Pinocchio

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CIS CENTRO STUDI “IO SONO” LABORATORIO TEATRALE

                                                         PINOCCHIO

I° scena

        (Al centro un cubo con sopra un ciocco con protuberanza)

M. Cil.   : (al pubblico) Così nella favola di Collodi cominciai a lavorare il ciocco di noce, ma quello mi si ribellò tra le mani ed io, impaurito e disorientato, fui ben felice di regalarlo al mio amico Geppetto dopo una breve scaramuccia!  

                 (M. Cil. dà il legno a Gep. e va)

                 ( Gep. copre con un panno il legno e dice:)

Gep.       :  Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno, ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e fare i salti mortali … con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un pezzo di pane e un bicchiere di vino!

                      (dal panno sotto il tavolo emerge il P. e Gep. lo estrae come da sé … lo  

                       partorisce).

                      Mimata: P. fa il burattino, poi marameo a Gep., Gep. gli insegna a

                      camminare, ma quando P. sa camminare, scappa verso il pubblico.

                      ( Entra un gendarme e ammanetta Gep.)

                                                 Via tutti.

                      (entra P. e si rivolge al narratore)

Pin.        : Allora, posso finalmente parlare?   

Narr.      : Sì adesso puoi parlare, ma ricordati che sei solamente un seme, un pinolo; questo è il significato di “Pinocchio”, sei solo una “possibilità”!

Pin.        : Vorresti dire che come possibilità potrei rinunciare a questa faticosissima serie di avventure?

Narr.      : Certo che potresti! Ma non lo farai, altrimenti non potremmo continuare lo spettacolo e non sarebbe interessante per nessuno, tantomeno per te…Perciò va avanti con la storia, coraggio!

                                        (P. rimane perplesso, poi:)

Pin.        : Dopo che il mio babbo fu arrestato, tornai a casa e …

                                        (entra il Grillo)

Gri.        : Cri, cri, cri, buongiorno P.

Pin.        : E tu chi sei?

Gri.        : Io sono il grillo parlante, il tuo insegnante e consigliere, ti esorto a non ribellarti a tuo padre, a studiare o lavorare per vivere ma tu …

Pin.        : Io mi secco a sentire questi discorsi e quando mi dici che ti faccio compassione perché ho la testa di legno, ti tiro addosso un martello di legno, così!!

Gri.        : Io rimango stecchito. Con questo atto tu uccidi il messaggero di saggezza in te, il tuo istruttore, il tuo Hod interiore luminoso, per ritrovarti solo, affamato, senza guida né sostegno!   (va)

Pin.        : (al pubblico) Affamato davvero! Perché dopo il Grillo incontrai     l’uovo-pulcino che mi salutò e ringraziò tutto allegro e complimentoso, lasciandomi a beccasciutto e con un palmo di naso! E non parliamo poi di quel vecchiaccio che mi rovesciò addosso quella catinellata d’acqua …      “Fatti sotto e para il cappello!” Gli avevo solo chiesto un pezzo di      pane … per asciugarmi da quel bagnato, mi bruciai i piedi …

                                           (P. si arrabbia e piange)

Narr.      : Chetati, P. stai solo imparando la prima lezione: disobbedire al     “padre”-“madre” Geburah e tacitare il “messaggero” Mercurio Hod porta all’incapacità di autoalimentarsi e alla perdita dei “piedi” e di conseguenza all’impossibilità di procedere sul sentiero.

                                          (entra Gep.)

Gep.       : Ma io i piedi glieli ho ricostruiti subito e l’ ho anche sfamato con tre pere, tutta la mia colazione … (a P.) poi ti ho confezionato il vestito e mandato a scuola con l’abbecedario frutto della vendita della mia unica casacca…

                               (mimata di mani che danno libro e prendono in cambio una

                                zimarra rattoppata)

                P. allegro mette il cappello e saluta Gep. che va.

                                Musica e mimata

                Fata e Geppetto lavorano insieme per offrire a P. le tre lettere dell’alfabeto A, B, C       P. le getta via.

Narr.      : P. invece di andare a scuola, vende l’abbecedario per un biglietto d’ingresso al teatro dei burattini. I burattini appena lo vedono, lo chiamano sul palcoscenico e gli fanno una gran festa.

                                  (entra Mangiafuoco con i burattini e candela)

Mangiaf.: Portatemi qua quel burattino che è venuto a mettere scompiglio nel mio teatro! Mi pare fatto di legno molto asciutto e sono sicuro che buttandolo sul fuoco, darà una bellissima fiammata al mio arrosto!

Pin.        : Babbo mio salvatemi! Non voglio morire, non voglio morire!

Mangiaf.: Etcì! Etcì!

Arlec.    : Buone nuove, fratello! Il burattinaio ha starnutito e questo è segno che ormai si è mosso a compassione per te e ormai sei salvo …

Mangiaf.: Etcì!

Pin.        : Felicità.

Mangiaf.: Grazie. Il fatto è che non ho più legna per cuocere il mio arrosto e tu mi avresti fatto un gran comodo. Ma ormai mi sono impietosito … Olà gendarmi prendete Arlecchino e gettatelo a bruciare nel fuoco!

Pin.        : Pietà per Arlecchino, signor Mangiafuoco!

Mangiaf.: Qui non ci sono signori.

Pin.        : Pietà signor cavaliere!

Mangiaf.: Qui non ci sono cavalieri.

Pin.        : Pietà signor commendatore!

Mangiaf.: Qui non ci sono commendatori.

Pin.        : Pietà eccellenza!

Mangiaf.: Ebbene, P., che cosa vuoi?

Pin.        : Vi domando grazia per il povero Arlecchino!

Mangiaf.: (togliendosi la maschera e al narratore) Mi dispiace, ma io questo personaggio non lo capisco proprio … prima vuole arrostire P., poi Arlecchino, a sentirsi chiamare “eccellenza” va in brodo di giuggiole,

                 infine di fronte al sacrificio di P. che vuol morire al posto di Arlecchino, non solo rinuncia al suo proposito, ma regala a P. ben 5 zecchini d’oro …   ma che significa tutto questo? A me sembra solo un guazzabuglio da sfasati …(si siede al proscenio) (tutti, P., Arlecchino, i 2 gendarmi lo guardano preoccupati …)

detti      :  in fondo ha ragione …

Narr.     :  Ma no, ma no, è tutto logico e chiarissimo! Mangiafuoco rappresenta la Sephirah Netzach, il centro del plesso solare, l’aria del piano astrale, infatti agisce con lo starnuto (aria d’acqua), è generoso e ricco di oro rosso (rame, Venere) ed è da lui e per lui che P. “impara” a donarsi per la prima volta … e poi il riconoscimento di P. da parte dei burattini è fondamentale in questa parte dell’iter; “tra burattini” ci si ritrova a far festa, e gioire e piangere insieme, a occuparsi per la prima volta degli “altri”; è questa una prima espansione orizzontale che culmina col “sacrificio” di P. per Arlecchino, il “vero amico”, il pinocchio delle maschere della Commedia dell’Arte che sintetizza nell’abito multicolore tutti i vizi e le virtù umane.

                 Ma andiamo avanti con le avventure di P., a questo punto …

                                         (entrano la Volpe zoppa e il Gatto cieco)

Volpe    :  Buongiorno, P.

Pin.       :  Com’è che sai il mio nome?

Volpe    :  Conosco bene il tuo babbo.

Pin.       :  Dove l’hai veduto?

Volpe    :  L’ho veduto ieri sulla porta di casa sua.

Pin.       :  E che cosa faceva?

Volpe    :  Era in maniche di camicia e tremava dal freddo.

Pin.       :  Povero babbo! Ma, se Dio vuole, da oggi in poi non tremerà più.

Volpe    :  Perché?

Pin.       :  Perché io sono diventato un gran signore.

Volpe    :  (ridendo) un gran signore tu?

Pin.       :  C’è poco da ridere. Mi dispiace davvero di farvi venire l’acquolina in bocca, ma queste qui, se ve ne intendete, sono 5 bellissime monete d’oro.

Volpe    :  E ora che cosa vuoi farne di codeste monete?

Pin.       :  Prima di tutto voglio comprare per il mio babbo una bella casacca nuova, tutta d’oro e d’argento e coi bottoni di brillanti; e poi voglio comperare un abbeccedario per me …

Volpe    :  Vuoi raddoppiare le tue monete d’oro?

Pin.       :  Cioè?

Volpe    :  Vuoi tu di 5 miserabili zecchini, farne 100, 1000,2000?

Pin.       :  Magari! E la maniera?

Volpe    :  La maniera è facilissima. Invece di tornartene a casa tua, dovresti venire con noi.

Pin.        : E dove mi volete condurre?

Volpe    :  Nel paese dei Barbagianni .

Pin.       :  (dopo un po’) No non ci voglio venire.

Volpe    :  Allora vai pure e tanto peggio per te.

Gatto     :  Tanto peggio per te!

Volpe    :  Pensaci bene, P. perché tu dai un calcio alla fortuna.

Gatto     :  Alla fortuna!

Volpe    :  I tuoi 5 zecchini dell’oggi al domani sarebbero diventati 2000.

Gatto     :  Duemila!

Pin.       :   Ma come è possibile che diventino tanti?

                 (P. si toglie la maschera) al pubblico

Pin.        :  Ma come è possibile anche se si è burattini credere a una panzana del genere?

                             (Gatto e Volpe si tolgono la maschera)

Gatto     :  Credimi, è molto facile essere convinti dai nostri vizi ad accettare illusioni o chimere come realtà. Io, come Gatto, non sono altro che il tuo Hod negativo, la tua avidità e crudeltà; hai visto come mi sono pappato il Merlo bianco che voleva allontanarti da noi? Io non desidero altro che le tue energie, i tuoi zecchini d’oro.

Volpe    :  Il mio fare suadente e sornione, la mia coda vistosa ed elegante ti incantano e ti fanno sembrare possibile il guadagno favoloso ottenuto senza sforzo e merito. Io rappresento il tuo Netzach negativo e voglio solo strapparti quello che ti è stato regalato da Mangiafuoco, il tuo Natzach positivo, e te lo posso togliere perché quell’oro non è proprio tuo, ti era stato dato per tuo padre …

Pin.       :  Questo ora l’ho capito. Potreste spiegarmi che cosa significa la cena al gambero rosso, il vs/ pasto pantagruelico, il mio digiuno e il sogno?

Volpe    :  Piano, piano, una cosa per volta.

                 Noi, tuoi vizi assecondati, ti portiamo al “gambero rosso” perché quello è il luogo del tuo retrocedere e dove inizi a perdere il 1° zecchino; così il ns/ abbuffarci a tue spese non può che lasciarti a digiuno; il sogno poi non è altro che una compensazione della realtà: il Campo dei miracoli è solo un sogno, una chimera, un inganno.

Pin.        : Ma poi perché diventate “assassini”?

Volpe    :  Per i vizi ci sono due modi rubare l’energia alla personalità: con le buone, con la promessa di vantaggi e con le cattive, incutendo paura e facendo violenza; noi li sperimentiamo entrambi su di te, ma la violenza non funziona … tu hai la fatina dalla tua … e poi sei di legno duro, di legno buono, di noce …

Pin.       :  Eh,già! Perché ora, fuggendo da voi assassini, per la prima volta “vedo” la Bella Bambina dai capelli turchini. Ma chi è questa fata che invece di aprirmi la porta e farmi entrare, mi dice di essere morta e mi lascia alla vostra mercé?

                 (Gatto e Volpe vanno, entra la Fata)

Fata       :  Ah, mi stai accusando di non averti soccorso a tempo; ma, burattino mio, io avevo mandato l’ombra del Grillo a salvarti, ma tu, ignorandolo, l’hai ucciso per la seconda volta; uccidendo lui, hai ucciso anche me.

Pin.        :  Oh, no! Io non voglio assolutamente che tu muoia!

Fata        :  Lo so, tu non vuoi, tu non vorresti, ma il vizio uccide la virtù e adesso, a questo punto per poter comunicare tra noi, anche tu devi essere “come morto” … ed eccoti qui nella mia casa onirica … resuscitato, curato, guarito tuo malgrado e poi anche nutrito e coccolato … Io sono pronta ad ascoltarti, a guidarti, ma tu …

Pin.       :  Quando mi chiedi dei zecchini d’oro comincio a dire bugie e il naso mi cresce fino a immobilizzarmi ma perché?

Fata      :   La libertà è il frutto della verità; la prigione è il frutto della menzogna. La sincerità avrebbe aumentato la luce del tuo “occhio” di pino, la bugia aumenta la materia del tuo naso in modo abnorme e mostruoso, sviluppi così il tuo Geburah nero (il naso è l’organo della respirazione)).

Pin.       :  Ma tu, allora, Chi sei?

Fata      :   Io sono la Via, quella centrale dell’Albero, sono la Verità, Bambina prima, adulta poi, la tua Luna Yesod e il tuo Sole Tiphereth: ti “parlo” nel cuore col sentimento e nella mente col cuore e ti lascio andare nel bosco solo perché tu possa tornare a me volontariamente e per sempre … (va)

Narr      :  (entrano Volpe e Gatto) P. ritrova la Volpe e il Gatto e va con loro a seminare le 4 monete al Campo dei miracoli

                 (Azione mimata e poi P. esce. Gatto e Volpe rubano gli zecchini e vanno)     (torna P. e Pappagallo)

Papp.    :  Ah, ah!

Pin.       :  Perché ridi?

Papp.    :  Ah, ah!

Pin.       :  Insomma, si può sapere, Pappagallo maleducato, di che cosa ridi?

Papp.    :   Rido di quei barbagianni che credono a tutte le scioccherie e che si lasciano trappolare da chi è più furbo di loro.

Pin.       :  Non capisco. Parli di me?

Papp.    :  Si, parlo di te, povero P., di te che sei così dolce di sale da credere che i denari si possano seminare e raccogliere nei campi, come i fagioli o le zucche.

Pin.       :  Non ti capisco.

Papp.    :   Pazienza! Mi spiegherò meglio: sappi dunque che mentre tu eri in città, la Volpe e il Gatto sono tornati in questo campo, hanno preso le monete d’oro sotterrate e poi sono fuggiti come il vento. E ora chi li raggiunge è bravo!

                 (P. scava, piange, si dispera)

Narr.     :  P. tornò di corsa nella città di Acchiappa-citrulli e andò di filato al tribunale per denunziare al Giudice i due malandrini che lo avevano derubato.        (entra il Giudice e due gendarmi sul fondo)

                 Il Giudice lo ascoltò con molta benignità, prese vivissima parte al racconto, s’intenerì, si commosse e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e sonò il campanello

                              (i gendarmi avanzano)

Giu.       :  Quel povero diavolo è stato derubato di 4 monete d’oro. Pigliatelo dunque e mettetelo in prigione.

Narr.     :   (P. viene messo dietro una grata) E lì v’ebbe a rimanere quattro mesi, quattro lunghissimi mesi e vi sarebbe rimasto anche di più se il giovane imperatore che regnava su la città di Acchiappacitrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, non avesse ordinato grandi feste pubbliche compresa l’apertura delle carceri, mandando fuori tutti i malandrini.

Pin.      :   Se escono di prigione gli altri voglio uscire anch’io.

Carc.    :   No tu no, perché non sei un malandrino.

Pin.      :    Domando scusa, sono un malandrino anch’io.

Car.      :   In questo caso hai mille ragioni.

                        (P. esce e al narratore)

Pin.      :    Ecco un'altra assurdità che non capisco: sono stato derubato e il Giudice condanna me. Mi dichiaro un malandrino e sono liberato. Ma che razza di mondo è questo?

Narr.    :   E’  il mondo capovolto, è l’albero delle Qelipoth da dove le scintille di luce imprigionate aspettano di essere liberate … In questo mondo di ombra il giudice è ingiusto, il Sole è un serpente con la coda che fuma e la Luna la bocca di un pescecane … tu ora tenti di tornare a casa, ma ti si fa incontro il tuo serpente, il Dragone, il tuo male, la tua ombra.

                  (Mimata lotta del Drago con il Guerriero che ripone la spada e lascia che

                   P. sgambettando in aria faccia ridere il drago fino alla sua fine)

Pin.       :  Allora ho vinto il Drago e sono libero per sempre?

                  (risponde la voce della Fata senza apparire)

Fata      :   No, P., hai solo rimandato il momento della lotta, ma un merito ce l’hai: hai fatto “morire dal ridere” il Dragone che ti ha lasciato passare, tanto sa che sei ancora nel suo territorio … ecco che, per sfamarti rubi l’uva moscatella e rimani preso nella tagliola preparata per la faina.

                 (entra il contadino)

Cont.    :   Ah, ladracchiolo! Dunque sei tu che mi porti via le galline?

Pin.       :   Io no, io no! Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva.

Cont.     :  Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare anche i polli! Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo!

                 (lo libera dalla tagliola e lo lega al guinzaglio)

                 Ormai è tardi voglio andare a letto. Intanto, siccome oggi mi è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di star ad orecchi dritti e di abbaiare.

Pin.       :  Mi sta bene! Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato e il vagabondo; ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la fortuna mi perseguita sempre …

 Narr.     :  Ma quale fortuna, P., quale fortuna! Tu devi solo pagare le conseguenze del tuo operato; anzi, quella che tu chiami “fortuna” è la parte di te sempre pronta a rimetterti sul Sentiero quando te ne allontani … Tu qui vuoi cogliere l’uva in un campo non coltivato da te; non puoi cogliere nulla senza il permesso del coltivatore … e poi l’uva probabilmente non è adatta al tuo stomaco: un cibo troppo spiritoso potrebbe solo danneggiarti!

                            (entra Faina)

 Faina     :  Buona sera, Melampo.

 Pin.       :   Io non mi chiamo Melampo.

 Faina     :  O dunque chi sei?

Pin.      :  Io sono Pinocchio.

Faina    :  E che cosa fai costì?

Pin.      :  Faccio il cane da guardia.

Faina    : O Melampo dov’è? Dov’è il vecchio cane che stava in questo casotto?

Pin.      :  E’ morto questa mattina.

Faina    :  Morto? Povera bestia! Era tanto buono! Ma giudicandoti dalla fisionomia, anche te mi sembri un cane di garbo.

Pin.      :  Domando scusa, io non sono un cane.

Faina    :  O chi sei?

Pin.       : Sono un burattino.

Faina    :  E fai da cane di guardia?

Pin.      :  Pur troppo: per mia punizione.

Faina    :  Ebbene, io ti propongo gli stessi patti che avevo col defunto Melampo; e sarai contento.

Pin.      :  E questi patti sarebbero?

Faina    :  (al pubblico) I patti che andavano bene per il cane Melampo non sono quelli giusti per il burattino Pinocchio. In questa occasione egli, non solo recupera l’Albero bianco con un positivo comportamento presso il Coltivatore del Campo (Assiah), ma riesce a trasformare noi 4 faine da energie negative volte al male (corruttrici, ladre, sanguinarie, assassine) in cibo buono e nutriente: saremo infatti cucinate uso lepre dolce e forte…     (entra il contadino incappuccia la faina e carezzando Pinocchio lo libera).

Narr.    :  Appena P. non sentì più il peso durissimo e umiliante di quel collare intorno al collo si pose a scappare attraverso i campi e in pochi minuti si ritrovò sul prato dove c’era una volta la casa della Fata. Ma la casina bianca non c’era più. C’era invece una piccola pietra di marmo:

Pin.      :  “Qui giace la Bambina dai capelli turchini morta di dolore per essere stata abbandonata dal suo fratellino Pinocchio” (scoppia a piangere)

               O Fatina mia perché sei morta? … Il mio povero babbo dove sarà? Se davvero mi vuoi bene torna viva come prima, che vuoi che faccia qui solo in questo mondo? Ora che ho perduto te e il babbo, chi mi darà da mangiare? Dove andrò a dormire la notte?                                                  

               Oh, cento volte sarebbe meglio che morissi anch’io …  Anzi, sì: voglio morire .. morire …

                (entra il Colombo)

Col.      :  Dimmi, bambino, che cosa stai facendo quaggiù?

Pin.      :  Non lo vedi? Piango!

Col.      :  Conosci per caso un burattino chiamato P.?

Pin.       :  P.? hai detto P.? Pinocchio sono io!

Col.      :  Tre giorni fa ho lasciato tuo padre sulla riva del mare …

Pin.       :  ..E cosa faceva?

Col.      :  Si stava fabbricando una barchetta per traversare l’Oceano … si è messo in testa di cercarti nei paesi più lontani del Nuovo Mondo

Pin.      :  Oh, e quanto c’è di qui alla spiaggia?

Col.      :  Più di mille chilometri. Se vuoi venire ti ci porto.

Pin.      :   Come?

Col.     :  A cavallo sulla mia groppa. Sei peso di molto?

Pin.     :  Al contrario sono leggero come una foglia …

               (Colombo prende il Burattino P. e se lo pone sulle spalle poi vola c/ mantello)    ( entra la fata)

Fata     :  (al pubblico) P. si è purificato con il dolore e i buoni propositi, è diventato leggero come una foglia, anzi, quasi come una piuma e può volare con me che mi sono fatta colombo per lui, al di sopra di tutte le difficoltà. Può nutrirsi finalmente di cibo di vecce, leguminose, semi di terra aerea che danno forza e conoscenza e giungere sulla riva del mare     (comincia a giocare con una barchetta in cui c’è il burattino Geppetto e su un foglio blu posto sul tavolo, muove il burattino P.)

               Ma Geppetto è lontano e irraggiungibile, diretto verso un mondo nuovo di rinascita: li separa un mare in tempesta.

               Il sacrificio di Pinocchio è però lodevole e lo fa crescere: lo riporta nuovamente verso di me che gli appaio reale, non più bambina, ma Donna. Pinocchio è infatti giunto all’isola delle Api industriose.   (esce)

               (entra un uomo con un carretto carico e un altro con un secchio molto pesante) si fermano stop.

Pin.     :   (al primo) Mi fareste la carità di darmi un soldo perché mi sento morire dalla fame?

1°Uo.  :   Non un soldo solo, ma te ne do 4 se tu mi aiuti a tirare questo carretto fino a casa.

Pin.     :   Mi meraviglio! Per vostra regola io non ho fatto mai il somaro: io non ho mai tirato il carretto.

1°Uo.  :  Meglio per te, allora ragazzo mio, se ti senti davvero morir di fame, mangia due belle fette della tua superbia, e bada di non prendere un indigestione.

Pin.     :  (al secondo) Fareste, galantuomo, la carità di un soldo a un povero ragazzo che sbadiglia dall’appetito?

2°Uo.  :  Volentieri. Vieni con me a portar calcina e invece di un soldo te ne darò 5.

Pin.     :   Ma la calcina è pesa e io non voglio durar fatica.

2°Uo.  :   Se non vuoi durar fatica, allora ragazzo mio, divertiti a sbadigliare, e buon pro ti faccia.

                                 (P. siede al proscenio a pensare)

                                 (Entra la Fata) con 2 brocche

Pin.     :   (si avvicina) Vi contentate, buona donna, che io beva una sorsata d’acqua alla vostra brocca?

Fata    :   Bevi pure, ragazzo mio.

Pin.     :   La sete me la sono levata. Così potessi levarmi la fame!

Fata     :   Se mi aiuti a portare a casa una di queste brocche d’acqua, ti darò un bel pezzo di pane.

               (P. non dice né sì né no)

                E insieme col pezzo di pane ti darò un bel piatto di cavolfiore condito con l’olio e l’aceto.

                (P. come sopra)

                E dopo il cavolfiore ti darò un bel confetto ripieno di rosolio.

Pin.      :   Pazienza, vi porterò la brocca fino a casa.

               (arrivano a casa, la Fata apparecchia, P. divora, poi)

Pin.      :  Oh, oh!

Fata      :  Che cosa è mai tutta questa maraviglia?

Pin.      :  Egli è … egli è …egli è … che voi mi somigliate, … voi mi rammentate… sì, sì, sì la stessa voce, gli stessi occhi, gli stessi capelli, sì, sì, anche voi avete i capelli turchini come lei! O Fatina mia, o Fatina mia, ditemi che siete voi! Non mi fate più piangere! Se sapeste! … Ho pianto tanto, ho patito tanto!

                                         (in ginocchio abbraccia la Fata)

Fata     :  Birba di un burattino, come ti sei accorto che ero io?

Pin.     :   (al pubblico) dopo aver riconosciuta la Fata e averla accettata come mamma feci questo solenne proponimento: (alla Fata)

               Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l’hai promesso, non è vero?

Fata     :  Te l’ho promesso e ora dipende da te. (va)

Pin.     :   (al pubblico) Per un po’ di tempo frequentai la scuola del paese; il maestro era contento di me e la Fata pure; mi raccomandavano solo di non frequentare cattivi compagni di scuola …

               Ma un giorno, alcuni di loro riuscirono a trascinarmi con la scusa di andare al mare a vedere il Pescecane ed io andai incuriosito; poteva essere quello stesso di cui si parlava quando il mio babbo era affogato.

                Un po’ per gioco, un po’ sul serio iniziammo sulla spiaggia un gran combattimento a colpi di libri, un ragazzo rimase ferito, arrivarono i carabinieri e arrestarono me.

               Tentai di fuggire, ma fecero inseguire dal cane Alidoro, mi tuffai in mare e il cane dietro, ma siccome non sapeva nuotare, ecco che stava per affogare: gli salvai la vita.Mentre ancora fuggivo nuotando, fui pescato da … 

                                   (compare il Pescatore verde con una rete)

Pesc.    :  Che razza di pesce è mai questo? Di pesci così non ricordo di averne mai mangiati! Ah, ho capito; deve essere un granchio di mare!

Pin.      :  Granchio ci sarà lei! E badi a come parla sa!

Pesc.    :  Oh! …Ma allora?

Pin.      :  Io, per sua buona regola, sono un burattino!

Pesc.    :  Un burattino? Beh, dico la verità, il pesce burattino per me è un pesce nuovo. Meglio così: ti mangerò più volentieri.

Pin.      :  Che? Mangiarmi? Ma la vuol capire che non sono un pesce? O non sente che parlo e ragiono come lei?

Pesc:    :  E’ verissimo e siccome vedo che sei un pesce, che hai la fortuna di parlare e di ragionare come me, così voglio usarti anch’io i dovuti riguardi.

Pin.      :  E questi riguardi sarebbero? …

Pesc:    :  In segno di amicizia e di stima particolare, lascerò a te la scelta di come vuoi essere cucinato …

Pin.      :  (al pubblico) Capite? Voleva farmi fritto in padella! …

Pesc:    :  E ti avrei mangiato di sicuro se non fosse venuto Alidoro, il cane da te salvato, a rubarti dalle mie mani e a liberarti …

Pin.      :  Ma perché tutto questo? E tu chi sei?

Pesc.    :  Io sono il dio del mare, delle acque perigliose che divora chi osa invadere il suo regno senza la dovuta qualificazione: il tuo lasciapassare è proprio Ali-d’oro: una facoltà aerea, positiva, del piano mentale che ti sei conquistato e che all’ultimo momento ti permette di uscire dal pericolo anche se “spogliato”, infarinato e, diciamolo pure un po’ malconcio … Ma ora tu hai acquistato un “potere” sulle acque del mare, che ti servirà più tardi … (esce)

Pin.      :  (al pubblico) Avuto in regalo un sacchetto di carta vuoto per rivestirmi da un vecchietto che stava sulla porta a scaldarsi al sole (probabilmente un altro travestimento della Fata), arrivai tutto timoroso alla casa della mia benefattrice; l’acqua veniva giù a catinelle … bussai timidamente.

                        (si affaccia da un paravento una lumaca)

Lum.    :  Chi è a quest’ora?

Pin.      :  La Fata è in casa?

Lum.    :  La Fata dorme e non vuole essere svegliata; ma tu chi sei?

Pin:      :  Sono Io

Lum.    :  Chi io?

Pin.      :  Pinocchio.

Lum.    :  Chi P.?

Pin.      :  Il burattino, quello che sta in casa con la Fata.

Lum.    :  Ah, ho capito; aspettami costì, che ora scendo giù e ti apro subito.

Pin.      :  Spicciatevi per carità, perché io muoio dal freddo.

Lum.    :  Ragazzo mio io sono una lumaca, e le lumache non hanno mai fretta …

               (passa un po’ di tempo, P. bussa di nuovo, la lumaca si affaccia più in basso)

Pin.      :  Lumachina bella, sono 2 ore che aspetto! E 2 ore, a questa serataccia, diventano più lunghe di due anni. Spicciatevi, per carità!

               (suona il tocco, poi le due ecc. P. al pubblico)

Pin.      :  Allora persi proprio la pazienza, afferrai con rabbia il battente della porta e quello, che era di ferro, diventò ad un tratto un anguilla viva, che sgusciandomi dalle mani, sparì nel rigagnolo d’acqua in mezzo alla strada. Allora presi a bussare a calci, ma un colpo fu così forte, che il piede mi rimase conficcato dentro al legno. Sul far del giorno arrivò finalmente la lumaca; la pregai di liberarmi o almeno, di portarmi qualcosa da mangiare … tornò dopo tre ore e mezza …

Lum:    :  Ecco la colazione che vi manda la Fata.

                (P. tenta di mangiare, ma essendo il cibo finto, per la fame, il dolore e la rabbia, sviene) la lumaca tira una tenda musica, buio;                              P. è disteso su un sofà, la Fata vicino.

Fata      :  Anche per questa volta ti perdono, ma guai a te se me ne farai un’altra delle tue! Ma ora voglio proprio sapere che cosa hai imparato da questa ultima lezione …

Pin.      :  Che una volta sul Sentiero non posso tradire la fiducia del mio Maestro interiore, se non a costo di grandi sofferenze e rischi; che non sono l’arroganza e l’impertinenza a nutrirmi, ma solo la modestia e la

               comprensione; l’imprigionamento del piede o dei piedi mi impedisce  di avanzare e l’arresto e il digiuno mi portano allo svenimento, una terza morte che però mi consente di rivedere Te,mia Fata e mia Luce …

Fata     :  Piano, piano, non uscire dalla favola, sei ancora burattino …

Pin.      :  E’ vero. E’ vero. Ti promisi solennemente che avrei studiato, ti giurai che mi sarei comportato sempre bene e mantenni la parola per tutto il resto dell’anno …

Narr.    :  Difatti agli esami delle vacanze Pinocchio ebbe l’onore di essere giudicato il più bravo della scuola  e la Fata ne fu tutta contenta:

Fata      :  Domani finalmente il tuo desiderio sarà appagato.

Pin.      :  Cioè?

Fata     :  Domani finirai di essere un burattino  di legno, e diventerai un ragazzo per bene!

Pin.      :  Oh, Fatina mia cara, grazie! …

Fata     :  Domani tutti i tuoi amici e i tuoi compagni di scuola saranno invitati qui per festeggiare l’avvenimento! Ho fatto preparare dugento tazze di caffè e latte e quattrocento panini imburrati sopra e sotto …

Pin.      :  Che bello, che bello, che bello …

Narr.    :  quella giornata prometteva di essere molto bella e molto allegra, ma … disgraziatamente, nella vita dei burattini c’è sempre un ma che sciupa ogni cosa.      (buio, poi via Fata)

Narr.    :  Quel giorno stesso P. andò ad invitare tutti i suoi amici alla colazione della Fata ma non trovò in casa un suo compagno carissimo e prediletto il cui nome era Romeo, ma che tutti chiamavano Lucignolo per il suo personalino asciutto e allampanato. Cerca di qua, cerca di là, alla fine lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini.

Pin.      :  Che cosa fai costì?

Luc.     :  Aspetto la mezzanotte per partire.

Pin.      :  Dove vai?

Luc.     :  Lontano lontano lontano.

Pin.      :  E io che sono venuto a casa a cercarti tre volte! …

Luc.     :  Che cosa volevi da me?

Pin.      :  Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi è toccata?

Luc.     :  Quale?

Pin.      :  Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te e come tutti gli altri.

Luc.     :  Buon pro ti faccia.

Pin.      :  Domani, dunque ti aspetto a colazione a casa mia.

Luc.     :  Ma se ti dico che parto questa sera.

Pin.      :  E dove vai?

Luc.     :  Vado ad abitare in un paese … che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!

Pin.      :  E come si chiama?

Luc.    :   Si chiama il paese dei balocchi. Perché non vieni anche tu?

Pin.     :   Io? No davvero. Ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo per bene e voglio mantenere la promessa, dunque addio e buon viaggio!                          (al pubblico)

               Ma non tornai a casa, quello fu solo l’inizio di una lunga trattativa tra me e la tentazione lucignolo e alla fine, quando a mezzanotte arrivò il carro tirato da 12 pariglie di ciuchini e guidato da un omino più largo che lungo, tenero e untuoso …

Omino :  E tu, amor mio, che intendi fare? Vieni con noi o rimani?

Pin.      :  Io rimango. Io voglio tornarmene a casa mia …

                (al pubblico)

                ma era solo l’ultimo filo di resistenza, perché pochi attimi dopo ero in groppa ad un ciucchino diretto al paese dei balocchi, dimentico dei miei doveri e delle mie promesse.

                (mimata di grande allegria con P. Luc. e altri)

Narr.    :  Intanto era già 5 mesi che durava questa bella cuccagna di baloccarsi e divertirsi le giornate intere quando un mattino P. svegliandosi, ebbe una gran brutta sorpresa: gli erano cresciute due orecchie d’asino, lunghe e pelose. Andò a trovare il suo amico Lucignolo: anche quello era stato colpito dalla stessa malattia; dapprima a vedersi l’un l’altro risero di gusto, poi cominciarono a piangere, infine a ragliare sonoramente: si erano tramutati in asini.

               L’Omino li prese e li portò al mercato; vendette Lucignolo ad un contadino e Pinocchio al direttore di una compagnia di pagliacci e di saltatori di corda.

Pin.     :   Avete capito chi è l’omino, quel brutto mostriciattolo, tutto latte e miele, così affettuoso con le sue vittime? È il contrario di Geppetto il buon babbo, quello che invece di “formare” deforma, invece di nutrire avvelena, invece di accrescere l’energia, la mercifica e la sfrutta fino alla morte.

               Ma dovevo ancora toccare il fondo delle mie esperienze negative.

               Venduto al direttore del circo imparai a suon di frustate a ballare e saltare … ma quando, alla serata di gala del mio primo spettacolo, riconobbi da lontano la mia Fata, ormai perduta per sempre … mi lasciai azzoppare … era l’unico modo per accelerare la fine.

                Fui riportato al mercato e venduto di nuovo per venti soldi per essere affogato e far della mia pelle un tamburo …ma i pesci mangiarono il mio rivestimento asinino e di nuovo burattino riuscii a fuggire nuotando a più non posso. Mentre ero in mezzo al mare notai uno scoglio che pareva di marmo e sulla cima una Caprettina che belava amorosamente e faceva cenno di avvicinarmi. La lana della Caprettina era turchina, d’un color turchino sfolgorante, che rammentava moltissimo i capelli della Bella Bambina … il mio cuore cominciò a battere all’impazzata, raddoppiando di forza e di energia, mi diedi a nuotare verso lo scoglio bianco, ero già a mezza strada quand’ecco che un mostro marino, con la bocca spalancata come una voragine mi si fece incontro

Pin.     :   Come potevo essendomi così allontanato dal Sentiero, raggiungere la mia Eterna nutrice, la mia Madre Cosmica, la mia Cornucopia divina, senza prima discendere nel ventre del mostro e recuperare lì, salvandola, la mia origine e radice?

                            (Mimata del mostro che inghiotte Pinocchio)

Narr.    :  Così P. fu inghiottito dal Pescecane, e, nuovo Giona nel ventre della balena, fu messo di fronte alla necessità di riconoscere la vera libertà ed i doveri ad essa legati.  L’incontro con il Tonno poi rappresenta l’affioramento del potere acquisito nel contatto col Pescatore verde…    una forza prima solo intuita come voce, poi vero strumento di salvezza.

                                        (tenda, Geppetto, tavolino ecc.)

Pin.      :  Oh, Babbino mio! Finalmente vi ho ritrovato! Ora poi non vi lascio più. Mai più. Mai più!

Gepp.   :  Dunque gli occhi mi dicono il vero? Dunque tu se’ proprio il mi’ caro Pinocchio?

Pin.      :  Sì, sì, sono io, proprio io! E voi mi avete di già perdonato, non è vero? Oh, babbino mio come siete buono! E pensare che io invece … Oh, ma se sapeste quante disgrazie mi sono piovute sul capo e quante cose mi sono andate a traverso!

                                    (parlano fitto tra loro)

Narr.    :  P. e Gepp. presero a raccontarsi le loro storie da quando si erano lasciati e l’uno compativa l’altro per i pericoli, le ansie, le disavventure … questo trasfondersi dell’esperienza del puer nel senex e viceversa ricomponeva la frattura iniziale e la sanava …

               (intanto i due tentano di uscire di scena, la prima volta non riescono e fanno un balzo indietro, poi ritentano e vanno.)

                (cambio scena: una capanna, una porta, una panca)

                P. bussa a una porta, gli apre il grillo, P. accudisce il padre, gli da da bere il latte, fa canestri e ne ricava soldi … dà i soldi alla lumaca … si addormenta nel proscenio. Tutti i personaggi gli girano attorno … si sveglia e … non è più un burattino.

Pin.      :  (prendendo in mano il burattino) Come ero buffo quand’ero un burattino e come sono ora contento di … aver conosciuto Me Stesso.

                                             Formazione Albero Cabalistico.

     

                                                      Fine