Pioggia, stato d’animo

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PIOGGIA, STATO D’ANIMO

Commedia in un atto

di ALESSANDRO FERSEN

PERSONAGGI

LUI

LEI

Commedia formattata da

 (Piove. In un portone è ferma una fanciulla; sembra inquieta. Dal portone esce un giovane con un ombrello. Guarda la signorina, ma non osa rivolgerle la parola. La fanciulla lo guarda a sua volta. Il giovanotto, che stava per aprire il suo ombrello, si arresta. La fanciulla fa il gesto di fuggire nell'interno del portone)

Lei                           - Io abito qui.

Lui                                   - Prego.

Lei                           - Grazie lo stesso.

Lui                                   - (con un sorriso) Peccato... Buona sera. (Apre l'ombrello)

Lei                                   - Senta.

Lui                           - Si?

Lei                           - Non ha mica una matita?

Lui                           - Guardo... non credo. (Cerca nelle varie tasche)

Lei                           - Perché cerca? Sa benissimo di non averla.

Lui                           - A che le serviva?

Lei                           - A notare un numero. Chi me l'ha dato non ave­va neppur lui una matita... e ora ho paura di dimenti­carlo.

Lui                                   - Mi spiace... che numero era?

Lei                           - Ottantotto, sei sette, cinquantatre.

Lui                           - Ottantotto, sei sette, cinquantatre: un numero di telefono? Lo terrò a mente io.

Lei                           - (ridendo) Lei non è mica il mio carnet.

Lui                           - Posso diventarlo.

Lei                                   - Troppo ingombrante

Lui                                   - Non troppo... L'ha conosciuto poco fa?

Lei                                   - (inquieta) Chi?

Lui                           - Quello che le ha dato il numero.

Lei                           - Come ha fatto a indovinarlo?

Lui                           - E semplice: gliel'ha dato poco fa, sotto la piog­gia, e lei ha paura di dimenticarlo, perché non saprebbe dove ritrovare quel tale.

Lei                           - (ride, poi) E poi, cosa ha scoperto ancora?

Lui                           - Che lei o non ha telefono in casa, il che mi sembra poco probabile, (accenna al suo modo di vestire, che è piuttosto elegante) o ha ragioni per non volere che le si telefoni a casa.

Lei                                   - (in fretta) Buonasera, devo andare. (Accenna ad avviarsi sotto la pioggia)

Lui                           - Non abita più qui?

Lei                           - (angosciata) Che cosa vuole da me? Chi è lei?

Lui                           - Perché si spaventa cosi?

Lei                           - È una spia, vero?

Lui                           - Spia a tempo perso: di regola faccio il rapitore e il sicario.

Lei                           - Non scherzi, la prego! Io mi spavento sul serio.

Lui                                   - E ora vado subito a telefonare a quel numero: ottantotto, sei sette... o forse è un numero sbagliato?

Lei                                   - (un po' enigmatica e un po' divertita) Credo di no.

Lui                           - (rattristato) È una persona cosi segreta, quella del numero? (Lei scoppia in una risata argentina. Stan­co) Bene. Mi scusi, devo andare. (Si avvia)

Lei                           - Eh, già. Lei ha l'ombrello...

Lui                           - (volgendosi) Ma?... (Improvvisamente contento) È vero, lei non abita qui! Vede che poliziotto da quat­tro soldi! (Si riavvicina, si guardano ridenti) Posso of­frirle un passaggio? (Lei viene sotto l'ombrello e si av­viano in silenzio) Dove devo accompagnarla?

Lei                           - A un telefono.

Lui                           - Ce n'è da queste parti?

Lei                                   - Laggiù... in fondo alla muraglia. (Camminano in silenzio; il portone scompare alle loro spalle; il lume livido dei lampioni passa sui loro volti. Un lontano rit­mo jazz, che li accompagnerà a tratti e con intensità e modulazioni variabili per tutto l'atto, si fa sentire)

Lei                                   - Come piove.

Lui                                   - Non finisce più. (Silenzio) Attenta, una pozzan­ghera!

Lei                                   - Grazie.

Lui                           - Piove sempre cosi in questa città?

Lei                           - Lei non è di qui?

Lui                                   - No.

Lei                                   - Si vede.

Lui                           - £ un male. Da che cosa si vede?

Lei                           - Non so, forse è più gentile. Gli uomini di qui non sono molto gentili. Bisogna stare molto attenti: di­co, una donna. Di notte, specialmente.

Lui                                   - (come lievemente geloso) Eppure qualcuno l'ha fermata poco fa... (Lei scoppia a ridere) È la seconda volta che ride. Perché ride cosi?

Lei                                   - Perché gli uomini sono buffi, quando vogliono sapere qualche cosa, Che non li riguarda.

Lui                           - Mi scusi.

Lei                                   - Non ho mica detto che mi dispiace. (Si danno un'occhiata ridente e sfuggevole)

Lui                                   - (fermandosi ed osservando qualche cosa che attra­versa loro la strada per terra) Che cos'è?

Lei                           - Una rana. In questa stagione invadono sempre la nostra città. Bisogna stare attenti, succedono tanti in­fortuni: avrà notato che tutti i portoni delle case ven­gono sprangati alle venti.

Lui                                   - E io che ho lasciato i miei armadi aperti... Che città.

Lei                           - Da quanto tempo è qui?

Lui                           - Da una settimana.

Lei                                   - Vedrà, a primavera, che lavoro per i netturbini sbarazzare le strade!

Lui                           - Attenta dove mette i piedi! La testolina è un po' nelle nuvole o mi sbaglio?

Lei                           - Con questo tempo ci vuoi poco... (Ridono)

Lui                           - Mi dia il braccio che è meglio. (Lei fa l'atto d'infilare il braccio in quello di lui, ma subito lo ritira)

Lei                                   - No, è meglio di no. Mi scusi, ma devo stare at­tenta. Ho fatto delle cattive esperienze, mi scusi. Io di lei non so nulla.

Lui                           - E io di lei, molto.

Lei                           - (allarmata) ~ Che cosa sa?

Lui                                   - Un numero di telefono, tutto qua... un po' mi­sterioso...

Lei                                   - Non mi faccia prendere di questi soprassalti, la prego. (Infila il braccio in quello di lui) Com'è bello passeggiare sotto la pioggia!

Lui                                   - Noi passeggiamo?

Lei                           - Si. No?

Lui                           - Si, si.

Lei                           - Vero! Lei mi stava accompagnando al telefono!

Lui                                   - Grazie per averlo dimenticato. (Lei è un po' ver­gognosa; camminano in silenzio)

Lei                           - Lei da dove viene?

Lui                           - (vago) Dalla costa.

Lei                                   - (con gioiosa sorpresa) Come tutto è anormale stasera! Mi sento cosi tranquilla, eppure non so niente di lei, da dove viene, che cosa fa, chi è. Non mi suc­cede mai.

Lui                                   - Bene.

 56

 Lei                                  - E lei parla sempre cosi poco? Lei è un uomo misterioso. Oh Dio, non dovrei mica aver paura proprio stavolta? Chiedere delle informazioni su di lei prima di frequentarla?

Lui                                   - Si lasci andare per una volta; le fa bene.

Lei                                   - (ammirata) Come fa a saperlo? Come fa a sa­pere tante cose di me? (Lui sorride senza rispondere. Un po' esaltata) Si, è tutto anormale stasera. Anormale che io mi faccia accompagnare da uno sconosciuto, anormale che questo sconosciuto sia lei, anormale che io le dia il braccio cosi, sotto quest'ombrello...

Lui                                   - Ma è solo per le pozzanghere...

LEI                                  - (raccogliendo scherzosamente la sfida) Si, solo per le pozzanghere! (Si guardano con intenzione e ridono)

Lei                                   - (pensierosa) Forse... (Ma s'interrompe) Com'è lunga la muraglia-

Lui                                   - Pensa alla telefonata?

Lei                                   - (sfuggendo alla domanda) Cattivo che non mi lascia sguazzare un po'! Eppure oggi ne ho proprio vo­glia! Una! Una pozzanghera sola! (Ridono)

Lui                                   - (indica una pozzanghera davanti a loro) Co­raggio!

Lei                                   - (sollevando un piede) Lo metto?

Lui                                   - Via! quella caviglia da fare invidia ad un an­gelo tutta imbrattata di fango!

Lei                                   - (improvvisamente confusa) Andiamo.

Lui                                   - Che cos'è questa fretta tutt'a un tratto?

Lei                                   - (dopo un silenzio) Mi ha dato un po' fastidio... A lei avrebbe fatto piacere, vero? No, non lo neghi: l'ha detto in un modo!

Lui                                   - Devo o non devo fare il balio?

Lei                                   - (scoppiando a ridere) Vederla con un grembiulino a pizzo e due spilloni d'oro in testa! (Anche lui ride. Improvvisamente seria) Lei ora m'ispira confidenza come un vecchio amico, ora mi fa sentire che vorrei scompa­rire sotto terra: mi fa paura.

Lui                                   - Povero me, che ho fatto?

Lei                                   - L'ha detto in un modo, del fango... che non mi è piaciuto.

Lui                                   - Le ho detto solo che lei ha una bella caviglia.

Lei                                   - Per piacere. (Nasconde il capo dietro il braccio di lui) Forse non è vero che non mi è piaciuto. Non so. Non so più niente. (Lui leva la mono per carezzarla; lei, come avesse visto) Non mi carezzi! (Lui mette la mano in tasca) Ecco, bravo: la mano in tasca. (Camminano in silenzio. Sollevando il capo) È passato.

Lui                                   - Mi sembra che la muraglia sia finita.

Lei                                   - Si, ecco il telefono. (Si fermano) Le sembro una bugiarda, io?

Lui                                   - Non so, perché?

Lei                                   - Com'è quel numero di telefono, signor carnet?

Lui                                   - (triste) Ottantotto, sei sette, cinquantatre.

Lei                                   - (ridendo) Che numero triste... Prima le ho det­to una bugia: che abitavo in quel portone...

Lui                                   - (minimizzando) Fa niente.

Lei                                   - ... e dopo una seconda bugia. Quel numero non me lo ha dato nessuno, è il mio. (Poi, bloccando la sua gioiosa sorpresa) E adesso mi lasci fare questa telefonata. (Poi si avvicina al telefono che si trova in alto, fissato alla muraglia. Una scaletta di legno, legata con una ca­tenella al muro, permette l'accesso all'apparecchio. Lei appoggia la scaletta al muro e vi sale) Mi tenga ferma la scala, per favore. (Lui da un'occhiata interrogativa) È per il livello delle acque, quando crescono... (Arriva all'altezza dell'apparecchio e forma il numero) Si... sono io. Io! Pronto? Non si sente... io! Insomma, io! Oh, fi­nalmente... come mai? Alla muraglia? Non capisco come mai! (.Bamboleggia in modo inatteso e intimo) E io sola sola, con tutte queste nubi... (Copre il ricevitore con la mano e si rivolge a lui) Mi ripari dalla pioggia piutto­sto! (E si stringe la gonna intorno alle gambe)

Lui                                   - (sale qualche gradino) Non avrei mai osato guar­darla dal basso in alto...

Lei                                   - (severa) Cominciamo?

Lui                                   - Perdono: non pensavo a niente di male. (La ri­para con l'ombrello, arrampicato anche lui sui pioli del­la scala)

Lei                                   - (carezzevole ed accomodandosi al microfono co­me fosse sui cuscini di un divano) Si?.., qualcuno... nessuno! qualcuno... curioso! (Ride) Ma no, un passante, un signore con l'ombrello... No, io non posso: piove trop­po, son troppo lontana. Si, piove anche qui: anche nel parco, piove dappertutto... I taxi sono tutti in collina con questo tempo, lo sai... No.,, no, per il Corso, no.., ci sono troppi rospi sul Corso e la piccolina ha paura... (Lui rat­tristato fa l'atto di scendere dalla scala, ma te lo pren­de per mano e lo trattiene a forza, continuando la tele­fonata) Scherzavo, papi! Sta' tranquillo... Sono normalissima come le altre sere... No! da ieri? È passato tanto tempo? Aspetta un momento (Copre il microfono con la mano; a lui) II suo orologio è fermo?

Lui                                   - No, perché?... sono le... Ma si, è fermo.

Lei                                   - Tutti gli orologi si fermano, quando piove cosi. Non s'inquieti. (Al microfono) Non ho potuto saperlo... Te l'ho detto... qualcuno... ma no! nessuno, un passante! Secondo te un passante è qualcuno o nessuno?... Per me, secondo i casi. (Più seria) Su, non inquietarti! è il signore con l'ombrello! è molto gentile... Vuoi conoscer­lo, papi?... Ecco, te Io presento... (Copre il microfono con la mano e fa cenno a lui di prendere il suo posto) Mi raccomando... mi faccia far bella figura!

Lui                                   - (aggiustandosi involontariamente per la presenta­zione e cercando un equilibrio sulla scaletta) Pronto, si... molto piacere... lei è molto gentile... oh, la signorina è troppo buona... si, ci penso io, stia tranquillo... sono un balio ideale! Molto piacere... si, grazie... piacere mio... spero di aver presto l'occasione di conoscerla di persona. (Lei gli fa cenno che vuole ancora parlare e lui le cede il microfono)

Lei                                   - Hai visto quant'è carino... e giovane anche!... si! (C'è nelle sue parole un tono di civetteria sconcertante) Ma sono maggiorenne, papi!... No, di nuovo laggiù? pia­cevole? Dici?... non saprei. (Con voce sommessa) Oggi so­no cosi asciutta... No, non te la prendere, oggi non mi va... Dormi tranquillo, telefonerò fra qualche ora. Si, ciao. Ciao. Ciao. (Appende il ricevitore. Scende dalla scala. Lui la attende in basso piuttosto scontroso) Fatto. (Vedendo che lui esita) Andiamo?

Lui                                   - Dove vuole andare?

Lei                                   - In là. (Si avviano) Come siamo scontrosi tutt'a un tratto... Lei ha ascoltato la telefonata.

Lui                                   - Non ho ascoltato. Ho sentito.

Lei                                   - Ebbene? Non ha capito niente, vero? Le telefo­nate degli altri sono sempre in lingua turca, non lo sa? Non bisogna mai ascoltarle. (Pausa) Su via, non passe­remo la sera a meditare su di una telefonata!

Lui                                   - Mi scusi, lei... è sola?

Lei                                   - (attenta) è una domanda un po' generica... co­me sola?

Lui                                   - Be' stasera, tanto per cominciare.

Lei                                   - (nervosa) Dipende da lei, no?

Lui                                   - Che lei sia sola?

Lei                                   - Certo. Non mi faccia queste domande. Lei capi­sce che nel momento in cui lei me lo chiede, io cesso di essere sola. E... non voglio.

Lui                                   - Forse lei è una ragazza un po' strana.

Lei                                   - Tutto è un po' strano con questo tempo. Via, la prego, torni carino, come prima! Presto! Presto! (Lei ha un brivido di freddo)

Lui                                   - Ha freddo? Vuole prendere qualche cosa al bar?

Lei                                   - No, è meglio di no. C'è il neon.

Lui                                   - Ha paura che ci vediamo in faccia?

Lei                                   - Continuiamo a camminare per ora, le spiace?

Lui                                   - No, anzi. (Lei si stringe al braccio dì luì e van­no; la pioggia cresce)

Lei                                   - (spaventata, sottovoce) Oh Dio, c'è qualcuno che corre dietro di noi!

Lui                                   - (dopo aver ascoltato) Sono le gocce, le gocce della pioggia sull'ombrello!

Lei                                   - È vero. (Ascolta) Che bello. È...

Lui                                   - ... è segreto.

Lei                                   - ... è intimo. (Ascoltano) Ci si sente al sicuro... al chiuso. (La musica jazz sembra più. vicina. Camminano lentamente abbandonandosi all'ispirazione di propri pas­si in ritmo col motivo. La pioggia è insistente)

Lui                                   - E là sopra, sa che cosa c'è?... Le stelle. In alto. Sopra le nubi. Le stelle,

Lei                                   - Non è possibile!

Lui                                   - Vero? E invece ci sono; e brillano; brillano da ore e brilleranno fino al mattino, senza che nessuna le veda. Finché impallidiranno sfinite, perché nessuno è sta­to a guardarle. E questo è troppo anche per loro. (Silen­zio) Mi scusi.

Lei                                   - Continui.

                                         

Lui                           - Niente. É finito.

Lei                           - (dopo una pausa) Lei è un uomo solo, vero?

Lui                           - (infastidito) No.

Lei                           - (insistente) Si, è un uomo molto solo: non lo neghi.

Lui                           - (duramente) Le ho detto di no. Che c'entra?

Lei                                   - È arrabbiato? No... non volevo. (Silenzio) Dob­biamo pur conoscerci un po' meglio, per... Non le pare? (Nessuna risposta) Ecco, io l'annoio, vero? Si, l'annoio. Lei è un uomo certamente eccezionale ed io non sono che una piccola stupida.

Lui                                   - No, lei non può capire. È stato solo un po' in™ discreto.

Lei                           - Oh! Non sia cosi cattivo... (Ha le lacrime nel­la voce)

Lui                           - Ma non è cosi grave! La prego! La prego! Su! Lo stupido sono io come sempre! (Cosi dicendo si stac­ca con violenza da lei)

Lei                                   - (dolcemente) E per questo punisce me? (Lui non capisce subito; quando comprende dal sorriso di lei, ha un moto di gratitudine, di emozione. La prende di nuo­vo sottobraccio. Poi la bacia lievemente sulla fronte. Con la voce soffocata appena percettibile) Oh...

Lui                                   - (pianissimo) Le dispiace? (Lei fa cenno di no col capo abbassato. La livida luce dei lampioni, che passava via via sopra i loro volti, è sostituita ora dalle luci co­lorate e mutevoli di insegne pubblicitarie)

Lei                                   - (rialza vivamente il capo e legge a caso su di una insegna) Al primo starnuto non esitate: Formiosil, For-miosil, Formiosil, FOR-MIO-SIL (Insieme scoppiano a rìidere e lui si piega su di lei e la bacia sulla bocca. Il riso muore, avanzano qualche passo sempre baciandosi. Finito il bacio, lei sposta l'ombrello in modo da nascon­dervi il viso)

Lui                                   - (bussando scherzosamente all'ombrello) Toc-toc!

Lei                           - (sempre nascosta, con voce profonda) Eh?

Lui                                   - Sta qui la signorina ottantotto, sei sette, cin­quantatre? (Lei ride sempre nascosta) Permesso?

Lei                                   - (mentre ride, mette il piede in una pozzanghera) Ohi!

Lui                           - Che c'è?

Lei                           - (solleva il piede ridendo) II destino!

Lui                                   - Vede? Gliel'avevo detto!

Lei                           - Come? Il colpevole è lei, sa! Prima fa quelle belle cose per strada e poi rimprovera me! (Ride an­che lui)

Lui                                   - (inginocchiandosi) Aspetti, se no prenderà qual­che malanno. (Cava un giornale di tasca e asciuga alta beli'e meglio il piede e la scarpa; poi rallentando le carezza la caviglia) Proprio fino alla caviglia! (E la guarda. Lei cerca di ritirare il piede) Stia buona. (Strin­ge ancora il piede fra le mani, vi alita su quasi per ri­scaldarlo) Va meglio?

Lei                                   - (dolcissima) È asciutto. (Lui le da un rapido sfuggevole bacio al piede e le infila lo scarpino; si avviano)

Lei                           - Posso riposare? Sono un po' stanca. (Appoggia il capo sulla spalla di lui)

Lui                           - Dormi, su.

Lei                                   - (camminando ad occhi chiusi) Non ci siamo an­cora presentati. Forse dovremmo farlo.

Lui                           - È vero. Giulio.

Lei                                   - Patrizia.

Lui                                   - Ciao, Patrizia.

Lei                                   - Ciao, Giulio. (Lì accompagna il motivo jazz; quan­do si conclude, lui la bacia ancora sulla bocca)

Lei                                   - (come destandosi da un sonno) È passato molto tempo?

Lui                           - Un'ora. Un anno. Non so.

Lei                                   - (raggomitolandosi contro di lui) Mi sveglierà sempre cosi? Voglio essere svegliata sempre cosi.

Lui                           - Mi dai del lei ancora?

Lei                           - Ci diamo già del tu?

Lui                           - Direi di si... da un bel po'.

Lei                                   - All'inizio è sempre difficile... Mi lasci - lasciami - imparare. (Lo guarda) Tu. Tu. (Chiude, gli occhi) Giu­lio tu. (Ride felice ad occhi chiusi) Forse è tutto un mi­racolo.

Lui                                   - È una notte proprio straordinaria... proviamo a inventare la felicità?

Lei                                   - Proviamo!

Lui                                   - Ma pensa: quante coincidenze, quanti piccoli in­dizi! Io dico che c'è un destino sotto!

 

Lei                           - Certo che è il destino.

Lui                           - Quel portone in cui ci siamo incontrati per caso...

Lei                           - II fatto che tu avessi l'ombrello...

Lui                                   - E questa pioggia... (Colto da un pensiero im­provviso) Ma tu... non aspettavi qualcuno in quel portone?

Lei                                   - (un po' annoiata) Giulio, ti ho già risposto a que­sta domanda. (Vedendo che lui tace) E poi è incredibile come ci somigliamo, come abbiamo lo stesso modo di sen­tire le cose: a me... piaceva, sai, sentirti parlare poco fa... (Lui la stringe a sé. In questo momento si ode una voce femminile levarsi dall'ombra verso di loro)

Voce                                - Scusi, signorina, non ci sono mica notizie del­la nube? (Stesa per terra, sotto l'ombrello, appare in un angolo una coppia matura tipo bottegai: l'uomo sta leg­gendo il giornale, la donna lavorando ai ferri, al lume di una candela)

Lei                           - Per ora, nulla di nuovo.

Uomo                              - Non bisogna essere impazienti, vero, signo­rina? (Lei ride in segno dì risposta)

Donna                       - L'importante è non perdere tempo.

Lei                           - A me la pioggia ha portato fortuna! (i due co­niugi ridono e cosi i due giovani)

Donna                              - Guardali, come sono carini! Buona gita! (Pro­seguono; i due coricati si perdono nell'ombra)

Lei                           - Si comincia ad incontrar gente; di qua giungia­mo al Corso.

                                - (Dal fondo avanzano ora altri ombrelli, che popolano la scena e incrociano in tutte le direzioni. Sono variopin­ti in modo bizzarro e variamente illuminati dalle luci dei fanali, delle vetrine, delle réclames luminose. Forma e colore sono consoni ai loro portatori. La scena è anima-tissima. I due giovani sono colti da una gioia repentina e fanciullesca, si muovono vivacemente in mezzo atta fol­la, scomparendo e ricomparendo in mezzo ad essa. Sì fan-no avanti due tipi di zitelle pretenziose)

I Zitella                     - Ah, come si sta bene fuori... In casa ho una nebbia, che figurati, la stanza da bagno...

II Zitelli                           - Quella in fondo al corridoio?

I Zitella                            - Si; non riesco neppure a trovarla, quando ho fretta...

II Zitella                          - Te lo dicevo di non trasferirti in collina. (Lui e lei stanno passando e ridendo; lui urta col piede la prima zitella)

Lui                                   - Scusi. (Mentre lei ride nascondendosi dietro l'om­brello) Le ho fatto male?

I Zitella                            - Niente, s'immagini. È un ballerino lei?

Lui                           - A tempo perso.

I Zitella                            - Ha il calcio leggero... (i due giovani si al­lontanano trattenendo il riso)

II Zitella                          - D'altra parte, senza l'umido come vuoi che sboccino i quadrifogli? (Mentre sì allontanano, compare un tipo di funzionario con la moglie)

Moglie                             - Alla tua età e col tuo grado, fare ì capricci! Io non so!

Funzionario                     - (imbronciato) Uno avrà il diritto di sal­vaguardare la propria vita privata! È la sola cosa sacra che resti ad un funzionario.

Moglie                             - Insomma, sono io che devo insegnartelo? L'e­tichetta è un antidoto contro i malanni.

Funzionario                     - Va bene, ma io dalla Lucia non mi fac­cio massaggiare!

Moglie                             - Non capisco che cos'hai contro di lei! E una bella ragazza! Ed è reumatica, le fa bene! (Schermendosi da qualche cosa che si agita nella cupola dell'ombrello) Uff, questi pipistrelli! (il funzionario e sua moglie si per­dono nella folla, ricompaiono i due giovani in un altro punto della scena)

Lui                                   - Guarda quello! (E si avvicinano ad un maturo dongiovanni, che sta molestando una ragazza, la quale con un cartoccio sta imbeccando dei volatili supposti nell'interno del suo ombrello)

Dongiovanni                    - Piacciono tanto anche a me i pipistrel­li... carini! (Cerca di entrare sotto l'ombrello, ma la ra­gazza si scosta) Sapesse quanto le dona l'ombrello! (Lui, alle spalle del dongiovanni, ne imita comicamente le mo­venze, lei cerca di tirarlo via)

Lei                                   - Scappo, eh? (Il dongiovanni si volge e si trova faccia a faccia coi due giovani)

Dongiovanni                    - (con invidia) Dì chi e l'ombrello?

Lui                                   - Mio.

Dongiovanni                    - Beato lei. (E sì allontana)

 

Lei                           - Allora sei un po' buffone?

Lui                           - E tu una borghesuccia?

Lei                           - (ansiosa) Ti dispiace?

Lui                           - Tutto da rifare. (Passa loro davanti la ragazza ed essi danno un'occhiata nell'interno del suo ombrello)

Ragazza                           - Sono stati sorpresi dalla nube prima di ca­dere in letargo.

Lei                                   - Poveretti!

Ragazza                           - Sono i pipistrelli ritardatari, ogni anno si rifugiano da me. Sono tanto affettuosi. (Si allontana)

Lei                           - Com'è buona la gente!

Lui                           - E com'è bella. (Scompaiono di nuovo nella fot-la, mentre riappaiono in altro posto il funzionario e la moglie)

Moglie                             - E cosi a me toccherà un marito piegato ad angolo retto!

Funzionario                     - Per carità, non farai entrare la geome­tria nei nostri affetti familiari! (Continuano a litigare, mentre la nostra attenzione è attratta da due tipi di intellettuali)

I Intellettuale                   - C'è troppa divergenza tra le parole e i fatti!

II Intellettuale                 - Ma le idee sono una cosa e i di­ scorsi un'altra... sono due strade diverse.

I Intellettuale                   - Parallele, moralmente parallele.

II Intellettuale                 - E il relativismo? E Einstein? Dove me Io mette?... (i due giovani si sono avvicinati ad un carretto di leccornie a buon mercato ed hanno acquista­to due bastoncini di zucchero filato)

Lui                           - Basta cosi! No, non teniamo pipistrelli!

II Intellettuale                 - (continuando) Non vorrà sostenere che due parallele continuino ad essere tali, se prolunga­te nella nebbia! (Si allontanano)

Lei                                   - (assaggiando) Che buono! Ecco, signor pedago­go! (E gli fa un baffo di zucchero. Ma subito dopo, co­me avesse visto qualcuno, è colta da uno spavento e /ug­ge a nascondersi dietro un capannello di ombrelli, dove lui va a scovarla)

Lui                           - Che cosa è successo?

Lei                                   - (cercando di togliergli il baffo) Non diamo spet­tacolo, cominciano a guardarci.

Lui                           - (schermendosi) E io invece me Io tengo... da bravo pedagogo.

Lei                                   - No! (Cerca di toglierglielo e, cosi lottando, sì vengono a trovare di fronte a un mendicante, che li guarda in silenzio)

Lui                           - Tenga! (Ha strappato lo zucchero filato dalla mono di lei e glielo porge, ma l'altro lo guarda triste­mente con lo zucchero filato in mano)

Mendicante                     - Signorino, mi faccia la carità, sono mu­tilato, con quattro figli in uno stagno, senza stivali, sen­za chinino...

Lui                                   - Mi scusi. (Gli da un'elemosina abbondante e co­si lei; il mendicante si allontana)

Lei                                   - Siamo troppo felici... (Con spavento) Siamo già felici? (E urta, senza accorgersene, la zitella di prima, che sta passando con la sua compagna) Scusi! Le ho fat­to male?

I Zitella                    - Direi. È una sportiva lei?

Lei                           - A tempo perso.

I Zitella                            - Ha un calcio cosi pesante!... (Mentre i due scappano, riprende la conversazione con l'altra) E cosi, con quel nebbione, pluff, nella stanza del mio inquilino!

II Zitella                          - A quell'ora? E che stava facendo?

I Zitella                            - Tagliandosi le unghie. Dei piedi! Figurati io!

II Zitella                          - Perché non sei svenuta? (Si allontanano. In un altro punto della scena si vede una prostituta che viene avvicinata dal dongiovanni. Parlotta con lui. Lui si allontana, lei attende, l'uomo ritorna, la prostituta lo prende a braccetto)

Dongiovanni                    - È lontano? (Si allontanano. La folla sco­pre i due giovani davanti a una vetrina dì gioielli; luì stacca un collier e lo offre a lei)

Lei                                   - Sei matto, di già? (Lo abbraccia e lo bacia) Met­timelo tu. (Apre il soprabito. Lui le cinge il collier, al momento di agganciarlo, la bacia sulla nuca; lei rabbri­vidisce)

Lei                           - No in pubblico.

Lui                           - A te è permesso...

Lei                           - I! mio era un bacio frontale. (Si ode in un altro angolo della scena il diverbio fra il funzionario e sua moglie)

Moglie                             - Andrai domani dal sarto ortopedico.

Funzionario               - (lamentoso) Se tu mi lasciassi un po' in pace con i miei angoli personali...

Moglie                             - La sciatica è la morte del prestigio; è in­compatibile con la gerarchia. (Raddolcita) È un sarto al­la moda! Lavora per tutta la hautel (II funzionario se­gue la moglie; ricompaiono i due intellettuali)

I Intellettuale                   - E poi, guardi, la geometria è un fat­to mediterraneo, è nata in climi temperati.

II Intellettuale                 - (con compatimento) Ho capito, lei è un positivista.

I Intellettuale                   - Ma pensi ai triangoli, ai circoli! È roba per latini, per greci.

II Intellettuale                 - E i teutonici? Come li spiega lei, con la loro quadratura mentale? (La voce di lei sovrasta ora il brusio generale)

Lei                           - Com'è bello! come sono bella! Com'è bella la gente! Voglio che tutti mi guardino! (La folla si è dispo­sta camminando in modo che la coppia sfila quasi in pa­rata; via via i vari personaggi si distolgono per guar­dare i due giovani e poi riprendono la loro conversazio­ne. Alla fine della sfilata, lei, vedendolo un po' distac­cato e intuendo il suo pensiero, gli si stringe al braccio)

Lei                           - Per te, sai? Per te! Non sono mai stata tanto vanitosa per un altro.

Lui                                   - Davvero?... cara. (Escono intanto dalla folla che piano piano indietreggia e svanisce nel fondo)

Lui                           - Ti accompagno a casa.

Lei                           - Io sono a casa.

Lui                           - A casa mia?

Lei                                   - Si. (Camminano di nuovo soli) Che silenzio... Perché mi guardi cosi?

Lui                           - II silenzio precede sempre le cose gravi.

Lei                           - Non mi mettere paura.

Lui                                   - (la stringe a sé quasi a proteggerla) Vieni (Torna­no sui loro passi. Si erge davanti a loro, sopraelevata e vagamente inquietante, una panca pubblica. Vi si acce­de con alcuni gradini. Lei si arresta)

Lei                                   - SÌ scivolerà troppo lassù. (Ma lui la attira e sal­gono) Attento alle alghe. (Salgono con precauzione e si fer­mano spalle al pubblico) E ora? Te l'ho detto che non si può: guarda com'è viscido.

Lui                           - Ho il giornale. (Stende il giornale)

Lei                                   - (sedendo) Sempre alghe, alghe   quando finirà la nube? (Ora non si vede che l'ombrello e le loro gambe, giacché si sono seduti spalle al pubblico. Lei incrocia con voluta compitezza le proprie. Evidentemente a disagio) Sapessi quante fratture nei giardini pubblici in questa sta­gione. (Lui la attira per baciarla) No, capisci, può diven­tare imbarazzante: il pronto soccorso, il commissariato... (Le parole le muoiono in bocca, perché lui la bacia e a lungo. Non si ode che la pioggia insistente, assidua. Stac­candosi) Ora basta, andiamo.

Lui                                   - (continuando a baciarla sul collo) Ma crescono dappertutto?

Lei .                                 - D'inverno per forza.

Lui                                   - E poi... a primavera, come fanno.,, con tutte que­ste alghe?

Lei                                   - (dibattendosi e fremendo sotto i suoi baci, ma cer­cando ancora di salvare un residuo di contegno attraverso la conversazione) Ci sono i raschiatoti... li arruolano a schiere... il Municipio ne approfitta per dar lavoro... a un mucchio di... di disoccupati e... (Con un grido deciso) No!

Lui                                   - (piano) Perché? (Sono immobili)

Lei                                   - Perché no. Ho ancora paura, ti prego. (Lui si ri­compone, sì aggiusta l'impermeabile) Sei in collera?... Ma è meglio di no. Dopo saremo più contenti. No... non essere in collera. (Lui tace. Lei lo bacia lievemente, lui risponde con ardore. Poi lei si libera in fretta e si alza tutta smarri­ta e in disordine. Tutte queste azioni, come le seguenti, verranno rese comprensibili dalla mimica dei piedi e delle gambe, perché le loro persone sono nascoste dall'ombrello) Un altro giorno, domani, andiamo.

Lui                                   - (senza muoversi, dietro l'ombrello) Più borghese che mai.

Lei                                   - (sedendo) Perché sei cosi cattivo?

Lui                           - Mi domando che cosa vuoi da me, in fin dei conti.

Lei                                   - Giulio, se lo dici ancora una volta, me ne vado davvero.

 

Lui                           - O almeno che cosa senti realmente per me. (Lei lo abbraccia perdutamente)

Lei                                   - (con voce ansante) No, no... Giulio, no! Si... Giu­lio!

Lui                                   - Patrizia!

Lei                                   - Giulio mi vuoi bene, Giulio mi vuoi bene... (Se­gue un lungo silenzio; l'ombrello ha cessato di fremere; la musica jazz è fortissima)

Lei                                   - Dove sei? Sei qui...

Lui                                   - Adorata.

Lei                                   - C'è la nube, vero?

Lui                           - Si.

Lei                           - (piangendo piano) Ora non dirai più che cosa sento, che cosa voglio.

Lui                                   - Sei meravigliosa.

Lei                           - Si. Lo so. Ho tanta paura, Giulio.

Lui                           - Di che cosa?

Lei                           - Non so. Di tutti. Della gente. Di te.

Lui                           - Come puoi dire questo?

Lei                                   - Si, di te. In fondo, ti conosco cosi poco. Anzi, non ti conosco affatto. No, non è vero, ti conosco bene. Perdo­nami, divento perfino vile dalla paura, è stupido. Ma... Giulio? (Lo fissa; lui per tutta risposta la bacia in fronte) Andiamo, non ci avrà visto nessuno? (Si alza, poi maltrat­tando l'ombrello) Cattivo ombrello... Ombrello traditore! (A lui) Scherzo, sai?

Lui                                   - Attenta, dammi la mano. (Scendono con precau­zione i gradini) Abbottonati.

Lei                                   - Che silenzio! Dove siamo?

Lui                           - In nessun posto, credo. Il mondo se n'è andato.

Lei                           - Vedi? s'è stancato di aspettarci! E ora come si fa?

Lui                                   - Inseguiamolo! (Corrono ridendo qualche passo, poi lei si arresta)

Lei                                   - Senti, io...

Lui                           - Si?

Lei                                   - (all'orecchio di lui) ...io ...io sono contenta, sai? (Luì la stringe a sé. Poi, timorosa) Siamo... già felici, Giu­lio?

Lui                                   - (con precauzione) Quasi... forse... bisogna stare attenti, parlare piano... perché non si sciupi... perché non succeda niente...

Lei                                   - Giulio, ci siamo, sai?

Lui                                   - Zitta! credo che non bisogna saperlo... (Cammi­nano in silenzio abbracciati, ispirati)

Lei                           - Oh, Dio! Dei passi dietro di noi!

Lui                                   - (ridendo) Ma no, di nuovo? Sono le gocce...

Lei                                   - Ah, che spavento... (Pausa) Eppure mi sembra di sentire qualcuno qui fuori.

Lui                           - (dopo aver ascoltato) Ma no, chi vuoi che sia.

Lei                                   - (vagamente) C'è sempre qualcuno, che, al momen­to buono, arriva sotto il suo ombrello... (Ora si comincia a discernere alle loro spalle, ancora indistinto, un ombrel­lo scuro che li segue)

Lui                           - (inquieto) Come sei diventata seria...

Lei                                   - (cercando di tornare allegra) Scusa, sono malin­conie dovute alla nube. E già passato.

Lui                                   - Bisogna assolutamente che ti porti fuori da que­sta pioggia.

Lei                                   - (un grido) No. (Poi ricomponendosi) Dici che è pos­sibile?

Lui                                   - Non so, voglio provare. Voglio portarti fuori, al­l'aperto. Voglio mostrarti le stelle, le mie stelle.

Lei                                   - Oh si! (In questo momento, proveniente dall'om­brello che li segue, comincia a farsi sentire un tossicchia­re acuto ed insistente, che continuerà per tutto il dialogo seguente)

Lei                           - Vedi che avevo ragione... scappiamo!

Lui                           - Zitta! (Ascolta)Che strano.

Lei                                   - Andiamo, voglio andar via di qui, accompagnami.

Lui                                   - No, aspetta. Devo ricordare...

Lei                                   - Giulio, dammi retta, finché siamo in tempo. Que­sta tosse non mi piace. Giulio, mi vuoi bene?

LUI                                 - Si. Certo.

Lei                           - Giulio, è tutto vero quello che ci siamo detti? Siamo felici noi due?

Lui                                   - (che non vuole essere distratto) Ma naturale, ca­ra. Perché t'inquieti cosi?

Lei                                   - (con crescente orgasmo) Non m'inquieto, sono tranquilla, tranquillissima, non mi sono mai sentita tanto sicura, non sono mai stata tanto felice, neppure tu sei mai stato tanto felice: sei diventato perfino più alto, hai la fronte più spaziosa. Una donna queste cose le vede subito... Stringimi, stringimi forte... Giulio! (La tosse acu­ta, giunta a un parossismo, s'interrompe di colpo. Segue un silenzio. Piano) Ho fatto quello che ho potuto. (Dall'om­brello che ti segue giunge ora una voce stridula, di vec­chio)

Voce                                - (come se riconoscesse la ragazza) Patrizia! (Lei non risponde; continuano ad avanzare gelati, rigidi, len­tamente)

II Terzo                           - Patrizia, sei tu? (Con una corsettina semicir­colare il nuovo personaggio si pone di fronte ai due gio­vani. Ha una giacchetta corta, stranamente vistosa. Un album sotto il braccio, uno sgabello pieghevole in mano. La sua faccia si perde forse nel buio dell'ombrello: co­munque, in contrasto con il suo abbigliamento, non è mai visibile)

Lei                                   - (quasi amorevole) Di nuovo qui! Lo sai che è pe­ricoloso scivolare!

Terzo                               - (tossendo) Che cosa è successo?

Lei                                   - (aggiustandogli la sciarpa al collo) Con la tua tosse. Papi! (Poi, notando che il terzo osserva il giovane) Mi ha dato un passaggio sotto il suo ombrello; è stato molto gentile.

Terzo                               - Presentami, Patrizia, ti ho pure insegnato le buone maniere.

Lei                                   - (presentando) Papi, questo è Giulio... è stato mol­to gentile con me.

Terzo                               - Grazie, signor Giulio: le sono molto grato. Sa, con la nube, passeggiare di notte è pericoloso per una ra­gazza.

Giulio                              - (lieto) È stato un vero piacere. Anzi, devo rin­graziare la pioggia che mi ha permesso questo incontro tanto importante per me!

Terzo                               - (annuisce in silenzio; poi a lei) Sapevi di tro­varmi nel parco, vero? (Lui da a lei un'occhiata di stupo­re, ma lei non pare avvertirla. Anzi sì attacca affettuosa­mente al terzo)

Lei                                   - (bamboleggiando un po') Lasciarmi cosi sola con la nube in giro, Papi! La piccola Patrizia! Cattivo! Fortu­na che ho trovato un cavaliere. (Si avvicina a Giulio e gli cinge il braccio) ...Un cavaliere notturno! (Ride) Quanto è diverso da te! Questo collier me lo ha regalato lui.

Terzo                               - Lei è un'anima gentile. Ma anch'io ho un re­galo per te...

Lei                                   - (saltandogli al collo) Mostra! Mostra! (Batte le ma­ni, mentre il terzo tira fuori l'erbario) Le alghe! Le alghe!

Terzo                               - Un momento! Me le fai cadere e poi non le trovo più! (Apre lo sgabello pieghevole e siede)

Lei                                   - (a lui) Devi sapere che il maestro... ah, che sven­tata! Non te l'ho ancora presentato!... Giulio, ti presento il mio maestro.

Terzo                               - (porgendo la mano) Molto lieto. (Giulio strin­ge la mano disorientato, mentre Patrizia sta accoccolan­dosi ai piedi del maestro)

Lei                                   - Devi dunque sapere che il maestro è un colle­zionista famoso in questa città. Vedrai che meraviglia!

Lui                                   - Ti sporcherai, prendi il giornale... (Tira fuori di tasca il giornale)

Lei                                   - Eh?... ah!... dammi... ma no, non fa niente... qui non ci sono che alghe, le alghe sono pulite... (Lui ripie­ga il giornale; il maestro ha aperto le pagine dell'erba­rio, lei guarda come una bambina un album di vignette)

Lei                           - Racconta, Papi! Vieni a vedere, Giulio!

Maestro                           - Questo è il Polypus Viridis, giunto qui da noi verosimilmente a bordo di qualche piroscafo da ca­rico proveniente dalle zone preartiche... Islanda o Lapponia. E quella la sua vera patria, ma ha attecchito an­che da noi, grazie alla nube. Questa è i'"Amoeba Pluvia"...

Lei                                   - Che colori! Che riflessi di ametista! Vero, Giulio?

Lui                           - Davvero. Non avrei mai immaginato che le al­ghe potessero avere dei colori simili. Sono orizzonti nuo­vi per me...

Lei                                   - (gioiosa) Ero sicura che vi sareste intesi! (Al maestro) Quando me ne fai un reggiseno?

Maestro                           - £ troppo rara, Patrizia, mi occorre almeno una dozzina d'anni per raccoglierne quanto occorre... Ve­de, signor Giulio, l'Amoeba Pluvia segue un ciclo ripro­duttivo della durata normale di due secoli... (A lei) Patri­zia, questo lo sai... non star 11 imbronciata, occorre un po' di pazienza! (La carezza, lei scrolla te spalle, ma poi torna subito ad appassionarsi al racconto) Ma assume queste tinte sfolgoranti nelle settimane poche: tre, quattro, in cui si verifica la procreazione per via di partenogenesi, che corrisponde al massimo orgasmo eroti­co dell'Amoeba Pluvia...

Lui                                   - Ho capito. (Un lampo; e continuerà a lampeg­giare durante tutta la spiegazione del maestro. Poi i lam­pi si diraderanno fino a cessare del tutto)

Maestro                           - Lampeggia?

Lei                           - Di già?

Maestro                           - No, è ancora troppo presto... spesso si tratta di tempeste laterali...

LEr                                  - Continua, continua!

Maestro                           - L'hai già sentito tante volte, che bambina sei! L'Amoeba Pluvia in quelle settimane... ma tu hai freddo! Va' là che Papi ti ha portato il tuo termos col té! (Tira fuori dalla tasca interna della giacca un termos)

Lei                                   - Che tesoro! (Dalla borsetta estrae un bicchiere di celluloide) Ecco, cosi ne prendiamo un sorso tutti e tre! (// maestro, che ha svitato il bicchiere del termos, ne versa prima nel bicchiere di lei, poi nel proprio. Lam­peggia intensamente)

Lei                           - Tieni! (Porge il bicchiere a Giulio)

Lui                                   - Grazie.

Lei                                   - (sempre seduta, civettando) Io, con chi bevo?

Maestro                           - (a lui) Zucchero? (Offre una bomboniera con zollette)

Lui                           - Si, grazie.

Lei                                   - Quante?

Lui                           - Be'... tre.

Lei                                   - Dolce?! (Al maestro) Bevo con lui! (-4 lui) Ab­biamo proprio gli stessi gusti! (Tenendo il bicchiere, lei fa bere Giulio e poi beve essa stessa, un sorso a turno; e continua a guardarlo negli occhi)

Maestro                           - (dopo avere sorseggiato) Dicevo dunque che l'Amoeba Pluvia in quelle settimane, che più o meno ca­dono sempre nella stagione piovosa, assume questa tin­ta lucente, quasi elettrica. Il che la rende riconoscibile anche nella nebbia. Ancora un sorso dì té, signor Giulio?

Lui                           - No grazie, sto bene cosi.

Maestro                           - Poi, nel giro di qualche ora, impallidisce e si spegno. Si tratta di coglierla, naturalmente a procrea­zione avvenuta - per salvaguardare la specie che rischia di estinguersi - ma in quell'ora di tempo, in cui il suo splendore si mantiene allo stato parossistico. Si tratta quin­di di scovare questi esemplari, di seguirli per settimane e di sorvegliarli nella loro crescenza erotica.

Lui                                   - Interessante, interessante...

Maestro                           - E qui c'è la mia sorpresa per te. Patrizia: una nuova specie di alga monocotiledone! (Patrizia bat­te le mani felice) Appartenente verosimilmente... (Estrae una lente e con quella osserva l'alga) ...alla sottofamiglia delle papìllacee... II colore non è gran che, ma... sentila! (Passa Valga sul colto di lei: Patrizia a sua volta la pren­de subito e se la passa sul collo e sul seno sotto l'abito)

Lei                                   - Ah... ah...! (Sembrano aneliti di piacere e di sof­ferenza) È terribile, Papi...

Maestro                           - Sai come la chiamerò? la "Patricia Virgo".

Lei                                   - Oh, Papi!... ma non son degna! grazie!... Ah... ah...! Prova, Giulio, senti che delizia! (Porge l'alga a luì, che la strofina un momento fra le mani e la restituisce in­fastidito. Poi cava il fazzoletto e si asciuga le mani. Lei scoppia in una risata argentina) Sei un genio, Giulio, ma le alghe non sono proprio il tuo forte. (-4/ maestro, qua­si per scusare Giulio) II suo forte sono le stelle, quelle si. (Si ripassa le alghe sulla pelle) Ah... ah...

Maestro                           - Su, ora non sciuparla! (A lui) Appena le ho colte, le sottopongo a un processo di cristallizzazione, che ho inventato io e allora resistono a qualsiasi attrito. Di­ventano compatte e cosi non si sgranano a contatto con la pelle femminile. Eh, mi costano della fatica, vero. Pa­trizia? (Il maestro comincia ad appuntare con grande cau­tela le alghe al suo erbario, traendo degli spilli dalla falda del cappotto)

Lui                           - (a lei) Scusa, posso parlarti un momento.

Lei                                   - Certo, caro. (Si alza in piedi e lo segue per qual­che passo)

Lui                           - Insomma, chi é? (Il dialogo si svolge in modo che il maestro, intento al suo lavoro, sente tutto; ma egli non da mostra di esserne minimamente interessato)

Lei                           - II maestro, te l'ho detto.

Lui                           - Ma non lo chiami papa?

Lei                                   - Lui? (Ride) Ma lui è papi! Da tanti anni è papi! È il suo soprannome...

 

Lui                                   - Io non capisco. Patrizia: tu, lui... che cosa siete l'uno per l'altro? Scusami sai, se sono un po' nervoso.

Lei                           - Figurati, Giulio, fra di noi... Lui, te l'ho detto, è il mio maestro... era già mio maestro quando avevo ap­pena dodici anni... non capisci? Ero sua allieva. Che cosa c'è fra maestri ed allieve? È normale, no? Niente di più.

Maestro                           - (equivocando sull'antipatia che Giulio comin­cia a provare per lui) Eh!... io le sembro un poeta, si­gnor Giulio... e invece sono semplicemente lungimirante...

Lei                           - È un pioniere, papi, un vero pioniere!

Maestro                           - Quando il trattamento delle alghe sarà por­tato sul piano dello sfruttamento industriale, vedrà che rivoluzione sul mercato mondiale dei materiali plastici...

Lei                                   - (interrompendo) La sciarpa, papi! (Il Maestro gliela porge ed essa si asciuga le gambe sotto la gonna)

Maestro                           - ... Si assisterà allora alla vittoria delle eco­nomie dei paesi nordici, dove questa nuova materia pri­ma abbonda. Per questo, io sto già brevettando i miei processi di cristallizzazione...

Lui                                   - (a lei, dopo qualche esitazione) Possiamo andare adesso?

Lei                                   - (lo guarda stranamente) Andare... son cosi ba­gnata ormai...

Lui                                   - (sottovoce, energico) Andiamo. (La prende sot­tobraccio e si avvia)

Lei                           - (passiva e un po' timorosa) Ma il maestro? Be', in fondo lui ha le sue alghe, non ti pare?

Lui                                   - Certo.

Lei                           - E fra noi non è cambiato niente, vero?

Lui                           - È stato solo un momento... d'incertezza.

Lei                                   - Si, d'incertezza. Ho avuto tanta paura; certe vol­te ti sento cosi distante.

Lui                           - Sei una bambina. (Il Maestro, che ha chiuso il suo erbario, e raccolto il suo sgabello, ora li insegue)

Maestro                           - Patrizia, hai finito col signore?

Lei                                   - (precipitosamente) Si, sono una bambina, una bambina, ripetimelo per favore!

Lui                                   - (freddo) Sei una bambina. (Il Maestro cammina ora a fianco della coppia, naturalmente dalla parte di lei)

Maestro                           - E lei, signor Giulio, si ricordi lei che ha l'aria di disprezzarmi... si, non lo neghi! in ogni pio­niere c'è la stoffa di un poeta! (Pausa. Il Maestro stende la mono verso Patrizia, ma lei finge inizialmente di non avvertirla)

Lei                           - Perché te la prendi cosi, Giulio! (Lo abbraccia; lui non reagisce) Ora mi fai stare in pena!

Lui                           - Non vuoi dedicarmi neppure cinque minuti di pena? (Ride amaramente)

Lei                           - Diventi cattivo. E giusto, me lo merito. No, non me lo merito.

Lui                           - Ti dispiace almeno un po'?

Lei                                   - (con slancio) Si, si, oh Giulio! Mi dispiace! Comprendimi un po' anche tu! non è mica cosi facile! Ma se mi aiuti, ce la faccio. (Singhiozza sulla spalla di lui)

Maestro                           - Patrizia, devo far presto in laboratorio! Al­trimenti, addio Patricia Virgo!

Lei                                   - Oh si! (A lui) Non stare cosi, di' qualcosa, non farmi andar via cosi...

Lui                           - Devo consolarti io forse?

Lei                                   - Adesso mi odi. (Pausa) Ti devo restituire il tuo regalo. (Si toglie il collier) Vorrei tenerlo per ricordo...

Maestro                           - (ridacchiando) Eh, giovani... giovani...

Lei                                   - Anzi, in pegno... per quando... (Piange)

Lui                                   - Tienilo.

Lei                                   - Mi odi? O ti sono già indifferente? No, mi odi. Preferisco cosi, perché non si sa mai. (Al Maestro) Mi odia. (A lui) Ma io non posso farci niente. (A poco a po­co anch'essa ha steso la sua mano verso quella del Mae­stro e ora quella di lui la agguanta) Non posso farci nien­te. (Resta indietro insieme al Maestro, sempre camminan­do) Non posso farci niente... (Scompare nell'ombra e la voce giunge per l'ultima volta dal buio. Rimasto solo, lui si avvia e comincia a fischiettare il solito motivo. Cam­mina mani in tasca apparentemente indifferente. Poi si soffrega le mani con notevole ottimismo)

Lui                           - Adesso che sono libero, comincia per me una vita nuova. (Estrae di tasca un taccuino e lo sfoglia) Adesso devo pensare al mio lavoro ed al mio avvenire. Quante faccende arretrate!... e quante lettere da scrivere! Con questa pioggia scrivere dev'essere un vero piacere. La mia camera è molto accogliente, ed è ben riscaldata. Comincerò dalla mamma. Poveretta, come l'ho trascurata in questi ultimi tempi. Penserà che sono malato: che ho il raffreddore. Per le mamme non esiste che il raffreddo­re... Domani le scrivo una lettera di quattro pagine. Ci vuole cosi poco a rendere felici i vecchi!.... Devo pen­sare a lei ora, pensare a chi mi vuoi bene... (S'interrom­pe: sdraiati nella posizione di prima scorge in un angolo i due coniugi sotto il loro ombrello)

Donna                              - (continuando a lavorare ai ferri) Ben torna­to, signorino.

Lui                           - E un vero piacere rivederli.

Uomo                       - È andato tutto bene? (La donna lo zittisce, mentre l'uomo ridacchia)

Lui                           - Benissimo... salvo qualche rospo.

Donna                              - Quest'anno sono di una specie più grossa de­gli anni scorsi.

Uomo                       - Ma no, ogni anno sì dice la stessa cosa.

Lui                           - E qui da loro tutto bene?

Donna                              - Cosi, da buoni vecchietti...

Uomo                              - Uh, che esagerata!

Donna                              - Non ci va più di andare in giro. Si aspetta qualche notizia della nube.

Lui                                   - (all'uomo che legge sempre il suo giornale) I giornali non ne parlano? che succede di nuovo? è tanto tempo che non vedo i giornali.

Uomo                       - Solite storie: infortuni, l'autostrada Est chiu­sa al traffico per l'invasione delle rane... Notizie stagionali.

Donna                              - È meglio starsene tranquilli, in questa stagio­ne, invece di andare in cerca di guai; e mettere il tempo a profitto.

Lui                                   - è la sola cosa che conta. Anch'io ho tanto da fare. (Si avvia)

Uomo                       - Si faccia vivo, quando ripassa!

Lui                           - Non dubiti. Li ritrovo ancora qui?

Donna                              - Senz'altro. Finché non giunge l'alta marea... (Lui si avvia verso il fondo. Si erge di nuovo di fronte a lui la panca sopraelevata. I coniugi continuano le loro oc­cupazioni osservandolo in silenzio)

Lui                                   - Che strano, son di nuovo qui... come mai?... De­vo essere tornato sui miei passi... (Dopo qualche esita­zione, sale i gradini)

Uomo                              - Mi sa che è tornato sui suoi passi... Quando si ritorna - dopo -vuoi dire che la cosa non ha funzionato.

Donna                       - Se ti occupassi dei fatti tuoi?

Lui                           - (giunto in cima, fermo presso la panca) Chis­sà poi perché. Chissà che cosa è successo. (Con improv­visa allegria) Ma qui riposerò benissimo stanotte; è già tardi: mi conviene riposare bene per ricuperare tutte le mie forze, senza perdere tempo prezioso! (Tira fuori il giornale e lo stende con cura sulla panca, quasi si prepa­rasse il letto. Poi raccoglie un sasso che pone a guancia­le. Infine si stende restando appoggiato su un gomito, soprappensiero. Dopo un momento strappa un pezzetto del giornale e cerca di leggere qualche brandello di notizia)

Uomo                              - Vorrebbe qualcosa da leggere: lei gli manca... gli manca...

Donna                       - La smetti di fare il pettegolo?

Lui                                   - (appallottola il pezzo di giornale e lo butta, poi si stende supino con l'ombrello sempre aperto in mono) Ah, stendersi quando si è stanchi che piacere! (Pausa) E lassù brillano, cosi sole... le stelle... (Ride quasi sin­ghiozzando) Stupido!... stupido!... (Nuova pausa) Se tor­nasse, credo che sarei molto diverso. Ho sbagliato tut­to. Se tornasse, credo che sarei molto cinico e molto spiccio. Forse avrei dovuto scoprirmi meno, mostrarmi più indifferente. Se tornasse... Stupido. (Fischietta) Per fortuna, c'è il sonno. (Si gira su di un fianco, spalle al pubblico. L'ombrello resta sospeso sopra il suo capo sen­za che egli lo tenga più) Se tornasse... (Si addormenta. Si sente la pioggia assidua sulle foglie del parco)

Uomo                              - Dici che sogna?

Donna                              - (osservando l'addormentato) Mi pare di no.

Uomo                              - Non è consigliabile nelle sue condizioni. I so­gni sono pericolosi quando si è infelici: sono sempre so­gni belli, e dopo c'è il risveglio... (Silenzio) Credi che lei fosse malefica? (Lamento di lui; s'interrompono)

Donna                              - (sottovoce e sempre lavorando) Adesso finirai per svegliarlo con la tua chiacchiera! (Poi, preoccupata) Era molto soave.

Uomo                       - Appunto. E il fatto che lui sia tornato sul posto...

Donna                              - Può essere avvenuto il contrario. O qualcosa di diverso: scompaiono tante persone con questa nebbia...

Uomo                       - II dato di fatto è che è tornato lui. O spera o ha dei rimorsi. O lei lo ha abbandonato o lui l'ha uccisa. Per questo, è tornato. Delinquenti ed amanti tornano sem­pre sul posto, dopo.

Donna                              - (ironica) Quanta dottrina! (Mentre parlano, la panca lentamente svanisce nel buio con il suo uomo ad­dormentato. Resta l'ombrello sospeso in aria)

Uomo                              - Vedi, ha lasciato anche l'ombrello. Caso lei ci ripensasse. Quindi è lei che ha abbandonato lui.

Donna                              - L'ombrello potrebbe anche averlo dimentica­to: un semplice lapsus freudiano.

Uomo                              - Non discuto: ma sarebbe una prova di più. In questo caso, Io ha lasciato inconsciamente, perché l'om­brello è un arnese particolarmente favorevole ai contatti... Pensa solo che simbolo onirico, psicanalitico: un'asta con­fitta in una conca...

Donna                              - (aggressiva) Tu mi parli un po' troppo di om­brelli!...

Uomo                       - (preso alla sprovvista) Be', prima di cono­scerti...

Donna                       - Non voglio sapere, non m'interessa.

Uomo                              - Che c'entra! Fa solo piacere che certe consue-tudini ataviche si conservino... con tutta questa motoriz­zazione in giro... Sarò all'antica, ma era più poetico.

Donna                              - Ecco. L'hai detto. Sei all'antica. E quindi leg­giti bene il tuo giornale e lasciami lavorare.

Uomo                       - Non finiremo mica per raffreddarci, noi due, a causa di un estraneo, e dei suoi lapsus! (Si rappaci­ficano) II calore domestico è la cosa cui tengo di più.

Donna                       - Non te Io farò mai mancare. Su, su, a dor­mire adesso! (Soffia sulla candela, che si spegne. La cop­pia dei coricati svanisce nel buio, che resta cosi assoluto. Poi lampeggia e tuona. Si leva un fortissimo vento, che sospinge improvvisamente in scena e squassa con violen­za una folla di ombrelli con i loro rispettivi personaggi. Fermo e sospeso a mezz'aria sta sempre l'ombrello di lui, in attesa di una mano che lo raccolga e gli restituisca la sua funzione. Il vento trascina gli ombrelli in un vero balletto accozzando e disgregando i gruppi, sollevando ed abbattendo, rovesciando e sconquassando gli ombrelli. Da un grappolo di ombrelli ad un tratto spunta fuori lei. Con aria mezzo malsicura e mezzo disinvolta si avvicina all'ombrello. Tiene in mano un mazzolino di violette. Dopo essersi guardata in giro, appende le violette alle stecche dell'ombrello sospeso)

Lei                                   - (mentre compie l'operazione) Certo che tornerà. (Poi attende. Dopo qualche momento, squassata dal ven­to, strappa le violette e le butta a terra, quasi piangendo) Guarda un po' se devo stare ad aspettare cosi, sotto il temporale! Ma è una vendetta! Dovevo capirlo subito! Ha lasciato l'ombrello per illudermi, per ingannarmi... ed io ingenua! (Si lascia cadere a terra piangendo) Una ven­detta! certo che non torna! figuriamoci se torna: è di sesso maschile, lui!... Come sono rigidi, come sono dog­matici! Che me ne importa a me delle alghe! Bisogna anche saper capire, saperle intuire, certe cose! (Piange afferrata all'ombrello) Ma loro niente! E il loro amor pro­prio che rovina tutto! quell'odioso, impettito, inamidato amor proprio! Come lo detesto! poterglielo dire almeno! Ah sono stanca di tutti... Voglio chiudermi in casa, sola, con le mie alghe, con il mio pipistrello cieco, che, alme­no lui, viene a pigolarmi in grembo... È troppo faticoso!... e che la nube non finisca mai più... (Dal fondo compare lui. Lei tace, sempre a terra. Lui si avvicina. Lei si ag­giusta e dopo un silenzio) Ho visto l'ombrello e allora ho pensato...

Lui                           - L'ho dimenticato. (Fa l'atto di prendere l'om­brello)

Lei                                   - (timida e impertinente) Mi aiuterai ad alzarmi almeno? (Lui la aiuta e lei si appoggia al suo braccio più del necessario. Appena in piedi corre a raccogliere le vio­lette e si avvicina a lui con quelle)

Lui                                   - (ironico)   - Oh, violette...

Lei                                   - (protendendosi) Me le appunti? (E’ candida ed impavida)

Lui                                   - (aggressivo, senza eseguire) E... il "Maestro"?

Lei                           - Oh, è sempre là con le sue alghe, poveretto.

Lui                                   - (dopo un istante di sorpresa, sostenuto e sarcastico) Fagli i miei saluti e i miei complimenti. (Fa il gesto di avviarsi) Anche per le alghe, naturalmente.

Lei                                   - Non conoscevo un Giulio velenoso.

 62

 

Lui                           - Ed io una Patrizia... una Patrizia...

Lei                                   - (innocente) Una Patrizia come?... E di!!o!

Lui                           - Sei straordinaria, parola d'onore! Hai almeno il dono di stupirmi sempre!...

Lei                           - È già qualche cosa.

Lui                                   - (recitando la freddezza) ... ma questa conversa­zione è inutile... Lieto di averti rivista e... (Lei ride) Per­ché ridi ora?

Lei                                   - Giulio!... dobbiamo proprio recitare il melodram­ma d'uso?

Lui                           - (ferito) Hai ragione, ciao. (Sì avvia, ma lei lo blocca e lo trascina dolcemente per qualche passo) Ma come fate a cambiare, a camuffarvi, a simulare cosi: que­sto solo vorrei sapere!

Lei                                   - (tagliente) Scherzi della nube.

Lui                           - E io illuso, cascato in pieno!...

Lei                                   - Come un bambino, suppongo...

Lui                           - Tutto gentile, onesto...

Lei                                   - Onesto; poi?

Lui                                   - ... romantico...

Lei                           - (freddamente) Non direi solo romantico.

Lui                                   - ,.. l'ombrello sotto la pioggia, i regali da fidan-zatino... (ride) e lei le alghe sulla pelle... sul corpo...

Lei                           - (arrossendo e coprendosi il volto) Ti prego di essere più casto: almeno nel modo di esprimerti, se non sai esserlo nel modo dì pensare!

Lui                                   - (sbalordito) Più casto, io?

Lei                                   - (quasi piangendo) Non hai il diritto di ferirmi cosi!... Mi pento di aver permesso che tu mi rivolgessi la parola per strada.

LUI                                 - Sapessi io!

Lei                           - E compiangiti ora! su, compiangiti! Son qua.

Lui                                   - Sei molto misericordiosa! ma il maestro non ti starà aspettando nel laboratorio, poveretto?

Lei                                   - (con un sospiro di pazienza) È una vecchia sto­ria, Giulio! tutti hanno una vecchia storia!

Lui                           - Ma quel che vuoi dire questa storia! quel che rivela di te!

Lei                                   - Giulio, ti prego per l'ultima volta di essere più pulito nelle tue congetture! Altrimenti me ne vado e non mi vedi più.

Lui                           - Con lui! Ma ti rendi conto? (Ride) Con quel mi sai dire almeno perché non ha faccia?

Lei                           - È un naturalista, Giulio!... Ah com'è faticoso coi giovani... sempre inquisizioni! come se tutto potesse essere spiegato...

Lui                           - Mentre coi vecchi, no?

LEI                          - Mentre coi vecchi no!

Lui                           - E allora stacci, e a non rivederci mai più! (Lui le ha strappato di mono l'ombrello, lei cade per terra, ma lo trattiene per un braccio. Trascinato, a un certo punto cade anche lui e cosi combattono con amore e con odio accavallando le battute e scuotendosi l'un l'altro in mez­zo alla tempesta)

Lei                           - No, Giulio, non fare cosi!

Lui                                   - Non ti conosco, non ti ho mai conosciuta: io ho conosciuto un'altra persona!

Lei                           - Ero io, sono io!

Lui                                   - Mi piaceva tutto di lei! ecco, pensavo: la soli­tudine è finita, pensavo.,.

Lei                           - È la nube, è la nube! tu non sai che cosa vuoi dire per una ragazza...

Lui                           - ... ora c'è qualcuno, c'è qualcuno, pensavo...

Lei                           - ...vivere nella nube per una ragazza-

Lui                           - Quella era Patrizia, non tu!

Lei                           - Sono io Patrizia! io Patrizia!

Lui                                   - ... cosi ambigua, falsa, con relazioni inconfes­sabili...

Lei                                   - Mi fa solo pena ormai, solo pena, lo vuoi capire?

Lui                                   - ... con i tuoi gusti vegetali... chimici...

Lei                           - No! non sono una ragazza da laboratorio io!

Lui                           - Perché? che cosa ti ho fatto io...

Lei                           - E tu perché mi hai lasciato andar via con lui?...

Lui                           - ...perché tu mi facessi soffrire cosi?

Lei                           - ... perché non mi hai strappato a viva forza? (Da questo momento le battute vengono pronunciate contemporaneamente dai due protagonisti e si perdono nei loro singhiozzi)

Lui                           - E ora... non c'è più niente da fare...

Lei                                   - Si... si, invece...

Lui                           - Sei qui e non puoi farci più niente...

Lei                           - Si, invece! tu mi ami ancora...

Lui                           - Ti odio, ti odio!

Lei                           - Giulio, non te n'accorgi nemmeno quanto mi ami...

Lui                           - No... no... no...

Lei                           - Si... si... si... Mi ami, ci amiamo!

Lui                                   - ... nemmeno se lo volessi...

Lei                                   - Oh, quanto ci amiamo!

Lui                           - ...potrei più amarti!

Lei                           - Tesoro, tu mi adori! mi adori!

Lui                                   - (ride convulso) No... no...

Lei                           - E anch'io te!

Lui                           - No... no... (Ma la sua resistenza si affievolisce)

Lei                                   - Si, e tutto tornerà come prima... è ancora pos­sibile...

Lui                                   - No... no,..

Lei                                   - ... come prima, ne sono sicura, tutto ricomincerà da capo... zitto! (Lo bacia. Lui la bacia a sua volta: con tristezza, con rabbia, con passione, con disperazione. Il temporale infuria sempre. Continuano a trascorrere om­brelli squassati dal vento che si rimorchiano i loro perso­naggi malconci. Ma il vento ora non tocca più i due gio­vani, sembra ignorarli. Si alzano silenziosamente, quasi solennemente, guardandosi negli occhi. Si baciano ancora. Poi avanzano immuni dalla tempesta, compresi in se stessi)

Lei                           - È tutto passato, vero?

Lui                           - Tutto passato.

Lei                           - E noi ci vogliamo bene.

Lui                           - Si.

Lei                                   - Ci vogliamo bene, vero?

Lui                                   - Occorre dirlo?

Lei                           - No, in fondo non occorre.

Lui                                   - Grazie. (Pausa) Hai freddo? ti do l'impermeabi­le? (Fa l'atto di toglierselo)

Lei                                   - No, non c'è bisogno. (Lui non si toglie l'im­permeabile)

Lui                           - Posso darti ancora un bacio?

Lei                                   - Ma certo, Giulio, che dici? (Lui la bacia un po' freddamente)

Lui                                   - È bello baciarti. (Lei sorride, ma fraintende) Non li dimenticherò tanto facilmente i tuoi baci...

Lei                                   - Caro... (Poi, ripensandoci) Perché hai detto di­menticare?

Lui                                   - Non so... (Amaro) Sai baciare tu...

Lei                           - Ah. (Pausa) Ci siamo. (Sorride ironicamente) Come siete tutti provinciali.

Lui                           - Non credo di essere provinciale,

Lei                                   - ...all'antica! Ma si, ci tieni all'innocenza, alla purezza. Anche tu. Gira gira, ci tenete tutti.

Lui                           - "Ci tenete tutti..." (Enumerando) Prima il "Lei", poi il "tu", e ora il "voi"... La parabola è conclusa, mi pare. (Segue un lungo silenzio. Il vento si va acque­tando. Il cielo si rischiara)

Lui                           - Ha smesso di piovere. Guarda, c'è l'arcobaleno.

Lei                                   - Già... che bello. (Silenzio) Guarda quelle tre stel­le in fila.

Lui                           - Sembrano tirate con una squadra. (Silenzio) è già mattino.

Lei                           - Che freddo. Non vedo l'ora di essere a letto.

Lui                           - Da che parte vai?

Lei                                   - Di là. (Pausa) Prenderò un taxi. (Si è fatto chia­ro. Sullo sfondo aurora del cielo è ricomparsa la sagoma del portone d'inizio. L'ombrello di lui è tutto sbrindellato e disegna sul cielo le sue stecche scombinate. Altri sche­letri di ombrelli si disegnano sul cielo; altri giacciono rotti al suolo. È tutta una patetica natura morta di om­brelli chiusi, aperti, rovesciati, sconquassati, stracciati, va­riopinti, che appare come dopo una devastazione, Lei si allontana frettolosa senza volgersi. Lui butta via il suo ombrello, oltrepassa il portone e si avvia lentamente ver­so il fondo)

FINE