Pirandello… in breve

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                                                   Antonio  Sapienza

                                                          Presenta

                                               PIRANDELLO… IN  BREVE

Nove atti unici di Antonio Sapienza, ricavati dalla rivisitazione, adattamento e riduzione (quasi tutti con soli tre personaggi), di alcune grandi commedie di Luigi Pirandello.

Essi sono stati scritti per dare a tutti i teatranti, impiegando poche risorse, l’opportunità di rappresentare alcune delle migliori commedie del grande drammaturgo.

Il Mago e l’Attrice (da “ I giganti della montagna), pag.2;

Tutti pupi e sempre in  scena (da “Il berretto a sonagli”) pag.17;

De Prufundis Santo (dalla novella “La patente”) pag.34;

Il mastice miracoloso ( dalla novella “La giara”) pag.49;

Ma le corna sono in conto ( da “Pensaci Giacomino”) pag.57;

Là, nel retrobottega di Madama Pace (da” Sei personaggi in cerca d’autore”) pag.72;

Donn’Anna Luna (da “La vita che ti diedi”) pag.89.

Onesto io, onesti tutti (da “Il piacere dell’onestà”) pag. 104;

Tutto bene, anzi, benissimo (da “La ragione degli altri”) pag. 119.

Le commedie, se rappresentate, debbone essere dichiarate singolarmente alla SIAE.

                                             

                                               IL  MAGO  E  L’ATTRICE

                                  ( Ovvero: l’Immaginazione e la Poesia)

                              

                                                     Atto Unico

                                                          di

                                             Antonio  Sapienza

” atto unico -anno 1994- pers.: 2 m. 1f.

Tratto dalla commedia in tre atti di Pirandello “I giganti della montagna”, ridotta in atto unico con tre soli personaggi.

Personaggi:

Il Mago Cotrone…………………………capo degli scalognati;

La Contessa Ilse …………………………attrice;

Quaqueo  ( o la Sgricia)*..……………scalognato.

E le due Vicine .…………………………apparizioni  (facoltative).

E, inoltre, alcuni giganti della montagna (Personaggi a discrezione della regia).

Sulla scena sono state poste tre pedane (una sarà posta davanti alle altre due) sulle quale opererà il solo Cotrone; a destra vi sono tre gradini di un’ipotetica casa che sfuma nel nulla; sulla  sinistra vi è un cipresso che sfuma nel cielo; e in fondo alla scena un telo azzurro per scene in trasparenza ed effetti luminosi (oppure, a discrezine della regia, solamente un cono di luce).

All’apertura del sipario ci sarà buio in scena. Con una musica adatta, man mano si farà chiarore lunare. 

Sul palco, all’impiedi vi è il Mago Cotrone che indossa uno spolverino aperto sul davanti che lascia intravedere pantaloni sdruciti, grigi, tenuti da bretelle nere; e una maglia di color rosso; calza un malandato cappellaccio a falde larghe. Egli, facendo dei giochi di luce, fa divertire Quaqueo, suo aiutante, sgorbio nel corpo, che indossa pantaloni troppo corti che regge con una sola bretella, su di uno striminzito girocollo. Egli regge in mano una tromba e, di tanto in tanto, la suona. ( se fosse la Sgricia, vestirla con gonna lunga, scura e scialle)

Un minuto dopo, si ode una voce in lontananza e Quaqueo si reca subito a vedere chi viene.

Qua.- O-Oh, arriva gente (poi corre verso il cipresso) Arriva qualcuno….E’ una donna!

E’ sola!-

Cot.- Sarà una Regina spodestata (ironico). Dimmi è nuda?-

Qua.- Nuda? No, nuda non mi pare…(osserva meglio).-

Cot.- Nuda, sciocco! Su un carretto di fieno, una donna nuda, coi seni all’aria e i capelli rossi sparsi come sangue di tragedia! I suoi Ministri la tirano sudati, in maniche di camicia… Suvvia! Svegliati: Immaginazione!  Ecco, è già notte, il regno nostro…-

Qua.- Seguita a salire.-

Cot.- Sale? Dev’essere la contessa…La villa è grande.-

Qua.- Eccola. Com’è pallida… pare morta.-

Entra da sinistra, da dietro il cipresso, Ilse, la contessa-attrice. Indossa un abito da sera che una volta doveva essere elegante e prezioso, ma che ora è malandato, sporco e sdrucito. E’ come se si trovasse in stato di sonnambulismo, gesticola e declama come se seguisse un filo di pensiero.   

Cot.- Silenzio Quaqueo.-

Ils.-   …Se volete ascoltare  questa nuova favola,

         credete a questa mia veste di povera donna;

         ma credete di più a questo mio pianto di madre per una sciagura,

         per una sciagura (s’ode una risata di sarcasmo)…

         Ne ridono tutti così la gente istruita che pure vede che piango,

         e non se ne commuove…-

Cot.- Ma sta recitando!-

Qua.- E’ un’attrice? Oh bella.-

Ils.- … ne prova anzi fastidio, e:

           “ Stupida! Stupida!”

        mi grida in faccia, perché

        non crede che possa esser vero che il figlio mio,

        la creatura mia…

        Ma voi dovete credere a me; a loro…

        Son povere madri, come me, del mio vicinato,

        che ci conosciamo tutte e sappiamo c’è vero…(si agita tutta)

        Le donne.. le donne!-

Cot.- Ma le donne per ora non ci sono…-

Ils.- ( come svegliandosi) Non ci sono? Perché? (guardandosi attorno) Dove sono?-

Cot.- Non tema Contessa, tra amici!-

Qua.- Ma è davvero una Contessa? O delira, forse ha la febbre…-

Cot.- Sta zitto Quaqueo!-

Ils.- … Mi chiamavo Ilse Paulsen…-

Cot.- Lo so Contessa.-

 Isl.- …avevo lasciato un buon ricordo di me, sulle scene. Sposai un Conte. Lasciai le scene…Ma un Poeta venne, una sera, a leggermi un’opera che stava scrivendo – per me- disse – ma senza speranza perché ormai io non ero più attrice.

L’opera era così bella che mi esaltò; e lo incoraggiai, incautamente, a portare al termine il suo lavoro. Ma quando fu compiuta mi ritrassi da quel fuoco e lui, disilluso, s’uccise.

Mi sono ridotta così perché la vita che negai a lui, ho dovuto darla alla sua opera; e sono tornata a recitare per quest’opera sola!-      

Cot.- E quest’opera, in mezzo alla gente, è stata la sua rovina... Ah come comprendo, contessa.-

Ils.- Fin dalla prima rappresentazione nessuno volle saperne. Tutti contrari! Fischi che tremavano i muri! A nulla valse anche lo stupore dei scenari - mai visti. E le luci? tutti i prodigi della messinscena spettacolosa: quarantasei tra attori e comparse.

Avvilire l’Opera, l’incomprensione della poesia, il disprezzo della gente, le risa…-

Cot.- Ma io ho in odio questa gente. Vivo qua per questo, e da cristiano mi sono fatto turco! Ma niente a che vedere con Maometto!

Turco per il fallimento della Poesia della cristianità.-

Ils.- … e le imprese han disdetto i contratti e negato i teatri nelle grandi città.

E il patrimonio di mio marito andato in fumo.. poi i  piccoli teatri sempre più vuoti… le nottate passate nelle sale d’aspetto delle stazioni… oddio! Pure nelle stalle… la Compagnia dispersa, quei pochi fedelissimi, divorati dal freddo e dalla fame…-

Cot.- Io ammiro il suo animo, signora Contessa, ma creda che con me non ha bisogno di far valere la bellezza dell’opera e la bontà dello spettacolo.

Veda, ella è stata indirizzata a me da un mio lontano amico che probabilmente non ha fatto in tempo, o non ha trovato il modo, di comunicarle il consiglio che gli davo di impedire che s’avventurasse fin qua.-

Ils.- Ah si? e perché non c’è un teatro in paese?-

Cot.- C’è, si, ma per i topi: è sempre chiuso… pensano di abbatterlo…per farci uno stadio o una fiera per il bestiame.

Non ci pensi neppure!-

Ils.- E allora dove? Qua non c’è abitato…mi hanno raccomandato a lei…-

Cot.-… e io son qua, tutto per lei. Non si confonda signora Contessa, vedremo, studieremo, troveremo.

Intanto provvediamo ad alloggiarla per questa sera alla villa, ma sarà bene che prenda un po’ regola da noi.-

Ils.- Sarebbe a dire?-

Qua.- Fare a meno di tutto e non aver bisogno di nulla. Le preparo la stanza...-

Cot.- … l’unica con la chiave che ho io... ( da la chiave a Quaqueo che esce)-

Ils.- E quando si ha bisogno di tutto? Come si fa senza nulla?-

Cot.- …e lì saprà che si può aver tutto, solo quando non si ha più niente...-

Cambio di luci. Musica soave. Ilse si siede sui gradini e con voce sognante declama.

Ils.- Cinque gatti per una gatta:

       cinque, pronti, tutt’intorno,

       che si struggono agguattati

       di vederla così spasimare;

       ma appena uno si muove,

       tutti gli altri gli saltano addosso,

       s’azzuffano, si graffiano, si mordono,

       scappano, si rincorrono…-

Cot.- (piano) Si ripassa la parte?-

Ils.- ( con voce dispettosa) Già, già, già! ( poi quasi stralunata)

        E sono allora le gatte

        Che fanno sul capo dei bambini

        Di questi scherzi? Guardate!

        Guardate!  

Cot.- ( incuriosito) Che debbo guardare?-

Ils.-  Qua, questo codino di capelli accatricchiati. ( quindi emette un urlo)

        No, figlio mio d’oro! ( ripigliando con voce rassegnata)

        Lo vedete? Guai se il pettine lo tocca; o la forbice lo taglia:

        Il bambino morrebbe…-

Cot.- Contessa, lei ha una voce che incanta, ma io credo che dovrebbe entrare e riposare; nella villa manca il necessario, ma il superfluo è di una tale abbondanza; stia a vedere, anche di fuori…Olà! ( con le mani a imbuto davanti alla bocca e lo sfondo s’illumina di giochi di luce)-

Ils.- ( incantata) Oh bello! Ma com’ha fatto? –

Cot.- Mi chiamano il Mago Cotrone. Vivo modestamente di questi incantesimi. Li creo.

( si rimette le mani davanti alla bocca e grida) Nero! ( e tutto torna come prima) Questo Nero, la notte, pare che lo faccia per le lucciole, che volando – non s’indovina dove – ora qua ora là, vi aprono un momento, quel loro languido sprazzo verde. Ebbene, guardi .. là, là…là ( appena dice e indica un punto, appaiono tre puntini verdi evanescenti).-

Ils.- Oh, Dio, com’è? Che sono?-

Cot.- Lucciole! Le mie. Di mago.

Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, ad un comando, si distaccano; entra l’invisibile; vaporano i fantasmi.

E’ cosa naturale. Avviene ciò che di solito nel sogno. Io lo faccio avvenire anche nella veglia. Ecco tutto.

I sogni, la musica, la preghiera, l’amore…tutto l’infinito che è negli uomini. Lei lo troverà dentro e intorno a questa villa che l’aiutano a entrare in un’altra verità, lontana dalla sua, pur così labile e mutevole…-

Ils.- Ma io…-

Cot.- … rimanga, rimanga così lontana. Non bisogna più ragionare. Qua si vive di questo.

Privi di tutto, ma con tutto il tempo per noi: ricchezza indecifrabile, ebullizione di chimere.

Le cose che ci stanno attorno parlano e hanno senso soltanto nell’arbitrio in cui per disperazione ci viene di cangiarle. Disperazione a modo nostro, badiamo!

Siamo piuttosto placidi e pigri; seduti, concepiamo enormità, come potrei dire? Mitologiche; naturalissime dato il genere della nostra esistenza.

Non si può campare di niente; e allora è una continua sbornia celeste. Respiriamo aria favolosa, gli angeli possono come niente calare in mezzo a noi; e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore.

Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra, creati dai colori che ci restano scomposti negli occhi abbacinati dal troppo sole della nostra isola.

Sordità d’ombra non possiamo soffrirne.

Le figure le inventiamo; sono un desiderio dei nostri stessi occhi; e accade qui, da noi.-

Ils.- E questa villa è vostra?-

Cot.- Nostra e di nessuno. Degli spiriti.-

Ils.- Come, degli spiriti?-

Cot.- Si. La villa ha fama d’essere abitata da spiriti. E fu perciò abbandonata dagli antichi padroni, che per terrore scapparono anche dall’isola, tempo fa. Da allora fu chiamata Villa Scalogna e noi siamo i legittimi scalognati.-

Ils.- Ma voi non credete negli spiriti?-

Cot.- Come no? Li creiamo!-

Ils.- Ah, li create…-

Cot.- Perdoni Contessa, non m’aspettavo da lei che mi dovesse dire così. Non è possibile che non ci creda anche lei, come noi. Voi attori date corpo ai fantasmi perché vivano – e vivono! Noi facciamo al contrario: dei nostri corpi, fantasmi: e li facciamo ugualmente vivere.

I fantasmi… non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi. E’ come la verità…-

Ils.- … lei inventa la verità?-

Cot.- Sempre! Non ho fatto altro in vita mia. Senza volerlo, Contessa. Tutte quelle verità che la coscienza rifiuta.

Le faccio venir fuori dal segreto dei sensi, o a seconda, le più spaventose, dalle caverne dell’istinto... Ne inventai tanti al paese, che me ne dovetti scappare, perseguitato dagli scandali…

Mi provo ora qua a dissolvere fantasmi, in evanescenze. Ombre che passano. M’ingegno di sfumare sotto diffusi chiarori anche la realtà di fuori, versando, come fiocchi di neve colorata, l’anima dentro la notte che sogna. Come fuochi d’artificio, ma senza spari. Incanti silenziosi.

La gente sciocca n’ha paura e si tiene lontana; e così noi restiamo qua padroni. Padroni di niente e di tutto.-

Ils.-  Ma di cosa vivete?-

Cot.- Così. Di niente e di tutto…-

Qua.- ( rientrando) Senza letto si può dormire, male – ma si dorme.-

Cot.- Chi ti può impedire il sonno, quando Dio che ti vuol sano te lo manda, come una grazia, con la stanchezza? E ci vuol fame, eh Quaqueo? Perché un tozzo di pane ti dia la gioia del mangiare, come non te la potrebbero dare, sazio o disappetente, tutti i cibi più prelibati.

E solo quando non hai più casa, tutto il mondo diventa tuo. Vai e vai, poi t’abbandoni tra l’erba al silenzio dei cieli; e sei tutto e niente… e sei niente e tutto.

Ecco come parlano i mendicanti, gente sopraffina, Contessa, e di gusti rari, che han potuto ridursi alla condizione di squisito privilegio, che è la mendicità.

Non c’è mendicanti mediocri. I mediocri sono tutti sennati e risparmiatori.

Doccia, il nostro compagno banchiere, ha accumulato per trent’anni quel soldo di più con cui gli uomini importanti si pagano il lusso della carità, ed è venuto qua ad offrirlo alla libertà dei sogni. Paga tutto lui. ( fa cenno alla villa)

Potevo  essere anch’io, forse, un grand’uomo, Contessa, ma mi sono dimesso! Dimesso da tutto: onore, decoro, dignità, virtù, cose che le bestie, per grazia  di Dio, ignorano nella loro beata innocenza.

Liberata da tutti questi impacci, ecco che l’anima ci resta grande come l’aria – piena di sole e di nuvole- aperta a tutti i lampi, abbandonata a tutti i venti – superflua e misteriosa materia di prodigi che ci solleva e disperde in favolose lontananze.

Guardiamo alla terra, che tristezza! C’è forse qualcuno laggiù che s’illude di star vivendo la nostra vita; ma non è vero. Non nel corpo che l’altro ci vede, ma nell’anima che parla chissà da dove: apparenza tra apparenze, con questo buffo nome di Cotrone, di Quaqueo, e poi di Sgricia,  di Mara- Mara, di Duccio i nostri compagni che dormono dentro la villa i loro sogni inventati.

Un corpo è la morte: tenebra e pietra. Guai a chi si vede nel suo corpo e nel suo nome.

Con la divina prerogativa dei fanciulli che prendono sul serio i loro giochi, la meraviglia che c’è in noi la rovesciamo sulle cose con cui giochiamo, e ce ne facciamo incantare, fino agli eccessi della demenza.

Ebbene, Contessa, come si diceva un tempo ai pellegrini: sciolga i calzari e deponga il bordone, ella è arrivata alla meta.

Da tempo attendevo gente come lei per far vivere altri fantasmi che ho in mente. Ma rappresenteremo anche la sua “ Favola del figlio cambiato”, come un prodigio che s’appaghi da se, senza chiedere niente a nessuno.-

Ils.- Qua?-

Cot.- Solo per noi.-

Ils.- Non è possibile.-

Cot.- Non vuole che l’opera viva per se stessa – come potrebbe essere soltanto qua?-

Ils.- Vive in me; ma non basta! Deve vivere in mezzo agli uomini!-

Cot.- Povera opera! Non avrà dagli uomini la gloria. Però, visto che rifiuta, ho un’idea che proporrò domani all’alba.-

Ils.- Che idea?-

Cot.- Domani all’alba.

Il giorno è abbagliato; la notte è dei sogni, e solo i crepuscoli sono chiaroveggenti per gli uomini.

L’alba per l’avvenire;

il tramonto per il passato.-

Lentamente sulla scena cala il buio. Musica adatta.

Gli attori siedono sui gradini e mettono la testa tra le mani, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia. Un minuto dopo riprende la scena. Gli attori, come se si svegliassero da un torpore, si alzano, si stiracchiano e fanno qualche passo.

Cot.- Signora Contessa, l’alba è vicina, e io le promisi  che avrei comunicato la mia idea che m’è venuta per lei: dove potrà andare a rappresentare la sua Favola del figlio cambiato; se proprio non vuol rimanere con noi.

Dunque sappia che si celebra oggi, con una festa di nozze colossale, l’unione delle due famiglie dette dei Giganti della Montagna…-

Ils.- Giganti?-

Cot.- Non proprio giganti, signora Contessa, sono detti così perché gente d’alta e potente corporatura, che stanno sulla montagna che c’è vicina.

La forza fisica, il coraggio e i rischi delle grandi imprese, hanno indurito la loro mente e gonfiato l’orgoglio. Ma lasci fare a me, lisciati a dovere, diventeranno malleabili e potrà  chiedere anche una grossa somma; anzi più grossa sarà e più importante diventerà, per loro, la sua offerta.

Piuttosto, come farà a rappresentarla?-

Ils.- Non hanno un teatro lassù?-

Cot.- Non è per il teatro. E’ per lei. Ho letto tutta la notte la sua Favola, e dico: ehi, ci vuole un bel coraggio a pensare di rappresentarla da sola.

Contessa, via, quest’opera è fatta proprio per vivere qua, in mezzo a noi – in mezzo a noi – che crediamo alla realtà dei fantasmi più che a quella dei corpi.-

Ils.- E come?-

Cot.- Le ho detto  che la villa è abitata dagli spiriti, Contessa. Abitanti della terra non uomini, spiriti della natura, che vivono in mezzo a noi, invisibili, nelle rocce, nei boschi, nell’aria, nell’acqua, nel fuoco… lo sapevano bene gli antichi: e il popolo l’ha sempre saputo; lo sappiamo bene noi qua, che siamo in gara con loro e spesso vinciamo, assoggettandoli a dare ai nostri prodigi, col loro concorso, un senso che essi non sanno, o di cui non si curano.

Se lei Contessa, vede la vita dentro i limiti del naturale e del possibile, l’avverto che lei qua non comprenderà mai nulla!

Noi siamo fuori da questi limiti. A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno da se. Al  più, al più, agevoliamo la loro nascita.

E il miracolo vero non sarà mai la rappresentazione, creda, sarà sempre la fantasia del poeta dal quale quei personaggi sono nati, anche se non hanno vita corporea.

Tradurli in realtà fittizia sulla scena è ciò che si fa comunemente nei teatri; il suo ufficio d’attrice.

Ils.- Sarei curiosa di vedere questo miracolo.-

Col.- Ah, lei sarebbe “curiosa”? Ma sa che non si vedono per “curiosità” questi miracoli?

Il suo poeta ha immaginato una Madre che crede le sia stato cambiato, in fasce, il figlio da quelle streghe della notte, streghe del vento, che il popolo chiama “le Donne”…-

Qua.-…La gente istruita se ne ride, si sa; e forse anche voi; invece io vi dico che ci sono davvero: sissignore, “ Le donne.

 Le notti d’inverno tempestose, tante volte noi qua le abbiamo sentite gridare e, con voci squarciate, fuggendo col vento, da queste parti.-

Cot.- Ecco volendo le possiamo anche evocare. (musica adatta).-

Qua.- Entrano di notte nelle case

          Per la gola dei camini

          Come un fumo nero…-

Cot.- … una povera madre che sa?

          Dorme stanca di una giornata;

          e quelle chinate ne buio,

          allungano le dita sottili…-

Ils.- (meravigliata) Ah, sapete già persino i versi a memoria?-

Cot.- Persino? Ma se noi possiamo rappresentare la Favola da cima a fondo, per fare una prova di tutti gli elementi di cui lei ha di bisogno - non noi.

Provi la sua parte di Madre, e glielo faccio vedere. Le do un assaggio.

Quando le fu cambiato il figlio?-

Ils.- Dice, nella Favola? (occhio di bue su Ilse)-

Cot.- E dove altrimenti?-

Ils.- Una notte, mentre dormivo, sento un vagito, mi sveglio,

        tasto nel buio, sul letto, al mio fianco:

        non c’è;

        di dove m’arriva quel pianto?

        Da se, in fasce, non poteva muoversi il mio bambino. ( si ferma come per chiedere)-

Cot.- E perché si ferma? Vada oltre, domandi, domandi, come è nel testo: “ Non è vero? Non è vero?”. ( l’occhio di bue si allarga e ai lati di Ilse si trovano le Vicine della Favola)-

1^ Vic.- Vero! Vero!-

2^ Vic.- Bambino di due mesi, come poteva?-

Ils.- (spaventata) Oh, Dio, queste?-

Cot.- Prosegua! Prosegua! Di che si stupisce? Le ha attratte lei! Non rompa l’incanto. Dica:

         “ Quando lo presi…”-

Ils.- ( con riluttanza ) Quando lo presi buttato – là- sotto il letto…-

Si ode una voce con tono irrisorio che grida:

“ Caduto! Caduto!”

Cot.- ( vedendo Ilse titubante) Non si smarrisca! E’ nel testo, prosegua!-

Ils.- (più convinta) Eh, lo so! Così dicono: caduto.-

1^ Vic.- Ma come caduto? Può dirlo chi non lo vide

              là sotto il letto, come fu trovato.-

Ils.- Ecco, ecco, ditelo voi come fu trovato,

       voi che occorreste per  prime, alle mie grida:

       Come fu trovato?-

1^ Vic.- Voltato…-

2^ Vic.- … coi piedini verso la testata…-

1^ Vic.- … Le fasce intatte, avvolte strette attorno alle gambette…-

2^ Vic.- … ed annodate con la cordellina…-

1^ Vic.- … perfette.-

2^ Vic.- Dunque preso,

              preso con le mani, d’accanto alla madre,

              e messo per dispetto là sotto il letto.-

1^ Vic.- Ma fosse stato per dispetto soltanto!-

Ils.- Quando lo presi…-

1^ Vic.- Che pianto!-

Scoppia dall’interno una grande risata di incredulità, Le due Vicine si voltano e gridano verso quella risata:

             “ Era un altro!

                Non era più lui!

                Lo possiamo giurare!”

L’occhio di bue si restringe su Ilse annichilita, le due Vicine escono di scena.

Ils.- Ho recitato. Ho recitato con le Vicine…( piacevolmente sbalordita)-

Cot.- Immagini uscite vive dalla fantasia del suo poeta.-

Ils.- Dove sono andate?-

Cot.- Sparite!-

Ils. Ah no! Son tutti trucchi e combinazioni, signore.-

Cot.- Ma no, ma no. Si lasci abbagliare, Contessa, si lasci abbagliare. Impari dai bambini, che fanno il gioco e poi ci credono e lo vivono come vero!-

Ils.- Non sono una bambina.-

Cot.- Se lo siamo stati una volta, bambini possiamo esserlo sempre! E difatti anche lei è rimasta sbalordita appena quelle immagini sono apparse qua!-

Ils.- Ma come sono apparse? Come sono apparse?-

Cot.- A tempo!  E hanno detto a tempo ciò che dovevano dire; non basta? Io le ho voluto dare un saggio, Contessa, che la sua Favola può vivere, ormai, soltanto qua; ma lei vuol seguitare a portarla in mezzo agli uomini, e sia!

Fuori di qua, però, non ho più potere di valermi in suo servizio. Ci pensi.-

Si ode, quindi, come un frastuono di una cavalcata selvaggia. Sono i giganti che scendono dalla Montagna. Quaqueo va ad affacciarsi dietro il pino.

Qua.- Eccoli! Eccoli! I giganti!  Sono tutti parati a festa… Sentite? Sentite? Paiono i Re del mondo!-

Cot.- Vanno in chiesa per la consacrazione delle nozze.-

Ils.- Andiamo a vedere.(tenta di dirigersi verso il pino)-

Cot.- ( con voce imperiosa l’arresta) No! Non si muova! Non si faccia vedere, se deve andare alla recita, resti qua e concerti la prova! Vado io a proporre la rappresentazione.-

Cotrone esce da dietro il pino.

Ils.- ( a Quaqueo) Ma li senti? Ma tu non hai paura? Pare la cavalcata di un’orda di selvaggi! Tremano i muri!-

Intanto il frastuono s’allonterà. Musica adatta. Fermo di scena di Ilse e Quaqueo.

Poi buio in scena (escono Ilse e Quaqueo) con il fondale che tornerà a illuminarsi con effetti di luce. Da un siparietto trasparente, che calerà da destra, si vedranno Uma e Lopardo, gli sposi, e gli altri Giganti che  banchettano sfrenatamente.

Poi, cessati gli strepiti, apparirà Cotrone che tratterà con loro. Subito dopo, con cambi di luce, la  Contessa sarà su di una pedana e reciterà quella parte della Favola che in precedenza aveva  già declamato.

Ils – c.s.

I Giganti prima l’ascolteranno in silenzio, poi inizieranno una caciara sghignazzando, come per scherzare, prima  tra loro; poi con Ilse, strattonandola e scrollandola  finchè non sarà caduta per terra. Ilse resterà immobile.

I giganti, paghi, andranno via rumorosamente. Poi silenzio assoluto. Luci del caso. Musica adatta.

Si alzerà il siparietto e Cotrone entrerà in scena da sinistra, prenderà Ilse, esanime,  in braccio e, seguito da Quaqueo, entrato da destra, che suonerà una malinconica musica con la tromba, uscirà, lentamente, dirigendosi verso sinistra.

Quando sarà a metà del palco, si accorgerà che Uma li starà seguendo. Con la mimica si dovrà far capire questo: Cotrone chiede a Uma cosa vuole; Uma fa cenno verso la Contessa; Cotrone non capisce; Uma mima la ninna nanna di un bimbo; Cotrone comprende che Uma vuol sentire il seguito della Favola e le fa cenno di seguirlo.

Gli attori, sempre  con la musica di Quaqueo, usciranno lentamente da sinistra.

Sipario.

Fine. 

     

               

    

     

                           "   TUTTI  PUPI,   E   SEMPRE   IN   SCENA.  "

                                               
                                                     Atto  unico

                                                             di

                                              Antonio  Sapienza

anno 2008 – atto unico – personaggi: 2 m. 1.f. gennaio 2008.

Un Capocomico ha scritto un copione reinterpretando il carattere di Ciampa. Lo sottopone ai suoi attori che lo accolgono freddamente, ma, nonostante ciò, lo provano in lettura, e ne viene fuori un personaggio inquietante.

Personaggi:

Il capocomico;

1° attore;

1^ attrice;

una ragazza. (facoltativa).

Sul palcoscenico spoglio, vi un tavolino e alcune sedie sparse. Su una sedia vicino al tavolino vi seduto il Capocomico, che legge un copione, mentre nei pressi vi sono gli altri due, anch’essi col copione in mano. Poco dopo il Capocomico, poggia il copione sul tavolinetto, con fare sbrigativo.

Capoc.- Allora, mi pare che siamo pronti. Lettura di copione. Possiamo incominciare a provare. Come d’accordo, io faccio lo scrivano, tu il delegato, e lei, naturalmente, la signora.-

1° att. – Scusami, io sono pronto, lo sai; però non vedo tutta questa necessità di stravolgere l’opera originale per ottenere i significati che vuoi dargli tu…potevamo…- 

Capoc.- E no! Ricominciamo? Ti ho detto che non posso far emergere quel mio specifico taglio sui pupi, se non rivedo tutta l’opera. Fattene una ragione per favore.-

1° attore.- Io la ragione me la sono già fatta. Comunque tu sei il capo, io sono quello che esegue (con una punta polemica).-

1^ attrice.- Per carità finiamola con le discussioni e incominciamo questa benedetta prova…io avrei altri impegni - per oggi.-

Capoc.- Sentite, mi dispiace dovervi imporre un copione che non condividete. (prende il suo copione) Ed è perciò che stiamo facendo questa prova di lettura, per convincere anche voi. Comunque, facciamo così: se vediamo che il risultato è ovvio, scontato, banale, o addirittura inutile, pupi o non pupi, lasciamo perdere la riduzione, i tagli e i diversi significati che da questa rivisitazione dorrebbero uscire, facciamo l’originale e non se ne parla più. Va bene così per tutti?-

1° att.- D’accordo-<

1^attrice.- Va bene.-

Capoc.- Allora iniziamo. (a una ragazza che attraversa il palcoscenico, dandole un copione) Tu, per favore, dirai le battute della serva. Non preoccuparti sono poche e di una facilità tale che mi vergogno pure a proportele. Ma mi servono. (la giovane prende il copione e cerca la parte) Grazie. Chiudete il sipario!-

 Il sipario si chiude, poi buio in sala. Buio sul palco. Musica adatta. Sipario che lentamente si apre. Un minuto e una luce colpirà la signora che e' di spalle al pubblico in atteggiamento di attesa. La ragazza accenna qualche passo, poi dice:

Serva- Signora, c'e' il signor Delegato, vuole che passi?-

Sig.- Signor Delegato, venga entri qua... Ah, finalmente!-

Del.- Fulminato signora. Proprio. Privo della vista degli occhi! Come se un fulmine mi fosse caduto, qua, davanti ai piedi! E chi poteva mai pensarlo... una denuncia, contro suo marito.-

Sig.- Va bene, va bene, dev’essere fatta, ma non e' più tempo di parole, adesso. Bisogna concertare subito quel che s'ha da fare!-

Del.- Concertiamo, ma lei si calmi, per carità.-

Sig.- Gli voglio dare una lezione davanti a tutto il paese, una di quelle lezioni che non se la dovrà più dimenticare!-

Del.- Si, ma...e... e le conseguenze le ha misurate?-

Sig.- Che dovrò separarmi? (il Delegato annuisce) Prontissima! Ma prima lo svergogno e poi ci separiamo! L'ha da vedere il paese chi e' questo signor cavaliere che tutti rispettano! Io le faccio la denunzia: Lei e' un pubblico ufficiale, e non può tirarsi indietro.-

Del.- Ma perchè... perchè... santo Dio. (pausa) Signora, in paese e' notorio a tutti...-

Sig.- ... che io sono gelosa? e con la scusa che io sono gelosa, lui fa sempre il comodo suo! No, no! (breve pausa) Lei pensa che  non c'è più difficoltà, avendo la chiave della stanza dello scrivano, è vero? (il Delegato annuisce) E allora?-

Del.- Beh, avendo la chiave…a meno che quella donna non mette il paletto dietro la porta…-

Sig.- E se lo facesse?-

Del.- Se lo facesse... se lo facesse...si dovrebbe pensare ad altra possibilità...che certamente troverò. Eh, signora mia non è facile fare il Delegato… ma ne ho già presi sull’ala… sapesse quanti.-

Sig.- (esultante) Ah! Bravo! bravo! Mi detti, mi detti la denunzia, subito!-

Del.- Aspetti, aspetti. Ma…allo scrivano  ci ha pensato?-

Sig.- Eccome! Figuratevi l’ho mandato a Catania con la scusa di farmi una commissione. Non tornerà prima di domani. –

Del.- No, signora, intendevo dire: Allo scrivano, come marito, ci ha pensato?-

Sig.- (come smarrita) Ma certo, s’intende, sicuro…certo, quando gli ho proposto la commissione, ha fatto qualcuno di quei ragionamenti illogici e stramballati che usa fare. Mi ha parlato di corde pazze, di pupi ed altre assurdità ancora - figuratevi mi voleva lasciare qui, da me, sua moglie, e quando ho rifiutato si accontentava di lasciarmi  la chiave di casa, dopo aver chiuso dentro sua …metà. Quell’uomo o è pazzo del tutto, o è un furbone di tre cotte, ma di quelle, di quelle…-

Del.- Io opterei per la seconda ipotesi, senza escludere la prima. (breve pausa) Signora mia, mi ascolti, in questa faccenda, non sottovaluti quello scrivano… è intelligentissimo.-

Sig.- Ma per carità signor Delegato, per carità, non lo sottovaluto certo…ma, di contro, l’ho valuto per quello che è: Un becco, ecco un gran becco! Signor Delegato. Ora la denuncia e agisca!-

Del.- Come desidera…-   

Sta per iniziare il buio di scena.

1° attore.- Aspettate, aspettate (ai tecnici). Scusa Maestro, all’atto della prima lettura del copione mi resi conto che questa parte era soltanto un’introduzione al taglio del dramma che segue, come l’hai intesa tu; ma recitandola, ora qui, parola mia, mi sembra di fare l’opera originale…e gli spettatori? Come la prenderanno?-

Capoc.- Ma questa è una doverosa introduzione, anche se è lunghetta. Ed era proprio necessaria, credimi. Non potevo certo inventarmi tutto io.(B.P) Gli spettatori come la prenderanno? Penso che aspetteranno, tranquilli, la fine dello spettacolo, quindi giudicheranno.-

1^ attore.- E se si alzano e se ne vanno?-

Capoc.- E’ mai successo questo infausto evento, in uno spettacolo della nostra compagnia?-

1° attore.- Non è per fare il cucco, ma non si sa mai…-

Capoc.- Tocco ferro! Avanti col buio, per favore.-

Buio in scena, poi riprende . La voce dalle quinte, annunzia la venuta del Delegato.

Serva- Signora, c'e' il signor Delegato!-

Sig.- Che passi.-

Entra il Delegato

Del.- Una cosa da nulla, signora, da nulla! Entrati dalla porta. Nessun reato in flagrante. Nessuna prova! Il cavaliere vostro marito è senza macchia. Erano si, dentro, ma costumati - e parlavano… parlavano soltanto…di affari.-

Sig.- Affari? Con la moglie dello scrivano?-

Del.- Precisamente, anzi non proprio. Ella ha dichiarato che, leggo testualmente: “Il cavaliere – cioè vostro marito- si trovava lì perché gli servivano urgentemente delle carte importanti, e non avendole trovate in ufficio, egli pensò che forse suo marito - cioè lo scrivano - se le fosse portate in casa…per precauzione.

Saputo che il suo dipendente era andato a Catania e non potendo, per l’urgenza degli affari, aspettarne il ritorno, ha dovuto prendersi la libertà di cercarli personalmente a casa sua.” Ma, purtroppo, quella carte, nonostante una ricerca accurata, al momento della nostra irruzione, non furono ancora trovate.

Ed ecco, mia gentile signora, il motivo perché il cavaliere si trovava in casa dello scrivano - Tale dichiarazione, naturalmente, è stata riscontrata positivamente con quella rilasciata da suo marito, e messa a verbale. Tutto a verbale, signora mia, e tutto in regola.-

Sig.- Non posso crederci…-

Del.- Dovete crederci!-

Serva:- Signore è arrivato lo scrivano da Catania, faccio passare?-  

Sig.- Mio Dio! E ora che si fa? (domanda al Delegato).-

Del.- Fate passare, ma lei aspetti di là e non abbia paura, ci sono qua io!-

Sig.- Fate passare!- (esce da sinistra)

Entra lo scrivano, con un'aria smorta.

Del.- ( andandogli incontro) Che e' stato? Siete caduto?-

Scr.- Lei qui? Già, è naturale. (prima sbalordito, poi come se la cosa fosse normale) No, è solo un capogiro. Non dubiti. Sette spiriti ho, come i gatti. Ora li ripiglio.(b.p.) Ma, tanto... me ne vado subito. Ho fatto la commissione...la signora?-

Del.- La signora, e' di la' che...capirete in questo momento non può parlare con voi.-

Scr.- Parlare? E che bisogno ha più di parlare? Dopo il fatto!-

Del.- Ah, il fatto…sapete già…-

Scr.-Appena arrivato in paese: zac! informato di tutto... il fatto.-

Del.- Ma il fatto, caro amico, non e' come voi forse immaginate! V'assicuro che non avete proprio ragione di star così!-

Scr.- Me l'assicura lei?-

Del.- Ma no! gli atti, gli atti - il verbale, capite, caro voi? Lo dice il verbale!-

Scr.- E quando lo dice il verbale, il caro me...(fa un gesto come dire: corna in tasca)-

Del.- Lasciate stare quei gestacci. (breve pausa) Ma certo! Se un fatto risulta assolutamente infondato... per constatazione legale! Dovete per forza ammetterlo!-

Scr.- Non ho difficoltà! (toglie le dita a corna e riporta la mano normale, poi breve pausa) Volevo parlare con la signora. Non si può. Me ne vado.-

Del.- Ma che vorreste dire, scusate, alla signora?-

Scr.- ( con indifferenza) Volevo, volevo rivolgerle una sola domanda; e non propriamente alla signora, ma alla sua coscienza.-

Del.- Che domanda?-

Scr.- Scusi, se dico alla sua coscienza...Signor Delegato, mi cerchi!  Mi frughi, veda se sono armato.-

Del.- Sappiamo bene che siete un galantuomo, caro amico! (rafforzato)-

Scr.- Signor Delegato, qui c'e' un uomo pronto alla gogna per essere lapidato...-

Del.- Ma no... ma no.. che dite! Ma se non c'e' ragione. State tranquillo, state tranquillo!-

Scr.- Tranquillo, già... Questa sola domanda, insomma, alla signora, in presenza vostra, volete lasciarmela fare?-

Del.- Ma si, ma si! Ecco, ve la chiamo. Signora, signora!-

Entra da sinistra la signora

.

Scr.- Signora, ho fatto tutto (posa sul tavolo un pacchettino) E ora mi permetta una domanda; mi risponda in coscienza: Secondo lei, sapevo tutto e mi stavo zitto. E' così? Mi risponda. E' così?-

Sig.- Eh... poichè lo dite voi stesso... si, è proprio così - almeno così pensavo...-

Scr.- Ah! E allora, a uno che - poniamo - e' guercio, lei gli appende un cartellino alle spalle: -" Popolo! e' guercio!"?-

Sig.- Ma no... che c'entra!-

Scr.- Lasciamo il guercio di cui tutti si possono accorgere senza bisogno del cartellino. Lei deve provare che uno, uno solo, signora, in tutto il paese sospettasse di me quello che lei ha creduto! che uno, uno solo potesse venire a dirmi in faccia: - "Sei becco, e lo sai!"-

Del.- Ma chi ve lo poteva dire - suvvia!-

Scr.- Ma la signora potrebbe dire: Anche se non lo sapevano gli altri, era noto a voi e tanto basta! E' vero? e' vero? Non lo neghi! Io ho bisogno della sua coscienza, signora: non del verbale! Dica: e' vero?-

Sig.- E' vero, si.-

Del.- (sottovoce) Accidenti.-

Scr.- Ah, signora, signora. (con decisione) Capisco! Ora io parlo... non per me... parlo in generale...per esempio: Che può sapere lei, signora, perche' uno, tante volte, ruba; perche' uno, tante volte, ammazza; perche' uno, tante volte - poniamo, brutto, vecchio, povero – per l'amore che gli può donare una giovane e bella donna– diciamo, magari sua moglie - possa sottomettersi fino al punto di spartirsi – diciamo – il suo amore con un altro uomo - ricco, giovane, bello - specialmente se le cose, diciamo, son fatte in modo che nessuno se ne possa accorgere? - parlo in generale, badiamo! non parlo per me!

Lasciamo stare questi discorsi generici, ipotetici, e veniamo a noi! Io, signora, sapevo che lei aveva sospetti su mia moglie e su suo marito: gelosia! - chi non ne ha, quando si vuol bene? - Compatisco anche i delitti, signora; si figuri se non avrei compatito lei, per la gelosia! Ero venuto qua, ieri, apposta per farla parlare, diciamo, per farla sfogare. Se aveva un sospetto, perché non levarselo insieme a me? Non glielo volevo levare da solo! Nossignore! Perchè so che questi sospetti, più si vogliono levare, e più si raffermano!

Se lei avesse parlato seriamente, sinceramente, con me; se avessimo collaborato – trovato un accordo; oppure se ci fossimo convinti – magari con della prove - della loro colpevolezza, io me se sarei tornato a casa e avrei detto a mia moglie: "Pst! Fagotto e via!" - Oggi mi sarei presentato al signor cavaliere: -" signor cavaliere, bacio le mani: ma non posso star più con lei!" - "Ma perche'?" “ Perche' non posso star più con lei: ho altri affari."

Così si fa, signora mia! (pausa) Glielo gridai finanche:- "Parli, parli!" - E lei non volle dir niente! Volle gettarmi a terra, assassinarmi... E che vuole che faccia io ora?  Mi dica lei che cosa debbo fare!

Tenermi questo sfregio? Comprarmi una testiera con due bei pennacchi, per far comparsa in paese? e tutti i ragazzini dietro, in baldoria, a gridarmi:- " Be' Be' Beee'?- e io, pacifico e sorridente, a ringraziare a destra e a sinistra?-

Del.- Ma perche'? dove? che sfregio! che testiera! che ragazzini! Se non c'e' stato niente!

assolutamente niente!-

Scr.- Perche' lo dice il verbale, e' vero? Ma chi vuole che creda a codesto suo verbale dopo tanto scandalo? Guardie, Delegato, sorpresa in casa, arresto ...-

Del.- Sta bene! Ma con risultato negativo! Poi l’arresto e' stato conseguenza delle intemperanze del signor cavaliere, il quale indignato...-

Scr.-Signor Delegato, son macchie d'olio, che non si levano, queste!  Diranno:-" Si tratta d'un pezzo grosso!  Hanno accomodato la cosa!" E come resto io? Ma signora, come non penso' a me- lei? O che non ero niente, io? Lei ha scherzato; s'e' passato questo piacere; ha fatto ridere tutto il paese; domani rifarà pace con suo marito...e io? " Non e' stato nulla, la signora ha scherzato!". Signor Delegato, qua, mi tasti il polso!-

Del.- Come? perche'?-

Scr.- Mi tasti il polso. Dica se ci avverte un battito di più. Io dico qua, con la massima calma, testimonio lei, che questa sera stessa, o domani, appena mia moglie ritorna a casa, io con l'accetta le spacco la testa! E non ammazzo soltanto lei, perche' forse farei un piacere, cosi', alla signora! ammazzo anche lui, il signor cavaliere - per forza, per forza!-

Sig.- Che fa? Dio mio!-

Del.- Che e'? Chi ammazzate voi?-

Scr.- Tutti e due! Per forza! Non posso farne a meno! Non l'ho voluto io!-

Del.- Voi non ammazzate nessuno. Ci sono qua io!-

Scr.- Oggi...-

Del.- ... e domani!-

Scr.- Ma doman l'altro li ammazzo!-

Del.- Ammazzare? Per una pazzia, per una pazzia! Per una pazzia, ve lo conferma la stessa signora (quasi imbeccandola) vero? per una pazzia!-

Sig.- Non ammazzerete nessuno! Ebbene, si! Una pazzia! si, certo, una pazzia!-

Entra la serva che aveva sbirciato.

Serva- Ma è una pazzia! Solo una pazzia di donna gelosa.-

Del.- Proprio così: una pazzia!-

Scr.- (mentre gli altri gridano " una pazzia", viene fulminato da un'idea.) Oh Dio, oh Dio! Che bellezza! oh che bellezza! Signori, pacificamente! Oh, che bellezza! Sissignori...sissignori...Si può aggiustare tutto... pacificamente...Ah che respiro! Mi metterei a ballare... a saltare,, per il gran peso che mi son levato dal petto! Le mie mani... le mie mani pulite, possono restare pulite, e me le bacio! me le bacio! - Lei, signora, vada a prepararsi…Subito, subito...dovrà partire! (alla serva) e tu prendi i bagagli!-

Sig.- Dovrei partire? E dove dovrei andare? Ma insomma, vi ha dato di volta il cervello?-

Scr.- A me? Nossignora! Ha dato di volta a lei il cervello, signora mia! Scusi l'ha riconosciuto il Delegato, lei stessa, persino la serva, lo riconosciamo tutti: una pazzia, e dunque lei e' pazza! Pazza, quindi parte, e se ne va al manicomio! E' semplicissimo!-

Sig.- Al manicomio? io? io? al manicomio?-

Scr.- Lasciamo il manicomio! In una casa di salute signora. Tre mesi. Villeggiatura!-

Sig.- (indignata) Ma ci andrete voi al manicomio! voi!-

Scr.- Non comprendete che questo e' l'unico rimedio? Per lei stessa! Per il signor cavaliere! Per tutti! Non capisce? Si dice:- E' pazza! - e non se ne parla più! - Si spiega tutto! Pazza, pazza, da chiudere e da legare! E' solo cosi' che io non ho più niente da vendicare! Mi disarma. Dico:" E' pazza! Posso farmene d'una pazza?" - E basta cosi'! Via. via , sbrighiamoci, che meglio di cosi' non si potrebbe

fare! Ma deve partire assolutamente questa sera stessa! (alla serva) I bagagli!-

Del.- Si, nella sua inverosimiglianza, si, mi sembra giusto... per chiudere l’incidente…certo non per lui.-

Sig.- Ma chi io? Io al manicomio? al manicomio! (alla serva) E tu stai ferma!-

Del.- Ve l’ho detto, per chiudere l’incidente e…per evitare un delitto…un rimedio, solo un rimedio signora.-

Sig.- Ma che dite? Volete davvero che passi per pazza davanti tutto il paese? (gesto di rassegnazione del Delegato, ma con un’occhiataccia allo scrivano)-

Scr.- Ma davanti tutto il paese, lei, signora, non ha bollato con un marchio d'infamia tre persone? Uno d'adultero; l'altra di sgualdrina; e me di becco? E se ci scappa pure l’assassinio? E io sono determinato! E lei, quindi, vorrebbe sostenere soltanto d'aver commesso una pazzia? Non basta, signora! Non ba-sta. Deve dimostrarlo d'esser pazza. Pazza davvero - da chiudere! (alla serva) I bagagli!-

Sig.- Ferma tu! (allo scrivano) Pazzo da chiudere sarete voi!-

Scr.- Nossignora, lei! Per il suo bene! (pausa) Volti pagina, signora! Se lei volta pagina, vi legge che non c'e' più pazzo al mondo di chi crede d'aver ragione! - Via, vada, vada! si prenda questo piacere di fare per tre mesi la pazza per davvero! Le par cosa da nulla? Fare il pazzo! Potessi farlo io, come mi piacerebbe a me! Sferrare, signora, qua, per davvero, tutta la corda pazza, cacciarmi fino alle

orecchie il berretto a sonagli della pazzia e scendere in piazza a sputare in faccia alla gente la verità.

L‘uomo, signora, potrebbe vivere, non cento, ma duecent'anni! Sono i bocconi amari, le ingiustizie, le infamie, le prepotenze, che ci tocca d'ingozzare, che ci infracidano lo stomaco! il non poter sfogare, signora! Il doversi assoggettare alle convenzioni, ai riti, alla gerarchia, e inghiottire senza protestare, senza ribellarsi, senza, alle volte poter alzare la testa dal giogo. E tacere! Ma se si potesse aprire la valvola della pazzia! Che grande gioia! E lei è fortunata, lei può aprirla: ringrazi Dio, signora! Sarà la sua salute, per gli altri cento anni!- Su, su! Cominci, cominci a gridare!-

Sig.- Comincio a gridare?-

Scr.- Si, ecco! Qua! Forza! in faccia al Delegato! Forza! In faccia a me! In faccia a tutti! E si persuada, signora, che solamente da pazza lei poteva pigliarsi il piacere di gridarmi in faccia: "Beee'"-

Sig.- E allora, si: " Beee'"... ve lo grido in faccia, si :"Beeee'"! Beeee!-

Del.- Ma signora...-

Sig.- ( con grida furibonde) No! Sono pazza? E debbo gridarglielo: " Beeee'..Beeee'....Beeee'!"

Scr.- Ecco la prova: E' pazza! Oh che bellezza! – Bisogna chiuderla! bisogna chiuderla! ( balla per la contentezza, intanto, s'e' possibile, entreranno in scena della comparse che in atteggiamenti vari, prenderanno atto della pazzia di Beatrice) E' pazza! E' pazza! ...Se la portano al manicomio!

E' pazza!-

Sig.- Beeee! Beeee! Beee. ( in faccia a tutti i presenti, alle quinte e poi al pubblico )-

Esce di scena urlando, sorretta dalla serva. Il Delegato la segue.

 

Lo scrivano si siederà su una sedia, di spalle al pubblico. Poi, con gesti misurati, si prenderà la testa fra le mani ( la regia dovrà esaminare se nel frattempo, si potrà portare una maschera da pupo sul viso), quindi, lentamente, la chinerà fino a toccarsi il petto col mento, tenendo le braccia, quasi senza vita, lungo il corpo.  Si udrà sghignazzare lievemente, infine si alzerà, si aggirerà in scena con movimenti rigidi di pupo.

Entra il Delegato

Del.- Beh, allora, siete soddisfatto?-

Scr.- Soddisfatto? Io?-

Del.- Voi, certamente. (detto quasi con disprezzo)-

Scr.- Ma signore Delegato…io…io…perché dovrei…dovrei essere soddisfatto? No! per carità, signor Delegato, per carità, perché soddisfatto, come l’intendete voi… no, no, ma quale. Tutto il trambusto, tante persona coinvolte, anche la forza pubblica. No, certamente no! Poi, carità cristiana impone! No, nossignore...-

Del.- E allora perché quella messa in scena?-

Sce.- Come perché? signore Delegato, e di quale messa in scena parla! Verità dei fatti, altrochè! Ma mi dica se sbaglio: le cose non stavano veramente così? Cioè: la gelosia, l’irruzione a casa mia, il verbale, il possibile delitto, la pazzia? quindi, di che messa in scena parla? semmai, io direi, è stato compiuto un atto dovuto: è stato messo tutto al proprio posto, come si doveva. Casella per casella, fatto per fatto, sillaba per sillaba?-

Del.- Sentite, voi potete parlare con tutti gli altri in questo modo, con codesta vostra contorta filosofia, finchè volete. Ma non con me! Con me che so tutto – tutto!-

Scr – Ma signor delegato…e il verbale? ancora non la seguo…non capisco proprio…-

Del.- Voi capite bene, anzi sapete che vi dico? Capite benissimo! E sapevate benissimo.-

Scr.- Sapevo? Cosa?-

Del- Andiamo! Non fate il “Nofrio in Palermo”, cioè colui che cade dalle nuvole. Offendete la mia intelligenza se continuate a far finta di non capire, come fingevate di non sapere. Voi, voi! sapevate benissimo della relazione di vostra moglie col vostro principale, e avete taciuto! Avete taciuto perché vi conveniva, per i vostri affari che non voglio sapere- anche se per interposta persona, nella metafora, le avete già detto- ma non potevate accettare, sopportare, fare sapere, dimostrare al pubblico che eravate cornuto e contento. Certo essere un semplice cornuto, in questo paese è già una gran disgrazia, ma che si può lavare, col sangue…o con la pazzia. Ma cornuto e contento no! e quando mai! non si poteva, assolutamente! Sarebbe stato insanabile! Quindi i fatti come realmente stavano, per essere accettabili, dovevano restare nascosti - per voi… o meglio, per voi e per il vostro pupo - come molto bene sapete  argomentare in proposito. E proprio quel pupo, che con gli anni vi siete costruito - per la miseria - doveva restare integro, onorato, riguardato.

Accidenti a voi, siete un ipocrita malvagio, un bell’egoista e un grande attore nato! Avete saputo recitare la parte dell’uomo offeso, dell’innocente esposto alla gogna, della vittima. E, perbacco!, c’è stato un momento in cui, io stesso, che pur sapevo, davanti alla vostra grande prova recitativa, ne stavo dubitando. Ma bravo! Bravissimo! (pausa) Ed in questa triste storia, per tutti i fatti avvenuti, voi avete pensato solo a voi stesso! A pararvi il vostro sedere! Anzi le vostra corna! Perchè delle vostre corna si sta parlando-se ancora non l’avete inteso. Ma, da quell’egoista quale vi siete dimostrato, a vostra moglie, al cavaliere e alla sua signora non ci avete pensato mai. (b.p.)  No, a voi interessava solo la vostra persona, o meglio, ripeto, il vostro stramaledetto pupo. E avete orchestrato tutta questa manovra aggirante per salvare quel vostro integerrimo pupo, infischiandovene degli altri...delle crudeli conseguenze in cui si andava incontro…-

Lo scrivano, intanto che il Delegato dice la sua battuta, fa la controscena, come uno che riflette).

 

Sce.- (interrompendolo) Un momento, un momento, per favore. Mi dica, signor Delegato, lei sapeva tutto, vero? (gesto affermativo col capo da parte del Delegato) Bene, e allora? il suo verbale?-

Del.- Il verbale è veritiero! Non si scherza con  la legge! Nei fatti non c’era vera flagranza! e questo si doveva verbalizzare…eppoi, (breve pausa) eppoi, sissignore! quello poteva anche essere una fortunata e opportuna scappatoia, per salvare il salvabile, senza tragedie! Ma a voi e al vostro pupo, ciò non bastava.-

Sce.- Ah, allora, secondo lei, col verbale, io dovevo fare :”aaammu, ammucca mummu!, cioè il credulone. Vero?-

Del.- Voi non avevate da inghiottire nulla, perché avevate, da tempo, già inghiottito –tutto- e anche digerito; nè c’era da fare lo sciocco credulone, perché non era necessario. Ma, di contro, per un mio preciso dovere deontologico di pubblico ufficiale, non dovevate nemmeno diventare il capro espiatorio di tutta questa triste faccenda! Era solo sufficiente capire il messaggio che vi avevo lanciato, a tutti quanti. A voi per far troncare la tresca, immediatamente; al cavaliere, perchè doveva mettere la testa a posto; e per la signora, perchè se ne stesse calma e tranquilla. Tutto a fin di bene! Ma voi no! No! Voi avete fatto il martire… e il quarant’otto per la difesa del vostro …”onore”.-

Scr.- E, mi dica, dopo tutti questi vostri buoni intendimenti, io cosa avrei dovuto fare? restarmene a guardare, magari con in capo la famosa birritta cche ciancianeddi?-

Del.- Macchè, ma quale birritta! A voi non sarebbe mancato il modo d’uscirne…con la vostra acuta intelligenza…-

Sce.- …e come, ad esempio?-

Del – Ad esempio…ad esempio potevate sempre dire… che so io…ecco: che, d’accordo con la signora, eravate a conoscenza della nostra irruzione, affinché con una azione legale, fossero fugate quelle certe voci, insistenti, di una probabile relazione tra il vostro principale e vostra moglie…-

Scr.-  In effetti, un certo accordo con la signora, io lo cercai invano (pausa) Ma…ma…sa, se avessi posto in essere questa sua brillante idea( ironicamente)…il mio principale mi avrebbe detto: march! Sei licenziato! E perdevo l’impiego e…forse anche la moglie…-

Del.- …ma non l’avete affermato, pocanzi, voi stesso che vi sareste licenziato? E che a vostra moglie…-

Sce.- Eh, lei prende tutto alla lettera…-

Del.- …cosa volete, sono un uomo d’onore…io! Voi, invece…siete malvagio e, nella circostanza, vi siete pure divertito a girare il coltello nella ferita… e avete quasi fatta veramente impazzire, quella donna, con la vostra logica contorta! Costringendola ad esporsi, ad umiliarsi, a rischiare - lei veramente - il suo matrimonio, e mandandola in manicomio - come una pazza. E tutto questo quella signora (sottolineato), l’ha accettato, probabilmente, per il timore di un assassinio! O due! E,  purtroppo, a quel punto, anch’io, per evitare il peggio, sono stato costretto a spalleggiarvi. (lo scrivano cerca di protestare).

Mavvia, state zitto, non tentate neppure di protestare! Voi siete il vero pazzo! Voi siete da ricoverare, perché rappresentate un pericolo per questa società di semplicioni ! Voi, per loro, siete pericoloso – assai…assai- e con la vostra diabolica filosofia, li turbate: e anche nell’evidenza, sapreste convincerli del netto contrario. E questi fatti recenti sono l’esempio di come riuscite a cambiare le carte in tavola, mutandovi da cornuto e contento a vittima! ( lo scrivano tentenna il capo in disaccordo) Va bene, è forse retorica la mia. Forse!

Ma ora, anche se vi sentite vincitore, io vi sbatto in viso, crudelmente, la verità: Siete un pupo! E non come l’intendete voi, ma come l’intendo io: un burattino!-

Scr.- Tutto ora colato sono le sue parole, signor delegato. Oro colato! Lei è un osservatore e ha giudicato. Bene o male, ma ha giudicato. In fondo è il suo mestiere.(pausa) Una sola cosa le è sfuggita, però, e non per colpa sua, ma perché essa è nascosta in me, dentro l’anima, che mi rode e mi fa arido.(pausa) Veda, glielo confesso candidamente, come se facessi una catarsi: Mi ha chiamato pupo, o burattino? giusto? E, anche in questo, nella sua foga, c’è andato vicino – e non si è sbagliato. Orbene, adesso ho la certezza che il mio pupo (sofferto) il mio pupo! si è identificato in me stesso, facendone una sola cosa. Capisce? In me stesso. Mutandomi un burattino! E del mio io, c’è rimasto solamente un sottile barlume di coscienza, che mi dovrebbe far vergognare d’essere cornuto e contento, farmi vergognare dell’inganno verso la società, farmi vergognare e affliggermi per la sorte di mia moglie, della signora. Ma questo pupo (si batte il petto), purtroppo, m’ha offuscato anche la mente (di batte il capo), e ora, dopo i fatti, mi sta scacciando dal mio stesso corpo, per farmi rimanere come lui mi vuole: pupo. Solo pupo, come dice lei, signor delegato. Solo pupo!

Del.- Mi fate compassione, ma mi mettete anche paura: che non siate voi il vero pazzo?-

Scr.- Tutto è possibile! Tutto! Non ho difficoltà ad ammetterlo! Il manicomio? pure…

Ma, signor Delegato, veda - e cerchi di capirmi anche se non mi vuol giustificare – veda, in generale, i nostri problemi, i nostri guai, le nostre, diciamo pure, angosce…sono duri da sopportare, specie per i deboli: la realtà è questa! …e si diventa anche vili, e ipocriti, come lei ha detto - di me! E quei problemi … ma si, che siano gli altri a risolverli per noi, e a farsene carico. Cosicché, per difenderci, ci sommergiamo, ci occultiamo, lasciando fare…a Dio o agli uomini; e ci accontentiamo delle sole briciole. Briciole d’amore, anche… (quasi sussurrato)  (breve pausa, poi come se avesse trovato la verità pura).

Signor Delegato, abbi pazienza, è per capirci: non tutti hanno la fortuna di nascere cavaliere, bello, ricco, attraente, amato…non tutti. E, per la disperazione, allora ecco che il pupo, da noi fabbricato nel tempo, ci supplisce. Ma poi, cogli anni, quel maledetto pupo cresce, e ci soffoca. E, purtroppo, alcuni, di questi pupi diventano più infidi e più pericolosi, perché più intelligenti - come dice lei, di me. (piano, come a se stesso) Ed è capitato questo proprio a me - col mio pupo…il pupo…o burattino, come dice lei. (risatina amara, poi, aggirandosi per il palcoscenico) ah,ah,ah, già, pupo o burattino, ma eterni maschere della razza umana. Ah,ah,ah. (risata in crescendo) Pupi, mio Dio!(quasi tra se) si! E chi non ce l’ha il suo? (girando attorno a se) Ah, ah,ah,ah. (quasi soffocato dalla risata) Sissignore, tutti pupi siamo, signor Delegato, tutti pupi, ma chi come me, è anche burattino! Burattini e pupi, presenti o supplenti! (puntando il dito verso il Delegato)Ah,ah,ah.(asciugandosi gli occhi, poi girandosi verso il pubblico)  burattini… o - pupi (quasi soffiato) e sempre in scena! - 
        

Calano le luci per riprendere subito.

Capoc.- Allora? Che ne dite?-

1° attore.-  Lasciamo perdere…-

1^ attrice.-  …lasciamo perdere…-

Ragazza- …lasciamo perdere…-

Capoc.- … pure tu? e allora…(allarga le braccia) lasciamo perdere!-

Escono di scena secondo l’ordine delle ultime tre battute, poi si fa buio, quindi

Sipario

                            

                                         DE PROFUNDIS  SANTO

                                   Commedia brillante in un atto

                                                           di

                                              Antonio Sapienza

commedia in un atto – anno 1997- personaggi: 4 m. ( o due dei quali f.).

Liberamente tratto dalla novella di Pirandello “La patente”, la commedia rivisita i fatti e il personaggio.

 

Personaggi:

       De Profundis Santo, presunto iettatore;

       Magistrato;

       Cancelliere;

       Basilico’, usciere (facoltativo).

Sulla scena e’ stato ricostruito lo studio di un magistrato. A destra del palco vi e’ una scrivania con tutti i vari suppellettili; dietro la scrivania c'e’ una poltroncina; sul muro e’ appeso un ritratto di Re. Di fronte e’ stato posto un tavolinetto, con sopra relativa macchina per scrivere, una sedia e alle spalle un piccolo scaffale con pratiche d'ufficio riposte alla rinfusa. Alla sinistra vi e’ la porta d'ingresso con sopra un ritratto di un santo. Un piccolo lampadario pende al centro della scena.

All'apertura del sipario in scena si trova il cancelliere e l'usciere.

Can.- Oggi venerdì diciassette, ( e sconsolato sposta la  paginetta del calendario posto sulla scrivania del magistrato) cosa ti dice questo, Basilicò?-

Usc.- (spolverando i mobili con un piumino)... che la  settimana sta per terminare, finalmente.-

Can.- E nient'altro?-

Usc.- Beh, per i superstiziosi, come te, non sarà un giorno tranquillo...-

Can.- E anche per i non superstizioni, come te, Basilicò, te lo garantisco io...(controlla gli appuntamenti del magistrato)-

Usc.- Sara’, pero’ per me, il venerdì e’ il giorno più bello perché, dopo, immancabilmente, vengono il sabato e la domenica (sospirone) e per due interi giorni non metterò piede in quest'ufficio.-

Can.- Perche’, ti puzza?-

Usc.- No, non puzza, perché faccio io la pulizia e, io (come a sottolineare ) io, il mio lavoro lo faccio benissimo, con coscienza, scienza e competenza…-

Can.- Ma stai parlando della pulizia del locale, vero?-

Usc.- S’intende…-

Can.- No, perché mi sembrava che stessi parlando dei massimi sistemi. Ahò, Basilicò, tu sei nu tintu usceri e non un altissimo magistrato della Cassazione. E quante arie ti dai, da quando ti hanno trasferito qui.-

Usc.- Io qui ci sono venuto per meriti speciali.-

Can.- Certo, scopristi i sovversivi e salvasti la Patria.-

Usc.- Certamente! Salvai la Patria! E che credi che al Comune, dove prima prestavo la mia opera, stavo a dormicchiare…come…come…-

Can.- Come qui? E dillo!-

Usc.- Non volevo dir questo. Però ero sveglio e percepii subito che quel tipo che voleva a tutti i costi parlare col signor Sindaco, era un anarchico con una bomba nella borsa. Attentato sventato, capito?-

Can.- Ma che bomba e bomba, e che attentato d'Egitto, quello nella borsa portava un petardo, magari grosso, ma sempre un petardo era.-

Usc.- E non si entra in un ufficio comunale con una borsa contenente un petardo. Lo ha detto il brigadiere dei carabinieri.-

Can. Buono quello.-

Usc.- Che offendi anche la benemerita?-

Can.- Ma lascia perdere, Basilicò.-

Usc.- Comunque era un’arma impropria.-

Can.- Era un petardo ed eravamo sotto le feste natalizie. E qui a capodanno si sparano i petardi.-

Usc.- Lo difendi a quel anarchico?-

Can.- A quello lo conosco, e lo conosci bene anche tu. Protesta, protesta, ma non ha mai fatto male ad  anima viva.-

Usc.- E il pet…la bomba?-

Can.- E torna! Senti Basilicò, allora vuol dire che sotto le feste siamo tutti anarchici dinamitardi, portiamo bombe nelle borse, per fare attentati contro i Sindaci, va bene?-

Usc.- E non ti scaldare… anche se quello è un tuo amico…-

Can.- Non insinuare! E' vero è mio amico, ed era anche tuo, se non sbaglio. Comunque quello che sostengo io, lo dicono tutti in paese: è un anarchico innocuo!  va bene?-

Usc.- Basta, va bene, sarà come dici tu. (pausa) Ma a me mi hanno promosso e trasferito qui, in magistratura.-

Can.- Tu sei qui in prestito. Il Comune ti ha ceduto in prestito. Mettitelo bene in testa!-

Usc.- Questo è quello che si dice ufficialmente in giro, per non destare sospetti ... o invidie...Però...-

Can.- Mih, che testa di chiuppiru! Va bene, sei qui in missione segreta e aspetti con ansia il sabato e la domenica.-

Usc.- Per ritemprarmi...( con noncuranza) poi preferisco andare a funghi, io, il sabato, la domenica...-

Can.- Perche’, io, verrei volentieri qui anche nei giorni festivi?-

Usc.- E che ne so io. (ma con la mimica intende dire: certo!)

Can.- Sei un carognone Basilicò (con un sospirone) E si vede che mi conosci bene... dopotutto ci conosciamo da nemmeno trent'anni...(ironico)-

Usc.- Appunto!-

Can.- Basilicò, non mi fare venire i nervi, che non e’ giornata...-

Entra il magistrato, saluti a soggetto.

Can.- Com'è andata stanotte, dottore?-

Mag.- Non me ne parlate. Una notte d'inferno...-

Can.- Certo, col trigemino non si scherza...-

Mag.- A chi lo dite...-

Usc.- Ha provato con la camomilla?-

Mag.- Ne ho bevuto due litri, almeno. Niente, nessun  beneficio. E mi sento distrutto. Meno male che è Venerdi’...-

Can.- (tra se) ...diciassette...-

Mag.- ... E mi potrò riposare per due interi giorni.-

Usc.- Ma no dottore, la camomilla va fatta ad impacchi, nella  parte dolente, strofinando, anzi meglio, massaggiando lentamente, dolcemente...-

Can.- Basilico’, qui non si tratta dei tuoi emorroidi. Statti  zitto va.   Dottore, che facciamo? lei ha il trigemino, ed oggi e’ anche venerdi’ diciassette, e per di piu’ guardi la sua agenda:  Audizione per autodenuncia a carico di se stesso, fatta  dal tale De Profundis Santo, ergo: meglio chiudere e starcene tutti a casa,- oggi.-

Mag.- Magari si potesse fare...( quasi soprappensiero) Ma che c'entra la pratica De Profundis col  mio trigemino?-

Can.- Quello, quando c'e’ scalogna c'entra sempre-  sempre! E  oggi sara’ peggio che mai.-

Usc.- Dottore, De Profundis è il nome di Santino il Mavaro, e  il signor Cancelliere e’ superstizioso.-

Can.- Perchè il signor usciere no? Ma se ti ho visto io stesso, con i miei occhi, -questi,-toccarti intanto che  lui passava.-

Usc.- Avevo prurito...-

Mag.- Finiamola, signori, siamo quasi nel duemila. Abbiamo  cose piu’ serie a cui pensare. Per esempio l'inquinamento dell'acquedotto...-

Usc.- ...l'abusivismo...( guardando significativamente il Cancelliere)-

Can.- ...i falsi invalidi... (guardando Basilicò)-

Usc.- E perche guardi me? Io, per tua norma ho perso cinque centimetri di gamba per salvare un essere vivente! Quando, incurante del pericolo mi buttai per salvare quella donna, che era caduta sulle rotaie della ferrovia. Sono un autentico, garantito, con la prova, invalido civile, civilissimo! -

Can.- E tu, invalido civilizzato, perche’ guardavi me? Io per tua norma ho sanato tutto con la sanatoria dell' '85... Poi, quel salvataggio...beh, lasciamo perdere...-

Usc.- Cosa vorresti insinuare? Poi civilizzato a chi? Non offendere, sai.-

Can.- Voglio dire che quella donna l'aiutasti soltanto a togliersi la scarpa che era rimasta impigliata nella rotaia. Poi cadesti e ti rompesti il perone e ci armasti una farsa, che ti fruttò l'impiego di vice usciere aggiunto, allievo, in prova, avventizio a vita...-

Mag.- Signori, signori, calmatevi, iniziamo bene la giornata. Basilicò, vi prego, andate di la’; e voi Cancelliere, rinfrescatemi la memoria: rileggetemi questa benedetta   pratica De Profundis.-

I due eseguono.

Can.  (leggendo e facendo le corna) ... ehm, ehm, ehm...  dunque: Visto la normativa vigente, il sottoscritto De  Profundis Santo, di anni cinquanta, domiciliato in vico  Civetta 13, sposato, vedovo con due figli, anzi un con un figlio e una figlia, disoccupato per ragioni che  vengo a spiegare...-

Mag.- Ah, si… si, si, ora ricordo...-

Can.- Non vorrei insistere dottore, ma se si potesse rinviare, magari con una scusa procedurale...-

Mag.- Ma che dite, via!-

Can.- Niente d'eccezionale, ma se trovassimo qualche difetto di merito, qualche cavillo. Insomma, dottore, facciamo passare questo benedetto venerdì diciassette senza De Profundisi in giro per i nostri uffici.-

Mag.- Mi meraviglio di voi. Siete stato sempre ligio al dovere.-

Can.- Qui non si tratta di dovere, ma di jettatura. Comunque, io ci ho provato.-

Entra l'usciere.

Usc.- Dottore, c'e' il signor...De Profundis.-

Mag.-Ecco, cancelliere, lupus in fabula. Fatelo passare.-

Il Cancelliere sistema alcuni oggetti dietro le sue spalle:  sono mazzi d'aglio, ferri di cavallo, grossi corni, nastri rossi, ecc.

Entra De Profundis, alto magrissimo, quasi ossuto; incede come se fosse un Papa, quasi benedicendo; muove l'ombrello con ampi semigiri alla sua sinistra; arrivato al centro della scena, si ferma come se aspettasse l'applauso, ma non arriva ed allora si dirige verso la scrivania del magistrato, si piazza davanti al personaggio e attende gli omaggi ( o gli scongiuri che gia’ fa il cancelliere). Veste completamente in nero, tranne il colletto della camicia che e’ bianco; porta occhiali piccoli, neri, cappello nero e ombrello pure nero. Nel viso bianco, spiccano due baffetti e un pizzetto sempre neri. All'entrata i due personaggi in scena sono rimasti attoniti, per opposti motivi. Musica adeguata.

De P.-(Constatando l'effetto della sua entrata e facendo un  largo gesto con la mano) Buongiorno a tutti voi, -  forse.-

Mag.- ( che si siede lentamente, fissandolo intensamente,  incredulo, come se avesse di fronte a se un marziano) Buongiorno, s'accomodi.-

De P.-(guardandosi attorno) Dove?-

Mag.- Basilico’ una sedia, al signore.(Basilico’ esegue)  Allora, signor De Profundis, questa autodenuncia? ( prendendo il foglio che il cancelliere gli passa)-

De P.-(sedendosi dignitosamente) E' mia!-

Mag.- Si, certo.  Dicevo, questa autodenuncia non mi sembra  da istruire.-

De P.-E' gia’ istruita eccellenza.-

Mag.- Non sono eccellenza e questa pratica e’ ancora da istruire.-

De P.-E' istruita Vostro onore.-

Mag.- Non sono Vostro onore e questa pratica, insisto, non e’  ancora istruita!-

De P.- Per me lo e’ da un pezzo, commendatore.-

Can.- E dalle! il dottore è solo signor giudice, e voi....-

De Profundis si gira verso il Cancelliere con uno sguardo di ghiaccio che ammutolisce l'uomo all'istante.

Mag.- Signor De Profundis, questa autodenuncia io l'archivio.-

De P.- ...e non fate il vostro dovere. (con decisione) Signor  pubblico podesta’, voi dovete istruirla, promuoverla, condannarmi e pubblicare la sentenza, immantemente,  senza porre tempo, all'unisono, a lampo e stampo, o per  meglio dire: a tappo!-

Mag.- Non scherzate signor De Profundis, con la giustizia non  si scherza.-

De P.-E chi vuole scherzare, me ne guarderei bene.-

Mag.- Eppure con questo atto, voi volete prendervi gioco delle istituzioni e della magistratura, perbacco.-

De P.- Io, con quell'atto - che voi ufficializzerete - finalmente, otterro’ giustizia e ritornerò  a vivere.-

Mag.- Ma insomma, secondo voi, con quest'autodenuncia io  dovrei condannarvi, ma per qual reato? Non certo per  quelli che voi ipotizzate qui,- sarei ridicolo; o  credete forse per molestie, offese alla pubblica cittadinanza, attentato alla incolumita’ dei cittadini, per atti immorali o per pericolo pubblico, come voi  ipotizzate in alternativa?  Non ci sono gli estremi.  (pausa) Ma forse dovrei condannarvi per offesa alle istituzioni e alla magistratura.  Insomma qui c'e’ di  tutto e di niente!-

De P.-C'e’, c'e’, sssissignore! C'e’ tutto! Basta cercare (indica il foglio), trovare e condannare.-

Mag.- Scusate, ma per che cosa?  (allargando le braccia)-

De P.- Per jella!  per malocchio!  per mavaria!  Perche’  iettatore!  (pausa per prendere respiro) Signor Magistrato e Giudice, ella mi deve condannare come pubblico iettatore - secondo codesta denunzia del sottoscritto in carta bollata e ...-

Mag.- ... Ma e’ assurdo, sarebbe calunnia.  Non esiste la iettatura, e io non posso rendermi ridicolo di fronte  alla giurisprudenza tutta, la quale si basa su dati di fatto e non su illazioni o congetture...

Intanto che parla, De Profundis guarda fissamente il quadro del Presidente della Repubblica  appeso al muro dietro la scrivania, che si stacca e cade fragorosamente per terra facendo sobbalzare il magistrato.

Mag.- Perbacco, cos'e’ stato?-

Can.- De Profundisi, dottore.-

Mag.- ( guardando alternativamente il quadro e De Profundis) Ma non dite sciocchezze, quello era stato attaccato  male.-

Usc.- Veramente lo avrei attaccato io, e come in tutte le cose che faccio, li faccio bene. Dunque era attaccato bene.-

Mag.- (insofferente) Va bene, va bene.  Dunque?  ( a De P.)-

De P.-Puo’ darsi, puo’ darsi (guardando di traverso Basilicò, che indietreggia, quindi con aria misteriosa, poi  confidenzialmente al giudice) Monsignore, voi dite  bene, sono tutte calunnie - forse; ma io con queste calunnie ufficializzate ci vivro’; mentre con quelle ufficiose  dei miei concittadini (guarda severamente il  Cancelliere) io ci muoio di fame. ( poi deciso) Con  questa ...nomea, dico nomea, io ho perso il posto di  lavoro, il genero, la casa e la pace.  Eminenza – e  statevi zitto - ( al Cancelliere che lo voleva  correggere) Vedete, con gli ultimi soldi ho comprato la mia divisa ufficiale di iettatore e adesso eccomi qui, in attesa dell'attestato per iniziare la mia attività.-

Mag.- L'attestato? che attestato?-

De P.-L'ho gia’ detto, vostra grazia, l'attestato di iettatore.  E mi meraviglio di voi che non l'abbiate gia’ capito; voi che siete intelligente, "coltivato",  "prespicato", e avete fatto tanti studi, di filosofia, teologia, diritto, latino, italiano, storia e geografia... Allora, mi  spiego meglio: Vedete ufficializzando il fatto che io volontariamente ed incontestabilmente, - dico: incontestabilmente - porto jella; ed attestandola con una motivazione e con una condanna "magistrale", statale,  notarile, universale!  -io- io con questo ci campero’ –e anche bene.  Come?  ( si alza e mima) Semplice:  Eccellenza ad un pedone e’ vietato sostare sui marciapiedi?  no! vero?  Bene, io allora mi piazzero’, come un corazziere di sua Maestà, davanti alla gioielleria del commendatore Sapone.  E con cio’ voi dite?  Con cio’, fissero’ l'entrata del negozio con questo mio sguardo intenso, magnetico, direi elettrostatico e sfido chiunque -dico chiunque-ad entrare nel mio raggio d'azione.  Sssi, altro che raggio della morte di Guglielmo Marconi!  Cosicche’,  visto la -nomea, nessun mio concittadino osera’ attraversare il mio sguardo -ieratico, stoico e agnostico - perforante  piu’ dei raggi X, per entrare nella premiata gioielleria Sapone e figli.  Risultato? Il commendatore, dopo tre, al massimo quattro giorni, mi offrira’ un compenso per piazzarmi davanti alla gioielleria del Cavaliere Mezzasalma, suo concorrente.  Il quale... ( risedendosi) ma e’ inutile continuare, illustrissimo e chiarissimo magistrato, lei ha gia’  certamente capito.( controscena adeguata degli altri).

Mag.- Ho capito si!  Siete pazzo da legare e questa  puo’ ritenersi estorsione.-

De P.-Pazzo si! ma per disperazione! e questa - sissignore- e’ legittima difesa! Altro che estorsione!-

Mag.- Voi potete difendervi, tramite la legge, denunziando  i suoi calunniatori.  E lo potete fare anche subito!-

De P.-Allora, cara legge, incominciate ad incriminare il  vostro cancelliere, che da quando sono arrivato non fa altro che spostare mazzi d'aglio, ferri di cavallo,  corni, nastri rossi, da un posto all'altro.-

Mag.- Fare cio’ non e’ un reato!-

De P.-E qui e’ il punto! Egli non fa niente di illegale – per  la vostra legge, naturalmente - ma a causa dell'ancestrale atavica inestirpabile credenza popolare della scalogna, ergo, dell'ignoranza e della cattiveria della gente, -  istruita e no- (guarda significativamente il  cancelliere) egli, facendo cio’, mi addita, mi bolla, mi danneggia, mi avvelena l'esistenza! Egli -che si  sappia!-lede la mia dignita’, il mio onore, la mia  reputazione e affini, perbacco!( facendo il verso del  magistrato)-

Mag.- Vi comprendo signor De Profundis, ma cercate di capire,  non si puo’ condannare nessuno perche’, in vostra presenza, sposta ortaggi e chincaglieria.-

De P.-Cercate di capire voi, reverendo signore: (rabbioso, poi con calma contenuta) Non si puo’ condannare nessuno, d'accordo, ma si puo’ permette di distruggere un uomo -  con la nomea, vero? Questo e’ consentito! Bene!  benissimo questa e’ la giustizia! (pausa)  Allora mi difendo a modo mio!

 Dimostratemi subito, qui, in questo momento, codice  alla mano, che accettare denaro in cambio di un servizio e’ un reato!-

Mag.- Ma certo che non lo e’.-

De P.-Benissimo, ne prendo atto.(pausa teatrale) Da questo momento, mi siate tutti testimoni, mi autonomino prestatore d'opera autonomo e  indipendente, della professione di divulgatore di malocchio genuino e garantito. Poscia mi  iscriverò ai sindacati di categoria, alla Camera di commercio, indi – dico: indi - potrò anche rilasciare la prescritta regolare fattura. Ma, per fare ciò, legalmente, mi serve una pezza d'appoggio ufficiale.

Seguitemi Milord: allora, con l'attestato di jettatore ufficiale io rendero’ al pubblico, - a questa ignominiosa  e schifosa societa’- diciamo pure, dei servizi passivi.( poi con voce truce come se parlasse alla folla, poi quasi con stanchezza, poi con determinazione) Mi hanno distrutto la vita?  bene, ora mi manterranno a vita!  (quindi al magistrato sottovoce) Vedrete, mi pagheranno, mi stipendieranno lautamente, pur di non avermi tra i piedi.(ad alta voce, con tono che non ammette replica ) Vostra  altezza, io con la iella ci campero’!  Punto e basta! -

Mag.- Questo e’ un discorso che non potete fare qui, in questa   sede, e io non posso dichiararla iettatore ufficiale ( quasi tra se) Non e’ serio perbacco!-

De P.-Ah no?  ( alza lo sguardo al cielo e giocherella con le  mani e, intanto, si stacca dal muro il quadro del Santo Patrono appeso sulla porta d'ingresso)-

Mag.- Cosa succede, perbacco? Possibile che tutti i ritratti di questa stanza siano inchiodati male?-

Can.- Dottore... glielo dicevo( implorante, guardando De Profundis)-

Usc.- Ecco, veramente... forse lei ha ragione signor giudice, forse l'avevo attaccato male...(dubbioso e intanto si china e raccoglie il quadro e lo mostra la Magistrato)-

Mag.-( infastidito fa cenno con la mano di portarlo via) Alla buonora! (conciliante) Ma suvvia, sono solo superstizioni! Cancelliere smettetela! (cade  il piccolo lampadario. Il cancelliere è terrorizzato, il magistrato incredulo, l'usciere indifferente)-

Mag.- Co... cos'altro succede?-

Can.- Ha colpito ancora.-

Usc.- (minimizzando) Niente, e’ stata una piccola scossa di  terremoto.-

Mag.- Terremoto o no, Basilico’, spazzate questo ingombro. (turbato)-

Usc.- Subito. Prendo paletta e scopa.( poi piano) Quinto  grado della scala Mercalli, ci scommetto.( Intanto  esce.)

Mag.- A noi, signor De profundis...-

 Poco dopo si sente un urlo, tutti sobbalzano, De  Profundis resta indifferente.  Il cancelliere si alza ed esce per accettarsi dei fatti.

De P.- Ehhh... (alza gli occhi al cielo) Chissà cosa è accaduto -là fuori...-

Rientra subito dopo il cancelliere.

Can.- (indicando De Profundis significativamente) Basilico’ e’ scivolato e si e’ spezzata una caviglia.-

De P.- ...slogata...-

Mag.- (al cancelliere) Non mi direte che e’ stato il suo potere malefico. (intanto si alza e tocca con indifferenza gli agli, poi  si accorge del gesto inconscio) Siamo seri, suvvia, di  questa faccenda sono stufo. (lascia andare gli agli e si pulisce le mani come se volesse nettare la nascente  superstizione da se stesso, quindi deciso) Scrivete, cancelliere: In merito all'autodenuncia del signor De Profundis, circa la nomea di presunto portatore di sfortuna del nominato in oggetto medesimo, questo ufficio ritiene inammissibile la suddetta denuncia per manifesta infondatezza trattandosi di esplicite credenze di superstizioni medioevali...  ( si ode la  sirena dei pompieri) Ci mancava anche questa...( si tura le orecchie, poi, affievolendosi il suono della sirena, continua) Pertanto la nomea di “virgolette”  iettatore, chiuse virgolette...-

De P.- ... togliete le virgolette..-

Mag.- Fatemi la cortesia di stare zitto voi ...- dicevo virgolette ...-

De P.-...  togliete le virgolette...-

Mag.- Ma insomma!-

Suona il telefono, lo prende il cancelliere, risponde, poi, impallidisce.

Can.- Dottore, sua suocera... a casa sua ... qualcosa brucia... (gli porge il telefono)-

Mag.- Che dite? Nel mio palazzo?  la mia casa? (incredulo, resta basito) a casa mia? Proprio a casa mia?-

De P.- ... i pompieri... (come uno che la sa lunga)-

Can.- Forse, sembrerebbe, sua suocera ...( gli allunga il telefono, ma il magistrato è allibito e non lo prende)-

De P.- Le virgolette...( cantarellando).-

Mag.- (finalmente realizzando) Allora è un incendio! La mia casa, mia moglie, i miei figli! Perbacco, accidenti, corro... che tragedia... che disgrazia... ( corre verso l'uscita, esce, ma poi ci ripensa e rientra, guarda con occhi torvi De Profundis, poi al cancelliere, deciso)  Cancelliere, togliete le virgolette!( esce ).-

Can.- (è imbambolato, sempre col telefono in mano, poi portandoselo di nuovo all'orecchio, allibito da quanto accade, riesce solo a mormorare) Aspetti... niente di grave, signor giudice... torni indietro...(poi si alza, va alla finestra, la apre e chiama il giudice) Dottore, torni indietro, non è la casa che brucia. ( poi piano, tentando si sedersi dignitosamente, ma faticosamente) s'è solo bruciato il pane nel tostapane... sua suocera, quella vecchietta stramba... il fumo... i pompieri non sono per lei...( poi si risiede vinto, e, guardando  timorosamente De Profundis)

De P.- Scampato pericolo... per ora... solo un piccolo avviso, diteglielo a quel incredulo lì.-

Can.- Certo, certo glielo dirò, statene certo, certissimo. Ma voi state calmo, eh?

De P.- Sono calmo, vedete la mia mano è ferma! (mostra la mano tendendola) -

Can.- E anche gli occhi ... calmi, calmi, per favore...-

De P.- Oh, Cancelliere, lo scrivete questo verbale o no?-

Can.- Lo scrivo, lo scrivo. Ma voi restate calmo, eh?-

De P.- Vi dissi che sono calmo calmissimo come l'olio sull'acqua. Allora? ( lo invita a scrivere)-

Can.- (si rimette alla macchina per scrivere e leggendo contemporaneamente ad alta voce) Subito. Eccomi, pronto. Dunque: Pertanto la nomea di  iettatore -senza virgolette, mi spiego?  - e’ legittima  e provata.  ( fa cenno a De P.  come a dire va bene? De P.  fa cenno così così) Con quest'atto si rende noto a chi di competenza e a norma di legge (sottolinea la  parola), della qualifica di iettatore ( pausa per vedere la reazione di De Profundis. Poi sollevato dalla  soddisfazione dell'interessato, continua con tono burocratico) con regolare attestato, rilasciato all'autodenunciante in questione, sig.  De Profundis  Santo,( quindi velocemente) il quale, in virtù di questa sentenza...-

De P.- Inappellabile!-

Can.- Inappellabile – sicuro - è dichiarato mavaro  professionista. -

De P.- E che nessuno sciolga quello che è stato testè legato!-

Can.- Veramente non si potrebbe...-

De P.- (fulminandolo con lo sguardo) Vorrebbe ometterlo? E ometti, ometti, ometti pure...-

Can.- Io non ometto nulla (sottovoce) e chi si arrischia. (poi con voce normale) Come potrei volgere questo concetto di legato, in una forma giuridica?- 

De P.- Metta così: Questo provvedimento è immodificabile vita natural durante.-

Can.- Ho capito, ho capito... dunque: inappellabile e immodificabile...-

De P.- ... vita natural durante, salvo provvedimento divino!-

Can.- ( sudando) Naturalmente... Inappellabile e immodificabile – vi andrebbe bene: secondo la normativa vigente?-

De P.,- Benissimo. Proceda.-

Can.-  Ecco, allora, ... ehm, ehm, secondo la normativa vigente... e basta. Mi pare che abbiamo messo tutto.(scrivendo in fretta)-

DeP.- ... speriamo... per voi.-

Can.- No! E come? No, se non vi sta bene, io riscrivo tutto. Non avete che da dirmelo, signor De Prufindis.-

DeP.- Mavaro a vita, prego. (con compiacenza) Comunque mi sta bene... per adesso.-

Can.- (tranquillizzato) Allora scrivo: Fatto, letto e sottoscritto. ( con un sospiro di sollievo)  Bene ora un po' di timbretti e, non appena ritorna il dottore, una bella firmetta, ed è tutto in regola. E' contento signor Mavaro De Profundis Santo?- 

De Profundis e’ soddisfatto, ma non risponde, annuisce soltanto. Poi si spaparazza nella sedia ridendo nervosamente, quindi, a poco a poco, il riso sembra mutarsi in pianto; mentre il Cancelliere toglie il foglio dalla macchina per scrivere, e gli appone sopra una ventina di bolli. Intanto il sipario si chiude lentamente. Fine.

                                                 IL  MASTICE  MIRACOLOSO

                                                       Commedia in un atto

                                                                     di

                                                        Antonio  Sapienza

Turi Lifo, ottobre 2012.

Commedia brillante ispirata dalla figura di Don Lollò della novella La giara, con solo tre personaggi, 2 maschili e uno femminile.

Personaggi:

Don Lollò, massaro;

Zi Dima, conciabrocche;

Serafina, moglie di don Lollò.

Sulla scena è stata ricostruita l’aia di una masseria: Scorcio della medesima, un covone di fieno, qualche suppellettile adeguato. Una grossa giara, rotta a metà troneggerà al centro della scena. In alternativa, luci solo al centro ad illuminare la giara e gli attori che recitano vicino ad essa.

All’apertura del sipario, accompagnato da una musica agreste, entrano in scena don Lollò e donna Serafina. Abbigliamento adeguato. 

Lollò – Eccola là, la vedi? è come ti dicevo: come il mio cuore! spaccata in due con una precisione tale da fare invidia al migliore architetto- ingegnere.-

Serafina – (portandosi le mani in faccia)  Madonna del Carmine e ora come faremo?  Dove metteremo l’olio di questa annata? Che disgrazia, che disgrazia.-

Lollò – (che faceva la controscena, disperandosi e scaraventando per terra il cappellaccio) E  dove li metti anche i quattrini che ho sborsato per comprarla? Centomila lira in contanti l’ho pagata! Fatica e sudore di sangue m’è costata. E ora eccola là, animaledda; eccola là, spaccata in  due, che dalla ferita pare che coli anche il sangue… guarda, guarda… (tocca lo spacco con le dita e mostra alla moglie l’umidore)-

Serafina – (guardando attentamente) No, non è sangue, sono lacrime, vere lacrime di dispiacere. Vedi? sono chiare… sembra…sembra…trasuda poveretta.-

Lolò - …trasuda, trasuda, ma per me fa lo stesso: E’ sangue del mio sangue.-

Serafina – Ma sei sicuro che fosse sana quando te la consegnarono?-

Lollò – Sana, sanissima, suonava come una campana.-

Serafina – E sei sicuro che non sia stato qualcuno dei braccianti? Sai quelli sono strafottenti, non guardano dove mettono i piedi, in una parola sono zaurdi!-

Lollò – In un primo momento l’ho pensato anch’io, ma poi i fatti sono fatti: Era messa nel palmento, al sicuro, sotto chiave.-

Serafina – E non potrebbero essere stati quei tre sfaticati della ciurma che magari si erano imboscati nel palmento per non  faticare?-

Lolò – Ho pensato anche a questa ipotesi, ma l’ho scartata: Da dove entravano? Era chiuso a chiave.-

Serafina-  E la chiave l’hai tenuta sempre tu?-

Lolò – Sempre!-

Serafina – E ora che si fa?-

Lolò – M’hanno detto che c’è un conciabrocche, un certo zi’ Dima,  che, mi hanno assicurato, è un vero mastro. L’ho mandato a chiamare. Vediamo cosa si potrà fare per non perderla del tutto.-

Serafina – Speriamo bene…-

Lollò – Non ci resta che la speranza. Demonio ladro! Miseria infame! Destino amaro! (disperandosi e strappandosi i capelli)-

Serafina – E va bene, marito mio, non ti disperare, forse questo conciabrocche  ce la riporta di nuovo sana e bella. Calmati ora, su…-

Lollò- Mi calmo? E come mi calmo? Come, come… Ah, eccolo che arriva. Venite avanti voi!-   

Entra zi Dima. E’ un vecchietto arzillo, un po’ gobbo, che si muove a scatti, come le galline, porta a tracolla una cesta con gli attrezzi del mestiere.

Dima – Sabbenedica don Lollò, Donna Serafina…(fa un inchino impacciato)-

Lollò – Salute a voi. Dunque andiamo al sodo: Siete capace di conciare questa magnifica giara?-

Dima – (sbircia la giara) Sono capace.-

Lollò – E siete capace di renderla salda per le sue mansioni?-

Dima – Sono capace.-

Lollò – E siete capace…-

Dima – E sono capace, ceerto che sono capace, ho capito! ed ora finiamola con questa tiritera e fatemi vedere bene le condizioni di questa giara.-

Lollò – Sono io che comando e che faccio le domande, messer coso - tanto per intenderci. Allora eccola là, bella, forte e… ferita a morte.-

Dima – Fatemi vedere… (guarda attentamente le due parti della giara, passa le mani nello spacco, poi sentenzia) Si può fare!-

Lollò – E mettetevi all’opera, dunque. Fateci vedere cosa sapete fare. Dicono anche che avete un certo mastice…-

Dima- …non un certo mastice, ma un signor mastice, una rarità, una mia invenzione… è un mastice…-

Serafina - … un mastice miracoloso? Suvvia, non vantatevi troppo. Sappiate che chi si loda s’imbroda.-

Dima- (pazientemente) Ora anche i proverbi spuntano fuori. Ma parleranno i fatti. All’opera dunque.-

Lollò- Un momento. Voglio sapere prima quanto mi costa. Ah, ci voglio anche i punti, beninteso.-

Dima- (dandosi una manata in fronte) Morti subbitania! Ci risiamo! Vuole anche i punti! I maledetti punti! Nessuno che abbia fiducia in me e nel mio mastice…-

Serafina- … miracoloso.-

Dima- Miracoloso, sissignore. Allora, don Lollò, facciamo così: Io ve la concio col solo mastice, e se non sarete soddisfatto, ci metto anche i punti.-

Serafina- Questo si chiama ragionare.-

Lollò- Questo si chiama rischiare. Rischiare i miei soldoni e la giara. Breve: Voglio anche i punti!-

Dima- Come volete voi. Siete padronissimo…-

Lollò- L’avete detto! Allora quanto mi costerebbe?-

Dima- Solo col mastice…-

Lollò – E dalle! Ho detto anche i punti!-

Dima – Allora…Diciamo…diecimila.-

Lollò- Lire?-

Dima – No farfalle.-

Serafina – Che spiritoso.-

Lollò- State al vostro posto, conciacocci e al lavoro che la giornata passa.-

Dima, come rassegnato, posa la cesta per terra, apre un involto e con la massina delicatezza, come se compisse un rito, trae un vecchio paio di occhiali tenuti insieme col nastro isolante e con lo spago, li inforca; e come un chirurgo che esamina una ferita, egli controlla lo stato della giara, toccandola dolcemente con le mani. Sullo spacco si attarda a palpeggiarlo, lo annusa, lo guarda in prospettiva, poi, finalmente, prende da un altro involto il mastice, guarda di sottecchi don Lollò, prima; poi anche sua moglie, quindi gingillandosi col tubetto, toglie il tappo, lo annusa, poi lo offre all’olfatto dei due che sdegnati rifiutano. Ancora pazientemente e religiosamente mette il mastice nel dito indice della mano sinistra e lo passa sullo spacco, con delicatezza, quasi con amore. Poi ci soffia sopra come se volesse effondergli la vita; infine si mette dentro il coccio più grande. Tutta la scena sarà sottolineata dalla controscena degli altri attori e da una musica adatta.   

Dima – Don Lollò, non vi serva per comando, ma datemi una mano a mettere insieme di due cocci.-

Lollò – Cosa dovrei fare? (è riluttante)-

Dima – Niente di particolare, aiutatemi solamente a congiungere le due parti. Io da dentro, voi da fuori. (segue scena dell’incollamento delle due parti della giara) Ora sù spingete forte, più forte. Tenete duro! Ecco, così…fatto! ( soffia in tutta la connessura, la liscia con la mano, fin dove arriva, quindi sorride soddisfatto, poi dà dei colpetti alla giara) Suona come una campana. (Lollò fa finta di non sentire) Ho detto come una campana! (Lollò idem, Dima rassegnato) Donna Serafina, per cortesia, passatemi quel filo di ferro e la pinza che sono nella mia cesta...e anche la lesina…già, la lesina, per sfigurare questo capolavoro.-

Lollò – Ma statevi zitto e lavorate! -

Dima -Lavoro, lavoro…(sbuffando si rannicchia nella giara)-

Dima con la testa e le braccia fuori dalla giara, fa con la lesina dei piccoli fori alla giara, spezza dei pezzettini di fil di ferro, li passa nei fori e stringe. Musica adatta per un minuto.

Dima - Ecco fatto. Misfattu compiutatiu est. Ora aiutatemi ad uscire da qui.-

Lollò – Già fatto? Tiene bene? Siete sicuro signor coso?-

Dima- Sono sicuro. Allora, mi aiutate o no?-

Lollò – E che prescia. (palpeggiando la giara, per accertarsi del lavoro fatto da Dima, poi conta i punti che questi ha dato. Infine si decide e gli porge una mano per aiutarlo ad uscire) V’aiuto, v’aiuto.-

Ma per quanti sforzi possono fare, lui e Dima, questi non riesce ad uscire dalla giara. Serafina scoppia a ridere, Lollò resta basito. Dima è incredulo. A discrezione della regia si possono fare anche comici tentativi di uscita con i piedi ecc.

Lollò – Non esce, non esce. Dannazione non esce. Perché non esce?-

Dima – E che ne so io! Certo non sono ingrassato in pochi minuti.-

Lollò- Non fate lo spiritoso. E ora che si fa?-

Serafina – Già che si fa?-

Dima – Semplice: riproviamo di nuovo, magari con l’altra spalla, e se non va neanche così, vuol dire che  romperete la giara e mi farete uscire da qui.-

Lollò- Rompere la giara? Mai! (intanto procedono al tentativo)-

Dima- E io che fa, rimango qua?-

Lollò – E cosa ci posso fare io se voi siete uno sventato rimbambito!  Vuol dire che restare lì. Intanto, ecco, vi dò le diecimila lire (getta la moneta nella giara) così ho saldato il conto e arrivederci.-

Serafina – (piano) Lollò, questo è sequestro di persona…-

Lollò – E che l’ho sequestrato io? S’è chiuso da solo! (poi a Dima) Anzi mi dovrebbe pagare l’affitto, perché la giara è mia!-

Dima – Pure? Salute a voi. Io mi ritiro. (si rannicchia nella giara) E buona notte a tutti.-

Serafina – Ma è illogico. Bisogna fare qualcosa…-

Lollò – (a bassa voce) Lasciamolo li. Intanto mi consulto con l’avvocato. (poi ad alta voce) Io non mi faccio minchionare da nessuno, figuriamoci da questo balordo di conciacocci.  Vado a telefonare all’avvocato - io. Tu intanto dagli da mangiare, come d’uso, e così siamo a posto. (si attarda per vedere la reazione di Dima, che non arriva)-

Serafina esce e rientra poco dopo con un cesto di cibarie. Lollò va a telefonare.

Lollò – (allusivo) Allora vado. Ho detto vado…(nessuna risposta da Dima) Beh, l’avete voluto voi. Vado!-

Dima – ( da dentro) Acqua davanti e vento di dietro. ( Lollò, furioso esce)-

Serafina – Zì Dima, non lo provocate, per favore. Ditemi, volete mangiare qualcosa?-

Dima – Non ho fame. Fatemi solo uscire da qui.-

Serafina – Stiamo provvedendo, intanto assaggiate questo vinello, è produzione nostra. Suvvia, non fate il superbo, accettate.-

Dima – (riapparendo dal collo della giara) Per farvi piacere, solo un sorso (prende il bicchiere e se lo scola tutto).-

Serafina – Alla faccia del goccio. Tenete, metteteci sopra qualcosa da mangiare. (offre del pane e del formaggio)-

Dima- (Prendendolo e scomparendo nella giara) Grazie, lo mangio con calma nel mio nuovo alloggio, se non vi dispiace. -

Serafina- Fate con calma…(si aggira per l’aia, musica adatta).

Lollò - (rientrando e bussando alla giara) Siete ancora lì, furfante?-

Dima – (Riemergendo) E dove volete che sia? Qui si sta bene come al Bristol, abitazione di lusso, aria condizionata, e servizio in camera. Qua sono, don Lollò; qua sto, e non mi muovo!-

Lollo- (conciliante) Sentite messere, secondo voi, quanto può valere la mia giara riparata dalla vostra preziosa perizia artigianale?-

Dima – Solo col mastice o coi punti?-

Lollò – Fate voi.-

Dima – Solo col mastice, diciamo che poteva valere anche…vediamo…(fa conteggi con le dita sulle labbra) ehmmm, ecco…diciamo dai settanta agli ottantamila lire. Ma con i punti (schifato) non vale nemmeno la metà.-

Lollò – E quanto sarebbe, infine?-

Dima – Diciamo quarantamila lire scarsi.-

Lollò- (riflettendoci) E va bene. Datemi quarantamila lire, io rompo la giara e voi uscirete da lì.-

Dima – (facendo segno con la mano come per dire: ma siete scemo) Io darvi quarantamila lire per uscire? Ma siete in sensi don Lollò Zimarra?-

Lollò – Zirafa, prego.-

Dima – Zirafa, o Zimarra sempre folle siete. Quarantamila lire, ma guarda che cose…-

Lollò- L’avete valutato voi stesso. Quindi, siccome avete fatto il danno col vostro stolido comportamento, adesso pagate, io rompo la giara e voi andate via e…amici come prima.-

Dima- (segnandosi) Padre, Figlio e Spirito Santo, guarda che cosa debbo sentire. Me lo disse mia moglie: Oggi è giornata di scirocco pesante, attento a quello che fai  Dima. E attento a quello che ti fanno gli altri, aggiungo io.( con enfasi) Don Lollò, io sono qua e ci resto. E ci resterò fintanto voi non mi farete uscite…sano e salvo…sennò mi chiamo i danni fisici e morali, e voi pagherete. Fatevelo dire dal vostro signor avvocato. ( si ricala)-

Lollò – Ah, bene, siete anche sfottente? Benissimo. Vi ho pagato, avete mangiato, buona notte e ci vedremo  quando vi deciderete ad uscire dalla mia giara. (sta per uscire, ma vede un filino di fumo uscire dalla giara. Allarmato ritorna sui suoi passi)-

Lollò – Serafina guarda, c’è del fumo (indica il collo della giara) Non è che quello sciagurato sta arrostendo là dentro? 

Serafina – (Guardando a sua volta) Mih, vero è!-

Lollò – Voi la dentro, cosa succede, cosa state combinando?-

Dima – (riemergendo e mostrando una pipa fumante) Niente, niente, inganno il tempo con una fumatina. Volete fare una tirata?-

Lollò – Ve la do io la tirata! Vecchio balordo! E’ già sera, io me ne vado a letto, voi avete tutta la notte per pensare, per riflettere e prendere la decisione più giusta: ovvero pagare e uscire. Santa notte vecchio stolido! E tu Serafina vieni dentro, a casa!-

Dima –Cogito ergo summo - qua! Buona notte anche a voi. (intanto che Lollò si allontana) Ma attento ai sogni, possono arrivare gli incubi: posso venire a grattarvi i piedi, travestito da vostra coscienza.-

Serafina – ( che aveva ascoltato attentamente) Vengo, vengo, finisco di dargli da mangiare e vengo. ( poi rivolto a Dima) Zì Dima, o zi’ Dima, e che volete restare veramente costì? Avanti và, affacciatevi e parliamo da persone serie.-

Dima – ( affacciandosi) Donna Serafina, ma vi pare saggio quello che dice vostro marito?-

Serafina – E cosa volete che vi dica? Certo spendere centomila lire per una bella giara e vedersela prima rotta in due, poi con un conciabrocche nella pancia, non è che sia una bella cosa, no?-

Dima –E ci dice il contrario. Ma io che c’entro? Certo lo ammetto è una bella situazione assai stramba.-

Serafina – Ma come è potuto succedere? Voi con la vostra esperienza…-

Dima – Cosa c’entra l’esperienza? Io nelle giare ci entro e ci esco da quarantanni. E’ in questa benedetta giara vostra che non riesco ad uscire.-

Serafina – E come mai? Non hanno tutte le stesse misure di collo?-

Dima – Così doveva essere e così credevo anch’io. Ma trattandosi di robba di don Lollò, no!          

Serafina – Beh, effettivamente mio marito ha un caratteraccio, lo ammetto, ma di cose storte gliene succedono a iosa, poveretto.-

Dima – Donna Serafina e che? Mi volete forse far commuovere? Io sono un lavoratore, dove li prendo quarantamila lire per darle a vostro marito per farmi uscire? Ergo resto qui!-

Serafina- Come volete. Avete mangiato il pane col formaggio?-

Dima – L’ho mangiato, grazie tante.-

Serafina- Volete un altro po’ di vino? (gli offre il bicchiere colmo)-

Dima – Accetto. (prende il bicchiere) Alla vostra salute donna Serafina. (beve d’un fiato). Ahhh. Buono questo vostro vino. Ma bevete anche voi, fatemi compagnia.-

Serafina- Solo un  sorsetto. (si riempie il bicchiere e beve)-    

Dima – Non avreste con voi due olivuzze nere, per caso?-

Serafina – E come no. Eccole qua, vi do anche un altro po’ di pane. (esegue)-

Dima – Grazie, grazie assai…ma assaggiate anche voi.-

Serafina – (Mangiando qualche oliva col pane) Bella notte di luna, vero zi Dima?-

Dima – Bella notte… notte magica. Mi ricordo che una volta, durante una notte simile, con questo magico chiaro di luna, nell’aia d’o zu’ Pippinu Macca, dopo una mangiata di fave e una bevuta di vino di quello buono, con tutta la ciurma restammo l’intera notte a cantare e a ballare. Io allora cantavo piuttosto bene. Un altro bicchiere, bella signora, grazie.-

Serafina – (eseguendo) Me lo prendo anch’io (riempie il suo e beve) Zi Dima, perché non cantate anche stanotte?-

Dima – Eh, ormai sono vecchio e gracchio anzicchè cantare.-

Serafina – (su di giri per il vino) E voi provateci.-

Dima – Manca l’accompagnamento. Quella volta c’era una chitarra e un marranzanu…-

Serafina – Lo scaccia pensieri ce l’ho. Cantate, io v’accompagno.-

Dima – (Schiarendosi la voce) Vitti na crozza supra a nu cannuni…-

Canta tutta la canzone con voce stridula, ma per Serafina, mezza ubriaca, sembra melodiosa. Anzi, attacca a cantare anche lei. Il marranzano si sentirà in scena per tutta la durata del canto.

Due, tre minuti e entrerà n scena don Lollò furioso.

Lollò – Ma che succede qui? Cantate? Mentre io piango lacrime di sangue? Tò prendi manigoldo e farabutto! (da un calcio alla giara che si rompe)-

Dima – (sorpreso, poi sveltamente uscendo dalla giara) Sono libero! Libero, e me ne fuio! ( prende al volo il cesto, ed esce di scena saltellando).

Mentre Serafina guarda a bocca aperta l’improvvisa scena, poi ride da ubriaca, mentre Lollò, sorpreso anche lui dai risultati della sua ira, riprendendosi, si porta le mani ai capelli. Intanto il sipario, lentamente si chiude.

                            … MA  LE  CORNA  SONO  SUL  CONTO

                                          Commedia in un atto

                                                         di

                                          ANTONIO  SAPIENZA

Riduzione ed elaborazione con soli tre personaggi della commedia in tre atti  di Luigi Pirandello  " Pensaci Giacomino". Anno 1994. Personaggi tre maschili.

Personaggi:

Prof. Toti, docente di scienze naturali;

Padre Landolina;

Giacomino.

Buio in sala, buio in scena. Musica adatta. Quando il sipario lentamente si  apre, si  ode la voce  del  Professor  Toti.  (non c’è scenografia, si opererà con luci che illumineranno solo il centro del palco).  Quindi  lieve illuminazione su Toti, che parla rivolto verso le quinte di destra.

Toti - Certo signor direttore, ha ragione questo non mi  pare  il modo di tenere la disciplina. Ma consideriamo, santo  Dio, questi   ragazzini  che  hanno  il  fuoco   nelle  vene,  e friggono! Io li guardo serio -, non creda, ma le giuro che quando li vedo davanti con certe facce da santi anacoreti mentre son sicuro che sotto sotto me ne stanno  combinando qualcuna.. Ma no, non cruda che manchino di rispetto a me. No, non a me; al professore semmai. Come? Quanti anni ho? Eh,  tanti. Sessantacinque  settanta?  Faccia lei signor direttore.  Come dice? Anni di servizio? Eh, molti, quasi il  massimo. Perche' non mi ritiro? Ma lei scherza!  Dopo piu'  di un terzo di secolo che porto la croce il  Governo  mi  paga  per altri cinque o sei anni - e  voglio  mettere sette e voglio mettere otto - quattro soldi di pensione  e  poi basta? Eppoi, mi metto a riposo per sbattermi la testa al  muro;  vecchio e solo? Ah dice che dovevo  mettere  su  famiglia  a tempo? Gia', con lo stipendio che  m'hanno  dato, per  morire  di fame io, mia moglie e cinque,  sei,  otto, dieci figlioli  -  eh capira', quando uno  si  ci  mette!- Pazzie, cavaliere mio! E ringrazio Dio che volle  guardarmi  sempre  dal  farlo.  Ma ora sa? Ora la  piglio.  Che  cosa  piglio?  Ma  la moglie mi piglio. Sissignore, ora  si.  Il Governo  con  me non se la passa liscia!  Calcolo  che  mi  debbano restare altri cinque o sei anni di vita, e  prendo moglie,  e  prendo moglie, sissignore!  per  obbligarlo  a  pagar la pensione, non a me soltanto, ma anche a lei  dopo  la  mia morte. Me la prendo giovane io - come Lillina, la  figlia del bidello Cinquemani - giovane, povera timorata e  di  buona famiglia - la quale, si, dovra' pur figurare  da moglie allo stato civile... Ma che moglie poi! Che marito! Roba da ridere, alla mia eta'!  Sono  e restero' un povero vecchio che avra'  per  qualche   tempo  il  conforto d'un po' di gratitudine  per  un  bene fatto alle spalle del Governo, e amen.  Sono un uomo di spirito? Lei pensa pero' alle corna. Ma si  che in questo momento lo sta pensando. Ma quello sono  sul  conto, sa! Segnate in passivo in precedenza! Pero' non per me: se n'andranno in testa alla mia professione di marito, che  non  mi riguarda se non per  l'apparenza.  Io,  anzi,  vedro'  di  far  tanto che il marito - come  marito  -  le abbia.  Eh,  si! Altrimenti, povero vecchio,  come  potrei  aver bene? Corna, a ogni modo, senza radici, se marito non sono,  non voglio, ne possono essere. Pura e semplice  opera  di  carita'.  E  poi  se tutti  gli  imbecilli  del  paese vorranno  ridere,  e  ne ridano  pure;  non  me  n'importa niente.  Direttore, e' ancora in collera con me? Non come uomo,  ma   come professore? Ah, e' giusto, giustissimo, mi rimproveri  pure, ma come uomo, mi stringa la mano.  Ah, signor direttore, la moglie la piglio di sedici  anni, per obbligare il governo a pagarle la pensione per  almeno  altri  cinquant'anni  dopo la mia morte. Non  se la  passa liscia con me il Governo, glielo giuro.!  Cinquemani, Cinquemani, venite ho da parlarvi.-

Si avvia  verso  le  quinte  di  sinistra,  e  intanto   prende  il cappotto, il cappello e prende il bastone, poi  si porta  al  centro  della  scena  e lentamente li  indossa. Ma dalle  quinte si  ode  un  trambusto e un convulso gridare di donne e di un uomo.

Voce f1 - Era questa la pulizia che facevi qua di giorno?-

Voce m; - Faccia senza rossore! Tieni! Tieni! Tieni!-

Voce f2 - Mi lasci! Mi perdoni!-

Toti    - ( affacciandosi verso le quinte di sinistra, apprensivo  ) Non le fate del male, povera creatura!-

Voce m. - Si levi dai piedi professore! Ti ho colto svergognata!-

Voce f1 - Farla   cosi', sotto  gli  occhi di  tua  madre!  Ora  sei  perduta! Schifosa!-

Voce f2 - No! Mi vuole sposare! Mi vuole sposare!-

Voce m. - Sposare? E io do la figlia a lui? A Giacomino Delisi, a un  morto di fame? Pazzi! Pazzi!-

Voce f1 - M'ha  rovinato una figlia. Infame, infame! Venire  qua,  a  scuola,  a tradimento, come un ladro, a rubare l'onore  di  mia figlia.-

Voce m. - Brutta  cagnaccia!  Invece  di fare  le  pulizie.  Ma  ora  t'aggiusto  io!  Esci fuori! Subito fuori! E  non  ti  far  vedere piu' da me Fuori! Fiori!-

Voce f2 - Perdonatemi... Sono incinta... ( debolmente )-

Voce m. - Disonorata! Non  sei  piu'  mia   figlia!   Vattene   alla  perdizione! Via! Via!-

Toti    - Ma dove volete che vada, vecchi imbecilli? Ve la  prendete  con  lei;  quando ne avete voi la colpa, voi  che  l'avete mandata qua, fin da bambina, in mezzo a tutte le sudicerie che   gli  alunni  stampano  sui  muri  e  sulle   panche!  Pettegoli,  madre e padre. Pettegoli tutti e due, che  non siete altro!-

Voce m. - Via, fuori! Fuori! Non ti voglio piu'-

Toti    - Non la volete piu'? Me la prendo io! Qua figliola mia, non  piangere,  che ci sono io per te! Vieni con me...  il  mio  nome, non posso farne a meno, bisogna che te lo dia. Ma tu sarai  per  me come una figliola, la mia  figliola  bella; vieni, vieni ...-

Calano  le  luci.  Breve  stacco  musicale.  Pochi  secondi  e   poi riprendono  le luci. Toti e' in veste da camera. Parla rivolto  alle  quinte di destra.

Toti    - Eh, Lillina, dopo tre  anni vuoi che non  ti conosca?  Che ti senti? Non vuoi proprio dirmelo? Va bene, me l'hai gia'  detto  che  non ti senti niente, che ti fa  male  solo  la  testa,  che a stento riesci a tenere gli occhi aperti.  Va  bene,  anche  che  ti gira il capo.  E  non  puoi  neanche  parlare;  ho  capito! ( pausa ) Intanto non  vuoi  che  si chiami  il medico... Ma si, credo anch'io che sia  inutile chiamarlo! Debbo pazientare un giorno o due ancora, poi ti  passa  tutto  ... tutto? Eh, si vede che ti passa  ...  ti

passa bene, ti passa. ( b.p. ) Non vuoi confidarti con me?  Non vuoi dirmi che cosa e' accaduto? Nulla? Lo sapevo!  Va bene, dunque debbo parlare io?  Credi  davvero,  via, che, per quanto vecchio,  sia  cosi' rimbecillito?  Ti fa male il capo, ma via... No,  aspetta, figliola, ascoltami, e lasciamo il mal di capo, che questa  anzi sara' la ricetta per farlo passare. Tutte queste chiacchiere che la gente fa sul nostro  conto,  t'hanno  forse  messo in soggezione davanti a me,  fino  a farti credere che tu non possa piu'

parlarmi come prima  e  dirmi  cio' che ti sta al cuore? Bada,  sarebbe  l'ingiuria  piu'  grave  che  tu potessi  farmi,  il  tradimento  piu'  brutto;  quello  di vedere in me ... cio' che  non  voglio  neanche dire.  Io ho mantenuto tutto quello che ti promisi e non mi  sono tirato indietro d'un passo. Se la gente parla, se la gente ride,  e  c'e'  chi protesta e chi  minaccia  -  mi  hanno perfino  mandato in casa il direttore -  ebbene,  lasciali dire!  Lasciali fare! Ciarle, risa, proteste, minacce  per me  non  significano  niente, e  non  debbono  significare niente neanche per te. Sappiamo bene, tu e io, che non facciamo nulla di male;  e  dobbiamo  dunque pensare a star uniti, tutti, e non  darla  vinta  a nessuno, aspettando che il tempo mi dia  ragione:  non  ora  -  presto  - alla mia  morte.  Quando  vi  avro' lasciati  a posto, tutti e tre tranquilli e contenti.  Hai inteso?  Di,  hai inteso? E dunque parla  adesso!  Che  e' stato!  Vi siete litigati? Ho capito, non ti sei  litigata  con nessuno. E perche' allora da tre giorni lui non viene? E  non  va neanche alla banca, da tre  giorni...  Me  l'ha detto  ieri  il Cassiere. Si vede che fara' male  il  capo  anche a lui. ( pausa ) Ah,  santo Dio, ragazzi! Pensate che il tempo  rimane  per

voi, e che un giorno che togliete a me, e' peccato!... Tre giorni  che  non canti, tre giorni che non  ridi...  Ecco?  Vedi? ( come se sentisse piangere ) E t'ostini a dirmi che  non e' niente! Qualcosa di grosso dev'essere accaduto!   E  tu  devi  dirmelo! E se non posso entrare lo dirai  a  tua  madre!  ( Suona il campanello della porta, come fra  se  ) Non  ha niente da dire a nessuno. Lo sapevo! ( risuona  il campanello  ) Nessuno va ad aprire? ( Intanto fa  come  se   aprisse lui ) Chi e'? Padre reverendo! ( Si fa da parte  e  fa entrare in scena il padre Landolina ).-

Land    - Chiarissimo professore!-

Toti    - Reverendissimo! Favorisca. S'accomodi, prego. ( offre  una  sedia )-

Land    - Grazie, grazie...-

Toti    - A che debbo  l'onore della visita di un personaggio  cosi' di riguardo?-

Land    - Umile servo di Dio, professore. (pausa) Ecco,  professore. Se  permette  io  avrei bisogno di tutta la  sua  - bonta'   riconosciutissima  -  non  tanto per quello  che  vengo  a chiederle,  che e' giusto; quanto per me, timido servo  di  Dio,  perche'  mi dia il coraggio di parlare di  una  cosa molto ... molto delicata.-

Toti    - Coraggio:  eccomi qua. Le metto a disposizione  -  poiche' lei  me  la  riconosce  -  tutta  quella  bonta'  che   le  abbisogna;  sicuro che se ne prendera' non piu' di  quanta  potra' bastargliene a farla parlare.-

Land    - Ah, nei limiti della discrezione, s'intende! E' un caso di coscienza, professore.-

Toti    - Coscienza sua, o coscienza d'altri?-

Land    - D'una  povera anima cristiana, professore - non  so  se  a torto o a ragione - non voglio indagare.-

Toti    - Neanche lei?-

Land    - Co-come dice?-

Toti    - No, niente. Prosegua, prosegua.-

Land    - Dicevo, non so se  a torto o a  ragione è addolorata, offesa da  certe  dicerie pregiudizievoli che girano in  paese  a  carico del proprio fratello.-

Toti    - Ho  capito. Lei  viene a nome  della  sorella  di  Giacomo Delisi?-

Land    - Fa il nome lei, professore; non io.-

Toti    - Senta reverendo. Se vuol parlare di questo, dev'essere  ad un patto: che lei, prima di tutto, si levi i guanti.-

Land    - Ma io, veramente.-

Toti    - Non  dico dalle mani.  Dalla lingua, dico.  Parli  chiaro, insomma;  aperto.  Con me si parla cosi',  perchè  non  ho niente da nascondere, io. Aperto!-

Land    - Ma scusi, non vorrebbe rispettare il mio ufficio sacro?-

Toti    - E' un segreto di confessione?-

Land    - No, guardi, e' il dolore - come le dicevo -  d'una  povera  penitente  che viene a chiedere consiglio e aiuto  al  suo confessore.-

Toti    - E lei se ne viene da me?-

Land    - C'e' il  suo motivo, professore, se lei ha la pazienza  di  lasciarmi dire.-

Toti    - Dica, dica.-

Land    - Parlero', aperto, come lei desidera. La  signorina  Delisi,  di  parecchi  anni  maggiore   del  fratello,  come lei sapra',  ha fatto da madre  al  giovane, quasi  fin da bambino rimasto orfano; e grazie a Dio,  con ineffabile compiacimento, se l'e' visto crescere sotto gli occhi timorato, rispettoso, obbediente.-

Toti    - Puo' abbreviare,  Padre. Vuole che non  conosca Giacomino? Meglio di lei lo conosco e anche meglio di sua sorella, ne  puo' star sicuro.-

Land    - Ecco, le  dicevo perche' tutte queste buone doti  che  lei riconosce nel giovane, sono merito, a mio  credere,  della  buona educazione che ha saputo dargli la sorella.-

Toti    - (  quasi  tra se )  Quant'e'  bello  finire  come  un  cero d'altare.-

Land    - Non capisco.-

Toti    - Ardere e sgocciolare, Padre! Codesta  signorina Delisi. Ma si, ottima creatura. E riconosco che ha saputo educar bene  il fratello.-

Land    - E come avviene allora, professore, che a carico  di questo giovane cosi' educato si trovi, adesso, tanto da ridire in  paese?  Ecco, per me e' chiaro che dipende da questo:  che il giovane frequenta con una certa assiduita' la sua casa;  e  che la malignita' della gente, essendo la sua  riverita consorte molto giovane...-

Toti    - Veniamo, Padre, veniamo allo scopo della sua visita!-

Land    - Ma gia' ci siamo.-

Toti    - No, guardi: glielo dico io. Andiamo per le spicce. Mandato dalla  sorella, lei vorrebbe che io, per troncare  codesta  che lei chiama dicerie pregiudizievoli, pregassi Giacomino di non mettere piu' piede in casa mia. Vuol questo?-

Land    - No, professore, non propriamente questo.-

Toti    - E che altro vorrebbe allora da me?-

Land    - Ecco.  Le  ho  parlato della  sorella,  del  dolore  della sorella per queste dicerie, che non fanno male soltanto al giovane, ma anche… -

Toti    - Non badi, non badi a me, la prego!-

Land    - Capisco che  lei e' superiore a  codeste miserie.  Ma  una  giovane  donna,  no;  una  povera  sorella,  che  dobbiamo  piuttosto  considerare come madre, no; ne  soffre;  piange chiede conforto e aiuto - e' donna - e....-

Toti    - (  massaggiandosi  le tempie )   Che   stradacce,  ah  che  stradacce in questo nostro porco paese!-

Land    - ( sbalordito ) Stradacce?-

Toti    - Appena  piove, non ha visto? Le scarpe si sfanno subito  sotto  i  piedi,  che  a  camminarci pare s'abbia  il  vischio  alle  suole.  E  piacere  a sguazzarci, poi,  quando  seguita  a piovere a quella mota si fa acquosa! Acquosa!-

Land    - Non capisco, in verita', come c'entrino le strade.-

Toti    - Porto  le  scarpe di panno,  reverendo! Lei  mi  parla  di questo gran pianto della sorella; e io la sorella, non so, ho pensato  alle strade quando piove. Non ci  faccia caso! Diceva?-

Land    - Che ha mandato me, si, professore, ma solo per supplicarla d'essere  cortese  di  farle avere -  ecco  -  un  piccolo  attestato, un piccolo attestato proprio  per suo  conforto e nient'altro: come qualmente queste dicerie non hanno, ne  certamente possono avere, il minimo fondamento di verita'.

Toti    - E nient'altro vorrebbe?-

Land    - Nient'altro, oh, nient'altro!-

Toti    - Perche', quanto a  ritornare  qua  Giacomino,  la  sorella  crede  di poter essere sicura che questo non  avvera'  mai  piu',  e'  vero? Poichè lei, da buona  sorella,  da  buona  mamma, lo ha persuaso e convinto che questo  non deve piu'  avvenire. E' cosi?-

Land    - Si, professore: questo  crede proprio d'essere riuscita  a  ottenerlo.-

Toti    - E ora  vorrebbe  l'attestato da  me?  Prontissimo.  Glielo  rilascio.-

Land    - Oh, grazie.-

Toti    - Grazie? Che vuole che mi costi? Due righe: come qualmente, avendo saputo di queste dicerie eccetera eccetera, attesto  e  certifico ecc. ecc.. Puo' andarsene, reverendo.  Glielo faccio. Glielo faccio e glielo mando.-

Land    - Sono proprio felice e ammirato, professore, di codesta sua  carita'  fiorita.  ( si alza ) E - scusi  -  non  vorrebbe darlo a me? Glielo porterei subito.-

Toti    - Ah no. Ora  non ho tempo. Ma non dubiti, glielo  faccio  e glielo mando in giornata.-

Land    - Lo mandera' a me?-

Toti    - No;  perche' a lei? Direttamente alla sorella. Se ne  vada  tranquillo.-

Land    - Io allora la riverisco, e… -

Toti    - Aspetti! Mi dica. Lo  sa, reverendo, che  Giacomino - buon giovine ottimo anzi, timorato, rispettoso ma ... si,  via! Scioperato - trovo' posto alla Banca per me?-

Land    - Oh, vuole  che non si  sappia, professore! Lo so  bene;  e  voglio  che lei mi creda: glien'e' gratissima la  sorella,  riconoscentissima.-

Toti    - Meno  male,   meno  male.   Sono   contento   di   codesta  riconoscenza.  Certo, quella inaspettata eredita',  quella  grossa  somma da depositare... mi facilito'.  A  rivederla reverendo.-

Land    - A rivederla professore. E tante grazie di nuovo. ( fa per andare )

Toti    - Scusi, scusi reverendo: le volevo domandare un'altra  cosa  che  mi passa ora - cosi' - per la mente'. Mi chiarisca un  dubbio. Crede lei che un giovanotto  qualunque - possa non farsi piu' nessuno scrupolo, nessun rimorso, se per caso -  per puro caso, intendiamoci - una ragazza da lui sedotta e resa madre, avesse poi trovato in tempo un uomo, un povero  vecchio... ( padre Landolina tossicchia ) Ma sa che lei ha  una   bella  tosse,  reverendo?  Si  curi,  si  curi:   un  bell'impiastro! A rivederla!

( Landolina esce ) Marianna; Marianna, fammi il piacere di  rivestirmi il bambino, debbo uscire, io e lui.-

Calano le luci per pochi secondi, musica adatta.

Riprendono le luci. In scena vi e' padre Landolina che parla con  la signorina Rosaria che s'immagina dietro le quinte di sinistra.

 Land    - ... Se vuole proprio incomodarsi, accetterei una tazza  di  caffe'.  (  pausa ) Ah, creda, creda che e'  andata  bene. Proprio bene: lasciato nell'illusione d'aver indovinato lo scopo  della  mia visita. Certo sarebbe stato  meglio  che codesta  benedetta assicurazione che tanto preme alla  sua  amica,  me l'avesse scritta sotto gli occhi. Ma  insistere  non  sarebbe  stato prudente. Bisognava dir la  cosa  -  e saperla dire -  ma poi lasciarla li, fingendo che non aveva  nessun  valore pratico, mi spiego? E mi ha assicurato  che le  fara' avere presto, prestissimo, anche per il  piacere  di  gabbarci con niente. ( risolino ) Intanto, con la  mia visita  s'e'  guadagnato questo: che  neppure  lui  adesso  mette  in  discussione che Giacomino possa andare  a  casa  sua.

Cosa dice? C'e' il professore? Ma come? Qua?  Davanti alla  porta?  E  col bambino?  Che  tracotanza,  Dio  mio! Sorpassa   ogni  limite!  Ma  bisogna  tener  duro! Non  transigere, signorina! Pareva cosi' rassegnato, pareva...io non so... pretese lui stesso che gli parlassi chiaro, aperto... mi licenzio' assicurandomi che me ne potevo  andare tranquillo. Ora mi domando se non convenga,  piuttosto, affrontarlo risolutamente. Lo affronterei io, ma  credo che non gioverebbe- non per tirarmi indietro-

s'intende, ma perche' qui ci vuole uno della famiglia: lei  signorina Rosaria. Perche' no? Lei, la sorella, quasi la  madre! Orsu', coraggio, lo riceva! E si procuri di frenarsi: Fermezza e pazienza! Io posso andare di la', da  Giacomino? Bene, allora vado da lui. (sta per uscire) Fermezza e pazienza! Pazienza e fermezza! (esce da sinistra, mentre Toti entra da destra. indossa cappotto, cappello e guanti. Porta il bastone. Si comportera' in  scena come se cercasse qualcuno e che volesse, intanto, liberarsi del cappello, bastone e cappotto.)

Toti.-    Cara signorina Rosaria (come se la scorgesse a sinistra) bella giornata... che buon profumo di caffe'... no, non  s'incomodi, grazie... sa alla mia eta'...E' proprio una bellissima giornata e da tre giorni il  piccino non usciva di casa. Allora ho pensato di fargli fare due passini e di portarlo qui, per sapere di Giacomino, che da tre giorni non si fa vedere. Forse sta  male? Ah, sta benissimo! Ma, scusi, signorina, lei mi  tratta in un modo... Ho forse fatto offesa, senza saperlo, a lei o a Giacomino, venendo qua? Ah, avrei dovuto capire  da me... Ma sa signorina Rosaria, ho i capelli bianchi, e  prima di tutto capisco che certe furie... certe furie,  meglio lasciarle svaporare! Dice che Giacomino non e' in casa? Ah, se voglio parlargli verra' a trovarmi a scuola o dove gli indichero' io? Ma cara signorina, vede che ancora le... furie? Guardi, sara'  bene chiarirlo, francamente, senza sotterfugi e senza  riscaldarsi. Mi lasci sedere e vada a chiamare Giacomino.  Va bene non c'e', me l'ha gia' detto... ma scusi i preti, a casa sua, usano parlare con le seggiole? Come perche'? (prende il tricorno di padre Landolina che aveva lasciato sulla sedia al momento di andarsene da Giacomino) Ecco qua  un tricorno da prete: e' di padre Landolina che,  sicuramente, e' di la' con Giacomino. Vada dunque  signorina, lo vada a chiamare, non mi faccia ritornare. Si,  si, verra' lui a scuola... ma perche' farlo incomodare mentre io sono qua e lui e' di la'? Potremmo senz'altro  metterci a parlare. Sono un uomo ostinato, signorina, e per  lei certo petulante. Ma pensi a questo: lo vado a chiamare e la faremo finita una volta per sempre, ah! Lo chiama? Grazie signorina Rosaria, grazie di cuore. ( rivolto al  bambino se c'e' in scena) Niente, bellino mio, non aver   paura. La zia scherza. Ora gliela faremo sbollire tutta questa furia. Sai chi verra' ora? Giami'. Gli vuoi bene tu a Giami', e' vero? Si, eh? Ma tu dovrai voler bene anche a  me, piccimo mio, e assai di piu', perche' io per te, tra poco non ci saro' piu', mentre lui tu lo avrai per sempre. Ma tu queste cose non puoi capirle, e forse, non le capirai  mai, perche' quando potrai capirle, non ti ricorderai piu' di me...( entra Giacomino)  Di che faccia! oh, giacomino?-

Giac.-    Che ha da dirmi, professore?-

Toti -    Come! Non vedi il bambino?- (se non c'e' in scena, dire cosi': Come! non saluti il bambino?)

Giac.-    Io mi sento male professore. Ero buttato sul letto! Non   posso ne' guardare ne' parlare!-

Toti -  Gia', ma il bambino?-

Giac.-  (accarezzando la testa al bambino) Ecco, si. Mi dica, la  prego, che cosa vuole da me, professore.-

Toti -   Me l'ero immaginato che ti dovessi sentir male. Il capo eh?  Si vede...-

Giac.-   Professore...-

Toti -   Ecco, ti volevo domandare se il direttore della Banca t'ha detto qualcosa...-

Giac.-   No. Niente. Non l'ho visto nemmeno.-

Toti -   Non ci vai da tre giorni...-

Giac.-   Non sono andato perche'...-

Toti -   Non voglio saperlo! Te lo domandavo perche' ieri lo incontrai per strada e mi chiese di te. Discorrendo, si  parlo' del tuo stipendio, e io gli feci notare che non e' quello che dovrebbe essere. Siamo rimasti d'accordo che ti  sara' cresciuto.-

Giac.-   ( a disagio) Professore, io la ringrazio, ma...-

Toti -   ... di che mi ringrazi?-

Giac.-   ... ma ni faccia il piacere, la carita' di... di non  incomodarsi piu' di... non curarsi piu' di me, ecco!-

Toti -   Ah si? Bravo, bravo. Non abbiamo bisogno di nessuno, ora, eh?-

Giac.-   Non per questo, professore. Se lei non vuol capire!-

Toti -   Che vuoi che capisca? Mi vuoi impedire, se voglio, di farti  del bene.... che te lo faccia?-

Giac.-   Ma se io non lo voglio?-

 Toti -   Tu non lo vuoi e io te lo voglio fare. Per mio piacere. Non  sono padrone? Oh, guarda un po'! Non debbo piu' curarmi di  te. E di chi vuoi che mi curi allora? Io ti considero come un figliolo, lo sai.-

Giac.-   Professore lei mi sta facendo soffrire una pena d'inferno.-

Toti -   Io?-

Giac.-   Lai, lei. Ma si, se ne vada, vada e si scordi che io esisto!-

Toti -   Ma perche'? Che hai?-

Giac.-   Vuol sapere che ho? Glielo dico subito: mi sono fidanzato, ha capito professore? fidanzato!-

Toti -   Fi... fid... fidanzato?-

Giac.-   Si! E dunque basta! basta per sempre! Capira' che ora non  posso piu' vederla qua, comportare la sua presenza in casa  mia.-

Toti -   Mi... mi cacci via?-

Giac.-   No, no. Ma se ne vada. E' bene che lei, che lei se ne vada.-

Toti -   ( s'appresta ad andarsene) Quando e' stato? Senza... senza  dirmene nulla...-

Giac.-   Gia' da un mese.-

Toti -   Da un mese? e seguitavi a venire a casa mia?-

Giac.-   Lei sa come ci venivo.-

Toti -   ( fa cenno di non dire altro) Con chi? Dimmelo!-

Giac.-   Con una povere orfana come me, amica di mia sorella.-

Toti -   E...e.. si lascia tutto, cosi'? e...e...e non si pensa  piu' a... a niente? non...non si tien conto di niente?-

Giac.-   Ma scusi, professore. mi voleva schiavo?-

Toti -   Schiavo? Schiavo io che t'ho fatto padrone della mia casa? Ah, codesta  si, che e' vera ingratitudine! Il bene che t'ho  fatto, il bene che t'ho fatto, te l'ho forse fatto per me? E che n'ho avuto io, del bene che t'ho fatto? Le ingiurie, la baja di tutta la gente stupida che non vuol capire il sentimento mio. Ah, dunque, non vuoi capirlo neanche tu il  sentimento di questo povero vecchio che sta per andarsene e  che era tranquillo di lasciare tutto a posto, una madre, il  bambino, te, uniti, contenti, in buone condizioni? Non so - non so ancora. non voglio sapere chi sia la tua fidanzata.

Sarà - se l'hai scelta tu - sara' una giovane per bene. Ma  pensa che non e' possibile che tu abbia trovato di meglio,  Giacomino, della madre di questo bambino. Non ti parlo  dell'agiatezza soltanto, bada! Ma tu ora hai la tua  famiglia, in cui non ci sono di piu' che io, ancora per poco, io che non conto per nulla. Che fastidio vi do' io?   Sono come un padre per tutti; e posso anche, se tu lo vuoi, per la vostra pace, posso anche andarmene. Ma dimmi, com'e' stato? che cos'e' accaduto? come ti s'e' voltato cosi' tutt'a un tratto il cervello? Figliolo mio... dimmelo, dimmelo.-

Giac.-   Che vuole che le dica? Come non s'accorge professore, che tutta codesta sua bonta'...-

Toti -   ... questa mia bonta' - seguita! che vuol dire?-

Giac.-   Mi lasci stare! Non mi faccia parlare!-

Toti -   No, parla, anzi! Devi parlare!-

Giac.-   Vuole che glielo dica? Non comprende da se' che certe cose  si possono fare soltanto di nascosto, e non sono possibili  alla  vista di tutti, con lei che sa, con la gente che ride?-

Toti -   Ah, e' per la gente? E parli tu della gente che ride? Ma  ride di me, la gente, e ride perche' non capisce, e io la lascio ridere perche' non me ne importa nulla! All'ultimo  vedrai che ridera' meglio! E' l'invidia, figliolo, di   vederti a posto, sicuro del tuo avvenire.-

Giac.-   Se e' cosi'- guardi professore- se e' cosi', lasci star me-  ci sono tant'altri giovani che hanno bisogno d'aiuto.-

Toti -   (incollerito) Oh! che cosa... che cosa hai detto? E' una  giovane Lillina; ma e' onesta, perdio! E tu lo sai! Nessuno  meglio di te lo puo' sapere! E' qua, e' qua, il suo male! (si picchia il petto) Dove credi che sia? pezzo d'ingrato!  Ah, ora la insulti per giunta! E non ti vergogni? non ne  senti il rimorso in faccia a me? tu? E per chi l'hai presa? Ah credi che possa passare dall'uno all'altro, cosi' come niente? Ma che dici? Ma come puoi parlare cosi? Madre di questo bambino, che tu sai bene di chi e'! Ma che dici,eh? -

Giac.-   E lei professore, mi scusi, come puo' lei, piuttosto,  parlare cosi'?-

Toti -   Hai ragione... hai ragione... hai ragione. (disperato)  Ah, povero Nini' mio! povero piccino -mio! che sciagura, che   rovina! E che ne sara' della tua mammina senza esperienza;  senza chi l'assista, chi la guidi? Che baratro! che baratro!  (poi risoluto) E' il mio rimorso: perche' t'ho protetto! t'ho accolto in casa! e ho parlato in modo da toglierle ogni  scrupolo d'amarti! Ed ora che t'amava sicura, madre di   questo bambino, qua, ora tu...(minaccioso) Pensaci  Giacomino! Io sono buono e caro, ma appunto perche' sono cosi' buono, e vedo la rovina d'una povera donna, la rovina tua, la rovina di questa creaturina innocente, io divento  capace di tutto! Pensaci Giacomino! Io sono capace di fare quello che non  t'aspetti, sai? Vado ora stesso, con questo bambino per mano, a presentarmi alla tua fidanzata...-

Giac.-   Lei non ha il diritto!-

Toti -   Non ho il diritto? E chi te l'ha detto che non l'ho? Io  difendo questa creaturina! difendo la madre a questa   creaturina! e difendo anche te, ingrato, che non ragioni  piu'! Andro' a parlarle, a parlare ai parenti, mostrero' questo piccino e domandero' se c'e' coscienza a rovinare  cosi' una casa, una famiglia, a far morire di crepacuore un   povero vecchio, una povera madre, e lasciare senza aiuto e senza guida un povero innocente come questo. Giacomino, come questo... Ma non lo vedi? non hai piu' cuore, figliolo mio? non lo vedi qua il tuo piccino? E' tuo!  E' tuo! (prende il bambino e glielo appende al collo, e,   vedendo che Giacomino se l'abbraccia, pieno di commozione,   come impazzito grida) Santo figliolo... santo figliolo   mio... lo volevo dire... lo volevo dire. Su, su, andiamo, ora! andiamo via subito! Non perdiamo tempo! Cosi' come ti  trovi! Via, via, tutti e tre!-

Land.-   (entrando a precipizio) No, no Giacomino! Cosi' ti lasci  trascinare? Di violenza? E' inaudito! Peccato mortale   Giacomino!-

Giac.-   Lasciatemi stare, lasciatemi andare!-

Land.-   No, Giacomino! (tenta di sbarrargli la strada)-

Toti -   (parandoglisi davanti) Vade retro! vade retro! – via Giacomino, non ti voltare! (Giacomino esce da destra) Vade  retro! Distruttore di famiglie! Vade retro! (esce anche lui)

Land.-   (accorrendo gridando) Giacomino, io credo...-

Toti -   (rientrando) Che crede? Lei neanche a Cristo crede!-

Fine.

                        LA’,  NEL  RETROBOTTEGA  DI   MADAMA  PACE

                                              Commedia in un  atto

                                                           di

                                               Antonio   Sapienza

Elaborazione della Commedia in tre atti di Luigi Pirandello "Sei personaggi in cerca d'autore",  con tre soli personaggi. Anno 1994.

Personaggi:

Il capocomico;

Il padre;

La figlia.

Buio in sala. Musica adatta. Sipario che lentamente si apre. In scena vi e' il Capocomico, davanti ad un tavolinetto, che studia una scena. Luci adatte solo su di lui. Ove sia il caso, fare movimento di comparse servi di scena. Poco dopo si udra' una voce proveniente dalle quinte.

Voce- Scusi signor direttore, c'e' qualcuno che chiede di lei.-

Dir.- Ma io qua provo! Sono occupato! ( rivolto verso la sala, da dove avanzano il Padre e la Figliastra, luci su di loro) Chi sono lor Signori? Che cosa vogliono?-

Pad.- (salendo sul palco insieme alla figliastra, luci sui tre) Siamo in cerca d'un autore.-

Dir.- (sorpreso) D'un autore? Che autore?-

Pad.- D'uno qualunque, signore.-

Dir.- Ma qui non c'e' nessun autore. Non abbiamo in prova  nessuna commedia nuova.-

Fil.- Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo essere noi la sua commedia nuova.-

Dir.- Oh, senti, senti!-

Pad.- (alla figlia) Gia', ma se non c'e' l'autore! (al direttore) Tranne che non voglia esser lei... come capocomico potrebbe...-

Dir.- Lor signori vogliono scherzare?-

Pad.- No, che dice mai, signore! Le portiamo, al contrario, un dramma doloroso.-

Fil.- E potremmo essere la sua fortuna!-

Dir.- Ma mi facciano il piacere d'andare via, non ho tempo da perdere coi pazzi!-

Pad.- Lei, signore, sa bene che la vita e' piena d'infinite assurdita'. Ma mi permetta di farle osservare che, se pazzia e', questa e' l'unica ragione del suo mestiere.-

Dir.- Ah si? Le sembra un mestiere da pazzi il mio?-

Pad.- Eh, far parere vero quello che non e', cosi', sulla scena, per gioco: dar vita, vita a personaggi fantastici...-

Dir.- Signore, la professione di comico, e' nobilissima professione! I commediografi di oggi, purtroppo, ci danno da rappresentare stolide commedie e fantocci invece di uomini, ma sappia- sappia- che e' nostro vanto aver dato vita- qua, su queste tavole- a opere immortali!-

Pad.- Ecco! Benissimo! a esseri vivi, piu' vivi di quelle che respirano e vestono panni! Meno reali forse; ma piu' veri! Siamo dello stesso parere!-

Dir.- Ma come! Se prima diceva...-

Pad.- No, scusi, per lei dicevo, che ci ha gridato di non aver tempo da perdere coi pazzi, mentre nessuno meglio di lei puo' sapere che la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, piu' alta, la sua opera di creazione.-

Dir.- Ma che vuol concludere con questo?-

Pad.- Niente. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme: alberi o sasso, acqua o farfalla...o donna. E che si nasce anche personaggi!-

Dir.- E voi siete nati personaggi?-

Pad.- Appunto, signore. E vivi, come vede.-

Dir.- ( dopo un attimo di sbalordimento) Ma via! si levino! Sgombrino di qua!-

Pad.- Mi faccio meraviglia della sua incredulita'! Non e' abituato forse a vedere balzare vivi quassu' i personaggi creati dall'autore? Forse e' incredulo solo perche' non ha un copione, su quel tavolo, che si contenga?-

Fil.- Creda, signore, siamo dei personaggi interessantissimi! Quantunque sperduti.-

Pad.- Si, sperduti, sperduti nel senso che l'autore che ci creo', vivi, non volle poi, o non pote' materialmente, metterci al mondo dell'arte. E fu un vero delitto, signore, perche' chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, puo' ridere anche della morte. Non muore piu'! Morra' l'uomo, loscrittore, strumento della creazione; la creatura non muore piu'! I personaggi vivono in eterno perche' ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire... per l'eternita'.-

Dir.- Tutto questo va benissimo! Ma che vogliono loro qua?-

Pad.- Vogliamo vivere, signore!-

Dir.- (ironico) Per l'eternita'...-

Pad.- No: almeno per un momento, qua. Vede signore, la commedia e' da fare; ma se lei vuole e i suoi attori vogliono, la concertiamo subito tra noi!-

Dir.- Ma che vuol concertare! Qua non si fanno di questi concerti! Qua si recitano drammi e commedie!-

Pad.- E va bene! Siamo venuti appunto per questo qua da lei!-

Dir.- E dov'e' il copione?-

Pad.- In noi, signore. Il dramma e' in noi, siamo noi, e siamo impazienti di rappresentarlo, cosi' come dentro ci urge la passione!-

Fil.- (impudente e perfida) La passione mia, se lei sapesse, signore! La passione mia... per lui!- ( ride oscenamente)-

Pad.- Tu statti a posto, per ora! E ti prego di non ridere cosi'!-

Dir.- Ma chi e' questa ragazza?-

Pad.- E' la mia figliastra!-

Dir.- Ma e' pazza?-

Pad.- No, che pazza! E' peggio!-

Fig.- Peggio! Peggio! Eh altro, signore! Peggio! Senta, per favore: ce lo faccia rappresentare subito, questo dramma, perche' vedra' che a un certo punto io prendero' il volo! Il volo! il volo! E non mi par l'ora, creda, non mi par l'ora! Perche' dopo quello che e' avvenuto di molto intimo tra me e lui...-

Pad.- Questo e' vile!-

Fil.- Vile? Ah, ah. E anche il denaro, sa? Si, si il denaro, quelle cento lire che mi offri' in pagamento, erano la', in quella busta cilestina, sul tavolino di mogano, la' nel retrobottega di Madama Pace, Sa, signore? una di quelle madame che con la scusa di vendere " Robes e manteaux", attirano nei loro ateliers, noi ragazze povere, di buona famiglia.

E' la mia vendetta! Signore! Sto fremendo, fremendo di viverla, quella scena! La camera... qua la vetrina dei mantelli, la' il divano-letto; la specchiera; un paravento; e, davanti la finestra quel tavolino di mogano con la busta cilestina delle cento lire. La vedo! Potrei prenderla! Ma lor signori si dovrebbero voltare: son quasi nuda! Non arrossisco piu', perche' arrossisce lui adesso! Ma vi assicuro ch'era molto pallido, molto pallido in quel momento! Creda a me signore!-

Dir.- Io non mi raccapezzo piu'!-

Pad.- Sfido! assaltato cosi'! Imponga un po' d'ordine e lasci che parli io, senza prestare ascolto all'obbrobrio, che con tanta ferocia, costei le vuol dare a intendere di me, senza le debite spiegazioni.-

Fil.- Qui si narra! qui si narra!-

Pad.- Ma io non narro! Voglio spiegargli.-

Fil.- Ah, bello, a modo tuo!-

Pad.- Ma se e' tutto qui il male! Nelle parole! Come possiamo intenderci se nelle parole ch'io dico ci metto un senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col senso e col valore che hanno per se', del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai. Poi, se si potesse prevedere tutto il male che puo' nascere dal bene che crediamo di fare! Sua madre era povera e umile e per questa umilta' io la sposai, questa umilta' che io amai in lei. Ma lei sorda! Sorda nel cervello! Sorda fino alla disperazione.-

Fil.- E la scacciasti!-

Pad.- No, non e' vero!-

Dir.- Ma bisogna che lei mi spieghi chiaramente.-

Pad.- Ecco, si. Veda signore, c'era con me un pover'uomo, mio subalterno, mio segretario, pieno di devozione, che se la intendeva in tutto e per tutto con lei. Senz'ombra di male- badiamo- buono, umile come lei, incapaci non di farlo, ma neanche di pensarlo, il male!-

Fig.- Ci penso' lui, per loro- e lo fece!-

Pad.- Non e' vero! Io intesi di fare loro del bene- e anche il mio, si lo confesso. Si scambiavano sguardi d'intelligenza, ci cercavano negli occhi smarriti, come per chiedere consiglio, per non farmi arrabbiare. E mi esasperavano! Intollerabile!-

Dir.- E perche' non lo cacciava via quel segretario?-

Pad.- Benissimo! Lo cacciai infatti! Ma ella mi resto' sperduta come una bestia senza padrone. Io non potei piu' vedermi accanto questa donna! Ma non tanto, creda, per il fastidio, per l'afa - vera afa- che ne avevo io, quanto per la pena - una pena angosciosa- che provavo per lei. E la mandai, ben provvista di tutto, a quell'uomo, sissignore, - per liberarla di me e liberarmi io stesso, lo ammetto, ma a fin di bene lo feci e ne venne un gran male... Poi partirono...-

Dir.- Ma tutto cio' e' racconto, signori miei!  E' letteratura!-

Pad.- Ma che letteratura! Questa e' vita, signore! Passione!-

Dir.- Sara'! Ma irrappresentabile!-

Pad.- D'accordo! Perche' tutto questo e' l'antefatto. Il dramma viene adesso signore! Nuovo, complesso...-

Fil.- ... appena morto mio padre... la miseria... ritornammo qua...-

Pad.- ... dopo anni di lontananza, senza che mi fu possibile rintracciarli prima. Il dramma scoppia, signore, imprevedibile e violento, proprio al loro ritorno a mia insaputa... Io, io, purtroppo, condotto dalla miseria della mia carne ancora viva... Ah miseria, miseria veramente, per un uomo solo, che non abbia voluto legami avvilenti; non ancora tanto vecchio da poter fare a meno della donna, e non piu' tanto giovane da poter facilmente e senza vergogna andarne in cerca! Miseria? Che dico! orrore, orrore; perche' nessuna donna piu' gli puo'  dare amore. E quando si capisce questo, se ne dovrebbe fare a

meno... Mah, signore, ciascuno - fuori, davanti agli altri - e' vestito di dignita'; ma dentro di se' sa bene cio' che- nell'intimita' con se stesso,- c'e' d'inconfessabile. Si cede, si cede alla tentazione; per rialzarcene subito dopo, magari, con una gran fretta di ricomporre intera e solida, come una pietra su una fossa, la nostra dignita', che nasconde e seppellisce ai nostri stessi occhi ogni segno e il ricordo stesso della vergogna. E' cosi' di tutti! Manca solo il coraggio di dirle, certe cose!-

Fil.- Perche' quello di farle, poi, lo hanno tutti!-

Pad.- Tutti! Ma di nascosto! E percio' ci vuole piu' coraggio a dirle! Chi non ha paura di scoprire col lume dell'intelligenza il rosso della vergogna, la', nella bestialita' umana, che chiude sempre gli occhi per non vederlo? La donna- ecco- la donna, infatti, com'e'? Ci guarda, aizzosa, invitante. La afferri! Appena stretta, chiude gli occhi. E' il segno della sua dedizione. Il segno con cui dici all'uomo: "Accecati, io son cieca".-

Fil.- E quando non li chiude piu'? Quando non sente piu' il bisogno di nascondere a se stessa, chiudendo gli occhi, il rossore della sua vergogna, e invece, vede, con occhi ormai aridi e impassibili, quello dell'uomo, che pur senz'amore s'e' accecato? Ah che schifo, allora che schifo di tutte codeste complicazioni intellettuali, di tutta codesta filosofia che scopre la bestia e poi la vuol salvare, scusare...Non posso sentirlo, signore! Miseria della carne, idealita', pudore, vergogna: lacrime di coccodrillo!-

Dir.- Ma veniamo lo fatto, veniamo al fatto! Queste son discussioni!-

Pad.- Ecco, sissignore! Ma un fatto e' come un sacco vuoto: vuoto, non si regge. Perche' si regga, bisogna prima farci entrare dentro la ragione e i sentimenti che lo han determinato.

Io non potevo sapere che morto quell'uomo, e ritornati essi qua in miseria, sua madre - per provvedere al sostentamento dei figli, nati dalla relazione,- si fosse data attorno a lavorare da sarta, e che fosse giusto andata a prender lavoro da quella ... da quella Madama Pace!-

Fil.- Sarta fina, se vuol sapere. Mi credera', signore, se le dico che a mia madre non passo' lontanamente per il capo il sospetto che quella le dava lavoro perche' aveva adocchiato me? Sa signore cosa faceva la Madama appena le riportavo il lavoro fatto da mia madre? Mi faceva notare la roba che aveva sciupata dandola a cucire a lei, e diffalcava, diffalcava. 

Cosicche', lei capisce, pagavo io, mentre quella poverina credeva di sacrificarsi per me e per gli altri due figli, cucendo anche di notte la roba di Madama Pace!-

Dir.- E la', lei, un giorno, incontro'...-

Fig.- ... lui, lui, sissignore! vecchio cliente! Vedra' che scena da rappresentare! Superba!-

Pad.- ... col sopravvenire di lei, della madre...(vago cenno alle quinte)-

Fil.-... quasi a tempo!...-

Pad.- (gridando)... no, a tempo, a tempo! Per fortuna, lo riconosco, a tempo. Perche' dopo me li riporto' tutti a casa i suoi figli, signore! Lei si immagini la situazione mia e la sua, una di fronte all'altro: ella, cosi' come la vede; io che non posso piu' alzarle gli occhi in faccia!-

Fil.- Buffissimo! Ma possibile, signore, pretendere da me - " dopo"- che me ne stessi come una signorina modesta, bene allevata e virtuosa, d'accordo con le sue maledette aspirazioni " a una solida sanita' morale"?-

Pad.- Il dramma per me e' tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi- veda- si crede " uno " ma non e' vero: e' tanti, signore, " tanti ", secondo tulle le possibilita' d'essere che sono in noi: "uno" con questo, "uno" con quello - diversissimi! E con la illusione, intanto, d'essere sempre "uno per tutti", e sempre " questo uno" che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non e' vero! non e' vero! Ce n'accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell'atto, e

che dunque una atroce ingiustizia sarebbe giudicarci da quello solo, tenendoci agganciati, sospesi; alla gogna, per un'intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta a quell'atto!

Ora lei intende la perfidia di questa ragazza? M'ha sorpreso in un luogo, in un atto, dove e come non doveva conoscermi, come io non potevo essere per lei, e mi vuole dare una realta', quale io non potevo mai aspettarmi che dovessi assumere per lei, in un momento fugace, vergognoso della mia vita! Questo, questo, signore, io sento sopra tutto. E vedra' che da questo, il dramma acquistera' un grandissimo valore.-

Dir.- Benissimo, si! M'interessa! Intuisco, intuisco che c'e' materiale per cavarne un bel dramma!-

Fil.- (intromettendosi) Con un personaggio come me!-

Pad.- (scacciandola e in ansia per le decisioni del Capocomico) Stai zitta, tu!-

Dir.- (seguitando a meditare) Nuova, si...-

Pad.- Eh, nuovissima, signore!-

Dir.- Ci vuole un bel coraggio pero' - vi dico- venire a buttarmelo davanti cosi'...-

Pad.- Capira', nati, come siamo, per la scena...-

Dir.- Sono comici dilettanti?-

Pad.- No, dico nati per la scena, perche'...-

Dir.- E via, lei deve aver recitato!-

Pad.- Ma no, signore: quel tanto che ciascuno recita nella parte che si e' assegnata, o che gli altri gli hanno assegnato, nella vita. E in me, poi, e' la passione stessa, veda, che diventa sempre, da se', appena si esalti- come in tutti- un po' teatrale...-

Dir.- Mi tenta, mi tenta... cosi', per giuoco...-

Pad.- Ma si signore! Vedra' che scene verranno fuori! Gliele posso segnare subito io. Lei faccia trascrivere...-

Dir.- (rivolto verso le quinte) Suggeritore, segua le scene, man mano che verranno rappresentate, e cerchi di fissare le battute, almeno le piu' importanti. (al padre) Voi state a sentire e guardare per ora. Adesso, alla meglio, si fara' una prova. La faranno loro, i miei attori. ( cenno alle quinte)-

Pad.- No! Come sarebbe a dire, scusi, una prova? Se i personaggi siamo noi...-

Dir.- E va bene:  "i personaggi"; ma qua, caro signore, non recitano i personaggi. Qua recitano gli attori. I personaggi stanno li', nel copione... quando c'e' un copione.-

Pad.- Appunto! Poiche' non c'e' e lei ha la fortuna d'averli qua vivi davanti al pubblico, cosi' per come siamo...-

Dir.- Nient'affatto! I miei attori daranno corpo, voce, gesto, espressione e il dramma si reggera'... Insomma, lei, come lei, non puo' essere. C'e' l'attore che lo rappresenta; e basta!-

Pad.- (sottovoce) Ora capisco perche' il nostro autore – che ci vide cosi' vivi- non volle comporci per la scena. (al direttore) Non oso contraddirla, signore. Ma chi dovrebbe rappresentarmi, benche' s'adoperi con tutta la sua volonta' e tutta la sua arte - anche sforzandosi - col trucco, per somigliarmi- difficilmente potra' rappresentare me, com'io mi sento e realmente sono. E mi pare che di questo, chi sia chiamato a giudicare noi, dovrebbe tener conto...-

Dir.- Si da' pensiero dei giudizi della critica, adesso? E io che stavo ancora a sentire. Su, su, non perdiamo tempo.

Dunque la prima scena e' della "signorina" con Madama Pace. Oh! E chi e' questa Madama?-

Pad.- Non e' con noi, signore, ma e' viva, viva anche lei!-

Dir.- Gia', ma dov'e'?-

Pad.- Ecco, forse preparandole la scena, attratta dagli oggetti stessi del suo commercio. "Robes e Manteaux", chi lo sa che non venga tra noi...(si da a cercare gli oggetti di scena, poi indicando il fondo della sala) Guardino, guardino!-

Fig.- ( scendendo dal palco e accorrendo verso il fondo) Eccola! Eccola!-

Pad.- E' lei! Lo dicevo io? Eccola qua!-

Dir.- Ma che trucchi son questi?-

Pad.- Ma che trucchi, scusi: Madama Pace e' quella! Guardino: mia figlia l'ha riconosciuta e le si e' subito accostata. Stiano a vedere, stiano a vedere la scena.-

Dir.- Io non vedo e soprattutto non sento nulla! Parlate forte! (alla figlia)-

Fil.- (dal fondo) "Forte", gia'! Che forte? Non son mica cose che si possano dir forte! Le ho potute dir io per sua vergogna, che e' la mia vendetta! Ma per Madama e' un'altra cosa, signore: c'e' la galera!-

Dir.- Oh bella! Ah, e' cosi'? Ma bisogna far la scena. Il pubblico deve sentire. Fingano d'esser sole, in una stanza, nel retrobottega, che nessuno sente.-

Fil.- (risalendo sul palco fa cenno con dito di no)-

Dir.- Come no?-

Fil.- (misteriosa) C'e' qualcuno che ci sente, signore, se lei (accenna alla sala) parla forte!-

Dir.- (costernato) Deve forse scappar fuori qualche altro?-

Pad.- No, no. Allude a me. Ci debbo esser io, la' dietro l'uscio, in attesa; e Madama Pace lo sa. Anzi, mi permettano! Vado per essere subito pronto.-

Dir.- Ma no, aspetti! Qua bisogna rispettare le esigenze del teatro! Prima che lei sia pronto...-

Fil.- Ma si, subito! subito! Mi muoio, le dico, dalla smania di viverla, di vederla, questa scena! Se lui dev'esser pronto, io sono prontissima.-

Dir.- Ma bisogna che prima venga fuori, ben chiara, la scena tra lei e quella li'. Lo vuol capire?-

Fil.- Oh Dio mio, signore: m'ha detto quel che lei gia' sa: che il lavoro di mamma ancora una volta e' fatto male; la roba e' sciupata; e che bisogna ch'io abbia pazienza, se voglio che ella seguiti ad aiutarci nella nostra miseria. Via faccia entrare questo" viechio segnor, porque' se amusi con migo",-come dice Madama-. Insomma bisogna farla questa scena!

Su avanti! ( a Madama Pace) Lei se ne vada! ( al padre) E lei faccia l'entrata! Non c'e' bisogno che giri! Venga qua! Finga d'essere entrato! Ecco: io me ne sto qua a testa bassa - modesta!- E su! Metta fuori la voce! Mi dica con voce nuova, come uno che venga da fuori: " Buon giorno signorina"...-

Dir.- (Scendendo dal palco) Oh guarda! Ma insomma, dirige lei o dirigo io? (al padre) Eseguisca, si: vada la' in fondo, senza uscire, e rivenga avanti. (al suggeritore) E lei attento a scrivere, adesso! Via!-

Pad.- (avanzandosi con voce nuova) Buon giorno signorina...-

Fil.- ( a capo chino, con ribrezzo) Buon giorno.-

Pad.- (scrutandola) Ah...Ma... dico, non sara' la prima volta, e' vero? che lei viene qua.-

Fil.- No, signore.-

Pad.- C'e' venuta qualche altra volta? (la figliastra fa cenno di si) Piu' d'una? (aspettera' il cenno affermativo) E dunque, via... non dovrebbe piu' essere cosi'... Permette che levi io codesto cappellino?-

Fil.- (prevenendolo) No, signore: me lo levo da me!-

Pad.- Ecco me lo dia, lo poso io. Ma una bella, cara testolina come la sua, vorrei che figurasse con un piu' degno cappellino. Vorra' aiutarmi a sceglierne qualcuno, qua tra questi di Madama? No? Eh via, non mi dica di no! Vorra' accettarlo. Me ne avrei a male... Ce n'e' di belli, guardi! E poi, faremo contenta Madama. Li mette apposta qua in mostra!-

Fil.- Ma no signore, guardi: non potrei neanche portarlo...Non potrei portarlo, perche' sono... come mi vede: avrebbe gia' potuto accorgersene!-

Pad.- A lutto, gia'! E' vero: vedo. Le chiedo perdono. Creda che sono veramente mortificato.-

Fil.- (pigliando ardire per vincere lo sdegno) Basta, basta, signore! Tocca a me di ringraziarla; e non a lei di mortificarsi  o d'affliggersi. Non badi piu', la prego, a quel che ho detto. Anche per me, capira'...(sforzandosi a sorridere) Bisogna ch'io non pensi, che sono vestita cosi'.-

Dir.- (interrompendo) Va benissimo! Va benissimo! (al padre) Qua lei attacchera'... Graziosissima questa scenetta del cappellino...-

Fil.- Eh, ma il meglio viene adesso! perche' non si prosegue?-

Dir.- Abbia pazienza un momento. La cosa va trattata, naturalmente, con un po' di leggerezza... di spigliatezza...creare l'illusione...-

Pad.- Illusione? Per carita', non dica illusione! Non adoperi codesta parola, che per noi e' particolarmente crudele.-

Dir.- Perche', scusi?-

Pad.- Ma si, crudele! crudele! Dovrebbe capirlo!-

Dir.- E come dovremmo dire allora? L'illusione da creare, qua, agli spettatori? ( con vago gesto ironico)-

Pad.- ...con la nostra rappresentazione...-

Dir.- ...illusione d'una realta'!-

Pad.- Comprendo signore. Forse lei, invece, non comprende noi. Mi scusi! Perche' - veda - qua per lei e i suoi attori si tratta soltanto - ed e' giusto - del loro giuoco.-

Dir.- Ma che giuoco? Non siamo mica bambini! Qua si recita sul serio.-

Pad.- Non dico di no. E intendo, infatti, il giuoco della loro arte, che deve dare - come lei dice - una perfetta illusione di realta'.-

Dir.- Ecco, appunto!-

Pad.- Ora, se lei pensa che noi - come noi - non abbiamo altra realta' fuori di questa illusione!-

Dir.- E come sarebbe a dire?-

Pad.- Ma si, signore! Quale altra? Quella che per lei e' un'illusione da creare, per noi e' invece l'unica nostra realta'. Ma non soltanto per noi, del resto, badi! Ci pensi bene. Mi sa dire chi e' lei?-

Dir.- Come, chi sono? Sono io!-

Pad.- E se le dicessi che non e' vero, perche' lei e' me?-

Dit.- Le risponderei che lei e' pazzo!-

Pad.- Usciamo, la prego, da questo giuoco - d'arte, d'arte- che e' il teatro- e torno a domandarle seriamente: chi e' lei?-

Dir.- Oh, ma ci vuole una bella faccia tosta! Uno che si spaccia per personaggio, venire a domandare a me chi sono!-

Pad.- (con dignita') Un personaggio, signore, puo' sempre domandare a un uomo chi e'. Perche' un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui e' sempre "qualcuno". Mentre un uomo - non dico lei, adesso – un uomo cosi' in genere, puo' non essere "nessuno".-

Dir.- Gia'! Ma lei lo domanda a me, che sono il Direttore! Il Capocomico! Ha capito?-

Pad.- Soltanto per sapere, signore... farle vedere che se noi oltre la illusione, non abbiamo altra realta', e' bene che anche lei diffidi della realta' sua, di questa che lei oggi respira e tocca in se', perche' - come quella di ieri - e' destinata a scoprirsi illusione domani.-

Dir.- Ah, benissimo! E dica per giunta che lei, con codesta commedia che viene a rappresentarmi qua, e' piu' vero e reale di me!-

Pad.- Senza dubbio. Ma questo senza dubbio, signore! Credevo che lei lo avesse gia' compreso fin da principio.-

Dir.- Piu' reale di me?-

Pad.- Se la sua realta' puo' cangiare dall'oggi al domani...-

Dir.- Ma si sa che puo' cangiare, sfido! Cangia continuamente; come quella di tutti.-

Pad.- (quasi gridando) Ma la nostra no! Vede? La differenza e' questa! Non cangia, non puo' cangiare, ne essere altra, mai, perche' gia' fissata - cosi'- "questa"- per sempre!-

Dir.- (sbuffando) Io vorrei sapere pero', quando mai s'e' visto un personaggio che, uscendo dalla sua parte, si sia messo a perorarla cosi', come fa lei; e a proporla, a spiegarla. Me la sa dire? Io non l'ho mai visto!-

Pad.- Non l'ha mai visto, signore, perche' gli autori nascondono di solito il travaglio della loro creazione. Quando un personaggio e' nato, acquista subito una tale indipendenza anche dal suo stesso autore, che puo' essere da tutti immaginato in tant'altre situazioni in cui l'autore non penso' di metterlo, e acquista anche, a volte, un significato che l'autore non si sogno' mai di dargli!-

Dir.- Ma si che lo so!-

Pad.- E dunque, perche' si meraviglia di noi? Immagini per un personaggio la disgrazia che le ho detto, d'essere nato vivo dalla fantasia d'un autore che abbia voluto poi negargli la vita, e mi dica se questo personaggio lasciato cosi', vivo senza vita, non ha ragione di mettersi a fare quel che stiamo facendo noi, ora, davanti a lei, dopo averlo fatto a lungo, a lungo, creda, davanti a lui per persuaderlo, per spingerlo, comparendogli ora io, ora lei.-

Fil.- (venendo avanti trasognata) E' vero, anch'io, anch'io, signore, per tentarlo, tante volte, nella malinconia di quel suo scrittoio, all'ora crepuscolare, quand'egli, abbandonato su una poltrona, non sapeva risolversi a girar la chiavetta della luce e lasciava che l'ombra gli invadesse la stanza e che quell'ombra brulicasse di noi, che andavamo a tentarlo... Se loro tutti se ne andassero! se ci lasciassero soli! (indica il Direttore e qualche macchinista che si aggira sulla scena, gli ipotetici attori tra le quinte) Io con lui, poi con gli altri, poi da sola, io sola, ... in quell'ombra... ( balzando, come se nella visione che ha di se', viva, volesse afferrarsi) Ah, la mia vita! Che scene, che scene andavamo a proporgli - Io, io lo tentavo piu' di tutti!-

Pad.- Gia'! Ma forse e' stato per causa tua; Appunto per codeste tue troppo insistenze, per le tue troppo incontinenze!-

Fil.- Ma che! Se egli m'ha voluta cosi'! ( al Direttore in confidenza) Io credo che fu, piuttosto, per l'avvilimento o per lo sdegno del teatro, cosi' come il pubblico solitamente lo vede e lo vuole...-

Dir.- (troncando) andiamo avanti, andiamo avanti, santo Dio: Dunque quando lei dice:" Non badi piu', la prego, a quello che ho detto... Anche per me capira'!" (al padre) Bisogna che lei attacchi subito: " Capisco, ah capisco..." E che immediatamente domandi...-

Fil.- ... come! che cosa!-

Dir.- ... la ragione del suo lutto!-

Fil.- Ma no! Guardi: quand'io gli dissi che bisognava che non pensassi d'essere vestita cosi', sa come mi rispose lui? " Ah, va bene! E togliamolo, togliamolo via subito, allora, codesto vestitino".-

Dir.- Bello! Bellissimo! Per far saltare tutto il teatro?-

Fil.- Ma e' la verita'!-

Dir.- Ma che verita', mi faccia il piacere! Qua siamo a teatro! La verita', fino a un certo punto!-

Fil.- E che vuol fare lei, allora, scusi?-

Dir.- Lo vedra', lo vedra'! Lasci fare a me, adesso!-

Fil.- No, signore! Della mia nausea, di tutte le ragioni, una piu' crudele e vile dell'altra, per cui io sono "questa", "cosi'", vorrebbe forse cavarne un pasticcetto romantico sentimentale, con lui che mi chiede le ragioni del lutto, e io che gli rispondo lacrimando che da due mesi m'e' morto papa'? No, no, caro signore! Bisogna che lui mi dica come ma detto: " Togliamolo, via subito, allora, codesto vestitino".

E io, con tutto il mio lutto nel cuore, di appena due mesi, me ne sono andata la', vede? la', dietro quel paravento, e con queste dita che mi ballavano dall'onta, dal ribrezzo mi sono sganciato il busto, la veste...-

Dir.- ( con le mani ai capelli) Per carita'! Che dice?-

Fil.- La verita'! la verita', signore! (gridata)-

Dir.- Ma si, non nego, sara' la verita'... e comprendo, comprendo tutto il suo orrore, signorina, ma comprenda anche me che tutto questo sulla scena non e' possibile!-

Fil.- Non e' possibile? E allora, grazie tante, io non ci sto!-

Dir.- Ma no, veda...-

Fil.- Non ci sto! non ci sto! Quello che e' possibile sulla scena lo state combinando ora voi due (indica anche il padre) tante grazie! Lo capisco bene! Egli vuol subito arrivare alla rappresentazione dei suoi travagli spirituali, ma io voglio rappresentare il mio dramma! il mio!-

Dir.- ( seccato) Oh, infine, il suo! Non c'e' soltanto il suo, scusi! C'e' quello degli altri! Non puo' stare che un personaggio venga, cosi', troppo avanti; e sopraffaccia gli altri, invadendo la scena. Bisogna contenere tutti in un quadro armonico e rappresentare quel che e' rappresentabile. Ah, comodo se ogni personaggio potesse in un bel monologo, o in una conferenza venire a scodellare davanti al pubblico tutto quel che gli bolle in pentola! Bisogna che lei si contenga signorina. E creda, nel suo stesso interesse; perche' puo' fare una cattiva impressione, glielo avverto, tutta codesta furia dilaniatrice, codesto disgusto esasperato, quando lei stessa ha confessato di essere stata con altri, prima che con lui, da Madama Pace, piu' d'una volta!-

Fil.- (abbassando il capo e dopo una pausa di raccoglimento) E' vero! Ma pensi che quegli altri sono egualmente lui, per me.-

Dir.- Come gli altri? Che vuol dire?-

Fil.- Per chi cade nella colpa, signore, il responsabile di tutte le colpe che seguono, non e' sempre chi, per primo, determino' la caduta? E per me e' lui, anche prima che io nascessi! Lo guardi: e veda se non e' vero!-

E non deve risparmiargli l'orrore d'essersi trovata un bel giorno, tra le braccia, dopo averla invitata a togliersi l'abito del suo lutto recente, donna gia' caduta, quella bambina che egli si recava a vedere uscire dalla scuola. ( al padre) Eh, ricordi? Quella piccina, con le treccine sulle spalle e le mutandine piu' lunghe della gonna- piccina cosi'- me lo vedevo davanti al portone della scuola... Veniva a vedermi come crescevo... (con malizia). –

Pad.- Questo e' perfido! Infame! Io volevo sapere come conduceva la vita,- sua madre- se piu' fortunata, lontana dai tormenti del mio spirito!-

Fil.- I suoi tormenti spirituali! ( con disprezzo). ( al direttore) Signore, Ma lo vuol vedere davvero il dramma? scoppiare davvero, com'e' stato?-

Dir.- Ma si, non chiedo di meglio, per prenderne fin d'ora quanto sara' possibile.-

Fil.- Ebbene, faccia uscire quella madre - mia madre- (indica un punto in fondo al teatro) La tenga pronta per l'urlo! (BP) L'ho ancora nelle orecchie! M'ha reso folle quel grido! Stavo cosi', a braccia nude, con la testa appoggiata cosi', le braccia cosi', al suo collo, mi vedevo pulsare una vena qui, nel braccio qui, una vena e allora strizzai gli occhi e affondai la testa sul suo petto! (eseguendo, quindi guardando verso il fondo della sala) Grida, grida mamma! Grida come hai gridato allora!-

Dalle quinte si udra' un urlo inumano! Poi con tono calante, si sentira' questa battuta: " Figlia, figlia mia! Bruto... e' mia figlia... non vedi che e' mia figlia.-

Lentamente, col calare del tono, caleranno le luci e salira' la musica, mentre il sipario si chiude.

Fine.

 

                                             " DONN'ANNA LUNA”

                                      ( In morte del figlio cangiato)

                                                     Atto unico

                                                            di

                                              Antonio  Sapienza

Elab. L. Pirandello ( In morte del figlio cangiato) -anno 1994- pers.: 3 f.                   

Dal dramma i tre atti “La vita che ti diedi” di Pirandello, è stato tratto un atto unico con tre soli personaggi.

 

Personaggi:

Donn’Anna Luna;

Fiorina sua sorella;

Lucia, donna del figlio.

Giovanni ed Elisa (facoltativi)

Buio in sala. Musica adatta. Sipario che lentamente si apre. Buio in scena. Un minuto e, quindi, una luce incomincera' ad illuminare Donn'Anna Luna che si trova oltre la meta' della scena. Ella, camminando lentamente, forse con dolore, scorgera'- per terra- una corona del Rosario. Senza alcun interesse, la guardera', poi si chinera' e la raccogliera'; per posarla, dopo, sul tavolinetto.

Anna.- ... una corona. Pregare - inginocchiare il proprio dolore... Per me e' piu' difficile.

In piedi.

SeguirLo qua, attimo per attimo.

A un certo punto, quasi manca il respiro; ci si accascia e si prega: -" Ah, mio Dio, non resisto piu'; fammi piegare i ginocchi!"-

Non vuole.

Ci vuole in piedi; vivi, attimo per attimo: qua, qua: senza mai riposo.-

Fior.- ( entrando nel cono di luce, da sinistra) Ma la vera vita e' di la', Anna mia.-

Anna.- Io so che Dio non puo' morire in ogni sua creatura che muore. Tu non puoi neanche dire che la mia creatura e' morta. Tu mi dici che Dio se l'e' presa con se.-

Fior.- Ecco, si! Appunto!-

Anna.- ( con strazio) Ma io sono qua! Ancora qua, Fiorina!-

Fior.- (confortandola) Si, povera sorella mia.-

Anna.- E non senti che Dio per noi non e' di la', finche' vuol durare qua, in me, in noi; non per noi soltanto ma anche perche' seguitino a vivere quelli che se ne sono andati?-

Fior.- A vivere nel nostro ricordo.-

Anna.- (ferita dalla parola "ricordo"? Non posso piu' parlare, ne' sentire parlare.-

Fior.- Perche', Anna?-

Anna.- Le parole - come le sento profferire dagli altri sono come una morte per me.(bp) Se non ho mai, mai vissuto d'altro? Se non ho altra vita che questa- l'unica che possa toccare; precisa, presente.

Tu mi dici " ricordo", e subito me l'allontana, me la fa mancare.-

Fior.- Come dovrei dire allora?-

Anna.- Che Dio vuole che mi viva ancora mio figlio!- Cosi'.- Non certo piu' di quella vita che Egli volle dare a lui qua; ma di quella che gli ho dato io, si, sempre! Questa non gli puo' finire finche' la vita duri in me.- O che non e' vero che cosi' si puo' vivere eterni anche qua, quando con le opere ce ne rendiamo degni?- Eterno; mio figlio, no; ma qua con me, di questo giorno che gli e' rimasto a mezzo, e di domani, finche' vivo io, mio figlio deve vivere, deve vivere, con tutte le cose della vita, qua; con tutta la mia vita, che e' sua, e non gliela puo' levare nessuno!-

Fior,- ... e Dio?-

Anna.- No. Dio? Dio non leva la vita!-

Fior.- Ma io dico quella che fu la sua qua.-

Anna.- Perche' tu sai che c'e' di la' un povero corpo che non vede e non ti sente piu'! E allora, basta, e' vero? E' Finito.- Si, vestirlo d'uno dei suoi abiti migliori; si, recitare le preghiere, accendere i ceri... E fate! si, fate! ma presto!- Io voglio quella sua stanza la' come era; che stia la' viva, viva della vita che io le do, ad attendere il suo ritorno, con tutte le cose com'egli me l'affido' prima che partisse.

Ma lo sai, Fiorina, che mio figlio, quello che mi parti', non mi e' piu' ritornato?- Attenta sorella, anche i tuoi figli che sono partiti l'anno scorso per la citta', credi che ritorneranno com'erano prima?

Non piangere, no. Piansi tanto anch'io - allora si – per quella partenza! Senza sapere! Come te che piangi e non ne sai, non ne sai ancora la ragione!-

Fior.- No, no; io piango per te, Anna!-

Anna.- E non intendi che si dovrebbe piangere sempre, allora? -Oh Fiorina, ( prende la testa della sorella, amorosamente, tra le mani) tu, questa? con questa fronte? con questi occhi? Ma ci pensi? Come ti sei ridotta cosi' da quella che eri? Ti vedo viva com'eri, un fiore veramente; e non vuoi che mi sembri un sogno vederti ora cosi'? E a te, di' la verita', se ci pensi, la tua immagine d'allora...-

Fior.- ... eh, si, sembra un sogno, Anna.-

Anna.- Ecco vedi cos'e' Tutto cosi'. Un sogno. Il corpo, se cosi' sotto le mie mani ti cangia ti cangia - le tue immagini - questa, quella - che sono? Memorie di sogni.-

Fior.- Memorie di sogni, si.-

Anna.- E allora basta che sia viva la memoria, io dico, e il sogno e' vita, ecco! Mio figlio com'io lo vedo: vivo! vivo! - Non quello che e' di la'- Cerca di intendermi!-

Fior.- Dio volesse che fosse un sogno!-

Anna.- (assorta) Sette anni ci vogliono - lo so - sette anni di stare a pensare al figlio che non ritorna, e aver sofferto quello che ho sofferto io.- per intenderla questa verita' che  oltrepassa ogni dolore e si fa qua, qua come una luce che non si puo' piu' spegnere.

Tu credi che mio figlio mi sia morto ora, e' vero? Non mi e' morto ora. Io piansi invece, di nascosto, tutte le mie lacrime quando me lo vidi ritornare un altro che non aveva piu' nulla di mio figlio.-

Fior.- Ah, ecco-si cambiato- certo! Ma si sa che la vita ci cambia, e...-

Anna.- ... e ci pare che possiamo confortarci dicendo cosi': "cambiato". E cambiato, non vuol dire un altro da quello che era? Io non potei riconoscere piu' mio figlio che m'era partito.

Lo spiavo, se almeno un volgere d'occhi, un cenno di sorriso a fior di labbro, che so... un subito schiarirsi della fronte, mi avesse richiamato vivo, almeno per un momento, in questo che m'era ritornato, il mio figlio d'allora. No, no. Altri occhi, freddi. Una fronte sempre opaca, stretta qua alle tempie. E quasi calvo, quasi calvo. Ecco com'e' la'.

Ma devi ammettermi che io lo so, mio figlio com'era. Una madre guarda il figlio e lo sa com'e': Dio mio, l'ha fatto lei! - ebbene, la vita puo' agire cosi' crudelmente verso una madre: le strappa il figlio e glielo cambia.-  un altro; e io non lo sapevo. Morto; e io seguitavo a farlo vivere in me.-

Fior.-Ma per te, dunque; per come era per te! Non morto per se, se egli fino a poco fa viveva...-

Anna.- ... la sua vita, si; ah, la sua vita si, e quella che egli dava a moi, a me! Ben poco ormai, quasi piu' niente a me. Era tutto la', sempre! (indichera' un punto lontano) Ma capisci che cosa orribile m'e' toccato patire? Mio figlio- quello che e' per me, nella memoria, vivo - era rimasto la', presso quella donna; e qua, per me, era tornato questo che certo non sentiva piu' come prima.- E che posso saperne io, della sua vita, com'era adesso per lui?  Ecco, vedi? e' cosi': quello che ci manca ora, e' solo la vita com'egli la dava a se' e a noi. Questa si. Ma allora, Dio mio, si dovrebbe anche intendere che la vera ragione per cui si piange anche davanti alla morte, e' un'altra da quella che si crede.-

Fior.- Si piange quello che ci viene a mancare.-

Anna.- Ecco! La nostra vita in chi muore: quello che non sappiamo!-

Fior.- Ma no...-

Anna.- ... si, si: per noi piangiamo; perche' chi muore non puo' piu' dare - lui, lui - nessuna vita a noi, con quei occhi spenti, con quelle mani fredde e dure. E che vuoi ch'io pianga, allora, se e' per me!

Quando era lontano, io dicevo:-" Se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui.". E questo mi sosteneva, mi confortava nella mia solitudine.

Come debbo dire ora? Debbo dire che io, io, non sono piu' viva per lui, poiche' egli non mi puo' piu' pensare! E tu invece vuoi dire che egli non e' piu' vivo per me. Ma si che egli e' vivo, vivo in tutta la vita che io gli ho data: la mia, la mia, non la sua che io non so! Se l'era vissuta lui, la sua, lontano da me, senza che io ne sapessi nulla.

E come per sette anni glielo data senza che lui ci fosse piu', non posso forse seguitare a dargliela ancora, allo stesso modo? Che e' morto di lui, che non fosse gia' morto per me?

Mi sono accorta bene che la vita non dipende da una corpo che  ci sia o non ci sia davanti agli occhi. Puo' esserci un corpo, starci davanti agli occhi, ed essere morto per la vita che noi gli davamo.

Quei suoi occhi che si dilatavano, di tanto in tanto, come un brio di luce improvviso che glieli faceva ridere limpidi e felici, egli li aveva perduti nella sua vita; ma in me no; li ha sempre quegli occhi, e gli ridono subito, limpidi felici, se io lo chiamo, e si volta, vivo!

Vuol dire che io ora non debbo piu' permettere che s'allontani da me, dov'ha la sua vita; e che altra vita si frapponga tra lui e me: questo si! Avra' la mia qua, nei miei occhi che lo vedono, sulle mie labbra che gli parlano; e posso anche fargliela vivere la', dove lui vuole: non importa! senza darne piu' niente a me, se non me ne vuol dare: tutta tutta per lui la', la mia vita; se la vivra' lui, e io staro' qua ancora ad aspettare il ritorno, se mai riuscira' a distaccarsi da quella disperata passione... quella che tu sai.-

Fior.- Si, me ne parlo'.-

Anna.- ( come se parlasse per bocca sua, il figlio)... Che l'amore di lui non le manco' mai, fino all'ultimo momento... Che non le manchera' mai questo amore!-

Fior.- Come?-

Anna.- ( con naturalezza) Se ella sapra' tenerselo vivo nel cuore, aspettandone qua il ritorno, com'io lo aspetto di la'. Se ella lo ama, m'intendera'. E il loro amore, per fortuna, era tale che non aveva bisogno per vivere della presenza del corpo.

Si sono amati cosi'. Possono, possono seguitare ad amarsi ancora.-

Fior.- Ma che dici, Anna?-

Anna.- Che possono! Nel cuore di lei. Se ella sapra' dargli ancora vita col suo amore, come certo in questo momento gliela da', se lo pensa qua vivo com’io lo penso vivo la'.-

Fior.- Ma credi che si possa, cosi', passar sopra la morte?-

Ann.- No, e' vero? " Cosi'" non si deve! La vita, si, ha messo sempre sui morti una pietra, per passarci sopra. Ma dev'essere la nostra vita, non quella di chi muore. I morti li vogliamo proprio morti, per poterla vivere in pace la nostra vita. E' cosi' va bene passar sopra la morte!-

Fior.- Ma no. Altro e' dimenticare i morti, altro pensarli vivi, aspettandone il ritorno, che non puo' piu' avvenire!-

Anna.- E allora pensarlo morto, e' vero? com'e' la'...-

Fior.- ... purtroppo...-

Anna.- ... ed esser certi che non puo' ritornare! Piangere molto, molto; e poi quietarsi a poco a poco...-

Fior.- ... consolarsi in qualche modo...-

Anna.- ... e poi, come da lontano, ogni tanto, ricordarsi di lui:- " Era cosi'"- " Diceva questo" - Va bene?-

Fior.- Come tutti hanno sempre fatto, Anna mia!-

Anna.- Insomma, ecco, farlo morire, farlo morire anche per noi; non cosi' d'un tratto com'e' morto lui la', ma a poco a poco; dimenticandolo; negandogli quella vita che prima gli davamo, perche' egli non puo' piu' darne nessuna a noi. Si fa cosi'? - tanto e tanto. Piu' niente tu a me; piu' niente io a te.- O al piu', considerando che se non me ne dai e' perche' proprio non ne puoi piu' dare, non avendone piu'

neanche un poco, neanche una briciola per te; ecco, di quella che potra' avanzarne a me, di tanto in tanto, io te ne daro' ancora un pochino, ricordandoti- cosi' da lontano- Ah, da lontano lontano, badiamo! per modo che non ti possa piu' avvenire di ritornare. Dio sa, altrimenti, che spavento!-

Questa e' la perfetta morte. E la vita, quale anche una madre, se vuol essere saggia, deve seguitare a viverla, quando il figlio sia morto. (pausa, poi quasi con sofferenza) Per favore, chiama Elisabetta e Giovanni, il giardiniere, che si faccia cio' che dev'essere fatto, di la', nella sua stanza. Ma fate presto, presto! dopo, come dissi, la rivoglio com'era, com'era prima! (Si ferma, immobile, statuaria)-

Fior.- ( Uscendo prima dal cono di luce, come per dare disposizioni, per rientrarvi subito dopo con una busta in mani) Anna c'e' una lettera per lui...(indica la stanza)-

Anna.- Che sia la lettera che aspettava da lei. Dammela, la voglio leggere!-

Fior.- (porgendola timidamente) Ma non sarebbe meglio se...-

Anna.- ... se non la leggessi? (lacera la busta) Ma non saro' io a leggerla, sara' lui. (legge)-

Fior.- Ti prego, Anna, non continuare questa follia...-

Anna.- Follia? (leggendo la lettera) No, non e' follia questa: sta arrivando! Ha abbandonato marito e figli e sta arrivando da lui, qui, capisci?-

Fior.- E lui non c'e' piu'!-

Anna.- No! E' qua! e' qua! (poi stringendosi la lettera al petto) Viene, viene.-

Fior.- Bisogna impedirglielo, subito!-

Anna.- (seguitando a leggere) ...Non resiste piu'! Finche' lo aveva la', con lei...Si, tanto, tanto amore...( Ma anche lui, anche lui, qua, si, sempre per te.) Lo vede! lo vede! – Ah Dio - ma ne e' disperata, disperata. No! Non e' possibile, non e' possibile farle sapere in questo momento ch'egli non le puo' dare il conforto del suo amore, della sua vita!-

Fior.- Ma pure, per forza, Anna, bisognera'...-

Anna.- Na che! Se sentissi com'egli e' vivo, vivo, qua, in questa disperazione di lei! Come gli parla, come gli grida il suo amore! Minaccia d'uccidersi!- Guai se non fosse cosi' vivo per lei, in questo momento.-

Fior.- Non lo fare Anna, ti prego, non lo fare...-

Calano le luci. Musica adatta. Quando riprendono ci sara' proiettato su un fondale di collina toscana, una luce di luna piena. Due voci tra le quinte, si udranno chiaramente. Sono le voci di Giovanni e Elisabetta.

Elis.- Chi e' la'?- (pausa) Oh, Giovanni? - sei tu?- (pausa) Giovanni?-

Giov.- La vedi?-

Elis.- No, che cosa?-

Giov.- La', ancora tra gli olivi della collina.-

Elis.- Ah, si - la vedo. E tu stai li' a guardare la luna?-

Giov.- Voglio vedere se e' vero quello che mi disse.-

Elis.- Chi?-

Giov.- Chi! Chi ora non la vede piu'.-

Elis.- Ah, lui?-

Giov.- Da costa'; ove sei tu.-

Elis.- Non mi far paura: ne ho tanta!-

Giov.- La sera dopo che arrivo'.-

Elis.- Ti disse della luna? E che ti disse?-

Giov.- Che piu' va su', e piu' si perde.-

Elis.- La luna?-

Giov.- Tu la guardi in terra - mi disse - e ne vedi il lume la' sulla collina, qua sulle piante; ma se alzi il capo e guardi lei, piu' alta e', e piu' la vedi come lontana dalla nostra notte.-

Elis.- Lontana? Perche'-

Giov.- Perche' notte e' qua per noi, ma la luna non la vede, perduta lassu' nella sua luce, intendi? - A che pensava, eh? guardando la luna. (pausa) Sento i sonagli della vettura, arriva la signora forestiera...-

Elis.- Corri, corri ad aprire il cancello, io avverto Donn'anna.-

Cala il chiaro di luna. Buio. Musica adatta. Poi luce su Donn'Anna che introduce Lucia.

Anna.- ... quelle sono le sue stanze. E se entri la', ne avrai la prova: li vedrai da per tutto, con gli ultimi fiori lasciati ieri, vicino ai tuoi ritratti.-

Lucia- (amabile, ironicamente) I fiori... e poi se n'e' fuggito?-

Anna.- Torni a rimproverarlo? Se sapessi a che costo non e' qua...-

Lucia- Vengo, e non si fa trovare. Lei dice che l'ha fatto per me?-

Anna.- ... contro il suo cuore...-

Lucia- ... per prudenza? - e non le sembra che sia ben piu' che un rimprovero,- un'offesa per me- tanta prudenza- un insulto-...-

Anna.- No, no...-

Lucia- ...oh Dio, cosi' crudo, che si puo' pensare abbia voluto usarla per se' - non per me - la prudenza.-

Anna.- No, per te! per te!-

Lucia- Ma io non sono morta! Io sono qua!-

Anna.- Morta? Che dici?-

Lucia- Eh, si, mi scusi; se al mio arrivo se n'e' fuggito e ha lasciato i fiori la', davanti ai miei ritratti, che vuol dire? che vuol essere come per una morta il suo amore? E io che ho lasciato la' tutta l'altra vita, per correre qua da lui! Oh! oh! e' orribile, orribile quello che ha fatto!-

Anna.- (quasi tra se) Non l'avrebbe fatto... E' certo che non l'avrebbe fatto...-

Lucia- (di scatto) C'e' dunque una ragione per cui l'ha fatto?-

Anna.- Si.-

Lucia- Che ragione? Mi dica!-

Anna.- (sistemando distrattamente i fiori sul tavolino) Mi permetti di chiamarti Lucia?-

Lucia- Mi chiami Lucia, si, certo...-

Anna.- E di dirti che egli non intese offenderti se, dovendo partire...-

Lucia-... ma mi dica perche'? la ragione?-

Anna.- Ecco: te la diro' - ma prima questo: che non intese offenderti, affidandoti a me...-

Lucia- ...no! ah, mi comprenda!- io... -io so che...-

Anna.- ... che lui mi confido' sempre tutto - come vi siete amati...-

Lucia- (fosca) Tutto?-

Anna.- Poteva confidarmelo perche'...-

Lucia-( come rabbrividendo si nascondra' il viso e neghera' con la testa)-

Anna.- (guardandola allibita) No?-

Lucia- ( col capo) No - no...-

Anna.- Come? Allora...-

Lucia- Mi perdoni! Sia madre anche per me!- Io sono qua per questo!-

Anna.- Ma allora, egli...-

Lucia- ... parti' di la' per questo!-

Anna.- Ma lo forzasti tu a partire?-

Lucia- Io, si! Dopo! dopo! - All'ultimo, a tradimento, quest'amore, durato puro tant'anni, ci vinse!-

Anna.- Ah, per questo...-

Lucia- Sconvolta lo spinsi a partire.- Non avrei potuto piu' guardare i miei bambini.- Ma fu inutile, inutile.- Non potei piu' guardarli. Mi son sentita morire. (la guarda in faccia) Comprende perche'! - Ne ho un altro! ( si volta).-

Anna.- Suo?-

Lucia- Sono qua per questo.-

Anna.- Suo? Suo?-

Lucia- Egli ancora non lo sa! Bisogna che sappia! - Mi dica dov'e'!-

Anna.- Oh figlia mia! figlia mia! - Egli vive allora in te veramente? - Partendo, lascio' in te una vita - sua?-

Lucia- Si, si - bisogna che io sappia subito! Dov'e'? Me lo dica! Dov'e'?-

Anna.- E come faccio ora a dirtelo? Oh Dio! Come faccio ora a dirtelo?-

Lucia- Perche'? non lo sa?-

Anna.- Partito...-

Lucia- ... Non le disse dove andava?-

Anna.- Non me lo disse.-

Lucia- Ha sospettato - lo vedo - che solo per...(con sdegno) Ma non aveva ragione di sospettare questo da me!- Sono stata anch'io, si; come e' stato lui; ma io lo spinsi a partire, e non sarei venuta, ora, per questo! - E' che non posso piu' ora, staccarmi da lui e tornare la', come sono, non posso!-

Anna.- Si, si e' giusto!-

Lucia- Come gli si puo' far sapere...-

Anna.- Aspetta, aspetta; gli si fara' sapere, si...-

Lucia- ... e come? dove, se lei non sa dov'e'?- Lo so, avrei dovuto scriverglielo... la nostra follia... Capisco, capisco e' fuggito per farmi trovare lei - la ragione che avevo perduta - Ma, tornera'?-

Anna.- Si, si certo - calmati - siedi qua, accanto a me – e lasciati chiamare figlia...(si siedono)-

Lucia- ... si, si...-

Anna.- ... Lucia...-

Lucia- ... Si...-

Anna.- figlia mia!-

Lucia- ... si mamma, mamma!- Ora sento che e' meglio che io abbia trovato lei qua, prima, e non lui...-

Anna.- ... figlia mia bella - bella - questi occhi – questa fronte - questo odore dei tuoi capelli - comprendo, comprendo! Ah, egli doveva - ma fin da prima, fin da prima - doveva farti sua!-

Lucia- ... senza il male che abbiamo fatto!-

Anna.- Ora non ci pensare. Quelli che non ne hanno fatto, figlia, chi sa di quanto male sono stati cagione agli altri, a quelli che lo fanno, e che forse saranno i soli ad averne poi bene. Tu piu' di me.-

Lucia- Ho tagliato in due la mia vita -io -...-

Anna.- ... ne hai una in te...-

Lucia- ... ma quegli altri la'? Sono fuggita per quell'amore diventato tutto d'un tratto cio' che non doveva mai diventare!-

Anna.- La vita!-

Lucia- La vita? Che vuole che me ne venga adesso. Questo suo tradimento di non farsi trovare - ho bisogno di lui!- Dov'e'? Dove sara'?-

Anna.- Non lo so, figlia - Ma bisogna che tu te la dia ora, un po' di pace.-

Lucia- Non posso!-

Anna.- Tremi tutta - sarai cosi' stanca - Il lungo viaggio..-

Lucia- Ho tanta ansia, tanta...-

Anna.- Bisogna che tu vada a riposare. Vedremo domani come si deve fare.-

Lucia- Impazziro' stanotte!-

Anna.- No - guarda - t'insegno io a non impazzire - come si fa quando uno e' lontano - come feci io tanto tempo fa, finche' egli fu la', con te: Me lo sentii vicino, perche' io col cuore me lo facevo vicino. - altro che vicino – io l'avevo nel cuore! Fai cosi', e questa notte passera'!-

Lucia- Dorme di la'?-

Anna.- Si. E questa e' la sua panca, dove fino a ieri mi ha parlato di te.-

Lucia- E poi se n'e' partito...-

Anna.- ... ma non sapeva...-

Lucia- ... ma ora?-

Anna.- Ah ora - certo - cambia tutto.-

Lucia- E ritornera'?-

Anna.- ... e ritornera', stai tranquilla - ritornera'. Ma ora vieni, vieni su, con me. Ti ho preparato la tua stanza.-

Lucia- Voglio vedere la sua.-

Anna.- La sua? Si, si vieni - entra.-

Lucia- E non mi vorrebbe lasciare qua?-

Anna.- Vuoi - qua da lui?-

Lucia- Ora posso.- E’ pure con me.-

Anna.- Vedi, vedi che tu gia' lo senti? Si, se tu vuoi, dormi qua, figlia mia.-

Lucia- Forse e' meglio: " piu' vicino"!-

Anna.- ... nel tuo cuore, si! nel tuo cuore!-

Lucia- (notando il chiarore lunare)... si, nel cuore, con questa bella luna... buona notte.-

La scana si fa buia. Musica adatta. Pochi secondi e la luce riprende con chiarore di luce mattutina. In scena vi sono, al centro del palco, Donn'Anna e Fiorina.

Fior.- Deve sapere! Ella deve sapere!-

Anna.- Non ancora Fiorina, non ancora.-

Fior.- Sono sgomenta! Come puoi negarle la verita'?-

Anna.- La sapra' - quando sara' il momento- ella sapra'!-

Fior.- Anna, sorella mia, devi dirglielo subito. Lucia deve sapere! Subito!-

Lucia- ( che alle prime battute era entrata in scena silenziosa) Che cosa debbo sapere?-

Fior.- Povera figlia, povera figlia...-

Lucia- (tremando) Cosa dicevate? Cos'e' che debbo sapere?-

Anna.- Nulla... nulla... stai calma.-

Lucia- Non e' vero! Cosa debbo sapere? (gridando) Ditemelo!-

Fior.- Figliola cara, coraggio! ( tenta d'abbracciarla)-

Lucia- (sottrendosi e volgendosi a Donn'Anna) E' morto? E' morto? - No! Morto? - E come? lei - No! Non e' possibile! Oh Dio, il sogno che ho fatto! Morto? Ditemelo! Ditemelo!-

Fior.- Son gia' tanti giorni...-

Lucia- Tanti? ( a Donn'Anna) che e' morto? - e lei - come? - perche' non me l'ha detto? Com'e' morto? come? Ah, Dio, la' dove ho dormito? E mi ha fatto dormire la'? - ( Donn'Anna e' statuaria) L'ho voluto io; ma lei...- come? - " i fiori" - " e' partito" - "queste sono le sue stanze" - " non so dov'e'"-

E io l'ho sognato, che non poteva ritornare, tanto lontano se n'e' andato; - lo vedevo, cosi' lontano, con un viso da morto - il suo viso! il suo viso! - Ah Dio- (pianto) Per non farsi trovare - eh si, soltanto questo doveva essere accaduto, che fosse morto! E io non l'ho compreso, perche' lei - lei - ma

come ha fatto? com'ha potuto fare? - per me? ed egli era morto anche a lei- e' incredibile! me n'ha parlato come se fosse vivo!-

Anna.- (fissando lontano) Lo vedo...-

Lucia- ... che e' morto? - e non le e' morto qua sotto gli occhi?-

Anna.- ... no: ora...-

Lucia- ... come, ora?...-

Anna.- ... ora lo vedo morire.-

Lucia- Come? Che dice? ( Donn'Anna si coprira' il volto con le mani e Lucia gridera') Io lo sapevo, lo sapevo che sarebbe morto! Non avevo voluto crederci! Me lo disse lui stesso, quando parti', che sarebbe venuto qua a morire!-

Anna.- E io non lo vidi.-

Lucia- Lo vidi io! Moriva, moriva, da anni; gli s'erano spenti gli occhi: era gia' come morto quando parti'! Cosi' pallido lo vidi, cosi' pallido, cosi' misero lo vidi, che compresi subito che sarebbe morto!-

Anna.- Misero, si - gli occhi spenti, si - e diventato cosi' - cangiato, cangiato cosi' - ora lo vedo -per te, si, figlia! ( attirandola a se' con un brivido ) Oh figlia-! - qua la sua carne - ora si - me lo vedo morire- ne sento il freddo ora qua, qua al caldo di queste tue lacrime! - Tu me lo fai vedere, come si era ridotto ora! Non lo vedevo! Non avevo potuto piangerlo, perche' non lo vedevo! - Ora lo vedo! ora lo vedo!-

Lucia- Ma che dice?-

Anna.- Figlio mio! - le tue carni! - te ne sei andato cosi' -  misero, misero! E io... io t'imbalsamavo - vivo! – vivo t'imbalsamavo - come non eri piu', come non potevi piu' essere - con quei capelli e quegli occhi che avevi perduti, che non ti potevano oiu' ridere! E perche' non ti potevano piu' ridere, non te li ho conosciuti—! - E come, allora? Fuori della tua vita ti volevo far vivere? fuori dalla vita che ti aveva consumato - povera, povera carne mia che non ho vista piu'! che non vedro' piu' - Dove sei? ( si volgera' a cercare) Dove sei?-

Lucia- Qua mamma!-

Anna.- Tu? - ah, si! (l'abbraccia freneticamente) - Non te lo portar via! Non te ne andare! non te ne andare!-

Lucia- No, non andro'. Non me ne andro', mamma, mamma!-

Fior.- ( entrando nel cono di luce) Tu andrai via subito!-

Anna.- ( dividendo Lucia da un ipotetico pericolo) No! E' mia! e' mia!-

Fior.- Tu sei pazza! - Vuoi che lasci per te i suoi bambini? ( a Lucia) Tu hai i tuoi bambini! Li vuoi abbandonare, per restare, qua, con nessuno?-

Anna.- Ma ne avra' un altro qua, che non potra' dare la', a chi non appartiene!-

Fior.- Anna, ma ti fai coscienza di quello che dici?-

Lucia- E lei di quello che farei io, si fa coscienza?-

Anna.- (abbattendosi) No, no. Mia sorella ha ragione, figlia! Ha capito che io lo dico per me - per me - non per quello! -  Divento misera, misera anch'io!- Ma e' perche' muoio anch'io, ora vedi? - Si, appena ti nascera' questo che ti porti via lontano; appena darai tu, di nuovo, la vita - la' - fuori di te - Vedi? vedi? Sarai tu la madre allora; non piu' io! Non tornera' piu' nessuno a me qua! E' finita!

Lo riavrai tu, la', mio figlio - piccolo com'era - sara' tuo; non piu' mio! Tu, tu la madre, non piu' io! E io ora, muoio, muoio veramente qua. (spegnendosi sempre piu') Ma si, ma si...- Basta, basta.

Se e' per me, no! no! non voglio piangere! Basta! (accarezzando Lucia) Vai, vai, figlia - vai nella tua vita -  a consumare anche te - povera carne macerata anche tu – La morte e' ben questa.- E ormai basta. - Non ci pensiamo piu'-

Lucia- No, io non partiro'!-

Fior.- Tu partirai! Te lo dice lei stessa.-

Anna.- Qua non c'e' piu' nulla per te.-

Fior.- E i tuoi bambini ti aspettano!-

Lucia- Ma la', io non torno! non torno! Non e' piu' possibile per me! - Non posso! Non posso e non voglio! Come vuole che faccia piu', ormai?-

Anna.- E io qua? - E' ben questa la morte, figlia,. Cose da fare, si voglia o non si voglia - e cose da dire...- Ora un orario da consultare - poi, la vettura per la stazione - viaggiare ...- Siamo i poveri morti affaccendati - Martoriarsi - consolarsi - quietarsi . E' ben questa la morte!-

Calano le luci lentamente. Musica che riprende sempre piu' forte. Poco dopo, sipario.

                                           ANTONIO  SAPIENZA

                                  " ONESTO IO, ONESTI TUTTI!"

                                                  Atto unico

                                                         Di

                                          Antonio  Sapienza

Liberamente tratto dalla commedia in tre atti di Luigi Pirandello  " Il piacere dell'onesta'", con tre soli personaggi

Personaggi:

Angelo Baldovino;

Fabio Colli;

Agata

Buio in sala, sipario che lentamente si apre. In scena si trova Fabio Colli. E' nervoso e passeggia a lunghi passi. Musica adatta. Una voce fuori campo annunziera' l'entrata di Angelo Baldovino, modestamente vestito.

Voce- C'e' il signor Baldovino...-

Fab.- (ansioso va incontro a Baldovino che entra da sinistra) Prego, s'accomodi. (gli da la mano e lo fa accomodare nel divano)-

Bal.- Le chiedo prima di tutto una grazia.-

Fab.- Dica, dica...-

Bal.- Signor marchese, che mi si parli aperto.-

Bal.- Ah, si...si Anzi non chiedo di meglio.-

Bal.- Grazie. Lei forse pero' non intende questa espressione "aperto", come la intendo io.-

Fab.- Ma... non so.. aperto...con tutta franchezza...(Baldovino fa cenno di non col dito)... E come allora?-

Bal.- Non basta. Ecco, veda, inevitabilmente, noi ci Costruiamo - cioe' io mi presento in una forma adatta alla relazione che debbo contrarre con lei- e lo stesso fa lei di se, che mi riceve.

Ma, in fondo, dentro queste costruzioni nostre, messe cosi' di fronte, restano poi ben nascosti i pensieri nostri piu' segreti, i nostri piu' intimi sentimenti, tutto cio' che siamo per noi stessi, fuori dalle relazioni che vogliamo stabilire. Mi sono spiegato?-

Fab.- Si, si, benissimo. Mio cugino mo ha detto che lei e' molto intelligente.-

Bal.- Ecco, lei forse crede, adesso, che io abbia voluto darle un saggio della mia intelligenza.-

Fab.- No, no... dicevo, perche'... approvo, approvo cio' che lei ha saputo dire cosi' bene...-

Bal.- Comincio io allora, se permette, a parlare aperto:

Provo da un pezzo, signor marchese- dentro- un disgusto indicibile delle abiette costruzioni di me, che debbo mandare avanti nelle relazioni che mi vedo costretto a contrarre coi miei... diciamo simili, se lei non s'offende.-

Fab.- No, prego...dica, dica pure...-

Bal.- Io mi vedo, mi vedo di continuo, signor marchese; e dico:  Ma quanto e' vile, ma com'e' indegno questo che tu ora stai facendo!-

Fab.- (imbarazzato) Oh Dio... ma no... perche'?-

Bal.- Perche' mi, scusi. Lei, tutt'al piu', potrebbe domandarmi perche' allora lo faccio? Ma perche'... molto per colpa mia, molto anche per colpa d'altri, e ora per necessita' di cose, non posso fare altrimenti.

Volerci in un modo o in un altro, e' presto fatto: tutto sta, poi, se possiamo essere quali ci vogliamo.-

Fab.- Ah certo... certo...- Vogliamo dunque venire a noi?-

Bal.- Ci siamo. (BP) Le ho detto questo per farle intendere che, avendo il sentimento di quel che faccio, ho anche una certa dignita' che mi preme di salvare. Non c'e' altro mezzo di salvarla, che parlando apertamente. Fingere, sarebbe orribile, oltre che laido, volgarissimo. La verita'!-

Fab.- Ecco, si... chiaramente... Vedremo d'intenderci...-

Bal.- E, allora, se permette, domandero'.-

Fab.- Come dice?-

Bal.- Le faro' qualche domanda, se permette.-

Fab.- Ah, si, domandi pure.-

Bal.- Ecco.(BP) Lei, signor marchese, e' l'amante della signorina...-

Fab.- (troncando) Ma no! scusi.. cosi'...-

Bal.- Vede? Lei recalcitra fin dalla prima domanda!-

Fab.- Ma certo! Perche'...-

Bal.- (subito, severo) Non e' vero? dice che non e' vero? E allora...(si alza) mi scusi, signor marchere. Le ho detto che ho la mia dignita'. Non potrei prestarmi a una trista e umile commedia.-

Fab.- Ma come! io credo che, anzi, cosi' come vuol fare lei...-

Bal.- S'inganna! La mia dignita' - quella che puo' essere- posso salvarla solamente a patto che lei parli con me come con la sua stessa coscienza. O cosi', o non ne facciamo niente. - Non mi presto a finzioni indecorose- la verita'. Mi vuol rispondere?-

Fab.- Ebbene... si...-

Bal.- Ora, mi scusi, ma debbo toccare un altro tasto delicato.-

Fab.- Mia moglie?-

Bal.- Ne e' separato? Per torti ricevuti? E ha trovato qua una consolazione. Ma la vita - trista usuraia - sa fa pagare quell'uno di bene che concede, con cento di noie e di dispiaceri.-

Fab.- Purtroppo!-

Bal.- Eh, l'avrei a sapere!  Bisogna che ella sconti la sua consolazione! Ha davanti l'ombra minacciosa d'un protesto senza dilazione. Vengo io a mettere una firma d'avallo, e ad assumersi di pagare la sua cambiale. Non puo' credere quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la societa' che nega ogni credito alla mia firma. Imporre questa mia firma; dire: - Ecco qua: uno ha preso alla vita quel che non doveva e ora pago io per lui, perche' se io non pagassi, qua un'onesta' fallirebbe, qua  l'onore d'una famiglia farebbe bancarotta; signor marchese, e' per me una bella soddisfazione: una rivincita! (BP)...Essere disonesto. Che vuol che mi costi l'onesta'?- Lei m'invita... si dico, doppiamente a nozze. Sposero' per finta una donna; ma sul serio sposo l'onesta'.-

Fab.- Ecco, si - e basta! Mi basta questo!-

Bal.- Permette?  La mia onesta', signor marchese, dev'essere o non dev'essere?-

Fab.- Ma si che dev'essere! E' l'unica condizione che le pongo!-

Bal.- Benissimo. Nei miei sentimenti, nella mia volonta', in tutti i miei atti.- c'e'. - Me la sento- la voglio. La dimostrero'- ebbene?-

Fab.- Che ebbene? Le ho detto che mi basta questo!-

Bal.- Ma le conseguenze, scusi! - Guardi: l'onesta', cosi' come lei la vuole da me - che cos'e'? - Ci pensi un po'- niente. Un'astrazione. Una pura forma. Diciamo: l'assoluto. Ora scusi, se io devo essere cosi' onesto, bisognera' pure che io la viva- per cosi' dire - quest'astrazione; che dia corpo a questa pura forma; che io senta quest'onesta' astratta e assoluta,. E quali saranno allora le conseguenze? Ma prima di tutte, questa, guardi: che io dovro' essere un tiranno.-

Fab.- Un tiranno?-

Bal.- Per forza!- senza volerlo! Per cio' che riguarda la pura forma, intendiamoci! (il resto non m'appartiene). Ma per la pura forma, onesto come lei mi vuole e come io mi voglio, di necessita' dovro' essere un tiranno, gliel'avverto. Vorro' rispettare fino allo scrupolo tutte le apparenze, il che di necessita' importera' gravissimi sacrifici a lei e alla signorina; un'angustiosissima limitazione di liberta', il rispetto a tutte le forme astratte della vita sociale. E... parliamoci chiaro, signor marchese, anche per farle vedere che sono animato del piu' fermo proposito - sa che verra' fuori, subito, da tutto questo?

che trattando con me, - non si faccia illusioni – onesto com'io saro' - la cattiva azione la commetteranno loro, non io! - io, in tutta questa combinazione non bella, non vedo che una cosa sola: la possibilita' che loro mi fanno - e che io accetto - d'essere onesto. (BP) Ho parlato tanto – ho parlato tanto perche' vorrei che lei si facesse capace di tutto, bene.-

Fab.- Io?-

Bal.- Lei, lei. Per me, gia' ci sono. E' facilissimo – che debbo fare io?- Nulla.- Rappresento la forma. L'azione – e non bella - la commette lei: l'ha gia' commessa, e io gliela riparo; seguitera' a commetterla, e io la nascondero'. Ma per nasconderla bene, nel suo stesso interesse e nell'interesse soprattutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti; e non le sara' facile, nella parte che si vuol riserbare!- Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma - la forma che io rappresento: l'onesto marito d'una signora perbene. Non la vuol rispettare?-

Fab.- Ma si, certo!-

Bal.- Lei e' un gentiluomo. Necessita' di cose la costringono a non agire onestamente. Ma lei non puo' fare a meno dell'onesta'! Tanto vero che, non potendo trovarla in cio' che fa, la vuole in me. Devo rappresentarla io, la sua onosta': -esser cioe', l'onesto marito d'una donna, che non puo' essere sua moglie; l'onesto padre d'un nascituro, che non puo’ essere suo figlio! E' vero questo?-

Fab.- Si, si e' vero.-

Bal.- Ma se la donna e' sua, e non mia; se il figliolo e' suo, e non mio, non capisce che non bastera' che sia onesto soltanto io? Dovra' essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me. Per forza! Onesto io, onesti tutti- per forza!-

Fab.- Certo che... comprendera' che... se io...-

Bal.- Ma si, creda, sara' bene che lei ci rifletta ancora un poco, su quanto ho detto, e lo riferisca- se crede- anche alla signorina.

Io mi ritiro. Mi comunichera', o mi fara' comunicare all'albergo le sue decisioni. Signor Marchese...(s'inchina)

Buio. Musica adatta. Pochi secondi e riprende la scena con Baldovino che e' in veste da camera e si guarda allo specchio ( forse potrebbe sbarbarsi, intanto)

 

Bal.- Ti trovo benone sai?  buona cera.  Eh, caro consigliere delegato... Ah, perche' non hai saputo? Sono consigliere delegato della societa' anonima che il signor marchese ha fondato per mettermi le mani in pasta... E, si, sono di un rigore spaventoso... per questo fa ottimi affari.  (BP) Sfido, non rubo!

Avere tra le mani centinaia di migliaia di lire e poterle considerere come carta straccia: non sentirne piu' il bisogno, minimamente. E' un gran piacere - divino - ... non ho piu' corpo se non per l'apparenza. Sto tuffato in mezzo alle cifre, alle speculazioni; ma sono per gli altri; non c'e' - e voglio che non ci sia - un centesimo di mio! Sto qua, in questa bella casa, e quasi non vedo e non sento e non tocco nulla. Mi meraviglio io stesso talvolta d'udire il suono della mia voce - come in questo momento - il rumore dei

miei passi; d'avvertire che ho bisogno anch'io di un bicchier d'acqua o di riposarmi.-

Vivo deliziosamente (scandendolo), nell'assoluto di una pura forma astratta!

Sto sospeso nell'aria, mi sono adagiato su una nuvola: e' il piacere dei Santi negli affreschi delle chiese!

Delle chiese... E il battesimo del bambino si fara' in chiesa! Com'avevo suggerito! Senz'alcun privilegio che offenderebbe l'atto stesso che si fa compiere al bambino... altro che battesimo in casa!

E, con sorpresa, la signora ha deciso di farlo in chiesa! Ah, lo so!  Finira'!  E forse presto!  Hanno pensato: "La maritiamo pro forma; dopo qualche tempo, con un pretesto qualsiasi, ci sbarazziamo di lui." Ma la logica e' una cosa, l'animo un'altra. Ora potrei prestarmi, per far cosa grata a lui e alla signora Maddalena, la cara suocera pro-forma, a offrire un pretesto perche' si sbarazzino di me. Ma non lo sperino, perche' io...- si, potrei farlo -ma non lo faro' - per loro - non lo faro' perche' loro non possano assolutamente desiderare che io lo faccia! Perdio, sei terribile! Neghi loro anche la possibilita' del

desiderio che tu commetta una cattiva azione? Ebbene, si!-

Buio. Musica. Quando riprende la luce, in scena vi sono Fabio e Agata, stanno abbracciati. Subito entra Baldovino, veste con sobria eleganza.

Bal.- (sorpreso) Oh, chiedo scusa...(poi con finta severita') Dio mio, signori: Sono entrato io, e non e' niente; ma pensate, poteva entrare il cameriere. Chiudete almeno le porte, mi raccomando.-

Aga.- ( con sdegno) Non c'era affatto bisogno di chiudere le porte!-

Bal.- Non dico per me, signora. Lo dico al signor marchese, per lei!-

Aga.- L'ho detto io stessa al signor marchese, che ora – del resto- (guardandolo fieramente) avra' da intendersi con lei!-

Bal.- Con me? - volentieri.- E su che?-

Aga.- (sprezzante) Domandatelo voi stesso!-

Bal.- A me? (a Fabio) Che cosa?-

Aga.- (a Fabio) Parlate!-

Fab.- No, non adesso...-

Aga.- Voglio che glielo diciate adesso davanti a me!-

Fab.- Ma bisognerebbe aspettare...-

Bal.- (sarcastico) Il signor marchese ha forse bisogno di testimoni?-

Fab.- Non ho bisogno di nessuno! Voi avete intascato trecentomila lire!-

Bal.- (calmissimo, sorridente) No, piu', signor marchese! Eh, sono piu'! sono duecentosessantatremila... aspetti! (tira fuori dal portafoglio alcuni rendiconti)...cinquecentosessantatremilasettecentoventotto e sessanta centesimi! Piu' di mezzo milioncino, signor marchese. Lei fa di me una stima troppo mediocre!-

Fab.- Siano quel che siano! Non me ne importa!  Potete tenervele e andare!-

Bal.- Troppo furia... troppo furia. Lei ha ragione d'averne, a quanto sembra; ma appunto per questo badi che il caso e' molto piu' grave di quanto lei s'immagina.-

Fab.- Ma via! Smettete adesso codeste arie!-

Bal.- Che arie, no...(ad Agata) Prego la signora d'avvicinarsi e di stare a sentire. (poi quando Agata freddamente si avvicina) Se volete prendervi il piacere di darmi del ladro, potremo intenderci anche su questo: anzi, e' bene che c'intendiamo subito. Ma vi prego di considerare intanto, che non e' giusto, prima di tutto, per me. Ecco qua: da questi prospetti (mostrera' a ventaglio i cartoncini) lei vede, signor marchese-  risultano intestare come risparmi e imprevisti guadagni della vostra Societa' le cinquecento e piu' mila lire. Ma non fa niente: si può rimediare, signora! Avrei potuto mettermele in tasca con due dita, secondo loro,(indichera' Fabio, ma alludera' anche agli altri soci) se fossi cascato nella trappola che m'han fatto tendere da un certo omino storto cacciatomi tra i piedi, quel signor Marchetto Fongi che e' venuto anche stamattina... Oh ( a Fabio) non nego che non fosse tesa con una certa abilita', la trappola! ( ad Agata) Lei non s'intende di queste cose, signora: ma mi avevano combinato un certo giro di partita, per cui doveva risultare a me solo un'eccedenza di guadagno che avrei potuto intascarmi senz'altro, sicurissimo che nessuno se ne sarebbe accorto. Se non che, loro che mi avevano appunto combinato questo giro, se io ci fossi cascato e avessi intascato il denaro, m'avrebbero colto subito con le mani nel sacco. ( a Fabio) Non e' cosi'?-

Aga.- (con sdegno a Fabio) Avete fatto questo?-

Bal.- Oh no, signora! Non ce d'aversene a male!  E se lei puo' rivolgergli con tanta fierezza codesta domanda, guardi che non lui, ma io debbo sentirmi mancare - perche' vuol dire che veramente la condizione di quest'uomo s'e' fatta intollerabile. E se si e' fatta intollerabile la sua, diventa, per conseguenza, intollerabile la mia!-

Aga.- Perche', la vostra?-

Bal.- (abbassando gli occhi turbato) Ma perche'... se io divento uomo davanti a lei... io... io non potrei piu'...Ah, signora...(riprendendosi) No... via, via.. Qua bisogna venir subito a una risoluzione! (amaramente) Ho potuto pensare che mi sarei presa oggi la soddisfazione di trattare come ragazzini questi signori consiglieri, questo Fongi, e anche voi, marchese, che v'eravate fatta l'illusione di prendere al laccio, cosi', uno come me! Ma ora penso che se avete potuto ricorrere a codesto mezzo, di denunziarmi come ladro, per vincere il ritegno di lei ( indica Agata) senza neppure considerare che questa vergogna di cacciarmi di qua, di fronte a degli estranei, si sarebbe rovesciata sul bambino appena nato...- eh, penso che dev'essere ben altro il piacere, per me, dell'onesta'! (porge i cartoncino a Fabio) Ecco qua a lei, signor marchese!-

Fab.- Che volete che me ne faccia?-

Bal.- Li laceri: sono l'unica prova per me! - Il denaro e' in cassa, fino all'ultimo centesimo.  guardandolo fisso) Ma bisogna che lo rubi lei!-

Fab.- Io?-

Bal.- Lei, lei, lei.-

Fab.- Siete pazzo?-

Bal.- Vuol fare le cose a mezzo?  Le ho pur dimostrato che, volendomi onesto, doveva per forza risultare questo: che la cattiva azione l'avrebbe commessa lei! Rubi questo denaro: passero' io per ladro - e me ne andro', perche', veramente, qui non posso piu' stare.-

Fab.- Ma sono pazzie?-

Bal.- No, che pazzie! Io ragiono per lei e per tutti. Non dico mica che lei debba mandarmi in galera. Non potrebbe. Lei rubera' il denaro solamente per me.-

Fab.- (fremendo) Ma che dice?-

Bal.- Non s'offenda: e' una parola, signor marchese! Lei fara' una magnifica figura. Togliera' per un momento il denaro dalla cassa, per far vedere che l'ho rubato io. Poi subito lo rimettera', per i suoi soci che naturalmente non abbiano a soffrire danno della fiducia che mi hanno accordato per un riguardo a lei. E' chiaro. il ladro restero' io. Poi andro' via!-

Aga.- (insorgendo) No! no! questo no! (poi correggndosi lievemente) E il bambino?-

Bal.- Ma e' una necessita' signora...-

Aga.- Ah, no! Io non posso, io non voglio ammetterla! Voi non partirete!-

Fab.- Certo voi non lo farete!-

Bal.- Lo faro', lo faro', signor marchese.-

Fab.- Ma perche'? se io stesso vi prego di rimanere?-

Bal.- (fosco, con gravita') E come vorrebbe lei, signor marchese, che io rimanessi qua, ora?-

Fab.- Vi dico che sono pentito… pentito sinceramente...-

Bal.- Di che?-

Fab.- Di cio' che ho fatto!-

Bal.- Ma non di cio' che ha fatto dev'essere pentito lei, caro signore, perche' e' naturalissimo - ma di cio' che non ha fatto!-

Fab.- E che avrei dovuto fare?-

Bal.- Che? Ma dovevate venire da me subito, dopo qualche mese, a dirmi che, se stavo ai patti io, e volevate starci anche voi- com'era naturale- c'era qualcuno qua, sopra di voi e di me, a cui - com'io stesso vi avevo predetto – la dignita', la nobilta' d'animo, avrebbero impedito di starci; e subito io, allora, vi avrei dimostrato l'assurdita' della vostra pretesa, che cioe' entrasse qua, a far questa parte, un uomo onesto! Un mediocre onesto volevate voi qua, e' vero? Come se fosse possibile che un mediocre accettasse una simile posizione, senz'essere un farabutto! Ho potuto soltanto accettarla io che- come vedete - posso anche non farmi scrupolo di passar per ladro!-

Fab.- Signore, sono qua a pregarvi...-

Bal.- Per il bambino? il buon nome del bambino? Ma e' un'illusione! (BP) Purtroppo... il mio passato... si poteva questa vita d'ora.. cosi' specchiata... non far pensare piu', forse, a tante altre cose tristi dell'altra mia vita...Lei ha da pensare a ben altro che al bambino. (bp) Non volete tener conto di me? Vi pare ch'io possa esser qua sempre un lume soltanto, per voi, e basta? Ho anch'io infine la mia povera carne che grida! Ho sangue anch'io, nero sangue, amaro di tutto il veleno dei miei ricordi... e ho paura che mi s'accenda! Quando mi avete buttato in faccia il presunto furto, io sono caduto, piu' cieco di voi, pui' cieco di tutti, in un'altra e ben piu' grave insidia che da dieci mesi, stando qua, accanto a lei, (guarda Agata) quasi senza ardire di guardarla, occultamente m'ha teso questa mia carne. Signor marchese, io dovevo tacere, capite? ingozzare davanti a lei la vostra ingiuria, passar per ladro, si, davanti a lei: poi prendervi a quattrocchi e dirvi e dimostrarvi che non era vero e costringervi segretamente a seguitar fra noi due d'intesa la parte sino alla fine. Ma non ho saputo tacere. La mia carne ha gridato! E voi, lei, avete ancora il coraggio di trattenermi? Io dico che per castigare a dovere questa mia vecchia carne, sono ora forse costretto a rubare davvero!-

Aga.- Lasciatemi parlare con lui, da sola. ( a Fabio)-

Bal.- No... no signora... guardi... io...-

Aga.- Ho da parlarvi.-

Bal.- E'... e' inutile, signora, Ho detto loro... tutto cio' che avevo da dire...-

Aga.- E sentirete ora cio' che ho da dirvi io.-

Bal.- No, no… per carita'... E' inutile, le assicuro...-

Aga.- Lo voglio! Vi prego di lasciarci soli. (Fabio s'inchina ed esce) Non vengo a dirvi di non andarvene. Vengo a dirvi che verro' con voi. (Baldovino e' sbalordito) Sono vostra moglie. Volete andarvene? E' giusto. Vi approvo, e vi seguo.-

Bal.- Dove? - Ma via che dite? Abbiate pieta' di voi e di...me. e non mi fate parlare... intendetelo da voi stessa, perche' io... perche' io... davanti a voi non so... non so piu' parlare...-

Aga.- Non c'e' piu' bisogno di parole. Mi basto' fin dal primo giorno cio' che diceste. (BP) Dovevo entrar subito a porgervi la mano.-

Bal.- Ah, se l'aveste fatto, signora! Vi giuro che sperai... sperai per un momento che lo faceste... dico, che foste entrata... Sarebbe tutti finito sin d'allora!-

Aga.- Vi sareste tirato indietro?-

Bal.- No, vergognato, signora... davanti a voi, come mi vergogno adesso.-

Aga.- E di che? D'aver parlato onestamente?-

Bal.- Facile, signora! Facilissima l'onesta', finche' si trattava di salvare un'apparenza, capite?  Se voi foste entrata a dire che l'inganno per voi non era piu' possibile, io non avrei potuto restare qua neanche un minuto. Come non posso restare adesso, a rappresentare questa parte.-

Aga.- L'abbiamo voluta noi, questa parte!-

Bal.- E io l'ho accettata!-

Aga.- Ma dichiarando avanti a quali sarebbero state le conseguenze per non farle accettare a lui! ebbene, io le ho accettate!-

Bal.- E non dovevate! non dovevate, signora! Perche' – il vostro errore e' stato questo - non ho parlato io - mai - qua: ha parlato una maschera grottesca! Il pericolo vero era per voi, signora: che le accettaste voi sino alla fine! e le avete accettate, difatti, avete potuto accettarle, voi, perche' disgraziatamente in voi, per forza, con la maternita', l'amante doveva morire. Ecco, voi non siete altro che madre. Ma io, io non sono il padre del vostro bambino, signora!  Capite bene cio' che vuol dire questo?-

Aga.- Ah, e' per il bambino? che non e' vostro?-

Bal.- No! no! che dite! intendetemi bene!- Per il solo fatto che voi vorreste venire con me, lo fate vostro il bambino, vostro soltanto - e dunque piu' sacro per me che se fosse mio veramente - pegno del vostro sacrificio e della vostra stima!-

Aga.- E allora?-

Bal.- Ma l'ho detto per richiamarvi alla mia realta', signora, poiche' voi non vedete che il vostro bambino! Voi parlate ancora a una maschera di padre!-

Aga.- No, no... io parlo a voi, uomo!-

Bal.- E che sapete voi di me? chi sono io?-

Aga.- Ma ecco chi siete. Questo. (Baldovino abbassera' il capo) Potete alzare gli occhi, se io posso guardarvi; perche' davanti a voi, qua tutti allora dobbiamo abbassare i nostri, solo per questo, che delle vostre colpe voi avete vergogna.-

Bal.- Non avrei mai supposto che la sorte mi potesse riserbare d'udir parlare cosi'... (scuotendosi) No... no... signora… via! Credete, ne sono indegno! Sapete che ho qua - qua - cinquecento e piu' mila lire?-

Aga.- Voi le restituirete, e ce n'andremo.-

Bal.- Che! Fossi matto! Non le restituisco, signora! Non le restituisco! (scandendo)-

Aga.- Vuol dire che io e il bambino vi seguiremo anche per questa via...-

Bal.- Mi seguireste... anche ladro?-

Aga.- ( accostandosi alle quinte di destra, da dove e' uscito Fabio) Mamma! Puoi dire a quel signore che non ha nulla da fare qua.-

Bal.- No, aspetta... il denaro! ( prende dalla tasca il portafoglio voluminoso, contenente anche i cartoncini e lo scaraventera' tra le quinte.) Agata lo guardera' ammirata e sorridente, Baldovino stara' qualche secondo a vedere l'effetto che fa il lancio del portafoglio tra le quinte, poi si avvicinera' a Agata, e dolcemente, prendendole la mano, la condurra' attraverso il palco e usciranno da sinistra. Musica. Sipario.

Fine

                                      

                                “ TUTTO  BENE,  ANZI,  BENISSIMO!"

                                                        Atto unico

                                                               di

                                                  Antonio  Sapienza

  Commedia in un atto con tre soli personaggi, liberamente tratto dalla commedia in tre atti di Luigi Pirandello “ La ragione degli altri”

Personaggi:

Leo;

Elena;

Livia.

                       

Buio in sala. Musica adatta. Sipario che lentamente si apre. In scena vi e' Leonardo Arciani, seduto alla sua scrivania. Una voce fuori scena annunzia una visita per lui.

Voce- Signor Arciani, una visita per lei. Venga signora.-

Leo.- ( scorgendo Elena) T'ho pregata, scongiurata di non venire a trovarmi qua, al giornale.-

Ele.- Ma dove allora? Io non lo so piu'! Se da una settimana non ti fai vedere?-

Leo.- Sarei venuto, sai? a qualunque costo in giornata. Oh! Non mi e' stato proprio posssibile.-

Ele.- Sai perche' sono venuta io? Ieri e' tornato quello della casa. Volevo dargli un acconto dalla mia pensioncina. Niente! " Tutto, subito, o via! Senza cerimonie.-

Leo.- Va bene, va bene; aspetta che gli parli io, a questo signore.-

Ele.- E' inutile. Ha parlato chiaro. Non vuole aspettare.-

Leo.- Aspettera' perdio! Gli hai detto che io debbo avere...-

Ele.- ... del romanzo? Gia'! Per farlo ridere...-

Leo.- Non c'e' bisogno che gli parlassi del romanzo o d'altro: sono quattrocento lire che mi saranno pagate fra otto giorni, alla consegna del manoscritto. Se potro' consegnarlo... sta' a vedere! Non trovo piu' ne' modo ne' tempo di scrivere...-

Ele.- E dunque?-

Leo.- Ma un po' di pace! Un momento di requie! Qua, lo sai, per questo mese non posso piu' chiedere nulla. Che consegnero' fra otto giorni? E non so dove battere la testa! Non resisto piu'!-

Ele.- Da un pezzo eh! Cominci a comprenderlo soltanto ora, tu? Ma quando non se ne puo' piu', sai, si dice. Neanch'io resisto piu' a vederti cosi'.-

Leo.- (freddamente) Neanche tu... e poi?-

Ele.- Ma ti pare possibile seguitare cosi'? Scusa, ti pare possibile?-

Leo.- Il male e' appunto questo, cara: che dev'essere possibile. Sarebbe comodo svoltare tu di la' ed io di qua. Ma non possiamo, ne' tu, ne' io.-

Ele.- Perche' scusa? Se io ti lascio libero?-

Leo.- Libero? Come mi lasci libero?-

Ele.- Ma di tornare in pace da tua moglie!-

Leo.- Tu non la conosci!-

Ele.- Ma se ti ha parlato...-

Leo.- Non fingere di non capire.-

Ele.- Che cosa? Che tua moglie vuole che noi stiamo uniti? Debbo capir questo?-

Leo.- Questo, questo, si; e tu lo sai bene! Qua, qua, alla catena, dobbiamo stare! E non giova disperarsi. Lo dico anche a me, sai? Se occorre, anzi, bisogna ridere...ma si. Vuoi vedere come rido? Ma so fare anche il buffone! Tant'altre volte, pazienza! Bisogna pure che io mi lagni... stretto oppresso, soffocatoc osi', punto da tutte le parti, vuoi che non dica neppure "hai"? Basta, no; basta, no; sai bene che non posso dirlo basta.-

Ele.- Ma io lo dico per te, dopo tutto: Non per me.-

Leo.- Grazie, cara! Non ci pensare. Lo  direi anch'io per te; ma non lo possiamo ne' io, ne' tu. Dunque, e' inutile parlarne. Sei stanca? Ti compiango, sinceramente. Perche' io, per mia disgrazia, ho occhi anche per gli altri... vedo la vita che fai... purtroppo.-

Ele.- Meno male!-

Leo.- Ah, io si. E capisco che non si puo' avere compatimento per gli altri, quando abbiamo troppo da soffrire per noi stessi. Se mi lagno e' perche' non riesco a strappare questa rete di difficolta' che m'avviluppa da tutte le parti e mi toglie il respiro! Eppure vedi, a me, fra tutto questo inferno, non e' mai venuto in mente di potermene uscire...-

Voce- Signor Arciani c'e' il signor Guglielmo...-

Leo.- Suo padre! Avra' parlato al padre! Ma se quel vecchio imbecille ha la cattiva ispirazione di darmi in questo momento altre noie...-

Ele.- Me ne vado.-

Leo.- Si, sara' meglio. Non dubitare, verro' prima di sera, immancabilmente!-

Ele.- T'aspettero', dunque. Credi che e' necessario. Non vuole piu' aspettare!-

Leo.- Verro', verro', non dubitare, addio. ( Elena esce da sinistra, mentre Leonardo, si appresta a ricevere il suocero).

 Breve buio. Musica adatta.

Riprende la luce. Leonardo sta mettendo degli oggetti dentro un borsone. Entra Livia.

Leo.- ( stupito) Livia!-

Liv.- Mio padre t'ha detto di rimanere?-

Leo.- Mi ha detto che partiva, lui.-

Liv.- Io vengo invece a dirti che, se a te non accomoda, puoi pure andare. Nessuno ti trattiene.-

Leo.- Sono venuto soltanto per raccogliere le mie carte.-

Liv.- Non intendi quello che voglio dirti. La risoluzione di mio padre non deve parerti un invito a rimanere qua.-

Leo.- Tu non mi trattieni. Ho inteso. So che hai cercato d'impedire ch'egli venisse qua, che s'intromettesse, perche' la nostra discussione non poteva che condurre a questo: non  potendo- noi due- piu' fingere, io dovevo lasciare la casa e te. Ma non capisco piu' perche' egli parta, se tu sei venuta a dirmi che non mi trattieni.-

Liv.- Parte appunto per questo, semplicemente: perche' gli ho fatto intendere ch'era inutile s'adoperasse a trattenerti qua in modo diverso di prima.-

Leo.- Ma dunque, se a te dispiace, per gli occhi del mondo, che io abbandoni la casa...-

Liv.- No, no, ormai! L'hai gia' abbandonata...sette giorni che non dormi in casa...-

Leo.- Ma non sono stato dove tu credi, sai?-

Liv.- Non m'importa di sapere dove sei stato. So che la tua casa e' ormai altrove.-

Leo.- La mia casa? Ma di' soltanto che non puo' piu' essere questa, se credi che io faccia un sacrifizio o una concessione a rimanere. Io, invece, te lo dicevo anche per me.-

Liv.- Ah, se e' per te...-

Leo.- Perche'... Io ti sono tanto grato, Livia, del modo con cui hai guardato e seguiti a guardare il mio errore, grato del silenzio che hai saputo imporre al tuo sdegno.-

Liv.- Ma non rimani, certo, col pensiero che io accetti la tua gratitudine?-

Leo.- Oh, no! Deve sembrare cosi' poco a te, lo so, la mia gratitudine...-

Liv.-… e non temi neppure che possa offendermi?-

Leo.- No, no. Perche' so che tu comprendi. Puoi disprezzarmi. Ma comprendi perche' io sono cosi'. E' vero? Non puoi non comprenderlo, perche' tu stessa mi vuoi cosi'. Non e' vero?-

Liv.- Si.-

Leo.- E ti par poco? Vorrei che tutti mi disprezzassero, ma comprendessero come te e mi lasciassero stare... cosi', come posso, come debbo, purtroppo. Di questo appunto ti sono grato. Ho inteso, sai? ho inteso il tuo grido...-

Liv.- Che grido?-

Leo.- A tuo padre... la'. Mi ha provato la commiserazione che senti per il mio castigo che dura, quando la colpa e' finita. Io non ho casa, Livia! La' ho soltanto... tu lo sai...-

Liv.- E come? Non ti basta?-

Leo.- Che dici? vuoi che mi basti? Come potrebbe bastarmi? Se tu sapessi...-

Liv.- Credevo che non dovesse piu' importarti di nulla.-

Leo.- Ah, non e' vero; non lo credi: tu lo sai che e' il mio supplizio e che non puo' essere altrimenti.-

Liv.- Tua figlia, il tuo supplizio? Ah, no, questo non lo comprendo davvero! E non comprendo anzi piu' niente, adesso, se puoi dire cosi'.-

Leo.- Oh, Livia! Ma come? Se non ho altro io! Tutta la mia esistenza e' ristretta la', in quella bambina. Dovrebbe compensarmi di tutto, e' vero? Ma come? Io stesso non posso esser lieto per lei... Lo capisci? d'averla messa al mondo...la'...dove non posso abbandonarla, e' vero?-

Liv.- Va bene! Ma questo, se qualcuno ti dicesse d'abbandonarla!-

Leo.- Tu no! Lo so, non me lo dici tu! Ma mia figlia non e' qua, con te!-

Liv.- E chi puo' volere, la' dov'e' tua figlia, che tu l'abbandoni?-

Leo.- La'? Che lo si voglia espressamente, no; ma che si creda che io finga, per stancar la pazienza, aggravando apposta le difficolta' che mi opprimono, con lo scopo d'uscirsene, questo si. Ebbene: " Padrone! Perche' no? Finiamola pure! Ecco la porta!" Capisci? Senza comprendere, come te, che io non posso. Magari potessi!-

Liv.- Ti hanno dunque proposto d'abbandonare la bambina?-

Leo.- Ma si! Tutto... Perche' io ormai... che sono piu' io?-

Liv.- Ma se lei ha potuto proporti di abbandonare la figlia...-

Leo.- Si. Ma come l'abbandono?-

Liv.- Aspetta, aspetta. Dimmi questo: Ti vuole... ti vuole bene, molto, la... la bambina?-

Leo.- Si.-

Liv.- Ma di piu' alla madre?-

Leo.- Si, forse.-

Liv.- Perche' tu non le sei troppo vicino!-

Leo.- Certo, si... per questo...-

Liv.- Ma se potessi invece averla sempre con te...-

Leo.- Dove?-

Liv.- Ma dico con te!-

Leo.- Se fosse nostra, dici? Ah, non me lo dire! Sarei felice! E lei, anche lei, la bambina...-

Liv.- Ah, si? Senza la madre?-

Leo.- No, dico, se fosse tua! Se fosse tua, Livia!-

Liv.- Potrei...(irrigidendosi) potrei, si, anch'io volerle bene...-

Leo.- Perche' tu sei buona, lo so! tanto... tanto...Oh Livia... tu mi hai perdonato, e' vero? Mi perdoni?-

Liv.- Si... zitto... dimmi... dimmi...-

Leo.- Quanto t'ho fatto soffrire...-

Liv.- ... Basta! basta... ti prego... dimmi... E'... bella?-

Leo.- Si, tanto...-

Liv.- Come si chiama?-

Leo.- Dina.-

Liv.- Parla?-

Leo.- Parla, si...-

Liv.-  E’ bionda, e' vero? Me l'immagino bionda...-

Leo.- Si, si, bionda... una testolina d'oro...-

Liv.- ( improvvisamente, come spremendosi) Ah, nostra!-

Leo.- Povera Livia, perdonami...-

Liv.- (riprendendosi) Qua tu non puoi piu' rimanere, ora!-

Leo.- Ma se mi hai veramente perdonato...-

Liv.- Proprio per questo. Due case, no!-

Leo.- E allora?-

Liv.- Allora... chi sa! Lasciami!-

Leo.- Ma che pensi? che vuoi dirmi?-

Liv.- Lasciami per ora... vattene!-

Leo.- Ma io non posso...-

Liv.- Ti dico soltanto: vattene per ora... Lasciami pensare.-

Leo.- Io non t'intendo...-

Liv.- Devi intendermi! Cosi', ne' tu ne' io possiamo ora rimanere, e' vero?-

Leo.- E come allora? Dimmelo!-

Liv.- Chi sa! Lasciami riflettere...Addio! ( Leonardo si avvicina per baciarla, ma Livia si si schernisce) No. Va', va'!-

Buio. Stacco musicale.

Riprende la luce. In scena vi e' Elena che accudisce a Dina, se la bimba sara' in scena, altrimenti simulera'.

Entra da sinistra Livia.

Liv.- Permesso?-

Ele.- Scusi... lei?-

Liv.- Sono Livia Arciani.-

Ele.- Voi? - qua?- che volete da me? Dina vai di la'.-

Liv.- Ho bisogno di parlarvi.-

Ele.- Perlare con me? Ma... io non so... Forse per conto di lui?-

Liv.- Non per conto di lui. Con voi.-

Ele.- E...a che scopo? Oh! se ha fatto questo... e' indegno! Vi assicuro, signora, e' indegno! Poteva risparmiarvi, e risparmiare a me, quest'incontro penoso... e inutile.-

Liv.- Sospettate sul serio che m'abbia mandata lui?-

Ele.- Ma si, scusate! E non ne vedo la ragione, perche' io stessa...-

Liv.- Il vostro sospetto e' ingiusto. Con voi debbo parlare, se mi lasciate parlare. Il vostro sospetto non regge- ve n'accorgerete- (BP) Sapeste la violenza che ho dovuto fare a me stessa per venire da voi.-

Ele.- Lo credo; ma potevate risparmiarvela, signora,  si, vi giuro; perche' lealmente, vi giuro, io stessa...-

Liv.- Non basta. Ma permettete che mi segga...-

Ele.- Voi soffrite?-

Liv.- Si, a parlare. Lo sforzo...Non potete intendere...Ho troppo...troppo taciuto; e nel silenzio, troppo ascoltato la ragione degli altri... la vostra.-

Ele.- Non comprendo proprio quello che vogliate da me.-

Liv.- Veramente, con la sola ragione non potrete, forse. Dovrei farlo sentire al vostro cuore, che forse comprendera'... non subito, certo; ma forse quando la ragione avra' finito di gridare contro di me. Ecco, allora si. Allora si, spero che il vostro cuore stesso v'imporra' una sua profonda ragione, non piu' contro me, ma contro voi stessa. A voi e a lui l'imporra'. Perche' gia' a me l'ha imposta da tanto tempo.

Ascoltatemi con pazienza, e credere, gia' lo vedete, non ho nessun sentimento contrario per voi. La ragione per cui sono venuta senz'astio, senz'odio, e' piu' crudele, certo, dell'odio stesso, per voi. Ma non l'ho voluta io, non l'ho imposta io, questa ragione. Vi dite disposta, e' vero? a troncare questa relazione?-

Ele.- Si, da un pezzo! Ma nessuna relazione piu', gia' da un pezzo...-

Liv.- Lo so...-

Ele.- E per me, veramente...Se sapeste: Un'illusione d'un momento.  Che gioia puo' dare cio' che e' morto da tempo- fummo fidanzati in gioventu', ci amammo, poi ci lasciammo per rivederci dopo molti anni- morto da tempo, dicevo, schiacciato sotto il peso dell'avvilimento, dei bisogni, della stanchezza. Tutto finito, quasi prima di incominciare. Se non si fosse dato il caso... la sciagura piu' grande...quella bambina.

Liv.- Ecco. La bambina.-

Ele.- Ma da un pezzo, vi dico, io stessa, tante volte, tante volte gli ho proposto di finirla.-

Liv.- E come? Avete ricordato la bambina. Come dite ora di finirla?-

Ele.- Dico finirla, non rivederci piu'. Non pretendo nulla io!...se egli vuole...-

Liv.- Vuole... che puo' voler lui? Riconciliarsi con me? Questo si, lo vuole. Ma voi appunto glielo impedite.-

Ele.- No! io no! Io, anzi...-

Liv.- Aspettate. Lasciatemi dire. Non pretenderete da lui un sacrificio, che certo voi, da parte vostra, non vi sentireste di fare? Sarebbe possibile a voi rinunziare...-

Ele.- Ma si! A tutto!-

Liv.- Alla figlia?-

Ele.- No! Che c'entra la figlia? Non voglio nulla, mi tengo la mia figlia; me n'andro' via di qua, lontano e basta! Egli si riconcialia con voi, non basta? Che altro vorreste? ( concitata) Che vorreste dunque da me? Siete forse venuta qua...aspettate lui per essere in due? Che sperate? La mia bambina? Io gridero' aiuto!-

Liv.- ( con calma) Calmatevi vi prego. Ma via, potete immaginare sul serio, ch'io voglia usarvi una tale violenza? Sono una povera donna, come voi...-

Ele.- Che siete venuta a fare qua?-

Liv.- Sono venuta a dire a voi che vi dite pronta a rinunziare a tutto...-

Ele.- ... ma non alla figlia! Ci rinunzi lui!-

Liv.- Io sola, vi faccio osservare, io sola finora, veramente, ho rinunziato a qualche cosa, a ogni mio diritto sull'uomo che voi mi avete preso. Volete sapere perche'? Ecco, sono venuta appunto per questo, per dirvi questo. Perche' so bene che c'e' qualcosa qua, piu' forte d'ogni mio diritto.-

Ele.- Dite la bambina?-

Liv.- La bambina, appunto.-

Ele.- E non ho diritto io su la mia bambina?-

Liv.- Ma certo! Chi puo' negarvelo? Il vostro diritto di madre. Ma non dovrebbe guardare a questo soltanto, come io non guardo piu' al mio, di moglie. Pensate che voi dite mia figlia, e' vero? come se fosse vostra soltanto. Ma anche lui dice mia figlia, e con lo stesso vostro diritto.-

Ele.- Non avete figli e vorreste la mia?-

Liv.- Perche' solo quella che mi manca. Lei avrebbe tutto da me: un nome, il nome di suo padre, e uscirebbe da quest'ombra, e l'avvenire piu' bello avrebbe, un avvenire che voi, perdonate, con tutto il vostro amore non potreste mai darle!-

Ele.- (costernata) Oh Dio... oh Dio... ma e' una follia questa! La volete voi dunque, voi, mia figlia? per voi parlate, non per lui?-

Liv.- Ma perche' non voglio lui, il marito, io! Io ho sofferto per lui, padre qua! E soltanto per questo ho avuto considerazione; tanta, che ve l'ho lasciato qua, e sono pronta a lasciarvelo ancora. Qua, qua con voi, si! Il padre, il padre voi dovete darmi, perche' egli ora con me non puo' ritornare se non cosi', padre! Vi sembra una follia questa? Non sono folle, no; e se pure fossi, chi m'avrebbe fatto impazzire? Vorreste fare come se tutto cio' che e' accaduto non fosse accaduto? Come se non l'aveste commesso il delitto di prendere a una donna il marito, e di dare a questo marito una figlia? Per me e' questo il delitto! Voi mi volete ridare il marito, ora. Ma non potete piu', perche' egli non e' soltanto mio marito ora; e' padre qua, lo capite? e questo, questo soltanto io voglio; perche' possa dargli a mia volta tutto quello che ho, per la sua bambina: tutta me stessa alla sua bambina, per cui ho pianto e mi sono straziata; e io sola, io sola potro' dare a lei quello che voi non potrete ma: la luce vera, la ricchezza, il nome di suo padre!-

Ele.- Voi farneticate, signora! Le ho dato la vita, io, il mio sangue, il mio latte le ho dato! Come non pensare a questo? E' uscita dalle mie viscere! E' mia! E' mia! Che crudelta' e' la vostra? Venire a chiedere un tale sacrificio in nome del bene della mia figliola?-

Entra Leonardo da sinistra.

Leo.- Livia, tu qua?-

Ele.- E' venuta per levarmi Dina! la vuole!-

Leo.- Ma come? Livia, tu?-

Ele.- Diglielo che e' una crudelta'!-

Liv.- La vostra; non la mia.-

Leo.- Livia, ti prego va'.-

Ele.- No: lei sola no! Tu, tu con lei!-

Liv.- Egli resta qua: dov'e' sua figlia. Sola- poiche' non volete restar voi - restero' io. Non potrete piu' cosi' negare il male che m'avete fatto, e che io volevo pagare col bene della vostra figliola. Addio. (esce quasi di corsa)-

Ele.- Va', va' a raggiungerla...-

Leo.- Zitta! E' finita!-

Ele.- Ma perche' lei... perche' lei...-

Leo.- Ti proibisco di parlarne ancora! Ora basta! E' finito… tutto bene, anzi, benissimo.( la guarda sottecchi per vederne la reazione)  Dov'e' la bambina?-

Ele.- Te la chiamo...Dina..Dina...c'e' babbo. tu vuoi bene al babbo? vuoi andare col babbo tu? per sempre con babbo?-

Leo.- Elena!-

Ele.- No, no... e' vero?-

Leo.- Ecco, Dina, ti ho portato la campagna (apre uno scatolo) Vedi? una bella campagna...con tante pecorelle...tanti alberelli. Uh, quante "memmelle"! Ora stenderemo tutto qua, sul tavolo... ecco...e vi faremo reggere in piedi tutte queste memmelle che mangiano l'erba...e il pastore... col bastone. Guarda c'e anche il cane... sono due… ecco la casina, due casine. Guarda tanti alberelli, tante memmelle,

due cani, due casine, il pastore...-

Ele.- (intercalando ad ogni pausa di Leonardo) …diceva del nome... Che potresti dargli il tuo nome... lei acconsentirebbe...Ma come? per adozione, e' vero?...Ha detto che la farebbe ricca... farmi sentire in colpa...E' questo il vostro disegno? Era perfetto!... Ma perche' non te ne vai con lei?...-

Leo.- Ah, perdio! Ancora? ( con finta irritazione, vedendo che donna sta per cedere) Mi dai Dina?-

Ele.- No! Che dici? No!, no.-

Leo.- E allora, smettila, scostati, e non arrischiarti a dirmi un'altra volta: Vattene! Vattene vuol dire darmi la bambina!-

Ele.-  Mai!  Mai!-

Leo.- E allora stai zitta! Io sto qua. ( mimica come dire: cederai, e come se cederai)-

Ele.- Cosi' volete arrivarci...-

Leo.- Sono arrivato da un pezzo io, cara mia! Tu incominci a disperarti soltanto ora...-

Ele.- (con rabbia) Ma come posso darvela? Come posso darvela? Non posso!-

Leo.- L'hai detto centomila volte. Va bene, restiamo cosi'. ( con finta rassegnazione)-

Ele.- Ah, cosi' no! cosi' no! Non e' possibile! Questa e' una disperazione!-

Leo.- Ma la dai tu a me, la disperazione! Se l'ho cacciata via! Che vorresti di piu'? Qua c'e' Dina, ora, per me e per te. Basta! Resto in prigione, io e Dina, Dina e papa'. (intanto guarda sottecchi le reazioni della donna che si tormenta le mani) -

Ele.- (al colmo della disperazione) Senti: io ora non posso, ma se tu te ne vai, ti prometto, ti giuro, che io stessa...Ti giuro! appena ne avro' la forza, appena mi saro' convinta che veramente faccio il suo bene... te la portero' io stessa...io con le mie mani...-

Leo.- Ma se gia' ne sei convinta! ( con aria di sufficienza)-

Ele.- No! ora no! ora non posso! Ora tu vattene... vattene per carita'... appena potro', te lo giuro!-

Leo.- Ora o non piu', Elena! Dammela. E' meglio per te! ( come per darle il colpo di grazia) -

Ele.- Ora no! ora non posso!... lasciala!-

Leo.- Non potrai piu'! Non potrai mai! ( minaccioso)-

Ele.- E' vero! e' vero! (smarrita) Ma come dunque, cosi'?-

Leo.- Cosi'... che importa? cosi'...( esce immediatamente con la bimba in braccio)-

Ele.- No... cosi' no... aspetta... aspetta... un cappellino... il cappellino, il cappellino almeno... Voglio che sia bella... aspetta... aspetta...-

Elena esce da sinistra, mentre Leonardo resta un momento perplesso, poi prende la bambina ed esce velocemente da destra.

Elena ritorna in scena con un cappellino, s'accorge che Leonardo ha portato via Dina, trattiene un grido, fa uno scatto come per raggiungerli, ma si ferma, rassegnata, con le braccia inerti, col cappellino che le pende dalla mano sinistra, facendo vaghi gesti di commiserazione, di rassegnazione, di disperazione.

Infine simula la bimba che viene vestita di ricchi vestitini, di ricchi ornamenti, di belli giocattoli, e che ella e' felice nella nuova casa in campagna tra gli alberi e le pecorelle. Ed Elena tocca quelli che ha portato, a Dina, Leonardo. Poi si porta al petto il cappellino della bimba, e lo stringe convulsamente, fino a sgualcirlo. Musica adatta.

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