Polinice
Di Vittorio Alfieri
PERSONAGGI
ETEOCLE
GIOCASTA
POLINICE
ANTIGONE
CREONTE
Guardie d'Eteocle
Sacerdoti
Popolo
Scena, la Reggia in Tebe
ATTO I
SCENA I
GIOCASTA, ANTIGONE
Giocasta
Tu sola omai della mia prole infausta,
Antigone, tu sola, alcun conforto
rechi al mortal mio duolo: e a te pur vita
l'incesto diè; ma il rio natal smentisci.
D'Edippo io moglie, e in un di Edippo madre,
inorridir di madre al nome io soglio:
eppur da te caro mi è quasi il nome
udir di madre... Oh se appellar miei figli
i tuoi fratelli ardissi! oh se ai superni
Numi innalzar la mia colpevol voce!
io pregherei, che in me volgesser sola,
in me, la giusta loro ira tremenda.
Antigone
In ciel, per noi, pietà non resta, o madre;
noi tutti abborre il cielo. Edippo, è nome
tal, che a disfar suoi figli per sé basta;
noi, figli rei già dal materno fianco;
noi, dannati gran tempo anzi che nati...
Che piangi or, madre? il dì, che noi nascemmo,
era del pianto il dì. Nulla vedesti
(misera!) a quanto anco a veder ti avanza:
nuovi fratelli, e nuovi figli, appena
dato Eteòcle e Polinice han saggio
finor di sé...
Giocasta
Poco finor pietosi
al padre, è ver; tra lor crudi fratelli;
deh! che non sono alla lor madre iniqua
nemici, a miglior dritto? In me null'altra
pena è che il duol, scarsa al mio orribil fallo.
In trono io seggo, e l'almo sole io veggio,
mentre infelice ed innocente Edippo,
privo del dì, carco d'infamia, giace
negletto; e lo abbandonano i suoi figli:
forza è, per lor, che doppio orrore ei senta
d'esser de' propri suoi fratelli il padre.
Antigone
Lieve aver pena a paragon d'Edippo,
madre, a te par: ma da sue fere grotte
bench'or pel duolo, or pel furore, insano,
morte ogni dì ben mille volte ei chiami;
benché in eterne tenebre di pianto
sepolti abbia i suoi lumi; egli assai meno
di te infelice fia. Quel, che si appresta
spettacol crudo in questa reggia, ascoso
gli sarà forse; o almen co' paterni occhi
ei non vedrà ciò che vedrai; gl'impuri
empi del vostro sangue avanzi feri
distruggersi fra loro. Al colmo giunti
già son gli sdegni; e in lor qual sia più sete,
se di regno, o di sangue, mal diresti.
Giocasta
Io vederli... fra loro?... Oh cielo!... io spero,
nol vedrò mai. Viva mi tiene ancora
il desir caldo che nel core io porto,
e l'alta speme, di ammorzar col pianto
quella, che tra' miei figli arde, funesta
discorde fiamma...
Antigone
E ten lusinghi?... Oh madre!
Uno è lo scettro, i regnator son duo:
che speri tu?
Giocasta
Che il giuramento alterno
si osservi.
Antigone
Ambo giuraro: un sol l'attenne;
e fuor del trono ei sta. Tumido il preme
lo spergiuro Eteòcle; e di tradita
fede ei raccoglie il frutto iniquo. Astretto
a mendicar dalle straniere genti
Polinice soccorsi, all'ire sue
qual fin, s'ei non ha regno? E a forza darlo
come vorrà chi può tenerlo a forza?
Giocasta
Ed io, non sono? aver tra lor può loco
l'ira, se in mezzo io sto? Deh! non mi torre
la speme mia! — Per quanto or fama suoni,
che a sostener dell'esul Polinice
gl'infranti dritti, d'Argo il re si appresti;
per quanto altero, ed ostinato seggia
sul trono l'altro; in me, nel petto mio,
nel pianto mio, nel mio sdegno rimane
forza, che basti a raffrenarli. Udrammi
il re superbo rammentar sua fede
giurata invano; e Polinice udrammi
rammentar, ch'ei pur nacque in questa Tebe,
ch'or col ferro egli assal... Che più? mi udranno,
se mi vi sforzan pur, lo infame loro
nascimento attestar: né l'empie spade
troveran via fra lor, se non pria tinte
entro al sangue materno.
Antigone
Omai, s'io spero,
spero in quel che non regna: era ei pur sempre
miglior, d'assai; né il cor da esiglio lungo
aver può guasto mai, quanto il fratello
dal regnar lungo...
Giocasta
Assai miglior tu estimi
l'esule? eppur del filial rispetto
finor non veggio al par di lui spogliarsi
Eteòcle: ei non m'ha straniera nuora,
senza il mio assenso, data; egli di Tebe
non ricorre ai nemici...
Antigone
Ei, l'aspra sorte,
e il lungo esiglio, ed i negati patti,
a sopportar non ebbe. Ah! madre; in breve
qual più tra loro abbia virtù, il vedrai.
SCENA II
ETEOCLE, GIOCASTA, ANTIGONE
Eteocle
Eccolo, ei vien quel Polinice al fine;
ei vien colui, che tua pietà materna
primo si usurpa. Il rivedrai, non quale
di Tebe uscia: ramingo, esule, solo;
non qual mi vide ei ritornar nel giorno,
ch'io a lui chiedeva il pattuito trono:
torna egli a noi con la orgogliosa pompa
di possente nimico: in armi ei chiede
l'avìto seggio al proprio suo fratello:
bramoso e presto a incenerir si mostra
le patrie mura, i sacri templi, i lari,
la reggia, in cui le prime aure di vita
pur bevve; questa, che fratelli, e madre,
e genitor racchiude; e quanto egli abbia
di sacro, e caro. — Ogni ragion riposta,
ogni legge, ogni speme, egli ha nel ferro.
Giocasta
Vera è la fama dunque? Oh cielo! in armi
al suol natìo...
Eteocle
Non è, non è costui
Tebano omai; si è fatto Argivo: Adrasto
diè lui la figlia, ed ei daragli or Tebe.
Come ei calpesti il suol natìo, dall'alte
torri, se ciò mirar ti piace, il mira:
vedi ondeggiar ne' nostri campi all'aure
di un tuo figlio le insegne; ampio torrente
vedi il piano inondar d'armi straniere.
Giocasta
Non tel diss'io più volte? a ciò lo traggi
a viva forza tu.
Eteocle
Del mio fratello
assalitor me non vedrai: di Tebe
ben la difesa io piglierò.
Antigone
Da Tebe
credo che nulla ei chiegga. A te con l'armi
chied'egli or ciò, che già negasti ai preghi.
Eteocle
Preghi non fur, comandi furo; e ad arte
ingiuriosi, onde obbedir negassi.
Ed io, per certo, all'obbedir non uso,
in trono io sto. Ma sia che vuol, mi assolve
ei stesso omai dalla giurata fede:
l'abbominevol nodo che lui stringe
ai nemici di Tebe, omai disciolto
l'ha dai più antichi vincoli.
Giocasta
M'è figlio,
m'è figlio ancor; tal io l'estimo: e forse
farò, ch'ei te fratello ancora estimi.
Affrontar voglio il suo furore io prima:
io scendo al pian; tu resta...
SCENA III
CREONTE, ETEOCLE, GIOCASTA, ANTIGONE
Creonte
Ove rivolgi,
dove, o sorella, il piè? Già chiuso è il passo;
già le tebane porte argine al ferro
d'Argo si fanno; e da ogni parte cinte
son d'armati le mura: orrida vista! —
Solo, a tutti davanti un buon trar d'arco,
presso alle porte Polinice giunge:
in alto ha la visiera; inerme stende
l'una mano ver noi, dell'altra abbassa
al suol la punta dello ignudo brando.
Cotale in atto, audacemente ei chiede
per sé l'ingresso, e non per altri, in Tebe:
la madre noma, e di abbracciarla ei mostra
impaziente brama.
Eteocle
Oh! nuova brama!...
Col ferro in man, chiede i materni amplessi?
Giocasta
Ma tu, Creonte, di depor quell'armi
non gl'imponevi? I sensi miei più interni
noti a te sono; il sai, s'io pur la vista
soffrir potrei, non che abbracciare un figlio,
che minacciar col brando osa il fratello.
Creonte
Sono le sue parole tutte pace;
né i prodi suoi con militar licenza
scorron pe' nostri campi: arco non s'ode
suonar finora di scoccato strale;
ed ogni argivo acciar digiuno ancora
del teban sangue sta. Posan sul brando
le immobili lor destre; ogni guerriero
da Polinice pende; e alzarsi udresti
dal campo un misto mormorìo, che grida:
«Pace ai Tebani, e a Tebe».
Eteocle
Orrevol pace
questa a voi fia, per certo. A me soltanto,
dunque a me sol reca il german la guerra?
Sta ben: l'accetto io solo.
Antigone
Ma, s'ei parla
di pace pure?... Udiamlo pria...
Giocasta
Solo entri
in Tebe; udire il vo'; né tu vietarlo
a me il potrai.
Creonte
Pur ch'ei l'inganno in Tebe
con sé non porti.
Antigone
Ah! nol conobbe ei mai.
Eteocle
Certo, il sai tu. — Parmi, che a te sian noti
gl'intimi sensi suoi; simìli forse
siete fra voi...
Giocasta
Figlio, (ahi me lassa!) oh quanto,
quanto mal chiuso fiele entro a' tuoi detti
aspri traluce!... Ah! venga, ei venga in Tebe,
tra le mie braccia; e qui deponga ei l'armi. —
Ad impetrar pace dai Numi, o figlia,
al tempio intanto andiamo... Ei di me chiede?
Figlio amato! gran tempo è ch'io nol vidi!...
Forse in me sola, e nel materno immenso
imparzial mio amore egli ha riposto,
più che ne' suoi guerrieri, ogni sua speme.
Mi è figlio al fine; ei t'è fratello: io sola
arbitra son fra voi. Quale ei ritorni,
prego, dona all'oblio per brevi istanti;
rammenta sol, quale ei n'uscia di Tebe;
quanti anni andò per tutta Grecia errante,
contro tua data fede: in lui ravvisa
un infelice, un prence, un fratel tuo.
SCENA IV
ETEOCLE, CREONTE
Eteocle
Con minacce avvilirmi, e a me far forza,
quel Polinice temerario spera? —
Vedi ardire! in mia reggia ei solo adunque
verrà, quasi in mio scherno? E che? fors'egli,
sol col mostrarsi, or di aver vinto estima?
Creonte
Tutto previdi io già, dal dì che venne
di Polinice a nome il baldanzoso
Tidèo, chiedendo il pattuito regno.
L'aspre minacce, i dispettosi modi,
che alla richiesta univa, assai mi fero
di Polinice il rio pensier palese.
Pretesti ei mendicava, onde rapirti
per sempre il comun trono. Or, chiaro il vedi,
il vuol, per non più renderlo giammai:
e ad ogni costo il vuole; anco dovesse
l'infame via sgombrarsen col tuo sangue.
Eteocle
Certo, e mestier gli fia berselo tutto;
che la mia vita, e il mio regnar, son uno.
Suddito farmi, io, d'un fratel che abborro,
e vie più sprezzo? io, che l'ugual non veggio?
Sarei pur vil, se allontanar dal soglio
potessi anco il pensiero. Un re, dal trono
cader non debbe, che col trono istesso:
sotto l'alte rovine, ivi sol, trova
morte onorata, ed onorata tomba.
Creonte
In te, signor, riviver veggo intero
l'alto valor de' tuoi magnanimi avi.
Per te fia il nome di figliuol d'Edippo
tornato in pregio, e da ogni macchia terso.
Re vincitor, fama null'altra ei lascia
di sé, che il vincer suo.
Eteocle
Ma, ancor non vinsi.
Creonte
T'inganni assai; già, non temendo, hai vinto.
Eteocle
Che val lusinga? A tal mi veggio omai,
che fra i dubbi di guerra a me non resta
altro di certo, che il coraggio mio;
né a sperar altro, che vendetta, resta.
Creonte
Re sei finora: inviolabil fede
per me, per tutti, io qui primier ti giuro.
Pria che a colui servir, cadrem noi tutti
vuoti di sangue e d'alma. Ove fortuna
empia arridesse al traditor, sul solo
cener di Tebe ei regnerà. — Ma, forse
tu il pensier ritrarrai da aperta guerra,
se dei fidi tuoi sudditi pietade
te stringe. Ah! solo, chi t'insidia, pera.
Tua sicurezza il vuole; e il vuol più ancora,
ragion di stato. Ad un fratello cruda
parrà pur troppo d'un fratel la morte;
ma, parer men crudele, o ingiusta meno,
lunga feroce guerra a un re potrebbe?
Eteocle
E ch'altro bramo, e ch'altro spero, e ch'altro
sospiro io più, che col fratel venirne
all'arme io stesso? In me quest'odio è antico
quanto mia vita; e assai più ch'essa io 'l curo.
Creonte
Tua vita? oh! nol sai tu? nostra è tua vita.
Non ha il valore, è ver, più nobil seggio,
che il cor d'un re: ma, ai tradimenti opporre
schietto valor dovrai? non è costui
traditor forse? in Tebe oggi che il mena?
col brando in pugno, a che parlar di pace?
a che nomar la madre? egli a sedurla
vien forse; e già l'empia sorella è sua...
Gran macchinar vegg'io. — Deh! tante fraudi
non preverrai?
Eteocle
Non dubitare: a danno
di lui l'indugio tornerà. S'ei vive,
grado ne sappia al fuggir suo: non volli
fidar sua morte ad altro braccio; al mio
dovuta ell'è. Qual ira, entro quel petto
ferir può addentro, quanto l'ira mia?
Creonte
L'odio tuo immenso alla certezza or ceda
di più intera vendetta.
Eteocle
I più palesi,
i più feroci, i più funesti mezzi,
piacciono soli a me.
Creonte
Ti è forza pure
i più ascosi adoprar. Possente in armi
sta Polinice...
Eteocle
Ha i suoi guerrier pur Tebe.
Creonte
Hanne Adrasto più assai. Giunge la guerra
ratta, pur troppo: ah! noi morir, non altro,
possiam per te.
Eteocle
Ma, di guerrier che parlo?
Uno è il fratello, ed un son io.
Creonte
Lusinga
hai di sfidarlo? A lui la madre intorno
e la sorella, e tutti...
Eteocle
E aprirmi strada
non saprà il brando infino a lui?
Creonte
La fama
perderesti coll'opra. Un tanto eccesso
biasmato fora anche da Tebe.
Eteocle
E Tebe
non biasmeria la fraude?
Creonte
O non saprassi,
o mal saprassi. A un re, pur ch'ei non paia
colpevol, basta. Il reo fratello, il primo
assalitor, fu Polinice; e tale
l'arte il mantenga.
Eteocle
Arte? ma quale?...
Creonte
Io tutto
ne assumo il carco: in me riposa; e ascolta
soltanto me: tutto saprai. Noi pria
il dobbiam trarre a simulata pace:
mentila tu sì ben, ch'ei qui s'affidi
restar, senza gli Argivi. Allor fia lieve
che il traditor di tradimento pera.
Eteocle
Sì, pur ch'ei pera; — e pur ch'io regni; ancora
breve stagion, l'odio e il furor nel petto
racchiuder vo'.
Creonte
Dunque di pace io 'l grido
spargo ad arte: di pace alle proposte
non cederai, che a stento: al par gli amici,
e i nemici ingannare oggi t'è d'uopo.
Ma, più che a nullo, alla tremante madre,
d'ogni sospetto sia tolta anco l'ombra.
ATTO II
SCENA I
GIOCASTA, CREONTE
Creonte
Deh! fine omai poni al lungo tuo pianto.
Questo dì stesso, che parea di stragi
apportatore, non fia spento forse,
che vedrem pace in Tebe. Un orror tale
seppi inspirar di cotant'empia guerra
d'Eteòcle nel cor, che in mente quasi
di ristorar la violata fede
fermo egli ha; dove il fratel suo pur cangi
minacce in preghi.
Giocasta
Oggi i fraterni sdegni
fine avran, sì; ma il fin qual fia? sta scritto
nei fati; e il ciel soltanto il sa. Deh! fosse,
qual men lusinghi tu! Null'altra speme
pria di morir m'avanza... A pace alquanto
d'Eteòcle il superbo animo dunque
piegar potevi? Io 'l crederò. Ma, resta,
resta a placarsi inacerbito il core
dell'esul figlio. Io piangerò; che posso
poco altro omai: preghi, minacce, e preghi,
mescendo andrò; ma il sai, non sono io madre
pari all'altre; né vuol ragion, ch'io speri
quel, ch'io non merto, filial rispetto.
Creonte
Io tel ridico, acquetati: fra tante
armi, desir di più sincera pace
mai non si vide. Ecco Eteòcle; ah! compi
l'impresa tu, cui buon principio io diedi.
SCENA II
GIOCASTA, ETEOCLE
Giocasta
Giunto è l'istante, o figlio, ove l'un l'altro,
senza rancore, al mio cospetto, esporre
sue ragioni dovrà. Giudice fammi
tra voi natura. Io, più d'ogni altri, in core
io far ti posso risuonare addentro
quel sacro nome di fratel, che omai
più non rammenti.
Eteocle
E sel rammenta ei meglio?
Fratello egli è, qual cittadin; fratello,
qual figlio egli è, qual suddito: del pari
ogni dovere ei compie.
Giocasta
Ogni dovere,
meno il dover di suddito, ti lice
annoverare. A lui tuo giuro espresso
te fa suddito; eppure, io re ti veggio. —
Nell'udirti appellar suddito, fremi?
Ma dimmi, di'; più chiaro è il titol forse
di re spergiuro?
Eteocle
E re sprezzato, or dimmi,
titol non è più infame? Omai, chi sciolto
hammi dal giuro, se non l'armi sue?
Io libero giurai; libero voglio,
non a forza, attenere. Il mal difeso
trono ov'io mai per mia viltà lasciassi,
come ardirei ridomandarlo io poscia?
Giocasta
Già il tuo valor, già la fierezza è nota;
fa' ch'or lo sia la fede. Ah! di feroci
virtù non far contra un fratello pompa.
Uman ti mostra, e generoso, e pio;
madre non vuol dal figlio altra virtude:
forse a te par virtù di un re non degna?
Eteocle
Non degna, no, se di timore è figlia. —
Brevi udrai mie parole: al tuo cospetto
ragion, se il puote, ei del suo oprar darammi.
Madre, vedrai, ch'alma ho regal; ch'io tengo
l'onor più in pregio, che la vita e il regno.
SCENA III
POLINICE, GIOCASTA, ETEOCLE
Giocasta
Oh da gran tempo invan bramato figlio!
Pur ti riveggo in Tebe!... Al fin ti stringo
al sen materno... Oh quanto per te piansi!...
Or di': miglior fatto ti sei? chiedesti
la madre; eccola: in lei l'orrido incarco
di fraterna querela a depor vieni?
Deh! dimmi; a me, consolator ne vieni,
o troncator de' miei giorni cadenti?
Polinice
Così pur fossi al tuo pianto sollievo,
madre, com'io il vorrei! Ma, tale io sono,
che meco apporto, ovunque il passo io volga,
l'ira del cielo. Ancor, pur troppo! o madre,
lagrime assai dovrò fors'io costarti.
Giocasta
Ah no! fra noi non di dolor si pianga;
di gioia, sì. Vieni; al fratel ti appressa;
mi è figlio, e caro, al par di te: se nulla
ami la madre, placido a lui parla;
porgigli amica destra; e al seno...
Eteocle
Or, dove
t'innoltri tu? Guerrier, chi sei? quell'armi
io non ravviso. — Il mio fratel tu forse?
Ah! no; che spada, ed asta, ed elmo, e scudo,
non son gli addobbi, onde vestito venga
al fratello il fratello.
Polinice
E chi di ferro
me veste, altri che tu? Dimmi; quel giorno,
che in queste soglie, di un fratello a nome,
venìa chiedendo il mio regno Tidèo,
recava (dimmi) ei nella destra il brando,
o il pacifero ulivo? A lui si diero
parole il dì; ma, nella infida notte,
al suo partire, insidiosa morte
se gli apprestò di furto. Ei soggiacea,
misero! se men prode era, ed invitto.
Quanto accadde al mio messo, assai mi accenna,
che in questa reggia alta ragion fian l'arme.
Giocasta
Deh! ciò non dir: non v'hai tu madre in questa
reggia? e, finché ve l'hai, ti estimi inerme?
Ecco il tuo scudo, miralo, il mio petto;
questo mio fianco, che ad un tempo entrambi
voi già portò: deh! l'altro scaglia; ai nostri
caldi amplessi ei s'oppon; tacito dirne
par, che nemico infra nemici stai.
Eteocle
Né tu segno aspettar da me di pace,
se pria non apri il pensier tuo; se il dritto
pria non esponi, onde ti attenti in Tebe
suddito cittadin tornarne in armi.
Polinice
Narrar mio dritto a chi sol forza è dritto,
mal potrei, se con me forza non fosse.
Grecia il sa tutta; e tu nol sai? tu il chiedi? —
Io dirtel vo': regnasti; e or più non regni.
Eteocle
Folle, il saprai, s'io regno.
Polinice
Hai scettro, e nome
finor di re; fama non n'hai, né fede.
Io che non son spergiuro, a te il mio trono,
volto l'anno, rendea: di', non giurasti
tu pur lo stesso? Il mio giurar mantenni;
il tuo mantieni. — Il mio retaggio chieggo:
fratel, se il rendi; aspro, implacabil, crudo
mi avrai nemico, ove tu il nieghi. — Espresso
eccoti, e chiaro il pensier mio. La terra
parla, ed il cielo, in mio favor; sì, il cielo,
già testimon dei giuramenti alterni,
seconderà questo mio brando, io spero;
e lo spergiuro ei punirà.
Eteocle
Gli Dei
che chiami or tu de' tuoi delitti a parte?
L'armi fraterne hanno in orror: fia segno
a lor vendetta chi primier le strinse.
Polinice
Perfido, il nome or di fratel rammenti?
or, che mi sforzi alla fraterna guerra,
ne senti orror? Ma, non sei tu quel desso,
che orror di spergiurarti non sentivi?
Quest'armi inique, il mancator di fede
primo le stringe. È tua la guerra; è tuo,
di te solo è il delitto...
Giocasta
Alme feroci,
questa è la pace? — Uditemi, ven priego,
udite...
Eteocle
In trono io seggo; io re, ti dico,
che fin che Adrasto e gli Argivi abborriti
stringon Tebe, di pace io no, non odo
proposta niuna; e te non soffro innanzi
al mio regio cospetto.
Polinice
Ed io, rispondo
a te, che il trono usurpi, e re ti nomi;
rispondo io qui, che rimarran gli Argivi,
ed io con lor, se non attieni pria
tuo giuramento tu.
Eteocle
Madre, tu l'odi:
odi mercé, che a' suoi delitti implora. —
Che fai tu in Tebe? Escine dunque.
Polinice
In Tebe
me rivedrai; ma in altro aspetto: agli empi
apportator d'inevitabil morte.
Giocasta
Empi, voi soli; ed io, che a voi son madre.
Or via si ammendi il fallo mio: quel ferro
volgete in me; son vostro sangue anch'io.
Emuli al male oprar, d'Edippo figli,
nati al delitto, ed al delitto spinti
dalle furie implacabili, qui, qui
torcete i brandi; eccolo il ventre infame,
stanza d'infame nascimento. Ucciso
non il fratel, da voi la madre uccisa;
ben altro è il fallo; è ben di voi più degno.
Eteocle
Strano a te par quanto a lui chieggo?
Polinice
E ingiusto
nomi il mio diffidare?
Giocasta
E ingiusto è forse
il mio furor? — Non del richiesto regno,
t'irrìti tu; ma perché in armi è chiesto?
E tu, non stringi ad altro fin quell'armi,
che ad ottenere il regno tuo per l'anno? —
L'un dunque il brando, il non suo scettro l'altro
deponga qui: mallevador fra voi,
se giuro io ciò che già voi pria giuraste,
chi smentirmi ardirà?
Eteocle
Non io, per certo. —
Madre, tu il vuoi? perdonerogli io dunque
l'oltraggio, a Tebe, ed a me, fatto. Ei primo
ceda; ei fu primo ad assalirci. Appena
i nostri campi avrà dall'oste sgombri,
ed ei fia il re. Dargli ben voglio il trono,
non, ch'ei mel tolga. E mel potrebbe ei torre,
finché di sangue in me riman pur stilla? —
Scegli omai tu: me presto vedi a tutto:
ma, se tra noi rotta è la pace, il sappi,
che ria cagion sol ne sei tu: ricada
l'orrore in te d'iniqua guerra, e il danno.
SCENA IV
GIOCASTA, POLINICE
Polinice
E il tuo voto si adempia: ira del cielo
piombi sul capo mio, se in me sincero
non è il desio di pace!...
Giocasta
Amato figlio,
creder tel deggio?
Polinice
Madre, altro non bramo,
che risparmiare il teban sangue; ed altro
non brama Adrasto. È ver, che ad Argo il piede,
bench'io il volessi, ei volger niegherebbe,
se pria tener non mi vedesse in Tebe
l'avìto scettro.
Giocasta
Oimè! Primier tu dunque
ceder non vuoi?
Polinice
Nol posso.
Giocasta
A te chi 'l vieta?
Polinice
Prudenza.
Giocasta
In me non fidi?...
Polinice
In lui, non fido:
già m'ingannò.
Giocasta
Se disgombrar tu nieghi
Tebe dall'armi, io crederò che fama
di te non mente; e che, a rovina nostra,
con Adrasto novelli empi legami
di sangue hai stretti; e che funesta dote
tu richiedesti al suocero, la guerra.
Polinice
Duro mio stato! Il cor squarcianmi a gara
quindi la sposa, e il fanciul mio, piangenti,
che amaramente dolgonsi del loro
tolto retaggio; quinci alta pietade,
madre, di te mi stringe, e dell'afflitta
egra patria tremante... Eppur, deh! pensa;
ben tel vedi; che pro, s'io rimandassi
i guerrier miei? già non saria men vero,
che se il fratello cede, al timor cede,
non al mio dritto. Or, qual v'avria guadagno
pel suo superbo onore? Ei lunge (il credi)
la forza vuol, perché sol forza il doma.
Giocasta
E tu adoprarla vuoi, perché ti assolve
la forza poi da ogni altro patto.
Polinice
O madre,
sì mal conosci i figli tuoi? — Ben sai;
nasceamo appena, e mi abborria 'l fratello:
nell'odio ei crebbe; e in lui dentro ogni vena
l'odio col sangue scorre. È ver, non l'amo;
che amar chi t'odia, ell'è impossibil cosa;
ma nuocergli non vo'; pur ch'io non paia
soffrir suoi scherni, e Grecia non mi vegga
vil sostener tacendo oltraggi tanti.
Giocasta
Odi virtù! Pregiar Grecia ti debbe,
perché al fratel di te peggior non cedi? —
Sublime fin d'ogni tuo voto è dunque
di Tebe il trono? Oh! non sai tu, che in Tebe
sommo infortunio è il trono? Il pensier volgi
agli avi tuoi: qual ebbe in Tebe scettro,
e non delitti? Illustre certo è il seggio,
dove Edippo sedea. Temi tu forse,
non sappia il mondo ch'ebbe figli Edippo? —
Virtude hai tu? lascia a' spergiuri il trono.
Vuoi tu vendetta del fratel? ch'ei venga
in odio a Tebe, a Grecia, al mondo, ai Numi?
Lascia ch'ei regni. — Anch'io, sul soglio nata,
miseri giorni infra sue pompe vane,
giorni di pianto, ogni più oscuro stato
invidiando, io trassi. — Oh fero trono!
ch'altro sei tu, che un'ingiustizia antica,
ognor sofferta, e più abborrita ognora?
Mai non t'avess'io avuto, onor funesto!
ch'io non sarei madre or d'Edippo, e moglie;
ch'io non sarei di voi, perfidi, madre.
Polinice
Mortalmente mi offendi! E che? del regno
minor mi tieni? Ah! non è, no, il mio fine
il crear legge ogni mia voglia, il farmi
con finto insano orgoglio ai Numi pari;
non è il mio fin, benché regnar si appelli.
Se in me virtù nei lieti dì non vana
parola ell'era; or, negli avversi, sappi
ch'io più cara la tengo. Adrasto in Argo
scettro m'offre: se regno io sol volessi,
già regnerei.
Giocasta
Più che ottenere il regno,
dunque abbi caro il meritarlo, o figlio.
Spero, l'avrai; ma pur, s'ambo c'inganna
il tuo fratel, di chi è l'infamia, dimmi;
di chi la gloria? A mie ragioni, ai preghi,
al pianto mio, deh! cedi; al pianto cedi
della infelice patria tua: vorresti,
pria che in Tebe regnar, distrugger Tebe?
Polinice
Tel dissi io già: guerra non vo'; ma giova,
più certa pace ad ottener, la forza.
Giocasta
Ami la madre tu?
Polinice
Più di me l'amo.
Giocasta
Sta la mia vita in te...
SCENA V
CREONTE, GIOCASTA, POLINICE
Giocasta
Creonte, ah! vieni;
compi di vincer questo; all'altro io corro.
Qual cederà di voi? tu; se rammenti
che da te sol pendon la madre, e Tebe.
SCENA VI
POLINICE, CREONTE
Creonte
Misera madre! oh quanto io la compiango!...
Mal suoi figli conosce. Oh! sol da questo,
pendesse pur! lieta ella fora. — Or, dimmi;
tu dunque cedi: al tuo fratel ti affidi...
Polinice
Nulla per anco è in me di fermo: assai
mi spiace, è ver, l'udir nomarmi in Tebe
nemico; e duolmi di fraterna rissa
l'eccitator parervi: eppur, che deggio,
che farmi omai?
Creonte
Regnare.
Polinice
E aver poss'io
qui, senza sangue, regno?
Creonte
— Io te solea
fin da bambino tener quasi figlio:
ben vidi io sempre in te l'indol migliore;
e alla fra voi pendente madre, oh quante
volte osservar la fea! — Cor non mi basta
or d'ingannarti, no. — Non avrai regno
qui, senza sangue.
Polinice
Oh ciel!...
Creonte
Ma sceglier puoi:
sta in te; poco versarne, o assai...
Polinice
Che ascolto?
Ben era questo il mio timor da prima.
Soltanto io dunque ho dell'error la scelta?...
No, mai non fia, no mai: tanti, e sì sacri
dritti coll'armi (ah!) violar non voglio;
e sia che può: mezzo non voglio iniquo
a ragion giusta. In Argo torni Adrasto;
solo, ed inerme, io rimarrommi in Tebe.
Creonte
Ottimo sei, qual ti credea; tuoi detti
io ben commendo: ma, poss'io lasciarti
sceglier tuo danno, e il nostro?
Polinice
E certo è il danno?
Creonte
Di': conosci Eteòcle?
Polinice
Il so; mi abborre,
quanto ama il trono, e più; ma parmi, o forse
lusinga ell'è, che mal suo grado io trarlo
a generoso oprar con generosi
modi potrò: vergogna anco può molto;
Tebe avremo, e la madre, e Adrasto, e il mondo
qui testimoni oggi fra noi...
Creonte
Ma, i Numi
nol fur già pria? Che parli? e madre, e Numi
schernisce l'empio, e Adrasto, e Tebe, e il mondo.
Mi è forza omai chiaro parlarti. — Stringe
spergiuro re con ferrea man lo scettro
di Tebe: orror di tutti, e vita e regno
avria perduto ei già, se in sua difesa
non vegliasse il terrore. Ultima speme
eri ai Tebani tu: l'oppresso volgo
termine a' mali suoi quel dì credea,
che te più mite risalir vedrebbe
sul soglio avìto... Or, che sperar?... Quel giorno
mai non verrà.
Polinice
Mai non verrà? Fia questo,
fia questo il dì.
Creonte
Forse, fia questo... Ahi giorno!...
Prence infelice!... Altri ti usurpa il seggio;
né il riavrai, finch'egli ha vita. — Ah! credi;
già ti si ascrive il chiederlo, a delitto:
già...
Polinice
Qual raccendi in me furor novello,
quando a gran pena a mitigar l'antico
io cominciava?
Creonte
Il re giurò poc'anzi,
ed io l'udii, ch'ei non morria che in trono.
Polinice
Ma spergiurar suol egli; e fia spergiuro
questa fiata; io tel prometto. — Iniquo,
vivrai, ma non sul trono.
Creonte
Invan lo speri:
via non ti resta a risalirvi omai,
se non calcando il tuo fratello estinto.
Polinice
D'orror tu m'empi: io nel fraterno sangue
bagnarmi? Agghiaccio al rio pensier... Funesta
corona infame, oh! sei tu grande tanto,
che a comprar t'abbia così gran misfatto?
Creonte
Se il regno solo toglierti ei volesse,
poco sarebbe; ma tant'oltre è scorso
l'odio, e lo sdegno snaturato in lui,
che all'un di voi, vita per vita è forza
pigliarsi, o dar...
Polinice
Non la sua vita io voglio...
Creonte
La tua darai.
Polinice
S'anco qui solo io resto,
il cielo, il brando, e il mio valor, son meco;
né a lui facile impresa aver mia vita
fora...
Creonte
Il valor contro all'iniqua fraude
che può? Qui aspetti generoso sdegno?
Polinice
Insidie a me si tendon dunque? Oh! parla;
svelami...
Creonte
Oh ciel!... Che fo?... Ma pur... S'io il dico,
e nol previeni tu, vittima cado
io del tiranno, e te non salvo.
Polinice
A farmi
vil traditore il rio terror non basta
d'un tradimento. Parla: o mezzi avravvi
onde salvarmi; o ch'io cadrò; ma solo,
io sol cadrò.
Creonte
... Tu, spergiurar non sai... —
Osi tu sacra a me giurar tua fede
d'orrido arcano, ch'io mi appresto a dirti?
Polinice
Sì; per la vita della madre io 'l giuro;
mi è sacra, il sai: parla.
Creonte
... Ma, questa è reggia,
e a noi nemica reggia;... a lungo forse
qui troppo io già ti favellai... Me siegui;
altrove andianne...
Polinice
E dal tiranno in Tebe
havvi loco securo?
Creonte
I tanti suoi
accorgimenti con molt'arte è forza
deluder. Quinci esce segreto un calle,
che al tempio giva, or disusato; andiamvi.
Tutto colà saprai: vieni.
Polinice
Ti seguo.
ATTO III
SCENA I
ETEOCLE, POLINICE
Eteocle
Visto l'hai tu quel Polinice? estimi
ch'ei, quant'io l'odio, m'odi? Ah! no; ch'io troppo,
troppo lo avanzo in ogni cosa.
Creonte
Ei pago
non è di odiarti; a scherno anco ti prende.
Già suo pensier cangiò; della fraterna
pace, dic'ei, vuol testimoni in Tebe
gli Argivi aver; per più nostr'onta, io credo.
Né sgombrar li vedrem, s'esul tu pria
di qui non vai. Vedi, riman brev'ora
a prevenir l'un l'altro; e qual dà tempo,
svenato cade. È chiaro omai, ch'ei vuole
i tuoi rifiuti a forza: in alto il brando
fatal ti sta su la cervice; il segno
darai tu stesso di vibrarlo? T'era
util finor soltanto, or ti s'è fatta
necessaria sua morte.
Eteocle
All'odio, all'ira,
e alla vendetta sospirata tanto,
pur ch'io dia fin ratto e sicuro. In campo,
spento costui, pari alla causa io poscia
il valor mostrerò. — Rimani, o Adrasto,
all'assedio di Tebe; il vedrai tosto,
com'io nel campo un tradimento ammendi.
Creonte
Stanno in campo gli Argivi appien securi,
nella tregua fidando: a chi improvviso
gli assal, fia lieve aspro macello farne.
Orrido dubbio a lor timore aggiunga:
nulla sapran di Polinice...
Eteocle
Nulla?
Tutto sapranno; e in lor così ben altro
sarà il terror. Si mostri ad Argo in alto
del traditor la testa; atro vessillo,
d'infausto augurio a lor soltanto; a noi,
presagio, e pegno, di compiuta palma.
Creonte
Di rimandar l'oste nemica in Argo,
dunque non fargli istanza omai. Sospetto
gli accresceresti, e invan: s'anco ei cedesse,
ch'esser non può, ten torneria più danno.
Adrasto appena i nostri campi avrebbe
sgombri, che poi, nel risaper la morte
data al genero in Tebe, assai più fiero
vendicator ritornerebbe, a ferro,
a fuoco, a sangue, il mal difeso regno
tutto mandando. Re, tu ben scegliesti:
dell'una mano al traditor gastigo,
dell'altra arrechi inaspettato, a un tratto,
guerra, terror, confusion, rovina.
Eteocle
Previsto men, terribil più fia il colpo.
Disponi tu verace guerra; io finta
pace... Ma vien la madre: andiam; se d'uopo
fu mai sfuggirla, è questo il dì.
Creonte
Si sfugga.
SCENA II
GIOCASTA, ANTIGONE
Giocasta
Vedi? ei da me s'invola: or, della madre
anco diffida?...
Antigone
Usurpator diffida
di tutti sempre.
Giocasta
A noi sfuggire intento
ognor mi par, da che il fratello ei vide:
che mai pensar degg'io?
Antigone
Pensar, pur troppo!
ch'odio ei cova, e rancore, e sangue, e morte,
nel simulato petto.
Giocasta
A mal tu torci
ogni suo moto. Ei non ingiusti patti
in somma chiede: e se a' miei preghi, e a dritta
ragion (qual dianzi mel promise ei quasi)
oggi il fratello assediator si arrende;
non veggio allor, qual mendicar pretesto
potrebbe il re, per non serbar sua fede.
Antigone
Pretesti al re, per non serbar sua fede,
mancaron mai? Se Polinice il seggio
non dà per sempre ad Eteòcle, indarno
pace tu speri. Il solo trono omai,
se celar no, può d'Eteòcle alquanto
l'animo atroce colorar: quindi egli,
parte di sé miglior, vita seconda,
reputa il trono.
Giocasta
Eppur, mostran suoi detti,
che più di re la maestà gli cale,
che il regno: in somma, le minacce prime
da Polinice usciro.
Antigone
Offeso ei primo. —
Dissimulare invitto cor gli oltraggi
seppe giammai? D'ira, ma regia, pieno,
fervidamente Polinice esala
co' detti il furor suo: ma l'altro tace;
tace, e dattorno immenso stuol gli veggo
di consiglieri, onde ritrarre al certo
alti non può, né generosi sensi.
Iniqui vili havvi qui assai, che solo
aman se stessi; a cui, né il nome è noto
di patria pur; che al sol pensier, che in trono
salir può un re, che in pregio abbia virtude,
fremono, agghiaccian di terrore: e n'hanno
ben donde in ver; che mal trarrian lor giorni
sotto altro regno. Alla bramata pace,
madre, (tel dico, e fanne omai tuo senno)
invincibili ostacoli non sono
d'Eteòcle il lungo odio, o il breve sdegno
di Polinice: ostacol rio, son gli empi
di servil turba menzogneri accenti.
SCENA III
GIOCASTA, ANTIGONE, POLINICE
Giocasta
Figlio, in te spero; in te solo omai spero;
di vera pace (ah! sì) Tebe, la madre,
e la sorella che tant'ami, e tanto
ama ella te, tutti or ne vuoi far lieti.
Parla, non dico io vero? Ottimo figlio,
buon cittadin, miglior fratel non sei?
Adrasto in Argo a ritornar si appresta?
Polinice
Eteòcle di Tebe a uscir si appresta?
Giocasta
Che sento? A danno nostro, ad onta tua
udirti ognor degg'io pace negarmi,
o non volerla primo? Andrà (pur troppo!)
lontano anch'egli il tuo germano; andranne
esule, qual ne andasti: a eterno pianto
dal ciel, da voi, dannata io son; né fia,
che cessi mai. Ten pasci tu, del mio
pianto materno? Ah! di': non eri dianzi
tutto in parole pace?
Polinice
Or dalla pace,
più assai di pria, son lungi: e non men dei
chieder ragion; tal v'ha ragione orrenda,
che dir non posso; ma la udrai tra breve.
e scorreratti per l'ossa in udirla
di morte un gelo. Altro per or non dico,
se non che in Argo non ritorna Adrasto;
non parte ei, no. — Ben le superbe mura
della spergiura Tebe adito dargli
forse dovran tra le rovine loro,
tosto, e mal grado mio: ma, s'abbia il danno
chi a forza il vuol. Nel sanguinoso assalto
trovar la tomba anco poss'io; né duolmi;
purch'io non cada invendicato.
Giocasta
Ahi lassa!
E qual vendetta? e contro a chi?
Polinice
Vendetta
d'un traditore.
Giocasta
Il traditor fia quegli,
ch'empio in te nutre con supposte trame
lo sdegno, il diffidar: me sola credi...
Antigone
Madre, fratello, al mio terror soltanto
crediate or voi.
Giocasta
Che parli?... Al terror tuo?
a qual terrore?
Antigone
Ah! d'Eteòcle al fianco
sta consiglier Creonte; alto terrore
quindi a ragion...
Giocasta
Creonte?
Polinice
Ei sol pur fosse,
che a lui consigli!... Io ben mel so... Creonte...
senz'esso,... ah! forse,... a ria vendetta...
Giocasta
Oh cielo!
Qual parlar rotto! qual bollor di sdegno!
Che mi nascondi? parla.
Polinice
Io no, nol posso.
Come tacer, così obbliar potessi,
così ignorar l'infame arcano! Il meglio
fora ciò per noi tutti; un sol delitto
vedriasi allor: meglio è morir tradito,
che vendicato. Eppur saperlo, e starsi,
chi 'l puote?... Oh qual di sangue scorrer veggio
orribil fiume! oh quali stragi! oh quante!...
L'amistà di Creonte un don mi fea
funesto...
Antigone
Or sì, fratello, or sì davvero
compiango io te. Che di'? nunzia è di morte
del rio Creonte l'amistà.
Giocasta
Finora
per Polinice, è ver, pender nol vidi:
ma che perciò? Figlia, osi tu?...
Polinice
Creonte
pende per me, per la mia giusta causa,
assai più ch'altri.
Antigone
Ei vi tradisce tutti;
ed io vel giuro: ei si fa giuoco, il crudo,
di voi, de' dritti vostri.
Giocasta
Onde tai sensi?
Che ardisci tu? Non m'è fratel Creonte?...
E a' suoi nepoti?...
Antigone
Ahi! troppo io tacqui, o madre;
ed or, non parlo a caso. Emon gli è figlio,
a quel Creonte, a cui tu sei sorella;
noto gli è il padre; e pur mi disse ei stesso...
Che val? Di nuovo il giuro, ambi ei v'abborre:
al trono aspira; e qual, qual v'ha misfatto,
che al trono adduca, e non s'imprenda in Tebe?
Giocasta
Nol creder, no... Ma pur, chi sa?... Mancava
questo a tant'altri orrori!...
Polinice
Ove l'incauto
piede inoltrai? Qual laberinto infame
di perfidia inaudita! Io qui, tra' miei,
annoverar deggio i più feri atroci
nemici miei? — Ma voi, ch'io ascolto; voi,
che in amica sembianza a me dintorno
rimiro; oh ciel! chi 'l sa, se in voi si annida
inganno, o fé? chi 'l sa, se in voi non entra
il pensier di tradirmi? A me tu madre;
sorella tu: ma che perciò? son sacri
tai nomi, è ver; ma son pur troppo in Tebe
tremendi nomi. A me fratel non era
l'usurpator? Creonte, zio non m'era? —
Ahi dura reggia, ov'io (misero!) i lumi
alla odiata luce aprìa! congiunti,
quanti ne serri infra tue mura infami,
tutti a me son di sangue; ed io di tutti
sono il bersaglio pure. Esul tanti anni,
or mi ritrovo in mezzo a' miei straniero:
ovunque io giri incerto il guardo, (ahi vista!)
un traditor ravviso. Ogni pietade
è morta qui. Che cerco io qui? che aspetto?
a che rimango? qual più orribil morte,
che nel sospetto vivermi tra voi? —
Ben io mel sento; al nascer mio voi sole,
voi presiedeste, o Furie; al viver mio
voi presiedete or sole: a qual sventura
me riserbate? a qual delitto?... Oh! forse
me dall'Averno respingete, o Erinni,
perch'io finor men empio son di Edippo?
Giocasta
Degno figlio d'Edippo, anco la madre
di tradimento incolpi? Invocar osi
del tuo natal le Furie?...
Polinice
Altri si denno
Numi in Tebe invocar?...
Antigone
Fratello...
Giocasta
Figlio...
Polinice
Argo, patria mi fia miglior di Tebe:
spenta non è la fede in Argo: io vivo
securo là, dove nomar non mi odo
fratel, né figlio.
Giocasta
Or va'; ritorna, vola
in Argo dunque; e sol ti affida in Tebe
a chi t'inganna.
Polinice
Al par mi affido in Tebe
a chi mi abborre, ed a chi m'ama... Oh crudo
dubbio, per cui, pur di me stesso incerto,
tremante io vivo! Io non ho regno, e tutte
di re le smanie provo; il rio sospetto,
il vil terror, la snaturata rabbia.
Oh del mio cor non degni, orridi affetti,
cui non conobbi io pria! perché voi tutti
sento in me tutto? In Tebe altro più vero
tiranno v'ha: l'empio suo petto stanza
miglior vi fia; lui, lui squarciate a gara:
pace non goda ei fra delitti; pace,
che a me si vieta.
Antigone
Placati; ci ascolta:
di madre il cor col tuo parlar trafiggi.
Quanto più mai figlio e fratel si amasse,
ti amiamo entrambe.
Giocasta
In te rientra; io voglio
pure obliar tuoi rei sospetti. Ah! nulla
tacer mi dei; parla, figliuol; ti stringa
di me pietà. L'orrido arcano svela,
che nel petto rinserri; io forse...
Polinice
Oh madre!...
custodirlo giurai; sacra ho la fede:
pria che spergiuro, estinto. — In Tebe strana
virtù parrà: tal non mi par: di Tebe
non vo' i suffragi; i miei vogl'io.
Giocasta
Giurasti
a un tempo il morir mio? Perfido, il voto
adempi; taci; e mille morti e mille
dammi, non ch'una: incerto lascia il core
di palpitante madre; ella non sappia
qual serberà, qual perderà de' figli:
niegale tu d'ambo salvargli il mezzo.
Antigone
Più antico e sacro è di natura il dritto,
e inviolabil più.
Polinice
Chi primo il rompe?
Giocasta
Ti assolve il ciel d'ogni tua fé, se rotta
può risparmiar sangue, e delitti.
Polinice
E il sangue
di un traditor perché risparmiar dessi?
Si versi pur, ma in campo: usi gl'inganni
lo ingannator, che ben gli sta: brev'ora
gli avanza a tesser frodi.
Antigone
O fratel mio,
mi amavi un dì; ma, se per me non vale,
per la consorte tua, più di noi tutti
da te amata, ten prego; e pel tuo dolce
fanciul, cui nomi lagrimando; ah! frena
l'empia vendetta, io ti scongiuro: il trono
lasciargli vuoi di sangue e di delitti
contaminato? ah! non puoi sangue in Tebe
versar, che tuo non sia.
Giocasta
Sovra il tuo capo
ricade in Tebe ogni vendetta: arretra
dal precipizio, a cui sovrasti, il passo;
n'hai tempo ancor: se insidiato sei
dal fratel, (ch'io nol credo) ogni sua trama,
che a me sveli, tu rompi; e così togli
il mezzo a te d'ogni vendetta. O figlio,
qual sia il delitto, nel fraterno sangue
mai non si ammenda.
Polinice
E di costui fratello
perché mi festi?
Giocasta
E perché assai più iniquo
esser di lui vuoi tu?
Polinice
Madre, mi squarci
il core... Udir tu vuoi?... Fors'è menzogna...
fors'anco è doppio tradimento;... forse...
chi creder qui?... Vi lascio. — Addio.
Giocasta
T'arresta.
Antigone
Ecco Creonte.
SCENA IV
CREONTE, GIOCASTA, ANTIGONE, POLINICE
Giocasta
Ah! vieni; ah! d'un tremendo
dubbio orribile trammi... Esser può mai?...
Dimmi...
Creonte
Letizia, e vera pace io porto:
donne, asciugate il ciglio. È Polinice
il nostro re. — Primo a prestarten vengo
l'omaggio...
Polinice
A me ne fia lo augurio lieto:
chi, più di te, vedermi brama in trono?
Giocasta
Vero parli?
Creonte
Sgombrate ogni sospetto;
cacciato io pure ogni sospetto ho in bando:
Eteòcle cangiossi; e omai...
Polinice
Cangiossi
Eteòcle? — Creonte, a me tu il dici?
Creonte
Svanì per or la trama.[1]
[1] Sommessamente a Polinice
[Chiudi] — È ver, che vani
a piegarlo pur troppo eran miei sforzi,
s'altra non si aggiungea ragion più forte.
Mormora in Tebe ogni guerriero, e viene
ritroso all'armi a pro di un re spergiuro.
Il mal talento universal lo stringe;
nol dice ei già; ma, chi nol vede? è vinto
dalla necessità; pur d'alti sensi
velarla vuole.
Giocasta
Assai ti udia diverso
già favellar di lui.
Creonte
Temprare il vero
spesso in molli lusinghe al re mi udisti;
nol niego io, no: ma il favellargli aperto
concede ei mai? Dura, e non nobil arte,
pur l'adulare oprai; s'io nol facea,
con più danno di tutti, altri il facea.
Or vedi, a trarlo al dover suo, non poco
giovò l'avermi cattivato io pria
così il suo core. — Infra brev'ora ei vuole
voi ragunar qui tutti; e il popol anco
vuol testimonio, e i sacerdoti, e l'are
de' sommi Dei: qui, tra gran pompa, in trono
riporti ei stesso...
Giocasta
Oh ciel! ch'io debba tanto
sperare? Ah! no: mi lusingò fallace
mille volte la speme, e mille volte
delusa m'ebbe.
Creonte
Omai, che temi? è l'opra
compiuta già; manca il sol rito: io pure
temer potrei, se in sua virtù dovessi
sol mi affidar; ma in suo timor, mi affido.
De' Tebani ei non ha, né il cor, né il braccio:
ciò che a lui toglie il susurrar di Tebe,
vuol parer darti; e in ciò il compiaci.
Polinice
— Io 'l voglio.
Antigone
Ah! no; diffida. In cor sento un orrendo
presagio...
Polinice
In breve, tornerem qui tutti.
Giocasta
Ed io pur tremo...
Antigone
Ahi lassa me!
Polinice
Non io,
non tremo io, no; ch'io mai nol seppi. È giusto,
sacro è il mio dritto: avrò per me gli Dei. —
Questo mio brando, in lor difetto, avrommi.
ATTO IV
SCENA I
ETEOCLE, GIOCASTA, POLINICE, ANTIGONE, sacerdoti, popolo, soldati
Giocasta
Numi, se è ver, che della pace il fausto
giorno sia questo, a me l'ultimo ei splenda!
Troppo ardir fora altri implorarne io poscia;
e il mio sperar soverchio anco di questo...
ma, Creonte?...
Eteocle
Ei verrà. — Mi offendi, o madre,
se omai tu temi: io voglio, anch'io, la pace,
non men di te; poich'io la compro, e in prezzo
ne do il mio regno. Io 'l cedo, il regno io cedo;
che a me finor tolto non era. Eppure
mendace andranne ingiuriosa fama,
ch'io difender nol seppi. Il ver si sappia:
serbar nol volli; e non più a lungo incerta
tenerti, o madre, infra temenza e speme.
Al mio oprar sola norma è la salvezza,
e il ben di tutti vero. Ancor rammento,
apprezzo ancor di cittadino io 'l nome;
e il mostrerò; forse di tale ad onta,
che i dritti calca della patria sacri
con piè profano. — Io mai, no mai, più degno
né mi estimai, né il fui, di premer questo
mio seggio, ch'oggi; oggi, nel punto istesso,
in cui dal trono io volontario scendo.
Polinice
Alti sensi, alto core! — Ed io terrotti
magnanimo qual parli; e il sei tu forse.
Nostr'opre, e il tempo, il mostreran, se pari
noi siam del tutto. — Io dirti so, che il trono
mai non mi parve men pregevol ch'oggi;
oggi, che il debbo io racquistare. Io primo
non son motor di pace; eppur nel core,
più ch'altri forse, e fin nel brando, ho pace. —
Se in Argo ancor non rimandai gli Argivi,
tu la cagion appien ne sai...
Eteocle
Che parli?
donde saperla? entro al tuo cor chi legge?
Terrai lo scettro; e fia, che allor si mostri
l'eroe, quant'è. Più che nol sembri, o sei,
grande vorria tu fossi a pro di Tebe. —
Mai non può vile invidia in me la pace
intorbidar dell'alma: assai mi giova,
se a Tebe giova, il tuo regnare: andarne
bench'esul debba io dalla patria, sempre
dividerò con essa al par l'avversa,
e la prospera sorte; io, maggior sempre
del mio destino (e sia qual vuol) sarommi:
e, in qual sia terra il ciel mi ponga, i Numi
offrir pel regno tuo voti mi udranno.
Polinice
Il duro esiglio anch'io provai, disgiunto
da quanto havvi tra noi mortali in terra
di sacro e caro. Ove più fera pena
d'ogni più crudo esiglio a te non fosse
il vedermi oggi sovra il già tuo soglio,
io t'offrirei, nella mia reggia, in Tebe,
inviolabile asilo: ma, l'udirti
appellar tu suddito mio, qui, dove
regnasti a lungo, al tuo gran cor fia troppo...
Eteocle
L'alterna legge appien tra noi si osservi:
potria qui forse or la presenza mia
destar tumulti, e mal mio grado. In Tebe
privati giorni in securtade trarre
potrei, s'io nullo, oltre al fratel, vi avessi
da temer; ma il sospetto, ognor natura
fassi, in cor di chi regna: e (assai pur n'abbia)
virtù mai tanta un re non ha, che al tutto
cacci la iniqua diffidenza in bando:
sul trono anch'ella, e di lusinga al pari,
siede al regio suo fianco. — Io no, non debbo
qui rimaner; non pel riposo tuo,
non pel riposo mio. Parto: men desti
l'esemplo già: — sol nell'uscir di Tebe
spero imitarti; ma in tutt'altra guisa,
che tu nol fai, tornarvi.
Polinice
E giusta speme
nudrisci in te; speme, che mal tuo grado
mostra, che me spergiuro esser non tieni;
e che ben sai, che a rammentar mia fede
d'uopo il brando non è.
Giocasta
Che ascolto, o figli?
Oh quali accenti! oh ciel! tralucer veggo
ad ogni detto, ad ogni cenno, in voi
la non estinta e mal celata rabbia. —
Questo il giorno non è, non l'ora questa
da voi prefissa a terminar le inique
contese vostre? e non è questo il loco,
ove il già rotto giuramento or dessi
rinnovellar con miglior fede? Oh! quanto
mal co' mordaci detti opra sì fatta
s'incomincia da voi! ciascun di pace
sul labro ha il nome, e in sen la guerra acchiude:
ciascun vuol fé; nessun minacce vuole;
ma ognun minaccia, e ognun sua fede niega:
e, già pria di giurar, spergiuri forse...
Or via, che vale il differir, se tali
non sete voi?
Eteocle
Saggio consiglio: or via,
a che protrarre il desiato istante?
A che innasprir non ben sanata piaga? —
Io, col contender più, tor non mi voglio
gloria, ch'è mia pur tutta; a chi mi apporta
guerra mortal, dar pace. — Olà; si arrechi
la sacra tazza a noi; si compia il rito
degli avi nostri. — Madre, oggi secura
te, la sorella, e la mia patria afflitta,
e al fin voi tutti, oggi securi faccia
il giuramento alterno. — Ecco la tazza,
fratello; il vedi, a te primiero io l'offro.
Pien di sacro terror vi accosta il labro;
giura, di leggi osservatore in trono,
non distruttor, salirne; e render giura,
compiuto l'anno, al fratel tuo lo scettro.
Polinice
Ciò ch'io non tengo ancor, ch'io render giuri?
Giurar dei tu, di darmel pria; secondo
io, di renderlo.
Eteocle
Or di'; non sei tu quegli,
ch'onta minacci, e incendio, e strage a Tebe?
Chi, se non tu, rassicurar gl'incerti
suoi cittadini or può, per te dolenti
e sol per te? — Le madri sconsolate,
da te pendono; i vecchi, da te pendono;
e le tremanti spose, e la innocente
età, (mira) le supplici lor destre
sporgono a te. — Che indugi omai? ben vedi,
che aspettiam tutti, e sol da te, la pace.
Polinice
Questo, che or m'offri, è di amistà fraterna
il pegno adunque,... e di tua fede?
Eteocle
Il pegno,
sì, d'amistade sacro...
Polinice
Osi accertarlo?
Eteocle
Tu dubitarne?
Polinice
Ecco, ricevo io dunque
dal mio fratello... un fero pegno... infame,
ch'è del più orribil odio orribil pegno;
d'odio eterno fra noi, che sol nel sangue
d'ambi noi spento si vedrà. — Giocasta,
Antigone, Tebani, ecco la fede
d'Eteòcle: veleno è questo nappo.
Eteocle
Oh vil sospetto! Ahi mentitor!...
Giocasta
Che ascolto?
Dare al fratel sì atroce taccia ardisci?
Polinice
Lo ardisco io, sì. Per te lo giuro, o madre;
in questo nappo è morte: e invan non giuro,
madre, per te. Fera è la taccia, e atroce,
ma vera. — O tu, smentirmi vuoi? tu primo
osa libar la tazza: eccola: assento
io di berla secondo, e perir teco.
Eteocle
Forse, perché di traditor si debbe
a te la morte, un tradimento appormi
osi in faccia di Tebe? E che? per trarti
un vil sospetto, ch'a vil prova io scenda?...
Or va'; sospetto in te non è; tu il fingi
mal destramente... Io fratricida infame? —
E s'io pur dar la meritata morte
volessi a te, nelle mie man non sei?
A che la fraude, ove è la forza? In Tebe
re non son io finor? suddito mio,
te chi potrebbe alla terribil ira
del tuo signor sottrarre?...
Polinice
All'ira tua
sottrarsi, è lieve; alle tue fraudi orrende,
lieve non è. Suddito tuo, te posso,
te far tremare entro tua reggia; e teco,
i vili tuoi... Ma, di te conscio, ardire
non hai tu, no, di provocarmi a guerra...
Eteocle
Poiché ripigli il tuo furore, io tutto
il mio ripiglio: è testimon ciascuno,
che mi vi sforzi tu... — Lascia i pretesti:
scaglia da te la profanata tazza:
eterna guerra, odio mortal, giurasti;
eterna guerra, odio mortal, ti giuro.
Giocasta
— Sospendi alquanto ancora. — A me quel nappo.
donalo a me; sia pur di morte; io prima,
senza tremare, accosterovvi il labro. —
Felice me, se i Numi oggi fan pago
il mio lungo desir di morte! Io tolta
sarò così per sempre alla empia vista
d'atroci figli. — Il traditor fra voi
certo si asconde; ma, di voi qual fia?
soli il sanno gli Dei. — Possenti Numi,
in questo infausto orribil punto, io volgo
tutti i miei voti a voi: sta in quella tazza
il ver; sappiasi: dona; il dubbio cessi...
Polinice
Non fia, no, mai...
Antigone
Madre, che imprendi? — Ah, salda
tieni, o fratel, la tazza. — È questo un dono
d'Eteòcle; che fai? Deh! pria si cerchi
Creonte; ei sa tutti i delitti;... ei primo
ministro né...
Giocasta
Scostati; lascia; taci.
Stia Creonte dov'è; saper non voglio
nulla: sol morte io bramo;... e, d'un di voi
già nel turbato aspetto,... e nel fatale
silenzio, io leggo la mia morte. — Godi;
ecco, ti appago.
Antigone
Ah! cessa...
Polinice
O madre, indarno
speri il nappo da me...
Eteocle
Da te ben io,
il nappo io vo'. Dammelo: il voglio. — A terra,
ecco, la razza io scaglio: a un tempo è rotta
ogni pace fra noi. — Le infami accuse
smentir saprò, col brando mio, nel campo.
Polinice
Uso al velen, mal tratterai tu il brando.
Eteocle
Troppa ho la sete del tuo sangue.
Polinice
Il tuo
sparger primo potresti.
Eteocle
Entrambi, a gara,
nell'abborrito nostro sangue a un tempo
bagnar potremci in campo. Altra, ben altra
tazza colà ne aspetta: ivi l'un l'altro
beremci il sangue; e giurerem sovr'esso,
anco oltre morte di abborrirci noi.
Polinice
Punirti io giuro, e disprezzarti. Ah! degno
non fosti mai dell'odio mio; né il sei.
Cadrà con te l'abbominevol trono,
per te contaminato. In un potessi
strugger così della esecrabil nostra
orrida stirpe ogni memoria!...
Eteocle
Or, vero
fratello mio sei tu.
Giocasta
D'Edippo or figli
veraci siete, e figli miei. — Ravviso
le Furie in voi, che al nuzial mio letto
ebbi pronube già. Ma, il mio misfatto
già già voi state ad espiar vicini:
fia dell'incesto il fratricidio ammenda. —
Che più s'indugia, o prodi? a che ristarvi
dall'ire vostre omai?...
Eteocle
Madre, del fato
forza è l'ordin seguir: siam del delitto
figli; in noi serpe col sangue il delitto. —
Finché n'hai tempo tu, da me sottratti;
tosto, pria che il mio braccio...
Polinice
E ch'è il tuo braccio?
Eteocle
Fuggi, va', cerca entro al tuo campo asilo;
saprò colà ben io portarti morte.
SCENA II
CREONTE, ETEOCLE, POLINICE, ANTIGONE, sacerdoti, popolo, soldati
Creonte
Traditi siam; rotta è la tregua: Adrasto
le mura assal per ogni parte, e al suolo
adeguarle minaccia, ove non venga
immantinente in libertà riposto
fuor delle porte Polinice.
Eteocle
Adrasto
il traditor non è; ben io 'l conosco
il traditor: — di lui, di Adrasto a un colpo,
e di costui, vendetta aspra pigliarmi
potrei; chi mel torrebbe?... Ma, mel vieta
l'odio, che mal di un sol colpo fia pago. —
Polinice, di Tebe esci securo:
abbiti in pegno di mia fé l'ardente
brama, che in petto da che nacqui io nutro,
di venir teco al paragon dei brandi. —
Tu, Creonte, a morir pensa nel campo:
— Tra il ferro argivo e la tebana scure,
scelta ti lascio. Vieni.
Giocasta
Oh figlio!...
Eteocle
Indarno
ti opponi.
Giocasta
Odimi,... deh!...
Eteocle
Guardie, la madre
della reggia non esca. — Ostacol nullo
non resta omai: ti aspetto in campo.
SCENA III
GIOCASTA, POLINICE, ANTIGONE
Polinice
Al campo
io vengo. Trema.
Giocasta
Ei t'è fratello. Ascolta...
Polinice
Ei m'è nemico; ei mi tradì... Il mio onore...
Giocasta
L'onor, vieta i misfatti. Oh figlio! cessa...
Che imprendi?... Oh cielo!
Polinice
E che? mentre alla morte
corre Adrasto per me, qui degg'io starmi
fra i vostri pianti? Invan lo speri.
Giocasta
Il ferro,...
tu,... di tua man,... nel tuo fratello?...
Polinice
Io debbo
mostrarmi al campo: ivi onorata voglio
morte incontrar. Lui, che fratel mi nomi,
non cerco io là, né d'incontrarvel spero.
Tanto prometto. Addio.
Giocasta
Morir mi sento.
Antigone
Di te, di noi, pietade abbi...
Polinice
Mi è forza
esser sordo a pietade: io corro....
Giocasta
Ah! dove?...
Ti arresta...
Polinice
A morte.
Giocasta
Ei mi s'invola!...
SCENA IV
GIOCASTA, ANTIGONE
Giocasta
Ahi lassa!
Non li vedrò mai più!... Sola mi avanzi,
pietosa figlia... Ah! vieni; alla infelice
tua madre chiudi i moribondi lumi.
ATTO V
SCENA I
GIOCASTA
Giocasta
Antigone non torna. — Oh dura forza,
che qui rattiemmi! Io palpitante, e sola,
udir da lunge lo stridor feroce
deggio dell'empia pugna? e attender deggio
la compiuta esecrabile vendetta?...
Ahi vile! io vivo ancora? e ancora spero? —
Che sperar? nulla spero: ah! l'abborrito
mio viver, forza è del destin, che vuolmi
del fratricidio a parte pria, poi morta.
Misfatto in Tebe a farsi altro non resta;
e nol vedria Giocasta? — O voi, di Tebe
sovrani arbitri; o voi, d'Averno Numi,
che più tardate a spalancar gl'immensi
abissi vostri, ed ingoiarne? Io forse,
non son io quella, che al figliuol mio diedi
figli, e fratelli?... Ed essi, quegli infami,
ch'or bevon l'un dell'altro in campo il sangue,
frutto non son d'orrido incesto? Ah! tutti
siam cosa vostra; tutti. — Oh non più inteso
fero martìre! io tutti in me gli affetti
sento di madre, e d'esser madre abborro. —
Ma, che sarà?... Subitamente in campo
il fragor cupo dell'armi cessò...
Al suon tremendo un silenzio tremendo
succede... Oh reo silenzio! a me presago
di sventura più rea! Chi sa?... sospesa
la pugna han forse... Oimè!... forse a quest'ora
compiuta l'hanno. — Omai (lassa!) che debbo
creder, sperar, temer? per chi far voti?
qual vincitor bramar? — Nessuno: entrambi!
miei figli sono. O tu, qual sii, che palma
n'hai colto, innanzi (ah!) non venirmi; trema,
fuggi, iniquo; si aspetta al vinto intera
la mia pietade: ombre compagne, a Dite
noi scenderemo, ad implorar vendetta:
né soffrirò la vista io mai di un figlio,
che, sul fratello ancora semivivo,
d'empia vittoria il reo stendardo innalza.
SCENA II
ANTIGONE, GIOCASTA
Giocasta
Antigone... — Deh! taci... In volto impresso
ti sta il pallor di morte... Ahi!... tutto intesi:
quell'orribil silenzio...
Antigone
A orribil pugna
diè loco.
Giocasta
E, spenti i figli?
Antigone
Un sol...
Giocasta
Qual vive?
Ahi traditor! ti voglio io stessa...
Antigone
Il fero
lor duello vid'io dall'alte torri:
a terra immerso nel sangue cadeva...
Giocasta
Quale?... Oimè!... Parla.
Antigone
Eteòcle cadeva.
Giocasta
Così sfuggir volea l'atroce pugna,
così morir, quel Polinice? Ahi vile!
Tu saziar l'abbominevol rabbia
pur disegnavi, ed ingannar la madre:
ma, trema: io vivo ancor: quell'empio cuore
ch'io a te donai, strappar tel posso io stessa...
Antigone
Tutto ancora non sai: solo incolparne
Polinice non dei...
Giocasta
Ne incolpo il vivo;
ch'è reo sol ei...
Antigone
Chi sa, s'ei vive! — O madre,
se d'ascoltarmi hai forza, udrai che reo
men che infelice egli era. — Al campo appena
ei giunge, intorno a lui stringersi un fero
drappel di argivi eroi, che a gara il grido
annunziator della vittoria all'aure
mandan tremendo. Al pian per altra parte
sceso Eteòcle pria, battaglia quivi
in dubbio marte ardea; che Adrasto a fronte
gli stava e, pieno il cor d'alta vendetta,
Tidèo. Ma già ver l'aspra mischia ha volto
ratto il piè Polinice: a lui davante
vola il terror; Morte i suoi passi segue.
A destra, a manca, a fronte, in guise mille,
orride tutte, ei mille morti arreca;
né data gli è, quella ch'ei cerca. Innanzi
al suo brando già Tebe ondeggia, e cede,
e fugge; e spera obbrobriosa vita
mercar fuggendo. Ecco Eteòcle; ei balza
in furia fuori del fuggiasco stuolo;
e con voce terribile grida egli:
«A Polinice». A rintracciarlo ei corre
precipitoso; e il trova al fine...
Giocasta
Ahi lassa!
misera me!... L'altro nol fugge?...
Antigone
Ah! come
sottrarsi a tanto, a sì feroce orgoglio?
Eteòcle prorompe all'onte; il taccia
di codardo, e lo sfida; a viva forza
vuol ch'ei ne venga a singolar tenzone.
«Tebani,» (ei grida in suon tremendo) «Argivi,
dal reo furor cessate. Armati in campo,
prodighi a nostro pro del sangue vostro,
scendeste voi: fine alla pugna ingiusta
porrem noi stessi, in faccia vostra, in questo
campo di morte. E tu, ch'io più non deggio
fratel nomar, tu dei Tebani il sangue
risparmia; in me, tutto in me sol rivolgi
l'odio, lo sdegno, il ferro». — E il dire, e addosso
a lui scagliarsi, è un punto solo.
Giocasta
Infami!...
Ma che? libero dassi a tal duello
fra tante squadre il campo?
Antigone
A cotal vista
per l'ossa un gelo universal trascorre.
Mista, com'era allor, l'una e l'altr'oste,
stupida, immota, spettatrice, sta. —
Ebbro di sangue, e di furor, se stesso
nulla curando purch'ei l'altro uccida,
Eteòcle sul misero fratello
la spada, il braccio, sé tutto abbandona. —
A ribatter i colpi intento a lungo
sta Polinice; generoso, ei teme,
più che per sé, pel rio fratello; e niega
di ferir lui. Ma, poiché pur lo incalza,
e più lo preme l'altro, e più lo stringe;
«Tu il vuoi (grida egli) il ciel ne attesto, e Tebe».
Mentr'ei ciò dice, al ciel rivolti ha gli occhi,
scesa è la punta dell'acciaro; il colpo
guidan le Furie a trapassare il fianco
di Eteòcle, che cade. Il sangue spiccia
sovra il fratel, che a cotal vista, al petto
in se stesso ritorce il sanguinoso
brando fumante... Altro non vidi: al crudo
atto, mancar sentia quasi i miei spirti,
gli occhi appannarsi; e fuggendo, con passi
mal sicuri, a te vengo... — Oimè! qual fia
del lagrimevol caso, o madre, il fine?...
Giocasta
Degno di noi. — Cura ne lascia all'ira,
al rio furor degli spietati Dei. —
Ma, chi ver noi?... Che miro?... Oh ciel! vien tratto
il morente Eteòcle...
Antigone
Al debil fianco
gli fan colonna i suoi guerrieri!...
Giocasta
Oh! come
a lenti passi di morte ei si avanza!
Antigone
Che veggio? il segue Polinice!...
SCENA III
ETEOCLE, POLINICE, GIOCASTA, ANTIGONE, soldati d'Eteocle
Antigone
Ah! salvo
almen tu sei...
Polinice
Scostati: va': non vedi?
tinto son tutto del fraterno sangue.
Giocasta
Ahi scellerato, fratricida, infame!...
al cospetto venirne osi di madre,
cui trafiggesti un figlio?
Polinice
Al tuo cospetto
vivo tornar, no, non volea; quel ferro,
che tronca a lui la vita, in me ritorto
l'aveva io già con più adirata mano...
Giocasta
Ma tu pur vivi; ahi vile!...
Antigone
Oh ciel! Qual vita!...
Polinice
Inopportuno, a viva forza, Emone
mi tratteneva, e disarmava il braccio.
Forse mi vuol per altra man trafitto
il crudo fato. Oh! se la tua fia quella,
ferisci, o madre; eccoti il petto ignudo:
or via, che tardi? Io non ti son più figlio;
io, che ti orbai d'un figlio...
Giocasta
Ah! cessa omai
d'intorbidar nostri ultimi momenti. —
Eteòcle;... non m'odi?... oh!... non ravvisi
quella che al sen ti stringe?... è la tua madre;
ed è il suo caldo lagrimar, che misto
senti col sangue tuo rigarti il volto,
e lo squarciato petto. Or, deh! riapri
una fiata i lumi ancora...
Eteocle
Oh madre!...
dimmi;... in Tebe son io?
Giocasta
Nella tua reggia...
Eteocle
Di';... moro io re?... Quel traditor?... Che miro?
Fellon, tu vivi; ed io mi moro?...
Polinice
Il mio
sangue avrai tutto; ad acquetar tua fera
ombra, l'ho sacro io già. L'ira deponi;
tu stesso (il sai) volesti la tua morte:
tu furioso abbandonasti il petto
sovra il mio ferro... Ahi lasso!... Il fatal colpo
a te la vita, e (più che vita) ei toglie
l'onore a me. Pria ch'io punisca il fallo,
cui vien meno ogni ammenda, il tuo perdono
deh! mi concedi. Or che il mertai, non trovo
pena che agguagli il giusto odio fraterno.
Io non ti abborro, il giuro; ogni rancore
sgombrò dal petto mio l'atroce vista
del tuo sangue... Me misero! ben veggo,
che il mio pregar ti offende.
Eteocle
Oh!... che favelli?...
Figliuol di Edippo, a me perdon tu chiedi?
Perdon tu speri da un figliuol d'Edippo?
Giocasta
O figlio, e che? nell'egro petto alberghi
tant'ira ancora?
Eteocle
Han le feroci Erinni
nei nostri petti trono: ancor non sento
uscir la mia; né uscir dalle mie vene
sento col sangue l'odio... Oh rabbia atroce!
oh rio dolor!... tu vivi? e tu m'hai vinto?...
e premerai tu il seggio mio? — Deh! morte,
fa', ch'io nol vegga; affrettati...
Polinice
Il tuo seggio
mai non terrò, di nuovo io 'l giuro: ah! scendi
placato a Stige. Andrai del regio serto
fra le avìte scettrate ombre fastoso;
me reverente in atto ombra minore
vedrai fratello suddito. Gli ardenti
spirti alquanto racqueta: a' piedi tuoi
me vedi; il signor mio tu sei pur sempre.
Sol del perdono, anzi che a morte io corra,
ti scongiuro...
Giocasta
Ei l'ottenga; e tu, più grande
del tuo destin, deh! mostrati, Eteòcle.
Col perdonargli, rendilo più reo:
le tue vendette ai suoi rimorsi lascia...
Antigone
E ancor resisti? Oh duro cor! non cedi
ai preghi, al duolo, al pianto disperato
di quanto aver dei caro?
Giocasta
O figliuol mio,
non negare al fratel l'ultimo abbraccio.
Breve n'hai tempo; alla tua fama togli
tal macchia...
Eteocle
O madre, il vuoi?... Sta ben;... mi arrendo. —
Vieni dunque, o fratello, infra le braccia
del moribondo tuo fratel, che uccidi...
vieni,... e ricevi in quest'ultimo amplesso...
fratel,... da me... la meritata[2]
[2] Fingendo abbracciarlo, con uno stile lo trafigge
[Chiudi] morte.
Giocasta
Oh tradimento!
Antigone
Oh vista!... Polinice!...
Polinice
Sei pago tu?...
Eteocle
Son vendicato. — Io moro;...
e ancor ti abborro...
Polinice
Io moro;... e a te perdono.
Giocasta
— Ecco, perfetta è l'opra: empi fratelli,
figli d'incesto, si svenan fra loro:
ecco madre, cui nulla a perder resta. —
Dei, più iniqui di noi, da tutto il cielo
me fulminate a prova, o Dei non sete... —
Ma che veggio?... uno immenso orrido abisso
s'apre a miei piè?...
Antigone
Madre!...
Giocasta
Di morte i negri
regni profondi spalancarsi io veggio...
Ombra di Laio lurida, le braccia
a me tu sporgi? a scellerata moglie?...
Ma, che miro? squarciato il petto mostri?
e d'atro sangue e mani e volto intriso,
gridi vendetta, e piangi? — Oh! chi l'orrenda
piaga ti fe'? Chi fu quell'empio? — Edippo
fu; quel tuo figlio, che in tuo letto accolsi
fumante ancor del tuo versato sangue. —
Ma, chi altronde mi appella? Un fragor odo,
che inorridir fa Dite: ecco di brandi
suonar guerriero. O figli del mio figlio,
o figli miei, feroci ombre, fratelli,
duran gli sdegni oltre la morte? O Laio,
deh! dividili tu. — Ma al fianco loro
stan l'Eumenidi infami!... Ultrice Aletto,
io son lor madre; in me il vipereo torci
flagel sanguigno: è questo il fianco, è questo,
che incestuoso a tai mostri diè vita.
Furia, che tardi?... Io mi t'avvento...
Antigone[3]
[3] La rattiene; e Giocasta cade fra le sue braccia
[Chiudi]
Oh madre!...
FINE