Pinocchia

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pinocchia

PINOCCHIA

Stefano Benni

Primo tempo

Scena:     l’interno di una casa di campagna. Luce di lampada a petrolio. Un piccolo camino. Dentro al ca­mino sono dipinti un fuoco e una pentola fumante. Una poltrona scassata, oggetti da falegname, una vasca da bagno, un vecchio telefono...

Un uomo è inginocchiato, sta armeggiando intorno alla testa di una donna sdraiata, immobile. Sembra le sistemi qualcosa tra i capelli. Squilla il telefono. L’uo­mo esita, poi va a rispondere.

GEPPETTO

Sì, sono io. Come? Bella Melona 83? Sono tutta calda per te? Ma io non ho mica ordinato una piz­za. Ah sì, scusi, ora ricordo la linea hot hot hot lo­ve, sì certo che ho prenotato io il collegamento, ma sono le quattro di notte. Certo, ha ragione lei, è l’ora più intima. Quanto mi costa al minuto? Però! Va bene, accetto, cominciamo pure. Cosa ti farei? Come, cosa ti farei? Ah ho capito, be’ le fa­rei che... sì certo, meglio darsi del tu, allora ti fa­rei che... ti porterei in mezzo al frutteto, quando è il tramonto e per terra ci sono quelle belle me­le mezze marce che fanno quella marmellata un po’ viscida e poi mi toglierei... mi vergogno un po’ a dirlo... mi toglierei le scarpe, prima la sinistra

poi la destra e poi... lo dico? azzardo? be’, prima te le farei annusare, e poi... è già finito il collega­mento? se ho goduto? accidenti, se ho goduto! Va bene, ciao Bella Melona 83, a presto. Ma quali car­te di credito, non c’ho neanche le carte da bn­scola. Scusi è vero, questo a lei non interessa. Pa­gherò in francobolli, certo. A presto, Melona hot love. (sospira) Che orari, però.

Torna dalla donna, armeggia, si alza in piedi, poi si rivolge al corpo sempre immobile.

GEPPEITO

Benvenuta! (nessun segno di vita)

GEPPETTO

(ripete) Benvenuta.

Non accade nulla, Geppetto consulta un libretto, si batte la fronte con una mano.

GEPPEITO (armeggiando intorno alla testa)

Il chip alla rovescia! Ma già, l’avevo messo alla ro­vescia!

GEPPETTO (torna in piedi)

Benvenuta!

PINOCCHIA (scatta in piedi)

Benvenuta dove? E tu chi sei?

GEPPETTO

Io sono... quello che ti ha comprato... cioè quello che ti ha fatto venire qui... lo zio? no. Il nonno? no? Il papà? Ecco sì, il papà.

PINOCCHIA (battendo le mani entusiasta)

Babbino, babbino, babbino sei il mio babbino. E ti chiami?

GEPPETTO

Geppetto.

PINOCCHIA

È uno pseudonimo vero? Un diminutivo? Giusep­pe, Pipino, Gianluca Pino?

GEPPETTO

No, proprio Geppetto. E tu ti chiami Pinocchia.

PINOCCHIA

Stai scherzando? Pinocchia? Ma sai le compagne di scuola come mi tormentano. Ma dai, Pinocchia. Non si potrebbe fare almeno Maria Pinocchia?Bar­bara Selvaggia Pinocchia?

GEPPETTO

Pinocchia e basta. Lo so, è un nome strano, è let­terario, come Renzo e Lucia.

PINOCCHIA

Renzo e Lucia? Cos’è, il nome di un travestito? Un po’ Renzo un po’ Lucia?

GEPPETTO

No, sono due nomi. Nomi che ho trovato in un li­bro del Manzoni.

PINOCCHIA (comincia a camminare a quattro zampe) Manzoni Alessandro, romanziere e poeta, autore dei Promessi Sposi, nasce o Milano nel 1785 da relazione adulterina, all’età di dodici anni...

GEPPETTO

Basta basta, brava.., lo vedi perché le tue compa­gne di scuola non ti derideranno? perché tu non ci devi andare a scuola.

PINOCCHIA

Domanda: e perché?

GEPPETTO

Risposta: perché tu sei programmata. Sai già tut­ti i programmi scolastici. Almeno dovresti saper­li. Lo dice il tuo manuale di istruzioni. (lo mostra e legge) Ecco: il modello.., cioè la bambina in que­stione esegue, ad esempio, calcoli complessi. Pro­viamo: seicentomilotrecentoquarantadue per ven­tisette.

PINOCCHIA

Tredici milioni ottocentoventisettelflilatrecento quarantadue. Perché se sbaglio come lo sai?

GEPPETTO

Che caratterino. Mi fido, sei di una buona marca... Capitale dell’Honduras...

PINOCCHIA

Tegucocicolp….   potucultetalpa.

GEPPETTO

No. O sbagli, oppure mi prendi in giro. Ma nel ma­nualetto non è previsto che turni prendo in giro. “Il modello Pin 452 non è capace di metalinguaggio nè di ironia, né di litote ironico.” Cosa vorrà dire?

PINOCCHIA

Che non potrei mai prenderti in giro, sei umano, sei troppo intelligente, sei un maschio, sei sei sei, sei per tre diciotto.

GEPPETTO

Bene. Allora ti faccio una domanda scientifico... spiegami lo teoria dello forza di gravità.

PINOCCHIA

La teoria della gravità. Allora, un giorno, nella cam­pagna inglese, Isaac Newton, stava sotto un albe­ro di mele. Al tramonto, quando c’è quell’odore di mele mezze marce, uno marmellata languida. Cad­de un frutto... ma Newton dormiva... e la teoria non fu mai scoperta.

GEPPETTO

Non mi risulta. Non formi arrabbiare, rispondi be­ne o ti resetto!

PINOCCHIA

Certo, certo. Un giorno Newton entrò in aula e i suoi scolari gli chiesero: allora professore, l’ha sco­perta poi la teoria dello gravità? E Newton rispo­se: oh ragazzi, con questo storia della gravità mi avete proprio fatto cadere i marroni. Cadere... i marroni.. cadere... i marroni (mima Newton che pensa alla caduta) eureka! e la teoria della gravità fu scoperto.

GEPPETTO

Adesso basta. Tu funzioni a casaccio. Ma io ti smon­to, prendo un cacciavite, ti apro quella testolina tarlata e ti resetto. (si inseguono. Pinocchia si na­sconde sotto la vasca)

GEPPETTO

Esci di lì, maledetta. Che fregatura! Eppure ho se­guito il manuale: vediamo: ma certo, (legge) “nel periodo di rodaggio del modello Pio 452 si consi­glia di iniziare con domande semplici”: ecco dove ho sbagliato, povera Pinocchietta. Son partito trop­po forte, l’Honduras, la gravità, che sciocco. Pi­nocchia, adesso ti faccio una domanda semplice. Due per due?

Da sotto la vasca si sentono battere quattro colpi.

GEPPETTO

Bravo! Adesso un’altra cosa facile, un proverbio, ecco, completo questo proverbio. Rosso di sera...

PINOCCHIA

Domanda non formulato esattamente.

GEPPETTO

Dai lo sanno tutti: rosso di sera...

PINOCCHIA

Precisare se si allude al tramonto dell’ideologia co­munista, alla crisi dell’auto Ferrari, al tramonto, allo nuovo modo

autunno-inverno.

GEPPETTO

Adesso ti smonto. (la trascina fuori per un piede)

PINOCCHIA

(da terra) Bel tempo si spera. Uomini e buoi dei paesi tuoi. Lupus in fabula. Sutor ne ultra... la schiantarella! Ti dico tutto sulla schiantarella del­l’acero. Non ti posso fregare, è il tuo settore (Gep­petto si blocca).., dicesi schiantarella dell’acero un piccolo tarlo malloforo che rosicchio il legno del­l’acero giovane e rovino i mobili, anche i falegnami temono assai. Alcuni esemplari di schiantarella raggiungono la lunghezza di sedici metri.., millimetri, volevo dire millimetri.

GEPPETTO

Va un po’ meglio. (le mette una sottanina, parla pa­ternamente) Vedo che cominci a obbedire. Devi ascoltarmi e seguirmi. Sei un po’ confusa, vero? eh, uno coso sono i programmi virtuali e un’altro co­so è la realtà, il mondo è complesso, il caos e il co­smo e il legno e il fuoco, ma capirai capirai, il tuo programmino, il tuo cervellino deve farei i conti con il bene e il male e soprattutto con lo verità. Quin­di rispondi il vero e non dire bugie, nessuno al mon­do dice le bugie. Mi guardi strano? Cosa fai? (lei boccheggia come un pesce) Oh, ricominci a pren­dermi in giro? Guarda che... (Pinocchia gli mette davanti agli occhi il libretto delle istruzioni, Geppet­to legge)

GEPPETTO

“Quando il modello Fin 452 apre la bocca, ha fa­me.” Ma certo, sciocco che sono, tu mangi piccola mia, hai fame, ecco perché sei confusa, coso vuoi mangiare?

PINOCCHIA

Pere.

GEPPETTO

Pere?

PINOCCHIA

Mi è venuto così. Pere.

GEPPETTO

Ce l’ho una pera: eccolo.

PINOCCHIA (l’annuso, la tocca, la ausculta)

Bella. L’immaginavo diversa. Con tante zampe gli occhi che nuoto sul fondo del mare e fa unverso co­sì, uuuh, e quando la mangi urla. È bella. È fatta...

GEPPEITO

A pera.

PINOCCHIA

Ecco perché si chiama pera.

GEPPEITO

Non ci avevo mai pensato.

PINOCCHIA

Sai babbino, gli assiri conoscevano già le pere. In un sarcofago a Bucindal nel deserto c’è la statua del re Assurpenipal con una pera in mano, così... (Geppetto è affascinato) In questo tempo, veniva odorata la Grande Perona Sacra. I sacerdoti, detti perigoti, guidati dall’Abate Fetel, andavano peren­nemente pergando, vestiti col perizoma, peregri­nando in fila pera tre... e cantavano (canta)

La bugia non è violenza

Ma normal sopravvivenza

La bugia è verità

A cui manca la metà.

GEPPETTO

(suo malgrado divertito) Va bene. Sai anche canta­re. Ma adesso basto...

PINOCCHIA (canta)

La bugia la bugia

Del bugiardo è la poesia

Se ne dici una al giorno

Togli la realtà di torno

Se ne dici cento e cento

Finirai in parlamento.

GEPPETTO

Ah quello sì, ma sei piccola per sapere queste cose...

PINOCCHIA (canta)

La bugia è pietosa

La bugia è velenosa

La bugia è necessaria

La bugia è umanitaria

Non c’è arte che non sia

Una piccola bugia.

GEPPETTO

Sì, è vero anch’io ho dipinto la pentola finta sul muro ma sono fantasie, fole, fumisterie, bisogna stare coi piedi per terra, io ad esempio faccio gli zoccoli...

Pinocchia lo prende per un braccio lo tocca e gli co­munica come una scarica elettrica, e Geppetto inizia a cantare insieme a Pinocchia:

La bugia è il pinzimonio

Di ogni sano matrimonio

La bugia è il condimento

Di ogni losco tradimento

Senza bugia non potrai fare

Nessun commercio nessun affare

Ed un giorno disse Dio

Voglio dire una bugia anch’io

Beati i poveri disse Dio.

PINOCCHIA

Vedi? All together now, cantiamo. (lo cavalca)

GEPPETTO

Non contagiarmi, basta.

PINOCCHIA (canta)

La bugia chiama bugia

E ti troverai sul più bello

Ad erigere un castello

Una vera cattedrale

Di bugie una sull’altra

Una bugia monumentale

Gigantesca, universale.

GEPPETTO (canta)

Un tremoto un temporale

Un tremoto un temporale

Un tremoto un temporale

Di bugie, di bugie...

Ballano e si inseguono.

PINOCCHIA (canta)

Ecco l’ultima bugia

Che per oggi inventerò

Io bugie più non dirò.

Cadono a terra tutti e due, stremati.

GEPPETTO (si siede, gli gira la testa)

Mamma mia. Che fregatura ho preso. Basta, ti ri­mando indietro.

PINOCCHIA

No, ti prego non sai cosa mi hanno fatto in quel la­boratorio. Io sono orfana. La mia mamma era una provetta ma si è rotta. Il mio babbo non lo so... sul cartellino del donatore c’era scritto Elvis Presley.. va bene, è un’altra bugia, è più forte di me. Ma son qui per questo. Voglio imparare a vivere in modo sincero e adulto. Dammi un’educazione.

GEPPETTO

Sei sincera? Mi obbedirai? Diventerai grande e non dirai le bugie?

PINOCCHIA

Giuro.

GEPPEITO

Va bene, allora iniziamo le lezioni. Giochiamo a babbo e figlioletta. Sei pronta?

P1NOCCHIA

Son pronta ho capito, sondi legno, mica di coccio.

GEPPETTO

(iroso) Che fai, rispondi?AIlora, prima lezione. Non devi rispondere mai a tuo padre. Se sei una bimba educata, mai rispondere a tuo padre. Hai capito? Rispondi.

Pinocchia sta zitta.

GEPPETTO

Hai capito? Qualsiasi cosa succeda, non risponde­re mai a tuo padre. Hai capito? Rispondi!

PINOCCHIA

(a bocca stretta) Neanche se mi ammazzi. Mi hai detto di non rispon...

GEPPETTO

No, volevo dire, non devi rispondere a tuo padre quando lui non vuole che tu risponda ma devi ca­pire quando lui vuole che gli rispondi e allora de­vi rispondere anche se non devi mai rispondere...

PINOCCHIA

Papà, che casino hai in testa.

GEPPETTO

Oh insomma. Zitta. Impara a stare zitta.

PINOCCHIA

Certo, adesso starò zitta. Non dirò più una paro­la. Muta. Non un fonema uscirà dalla mia bocca. A meno che io non capisca che devo parlare per proseguire idealmente un discorso da te iniziato di cui però io sarei, diciamo così, lo sbocco natu­rale la precisazione il coronamento nel qual caso starei zitta in quanto identità culturale autonoma ma parlerei in quanto simbiotica al tuo sforzo con­cettuale e alla suggestione della tua tesi che in me troverebbe un supporto fonetico e una espressi­vità delegata, cioè ai fui di un’architettura dello spazio significante io pur tacendo parlerei mentre tu parlando taceresti...

GEPPETTO

(basito) Esatto. Be’, adesso facciamo quest’altro esempio didattico. Facciamo che il tuo babbino tor­na a casa stanco morto dopo aver lavorato tutto il giorno per comprarti le pere e tu lo accogli. Pronta?

PINOCCHIA

Pronta.

Geppetto mima un’entrata in casa con passo stra­scicato.

PINOCCHIA (saltando)

Babbino, babbino.

GEPPEITO

Meno, meno, via la giacca.

Le consegna la giacca. Pinocchia la lascia cadere.

GEPPETTO

Via la giacca, via...

Pinocchia fa segno alla giacca di andarsene via.

GEPPETTO

Ma no via, al suo posto.

Pinocchia la indossa.

GEPPETTO

Va bene. Allora il babbino si mette in poltrona e tu lo massaggi.

Pinocchia lo massaggia partendo dai piedi, con stra­ni gesti, come se lo smontasse e lo ricostruisse. A Gep­petto piace.

GEPPETTO

Che bello.

PINOCCHIA

Sarà bello ma è poco produttivo. (lo massaggia con impeto)

GEPPETTO

Il gioco si chiama “babbo e figlia” e fa sì che così ci conosciamo meglio...

PINOCCHIA

E non c’è altro?

GEPPETTO

Certo. C’è l’affetto, la vicinanza, il sacrificio e i re­gali di Natale. Ma bisogna meritarseli. Massaggia­mi il piede, brava. Va bene, come primo giorno di uso, cioè come primo giorno che ci siamo cono­sciuti, sei stata abbastanza brava.

PINOCCHIA

Davvero? dici la verità?

GEPPETTO

Potrei mai dirti una bugia? Io non uso trucchi.

Pinocchia, massaggiandolo, gli porta via la parruc­ca. Ci gioca e ci scherzA. Geppetto va a prendere il ma­nualetto e legge:

“Se volete punirla dolorosamente, colpite con un cacciavite nel punto sei”.

Le si avvicina alle spalle, la colpisce.

PINOCCHIA

Ahia!

GEPPETTO

Impara. L’ho fatto per insegnarti. L’ho fatto per il tuo bene.

Pinocchia prende la rincorsa e gli torce le orecchie.

PINOCCHIA

Rabbino, anch’io ti voglio bene.

GEPPETTO

Maledetta! A letto senza pera. A letto senza cena. (lei corre dentro la vasca) Ingrata. E io che ti ho vo­luta per non sentirmi più solo, per specchiarmi in te, per fare dite la mia continuazione. E tu mi de­ludi. Dai, Pinocchietta, diventa obbediente e sta­remo sempre insieme qui in questa casetta povera ma schifosa, linda ma pulita. Cucinerai per me, ri­camerai per me, sarai la gioia del babbo.

PINOCCHIA

Posso uscire?

GEPPETTO

Uscire dove? Non c’è nulla fuori. Fidati di me, non ti dico bugie. Solo pericoli. Criminali sanguinari. Gatti e volpi di paesi esotici. Alberi scheletriti a cui si impiccano gli innocenti. Serpenti, grosse balene, uomini che sputano il fuoco dalla bocca, e gas velenosi. Restiamo qui, in questa piccola ca­sa impaurita. Solo con la paura potremo gover­nare la nostra vita. Un giorno avevo ideali di egua­glianza, di avventura. Volevo fare le scarpe a San­dokan. Gli zoccoli a Tremalnaik. Fare il ciabatti­no al Cremlino. Adesso cosa mi resta? Paura e bu­gie. Questi sono i tempi. Né giovani né vecchi, né carne né legno. Cera più vita nelle favole. Per que­sto ti ho voluta con me. Anche tu non sei né gio­vane né vecchia né carne né legno, sei il futuro del paese cioè niente. Hai capito? Non c’è niente fuori.

PINOCCHIA

Ma io sento che sono nata per uscire, per vedere. Ho le gambe, saranno per camminare. Il naso per infilzare qualcosa. Le tette qua, per fare il latte, ho tirato a indovinare. E qui sotto? Non lo so, ma pro­mette bene.

GEPPETTO

No resta qui. Fuori è freddo. Ti racconterò una storia.

PINOCCHIA

Uffa. Lunga?

GEPPETTO

Il tempo che ci vuole. Allora, c’era una volta una ragazza che si chiamava Cenerottola. Era povera, lavorava tutto il giorno in casa, non usciva mai ed era contenta.

PINOCCHIA

Era scema?

GEPPETTO

Si accontentava. Era iscritta a un partito dell’e­poca che le diceva che doveva accontentarsi. Ave­va due sorelle brutte cattive, maligne, invidiose di lei.

PlNOCCHIA

Siamo sicuri? Non è che era lei a essere invidiosa di loro?

GEPPETTO

No. Allora in quel paese c’era un re con un figlio principe che non voleva sposarsi, non gli piaceva nessuna donna, preferiva andare con gli amici a caccia, nei boschi, col suo falconiere, era... non guardarmi così, non era come pensi, era un prin­cipe un po’ sofistico. Allora il re disse: diamo un grande ballo, invitiamo tutte le ragazze del paese, il principe ne sceglie una, la sposa, e zitti tutti. Ma Cenerottola non poteva andare al ballo perché non aveva neanche un vestito nell’armadio, non aveva uno straccio da mettersi.

PINOCCHIA

Bugia classica. Dicon tutte così.

GEPPETTO

Non aveva niente che fosse all’altezza di Sua al­tezza.

PINOCCHIA

Sarà.

GEPPETTO

Ma per fortuna arrivò la fatina.

PINOCCHIA

Ma come, questa è una disgraziata, sempre chiu­sa in casa, sfigata e adesso c’ha la fatina persona­le? E come ha fatto?

GEPPETTO

(spazientito) L’aveva perché... perché Cenerottola e lava e sgura e stira, coi bollini del detersivo aveva vinto un premio, che era la fatina, va bene? E la fa­tina disse: salaga dula, mengica bula.

PINOCCHIA

Era africana?

GEPPETTO

(sempre più spazientito) No, era una formula ma­gica! Insomma con la fata e salaga dula e l’incan­tesimo Cenerottola mette su un vestito bellissimo, poi prende una zuc... un taxi e va al ballo. Il prin­cipe appena la vede perde la testa, la invita a bal­lare e ballano come due angeli.

PINOCCHIA

E chi le aveva insegnato a ballare? Se Cenerottola stava sempre in casa, dove aveva imparato? Con un corso per corrispondenza?

GEPPETTO

Non lo so. Uffa, non mi interrompere. Allora, bal­lano valzer e mazurca e smorzoni e rivalzer e il principe si innamora. Ma lei deve tornare a casa entro mezzanotte.

PINOCCHIA

È vero, chiude la metropolitana.

GEPPETTO

Ma no, finisce l’incantesimo. E mentre lei corre via, perde la scarpina. Aveva un piede piccolo pic­colo, che nessun’altra aveva il piede come lei, pic­colo così...

PINOCCHIA

Sì, dai, ballava sui moncherini.

GEPPETTO

Ma no, è che...

PINOCCHIA

Babbino, ma che storia mi racconti? Una che sta­va tutto il giorno in casa a sgurare ed era con­tenta, c’aveva la fata africana, piaceva a un prin­cipe che preferiva i falconieri e ballava sui mon­cherini...

GEPPETTO

(sconsolato) Porca troia. Mi hai distrutto la favola.

PINOCCHIA

No, no, scusa papà, non avvilirti, dai raccontane un’altra, non sarò più così critica.

GEPPEITO

Be’... aspetta che penso... ah, sì, c’era uno che si chiamava Luke Skywalker e che aveva con sé la for­za... e aveva uno spadone di luce e lui con lo spa­done zac e colpiva e zac e zac e tagliava e zac la forza e zac e zacchette (crolla seduto) e anche que­sta è una gran cagata.

PlNOCCHIA

Va bene papà, basta così.

GEPPETTO

No, aspetta, ce ne ho un’altra... Ah questa è ap­passionante, quando comincio non smetto più, pre­parati. (si siede anche lui nella vasca-letto, di fron­te a lei) Allora, c’era una volta un falegname che trovò uno strano pezzo di legno. E si mise a ta­gliarlo, zic zic, le manine e, zic zic, i piedini. E il falegname pensava: ci farò un burattino e, ziz zic, il nasino (sbadiglia) e, zic zic, gli occhietti e... (si addormenta russando)

PINOCCHIA

Che storia appassionante.

Pinocchia controlla che Geppetto dorma, poi si av­vicina al fondo della scena, straccia la parete e appare il cielo stellato fuori. Lontano, un grande albero schele­trito.

PINOCCHIA

Lo sapevo, i miei dati lo dicevano, il mondo fuori è meraviglioso. Sì, in casa c’è il calduccio del camino, Geppetto è

buono, ma non può essere tutto qui. So­no sicura che c’è qualcosa di grande per me qui fuo­ri, e senza pericoli perché

la mia innocenza è come uno scudo e il mondo ama quelli come me curiosi e innocenti. O no? Guarda lassù le stelle,

Sirio, Ve­nere, Aldebaran. Le stelle mandano luce anche do­po morte, per anni e anni. Sono bugiarde, fan finta di essere

vive. La luna finge di essere luminosa e in­vece la sua è la luce riflessa del sole, luna bugiarda. Anche l’albero laggiù è

un bugiardo, si finge schele­trico e nudo per i poeti, ma presto si riempirà di fo­glie e gemme. E guarda il geco che si

mimetizza al muro, è bugiardo, ma se non lo facesse morirebbe di fame. E il bruco bruttino e modesto, bugiardo,

diventerà una top-model di farfalla. La natura è bu­giarda. Zitta, non devo dirlo, Geppetto non appro­verebbe e non mi

farebbe più uscire. (ad alta voce) Ah che bel paesaggio sincero! Nessuno dice bugie qui fuori (sottovoce, con

l’intonazione dei cori da tifo calcistico) forzage-co, forzabru-co. E che silenzio... (si sente un gran frastuono) Oh

dio, chi è?

Sbuca di colpo il grillo parlante. Vestito di verde, oc­chialini verdi, gran sicumera.

GRILLO

Ehilà bambina. Cosa fai qui fuori di notte?

PINOCCHIA

Niente... raccoglievo... le pere ecco... Chi sei?

GRILLO

Sono la tua coscienza. Perché hai lasciato Geppet­to da solo?

PINOCCHIA

Mi ha detto che ero stata brava e potevo andare un po’ fuori.

GRILLO

Non è vero. Non puoi dire bugie alla tua coscien­za. Non va, testolina di legno, non va. Imparerai ben presto che bisogna obbedire ai genitori. (deam­bula come un indossatore) So tutto sui rapporti tra genitori e figli. I rapporti tra genitori e figli devo­no essere... reciproci.

PINOCCHIA

Ma no!

GRILLO

Ma sì. Non dico bugie, mi baso su dati. Secondo i sondaggi, due famiglie su tre non sono felici e sai perché? Perché non si fanno guidare da un esper­to come me. Lui non ti desidera più? Comprati un reggicalze. Lei ha mal di testa? Fatti un’amante. Vostro figlio si droga? Vuole dire che gli manca qualcosa. La droga, appunto.

PINOCCHIA

Che bravo. Sai davvero tutto.

GRILLO

Tutto. Vuoi che ti parli della felicità? (la prende a braccetto) C’è una strada in dodici punti per la fe­licità. Uno, sentiti felice. Due, crediti felice. Tre, se ti dicono che sei infelice, non ascoltarli. Quattro... (lunga pausa) trova dentro dite il luogo segreto del­la felicità. Cinque, impara a guardare un filo d’er­ba. Sei... per il sei mi devi pagare.

PINOCCHIA

Ma che coscienza sei? Lavori per me o per te?

GRILLO

Io sono la chiacchiera cosmica, io non so nulla ma parlo di tutto, io volo tra le stelle e i canali, io dico la prima cosa che mi passa per la testa e te la vendo come fosse pensata nei secoli, io litigo, io aggredisco, io affermo, io sentenzio, io me ne frego sostanzialmente di tutto. Non sei felice? Caz­zi tuoi.

PINOCCHIA

Ma come parli?

GRILLO

Era una provocazione. Felicità è dare agli altri. Riempì il modulo, è un’offerta di beneficenza.

PINOCCHIA

Cosa?

GRILLO

Ascolta la coscienza, fidati. I tuoi soldi salveranno una bimba africana. O una foca monaca. O una ba­lena laica.

PINOCCHIA

Vorrei saperlo adesso. E se mi dici delle bugie?

GRILLO

Piccoletta sintetica e sospettosa. Non dubitare, non criticare, non contestare, bella mia, quello lascialo fare a me! Legno, legno, sei di legno, hai i fili, devi fare quello che ti dicono. Torna in casa e pen­sa a ciò che ti ho insegnato.

PtNOCCHIA

No, voglio stare fuori. Non faccio male a nessuno qui.

GRILLO

Lo dici tu. Primo fantasma: Geppetto si addormen­ta, il fuoco gli divora i piedi e poi sale su fino alla par­rucca, Geppetto brucia vivo, la colpa è tua.

PINOCCHIA

Il fuoco è spento. Non dire bugie.

GRILLO

Ah sì? Allora, secondo fantasma: mentre sei fuori una bambina molto più bella e obbediente di te con due gran tette viene in casa, Geppetto la preferisce a te e quando torni c’è lei nel tuo lettino.

PINOCCHIA

No. Geppetto mi vuole bene. E poi c’è posto per due bambine là dentro.

GRILLO

Ma lei è più bella di te. E poi è corrotta. Sta par­lando male di te. Dice: Pinocchia non è una bam­bina, è una specie di robottina. Un clone, un go­1em, un succedaneo, un...

PINOCCHIA

Basta. (gli tira una scarpa)

GRILLO (esagerando stramazza)

Ahio muoio, mi hai ucciso. (si rialza) Ecco sei an­che tu come tutti. La gente ci ascolta cantare e di­ce: oh senti, carini i grilli. Campagna infanzia aria pura. Poi se trovano uno di noi in casa lo schiac­ciano. Così è la coscienza. Quando paria flebile, lontana, la si ascolta, si è buoni. Quando si fa viva, forte, vicino a te bara. Una scarpata, kaputt.

PINOCCHIA

Va bene, scusami. Ti ascolterò e non ti tirerò più le scarpe. Ma non esagerare.

GRILLO

La coscienza esagera sempre.

Il grillo, senza che Pinocchia veda, accende un pe­tardo e lo butta dentro alla casa. Il camino si accende per un attimo. Geppetto lancia un urlo nel sonno.

PlNOCCHIA

Oh dio, aveva ragione il grillo. La casa ha preso fuoco. È colpa mia, è colpa mia.

Pinocchia rientra. Tutto è normale. Geppetto apre gli occhi.

GEPPETTO

Pinocchietta mia. Sei qui. Ho avuto un incubo, ho sognato che eri sparita. Ma guarda, hai attizzalo il fuoco nel camino. Brava. Allora non sei andata via.

PINOCCHIA

Sono sempre stata qui.

GEPPETTO

Sei sempre stata qui a vegliarmi. Oh come è bello svegliarsi e non essere soli. Sai, pensavo...

PINOCCHIA

Cosa?

GEPPETTO

No, pensavo, che triste sarebbe stato aprire gli oc­chi e non trovarti, scoprire che magari eri in giar­dino a guardare le stelle, che già sogni una vita tua. Ma tu hai bisogno di me e io mi sto già abituando a te. Vieni, vieni qua. Ci mangiamo mezza pera in due. E facciamo dei progetti sul tuo futuro.

PINOCCHIA

Ma no, sul tuo.

GEPPETTO

Il mio futuro, ma cosa dici? Il mio futuro è corto.

PINOCCHIA

Quanto hai di glicemia?

GEPPETTO

Duecento.

PINOCCHIA

Insomma. E il colesterolo?

GEPPETTO

Trecento.

PINOCCHIA

Trecento? Babbino, ma tu muori! Non arrivi a Na­tale, e chi si curerà di me?

GEPPETTO (con un gesto di scongiuro, agitato)

Ma no, no, non ce l’ho il colesterolo, l’ho venduto, va bene? Dai, dimmi cosa vuoi fare da grande.

PINOCCHIA

L’infermiera. Ovunque ci sarà un genocidio, io lì sarò.

GEPPETTO

E se sto male io?

PINOCCHIA

Speriamo di no. E poi firmerò appelli. Sposerò un calciatore e avrò tre figli, Ebano, Frassino e Onta­no. Poi...

GEPPETTO

Ma che progetti da nulla. Sai cosa devi fare inve­ce? Devi diventare ricca. Altro ché il genocidio, pen­sa a star bene te. Non fare come il tuo papà che si è sempre sacrificato. Guarda qua. Burattini, belli e cretini. Orologi a cucù, che nessuno vuole più. Ostia parlo con la rima, ma con la poesia non si di­venta ricchi. Devi fare merchandising, pinocchiet­ti dileguo, devi sfondare sul mercato americano, devi mettere da parte la poesia e trovarti un buo­no sponsor. Ecco cosa vuol dire diventare grande e furbo. E adesso basta coi sogni. Andiamo a dor­mire che hai sonno.

PINOCCHIA

Non ho sonno.

GEPPETTO

Il tuo babbo lo sa, vedi, ti si chiudono gli occhiet­ti, hai sonno.

PINOCCHIA

Uffa. La ninnananna, cantami almeno una ninna

­GEPPETTO

Ne so una sola, me la cantava mio nonno. Ascolta (canta con una vociaccia):

Il maiale nel cortile

Non vuol dormire non vuol dormire

Passa Cecco con il badile

E badabom bom bom giù nei coglion

E il maiale va a dormire.

PINOCCHIA

Che cosa dolce. Ma non ho sonno. Mi manca qual­cosa

GEPPETT0

Cosa, Pinocchietta maledetta?

PINOCCHIA

Il giornalino. Gli altri bambini si addormentano col giornalino.

GEPPEITO

Va bene questo?

PINOCCHIA

Cos’è? (dentro al giornale ce n’è un altro nascosto) e questo cos è? “Giovani collegiali bagnate”...

GEPPETTO (strappandoglielo di mano)

È una favola di bambine povere senza ombrello che camminano nella notte, e piove, piove, ma èuna storia triste, dai dormiamo che domani devo lavorare, dèvo fare un prototipo di zoccolo e poi devo telefonare, ho trovato un nuovo numero hot line, una pizzeria, non puoi capire. Dormi?

Pinocchia si mette a russare fragorosamente.

GEPPETTO

Ostia, ma che rumore, come l’abbasso? Ci sarà l’au­dio da qualche parte (le gira un orecchio, il russare si abbassa. Cerca di dormire. Ma Pinocchia inizia un russare diverso, col fischio)

GEPPETTO

Ma che cilindrata c’ha?

PINOCCHIA (si alza di scatto)

Non sto dormendo, ti ho fregato.

Geppetto le mostra minaccioso il cacciavite.

PINOCCHIA

No, no. Giuro che dormo. (dopo una pausa) Papà...

GEPPETTO

Cosa c’è?

PINOCCHIA

Come nascono i bambini?

GEPPETTO

C’è il pisellino, la castorina poi si va nel lettino.

PINOCCHIO

Poi si trombicchia, va bene, ma io come sono nata?

GEPPETTO

No, tu sei diversa. Diciamo, si prende un seme di pero, il diennea, e si può fare una pero, due pere, un albero di pere, delle pere tutte uguali, ecco tu sei una di queste pere. Perché piangi?

PINOCCHIA

Mi hai fatto mangiare una pera. Ho mangiato una sorellina.

GEPPETTO

Ma no, testolina di legno, era una metafora.

PINOCCHIA

No, era una pera. La metafora è una figura del di­scorso, dal greco metaphorein, dire altro per altro, invece la pera dal latino pereo...

GEPPEITO

Non ricominciare a imbesuirrni. Io ti ho compra­to, cioè voluto.., perché non potevo avere figli. La tua mamma, cioè la tua non mamma, la mia don­na Zoe mi ha lasciato.

PINOCCHIA

Perché?

GEPPETTO

Perché i rapporti più sono veri e quotidiani e più si consumano. Come gli zoccoli. Io non le potevo offrire i lussi che

lei voleva e lei aveva una smoda­ta ambizione e uno spietato arrivismo e mi ha la­sciato (urlando in crescendo) per un

commercian­te di legnami indegno, obeso e ignorante, quella troia!

PINOCCHIA

Però l’hai presa bene.

GEPPETTO

Proprio così. La mia solitudine è serena. Ma ora ci sei tu e non sarò più solo. Parleremo sempre, sem­pre. Domani. Adesso dormi.

PINOCCHIA

Ricevuto. (fa finta di dormire, dopo una breve pau­sa riprende) Papà...

GEPPETTO (sbuffando)

Cosa c’è, rompiballe?

PINOCCHIA

Stavo pensando che se i rapporti più sono veri più si consumano quale rapporto più vero di dipen­denza vicinanza simbiosi osmosi del nostro padre-­figlia? Perciò un giorno io me ne andrò, crescerò, mi svilupperò, mi sposerò, e tu tornerai solo e io pure.

GEPPETTO

Dormi o ti saccagno di botte.

PINOCCHIA

Credo che saccagnare sia una voce dialettale, pre­sumo... (Geppetto alza la mano minaccioso) va be­ne, dormo.

Geppetto inizia a russare, lui. Pinocchia si agita e non riesce a prendere sonno.

PINOCCHIA

(a bassa voce) Me ne andrò e mi sposerò. E troverò il principe azzurro. Ma come si fa a trovarlo, a ri­chiamarlo? Dunque nei film la ragazza canta e il principe arriva. Proviamo (canta stonata):

Un giorno arriverà

L’azzurro cavalier...

No, così faccio arrivare i lupi. Cosa faccio, mando un fax?

Voce FUORI CAMPO

Yuhuu... bellina, fiorellino dilegno?

Appare la fatina.

PINOCCHIA

Chi sei?

FATINA

La tua fata protettrice. Serve aiuto? Vuoi consigli?

PINOCCHIA

Anche tu come il grillo.

FATINA

Il grillo è un insetto ortottero maschio, io sono un archetipo favolistico donna e capisco la tuo fem­minilità. Vuoi andare al ballo del principe?

PINOCCHIA

Non sono programmata, non so ballare.

FATINA

Fole. Anche Cenerottola non sapeva ballare ma ap­pena entrato si è sparata dei gran giri di valzer. L’a­vevo preparata io.

PINOCCHIA

Hai fatto una magia?

FATINA

Ma quale magia. Sei mesi di scuola di ballo Efrem, il mago del tango, un culo così dovrai farti se vuoi essere una bimba seduttiva e conquistare il tuo principuzzo. Con gli uomini, sai cosa funziona? Le bugie.

PINOCCHIA

Alloro io sono una seduttrice noto, ma mettetevi d’accordo, uno mi dice di non dire bugie, quell’al­tro le vende, tu mi dici che devo essere bugiardo.

FATINA

La bugia è strategia. La bugia è furberia. Ascolto, a lui devi dire così: “Con te è diverso. Tu mi fai provare cose che nessuno mi ha mai fatto prova­re. Con te è come lo primo volta”. Sottolinea co­me, così intanto gli fai capire che non è lo primo volta. “Mi fai sentire così nonno.., scuso, donna” (inizia a cantare):

You make me feel.. you make me feel

You make me feel like a natural woman...

PINOCCHIA

Come sei brava! Ma io non voglio diventare una cacciatrice d’uomini, io devo stare con papà, esse­re il bastone dello sua vecchiezza, lui è l’unico mio uomo principe e padrone, non ho bisogno d’altro.

FATINA

Testa di legno grulla e limitata, si vede che sei un clone.

PINOCCHIA

Un cosa?

FATINA

Oh dio, non gliel’hanno detto. Insomma, carina, tu sei una donna mica una bimba, guarda quanto sei alta e hai tutte le tue cosine, il tuo babbo può dir­ti le bugie ma non ti ha voluto come figlia.

PINOCCHIA

Ma cosa dici?

FATINA

Bellino, fossi alto così con le dita nel naso saresti una bambina, invece sei una donna e lui ti vuole come donna, guardalo, (indica Geppetto che dor­me) è pure un bell’uomo pieno di pelo, un bell’or­setto. Certo che vuole compagnia, ma non quello che credi. Vuole il tuo corpo. Vuole mangiarti, vuo­le consumarti. È un uomo. Ho scritto molti libri su questo.

PINOCCHIA

No, no, tu menti.

FATINA

Bella mia, crescerai. E ogni giorno il suo sguardo (in­dica Geppetto) cambierà, si incupirà. Scappo finché sei in tempo. Non fidarti degli uomini. (sparisce)

GEPPETTO (si sveglia trasformato, con una parrucca blu e un vocione)

Ehilà, bella burattina!

PINOCCHIA

Ma babbino... coso ti è successo stanotte?

GEPPETTO (si alza, con voce cupa)

Ho sognato... Una pera. Le toglievo la pelle e, ohm, la mangiavo. E poi ho sognato un castello. Con una porta chiusa. E dal soffitto pioveva sangue. Hai pre­parato il caffelatte per il tuo babbo?

PINOCCHIA

Dov’è il caffè, dov’è il latte?

GEPPETTO

Domanda giusto. Non c’è. (iroso) Cosa facciamo, lo dipingiamo sul muro, come la pentola?No. Quin­di bisognerà guadagnarselo. Basta coi burattini, i pupazzetti, io ora farò calzature, pratiche comode calzature di legno. È il momento adatto, senti que­sto slogan: “cammina sul legno, cammina sulla na­tura”. E tu mi aiuterai. Io ho cominciato a lavora­re a dieci anni sai. Adesso fan tutti delle storie, ma guardo qui cosa c’è scritto sul cacciavite: made in Indonesia. Tutti bambini che lavorano là, e son con­tenti. Dai, metti a posto che iniziamo...

PINOCCHIA (si dà da fare frenetica)

Va bene ti aiuterò. Questi cosa sono?

GEPPETTO

Trucioli. È quello che resta dopo che ho fatto un burattino.

PINOCCHIA

Alloro sono... i suoi ricordi, i ricordi di quando era un albero. (tiene i trucioli in mano) E quali sono i no­stri trucioli? Io sono nata in riva al mare, lo sento. Papà ero pescatore. Pescatore e donatore di seme. Mamma non l’ho mai conosciuta. Però quando so­no nata io avevo uno pinna sullo schiena e facevo un certo odore di fritto, perciò... forse era una sirena.

GEPPETTO

Che razzo di bugiarda. Ma sei poetica nelle tue bu­gie. Cominciano a piacermi, in fondo sono come la mia pentola, è un modo per sfuggire allo quoti­quodianità, alla routine, al tram tram. Dobbiamo stare sempre insieme, me and you. Sei una bella bambina. Anzi, non sei più una bambina. Sei cre­sciuta stanotte. Vieni, abbraccia il tuo babbo.

PINOCCHIA

No.

GEPPETTO

Perché?

PINOCCHIA

Insomma, sono cresciuta e allora basta smancerie, effusioni. Ci vuole un rapporto adulto.

GEPPETTO

Potrei picchiarti più forte. Ma no, scherzo. Sono sempre il tuo babbino. Ma basta chiamarmi bab­bo. Chiamami Geppetto. Anzi Geppi. (si avvicina, la prende per mano) Pinocchia cosa c’è, non ti fidi più di me? Voglio insegnarti ciò che serve a una ve­ra donna. A ballare ad esempio, sai ballare?

Iniziano a danzare, dapprima lei esita, poi si lascia andare. Lui improvvisamente la guarda, viene travolto dal desiderio, inizia a spogliarsi goffamente, ha bretel­loni, maglia di lana e mutande lunghe da contadino. Stanno uno in ginocchio di fronte all’altro. Lei ripete, senza spogliarsi, i gesti di lui, come se fosse un gioco. Poi inizia a carezzarlo. Lui, sorpreso da quel gesto dol­ce, arretra e si riveste a metà.

GEPPETTO

No, non è questo che volevo per la mio solitudine, no, questo è troppo, ecco.

PINOCCHIA

Ma a me piaceva.

GEPPETTO

Una cosa è sognare una burattina, un’altra è una donna vera tra le braccia, i ricordi, i trucioli...

PINOCCHIA

Dai, balliamo ancora.

GEPPETTO

No, uno si abitua a stare da solo, poi si abitua a la­mentarsi di stare da solo, poi si abitua a pensare che è meglio stare da solo, poi...

PINOCCHIA

Io non sono mai stato sola. Io sono arrivata qui e c’eri già tu. È brutto?

GEPPETTO

Brutto? Certe domeniche che non finiscono mai, né carne né legno, in questo che non è né paese né città, col pub

vicino al bar dei vecchi e le vigne die­tro al megamarket, il tempo non passa mai, vai in paese e la strada è lunga, ti

sembra che i tuoi pie­di non ti portino avanti, tutti I negozi chiusi, le cam­pane che suonano e ogni tocco dice: “dove

vai? do­ve vai da solo?”. E un vecchietto davanti allo por­ta dice: ‘Ehilà Geppetto, si passeggia” e cosa caz­zo vuoi che

faccio? vorresti rispondere e invece:  “Ehilà Berto, sempre giovane”. Poi torni a casa, ti lavi le mani, mangi... guardi

dalla finestra e aspet­ti che venga scuro. Che venga la notte. E vai a dor­mire. Solo.

PINOCCHIA

Ma non è così, guardati intorno. Non si è mai so­li. Là fuori è pieno di stelle e gechi e grilli. Fuori là, sulla collina, c’è gente, guarda, si picchiano, for­se c’è stato un tamponamento, senti l’ambulanza che arriva. Dipingi un’altra pentola nel camino, di­pingi una scritta dancing, balliamo, parliamo.

GEPPETTO

Va bene, allora, parliamo d’amore, ecco. Ma senza bugie. Voglio essere sincero con te. Io sono stato spesso solo ma non ho mai provato o riempire lo mia solitudine con quelle robe tipo le telefonate porche e il sito hot line ‘chiamami sono la tua Bel­la Melona”. No, io ho sempre desiderato una don­na vera. Ma chissà se una donna vero vuole me?

PINOCCHIA

Certo che ti vuole.

GEPPETTO

Rassicurami: sono un uomo ancora giovanile e de­siderabile?

PINOCCHIA

Sei bellissimo. Sei più virile senza parrucca, e stai bene con le mutande un po’ abbondanti...

GEPPETTO

Va bene, basta, sono rassicurato. E dal punto di vi­sta sessuale? Come pensi che sia?

PINOCCHIA (ricorda la fatina)

Nessuno mi ha fatto provare quello che mi hai fat­to provare tu. Con te è diverso. È come la prima volta. Veramente, tu mi fai sentire donna, donna, donna,. -

GEPPETTO

Quante bugie. Ma mi fanno bene. Starò sempre con te. Sarai la mia donna, la mia sposa, la mia amica. Il nostro sarà un rapporto paritario. Sono felice, oh come sono felice. Non mi sento più so­lo. (piange)

PINOCCHIA

Ma sei proprio una disgrazia.

GEPPETTO

Non voglio innamorarmi. Sono vecchio per queste cose. Una volta ero troppo giovane, adesso sono troppo vecchio. (improvvisamente si adira) Cosa puoi capire tu che sei sintetica, che non hai un’età ma una data di costruzione, che non sei né vecchia né giovane, ne carne ne...

PINOCCHIA (ritraendosi)

Mi hai ferito.

GEPPETTO

Non volevo ferirti.

PINOCCHIA

Mi hai umiliato.

GEPPETTO

Non volevo umiliarti.

PINOCCHIA

Mi hai allontanato.

GEPPETTO

Non... be’, quello sì, un poco.

PINOCCHIA

Allora me ne vado.

GEPPETTO

No, tu sei importante per me, (sbadiglio) non sono uno che si stanca presto delle cose. Non ho paura dei rapporti e della convivenza io... (urlando) la pialla! Dove hai messo la pialla? da quando ci sei tu è tutto fuori posto qua. Mi sembra dieci anni che sei qui.

PINOCCHIA

La pialla la cerco, aspetta, la cerco... (fruga dap­pertutto)

GEPPETTO

Come faccio a lavorare se vuoi sempre cantare e ballare e mi inzucconisci con i tuoi discorsi com­plicati, dai, vai un po’ fuori dai piedi, vai a fare la spesa. Ecco, prendi questi zecchini, vai a compra­re il caffè, il latte, due chili di pere... sono euro (in­dica i soldi) quattro ciocchi di castagno ma deve avere le venature scure, se no non è buono, poi un po’ di rami di ginepro che ci faccio le mani dei bu­rattini.., e poi le zigarette.

PINOCCHIA

Nient’altro?

GEPPETTO

No, (si mette al telefono con un dépliant in mano) vai, dai che c’ho un collegamento di lavoro.

PINOCCHIA (spia)

www.bucocaldo?

GEPPETTO

È una ditta di camini, non ti impicciare, vai a fare la spesa!

PINOCCHIA

Vado. Ti sono indispensabile, vero?

GEPPETTO

Hai cambiato la mia vita da così a così. Adesso vat­tene però.

PINOCCHIA

E se me ne andassi per sempre?

GEPPETTO

(con esagerata drammaticità) L’ho perduta,l’ho per­duta. Ahimè, l’ho perduta. Oh se avessi almeno fat­to qualcosa per trattenerla. Se soltanto avessi det­to una parola, una sola. (la guarda ostile e cambia tono) Sei ancora lì?

PINOCCHIA (si volta, va alla porta, lo guarda) Addio allora.

GEPPETTO

Sì, ciao, ciao.

Cambia la scena. La casa è scomparsa. Semibuio, Pinocchia è seduta sconsolata per terra. Entrano il gat­to e la volpe, vestiti da impresari rock.

GATTO

Ehilà giovane, ma come mai sei depressa? Alla tua età... alla tua età io avevo nove vite. Alla tua età io cantavo tutta la notte dietro alle gatte. Bruciavo i canili. Alla tua età..,

VOLPE

Smettila. Ha tutto il diritto di essere depressa, è spleen giovanile dams-alternativo. Cosa c’è, cosa c’è che non va?

GATTO (rappando)

cosacè che non va, cosa cèchenonvà.

PINOCCHIA

Io non so cosa sono. Carne, legno, o cos’altro. Non so quanti anni ho, se sono giovane o vecchia.

VOLPE

Non sai cosa sei? Carne, legno, materiale sinteti­co. Forse tutto insieme. Ma non è male, è mo­deeeerno. In quanto al giovane o vecchio, cosa vuoi dire?

PINOCCHIA

Sono giovane perché non ho vissuto niente. E so­no vecchia perché son piena di dati, informatissi­ma. Ho già visto tutto, ma non so neanche chi è Geppetto, mio babbo, il mio uomo, cosa?...

GATTO

Geppetto, hai detto?

VOLPE

È Geppetto il tuo problema! È troppo all’antica, cerca di modernizzarsi ma il risultato è pietoso, non puoi fare un videogame di legno. Devi andartene da lui. Il tuo destino è di andare dove devono andare i giovani.

PINOCCHIA

Dove?

GATTO

Verso il futuro. Là, la seconda a destra.

VOLPE

La c’è il paese dei balocchi. Lì amano i giovani. Spesso li mettono a vivere insieme in zoo con te­lecamere, in allevamenti dove alcuni vengono eli­minati e macellati ma altri vincono e son pronti per il successo.

GATTO (rappando)

Là c’è tutto cara, se vuoi fare la tua gara, il successo il successo il successo è a un passo.

VOLPE

Dai carina, tirati su.

PINOCCHIA

E i principi azzurri ci sono?

GATTO

Principi azzurri verdi e viola, vai laggiù e non sa­rai più sola.

VOLPE

Principi azzurri a strisce rosse che non pagano mai le tasse.

PINOCCHIA

Mi avete convinta.

Rappano tutti e tre insieme:

È per te

Cadere in motorino

È per te

Il sociologo cretino

È per te il pedofilo latino

È per te

Se ti mena un questurino

È per te ogni sfiga che c’è...

 PINOCCHIA

Baloccopoli, aspettami. Diventerò una rockstar.

GATTO

Certo, ho già un’idea per il nome: Pin the clone, il nuovo rock sintetico.

PINOCCHIA

Sì. Mi farò strada con le unghie e coi denti. Di­venterò una manager. Una serial killer. Una grande troia! Geppetto, addio.

Escono.

Secondo tempo

La stessa casa, stavolta non c’è la pentola dipinta ma un ridicolo pacchiano camino con una pentola vera, zoc­coli, un mangianastri. Geppetto entra, con gli occhiali ne­ri, una parrucca ridicola, si siede su una nuova, ma sem­pre scassata, poltrona. Sbuffa. Suona il cellulare.

GEPPETTO

Sì, sono io, il numero della mia carta di credito? Geppo tre di bastoni 2426. Ho anche un sito:

www.zoccolandia.com. Cosa avete in catalogo nella vostra hot line Bella Melona 83? No, non mi va più, è troppo rustica. Vorrei qualcosa di più raffi­nato. No, sempre genere etero. Cherie Fifl? Ma co­s’è, un barboncino? Burattina 84. Fai di me quello che vuoi, tutti i fili sono tuoi. No, questa mi mette tristezza. Grimilde 70 la regina cattiva. Domina­tion perversion calci nei maron. No, meglio Cherie Fifl. Va bene, stanotte alle tre.

Si frega le mani, gironzola un po’, mette nel man­gianastri un disco.

VOCE DI PINOCCHIA

Clone clone, come te ce n’è  un milione

Tu mi piaci perché sei un pecorone

Segui ogni moda alla perfezione

Vieni su con me al concertone

Clone clone, come te ce n’è un milione...

 GEPPETTO (interrompe il disco)

Clone clone, come te ce n’è un milione... Si è mes­sa a fare la cantante rock Pinocchia, quella di­sgraziata. Ce l’ha fatta anche senza di me. Ma an­ch’io, cosa credete? Da quando è andata via lei, ho sempre avuto un pensiero fisso. Avere successo. Lei è andata nel paese dei balocchi, io invece son ri­masto qui a lavorare, ho trovato dei soci onesti, la Finanziaria Gattovolpe, e ho inventato questo. Lo zoccolo a due punte, (lo mostra) così quando si con­suma da una parte si può usare dall’altra. Inoltre si può camminare avanti e indietro, a destra e si­nistra e di questi tempi è politicamente adattissi­mo. Con questo sei sempre al centro. Ma poi i giap­ponesi hanno fatto lo zoccoletto tondo (lo mostra) che è anche meglio perché non si capisce qual è la punta e qual è il tacco, è più di centro del mio, dio

bono. E purtroppo, da quando c’è la paura della guerra, la gente spende solo in generi di prima ne­cessità, abiti firmati, pillole per l’impotenza, cani da guardia. Nessuno vuole più i miei zoccoli. Ma io ho investito con la Finanziaria Gattovolpe, loro amministrano il mio patrimonio con un Portfolio Interworld Money Account Ntecul Fund. Certo, so­no tornato solo. Ho chiesto alla ditta un’altra Pi­nocchia, ma m’han mandato una roba! Con dei lab­broni che sembrava un dugongo, la prima volta che ho provato a toccarla mi son tutto unto, resina, si­licone, chissà che roba era. E ripeteva sempre: “An­diamo a fare shopping, shopping”. Io volevo una compagna di legno come quelle di una volta, quel­le coi fili manovrabili. Che le lasciavi vicino al fuo­co, si bruciavano i piedi e stavan zitte. Va be’, ho capito, sì, forse ho sbagliato. Aveva una testa lei, aveva le sue opinioni e, come dicono i tonni, le opi­nioni vanno rispettate, ma se tornasse! Oh, niente più bugie. La rispetterei, le lascerei la sua libertà. Adesso che sono ricco. Insomma, quasi ricco. Ma non tornerà. Chissà dove sarà adesso...

Bussano alla porta.

GEPPETTO

Chi è?

VOCE DI PINOCCHIA (roca, fuori scena) Grimilde 70.

GEPPETTO

Servizio a domicilio?

PINOCCHIA

Offerta speciale. Fammi entrare, Geppetto, sarò la tua padrona. Domination perversion smataflon. Ho degli stivaletti con un chiodo in punta che altro che i tuoi zoccoli. Ti piallo, ti svito, ti mizzo come una pera…

GEPPETTO

Ma dai, è uno scherzo.

PINOCCHIA (cambia voce)

Sì, qui è la polizia animalista, abbiamo ricevuto una segnalazione anonima che nel suo apparta­mento si ammazzano i grilli a martellate...

GEPPETTO

Non è vero.

PINOCCHIA

Sono l’inviato reale. Il principe cerca un signore che al ballo di ieri ha perso una scarpa numero cin­quantaquattro...

GEPPETTO

Ma che razza di balle... bugie... bugie... (si illumi­na) ma è lei, Pinocchia. Pinocchia, aspetta sono sotto la doccia, vengo subito. (si dà da fare per si­stemare la casa, indossa una vestaglia sgargiante e rappezzata, mette tutte le scatole di pere sulla tavo­la, poi si siede con aria tronfia) Avanti!

Entra Pinocchia, con zainetto, un buffo cappello con orecchie di pelo e un giubbotto rosso di cuoio, borchia­to, con la scritta Pin the clone...

PINOCCHIA

Ehilà Geppi!

GEPPETTO

Ma come, come sei conciata. Ma come sei vestita. Ma come sei...

PINOCCHIA

Cambiata?

GEPPETTO

Ma quel giubbotto, il cappellino, vestita così, ma dio mio, ma cosa ti han fatto nel paese dei baloc­chi, che razza di somara sei diventata.

PINOCCHIA

E te allora, con in testa quel gatto surgelato? Sei sempre lo stesso conservatore brontolone e sospet­toso. (si leva il cappello con le orecchie) Ho fatto for­tuna, Geppi, sono una cantante di successo, hai sen­tito la mia bit “clone clone”? un milione di copie.

GEPPETTO

No, mai sentita. Anch’io, sai, ho fatto fortuna. Ra­mo ortopedico. Zoccoli. Guarda qui, zoccolo bidi­rezionale. Ho conquistato il mercato giapponese... Insomma, una quota. Piccola. Va bene, facciamo che non ci diciamo più bugie. Giuri?

PINOCCHIA

Giuro.

GEPPETTO

Mi fido. Ti dirò la verità. C’è una piccola crisi nel mercato zoccolario ma mi rifarò. Ho dei capitali investiti. Ma davvero sei diventata ricca?

PINOCCHIA

Ricca no, benestante. Benestante... non mi manca niente, ecco. Oh che bella pentola...

GEPPETTO

È vera. Non attacca i cibi. Anzi quando la vede, sco­dinzola. Ho imparato anche l’humour! Ma rac­contami del paese dei balocchi...

PINOCCHIA

Oh, un mondo meraviglioso. Pensa che in quel pae­se ci sono dei buchi nei muri che vengono fuori i soldi.

GEPPETTO

I bancomat, li abbiamo anche qui.

PINOCCHIA

Poi non ti immagini il traffico, auto, file, ingorghi, smog.

GEPPETTO

Anche qui hanno fatto il nuovo svincolo dell’auto­strada. Oh, dodici morti questo week-end, come una grande città, eh...

PINOCCHIA

Sì, ma noi abbiamo i Vip. E il gossip. E la benefi­cenza. Tanta, nel paese dei balocchi, non si fa al­tro. Ogni giorno vedi gli aerei che vanno a bom­bardare così dopo si può fare il concerto di bene­ficenza. Senti ruuum il bombardiere che va e lala­la il cantante che canta e bum la bomba che cade e tratran la batteria e aaah il colpito che schianta e aaahhh i fan che impazziscono poi c’è uno che ha una lavagna e spiega: (mima un briefing da ge­nerale americano) oggi abbiamo colpito qui e qui e qui, e per errore anche una scuola elementare, ci siam sbagliati, volevamo colpire solo le quarte e le quinte classi, abbiam colpito una prima, pazienza, faremo un concerto per rifare la scuola. E tutti i cantanti vanno sul palco vestiti di lamé, anch’io ci sono stata, e dicono: io canto per i bambini della Rutelia e io per quelli della Ruandia e io per i pro­fughi della Cerelia e si litiga. Poi si comprano i ba­locchi per i bambini bombardati. Se i bambini so­no morti, i balocchi tornano indietro per la guer­ra dopo, tanto ce n’è sempre una.

GEPPETTO

Dai, che bugie mi dici. E cosa facevi in quel paese?

PINOCCHIA

Ah, io partecipavo. Una parte della giornata dor­mivo, una parte andavo al pub, firmavo degli ap­pelli, facevo delle cose creative, mettevo la fettina di limone nella birra, oppure andavo al cinema, molto cinema, libri pochi che si fa fatica, e mi an­noiavo. Finché mi sono detta: e se io mettessi queste mie esperienze in una canzone? Allora sono an­data da due discografici famosi, Cricket and Fox, e gli ho detto: guardi, io avrei del disagio giovani­le. E loro han risposto: ne abbiamo un sacco di di­sagio giovanile e anche senile e di media età.

GEPPETTO

Giusto.

PINOCCHIA

E io ho detto: ma io sono di legno, non sono mai na­ta e sono computerizzata. Mi sono svitata un brac­cio e ho spento e acceso gli occhi. E loro han detto: cazzo, forte, nuovo! E così è nata Pin the clone.

GEPPETTO

E cos’è successo?

PINOCCHIA

È successo il successo. Be’, non puoi sapere, il bri­vido del palcoscenico. Gli autografi, la stampa, la scorta, i fan che ti circondano. Non hai più una vi­ta privata. Da un aereo all’altro, da un albergo di lusso all’altro. E poi scali le hit parade, su su, pri­ma nelle classifiche nazionali, mondiali, quelle di Sirio sempre più su... (dal buio sbuca un cappio e la prende al collo)

Entrano Cricket e Fox, ovvero il gatto e la volpe.

GATTO

Ridacci i soldi che abbiamo speso per lanciarti, Pi­nocchia, o ti impicchiamo.

VOLPE

Non sei più un business, Pin the clone.

GEPPETTO

Ma... lasciatela stare. Chi siete?

VOLPE

Cricket and Fox.

GEPPETTO

Ma come vi permettete? lei è una grande rockstar, Pin the clone, un milione di dischi.

VOLPE

Ma va’ là: un disco solo ha fatto, poi è scomparsa. Non vende più.

GATTO

Il nostro mondo è crudele, oggi sull’altare domani nella coca. Ridacci i soldi. (le frega lo zaino, se ne vanno, ridendo)

GEPPETTO

È vero?

PINOCCHIA

(seduta per terra, sconsolata) Sì, ho fatto solo un di­sco poi mi hanno derubata di tutto, mi han pian­tata in mezzo a una strada.

GEPPETTO (prima sembra commosso, poi ride sadica­mente)

Accidenti, il brivido del palcoscenico. Gli autogra­fi, la scorta. Quasi ci credevo a tutte le arie che ti davi. La solita bugiarda. Ma che paese dei baloc­chi, sei andata via e non hai combinato niente. Se restavi con me avresti fatto fortuna. Ma no, hai vo­luto fare di testa tua.

PINOCCHIA

Io ci ho provato...

GEPPETTO

E sei nella merda.

PINOCCHIA

Ma Geppetto, un po’ di comprensione... GEPPETTO

Quale comprensione? Ne hai avuta tu quando sei andata via che ho fatto di tutto per trattenerti? Mi ricordo bene, sai. (Pinocchia piange) Pinocchia, non ce l’hai fatta. La vita è così. C’è chi dal suo paesel­lo ce la fa e diventa un industriale della calzatura e c’è chi parte piena di spocchia e torna con le pez­ze al culo. Bisogna sapersi gestire.

PINOCCHIA

Dai, riprendimi con te.

GEPPETTO

No. Troppo tardi. Adesso che ho una posizione.

Appaiono di nuovo il gatto e la volpe, versione ma­nager.

GATTO e VOLPE

Good morning, mister Geppetto.

PINOCCHIA

Ma io vi conosco. Siete Cricket and Fox... GATTO

No. Finanziaria Gattovolpe Spa, sedi Milano Cay­man Isola che non c’è. Mister Geppetto, si ricorda i suoi ultimi soldi? Quelli che ci ha dato quando è fallita la sua azienda?

GEPPETTO

Fallita? Diciamo ristrutturata.

VOLPE

Ecco, c’è stato un trend sfavorevole in Giappone. Lo yen è sceso e così le tue azioni della Misubu­shiu e della Shalakamadumaru le abbiamo vendu­te per comprare...

GATTO

Polenta... farina da polenta.

VOLPE

Ma nessuno apprezza più il vecchio buon sapore della polenta vicino al camino, la dorata polenta oro dei poveri che affratella attorno al desco...

GEPPETTO

Dai, falla corta.

GATTO

Abbiam cambiato la polenta con azioni di auto ma...

VOLPE

...la crisi, la crisi, c’è stato un effetto nursery e il manager Misubushiu si è ammazzato, si è buttato nella polenta bollente, una fine orribile, e poi le ele­zioni in Mozambico e a Viareggio... le comunali a Viareggio, un disastro per lo yen...

GEPPETTO

Ma che favole raccontate, ma che bugie, dove so­no i miei soldi?

VOLPE

Finiti.

GATTO

Sei rovinato. Neanche più uno zecchino. Marameo. (scappano)

GEPPETTO

Truffatori, ma io vi ammazzo. Maledetti! Giapponesi! (gli tira dietro uno zoccolo, i due spariscono)

Geppetto crolla in ginocchio, Pinocchia ride poi si scatena.

PINOCCHIA

(spietata) Il grande industriale della calzatura. Sei finito, i tuoi zoccoli non li vuole più nessuno. E fa­cevi la lezione a me...

GEPPETTO

Pinocchia, un po’ di comprensione.

PINOCCHIA

Ma quale comprensione! Mi hai scacciata, perché non obbedivo e non ti adoravo. Ho cucinato per te, lavato e stirato i mutandoni tuoi e dei tuoi burattini.

GEPPETTO

Ma quando mai?

PINOCCHIA

Mi ricordo bene. Altroché babbo zio amante. Un segaiolo stagionato, ecco cosa eri, con tutte le tue squallide telefonate e le belle melone di notte. E sai cosa sei adesso? Un vecchio. Un povero vecchio che non riesce nemmeno più a dire le bugie.

GEPPETTO

Sì, hai ragione. Basta bugie, che fatica inutile. Puoi dire bugie quando muori? puoi dire: non è vero, son freddo, non respiro più ma mi passa. Eppure le mie non erano fantasticherie, io ci ho provato a correre dietro ai miei sogni, ma quelli mi scappavano via davanti, che razza di stivali c’hanno. Tutte le volte che guardavo quella pentola dipinta in quel camino scrostato, pensavo: un giorno avrò una bella casa con dei grandi muri bianchi su cui dipingere quel­lo che voglio. Ma non ce l’ho fatta, è brutto il mon­do, i sogni, le favole, che malattia. Meglio spegnere la luce, che uno non veda la sua miseria. Non sono stato un buon esempio per te, un buon babbo. Nean­che un amante, né un marito. Io vado.

PINOCCHIA

(irosa) Ma sì, vai pure. Dove?

GEPPETTO

(allucinato) Dalla balena. Sì, dalla balena... anche se è impreciso dire balena perché la balena ha i fanoni che sarebbero come una griglia che un uomo non ci passa dentro, sarà meglio dire capodoglio, anzi pe­scecane, che ha i denti e può ingoiarti... (se ne va co­me un sonnambulo) La balena, lei nuota nel mare, con la bocca aperta e il plasmon le entra in bocca.

PINOCCHIA

Plancton, ignorante.

GEPPETTO

Sai tutto, te. Il plancton le entra in bocca. Sareb­be come se io potessi camminare e aspetto e... mi entra in bocca il

cibo, ecco un pollo, gnam, una patatina, gnam... (mima di mordere l’aria) va’ va’ che sta arrivando il dolce... ostia

l’ho mancato... (esce di scena)

PINOCCHIA (resta un istante con la testa tra le mani)

Maledetto vecchiaccio, fallito. Mi ha rovinato la vi­ta. (tira un calcio al mangianastri, che si accende. Risuona la canzone “clone clone”) Ah, non la cono­sceva, eh? E questo cos’è? il mio manualetto di istruzioni, modello Pin 452. Ma guarda, è pieno di note. È la scrittura di Geppetto (legge): “Oggi è ar­rivata Pinocchia, la mia vita è cambiata. (continua a leggere) Mi sto affezionando a lei, ogni giorno di più”. Be’, mi era affezionato almeno. “Amo la mia Pinocchia, qualche volta mi fa arrabbiare ma è la mia gioia, la mia allegria.” (stupita e felice) Gep­petto mi amava, faceva il burbero ma mi amava. “Amo Pinocchia e non posso pensare che scada.” Che scada? Ma non è possibile, io sono un model­lo indistruttibile... credo. Vediamo il manualetto, (sfoglia le pagine) dunque Pin 452 modello para­creaturale, memoria, alimentazione, manutenzio­ne, durata, ecco durata, ecco qui: data di scaden­za. È cancellata. No, ma non scherziamo... io non scado. Non ho mai avuto questi pro- questi pro-problemi. Oh dio, parlo male. (le parte un braccio in un movimento strano) Cosa mi sta succedendo, ma dai è suggestione, non devo spaventarmi: ecco adesso farò un test se la test, un test se la testa fun­ziona. Rosso di sera bel tempo si pera, cioè si spe­ra. Perfetto. La teoria della gravità. La teoria della gravità dice che non è grave una bugia detta a metà. No, non è così, nonnnnonnonoooo. (sempre più agitata) Una cosa facile, le pere. Enumerare. Esi­stono vari tipi di pere. La pera spadona, la pera passacrassana, la abate fetel, la pera suora, la pe­ra culona, il pernod, il perigord, il perizoma, per-dio ho perduto la peroria scadrò perirò pereché pe­reché. Geppetto mi amava e l’ho scacciato. Ho scac­ciato l’unico uomo che poteva salvarmi. Cogliona! Non avrei dovuto deriderlo. In fondo mi ha voluto bene... ma io lo cercherò... come si cerca un figlio, ecco, come una madre cerca un figlio. (si butta fuo­ri nella notte, buio, vento) Geppetto, Geppetto. Ave­te visto Geppetto. Come? In riva al mare su una barca. Ma non sa nuotare. L’ha rubata? Quello sì, è capace. Anch’io prenderò una barca. Va bene, pa­go. Accettate un pagamento in pere? Da che parte è la balena? Babordo? Non so cos’è. Nord-est? Non ho la bussola. Fanculo? Sì, lo so dov’è, ma vi pre­go aiutatemi. Geppetto, Geppetto, non dirò più bu­gie, dove sei? attento alla balena...

Un grande telo raffigurante una balena scende sulla scena, sigla musicale di una trasmissione televisiva. Geppetto è seduto, triste e sconsolato su una sedia. Entrano il gattogrillo e la fatavolpe, vestiti da presentatori.

FATA

Signore e signori, falliti e vincitori purché spetta­tori, eccoci qui per un’altra puntata di (insieme) Balena balena, che bello fare pena.

GATTO

E il caso pietoso che sottoponiamo al vostro buon cuore e alla vostra insaziabile curiosità è quello di un uomo che non voleva più essere solo, che cer­cava calore e passione ma naturalmente non c’è riuscito, ed eccolo qua, guardate, un vero rottame che ci racconterà la sua storia.

FATA

Un applauso per Geppetto. (gli toglie la parrucca) L’uomo che disegna le pentole sui muri. Udite udi­te che miseranda vicenda. Egli ebbe un dì una com­pagna, tale Pinocchia, ma tanto fece e tanto brigò che...

GATTO

Che quella lo mollò, se la svignò nel paese dei ba­locchi e lo lasciò solo come un cane...

FATA

E cosa fece Geppetto? Si rifece una vita? Divenne ricco? Bene, siamo collegati in diretta con la ban­ca del signor Geppetto, ora sapremo a quanto am­monta il suo conto.

GATTO

(al cellulare) È sotto, è sotto (salta di gioia) tremi­la euro in rosso! Rovinato.

FATA

Ma si può rifare se risponderà a questa domanda da un milione. Chi ha scoperto la legge di gravità?

Geppetto sta per parlare ma suona subito il gong.

FATA

Il tempo è scaduto, peccato, è grave che non lo sap­pia. Qualcuno vuole fare domande? Laggiù, dica: la domanda è come sta di salute il signor Geppetto?

GATTO

Male! Abbiamo qua in esclusiva le analisi del san­gue del signor Geppetto ma che dico sangue, una mota, un limo di virus e bacilli, una brucamaglia di microbi, ottocento di glicemia, non è un uomo, è un krapfen, e guardate le ossa tutte tarlate dalla vec­chiaia, si alzi signor Geppetto, faccia vedere la zop­pia, fantastico, provi a ballare, non ci riesce.

FATA

(con voce dolce) Il signor Geppetto però sa fare be­ne una cosa: i burattini. Ve ne facciamo vedere uno:

accidenti, si è rotto.

GATTO

Anche questo. (lo smembra)

Geppetto si agita, cerca di rimettere insieme i pezzi, si incazza.

FATA

Calma calma, si ricordi che lei è un ospite. Allora, Balena che pena, come sempre, stasera farà una buona azione. Dovete sapere che Geppetto non è stato mollato solo una volta, la sua vita è piena di mollamenti, un materasso di vita. Prima di Pinoc­chia aveva una moglie, Zoe.

GATTO

Una moglie che lo lasciò per un uomo più sano, più giovane, più ricco e disonesto, un commer­ciante di legname all’ingrosso. Come criticarla?

VOLPE

Ebbene, questa sera potrebbe darsi che questo amo­re che svanì causando tanto dolore a Geppetto pos­sa ricominciare, grazie a noi di Balena che pena.

GATTO

Guardi quella porta. Abbiamo chiesto dopo vent’an­ni a sua moglie se voleva tornare stasera con lei, ebbene... (stacco musicale, la porta resta vuota) ha detto di no. Non è venuta, mica scema... Applausi!

FATA

Ma ora un nuovo colpo di scena. Geppetto non è stato sempre solo. Aveva una strana, paradossale compagna. Una giovane della gat-line, miao miao, Bella Melona 83 con cui passava momenti erotici intensi.

GATTO

Geppetto e Melona non si sono mai conosciuti. Eb­bene, stasera finalmente possono vedersi in faccia. Geppetto, il momento è commovente: ecco qui Bel­la Melona. (gli mette in mano un registratore)

VOCE SEXY

Sì, piallami, fammi l’alesatura, Geppettone, sono la tua Melona sugosa...

GATTO

Ebbene sì, era un nastro registrato, Bella Melona morì dodici anni fa ammazzata da un maniaco sui viali della circonvallazione.

FATA

Solo Balena che pena poteva darvi questa emo­zione.

Geppetto singhiozza.

GATTO

Geppetto piange. Che spettacolo meraviglioso. E con questo chiudiamo questa puntata di... (insie­me) Balena balena, che bello fare pena.

Escono ballando sulla sigla. Geppetto resta sulla se­dia. Entra Pinocchia.

PINOCCHIA

Geppetto... ma cosa fai qui?

GEPPETTO

Pinocchia... sei venuta. Non ci speravo. Va bene èuna mezza bugia, ci speravo. Sei venuta perché hai capito che ti mancavo?

PINOCCHIA

Sì. Anzi no, è una mezza bugia, ho anche visto che, insomma, hai cancellato la mia data di scadenza,

e non mi sento tanto bene, solo tu mi conosci, puoi ripararmi, puoi cambiare il chip.

GEPPETTO

Ma no, dai. Meglio finirla qui. Io sono vecchio e tu sei... consumata ecco. Perché ricominciare?

PINOCCHIA

Ma dai... la nostra libertà, comunque un po’ di libertà ce la siamo conquistata, difficile, rabbiosa, litigando, ma ci siamo riusciti, tu volevi essere te stesso, io me stessa.

GEPPETTO

Te stessa me stesso, fa lo stesso adesso. È inutile.

PINOCCHIA

Tu non sei inutile. Sai fare dei bellissimi burattini, ho visto la faccia dei bambini quando li guardava­no. E quegli zoccoli geniali. E facevi delle bellissi­me sedie. Una gioia per il culo...

GEPPETTO

Non lo dici perché scadi, vero? Be’ sì, si divertiva-no i bambini. E le mie sedie, sono robuste, puoi sa­lirci in piedi... per impiccarti.

PINOCCHIA

Ma smettila. Un po’ di grinta, Geppi. Tu mi hai inse­gnato a tener duro, come una quercia ai vento, di­cevi. Mi hai insegnato la differenza tra il pero giova­ne e il vecchio, tra il legno che brucia bene e quello che fa solo fumo... le differenze sono importanti...

GEPPETTO

E tu mi hai insegnato il nome delle stelle... e che bisogna ascoltare le favole ma non crederci trop­po.., che le favole migliori sono quelle che non dan­no ordini, che sono disinteressate.

PINOCCHIA

Non bisogna mai essere interessati: quando scade il mio chip?

GEPPETTO

Perché, vuoi che lo cambi? Cosa farai se non ti fac­cio scadere?

PINOCCHIA (gli bacia il naso)

Balleremo... E poi con la mia testolina e il tuo ta­lento faremo un nuovo modello di zoccolo, per prendere a calci in culo i giapponesi e gli sfrutta­tori di pinocchi. Vivremo né vecchi né giovani, né carne né legno, ma liberi...

GEPPETTO

Sì, e diremo bugie nostre, artigianali, di legno, non quelle che ci insegnano gli altri. Dimmi una bella bugia tua originale.

PINOCCHIA

Non mi interessa conoscere la mia data di scadenza.

GEPPETTO

Ah, che bugia geniale. Scadi (consulta l’orologio) stasera tra cinque minuti.

PINOCCHIA

Ah, (ride) che bella bugia.

GEPPETTO

No, no, è vero, scadi stasera.

PINOCCHIA (strabuzza gli occhi, scuote la testa, zoppica) Ma io mi senti benissimi perfettamenti intelligen­ti è una persecuzione dei giudici non sto perendo son perenne perepè mi sento bene benebè.

GEPPETTO

Per caso ho qui il chip.

PINOCCHIA (rantola a terra)

.sotto il pero sei stato un grande perotico aman­te, giuro, o Isaac o Geppo, amore mio...

Geppetto le cambia il chip, la fa riprendere.

PINOCCHIA

Grazie. Io ho salvato tu, tu hai salvato mu.

GEPPETTO (scivola a terra, con una gamba che scalcia)

No. Anch’io ho una sorpresa. Scado stasera. Sono

donato anch’io. Guarda sulla schiena.

PINOCCHIA (guarda e grida)

No!

GEPPETTO

Sì, sono un modello giapponese, Geppettoyota...

(crolla)

PINOCCHIA

Geppetto, Geppetto... non morire.

GEPPETTO

(con un fil di voce) .. .ma che morire, basta cam­biarmi le pile, ce le ho in tasca...

Pinocchia gliele cambia, Geppetto si rialza in piedi. Pinocchia crolla a sua volta.

PINOCCHIA

Please help me my chip is chop...

GEPPETTO

Ma no, si vede che hai una crisi di rigetto, dai che

io so riparare tutto, fidati, ecco, va meglio?

Pinocchia si rialza, Geppetto crolla.

GEPPETTO

Hai montato male le pile. Mi spengo... addio...

PINOCCHIA (cerca di ripararlo)

Resisti non puoi finire così... trova dei motivi per andare avanti.

GEPPETTO

Sì, ho visto cose che voi umani non potete nean­che immaginare. Ho visto le mucche tornare nelle

stalle di Orione al tramonto scuotendo i campa­nacci. Ho visto Nerio il muratore mangiare ses­santa chili di salsiccia. Ho visto la nebbia scende­re come un vaporoso sipario tra i pioppi. Ho visto un uomo solo al comando, Fausto Coppi! Ho visto i comunisti... quelli veri... (si rialza)

PINOCCHIA

Coraggio, ecco, ora le pile sono messe bene.

Geppetto si rialza, Pinocchia fa dei segni, annaspa.

GEPPETTO

Adesso che ci penso, era un chip usato, l’ho paga­to la metà.

PINOCCHIA (barcolla)

Taccagno, potevi spendere per un chip nuovo.

GEPPETTO

E me li dai tu i soldi, disgraziata?

Si sostengono a vicenda, in un buffo ballo.

PINOCCHIA

Babbino avaraccio.

GEPPETTO

Pinocchietta maledetta.

PINOCCHIA

Ignorante come uno zoccolo, c’hai i bacchetti in te­sta babbino.

GEPPETTO

Disgraziata, occhiacci di legno.

Si abbracciano, danzano.

Sipario

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