sape­vo da che parte guardare. Però ci ho messo su un asciu­gamano, ci ho messo.

HIGGINSSopra che cosa?

SIGNORA PEARCE Sopra lo specchio, signore.

HIGGINS CaroDoolittle, lei ha allevato sua figlia troppo rigidamente.

DOOLITTLEMe? Non l’ho allevata per niente, me, a parte darci ogni tanto qualche sganassone. Non mi deve dare la colpa a me, capo. Non ci è abituata, capise? Tutto qua. Ma farà presto a imparare i vostri modi sensa inibi­sioni.

LIZA Io sono una ragassa onesta, io, e non voglio imparare modi sensa inibisioni.

HIGGINS Eliza, se dici ancora una volta che sei una ragazza onesta, ti faccio riportare a casa da tuo padre.

LIZA Da chel lì? Voi dire che non conosse el me pa’. Se è vignuto qua è solo per piluccarci un po’ di grana e anda­re a prendere la ciucca.

DOOLITTLEBe’, e perché altro mi occorrania la grana? For­se per metterla in tel piattino in chiesa? (Liza gli mostra la lingua, e lui se ne indigna al punto che Pickering è costretto a interporsi tra padre e figlia.) Non voglio sentire le tue me­nate, me. E non voglio gnanca stare a sentire che le rifili a questo gentiluomo, e ti faccio vedere me, capito?

HIGGINSHa altro da dire a sua figlia prima di andarsene, Doolittle? Non vuoi darle la sua benedizione, per esem­pio?

DOOLITTLENo, capo, mica sono così semo, me, di mettere ai corrente i miei ragassi di tutto quello che so. Già ‘ba­stansa difficile tenerli a freno sensa. Se vuole migliorare il cervello di Eliza, capo, la fa lù con una cinghia. Be’, salve, signori. (Si volta per andarsene.)

HIGGINS(imperioso). Alt. Lei verrà a vedere regolarmente sua figlia. È suo dovere, sia chiaro. Mio fratello è un uo­mo di chiesa, e potrà assisterla nei colloqui con lei.

DOOLITTLE(evasivo). Ci tengo sens’altro, capo. Non que­sta settimana, perché ho un lavoretto da fare a una certa distansa di qui, ma in seguito può far conto su me. Buon pomeriggio, signori. Buon pomeriggio, sciura. (Si tocca il cappello per salutare la signora Pearce, che lo ignora sdegno­sa. Strizza l’occhio a Higgins, probabilmente ritenendolo uno che come lui èvittima dei malumori della signora Pearce, e segue questa.)

LIZANon ci darà mica retta a quel vecchio ballista. Par­larci di un uomo di chiesa, a chel lì, l’è come metterci un bulldog ai calcagni. Mica lo rivede tanto presto, sa?

HIGGINSA dire il vero non ne ho nessuna voglia, cara Eli­za. E tu?

LIZAMa gnanca... Non voglio vederlo mai più, se posso.Per me l’è una vergogna, l’è, fare lo spassino invece di lavorare al suo mestiere.

PICKERINGE sarebbe,Eliza?

LIZACavare con belle parole la grana dalla tasca della gente per metterla in te la soa. Di suo vero mestiere l’è manovale, e a volte anca ci lavora, per tenersi in eserci­sio, e ci fa un bel po’ di grana. Ma non mi chiama più si­gnorina Doolittle?

PICKERING Le chiedo scusa, signorina Doolittle. Mi perdo­ni, è stato un lapsus.

LIZA Oh, me non mi fa niente. L’è solo che suonava così bene. Mi piaciaria solo di prendere un tassì fino all’ango­lo di Tottenham Court Road e poi là smontare e dirci che mi ‘spetta, giusto per fargliela vedere un pochino al­le ragasse. Sensa gnanca parlarci, non so se mi spiego.

PICKERING Meglio che aspetti finché le abbiamo procura­to qualcosa davvero come si deve da mettersi addosso.

HIGGINS Inoltre, devi farla finita con le vecchie amicizie adesso che sei salita di un gradino. Èquello che noi chiamiamo snobismo.

LIZA Non sono più le mie amicisie, ‘desso, spero che non lo pensa. Mi hanno già sfottuto ‘bastansa, con il loro ri­dicolo, fin che potevano, e adesso voglio rifarmi un cin­cinino. Ma se devo avere roba alla moda, ben, ‘spetto. Mi piace di averla. La signora Pearce dice che vuole dar­mi qualcosa da mettere in letto di notte diverso da quel­lo che porto di giorno, ma a me mi pare uno spreco di grana quando che si può avere invece qualcosa da mo­strare, e poi mai andata giù, a me, di mettermi addosso roba fredda in una notte d’inverno.

SIGNORA PEARCE (rientrando). Vieni, Eliza. Sono arrivati i tuoi nuovi abiti, vieni a provarli.

LIZAAh-ow-oo-ooh! (Si precipita fuori dalla stanza.)

SIGNORA PEARCE (seguendola). Non correre così, ragazza mia. (Si chiude la porta alle spalle.)

HIGGINS Caro Pickering, ci siamo presi una bella gatta da pelare.

PICKERING(con tono convinto). Caro Higgins, sa che ha ra­gione?

Penso che qualcuno sarà curioso di sapere come si svolgevano le lezioni impartite da Higgins a Eliza. Bene, eccone un esempio:la prima.

Immaginatevi Eliza nei suoi nuovi panni e tutta scombussola­ta da una cena, un pranzo è una colazione cui non è abituata, seduta con Higgins e il colonnello nello studio, con l’impressione di essere una paziente appena accolta in una clinica, al suo pri­mo incontro con i medici.

Higgins, costituzionalmente incapace di starsene seduto tran­quillo, la disorienta ancor più passeggiando senza posa per la stanza. Non fosse per la rassicurante presenza e la po.catezza del suo amico, il colonnello, Liza scapperebbe a gambe levate, ma­gari per tornare in Drury Lane.

HIGGINS Sentiamo, di’ l’alfabeto.

LIZAMe l’alfabeto lo so. Che cosa crede, che non so gnente, me? Non ho bisogno di essere insegnata come un bambino, me.

HIGGINS (tonante). L’alfabeto!

PICKERING Su, lo dica, signorina Doolittle. Vedrà che pre­sto capisce. Faccia come le dice lui, lasci che le insegni le cose a modo suo.

LIZAOh, be’, se è così che la mette... Aaa, beee, ceee, deee...

HIGGINS (ruggendo come un leone ferito). Alt. Ascolti, ascolti bene, Pickering. Ecco i risultati delle imposte che paghiamo per l’insegnamento primario. Questa disgra­ziata bestiola è stata tenuta prigioniera a scuola nove an­ni a nostre spese per insegnarle a parlare e a leggere la lingua di Shakespeare e di Milton. E il risultato è aaaa, beee, ceee, deee. (A Eliza.) Devi dire A, B, C, D.

LIZA (quasi piangendo). Ma lo dico, no? Aaaa, beee, ceee...

HIGGINS Alt. Di’: «una tazza di tè».

LIZAUna tassa di teee.

HIGGINS Devi spingere la lingua avanti schiacciandola contro la parte superiore dei denti inferiori. Adesso di’: “tazza”.

LIZA: Tttt... Non ci riesco. T-tazza.

PICKERINGOttimo, splendido, signorina Doolittle!

HIGGINS Per Giove, ce l’ha fatta al primo colpo. Caro Pickerìng, ne faremo una duchessa. (A Eliza.) E adesso, pensi di riuscire a dire tè?Non tee, sta bene attenta: se riattacchi con beee, ceee, deee, ti farò fare tre volte il gi­ro della stanza tirandoti i capelli. (Fortissimo.) T, T, T, T.

LIZA(piangendo). Me non vedo nissuna differensa, salvo che quando lo dice lei suona più meglio.

HIGGINS Bene, se riesciad avvertire la differenza, perché diavolo piangi? Pickering, le dia un cioccolatino.

PICKERINGMa sì, pianga pure, signorina Doolittle. Se la cava benissimo, e le lezioni non le faranno male, vedrà. Le prometto che non permetterò al signor Higgins di trascinarla per la stanza tirandola per i capelli.

HIGGINS Adesso via, va’ dalla signora Pearce, e dille che vuoi un tè.Ma pensaci. Cerca di farcela da sola: e tieni la lingua contro la parte superiore dei denti inferiori in­vece di cercare di ingoiartela. Prossima lezione alle sedi­ci e trenta. Fila, adesso.

Eliza, sempre singhiozzando, si precipita fuori dalla stanza. E questi sono i tormenti ai quali la povera Eliza deve sottoporsi per mesi prima che ci sia dato di incontrarla nuovamente in occasio­ne della sua prima comparsa in società tra la gente bene.

Atto terzo

Il giorno in cui la signora Higgins riceve. Non è ancora arrivato nessuno. Il suo salotto, in un appartamento sul Chelsea Em­bankment, ha tre porte-finestre che danno sul fiume; e il soffitto non è alto come sarebbe quello di una casa della stessa catego­ria, ma più antica. Le finestre sono spalancate su un balco­ne con vasi di fiori. Guardandole, si ha il caminetto alla sinistra e un uscio alla destra, vicino all’angolo con la parete munita di finestre.

Nutrimento della signora Higgins sono stati Morns e Burne Jones; e la sua stanza, ben diversa da quella di suo figlio in Wimpole Street, non èsovraccarica di mobili, tavolini e cianfru­saghe. In mezzo alla stanza, una grande ottomana; e questa, in­sieme a un tappeto, la carta da parati di Wilhiam Morris, le ten­de di chintz anch ‘esse di Morris e le fodere di broccato del diva­no e dei cuscini, costituiscono gli unici ornamenti, troppo belli per essere nascosti da ammassi di oggetti superflui. Alle pareti, pochi buoni quadri a olio, esposti trent’anni prima alle mostre della Grosvenor Gahlery (i Bui-ne .Jones, non però gli Whistler). L’unico paesaggio èun Cecil Lawson degno di un Rubens. C’èanche un ritratto della signora Higgins di quando, da giovane, sfidava le convenzioni della moda indossando uno dei begli abiti rossettiani che, quando venivano caricaturati dagli stolti, porta­vano alle assurdità estetiche di moda negli anni Settanta.

Nell’angolo diagonalmente opposto alla porta la signora Hig­gins, ora ultrasessantenne, incurante da un pezzo di vestirsi con­trocorrente, siede a un semplice scrittoio con un campanello elettrico a portata di mano. Tra lei e la finestra più vicina, una poltrona Chippendale; dall’altra parte della stanza, molto più in primo piano, una poltrona elisabettiana scolpita, si direbbe, nel­lo stile di Inigo Jones. Sullo stesso lato, un pianoforte ornato. L’angolo tra il caminetto e la finestra è occupato da un divano con cuscini rivestiti di chintz disegnato da Wihliam Morns.

Ora: tra le quattro e le cinque del pomeriggio.

L’uscio si spalanca di colpo, e Higgins entra con il cappello in testa.

SIGNORA HLGGINS (sconcertata). Henry! (Con tono di rim­provero.) Si può sapere che cifai, qui, oggi? E il mio gior­no di visite: mi avevi promesso che non saresti venuto.

(Il figlio si china per baciarla, lei gli toglie il cappello e glielo porge.)

HIGGINS Oh, accidenti! (Butta il cappello sullo scrittoio.)

SIGNORA HIGGINS Adesso te ne vai, e subito.

HIGGLNS (baciandola). Ma sì, mamma. Sono venuto per parlarti.

SIGNORA HIGGINS Ma non èil momento. Sul serio, Henry. Tu riesci a offendere tutti i miei amici: smettono di veni­re a trovarmi dopo che tihanno incontrato.

HIGGINS Sciocchezze! So benissimo che ignoro le chiac­chiere da salotto, ma la gente non ci bada. (Si siede sul di­vano.)

SIGNORA HIGGINS Oh, davvero? Chiacchiere da salotto! Belli i tuoi discorsi profondi! Sul serio, caro, non puoi restare.

HIGGINS Ma devo. Ho un lavoro per te. Riguarda la fone­tica.

SIGNORA HIGGINS Inutile, caro. Mi dispiace, ma non voglio saperne delle tue vocali; e anche se mi piace riceve­re belle cartoline in stenografia, mi tocca sempre leggere le copie in scrittura normale che sei così gentile da man­darmi.

HIGGINS Ma non è una questione di fonetica.

SIGNORA HIGGINS Hai detto tu che lo era.

HIGGINS Non riguarda la parte che devi aver tu nella fac­cenda. Ho pescato una ragazza.

SIGNORA HIGGINS Vuoi dire che una ragazza ha pescato te?

HIGGINS Nient’affatto. Quella di cui parlo non è una que­stione sentimentale.

SIGNORA HIGGINS Peccato.

HIGGINS Perché?

SIGNORA HIGGINS Be’, tu non t’affezioni mai a nessuna persona al di sotto dei quarantacinque. Quando tirenderai conto che c’è in circolazione anche qualche bella donna giovane?

HIGGINS Ah, non posso lasciarmi distrarre da giovani donne. La mia idea di una donna degna di amore è una donna che tisomigli il più possibile. Non mi passerà mai per la mente di affezionarmi sui serio a giovani donne: certe abitudini sono troppo ben radicate per poterle cambiare. (Alzandosi di scatto e camminando su e giù, fa­cendo tintinnare nelle tasche monete e chiavi.) E poi, sono tutte cretine.

SIGNORA HIGGINS Sai che cosa faresti se mi volessi davve­ro bene, Henry?

HIGGINS Ah, sentiamo, che cosa? Sposarmi, suppongo.

SIGNORA HIGGINS No. Smetterla di giocherellare e toglier­tile mani di tasca. (Con un gesto di disperazione, il figlio obbedisce e si risiede.) Bravo il mio figliolo. E adesso dim­mi della ragazza.

HIGGINS Verrà a trovarti.

SIGNORA HIGGINS Non mi pare di averglielo chiesto.

HIGGINS Tu no. Sono stato io a chiederglielo. Ma se la co­noscessi, glielo avresti chiesto tu stessa.

SIGNORA HIGGINS Davvero? E perché?

HIGGINS Be’, èandata così. E una povera fioraia che ho raccolto per la strada.

SIGNORA HIGGINS E l’hai invitata nel mio salotto!

HIGGINS (alzandosi e andandole vicino per blandirla). Oh, an­drà tutto benissimo. Le ho insegnato a parlare come si deve, e le ho impartito precisi ordini su come compor­tarsi. Deve limitarsi a due argomenti: il tempo e lo stato di salute dei presenti, buongiorno, come sta, grazie, pre­go, e nient’altro. Nessun pericolo.

SIGNORA HIGGINS Nessun pericolo! Parlare della nostra sa­lute! Di come siamo dentro e magari dell’aspetto che ab­biamo! Ma come puoi essere così sciocco, Henry?

HIGGINS (spazientito). Be’, deve pur parlare di qualcosa, no? (Si controlla, torna a sedersi.) Oh, vedrai che sarà im­peccabile: non preoccuparti. Pickering ècon me in que­sta faccenda. Abbiamo fatto una sorta di scommessa: nel giro di sei mesi mi sono impegnato a farla passare per una duchessa. Ho cominciato il lavoro con lei già qual­che mese fa, e sta andando a gonfie vele. Vincerò la scommessa. Ha un ottimo orecchio, e mi riesce più faci­le insegnare a lei che ai miei allievi della buona società, perché ha dovuto imparare una lingua completamente nuova per lei. Parla l’inglese suppergiù come tu il fran­cese.

SIGNORA HIGGINS Be’, ègià qualcosa.

HIGGINS Ma’, sì e no.

SIGNORA HIGGINS Che cosa vuoi dire?

HIGGINS Vedi, sono riuscito a ottenere da lei una pronun­cia impeccabile; ma bisogna tener conto non solo di come pronuncia, ma anche di quello che dice, ed  èqui che...

Vengono interrotti dalla cameriera che annuncia visite.

LA CAMERIERA La signora e la signorina Eynsford Hill. (Si ritira.)

HIGGINS Oh, buon Dio! (Si alza, affera il cappello, si avvia all’uscio, ma la madre lo blocca, presentandolo alle nuove ve­nute, prima che riesca a raggiungerlo.)

La signora e la signorina Eynsford Hill sono la madre e la figlia che avevano cercato riparo dalla pioggia in Covent Garden. La madre è bene educata, tranquilla, con quell’aria ansiosa che è propria di chi abbia mezzi modesti. La figlia ha scelto l ‘atteggia­mento disinvolto di chi si sente a proprio agio in società: l’azzar­do di una dignitosa povertà.

SIGNORA EYNSFORD HILL (alla signora Higgins). Buongior­no, come sta? (Si stringono la mano.)

SIGNORINA EYNSFORD HILL Buongiorno, come va? (Anche lei stringe la mano alla signora Higgins.)

SIGNORA HIGGINS (facendo le presentazioni). Mio figlio Henry.

SIGNORA EYNSFORD HILL Il suo celebre figlio! Era da tanto che desideravo conoscerla, professor Higgins.

HIGGINS (tetro, senza neppure accennare ad andarle incon­tro). Lieto di conoscerla. (Arretra, urta contro il piano, ab­bozza un brusco inchino.)

SIGNORINA EYNSFORD HILL (avvicinandoglisi con fiduciosa fa­miliarità). Come sta?

HIGGINS (fissandolo). Io l’ho già vista da qualche parte. Non mi ricordo esattamente, ma ho già sentito la sua voce. (Scontroso.) Non importa. Si accomodi.

SIGNORA HIGGINS Mi dispiace dover dire che il mio cele­bre figlio non sa comportarsi in società. Non gli faccia caso.

SIGNORINA EYNSFORD HILL (con tono gaio). Certo che no.

(Si siede sulla poltrona elisabettiana.)

SIGNORA EYNSFORDHILL (un po’ sbalordita). A me non sembra. (Si siede sul divano tra lo figlia e la signora Higgins, che ha girato la seggiola davanti alla scrivania.)

HIGGINS Oh, sono stato scortese? Chiedo scusa.

Va alla  finestra centrale e lì, dando la schiena ai presenti, se ne sta a guardare il fiume e le aiuole di Battersea Park sullo riva opposta, ma per lui è come se si trattasse di un nudo deserto. Ritorna la cameriera, introducendo Pickering.

LA CAMERIERA Il colonnello Pickering. (Si ritira.)

PICKERING Come sta, signora Higgins?

SIGNORA HIGGINS Sono felice di vederla. Conosce la si­gnora Eynsford Hill e la signorina Eynsford Hill? (Scam­bio di inchini; il colonnello porta la sedia Chippendale un po’ più avanti, collocandola tra lo signora Hill e lo signora Hig­gins, e si siede.)

PLCKERING Henry le ha detto perché siamo venuti?

HIGGINS (da sopra la spalla). Siamo stati interrotti, maledi­zione!

SIGNORA HIGGINS Henry! Ti prego!

SIGNORA HILL (alzandosi a mezzo). Siamo forse di troppo?

SIGNORA HIGGINS (levandosi a sua volta e obbligandolo a ri­mettersi seduta). Ma no, ma no. Non sareste arrivate più a proposito: desideriamo farvi conoscere una nostra amica.

HIGGINS (voltandosi, speranzoso). Sì, perdio! Due o tre altre persone sono l’ideale. Voi o altri, fa lo stesso.

Ritorna la cameriera, introducendo Freddy.

LA CAMERIERA Il signor Eynsford Hill.

HIGGINS (sottovoce ma non tanto, incapace di contenersi). Buon Dio! Un altro!

FREDDY(dando la mano allo signora Higgins). Com’sta?

SIGNORA HIGGINS La ringrazio di essere venuto. (Presen­tando.) Il colonnello Pickering.

FREDDY (con un inchino). Com’sta?

SIGNORA HIGGINS Non credo che lei conosca mio figlio, il professor Higgins.

FREDDY (andando verso Higgins). Com’sta?

HIGGINS (squadrandolo neanche fosse un borsaiolo). Pronto a giurare che l’ho già vista da qualche parte, ma dove?

FREDDYNon mi pare.

HIGGINS (con tono rassegnato). Comunque, non importa. Si sieda, prego.

Dà la mano a Freddy, e quasi lo butta sul divano, volto alla fi­nestra; quindi gira attorno al divano stesso.

HIGGINS Be’, eccoci qua. (Si siede sull’ottomana alla sinistra della signora Hill.) E adesso, di che diavolo parliamo, in attesa di Eliza?

SIGNORA HIGGINS Henry, tu sarai l’anima delle serate del­la Royal Society, ma sei un pochino imbarazzante in al­tre occasioni meno solenni.

HIGGINS Davvero? Mi dispiace. (All ‘improvviso ihluminan­dosi.) Ma sì, è proprio così. (Scoppiando in una gran risa­ta.)Ah ah!

SIGNORINA HILL (la quale vede in Higgins un ottimo partito potenziale). D’accordo con lei. A me le chiacchiere salot­tiere non piacciono per niente. Ah, se la gente fosse solo un pochino sincera e dicesse davvero quello che pensa.

HIGGINS (ripiombando nella tetraggine). Dio ce ne guardi!

SIGNORA HILL (cogliendo lo spunto dalla figlia). Ma perché?

HIGGINS Quello che pensano che dovrebbero pensare, Dio solo sa quanto valga; ma quello che pensano davve­ro, sarebbe una vera catastrofe. Lei crede che sarebbe sul serio piacevole se me ne uscissi a dire quello che penso effettivamente?

SIGNORINA HILL (allegramente). E una cosa così cinica?

HIGGINS Cinica? chi diavolo ha detto che ècinica? Io di­co invece che sarebbe indecente.

SIGNORA HILL(seria). Oh, sono certa che non dice sul se­rio, signor Higgins.

HIGGINS Vede, siamo tutti più o meno dei selvaggi. Ci presumiamo civili e colti, al corrente di tutto quanto è poesia, filosofia, arte, scienza e via dicendo; ma quanti di noi conoscono anche solo il significato di queste parole? (Alla signorina Hill.) Che ne sa lei di poesia? (Alla signora Hill.) E lei che ne sa di scienza? (Indicando Freddy.) E lui che ne sa di arte, scienza o altro? E che diavolo si imma­gina che io sappia di filosofia?

SIGNORA HIGGINS (richiamandolo all’ordine). O di buone maniere, Henry?

LA CAMERIERA (aprendo l’uscio). La signorina Doolittle. (Si ritira.)

HIGGINS (alzandosi in fretta e correndo dalla madre).  E’lei, mamma.

(In punta di piedi, da sopra la testa della madre fa cenni a Eliza per indicarle quale delle signore è la padrona di casa.)

Eliza, vestita in maniera splendida, dà un’impressione di tale distinzione e bellezza, che tutti al suo ingresso si alzano emozio­nati. Guidata dai segnali di Higgins, si avvicina alla signora Higgins con studiata grazia.

LIZA (parlando con accento pedantescamente corretto e con intonazione perfetta). Come sta, signora Higgins? (Esita un tantlno a pronunciare lo H, ma ci riesce benissimo.) Il signor Higgins mi ha detto che potevo venire.

SIGNORA HIGGINS (cordiale). Ma certo. Sono davvero mol­tolieta di conoscerla.

PICKERING Come sta, signorina Doolittle?

LIZA (dandogli la mano). Oh, il colonnello Pickering.

SIGNORA HILL Sono certa che ci siamo già viste, signorina Doolittle. Mi ricordo isuoi occhi.

LIZA Come sta? (Si siede con gesto aggraziato sul divano, al posto di Higgins che se n’è appena alzato.)

SIGNORA HILL (presentando). Mia figlia Clara.

LIZA Come sta?

CLARA(impulsivamente). Come sta lei? (Si siede accanto a Eliza, mangiandosela con gli occhi.)

FREDDY(andando alla loro volta). Posso esserle presentato?

SIGNORA HILL Mio figlio Freddy.

LIZA Come sta?

Freddy fa un inchino e si siede sulla poltrona elisabettiana, affa­scinato.

HIGGINS (all’improvviso). Ma sì, perdio, adesso me ne ricor­do! (Tutti lo fissano.) Covent Garden. (Con tono depreca­torio.) Dannata faccenda!

SIGNORA HIGGINS Henry, tiprego! (Lui fa per sedersi sul bordo della scrivania.) Non sederti sulla mia scrivania: è fragile.

HIGGINS (imbronciato). Scusa.

Va al divano, strada facendo inciampando nel parafuoco e negli attrezzi da camino; riprende l’equilibrio tra imprecazioni a mez­za voce, e conclude il suo disastroso percorso gettandosi su un divano con tanta foga che quasi lo manda a pezzi. La signora Higgins lo guarda, ma si controllo e non dice niente.

Segue un lungo, imbarazzato silenzio.

SIGNORA HIGGINS (aprendo finalmente bocca, con tono salot­tiero). Secondo me pioverà, non credete?

LIZA La depressione a ovest delle isole britanniche èpro­babile che si muova lentamente in direzione est. Non ci sono indicazioni di mutamenti cospicui dell’equilibrio barometrico.

FREDDYAhhhhh! Divertentissimo.

LIZA Che c’è da ridere, giovanotto? Scommetto invece di averla imbroccata.

FREDDYMagnifico.

SIGNORA HILL Spero solo che non torni il freddo. C’è tan­ta influenza in giro, e ogni primavera ce la becchiamo tutti, in famiglia.

LIZA (con tono cupo). Mia zia èmorta di influenza, a quel che dicono.

SIGNORA HILL (fa schioccare le labbra in segno di partecipa­zione).

LIZA (con lo stesso tono tragico). Ma èmia ferma opinione che quella povera vecchia l’hanno fatta fuori.

SIGNORA HIGGINS (perplessa). Fatta fuori?

LIZA Oh, sui, mio Dio! Perché avrebbe dovuto morire di influenza? L’anno prima era riuscita a cavarsela con la difterite. L’ho vista con imiei stessi occhi. Era addirittu­ra blu. Tutti pensavano che fosse ormai spacciata, ma mio padre ha continuato a versarle gin in gola, tanto che si èripresa in maniera così improvvisa che con un morso ha spezzato il cucchiaio.

SIGNORA HILL (sbalordita). Senti, senti!

LIZA (insistendo nell’accusa). Perché mai una donna forte come lei avrebbe dovuto morire di influenza? E che ne è stato del suo cappello di paglia che avrei dovuto eredita­re io? Qualcuno l’ha sgraffignato; e io dico che chi l’ha sgraffignato l’ha anche fatta fuori.

SIGNORA HILL Ma che cosa vuoi dire farla fuori?

HIGGINS (in fretta). Oh, èil nuovo gergo, non so se mi spiego. Far fuori una persona significa ammazzarla.

SIGNORA HILL (orripilata, a Eliza). Mica crederà sul serio che sua zia sia stata uccisa.

LIZA Altro se lo credo! Quelli con cui viveva l’avrebbero ammazzata per uno spillone da cappello, lasciamo stare un cappello intero.

SIGNORA HILL Ma non era una cosa ben fatta da parte di suo padre versarle liquori in gola a quel modo! Avrebbe potuto ucciderla.

LIZA Chi, quella? Il gin per lei era come il latte della mamma. E poi, anche lui se ne versava tanto in gola che ne conosceva perfettamente ibenefici.

SIGNORA HILL Vuol dire che beveva?

LIZA Beveva! Altro che bere, era una cosa cronica.

SIGNORA HILL Deve essere stato terribile, per lei!

LIZA Macché. Non gli faceva niente male, a quel che si vedeva. Anche perché non era che tracannasse regolar­mente. (Giuliva.) Solo per far festa come si usa dire. Di tanto in tanto. Ed era più sopportabile quando aveva una goccia in corpo. Quand’era senza lavoro, mia madre gli rifilava una moneta da quattro pence e gli diceva di andarsene fuori dai piedi e di non rifarsi vivo finché avesse bevuto tanto da essere allegro e ben disposto. C’è un sacco di donne che devono far bere imariti per tolle­rarne la presenza. (Ormai perfettamente a suo agio.) Vede, le cose stanno così. Se un uomo ha un briciolo di co­scienza, quando èsobrio questa lo tormenta sempre, e lui si abbacchia. Un po’ di bibita gliela fa dimenticare e lo rende felice. (A Freddy, che sussulta nel tentativo di repri­mere una risata.) Be’, che c’è da ghignare?

FREDDYQuesto nuovo gergo. Lei lo interpreta perfetta­mente.

LIZA E se lo interpreto perfettamente, che cosa c’è da ri­dere? (A Higgms.) Ho detto qualcosa che non dovevo?

SIGNORA HIGGINS (intervenendo). Ma nient’affatto, signori­na Doolittle.

LIZA Be’, ègià qualcosa. (Espansiva.) Quel che voglio dire èche...

HIGGINS(alzandosi e guardando l’orologio). Ehm, ehm.

LIZA (volgendosi a guardarlo, mangia la foglia e si alza a sua volta). Be’, adesso devo andare. (Si alzano tutti. Freddy si avvia all’uscio.) Molto lieta di averla conosciuta. Arrive­derci. (Dà la mano alla signora Higgins.)

SIGNORA HIGGINS Arrivederci.

LIZA Arrivederci, colonnello Pickering.

PICKERING Arrivederci, signorina Doolittle. (Si stringono la mano.)

LIZA (salutando gli altri con un cenno del capo). Arrivederci a tutti.

FREDDY(aprendole l’uscio). Attraversa a piedi il parco, si­gnorina Doolittie? in tal caso...

LIZA (con accento impecca bile). A piedi? No, col cavolo. (Sensazione.) Io marcio in taxi. (Esce.)

Pickering emette un sospirone e si siede. Freddy esce sul balcone perseguire Liza con lo sguardo.

SIGNORA HILL (riprendendosi dallo shock). Be’, confesso che non riesco ad abituarmi a questi modi di fare moderni.

CLARA (lasciandosi cadere di malumore nello poltrona elisabet­tiana). Ma no mamma, vanno benissimo. Altrimenti, se vuoi essere così vecchio stampo la gente penserà che non andiamo da nessuna parte e che non frequentiamo anima viva.

SIGNORA HILL Ammetto di essere molto vecchia maniera, sì. Tuttavia, spero che non vorrai cominciare a servirti di espressioni del genere, Clara. Ormai mi sono abituata a sentirti parlare degli uomini come di ganzi, e a sentirti definire ogni cosa lurida e bestiale, anche se continuo a ritenerlo brutto e disdicevole. Ma quel che si sente ades­so èdavvero un po’ troppo. Lei che ne pensa, colonnello Pickering?

PICKERING Non lo chieda a me. Sono vissuto in India per parecchi anni, e nel frattempo le buone maniere sono cambiate al punto che a volte non so se sto seduto a una rispettabile tavola da pranzo oppure nel castello di prua di una nave.

CLARA Ètutta questione di abitudine. In questo non c’è niente digiusto o di sbagliato. Sono cose alle quali nes­suno attribuisce più un particolare significato. E poi so­no trovate divertenti, che conferiscono una singolare enfasi a cose di per sé non molto spiritose. Trovo il nuo­vo gergo delizioso e del tutto innocuo.

SIGNORA HILL (alzandosi). Be’, penso che sia ora di andar­cene.

Pickering e Higgins si alzano.

CLARA (alzandosi). Oh, sì, abbiamo ancora tre visite da fa­re. Arrivederci, signora Higgins. Colonnello Pickering... Professor Higgins...

HIGGINS (avanzando verso di lei dal divano con aria tetra e accompagnandola all’uscio). Arrivederci. Farebbe bene a provare quel nuovo gergo in quegli altri tre salotti. E non si lasci scoraggiare. Ci dia dentro.

CLARA (tutta sorrisi). Lo farò senz’altro. Arrivederci. Tutte queste sciocchezze, tutta questa pruderie paleovittoriana!

HIGGINS (caricandola). Tutte dannate sciocchezze.

CLARA Sciocchezze del cavolo.

SIGNORA HILL (sobbalzando). Ma Clara!

CLARA Ah, ah! (Esce radiosa, persuasa di essere all’ultimissi­ma moda, e mentre scende le scale se ne sente ancora la risa­ta argentina.)

FREDDY(ai sette cieli). Be’, io mi chiedo... (Ci rinuncia, si avvicina alla signora Higgins.) Arrivederci.

SIGNORA HIGGINS (dandogli la mano). Arrivederci. Le pia­cerebbe rivedere la signorina Doolittle?

PREDDY (entusiasta). Oh, sì, moltissimo.

SIGNORA HIGGINS Be’, imiei giorni di visita li conosce.

FREDDYCerto. Grazie mille. Arrivederci. (Esce.)

SIGNORA HILL Arrivederci, signor Higgins.

HIGGINS Arrivederci, arrivederci.

SIGNORA HILL (a Pickering). Inutile, non riuscirò mai ad abituarmi a usare certe espressioni.

PICKERING Non ci si provi. Mica è obbligatoriò, sa? Se la cava benissimo anche senza.

SIGNORA HILL Solo, vede, Clara se la prende con me se non sono all’ultimo grido in fatto di gergo. Arrivederci.

PICKERING Arrivederci. (Si stringono la mano.)

SIGNORA HILL (alla signora Higgins). Non deve far caso a Clara. (Pickering, accortosi, dal tono più basso, che lui non deve sentire, discretamente raggiunge Higgins alla finestra.) Siamo così poveri! E va a così poche feste, povèra bam­bina, e così succede che non sappia bene come compor­tarsi. (La signora Higgins, accortasi che l’altra ha gli occhi lu­stri, le prende con gesto partecipe la mano e l’accompagna al­l’uscio.) Ma il ragazzo èmolto ammodo, non le sembra?

SIGNORA HIGGINS Oh, sì, molto. Sono sempre felice di ve­derlo.

SIGNORA HILL Grazie, cara. Arrivederci. (Esce.)

HIGGINS (ansioso). Be’? Eliza èpresentabiie o no? (Piomba sulla madre, la trascina al divano, dove la signora Higgins si siede al posto di Eliza con il figlio alla sinistra. Pickering si ri­siede sulla seggiola alla destra della signora.)

SIGNORA HIGGINS Sciocco ragazzo, certo che non èpre­sentabile! È il trionfo della tua arte e del sarto che l’ha vestita; ma se dovessi illuderti, anche solo per un istan­te, che non si dà a vedere per quella che èa ogni frase che pronuncia, vuoi dire che stravedi per lei.

PICKERING Ma non crede che si possa fare qualcosa... Vo­glio dire, per eliminare certe scurrilità?

SIGNORA HIGGINS No, finché ènelle mani di Henry.

HIGGINS (offeso). Vuoi forse dire che uso un linguaggio sconveniente?

SIGNORA HIGGINS No, mio caro: sarebbe convenientissi­mo — diciamo — a bordo di una chiatta, ma non sarebbe l’ideale per lei a un ricevimento.

HIGGINS (profondamente ferito). Devo dire che...

PICKERING(interrompendolo). Da bravo, Higgins, devi im­parare a conoscere meglio te stesso. Un linguaggio come il tuo non mi capitava di udirlo da quando, vent’anni fa, passavamo in rivista i volontari di Hyde Park.

HIGGINS (mettendo il broncio). Oh, be’, se lo dici tu... Cer­to che non sempre mi esprimo come un vescovo.

SIGNORA HIGGINS (rabbonendo Henry con una lieve carezza). Colonnello Pickering, mi vuoi dire come stanno esatta­mente le cose in Wimpole Street?

PICKERING (tutto allegro, come se si fosse cambiato finalmente argomento). Be’, io mi sono trasferito in casa di Henry, e lavoriamo assieme sui miei dialetti indiani, e abbiamo pensato che fosse più utile...

SIGNORA HIGGINS Ah, sì, questo lo so: ottima soluzione. Ma la ragazza, dove sta?

HIGGINS Con noi, naturalmente. Dove dovrebbe stare?

SIGNORA HIGGINS Ma in quale veste? E una domestica? E se no, che cosa è?

PICKERING (pesando le parole). Credo di capire che cosa in­tende dire, signora Higgins.

HIGGINS Be’, che sia dannato se invece lo capisco io! Ho do­vuto lavorare su quella ragazza ogni giorno per mesi e mesi per portarla al livello attuale. E poi, èutile. Sa dove stanno le mie cose, mi ricorda imiei appuntamenti, e così via.

SIGNORA HIGGINS E la tua governante, in che rapporti è con lei?

HIGGINS La signora Pearce? Oh, èfelice di avere qualcuno che le risparmia tanta fatica. Perché, prima che arrivasse Eliza, toccava a lei trovare le mie cose e ricordarmi gli appuntamenti. Ma s’è messa in testa cose strane sul con­to di Eliza. Continua a dirmi: «Lei, signore, non ci pen­sa, ma...». Vero, Pick?

PICKERING Già, èproprio questa la sua formula. «Lei non ci pensa, ma...» È questa la conclusione di ogni discorso su Eliza.

HIGGINS Come se non avessi continuamente in testa la ra­gazza e le sue dannate vocali e consonanti. Sono sfinito a furia di pensarci, di tenerne sotto controllo labbra, denti e lingua, per non parlare della testa, che è la cosa più strampalata di tutte.

SIGNORA HIGGINS Siete davvero una simpatica coppia di bambini intenti a giocare con una bambola in carne e ossa.

HIGGINS Giocare? Altro che giocare: èla più ardua impre­sa alla quale mi sono mai accinto, èla verità, mamma. Ma non hai idea di quanto sia interessante prendere un essere umano e trasformarlo in un individuo completa­mente diverso, fornendogli un nuovo linguaggio. Signifi­ca riempire il profondissimo baratro che separa classe da classe e psiche da psiche.

PICKERING (portando la sua seggiola più vicina allo signora Higgins e chinandosi impaziente verso di lei). Sì, èdi un in­teresse enorme. Le assicuro, signora Higgins, che noi Eli­za la prendiamo assai sul serio. Ogni settimana — e starei per dire, ogni giorno — c’è un nuovo cambiamento. (Av­vicinand osi a lei sempre più.) Registriamo tutte le fasi — de­cine di cilindri da grammofono e di fotografie, e...

HIGGINS (aggredendo l’altro orecchio della madre). Sì, perdio: èl’esperimento più eccitante che io abbia mai intrapre­so. Liza ci riempie le giornate, vero, Pick?

PICKERING Non facciamo che parlare di Eliza.

HIGGINS E insegnare a Eliza.

PICKERING E vestire Eliza.

SIGNORA HIGGINS Cosa?

HIGGINS E inventare nuove Elize.

HIGGINS           parlando     Sai, ha un orecchio incredibile.
PICKERING     assieme        Le assicuro, cara signora Hig­gins, che quella ragazza

HIGGINS                Proprio come un pappagallo. Ho provato a farle pronun­ciare ogni

 PICKERING                  èun genio.Suona il piano splendidamente

HIGGINS                           tipo di suono che un essere umano può emettere

PICKERING                      L’abbiamo portata a concerti di musica classica e

HIGGINS                            idiomi europei, idiomi africani, schiocchi di labbra

PICKERING                  all’operetta, e per lei ètutto lo stesso: suona ogni cosa

HIGGINS                             ottentotti, cose per impadronir­mi delle quali a me sono oc­corsi anni; e

PICKERING                   che ha udito non appena torna a casa, si tratti di

HIGGINS                        lei invece se ne impadronisce di colpo, immediatamente, co­me se

PICKERING                        Beethoven e Brahms, oppure di Lehar e Lionel Monckton;

HIGGINS                         ci si fosse dedicata tutta la vita.

PICKERING                    e questo, benché solo sei mesi fa non avesse mai neppure sfiorato una              tastiera.

SIGNORA HIGGINS (ficcandosi le dita nelle orecchie, perché or-mai i due stanno urlando per sovrastarsi a vicenda, in un fra­stuono insopportabile). Ssssst! (I due tacciono.)

PICKERING Chiedo scusa. (Scosta la seggiola con aria col­pevole.)

HIGGINS Mi dispiace. Quando Pickering comincia a sbrai­tare, nessuno più riesce a dire la sua.

SIGNORA HIGGINS Zitto, Henry. Colonnello Pickering, non si rende conto che quando Eliza ha messo piede in Wimpole Street, qualcosa d’altro èentrato con lei?

PICKERING Sì, suo padre, ma Henry èriuscito a sbarazzar­sene.

SIGNORA HIGGINS Sarebbe stato più appropriato se fosse venuta la madre. Ma se la madre non l’ha fatto, qualcosa d’altro invece sì.

PICKERING E che cosa?

SIGNORA HIGGINS (lo parola denuncia l’epoca cui appartiene). Un problema.

PICKERING Ah, capisco. Il problema di farla passare per una dama.

HIGGINS E un problema che risolverò. Anzi, l’ho già quasi risolto.

SIGNORA HIGGINS Nient’affatto stolidi maschi che non siete altro: il problema èquello di che cosa fame dopo.

HIGGINS Non ci vedo niente di speciale. Può andarsene per la sua strada, con tutti i vantaggi che le avrò assicu­rato.

SIGNORA HIGGINS I vantaggi di quella povera donna che era qui poco fa! Le maniere e le abitudini che impedisco­no a una signora per bene di guadagnarsi da vivere, sen­za d’altra parte procurarle il reddito di una signora per bene. E questo che intendi dire?

PICKERING (indulgente, anche se è piuttosto seccato). Oh, an­drà tutto a gonfie vele, signora Higgins. (Si alza per pren­dere congedo.)

HIGGINS (anche lui alzandosi). Le troveremo un lavoro facile.

PICKERING Ècontenta così. Non si preoccupi. Arriveder­ci. (Le stringe la mano quasi stesse consolando una bambina spaventata, e si avvia all’uscio.)

HIGGINS E comunque, inutile preoccuparsene adesso. Or­mai èfatta. Ciao, mamma. (La bacia e segue Pickering.)

PICKERING(voltandosi per gettare un’ultima parola rassicu­rante). Ci sono mille possibilità. Faremo del nostro me­glio. Arrivederci.

HIGGINS (a Pickering, mentre escono assieme). Portiamola all’esposizione shakespeariana a Earls Court.

PICKERING Ma sì, portiamocela. Avrà uscite deliziose.

HIGGINS E quando torneremo a casa, imiterà tutte le per­sone che ha incontrato, ci sarà da ridere.

PICKERING Uno spasso, sarà. (Se ne sentono le risate mentre scendono le scale.)

SIGNORA HIGGINS (si leva con gesto impaziente e si rimette al­la scrivania. Sposta un fascio di carte in disordine; cava un foglio dalla cartelletta, e si impone di rimettersi a scrivere. Ma al terzo tentativo rinuncia, getta la penna, afferra con le unghie l’orlo della scrivania ed esclama). Oh, gli uomini, gli uomini, gli uomini!

Evidentemente, Eliza non può ancora esser fatta passare per una duchessa, e Higgins non ha ancora vinto la sua scommessa; ma i sei mesi non sono trascorsi; e proprio alla loro scadenza, Eliza viene scambiata davvero per una gran dama. Per capire come sono andate le cose, immaginatevi un’ambasciata a Lon­dra in una sera d’estate, dopo il tramonto. All’ingresso, un bal­dacchino e una corsia che attraversa l’intero marciapiede: c’è un gran ricevimento. Una piccolo folla si è raccolta per vedere gli ospiti che arrivano.

Arriva una Rolls-Royce. Pickering, in abito da sera con meda­glie e decorazioni, ne scende, porge la mano a Eliza in mantello, abito da sera, diamanti, ventaglio, fiori e tutti gli accessori di ri­to. Segue Higgins. La vettura se ne va, i tre salgono i gradini ed entrano nell’edificio; l’uscio si apre davanti a loro.

Entrati, si trovano in un vasto atrio con lo scalone d’onore in fondo. A sinistra, il guardaroba per i signori, che vi depositano cappelli e mantelli.

A destra, un uscio che da accesso al guardaroba delle signore che vi entrano ammantate e ne escono in tutto il loro splendore. Pickering sussurra qualcosa a Eliza indicandole l’uscio. Eliza entra nel guardaroba. Higgins e Pickering si tolgono i mantelli, li consegnano alla guarda robi era e ritirano la contromarca.

Uno degli ospiti, che sta facendo lo stesso, da loro le spalle. Ritirata la contromarca, si volta, rivelandosi un giovanotto dal­l’aria tronfia, con il volto incredibilmente irsuto: enormi baffi che fluiscono in lussureggianti basette. Sopracciglia a cespuglio. Capelli rasati sulla nuca e lucidi di brillantina. A parte questo, è elegantissimo. Sfoggia tutta una collezione di patacche. Si tratta evidentemente di uno straniero, magari un baffuto pandur un­gherese; ma, nonostante i mustacchi minacciosi , è amabile e simpaticamente loquace.

Riconosce Higgin.s, spalanca le braccia e gli va incontro con entusiasmo.

BAFFONE Maestro, maestro. (Abbraccia Higgins, lo bacia su entrambe le guance.) Si ricorda di me?

HIGGINS Per niente. Chi diavolo è lei?

BAFFONE Ma sono un suo allievo! Il suo primo allievo, il migliore e il più grande. Sono il piccolo Nepommuck, il ragazzo prodigio. Ho reso celebre il suo nome in tutt’Eu­ropa. Lei è stato il mio insegnante di fonetica. Non può

essersi dimenticato di me.

HIGGINS Perché non si rade?

NEPOMMUCKSa, io non ho il suo aspetto imponente, il suo mento, la sua fronte. E se mi rado, nessuno più s’ac­corge di me. Così invece sono famoso: mi chiamano Dick Baffone.

HIGGINS E che cosa fa in mezzo a tutta questa gente bene?

NEPOMMUCK L’interprete. Parlo trentadue lingue. La mia presenza è indispensabile in queste riunioni internazio­nali. Lei è il grande specialista di cockney*: è in grado di identificare esattamente il quartiere londinese di prove­nienza di chiunque non appena apra bocca. Io faccio lo stesso con chiunque in Europa.

Un valletto scende di corsa lo scalone e si precipita da Nepom­muck.

VALLETTO La cercano di sopra. Sua Eccellenza non riesce a capire il signore greco.

NEPOMMUCK Grazie, vengo subito.

Il valletto se ne va scomparendo tra la folla.

NEPOMMUCK(a Higgins). Questo diplomatico greco finge di non parlare né capire l’inglese. Ma a me non la dà a bere. È figlio di un orologiaio di Clerkenwehl. Semplice­mente, parla un inglese così orribile che non osa aprir bocca per timore di tradire la propria origine. Gli darò una mano a fingere. Ma gliela farò pagare a caro prezzo. Come a tutti gli altri, del resto. Ahah. (Si affretta su per lo scalone.)

PICKERING E’ davvero un esperto? Non c’è il rischio che smascheri Ehiza e la ricatti?

HIGGINS Vedremo. Se la smaschera, vuoi dire che ho per­duto la scommessa.

Eliza esce dal guardaroba e si unisce a loro.

PICKERINGBene, Eliza, ci siamo. Pronta?

LIZA Nervoso, colonnello?

PICKERINGTerribilmente. Mi sento esattamente come in attesa della mia prima battaglia. È sempre la prima volta che fa paura.

LIZA Ma non è la prima volta per me, colonnello. Io l’ho fatto cinquanta volte, cento, mille volte, nella mia topaia di Angel Court, quando sognavo a occhi aperti. E adesso sto sognando. Mi prometta che non permetterà al profes­sor Higgins di svegliarmi, perché se lo fa dimenticherò tutto e mi metterò a parlare come facevo in Drury Lane.

PICKERING Non una parola, Higgins, intesi? (A Eliza.) Pronta?

LIZA Pronta.

PICKERING Andiamo.

Salgono lo scalone, Higgins per ultimo. Sul primo pianerottolo, Pickering sussurra qualcosa al valletto.

VALLETTOLa signorina Doolittle, il colonnello Pickering, il professor Higgins.

VALLETTO DEL SECONDO PIANEROTTOLO La signorina Doo­little, il colonnello Pickering, il professor Higgins.

In cima alla scala, stanno a ricevere gli ospiti l’ambasciatore e sua moglie, con al fianco Nepommuck.

AMBASCIATRICE (dando la mano a Eliza). Come sta?

AMBASCIATORE (idem). Come sta? Come va, Pickering?

LIZA (con aurea perfetta compostezza, che incute rispetto alla padrona di casa). Come sta?(Prosegue verso il salotto.)

AMBASCIATRICE È la sua figlia adottiva, colonnello Picke­ring? Farà sensazione.

PICKERING Molto gentile da parte sua averla invitata.

(Prosegue.)

AMBASCIATRICE (a Nepommuck). Scopra tutto sul conto di quella giovane donna.

NEPOMMUCK(con un inchino). Eccellenza... (Si intrufola tra la folla.)

AMBASCIATORE Come va, Higgins? Questa sera ha qui un rivale.Ha detto di essere stato suo allievo. E’  bravo?

HIGGINS È in grado di imparare una lingua in due settima­ne, e ne conosce decine. Tipico segno di stupidità. Co­me studioso di fonetica non vale niente.

AMBASCTATRICE Come va, professore?

HIGGINS E lei? Devono essere una bella barba, per lei, queste serate. Mi perdoni di avervi parte. (Prosegue.)

Nel salotto e nella suite di saloni, il ricevimento è in pieno corso. Eliza passa tra la folla, così impegnata nella prova da cammina­re come una sonnambula nel deserto anziché quale una debut­tante nell’alta società. Tutti smettono di parlare per guardarlo, ammirandone l’abito, i gioielli, il singolare fascino che emana. Qualcuno dei più giovani e più lontani sale su una seggiola per vedere che succede.

L’ambasciatore e l’ambasciatrice entrano a loro volta mesco­landosi agli ospiti. Higgins, tetro e con l’aria di chi disprezza tut­to e tutti, arriva al capannello formatosi attorno ai padroni di casa.

AMBASCIATRICEAh, ecco qui il professor Higgins. Ci rac­conti tutto di quella splendida giovane dama, professore.

HIGGINS (con aria quasi truce). Quale splendida giovane dama?

AMBASCIATRICELo sa benissimo. Mi dicono che non s’è visto nulla di simile a Londra da quando la gente saliva sulle seggiole per guardare la signora Langtry.

Nepommuck si aggiunge al gruppetto, latore di notizie fresche.

AMBASCIATRICE Ah, eccola finalmente, Nepommuck. Ha scoperto qualcosa sul conto della signorina Doolittle?

NEPOMMUCK Ho scoperto tutto. Èfinta.

AMBASCIATRICE Finta? Impossibile.

NEPOMMUCK Ma sì, ma sì. Me non mi può ingannare. Il suo nome non può essere Doolittle.

HIGGINS E perché?

NEPOMMUCK Perché Doolittle è un nome inglese, e la si­gnorina non èinglese.

AMBASCIATRICEOh, sciocchezze! Parla l’inglese alla perfe­zione.

NEPOMMUCK Con troppaperfezione. È in grado di mo­strarmi una donna inglese che parli l’inglese come si do­vrebbe? Soltanto stranieri che siano stati istruiti a parlar­lo lo fanno così bene.

AMBASCIATRICECerto che mi ha lasciato di stucco per il modo con cui mi ha chiesto come stavo. Avevo una mae­stra di scuola che parlava allo stesso modo, e io ne avevo una terribile soggezione. Ma se non è inglese, che cos’è?

NEPOMMUCKUngherese.

TUTTI QUANTIUngherese!

NEPOMMUCKSì, ungherese. E di sangue reale. Io sono un­gherese e nelle mie vene scorre sangue reale.

HIGGINS E ha provato a parlarle in ungherese?

NEPOMMUCKAltroché. Ma èstata molto abile. Mi ha det­to: «La prego, mi parli in inglese, io il francese non lo co­nosco. Francese! E finge di ignorare la differenza tra un­gherese e francese. Impossibile: li parla tutti e due.

HIGGINS Ed èdi sangue reale? Come ha fatto a scoprirlo?

NEPOMMUCK Istinto, maestro, istinto. Solo dal sangue ma­giaro può venire quell’aria di chi ha dalla sua il diritto divino, quegli occhi penetranti. È una principessa.

AMBASCIATORE Lei che ne dice, professore?

HIGGINS Io dico che è una comune ragazza inglese raccol­ta dalla strada e alla quale un esperto ha insegnato a par­lare. Secondo me, è di Drury Lane.

NEPOMMUCK Ahahah! Oh, maestro, maestro, ma lei ha proprio la fissa del cockney. La strada londinese per lei è il mondo intero.

HIGGINS (all’ambasciatrice). E Vostra Eccellenza che ne pensa?

AMBASCIATRICEOh, naturalmente sono d’accordo con Nepommuck. Deve essere almeno una principessa.

AMBASCIATORENon necessariamente legittima, natural­mente. Forse frutto di un matrimonio morganatico. Ma quella èindubbiamente la sua classe di appartenenza.

HIGGINSIo continuo a essere della mia opinione.

AMBASCIATRICEOh, lei èproprio incorreggibile.

Il gruppo si scioglie, Higgins resta isolato. Pickering gli si avvi­cina.

PICKERING Dov’è Eliza? Dobbiamo tenerla d’occhio. Eliza li raggiunge.

LIZA Non ce la faccio più. Tutti quanti non fanno che te­nermi gli occhi addosso. Una vecchia signora mi ha ap­pena detto che parlo esattamente come la regina Vitto­ria. Mi dispiace che abbia perso la scommessa per causa mia, signor Higgins. Ho fatto del mio meglio, ma nulla può fare di me una come questa gente.

PICKERINGHiggins non ha perso la scommessa, mia cara. Grazie a lei, l’ha vinta non una, ma dieci volte.

HIGGINSAndiamocene. Ne ho abbastanza delle chiac­chiere di questi scimmiotti.

PICKERINGEliza è stanca e io sono affamato. Usciamo e andiamo a mangiare qualcosa.

Atto quarto

Il laboratorio di Wimpole Street. Mezzanotte. La stanza èvuo­ta. L’orologio sul caminetto suona i dodici tocchi. Il fuoco èspento: èuna notte d ‘estate.

Si odono dalle scale le voci di Higgins e Pickering.

HIGGINS(dando una voce a Pickering). Ehi, Pick: chiudi be­ne, se non ti dispiace. Non ho voglia di scendere ancora una volta.

PICKERINGGiusto. La signora Pearce può andare a letto? Credo di sì perché non abbiamo bisogno d’altro, vero?

HIGGINSDirei proprio di no.

Eliza apre la porta e appare, sul pianerottolo illuminato, ancora bardata nel modo grazie al quale ha fatto vincere la scommessa a Higgins. Si avvicina al caminetto, vi accende le lampade elet­triche. Èstanca: il suo pallore contrasta vivamente con gli occhi e i capelli scuri, dandole un ‘espressione quasi tragica. Si toglie il mantello, depone ventaglio e guanti sul pianoforte, poi si siede sulla panchetta, rimuginando in silenzio. Higgins, in abito da se­ra, con mantello e cappello, entra a sua volta, reggendo una giacca da camera che ha raccolto dabbasso. Si toglie cappello e mantello, gettandoli distrattamente sul portagiornali; fa lo stesso della giacca; si infila quella da casa, poi si lascia cadere stanca­mente sulla poltrona davanti al caminetto. Entra Pickering, vestito allo stesso modo. Anche lui si toglie cappello e mantello, e sta per gettarli su quelli di Higgins, ma si ferma a metà.

PICKERINGEh, no, la signora Pearce protesterà se lascia­mo la roba sparpagliata in giro.

HIGGINSBe’, buttala giù per le scale. La signora Pearce la troverà domattina nell’atrio e la riporrà. Penserà che eravamo sbronzi.

PICKERINGUn pochino lo siamo. Niente posta?

HIGGINSNon ho guardato (Pickering prende i mantelli e i cappelli e scende dabbasso. Higgins, un po’ canticchiando, un po’ sbadigliando, intona un’aria della “Fanciulla del West”. D’un tratto si interrompe ed esclama.) Vorrei sapere dove diavolo sono finite le mie pantofole.

Eliza gli lancia un’occhiataccia, poi si alza di scatto ed esce dalla stanza. Higgins sbadiglia ancora e riattacca a cantare.Ritorna Pickering con le lettere trovate nella cassetta.

PICKERING Solo circolari, a parte questo biglietto con tan­to di corona per te. (Getta le circolari nel caminetto, e si siede davanti, sul tappetino, dando la schiena alla grata.)

HIGGINS(con un’occhiata al biglietto). Uno che presta dena­ro a usura. (Fa seguire al biglietto la sorte delle circolari.)

Eliza ritorna con un paio  di pantofole da uomo. Le depone sul tappeto davanti a Higgins, e si risiede al suo posto senza dir parola.

HIGGINS(con un ennesimo sbadiglio). Oh, buon Dio, che se­rata! Che gente, che scemenze! (Alza il piede per slacciarsi la scarpa, e s’avvede delle pantofole. S’arresta a metà e le guarda come se fossero comparse per virtù propria.) To’, so­no qui, ma guarda un po’.

PICKERING (stiracchiandosi). Be’, io sono un po’ stanco. E stata una lunga giornata. Ricevimento nel pomeriggio, cena, altro ricevimento! Un po’ troppo, direi. Ma tu hai vinto la tua scommessa, caro Higgins. Eliza ce l’ha fatta e strafatta, eh?

HIGGINS(con tono di sollievo). Grazie a Dio, è finita.

Eliza ha un violento sussulto, ma nessuno dei due pare notarlo, e lei si riprende e torna immobile come prima.

PICKERINGEri nervoso all’ambasciata? Io sì. Eliza invece sembrava calmissima.

HIGGINS Oh, lo era. Sapevo che se la sarebbe cavata be­nissimo. No, èsemplicemente la tensione del lavoro di tutti questi mesi che comincia a farsi sentire. In un pri­mo tempo, quando si trattava solo di fonetica, ero abba­stanza interessato, poi però ho cominciato ad annoiarmi a morte. Se non mi fossi costretto a continuare, avrei buttato tutto all’aria già due mesi fa. E stata un’idea stu­pida: una rottura di scatole dal principio alla fine.

PICKERINGMa che dici? Il ricevimento all’ambasciata era straordinariamente eccitante. Io mi sentivo il cuore in gola.

HIGGINSSì, per i primi tre minuti. Ma quando mi sono accorto che avremmo vinto per così dire a mani basse, mi sono sentito come un orso in gabbia, che vi si aggiri senza combinare niente. La cena, peggio ancora: starse­ne lì seduti a ingozzarsi per più di un’ora, senza aver nes­suno con cui scambiare due parole, solo un idiota della buona società. Te lo dico io, Pickering: per me, questa èl’ultima volta. Basta con le finte duchesse. L’intera fac­cenda è stata un vero e proprio incubo.

PICKERINGSi vede che non sei proprio tagliato per la vita mondana. (Andando al pianoforte.) Per quanto mi riguar­da, di tanto in tanto mi piace farci un tuffo: mi fa risenti­re giovane. E comunque, è stato un grande successo: un immenso successo. Un paio di volte mi sono sentito i sudori freddi perché Eliza faceva la sua parte troppo bene. Vedi, c’è un sacco di gente autentica che non ci riesce affatto: sono così imbecilli, da ritenere che lo stile sia qualcosa di innato in persone della loro stessa condizio­ne sociale, sicché non imparano mai. Occorre professio­nalità per fare qualsiasi cosa alla perfezione.

HIGGINSSì, èproprio questo che mi fa andare fuori dai gangheri: gli stupidi non sanno fare il loro stupido me­stiere. (Alzandosi.) Comunque, è fatta e finita, e final­mente posso andarmene a letto senza l’incubo del do­mani.

La bellezza di Eliza si trasforma in un ‘espressione omicida.

PICKERINGPenso che me ne andrò anch’io a letto. Co­munque, è stata una gran giornata: un trionfo per te. Buonanotte. (Esce.)

HIGGINS(seguendolo). Buonanotte. (Da sopra la spalla, sui-l’uscio.) Spegni le luci, Eliza; e di’ alla signora Pearce di non prepararmi il caffèdomattina. Prenderò il tè. (Esce.)

Eliza si sforza di controllarsi e sembra esserci riuscita mentre si alza e s’avvia al caminetto per spegnere le luci. Ma vi giunge che è sul punto di mettersi a urlare. Si siede sulla poltrona di Hig­gins, afferrandosi saldamente ai braccioli. Alla fine esplode e si getta sul pavimento in un accesso di rabbia.

HIGGINS(fuori dall’uscio, stizzito). Che diavolo ne ho fatto delle mie pantofole? (Riappare sull’uscio.)

LIZA (afferrando le pantofole e tirandogliele una alla volta con tutta la sua forza). Eccole qui, le sue pantofole. E qui. Se le prenda. E buon pro le facciano.

HIGGINS(sbalordito). Ma che diavolo... (Le si avvicina.) Si può sapere che c’è? Alzati. (La rimette in piedi.) Qualcosa che non va?

LIZA(ansitnando). Va tutto bene... per lei. Io le ho fatto vincere la scommessa vero? E questole basta. Io però non conto, vero?

HIGGINSTu mi hai fatto vincere la scommessa! Tu! Bestia presuntuosa! Sono stato io, a vincerla. E si può sapere perché mi hai tirato queste ciabatte?

LIZAPerché vorrei sbattergliele in faccia. Vorrei ammaz­zarla, maledetto egoista che non è altro. Perché non mi ha lasciata dove mi ha pescata, nella fogna? Lei ringrazia Iddio che sia tutto finito e che adesso può ributtarmici, non è così? (Stringe freneticamente i pugni.)

HIGGINS(guarda ndola con freddo stupore). La creatura è un po’ nervosa, ecco tutto.

LIZA(lascia udire un grido di rabbia soffocata, e con gesto im­pulsivo tenta di graffiargli la faccia).

HIGGINS(afferrandola per i polsi). Ah, Così? Dentro le un­ghie, gatta. Come osi sfogarti su di me? Siediti e sta’ buona.(La getta violentemente sulla poltrona.)

LIZA (sopraffatta dalla sua forza). Che ne sarà di me, che ne sarà di me?

HIGGINSE che diavolo ne so io? Che importa quel che ne sarà di te?

LIZAA lei non gliene importa. Lo so benissimo. Non glie­ne importerebbe niente anche se fossi morta. Per lei non sono niente, meno ancora di quelle sciavate.

HIGGINS(tuonando). Si dice ciabatte.

LIZA(con amara rassegnazione). Ciabatte. Ma non credevo che ormai facesse differenza.

Pausa. Eliza disperata e distrutta. Higgins un po’ a disagio.

HIGGINS(con il suo tono più altero). Si può sapere che ti ha preso? Hai da ridire sul trattamento che ti è stato riserva­toqui?

LIZA No, niente da ridire.

HIGGINSQualcuno si è comportato male con te? Il colon­nello Pickering? La signora Pearce? Uno dei domestici?

LIZANo.

HIGGINSPresumo che tu non voglia farmi credere che io ti ho trattato male.

LIZANo.

HIGGINSLieto di saperlo. (Moderando il tono.) Ma forse sei stanca della tensione della giornata. Vuoi un bicchiere di champagne? (Si avvia all’uscio.)

LIZANo. (Riprendendo l’autocontrollo.) Grazie.

HIGGINS(tornato di buon umore). Ti sei andata caricando per giorni e giorni. Penso che fosse naturale, per te, esse­re in ansia per il ricevimento all’ambasciata. Ma ormai è finita. (Le dà dei colpetti gentili sulla spalla. Eliza si sottrae con uno scatto.) Non c’è più niente di cui preoccuparsi.

LIZA No. Per lei non c’è più niente di cui preoccuparsi. (All’improvviso si alza in piedi e si allontana da Higgins, diri­gendosi alla panchetta davanti al pianoforte, dove si siede na­scondendosi il volto tra le mani.) Dio, Dio! Vorrei essere morta.

HIGGINS(fissandola sinceramente sorpreso). Perché? Perché, in nome del cielo? (Con tono pacato, avvicinandosi.) Dam­mi retta, Eliza. E un nervosismo puramente soggettivo.

LIZANon capisco. Sono troppo ignorante per capire.

HIGGINS Tutta immaginazione. Morale un po’ basso, nient’altro. Nessuno ti fa del male. Non c’è niente che non vada per il suo verso. Adesso te ne vai da brava a letto e ci dormi su. Magari ti fai un piantino, dici le tue preghiere e ti senti nuovamente a posto.

LIZA Le sue preghiere le ho già udite: «Grazie a Dio, è fi­nita!».

HIGGINS(spazientito). Be’, non ringrazi anche tu Dio che sia tutto finito? Adesso sei libera e puoi fare quello che vuoi.

LIZA(riprendendo animo disperata). Ma che cosa posso fare? A che cosa mi ha reso adatta lei? E dove andrò? Che ne sarà di me?

HIGGINS (afferrando il concetto, ma nient’affatto colpito). Oh, è questo che ti preoccupa? (Si caccia le mani in tasca e passeggia su e giù al suo solito modo, facendo tintinnare il contenuto delle tasche, con l’aria di chi si occupa di una ba­nalità per pura gentilezza.) Fossi in te, non me ne preoccu­perei affatto. Immagino che non avrai molte difficoltà a sistemarti in un modo o nell’altro, anche se non mi ero reso conto che volessi andartene. (Lei gli scocca una rapi­da occhiata; ma lui non la sta guardando, intento com’è a esaminare il piatto di frutta e dolciumi sul pianoforte, per poi decidere a favore di una mela.) Ti sposerai, èovvio. (Stacca un grosso morso dal frutto, e lo mastica rumorosamente.) Vedi, Eliza, non tutti gli uomini sono vecchi scapoli in­calliti come me e il colonnello. La maggior parte di loro si sposano, poveri diavoli! E tu non sei certo da buttar via: anzi, a volte è proprio un piacere guardarti, non in questo momento, beninteso, perché stai piangendo e sei un vero mostro; ma quando sei di buon umore, quando sei te stessa, direi che sei davvero attraente. Voglio dire, per quelli portati al matrimonio, non so se mi spiego. Be’, adesso va’ a letto e fatti una bella dormita; e quando ti alzerai e ti darai un’occhiata allo specchio, non ti tro­verai così squallida.

Eliza torna a fissarlo, muta, immobile. Lui non s’accorge dell’occhiata, tutto preso com’èdalla mela che mangia con espressione sognante, felice, come se fosse una leccornia.

HIGGINS (gli è venuta all’improvviso una brillante idea). Pen­so che mia madre potrebbe trovarti un buon partito.

LIZANon eravamo così in basso neppure all’angolo di Tottenham Court Road.

HIGGINS(riscuotendosi). Che vuoi dire?

LIZA Vendevo fiori. Non vendevo me stessa. E adesso che lei ha fatto di me una signora, non ho altro da vendere. Magari m’avesse lasciato dove m’ha trovato.

HIGGINS(gettando nel caminetto con gesto brusco il torsolo). Sciocchezze, Eliza. Non insudiciare i rapporti tra gli esse­ri umani tirando in ballo tutte queste storie di compra­vendita. Non è necessario che tu sposi un tale se non ti va a genio.

LTZA E che altro potrei fare?

HIGGINS Oh, un sacco di cose. Che ne è di quella tua vec­chia idea di un negozio di fiori? Pickering potrebbe met­tertene su uno: ha un sacco di soldi, lui. (Sogghignando.) E dovrà pagare per tutti quegli ammennicoli che avevi indosso oggi e, se poi aggiungi il noleggio dei gioielli, sa­ranno poco meno di duecento sterline. Confessa che so­lo sei mesi fa avresti toccato il cielo con un dito se avessi avuto un negozio di fiori tutto tuo! Su, te la caverai be­none. Adesso devo proprio andarmene a letto, ho un sonno da morire. A proposito, ero sceso per qualcosa, ma non mi ricordo più che cos’era.

LIZALe sue pantofole.

HIGGINSAh, già, me le avevi tirate addosso. (Le raccoglie e fa per andarsene, quando Liza si alza e gli dice.)

LIZA Prima che se ne vada, signore...

HIGGINS(lasciando cadere le pantofole, sorpreso di sentirsi chiamare così). Eh?

LIZAI vestiti che indosso sono miei o appàrtengono al co­lonnello Pickering?

HIGGINS (tornando al centro della stanza con l’aria di conside­rare la domanda del tutto assurda). E che vuoi che se ne

faccia Pickering?

L1ZA Può darsi che gli occorrono per la prossima ragazza che pescherete per fare un esperimento.

HIGGINS(colpito e ferito). È così che la pensi nei nostri ri­guardi?

LIZANon voglio più saperne di queste storie. Tutto quello che desidero sapere è se c’è qualcosa che mi appartiene. I miei vecchi vestiti sono stati bruciati.

HIGGINSMa che vuoi che importi? Possibile che tu debba cominciare a preoccupartene nel bel mezzo della notte?

LIZAVoglio sapere che cosa posso portare con me andan­domene. Non voglio essere accusata di furto.

HIGGINS(adesso profondamente ferito). Furto? Non dovresti neppure pensarlo, Eliza. Rivela una mancanza di sensibi­lità da parte tua.

LIZAMi dispiace, ma sono solo una povera ragazza igno­rante, e nelle mie condizioni devo andare con i piedi di piombo. Non ci può essere la stessa sensibilità in uno co­me lei e in una come me. La prego, vuol dirmi che cosa mi appartiene e che cosa no?

HIGGINS(con aria cupa). Ma puoi portarti via tutta questa maledetta casa, se vuoi. A parte i gioielli. Quelli sono a nolo. Soddisfatta? (Fa dietrofront e sta per andarsene al col­mo dell’indignazione.)

LIZA(suggendone le emozioni come se fossero nettare, e provo­candolo per averne un’altra dose). Si fermi, la prego. (Si to­glie i gioielli.) Li porti in camera sua e li tenga al sicuro. Non voglio correre il rischio che vadano smarriti.

HIGGINS (furibondo). Da’ qua. (Lei glieli consegna.) Se fosse­ro miei invece che del gioielliere, te li caccerei in gola, ingrata che non sei altro. (Con gesto noncurante se li cac­cia in tasca, senza che se ne avveda ornandosi con le estremi­tà penzolanti delle collane.)

LIZA(strappandosi un anello). Questo non è del gioielliere: è quello che mi ha regalato a Brighton. Non lo voglio più. (Higgins getta con violenza l’anello nel caminetto e si volge a lei con aria così minacciosa, che Liza si rannicchia contro il pianoforte, il volto tra le mani, implorando.) Non mi picchi!

HIGGINSPicchiarti? Infame creatura, come osi accusarmi di intenzioni simili? Sei tu che mi hai colpito. Tu che mi hai ferito al cuore.

LIZA (fremente di intima gioia). Ne sono contenta. Per lo meno mi sono in parte rifatta.

HIGGINS (dignitoso, nel suo miglior stile professionale). Mi hai fatto perdere il controllo, una cosa che mi è successa as­sai di rado finora. Per questa sera preferisco non dire al­tro. Vado a letto.

LIZA(decisa). Farà meglio a lasciare un biglietto per la si­gnora Pearce a proposito del caffè: io non glielo dirò.

HIGGINS(con tono formale). Al diavolo la signora Pearce, al diavolo il caffè, al diavolo te e (furibondo) la maledet­ta, la folle idea che ho avuto di sprecare la mia scienza, che m’è costata tante fatiche, e il tesoro delle mie atten­zioni e cure, per una buzzurra senza cuore. (Esce con estre­ma dignità, ma rovina l’effetto sbattendosi la porta alle spalle.)

Eliza si inginocchia davanti al caminetto per cercare l’anello. Trovatolo, resta per un istante indecisa sul da farsi. Alla fine, lo getta sul piatto di frutta e dolci, e sale di sopra in preda a una terribile collera.

All’arredamento della stanza di Eliza sono stati aggiunti un grande armadio e un sontuoso tavolino da toeletta. Eliza entra, accende la luce. Va all ‘armadio, lo apre, ne toglie un abito da passeggio, un cappello, un paio di scarpe e li getta sul letto. Si sfila l’abito da sera e le scarpe; dal guardaroba leva una gruccia imbottita, sulla quale appende con cura l’abito da sera che ripo­ne nell’armadio, di cui richiude l’anta sbattendola. Si infila le scarpe e l’abito da passeggio, si mette il cappello. Dal tavolino da toeletta prende l’orologio da polso e se lo infila. E poi la volta dei guanti e della trousse, in cui dà un ‘occhiata per vedere se c’è dentro il borsellino. Quindi s’avvia all’uscio. Ogni suo movi­mento esprime una furibonda decisione.Si dà un’ultima occhiata allo specchio.

Di colpo, mostra la lingua alla propria immagine; quindi esce dalla stanza, spegnendo la luce.

Nel frattempo, in strada, Freddy Eynsford Hill innamorato cotto tiene lo sguardo volto al secondo piano dove una finestra è ancora illuminata.

La luce si spegne.

FREDDYBuona notte, cara, cara, cara.

Eliza esce di casa, chiudendosi l’uscio alle spalle con una certa energia.

LIZASi può sapere che fa lei qui?

FREDDYNiente, trascorro qui gran parte delle mie notti. E l’unico luogo dove mi sento felice. Non rida di me, si­gnorina Doolittle.

LIZANon mi chiami signorina Doolittle, capito? Liza è più che abbastanza per me. (Crolla, gli si aggrappa alle spalle.) Freddy, lei non crede che io sia una buzzurra sen­za cuore, vero?

FREDDY Ma no, ma no, mia cara, come fa a immaginare una cosa simile? Lei èla più dolce, la più cara...

Perde il controllo e la tempesta di baci. Liza, desiderosa di con­forto, glieli restituisce. Se ne stanno lì, l’uno nelle braccia del­l’altra. Arriva un anziano poliziotto.

POLIZIOTTO (scandalizzato). Ehi, dico, dico, dico! I due si separano di scatto.

FREDDYMi dispiace, agente. Èsolo che ci siamo appena fidanzati.

Scappano via.

L’agente scuote la testa ripensando a quando anche lui corteg­giava una ragazza e riflettendo sulla vanità delle umane espe­rienze. Si allontana in direzione opposta, a lenti passi professio­nali.

La fuga dei due innamorati si conclude in Cavendish Square, dove si fermano a pensare alla prossima mossa.

LIZA (senza fiato). Mi ha messo paura, quel ghisa; ma tu gli hai risposto per le rime.

FREDDYSpero di non averti distolto dalla tua strada. Dove stavi andando?

LIZAAl fiume.

FREDDYE perché?

LIZA Per farci un buco dentro.

FREDDY(orripilato). Ma Eliza, mia cara, che vuoi dire? Che cosa ti succede?

LIZA Non badarci. Ormai non ha più importanza. Adesso non ci siamo che tu e io al mondo, vero?

FREDDYSì, nessun’altro.

Si concedono un altro abbraccio, e vengono nuovamente sorpre­si, questa volta da un poliziotto assai più giovane.

SECONDO POLIZIOTTOEhi, dico, voi due! Come vi permet­tete? Dove credete di essere? Via di qua, e di corsa.

FREDDYCe ne andiamo subito agente, di corsa.

Ricominciano a fuggire, fermandosi per consultarsi di nuovo so­lo in Hanover Square.

FREDDYNon avrei mai creduto che i poliziotti fossero tan­to moralisti.

LIZANon hanno altro da fare che dar la caccia alle ragaz­ze per le strade.

FREDDYDobbiamo andare da qualche parte. Non possia­mo girare tutta notte per la città.

LIZA Dici di no? Secondo me sarebbe bellissimo vagabon­dare in eterno.

FREDDYOh, amore!

Tornano ad abbracciarsi, senza avvedersi dell’arrivo di un taxi che si avvicina lentamente e si ferma.

TAXISTA Posso portare lei e la signora da qualche parte, si­gnore?

I due si distaccano con un sobbalzo.

LIZAOh, Freddy, c’è un taxi. Proprio quello che ci vo­leva.

FREDDY Ma, accidenti, non ho quattrini.

LIZAIo ne ho, e parecchi. Il colonnello dice che non bi­sogna mai uscire di casa senza almeno dieci sterline in tasca. Senti, facciamo così: ci facciamo scarrozzare tutta notte, e domattina vado dalla signora Higgins e le chie­do cosa devo fare. In taxi ti dirò tutto, e i poliziotti non ci daranno noia.

FREDDYSplendido! Magnifico! (Al taxista.) Wimbledon Common. (Il taxi parte.)


Atto quinto

Il  salotto della signora Higgìns, come la prima volta seduta allo scrittoio. Entra la cameriera.

CAMERIERA(sulla soglia). Signora, dabbasso c’è il signor Henry con il colonnello Pickering.

SIGNORA HIGGINSBene, li faccia salire.

CAMERIERAStanno telefonando, signora. Telefonano alla polizia, se non mi sbaglio.

SIGNORA HIGGINSCosa?

CAMERIERA (venendo avanti e abbassando la voce). Il signor Henry è in uno stato tale, signora... Ho pensato che fos­se meglio avvisarla.

SIGNORA HIGGINSSarei rimasta più sorpresa se mi avessi detto che il signor Henry non era in uno stato tale. Di’ loro di venire di sopra appena hanno finito con la poli­zia. Credo che mio figlio abbia perduto qualcosa.

CAMERIERA Sissignora. (Fa per andarsene.)

SIGNORA HIGGINSVa’ di sopra e di’ alla signorina Doo­little che sono arrivati il signor Henry e il colonnello. Pregala di non scendere finché non la mando a chiamare.

CAMERIERASissignora.

Higgins si precipita nella stanza. Come ha fatto capire la carne­riera , è fuori di sé.

HIGGINSSai che ti dico, mamma? Qui c’è qualcosa che non va.

SIGNORA HIGGINSProprio così, mio caro. Buongiorno. (Lui domina la propria impazienza e bacia la madre, mentre la cameriera esce.) Che succede?

HIGGINS Eliza ha tagliato la corda.

SIGNORA HIGGINS(continuando tranquillamente a scrivere).L’avrai spaventata.

HIGGINSSpaventata! Sciocchezze! Ieri sera l’ho incaricata come al solito di spegnere le luci, e cose così, ma invece di andare a letto, lei si è cambiata ed è uscita di casa: il letto era intatto. Questa mattina, prima delle sette, è tornata in taxi a prendere la sua roba, e quella scema della signora Pearce gliel’ha lasciato fare senza dirmi una parola. Che devo fare?

SIGNORA HIGGINSFare senza di lei, Henry, temo. La ragaz­za ha tutti i diritti di andarsene, se le garba.

HIGGINS(passeggiando con aria smarrita per la stanza). Ma non riesco a trovare più niente. Non ricordo più gli ap­puntamenti. Io... (Entra Pickering. La signora Higgins de­pone la penna e si volta.)

PICKERING(stringendole la mano). Buongiorno, signora Higgins. Henry gliel’ha detto? (Si siede su un divano.)

HIGGINSChe cos’ha detto quell’asino di ispettore? Hai ac­cennato a una ricompensa per chi la trova?

SIGNORA HIGGINS(alzandosi indignata e sorpresa). Vuoi dire che hai messo la polizia alle calcagna di Eliza?

HIGGINSMa certo! Altrimenti, a che serve la polizia? E che altro potevamo fare? (Si siede sulla poltrona elisabet­tiana.)

PICKERINGL’ispettore ha fatto un sacco di difficoltà. Ri­tengo che sospetti che abbiamo losche intenzioni.

SIGNORA HIGGINSBe’, direi che è logico. Che diritto ave­te di rivolgervi alla polizia e di spifferare il nome della ragazza come se fosse una ladra, un oggetto smarrito o qualcosa del genere? Ma dico! (Torna a sedersi, indignata.)

HIGGINSMa noi vogliamo ritrovarla.

PICKERINGNon possiamo lasciarla andare così, signora Higgins. Che cosa dobbiamo fare?

SIGNORA HIGGINSVoi due non avete più sale in zucca di un bambino. Ma insomma...

Entra la cameriera interrompendo la conversazione.

CAMERIERASignor Henry, un tale desidera vederla in pri­vato. Dice che viene da Wimpole Street.

HIGGINSOh, accidenti, non posso vedere nessuno adesso. Ha detto come si chiama?

CAMERIERASì, signore, Doolittle.

PICKERING Doolittle! Vuol dire lo spazzino?

CAMERIERASpazzino? Oh, no, signore, è un signore am­modo.

HIGGINS(balzando in piedi eccitato). Perdio, Pickering, deve essere qualche parente di Liza, da cui lei è andata. Qual­cuno di cui noi non sappiamo nulla. (Alla cameriera.) Lo spedisca su, presto.

CAMERIERASì, signore. (Esce.)

HIGGINS(tutto eccitato, accostandosi alla madre). Parenti ammodo! Adesso sì, che ne sapremo di belle! (Si pianta sulla seggiola Chippendale.)

SIGNORA HIGGINSConoscete qualcuno dei suoi?

PICKERINGSoltanto il padre, quel tale di cui le abbiamo parlato.

CAMERIERA(annunciando). Il signor Doolittle. (Si ritira.)

Entra Doolittle. È splendidamente abbigliato, come se dovesse recarsi a un fastoso matrimonio, e anzi potrebbe essere benissi­mo lui lo sposo. Un fiore all’occhiello, cilindro lustro, scarpe di buona fattura completano l’abbigliamento. E troppo preso dal motivo per cui è venuto, per accorgersi della signora Higgins.Si dirige senz’altro verso Higgins, interpellandolo con veemenza.

DOOLITTLE(indicando se stesso). Che guardi bene. Visto? Colpa sua.

HIGGINSChe cos’ho fatto, caro il mio uomo?

DOOLITTLEQuesto, ci ho detto. Dia un’occhiata, Visto che cappel? Visto che vestito?

PICKERINGEliza le ha comperato questa roba?

DOOLITTLEEliza? Macché. Perché avria dovuto crompar­mela?

SIGNORA HIGGINSBuongiorno, signor Doolittle. Si acco­modi.

DOOLITTLE(preso in contropiede, accorgendosi di aver dimen­ticato la padrona di casa). Chiedo pardon, sciura. (Le va vi­cino, le porge la mano.) Grasie. (Si siede sul divano alla de­stra di Pickering.) Ci ho così tanto piene le scatole di quel che mi capita, che mica riesco a pensare gnente altro.

HIGGINSE che diavolo le capita?

DOOLITTLE E non mi fregherebbe se sana capitato solo a me: tutto può capitare a tutti, e non si può dare la colpa a nissuno che non alla provvidensa, come si dice. Ma questa è una cosa che ha combinato lù: sì, propri lù, En­ri Iggins.

HIGGINSHa trovato Eliza?

DOOLITTLEPerché, l’ha perdù la fiola?

HIGGINSGià.

DOOLITTLESa cosa ci dico? Che ha tutte le fortune. No, che me non l’ho trovata, ma Lisa troverà me in quattro e quattr’otto ‘desso, dopo quello che lù, Enri Iggins, el m’ha fa’.

SIGNORA HIGGINSMa si può sapere che cosa le ha fatto mio figlio, signor Doolittle?

DOOLITTLEFa’? Rovinato, mi ha. Distrutto la mia felicità ha. Legato mani e piedi e consegnato alla morale bor­ghese.

HIGGINS(alzandosi stizzito e sovrastando Doolittle). Lei sta dando i numeri. Lei è ubriaco. Lei è matto. Io le ho dato cinque sterline, dopodiché ho avuto con lei due conver­sazioni, a mezza corona all’ora, e poi non l’ho più vista.

DOOLITTLEAh, ubriaco, sono? Matto, eh? Come no. Ha o non ha scritto, lù, una lettera a un vecchio semo in America che voleva sganciare cinque milioni per fonda­re enti di riforma morale in tutto il mondo e che voleva che lù, Enti Iggins, ci inventa un linguaggio universale?

HIGGINS Intende riferirsi a Ezra D. Wannafeller? E morto. (Si risiede con aria noncurante.)

DOOLITTLEGià, lù l’è crepà e me sono spacciato. Ci ha o non ci ha scritto una lettera per dirci che al momento attuale, a quanto ci risulta a lù, Enri Iggins, il moralista più originale de l’inghilterra è un certo Alfred Doolittle, semplice spassino?

HIGGINS Oh, sì, dopo la sua prima visita ricordo di aver fatto uno stupido scherzo del genere.

DOOLITTLEAh, lo chiama stupido scherso, lù. Propri inscì. Mi ha chiuso il coperchio della cassa sopra di me. Ci ha dato l’occasione che quello là ‘spetava di dimostrare che i americani non è come noi, che loro riconoscono e ri­spettano il merito di ogni classe sociale, anca se è umile. Queste parole sono nel suo maledetto testamento dove che, caro Enri Iggins, grasie al suo stupido scherso, quello là mi lasia una partecipasione nella sua ditta per la produ­sione di formaggio omogeneisato per un valore di tremila l’anno a patto che io tenga conferense per la sua Lega mondiale per la riforma morale Wannafeller tutte le vol­te che me lo domandano, fino a sei volte l’anno.

HIGGINS Questa sì che è buona! Fiiiuuu! (Illuminandosi al­l’improvviso.) Che tiro!

PICKERING Beato lei, Doolittle. Non si lasci scappare i’oc­casione.

DOOLITTLENon è le conferense che me n’importano. Pronto a tener conferense quante che ne vogliono, me, e sensa il minimo imbarasso. Quello che non mi va giù è che vogliono che divento un gentiluomo. Chi ci ha chiesto, a quello là, di fare di me un gentiluomo? Ero fe­lice. Ero libero. Potevo piluccare grana da quasi chiun­que, quando che ci avevo di bisogno, come ho fatto con lei, Enri Iggins. Adesso invece sono incastrato; legato mani e piedi, e tutti che vengono da me a pomparmi baiocchi. Beato lei che può, fa il mio avvocato. Ci crede propio?, dico io. Per lù, l’è una buona cosa, ci faccio. Quando che ero un poer crist e un avvocato ce l’ho avu­to quella volta che hanno trovato un passeggino nel car­retto delle immondisie, lui mi ha tirato fuori da le grane, e poi si è sbarasato di me, e via lù più presto che ha po­tuto. Stessa cosa con i dottori: mi sbattevano fuori delo ‘spedale prima che gnanca riusivo a star in piedi, ma non sborsavo un soldo. ‘Desso scoprono che ho mille malattie e che non posso vivere se loro non mi visitano due volte al giorno. A casa, non posso muovere un dito che è un dito: deve farlo qualcun altro, il dito deve muo­verlo un altro che me. Un anno fa, non avevo un paren­te al mondo, ‘cetto due o tre che gnanca mi volevano parlare. ‘Desso ne ho cinquanta, e gnanca uno che si guadagni la pagnotta. Devo vivere per altri che per me istesso: questa è morale borghese. Lù, Enri Iggins, dice che ha perduto Eliza. Non deve di preoccuparsi: quanto scometiamo che a quest’ora è già alla mia porta, la fiola che l’era tanto brava a mantenersi vendendo fiori quan­do che io non ero una persona rispettabile? E il prossimo che mi tampina sarà lei, Enri Iggins. Perché mi toccherà a imparare di parlare da lù la lingua della borghesia ansi­ché parlare l’inglese come che si deve. E qui che entra in ballo lù, e sospetto che è per questo che ha combina­to tutta ‘sta storia.

SIGNORA HIGGINSMa, mio caro signor Doolittle, non è obbligato a sopportare tutto questo, se non le va. Nessu­no può obbligarla ad accettare questo lascito. Può rifiu­tarlo. Dico bene, colonnello Pickering?

PICKERINGPenso di sì.

DOOLITTLE (con tono più cortese, per deferenza verso il gentil sesso). E qua che sta la tragedia, cara sciura. Facile dire sputaci sopra, ma io non ci ho forsa ‘bastansa. E chi di noi ce l’avria? Siamo tutti intimiditati. Intimiditati, sciura: è la parola giusta. Che cosa mi resta se ci sputo sopra, ‘cetto che il ricovero quando che sono vecchio? Già mi tocca di tingermi i capelli per continuare a fare il mio mestiere di spassino. Se me ero uno dei poveri meri­tevoli, e avria metù da parte un cincinino, potria sputar­ci su; ma perché dovria essere uno di quelli, visto che i poveri meritevoli tanto vale che sono miglionari, vista la felicità che in ogni caso riescono a procurarsi? Loro non sanno cosa sia la felicità. Io però, in quanto uno dei poveri immeritevoli, non ho niente tra me e la divisa dei vecchioni ‘cetto che queste maledette tremila l’anno che mi sbattono in te la borghesia. Scusi le mie espres­sioni, sciura, ma le usaria anca lè se saria provocata co­me che sono me. Sei fregato da qualsiasi parte ti giri. Sei a una selta tra la sbobba del ricovero dei vecchioni e i mangiarini della borghesia; e io non ci ho tanta forsa che selgo il ricovero, no. Intimiditato: ecco quello che sono. Spessato. Venduto. Uomini più felici che me ve­gnaràn a catà sù la mia rumenta e mi tampineranno per­ché cido la mancia; e io starò a guardarli disperato e pie­no di invidia. È questo che suo figlio mi ha fatto. (Si in­terrompe, vinto dall’emozione.)

SIGNORA HIGGINSBe’, sono lieta che non abbia intenzio­ne di combinare nessuna sciocchezza, signor Doolittle, perché questo risolve il problema del futuro di Eliza. Adesso può provvedere a lei.

DOOLITTLE (con malinconica rassegnazione). Sì, sciura: ‘des­so sono spettato che provvedo a tutti, piluccando dalle mie tremila l’anno.

HIGGINS(balzando in piedi). Sciocchezze! Non può provve­dere a Eliza. Non provvederà a Eliza. Eliza non gli appar­tiene. Io gli ho dato cinque sterline, per Eliza. Doolittle, una delle due: o è un onest’uomo o è un furfante.

DOOLITTLE (tollerante). Un cincinino dell’uno e dell’altro, caro Enri, come tutti noi: messo onesto, messo furfante.

HIGGINSBe’, il denaro per la ragazza se l’è preso, e non ha il diritto di prendersi anche la ragazza.

SIGNORA HIGGINSHenry, non essere assurdo. Se proprio vuoi sapere dov’è Elisa, è di sopra.

HIGGINS(sbalordito). Di sopra! Bene, allora vado a pren­derla e la porto di sotto. (Si avvia con aria decisa all’uscio.)

SIGNORA HIGG1NS(alzandosi e seguendolo). Sta’ buono, Henry. Siediti.

HIGGINSIo...

SIGNORA HIGGINSSiediti, caro, e stammi ad ascoltare.

HIGGINSOh, bene, benissimo, benissimo. (Si getta sgrazia­tamente sul divano, fissando le finestre.) Avresti potuto dircelo anche mezz’ora fa, no?

SIGNORA HIGGINSEliza è venuta da me stamani, e mi ha raccontato delle sevizie cui l’avete sottoposta.

HIGGINS(tornando a balzare in piedi). Cosa?

PICKERING(alzandosi a sua volta). Mia cara signora Hig­gins, quella le ha raccontato frottole. Non le abbiamo inflitto nessuna sevizia. Ieri sera non le abbiamo detto niente di offensivo, e anzi ci siamo lasciati in ottimi ter­mini. (Rivolto a Higgins.) Higgins, l’hai trattata male do­po che io sono andato a letto?

HIGGINSAnzi, ho fatto proprio il contrario. È stata Eliza a tirarmi addosso le pantofole. Si è comportata nella ma­niera più offensiva, senza che io le offrissi il minimo pre­testo. Le pantofole mi sono arrivate in faccia appena ho messo piede nella stanza, prima ancora che potessi aprir bocca. Ed Eliza ha usato un linguaggio assolutamente inammissibile.

PICKERING(stupefatto). Ma perché? Che cosa le abbiamo fatto?

SIGNORA HIGGINSCredo di sapere abbastanza bene che cosa le avete fatto. La ragazza è per sua natura un tipo che si affeziona facilmente, direi. Non è così, signor Doolittle?

DOOLITTLEUn cuore di burro, sciura. Ha preso da me.

SIGNORA HIGGINSProprio così. Si era affezionata a voi due. Con te, caro Henry, ha lavorato duro, e non credo che tu ti renda conto che cosa significhi, per una ragazza della sua categoria sociale, sottoporsi a uno sforzo intel­lettuale. Bene. A quanto sembra, quando è giunto il giorno della grande prova, e lei ha compiuto questa straordinaria impresa a tuo beneficio senza il minimo er­rore, voi due ve ne siete stati lì, senza neppure rivolgerle la parola, dicendovi l’un l’altro come eravate contenti che tutto fosse finito e quanto l’intera faccenda vi avesse annoiati. E poi sei rimasto sorpreso quando ti ha tirato le pantofole in faccia! Io ti avrei tirato addosso le molle del

caminetto.

HIGGINSMa noi le abbiamo detto soltanto che eravamo stanchi e non vedevamo l’ora di andare a letto, vero, Pick?

PICKERING(alzando le spalle). Ma sì, non c’è stato altro.

SIGNORA HIGGINS(ironica). Proprio sicuro?

PICKERINGAssolutamente. Non c’è stato altro.

SIGNORA HIGGINSNon l’avete ringraziata, non l’avete coccolata, non l’avete complimentata, non le avete det­to quant’era stata brava.

HIGGINS(con impazienza). Ma tutto questo Eliza lo sapeva! Semplicemente, non le abbiamo tenuto dei discorsi, se è questo che vuoi dire.

PICKERING(che si sente rimorde re la coscienza). Be’, forse siamo stati un po’ distratti. E molto arrabbiata?

SIGNORA HIGGINS(tornando alla scrivania). Eh, temo che non vorrà tornare in Wimpole Street, soprattutto adesso che il signor Doolittle è in grado di garantirle quella po­sizione sociale che voi invece le avete imposto; dice pe­rò che è dispostissima ad avere con voi rapporti amichevoli e a mettere una pietra sul passato.

HIGGINS(furibondo). Ah, così, perdio! Buona questa!

SIGNORA HIGGINSSe mi prometti di controllarti, Henry, la pregherò di scendere dabbasso. Altrimenti, puoi an­dartene a casa. Hai approfittato già abbastanza del mio tempo.

HIGGINS Oh, benissimo! Pick, devi controllarti. Facciamo appello ai nostri modi più gentili per questa creatura che abbiamo tolto dal fango. (Si abbandona, imbronciato, nella poltrona elisabettiana.)

DOOLITTLE(protestando). Ehi, dico, Henri Iggins! Un po’ di considerazione per i miei sentimenti di rappresentan­te della borghesia.

SIGNORA HIGGINSRicordati della tua promessa, Henry. (Schiaccia il campanello sulla scrivania.) Signor Doolittle, vuoi essere così cortese da uscire un istante sui balcone? Preferisco che Eliza non subisca il trauma della sua tra­sformazione finché non abbia risolto la questione con questi due signori. Le dispiace?

DOOLITTLE Come vuole, sciura. Pronto a tutto per aiutare Enri a tenermela foera dei pe’. (Esce dalla porta-finestra.)

Compare la cameriera. Pickering si siede al posto di Doolittle.

SIGNORA HIGGINSPreghi la signorina Doolittle di scende­re, per favore.

CAMERIERASì, signora, subito. (Esce.)

SIGNORA HIGGINSE adesso, Henry, sta’ tranquillo.

HIGGINSMi controllo perfettamente.

PICKERINGLe assicuro che fa del suo meglio, signora Hig­gins.

Una pausa. Higgins getta indietro il capo, allunga le gambe, co­mincia a fischiettare.

SIGNORA HIGGINSHenry, caro, non sembri affatto carino, in quella posa.

HIGGINS(ricomponendosi). Non cercavo affatto di sembra­re carino, mamma.

SIGNORA HIGGINSNon importa, caro, volevo solo farti parlare.

HIGGINSE perché?

SIGNORA HIGGINSPerché se parli non puoi fischiare.

Higgins emette un gemito. Altro silenzio imbarazzato.

HIGGINS (balzando in piedi, spazientito). Dove diavolo è quella ragazza?

Entra Eliza, radiosa, sicura di sé, convincente incarnazione del­le buone maniere. Ha con sé un cestino da lavoro, e sembra proprio a casa sua. Pickering ne resta talmente sbalordito che non ha forza di alzarsi.

LIZACome sta, professor Higgins? Bene, spero.

HIGGINS(mezzo soffocato). Io... (Non riesce a dir di più.)

LIZAMa certo che sta bene. Lei non è mai ammalato. Lie­ta di rivederla, colonnello Pickering. (Questi si affretta ad alzarsi e va a stringerle la mano.) Piuttosto freschino, sta­mane, vero? (Si siede alla sua sinistra, e Pickerzng riprende posto accanto a lei.)

HIGGINSÈinutile che tu mi faccia questo gioco, Liza. Te l’ho insegnato io, e io non mi lascio abbindolare. Alzati e andiamo a casa, e non fare la stupida.

Eiiza toglie dal cestino un lavoro di cucito e comincia ad aguc­chiare, senza prestare la minima attenzione a Higgins.

SIGNORA HIGGINS Proprio ben detto, Henry. Non c’è don­na che saprebbe resistere a un invito del genere.

HIGGINS Tu non darle corda, mamma. Lasciala parlare per conto suo, e ben presto ti accorgerai che non ha in testa un’idea che non le abbia messo io, e in bocca una parola che non sia farina del mio sacco. io questa cosa l’ho pla­smata con le foglie di cavolo spiaccicate di CoventGar­den, e adesso pretende di giocare con me alla gran dama!

SIGNORA HIGGINS(placida). Ma sì, caro. Adesso però vuoi sederti, per favore?

Higgins si risiede, fumante di collera.

LIZA (a Pickering, in apparenza senza badare a Higgins e con­tinuando a cucire abile e svelta). Ha intenzione di lasciarmi completamente al mio destino ora che l’esperimento è finito, colonnello Pickering?

PICKERINGOh, no, non deve considerarlo un esperimen­to. E una parola che mi turba, ecco.

LIZAOh, io sono soltanto una foglia di cavolo spiacci­cata...

PICKERING(d’impulso). Nient’affatto.

LIZA(continuando con tono pacato)...... e d’altra parte le de­vo tanto, che mi dispiacerebbe moltissimo se si dimenti­casse di me.

PICKERING Molto gentile da parte sua, signorina Doolittle.

LIZAE non è perché lei mi ha comprato gli abiti che in­dosso. So benissimo che lei è molto generoso in fatto di denaro. Ma è da lei che ho imparato le buone maniere, e sono queste che fanno una signora, vero? Lei capisce, per me è stato assai difficile, avendo sempre sott’occhio l’esempio del professor Higgins. Sono stata allevata in modo da essere proprio come lui, incapace di controllar­mi, sempre pronta a riempirmi la bocca di scurrilità alla minima provocazione. E non avrei mai saputo che le si­gnore e i signori degni di tal nome non si comportano così, se non ci fosse stato lei.

HIGGINSQuesta, poi!

PICKERINGOh, lui è fatto così. Ma non lo fa apposta, mi creda.

LIZA Neppure io facevo apposta, quand’ero una fioraia. Era il mio modo di fare, ecco tutto. Ma come vede, sono riuscita a venirne fuori. Tutta qua, la differenza.

PICKERINGCertamente. Però, vede, è stato lui a insegnar­le a parlare, e sa benissimo che io non ci sarei riuscito.

LIZA(con tono indifferente). Ma certo. È il suo mestiere.

HIGGINSDannazione!

LIZA(continuando). È stato come insegnare a qualcuno a ballare in maniera decente: niente di più. Ma sa quando è cominciata davvero la mia educazione?

PICKERING Quando?

LIZA(smettendo per un istante di lavorare). Quando lei mi ha chiamato signorina Doolittle il giorno che sono ve­nuta a Wimpole Street la prima volta. Allora ho comin­ciato ad avere rispetto per me stessa. (Riprende ad aguc­chiare.) E c’erano cento piccole cose di cui lei non si è re­so conto, perché le venivano naturalmente. Alzarsi in piedi, levarsi il cappello, aprire la porta...

PICKERINGOh, quisquilie.

LIZACerto, ma cose che rivelavano che lei si preoccupa­va di me, che mi riteneva qualcosa di più che non una sguattera, anche se naturalmente so benissimo che non si sarebbe comportato diversamente con una sguattera se questa fosse stata introdotta in un salotto. Lei non si è mai tolto le scarpe in sala da pranzo quando c’ero io.

PICKERINGNon deve badargli. Higgins le scarpe se le to­glie dappertutto.

LIZA Lo so, e non gli muovo rimproveri per questo. E’ il suo modo di fare, vero? Ma io ho visto un’enorme diffe­renza nel fatto che lei non si comportasse così. Vede, a ben guardare, a parte le cose che chiunque può far pro­prie, il modo di vestire, il linguaggio corretto e via di­cendo, la differenza tra una signora e una fioraia non consiste nel modo in cui si comporta, ma nel modo in cui è trattata. Per il professor Higgins sarò sempre una fioraia, perché come una fioraia sempre mi tratta e sem­pre mi tratterà, mentre so che per lei posso essere una si­gnora perché come una signora sempre mi tratta e sem­pre mi tratterà.

SIGNORA HIGGINSPer favore, Henry, non digrignare i denti.

PICKERINGBe’, molto gentile da parte sua, signorina Doo­little.

LIZAE adesso, se non le dispiace, vorrei che lei mi chia­masse Eliza.

PICKERINGGrazie, signorina... Eliza, voglio dire.

LIZAE mi piacerebbe che il professor Higgins mi chiamas­se signorina Doolittle.

HIGGINSPiuttosto mi faccio tagliare la testa.

SIGNORA HIGGINSHenry! Henry!

PICKERING(ridendo). Perché non lo ricambia della stessa moneta? Gli dica il fatto suo, se lo merita.

LIZANon posso usare un certo linguaggio. Avrei potuto farlo un tempo, ma adesso non riesco a tornare indietro.

Vede, è stato lei a insegnarmi che, quando un bambino viene portato in un paese straniero, ne impara la lingua nel giro di poche settimane, dimenticando quella d’ori­gine. Bene, io sono una bambina nel vostro paese. Ho dimenticato la mia lingua d’origine, e non riesco più a parlare che la vostra. È questa la vera frattura con l’an­golo di Tottenham Court. E l’ultimo tocco è stato an­darmene da Wimpole Street.

PICKERING(allarmatissimo). Oh, ma lei ha intenzione di tornare in Wimpoie Street, vero? E disposta a perdonare a Higgins, no?

HIGGINS(alzandosi). Perdonarmi! Ma scherziamo? Che va­da, che vada! Che si renda conto di come riuscirà a ca­varsela senza di noi. Senza di me al suo fianco, ripiombe­rà nella fogna nel giro di tre settimane.

Doolittle compare nel vano della finestra centrale. Con uno sguardo di dignitoso rimprovero a Higgins, s’accosta lento e si­lenzioso alla figlia che gli volge le spalle e non si è accorta della sua presenza.

PICKERINGÈproprio incorreggibile, Eliza. Ma lei non ci ripiomberà, vero?

LIZANo, ormai no. Mai più. Ho imparato la lezione. Non credo che riuscirei a emettere una di quelle mie vecchie esclamazioni, neanche se ci provassi con tutte le forze. (Doolittle la tocca sulla spalla sinistra. Lei lascia cadere il la­voro, perdendo completamente l’autocontrollo alla vista del padre in tutta la sua nuova magnificenza.) A-a-a-a-a ah-ow­ooh!

HIGGINS(con un grido di trionfo). Ah, ah. Proprio così. A-a-a-a-a ah-ow-ooh! A-a-a-a-a ah-ow-ooh! A-a-a-a-a ah­ow-ooh! Vittoria! Vittoria! (Si butta sul divano, incrocian­do le braccia, allungando le gambe in posa trionfante.)

DOOLITTLECi vuoi fare dare la colpa alla ragassa? Non guardarmi così, Eliza. Mica è colpa mia. E che adesso so­no in grana.

LIZAQuesta volta devi aver munto un milionanio, papà.

DOOLITTLEEh, già. Ma oggi sono vestito un cincinino speciale. Sto ‘ndando a St. George, Hanover Square. La tua matrigna si sposa con me.

LIZA(stizzita). E tu sei sceso così in basso da sposare quella donnucola!

PICKERING (pacato). Deve farlo, Eliza. (A Doolittle.) E come mai la signora ha cambiato parere?

DOOLITTLE(abbacchiato). Intimiditata, capo. Intimiditata, è.La morale borghese fa le sue vittime. Non vuoi met­terti il cappello in testa, Liza, e venire a vedere il tuo pa’, bindolato?

LIZASe il colonnello dice che devo, io... (quasi singhioz­zando) mi abbasserò a farlo, per quanto umiliante possa essere per me.

DOOLITTLENon ‘ver paùra. Ormai non viene più a male parole con nissuno, povera donna! La rispettabilità ci ha tolto tutta la sua carica.

PICKERING (stringendo gentilmente il gomito di Eliza). Sia gentile con loro, Eliza. Faccia del suo meglio.

LIZA(obbligandosi a sorridere). Oh, sì, giusto per mostrar lo­ro che non conservo rancori. Torno subito. (Esce.)

DOOLITTLE(sedendosi accanto a Pickering). Sono terribil­mente nervoso all’idea della cerimonia, colonnello. Mi piacenia che lù el veniss a darmi una mano.

PICKERINGMa non è la prima volta per lei, no? Non ha sposato la madre di Eliza?

DOOLITTLEE chi ce lo ha detto, a lù, colonnello?

PICKERING Be’, nessuno me l’ha detto, ma io ho concluso che... naturalmente...

DOOLITTLENo, colonnello, questo l’è no il modo natura­le, l’è solo il modo della borghesia. Il mio modo è sem­pre stato quel dell’immeritevole. Ma non ci dica niente a Eliza. La ragazza non sa: sempre stato delicato con lei sull’argomento.

PICKERINGBenissimo. Facciamo come dice lei, allora.

DOOLITTLEE lù el ven in chiesa, colonnello, e mi tiene in riga?

PICKERINGCon piacere. Nei limiti in cui possa farlo uno scapolo.

SIGNORA HIGGINSPosso venire anch’io, signor Doolittle? Mi piacerebbe molto assistere al suo matrimonio.

DOOLITTLESaria invero assai onorato della sua condiscen­denza, sciura, e la mia povera vecchia lo prendaria per un gran complimento. Sa, è molto giù, a pensare ai gior­ni felici che sono finiti per sempre.

SIGNORA HIGGINS(alzandosi). Faccio chiamare una carroz­za e mi preparo.(Gli uomini si alzano, eccezion fatta per Higgins.) Non mi ci vorrà più di un quarto d’ora. (Mentre s’avvia all’uscio, entra Eliza col cappello in testa, intenta ad abbottonarsi i guanti.) Sto andando in chiesa ad assistere al matrimonio di tuo padre, Eliza. Faresti bene a venire in carrozza con me. Il colonnello Pickering può andare avanti con lo sposo.

La signora Higgins esce. Eliza avanza fino al centro del salotto, tra la finestra centrale e il divano. Pickering le si accosta.

DOOLITTLE Sposo! Che parola! Di quelle che ti fanno pro­prio capire la situasione che titrovi. (Prende il cappello e si avvia all’uscio.)

PICKERINGPrima che me ne vada, Eliza, perdoni Higgins e prometta di tornare da noi.

LIZANon credo che papà me lo permetterebbe. Vero, papà?

DOOLITTLE (triste ma magnanimo). Ti hanno incastrata mi­ca male, Eliza, questi due sportivi. Se saria stato uno so­lo, tu l’avria potuto far su come volevi. Ma erano due, e si davano man forte tra di loro, per così dire. (A Pickering.) Abile da parte sua, colonnello, ma non ci porto rancore, sa? Avria fatto l’istess al suo posto. Sempre stato vittima di una donna via l’altra, io, in tutta la mia vita, e non ce l’ho con lù per aver profittà della mia Liza. Non voglio interferire. Èora di andare, colonnello. Arrivederci, Enri. Ci vediamo a St. George, Eliza. (Esce.)

PICKERING (suadente). Resti con noi, Eliza, la prego. (Segue Doolittle.)

Eliza esce sul balcone per evitare di restar sola con Higgins, che però si alza e la raggiunge. Lei subito torna nella stanza, dirigen­dosi all’uscio, ma Higgins entra di corsa per un ‘altra porta-fine­stra e si mette con le spalle al battente, impedendole di uscire.

HIGGINSBe’, Eliza ti sei rifatta in parte, come diresti tu. Contenta? E intendi essere ragionevole? O non ti basta ancora?

LIZALei vuole che io ritorni solo per raccogliere le sue pantofole, tollerare le sue sfuriate ed essere ai suoi or­dini.

HIGGINS Io non ho affatto detto che voglio che tu ritorni.

LIZAOh! Ma guarda! E allora, di che cosa stavamo par­lando?

HIGGINS Di te, non di me. Se torni, ti tratterò esattamen­te come ti ho sempre trattata. Non posso cambiare il mio carattere, e non intendo cambiare i miei modi. I miei modi sono esattamente gli stessi del colonnello Pickering.

LIZAQuesto non è vero. Il colonnello tratta una fioraia come se fosse una duchessa.

HIGGINSE io tratto una duchessa come se fosse una fio­raia.

LIZACapisco.(Torna compostamente sui suoi passi, e si siede sul divano, rivolta alle finestre). Lo stesso atteggiamento con tutti.

HIGGINSProprio così.

LIZACome mio padre.

HIGGINS (sorridendo, ma un tantino a disagio). Pur senza ac­cettare il paragone al cento per cento, be’, Eliza è vero che tuo padre non è uno snob e che sarà perfettamente a suo agio in tutte le situazioni in cui il suo eccentrico destino lo porrà. (Con tono serio.) Il grande segreto, Eliza, non consiste nell’avere buone o cattive maniere, e nep­pure maniere di qualsiasi altro tipo, bensì nel riservare le stesse maniere a tutti gli esseri umani. In una parola, nel comportarsi come se si fosse in paradiso, dove non ci so­no carrozze di terza classe e ogni anima è uguale all’altra.

LIZAAmen. Lei è un predicatore nato.

HIGGINS(irritato). il problema non è se io ti tratto brusca­mente, ma se mi hai mai visto trattare qualcuno meglio.

LIZA (con improvvisa sincerità). Non m’importa come lei mi tratta. Non mi importa se inveisce contro di me. E an­che se le buscassi, non me ne importerebbe niente: mi è già capitato. Ma (alzandosi e piantandoglisi di fronte) non voglio essere calpestata.

HIGGINSE allora scostati dalla mia strada, perché non mi fermerò per farti un piacere. Parli di me come se fossi un autobus.

LIZAMa lei è come un autobus: va avanti a strattoni, sen­za nessuna considerazione per nessuno. E io posso fare benissimo senza di lei: non creda che non ci riesca.

HIGGINSSo benissimo che puoi farcela. Te l’ho detto io.

LIZA (ferita, allontanandosi da lui, e mettendosi tra il divano e il caminetto). Lo so che l’ha detto, uomo senza cuore. Lei voleva sbarazzarsi di me.

HIGGINSBugiarda!

LIZA Grazie.(Si siede con aria dignitosa.)

HIGGINSPenso che tu non ti sia mai chiesta, però, se io potevo fare senza di te.

LIZA (con gravità). Non tenti di confondermi. Dovrà fare senza di me.

HIGGINS(con tono arrogante). io posso far senza chiunque. io ho la mia anima, la mia scintilla di fuoco divino. Ma (con improvvisa umiltà) sentirò la tua mancanza, Eliza. (Le si siede accanto, sul divano.) Le tue stupide idee mi hanno insegnato qualcosa: lo confesso con umiltà e gratitudine. E mi sono abituato alla tua voce e alla tua presenza. Di­rei anzi che mi piacciono.

LIZABe’, ha l’una e l’altra sul suo grammofono e nel suo album di fotografie. Quando sentirà la mia mancanza po­trà mettere in funzione l’apparecchio, che è privo di sen­timenti in grado di far male.

HIGGINSMa non posso mettere in funzione la tua anima. E quanto ai sentimenti, lasciameli; la voce e il volto puoi portarteli via. Non sono te.

LIZAOh, lei è proprio un diavolo tentatore. Riuscirebbe a torcere il cuore di una ragazza come un altro potrebbe torcerle le braccia per farle male. La signora Pearce mi ha messo in guardia. Più volte ha voluto lasciarla, e lei sempre all’ultimo momento è riuscito ad avere la me­glio. E pensare che della signora Pearce non gliene im­porta niente, come niente gliene importa di me.

HIGGINSA me interessano la vita, l’umanità; e tu sei una parte di essa che ho trovato sul mio cammino e che è di­ventata un elemento integrante della mia casa. Che cosa puoi volere di più, tu o chiunque altro?

LIZANon so che farmene di qualcuno che non si cura di me.

HIGGINSPrincipi commerciali, Eliza. Come (imitando, con professionale esattezza, la pronuncia da Covent Garden di Liza) viulete, bèle viulete, non è così?

LIZANon si prenda gioco di me. Non è generoso da parte sua.

HIGGINSNon mi sono preso gioco di nessuno. La derisio­ne non s’addice né al volto nè all’anima dell’uomo. Semplicemente, sto esprimendo il mio virtuoso disprezzo per lo spirito del commercio. Non traffico in affetti nè mai lo farò. Tu mi definisci un essere senza cuore perché non sei riuscita ad assicurarti una prelazione su di me portandomi le pantofole e ritrovandomi gli occhiali. Sei stata sciocca: la donna che porta le pantofole a un uo­mo, a mio giudizio dà di se stessa uno spettacolo disgu­stoso. Te le ho mai portate, io, le pantofole? Mi son fat­to un’assai migliore opinione di te quando me le hai tira­te in faccia. Inutile che tu assuma atteggiamenti da schiava e quindi mi venga a dire che pretendi che ci si curi di te: chi vuoi che si curi di una schiava? Se torni da me, fallo in nome dell’amicizia, perché non avrai nul­l’altro. Da me hai ottenuto mille volte di più di quanto io abbia avuto da te; e se osi ancora ripetere quel tuo trucchetto da cagnolino, che consiste nell’andare a prendere e portare le pantofole, in pieno contrasto con la mia creazione della duchessa Eliza, ti chiuderò l’uscio su quella tua stupida faccia.

ELIZAE perché l’ha fatto, se non si interessa a me?

HIGGINS(senza mezzi termini). Be’, perché era il mio la­voro.

LIZA E non ha mai pensato ai guai che m’avrebbe procu­rato?

HIGGINSCredi che il mondo sarebbe mai venuto in essere se il suo creatore avesse temuto di procurare guai a qual­cuno? Dar vita significa creare guai. C’è solo un modo di evitare i guai, ed è uccidere. I vigliacchi, noterai, levano sempre la propria voce per chiedere che quanti procura­no guai vengano messi a morte.

LIZAIo non sono un predicatore. Io non m’avvedo di cose del genere. Io so solo che lei non mi nota neppure.

HIGGINS (balzando in piedi e camminando per la stanza infu­nato). Eliza, sei un’idiota. Io spreco i tesori della mia mente miltoniana spargendoteli davanti. Una volta per tutte, renditi conto che io continuo per la mia strada e faccio il mio lavoro senza curarmi minimamente di ciò che può accadere a te o a me. Io non mi lascio intimidi­re come tuo padre e la tua matrigna. Puoi tornare da me o andartene al diavolo: fa come ti pare.

LIZAE perché dovrei tornare?

HIGGINS(balzando in ginocchio sul divano e protendendosi verso di lei). Per il gusto del divertimento. E per questo che ti ho raccattato.

LIZA (tenendo il volto girato). E lei sarebbe capace di buttar­mi fuori domani, se non faccio tutto ciò che desidera da me?

HIGGINSSì, e te ne puoi andare domani stesso se io non faccio tutto quello che tu desideri da me.

LIZA E dovrei andare a vivere con la mia matrigna?

HIGGINSGià, oppure a vender fiori.

LIZAOh, se solo potessi tornare al mio canestro! Sarei in­dipendente da voi due, da papà e da tutto il mondo! Per­ché mi ha tolto l’indipendenza? E perché io ci ho rinun­ciato? Ormai sono una schiava, nonostante i begli abiti che indosso.

HIGGINS Non lo sei affatto. Se vuoi, ti adotto come figlia e ti intesto del denaro. O preferisci sposare Pickering?

LIZA(volt.andosi di scatto a guardarlo fisso). Non sposerei neppure lei se me lo chiedesse. E pensare che è più vici­no a me per età di quel che è il colonnello.

HIGGINS(con tono gentile). Di quanto sia, non di «quel che è».

LIZA (perdendo le staffe e alzandosi). Parlo come mi pare e piace. Lei non è più il mio insegnante.

HIGGINS(meditabondo). Non credo però che Pickering sia disposto a farlo. E un vecchio scapolo incallito come me.

LIZANon è questo che voglio, cosa crede? Ho sempre avuto abbastanza scelta, da questo punto di vista. Freddy Hill mi scrive due, anche tre volte al giorno, e fogli su fogli.

HIGGINS(sgradevolmente sorpreso). Dannato impudente!(Si tira indietro e si ritrova seduto sui talloni.)

LIZA Ha tutti i diritti di farlo, povero ragazzo. E poi, mi ama.

HIGGINS(alzandosi dal divano). Tu non hai il diritto di in­conaggiarlo.

LIZA Ogni ragazza ha il diritto di essere amata.

HIGGINS Da imbecilli come quello?

LIZAFreddy non è un imbecille. E anche se è un poverac­cio, mi vuole, e può darsi che mi renda più felice di quelli che mi sono superiori e mi trattano come uno straccio e non vogliono saperne di me.

HIGGINSChe cosa può fare lui per te? Questo è il punto.

LIZAForse sono io che posso fare qualcosa per lui. Ma non ho mai preso in considerazione l’idea che potessimo far qualcosa l’un per l’altro, mentre lei non sa pensare ad al­tro. Io voglio semplicemente comportarmi in maniera naturale.

HIGGINSInsomma, tu vorresti che io fossi innamorato di te come lo è Freddy, è così?

LIZANient’affatto. Non è questo il sentimento che desi­dero da lei. E non sia troppo certo di sé o di me. Se aves­si voluto, avrei potuto comportarmi da ragazza disonesta. Su certe cose, la so più lunga di lei, nonostante tutta la sua cultura. Le ragazze come me non fanno troppa fatica a indurre i signori a innamorarsi di loro, anche se subito dopo si odiano a morte a vicenda.

HIGGINSMa è ovvio che sia così. E allora si può sapere perché diavolo stiamo litigando?

LIZA (profondamente turbata). Io desidero un po’ di genti­lezza. So benissimo di essere una povera ragazza ignoran­te, e lei invece un gentiluomo colto; ma non sono un grumo di fango appiccicato alle sue suole. Quel che ho faciuto (si corregge) quel che ho fatto, non l’ho fatto per avere abiti e farmi scarrozzare in taxi: l’ho fatto perché stavamo bene assieme e ho finito per affezionarmi a lei; ma questo non significa che voglio che lei mi ami e che dimentichi le differenze esistenti tra noi, ma solo che siamo un pochino amici.

HIGGINSCerto! Anch’io la penso così. E anche Pickening. Eliza, sei una sciocca.

LIZANon è questa la risposta che mi merito. (Si lascia ca­dere sulla seggiola davanti alla scrivania, in lacrime.)

HIGGINSSì, invece, che te la meriti, finché non la pianti di fare l’idiota. Se vuoi essere una signora, devi piantarla di sentirti trascurata se gli uomini che conosci non trascorrono metà del loro tempo a farti gli occhi dolci e l’altra metà a farti gli occhi neri. Se non riesci a soppor­tare il freddo rigore del mio modo di vivere, e la tensio­ne che comporta, tornatene nella fogna. Lavora fino a ridurti più come un animale che come un essere umano, e poi stattene raggomitolata nella tua cuccia a bere fin­ché non caschi addormentata. Oh, gran bella vita, quel­la della fogna! Una vita vera: calda, violenta, qualcosa che si sente anche attraverso la pelle più spessa, che si può gustare e odorare senza nessun addestramento, senza nessuna fatica. Ben diversa dalla scienza, dalla letteratu­ra, dalla musica classica, dalla filosofia e dall’arte. Tu mi trovi freddo, privo di sentimenti, egoista, non è così? Be­none: stattene con quelli che ti piacciono. Sposa un sen­timentalone con un mucchio di quattrini e con labbroni per baciarti, e stivali pesanti per prenderti a calci. Se non sei in grado di apprezzare quel che hai ottenuto, me­glio che ti procuri quel che sai apprezzare.

LIZA(disperata). Oh, lei è proprio un tiranno! Impossibile parlare con lei: riesce a volgere tutto a suo favore, e io fi­nisco sempre per essere nel torto. Ma lei sa benissimo, l’ha sempre saputo, di non essere altro che un prevarica­tore. Sa benissimo che non posso tornare nella fogna, come lei la definisce, e che al mondo non ho veri amici all’infuori di lei e del colonnello. E sa benissimo che non potrei sopportare la vita con un uomo qualsiasi do­po esser stata con voi due, ed è malvagio e crudele da parte sua insultarmi fingendo che potrei farlo. Lei ritiene che debba tornarmene in Wimpole Street perché non ho altri luoghi dove andare, a parte la casa di mio padre. Ma non sia tanto certo di potermi mettere sotto i piedi, calpestandomi e zittendomi. Sposerò Freddy, ecco quel che farò, appena sarò in grado di mantenerlo.

HIGGINS(come fulminato). Freddy!!! Quel giovane cretino! Quel povero diavolo che non riuscirebbe a ottenere un posto da fattorino anche se avesse il coraggio di cercarse­lo? Donna, ti rendi conto che io ho fatto di te una re­gina?

LIZAFreddy mi ama, e questo basta a farlo diventare un re ai miei occhi. Non voglio che lavori: non è stato educa­to a farlo, al contrario di me. Mi metterò a fare l’inse­gnante.

HIGGINSE che cosa insegnerai, in nome del cielo?

LIZAQuello che lei ha insegnato a me: fonetica.

HIGGINSAh,ah,ah!

LIZAAndrò a offrirmi come assistente a quell’ungherese baffuto.

HIGGINS(furibondo). Cosa? Quell’impostore! Quel truffa­tore! Quell’ignorante! Insegnargli i miei metodi! Le mie scoperte! Prova solo a farlo, e ti torco il collo. (Afferran­dola per le spalle.) Hai capito?

LIZA(con passivo atteggiamento di sfida). Ma sì, me lo torca.Che vuole che m’importi? Tanto lo sapevo che prima o poi mi avrebbe picchiata. (Higgins la lascia andare, batten­do i piedi stizzito per aver perduto il controllo di sé, e si tira indietro con uno scatto tale che piomba seduto sul divano.)

Ah, adesso so come fare con lei! Che sciocca sono stata a non pensarci prima! Non può riprendersi le nozioni che mi ha impartito. È stato lei a dire che ho un orec­chio migliore del suo, e io con la gente riesco a compor­tarmi in maniera civile e cortese, cosa di cui lei è incapa­ce. Ah! (Smettendola di parlare in maniera corretta, per pro­vocare Higgins.) Se l’è cercada lù Enri Iggins, propi lù. E adess a me mi fa (facendo scioccare le dita) di so’ minacc e di so’ discursun. Me metterò un annuncio in tel giurna­le, metterò, che la sua duchessa l’è solo una fiuraia che lei ci ha insegnato, e che la ragassa l’è in grado di impa­rare a chiunque di essere una duchessa in sei mesi per mille ghinee. Oh, se penso a come strisciavo ai suoi pie­di, lasciandomi calpestare e offendere, mentre mi sareb­be bastato alzare un dito per mettermi sul suo stesso pia­no, mi vien voglia di prendermi a calci.

HIGGINS(guardandola sbalordito). Donnucola da quattro soldi! Ma è sempre meglio che piagnucolare, meglio che portare ciabatte e scovare occhiali. (Alzandosi.) Pendio, Eliza, avevo detto che avrei fatto di te una donna, e ci sono riuscito. Così mi piaci.

LIZA Già, eccolo che cerca di abbindolarmi nuovamente, adesso che non ho più paura di lei e che sono in grado di fare senza di lei.

HIGGINSMa certo, sciocchina. Cinque minuti fa eri per me una palla al piede. Adesso sei una forza: una nave da guerra come me. Tu, io e Pickering saremo tre vecchi scapoli invece che essere solo due uomini e una sciocca ragazza.

Riappare la signora Higgins, vestita per la cerimonia nuziale. Di colpo, Eliza torna a essere fredda e distinta.

SIGNORA HIGGINSLa carrozza ci aspetta, Eliza. Sei pronta?

LIZASì. Il professore viene con noi?

SIGNORA HIOGINSNo di certo. Non sa comportarsi come si deve in chiesa. Non farebbe che commentare ad alta voce la pronuncia dell’officiante.

LIZAAllora non la rivedrò, professore. Arrivederci. (S’av­via all’uscio.)

SIGNORA HIGGINS(avvicinandosi al figlio). Arrivederci, ca­ro.

HIGGINSArrivederci, mamma. (Fa per baciarla, ma si ricor­da di qualcosa.) Oh, a proposito, Eliza, ti dispiace ordina­re un prosciutto e uno Stilton? E comprarmi un paio di guanti di renna, misura ottava, e una cravatta che si intoni col mio nuovo abito. Scegli tu il colore. (Ha pro­nunciato queste parole con voce allegra, spensierata, forte: è proprio incorreggibile.)

LIZA(sdegnosa). L’ottava misura è troppo piccola per lei, se li vuole foderati di lana. E ha tre cravatte nuove che ha dimenticato nel cassetto del suo canterano. Il colon­nello preferisce il formaggio Gloucester invece dello Stilton, anche se lei non nota la differenza. Stamane ho telefonato alla signora Pearce ricordandole il prosciutto. Che cosa farà senza di me, non riesco a immaginarmelo. (Esce.)

SIGNORA HIGGINSTemo proprio che tu abbia rovinato quella ragazza, Henry. Mi preoccuperei per te e per lei, se fosse meno attaccata al colonnello Pickering.

HIGGINS Pickering! Macché! Sta per sposare Freddy. Ah, ah! Freddy! Freddy!! Ah ah ah ah ah!! (Continua a ridere mentre cala il sipario.)