Poveri noi

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Poveri noi

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

                                                                                                                       (detto Ezio)

24/04/2011

Personaggi:   11

Pasquale Rovinato

Checca Fona

Assunta figlia di Pasquale e Checca

Franco Danneggiato

Dina Mite

Umberto Danneggiato

Vincenzo Inguaiato, rapinatore

Rosario Inguaiato, rapinatore

Serafino Allalba, ingegnere del comune

Il conte Tommaso Precario

La contessa Laura Noncé

San Giovanni a Teduccio, Napoli. Una storia di indigenza che coinvolge due famiglie: la Rovinato e la Danneggiato. In primis, Pasquale Rovinato si trivrova al cospetto di due manigoldi che hanno appena svaligiato una banca. Non sapendo come nascondere il malloppo e come giustificare la propria presenza in quella casa, Vincenzo e Rosario si inventano uno stratagemma che è tutto un programma: fingono di essere i conduttori di un nuovo programma televisivo. Per vincere il premio finale, Pasquale non deve spendere nemmeno un soldo di quanto affidatogli dai due, e cioè due milioni di Euro, fino al loro ritorno che sarebbe avvenuto dopo un mese. Ma l’uomo non riesce a mantenere fede alla promessa. Anzi, alla fine perderà i soldic he verranno ritrovati dalla moglie di Franco. Dunque, la scena passa da casa Rovinato a casa Danneggiato. Quest’ultima è infestata dagli spiriti. La famiglia Rovinato vi si trasferisce ospite dei Danneggiato perché intanto casa loro crolla (era già vecchio stabile danneggiato dal terremoto). Vincenzo e Rosario scovano i Rovinato a casa Danneggiato e pretendono la restituzione dei soldi, ammettendo di aver inscenato quella farsa dei finti conduttori televisivi per nascondere i propri soldi. A questo punto, i due passano dall’essere rapinatori a rapitori e tengono in ostaggio parte delle due famiglie, più un personaggio (l’ingegner Serafino All’Alba che era in casa per svolgere il proprio lavoro). Alla fine i soldi si trovano. Già, ma che fine fanno?

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

            Un basso di San Giovanni a Teduccio, Napoli: salone di casa Rovinato. L’ambiente è spoglio. Si entra da una porta centrale (sempre aperta, perché rotta). A destra si va in cucina e camera da letto. A sinistra in bagno e stanzetta. A centro salone c’è una tavola con quattro sedie, più altre due sedie poste alle pareti. C’è una credenza a sinistra della porta d’ingresso e un appendiabiti alla destra. A terra nei due angoli ci sono due bacinelle.

ATTO PRIMO

1. [Pasquale Rovinato, Checca Fona, Franco Danneggiato, Dina Mite ed Assunta]

                  Seduti al centro ci sono Pasquale, Checca, Francesco, Dina ed Assunta.

Franco:    Cari miei, l’estate scorsa, che abbiamo passato alle Maldive, è stata grandiosa!  

Dina:        Sì, hai ragione, Franco. Non mi ero mai divertita tanto.

Checca:    E poi, il nostro yacht era equipaggiato con champagne della Borgogna. Divino!   

Pasquale: Invece, secondo me, è stato più bello il Natale trascorso a Cortina Un Pezzo.

Assunta:  Ma che “un pezzo”? Cortina D’Ampezzo. Comunque, concordo con te, papà!

Franco:    Sì, ma ora bisogna pensare alla prossima estate.

Pasquale: Io proporrei Portofino.

Checca:    Ma sai che è un’ottima idea?

Dina:        Sì, piace pure a me.

Franco:    Tu sei d’accordo, Assunta?

Assunta:  Sì, d’accordissimo!

Franco:    E allora, la prossima estate si va in vacanza a Portofino col nostro yacht!

Pasquale: E no, caro Franco, un’estate per uno. La scorsa estate è toccato al tuo yacht, la

                  prossima estate si va a Portofino col mio.

Franco:     Ma il tuo è più piccolo!

Pasquale: E allora me lo vendo e ne compro uno che è il doppio del tuo.

Franco:    Va bene, sono d’accordo.

                  Ad un tratto il silenzio assoluto. I cinque si guardano in faccia, dopodiché…

Pasquale: Vabbuò, basta, fernìmmele ‘e fa’ ‘e scieme!

Franco:    E sì. Turnàmme a essere comme simme nuje!

Pasquale: Noi non siamo come il conte Precario e la moglie. Io e Checca ci divertiamo solo

                  a sfrocoliarli ogni volta che li incontriamo.

Checca:    E quelli si pensano che nuje simme overamente genta ricca comm’a lloro! ‘A

                  contessa, po’, nun me chiamma Checca, sape ca io me chiammo Francesca!

Assunta:  Peccato! Però me stevo divertenno a ffa’ ‘a ricca!

Checca:    Purtroppo nun è cosa pe’ nuje.

Dina:        E già. Chesta è ‘a realtà nosta: ‘a miseria!

Franco:    (Guarda il proprio orologio) Vabbuò, a chistu punto s’è fatta l’ora ‘e mangià.

Dina:        Franco, ma comme, chillu rilorgio funziona?

Franco:    No!

Dina:        E allora comme faje a ssape’ che s’è fatta l’ora ‘e mangià?

Franco:    Pecché tengo famme!

Pasquale: E allora mangiamme.

Franco:    A proposito, grazie di averci invitati qua a pranzo, a me e a mia moglie Dina.

Pasquale: No, Franco, ma che ssò ‘sti ccose? Noi siamo vecchi amici. La mia famiglia e la

                  tua abbiamo deciso di organizzare queste cene del sabato per stare insieme.

Franco:    E già, è comme dice tu. E allora facciamo come al solito?

Pasquale: Facciamo come al solito: alla romana! Forza, alziamoci.

                  Pasquale, Franco, Dina e Checca si alzano in piedi. Assunta resta seduta. I due

                  uomini si frugano nelle tasche, le due donne nelle loro borse. Franco commenta.

Franco:    (Mette delle monete sul tavolo) Ecco qua, questa è la mia quota: 2 Euro e 80!

Pasquale: (Mette delle monete sul tavolo) Io tengo cchiù assaje ‘e te: 3 Euro e 20!

Checca:    (Mette delle monete sul tavolo) Io invece tengo sulo uttanta centesimi!

Dina:        (Mette delle monete sul tavolo) Io invece tengo duje Euro!

Franco:    Tutte ‘nzieme, amme apparate otte Euro e uttanta.

Pasquale: Assù, nun è che pe’ caso tenìsse coccosa pure tu?

Assunta:  (Si alza, desolata) Beh, stamattina tenevo 2 Euro. Però li ho dati in beneficenza!

Checca:    Disgraziata! ‘A beneficenza ce ll’anna fa’ a nujeche stamme ‘nguajate!

Pasquale: Vabbuò, lass’’a sta’, povera guagliona. Nun fa niente, magnamme cchiù poco.

Franco:    E sì, ce facimme ‘o solito pullasto già pronto. Poi lo dividiamo per 5!

Pasquale: E nun ce bevìmme niente?

Checca:    Accattamme ‘na Coca Cola ‘e duje litre.

Franco:    Perfetto! Allora, Assù, vai dal “pollarolo” qua fuori. Sta ancora aperto.

Assunta:   Aggia ì io?

Checca:    E certo. Tu nun he’ miso manco ‘nu centesimo. Almeno va’ a accattà ‘o magnà!

Assunta:   E vabbuò. Dàteme ‘e sorde. (Li raccoglie dal tavolo)

Franco:    Vai ass!

Assunta:   Vaiassa a me?

Franco:    No, vai ass: cioè, “ass” è ‘o diminutivo ‘e Assunta!

Assunta:   Ah, ecco. Io allora vaco. Con permesso.

                  Esce via di casa. Dopodiché, Pasquale commenta amaramente.  

Checca:    E questa è la povertà. Ci dobbiamo arrangiare.

Pasquale: Franco, Dina, e menu male che nun è venuto pure vostro figlio Umberto!

Franco:    E chillo è gghiuto a pranzo add’’a ‘nnammurata soja.

Dina:        E chi è?

Franco:    E chi ‘a sape? Nun me l’ha vuluto dicere pe’ paura che ce jeveme pur’io e te!

Dina:        A proposito, amici, tengo una bella notizia: ho trovato lavoro. ‘O marucchino ccà

                  ffora se n’è gghiuto e m’ha lassato ‘o posto. Vendo CD e DVD. Per ogni DVD  

                  venduto, guadagno 10 centesimi e per ogni CD 5 centesimi. Ma non è fantastico?

Franco:    (Imbarazzato da ciò detto da Dina) Ehm, amma magnà e bevere pe’ festeggià!

Pasquale: Allora jammece a lavà ‘e mmane. Tra poco mettiamo la tavola e si cena.

Checca:    Oh, finalmente.

                  I quattro escono a sinistra, confabulando tra di loro. 

2. [Serafino Allalba, poi Checca, Pasquale, Dina e Franco]

                  Dalla comune ecco l’ingegner Serafino Allalba (in abito gessato grigio. In mano

                  ha una cartellina). Si guarda intorno, parlando al cellulare con qualcuno.

Serafino:  Oddio, assessore, com’è messo male questo posto. Questa casa fu evacuata dopo

                  il terremoto dell’’80. Come ingegnere incaricato dal comune di Napoli, devo

                  testare questo tugurio e, se è il caso, abbatterlo. Eppure ho l’impressione che

                  qualcuno ci viva ancora. Se è così, deve andarsene. Però qui non vedo nessuno.

                   Forse questi saranno usciti per farsi una bella mangiata! La porta d’ingresso era

                   aperta, in quanto rotta! Va bene, allora la richiamo più tardi. A dopo. (Chiude il 

                   cellulare, apre la cartellina e si prepara a scrivere) Dunque, prendiamo nota.

                   Da sinistra entra e si ferma Checca con una tovaglia da tavola in mano. 

Checca:     Io vaco a mettere ‘a tov… (Si blocca ed osserva ed ascolta Serafino)

Serafino:  (Parla scrivendo) Ambiente degradato da evento sismico e usura del tempo. (Poi

                   picchietta su un muro) Mura di incerta resistenza e con lesioni gravi. (Guarda in

                   alto) Pericolo di crollo del soffitto. (Dubbioso) Soffitto? (Prende il cellulare e

                   chiama) Assessore, scusi, sono di nuovo l’ingegner Allalba. Volevo chiederle:

                   soffitto si scrive con due “ti” o con una sola? Come? Non lo sa nemmeno lei?

Checca:     Scusatemi se intervengo!

Serafino:  (Si spaventa) Oddio!

Checca:     Eh, ch’è succieso? V’aggio fatto appaurà?

Serafino:  (Al telefono) Assessore, in questo momento è apparsa una signora davanti a me!

Checca:     E che m’avìte pigliato, p’’a Madonna ‘e Pumpei?!

Serafino:  (Al telefono) OK, assessore, ora ci parlo e vedo cosa vuole. A dopo. (Chiude) Mi                  

                  scusi, signora, vuole qualcosa?

Checca:    Sì, vi volevo dire che “soffitto” si scrive con due “effe” e due “ti”!

Serafino:  Due “effe” e due “ti”! Grazie, signora, lo segno subito, lo segno subito! (Così fa)

Checca:    Scusatemi se domando: ma voi chi siete?

Serafino:  Io sono l’ingegner Serafino Allalba. E lei?

Checca:    Io mi chiamo Checca Fona. (Poi s’avvicina a sinistra e chiama) Pascà, viene ‘nu

                  sicondo ccà! (Poi torna da Serafino)

Serafino:  Pasquale?

Checca:    No, niente, ho chiamato i rinforzi! Mio marito.

                  Da sinistra torna Pasquale.

Pasquale: Che vaje truvanno, Checca?

Checca:    (Indica Serafino) E’ trasuto chisto d’’a porta!

Serafino:  Signò, ma che m’avìte pigliato pe’ ‘nu cane?

Pasquale: E voi chi siete?

Serafino:  Io sono l’ingegnere Serafino Allalba.

Pasquale: Ah, ecco, aggio capito: siete ingegnere solo di notte!

Serafino:  E perché?

Pasquale: E voi avete detto che siete ingegnere dalla sera fino all’alba!

Serafino:  (Ironico) E sì, io songo ingegnere cu’ ‘a scadenza! Sentite, io sono stato

                  incaricato dal comune di visionare questa casa. Chiaro?

Pasquale: Ah, ho capito. Aspettate un momento. (S’avvicina a sinistra e chiama) Franco,

                  viene ‘nu sicondo ccà! (Poi torna da Serafino) Mò viene!

Serafino:  Avete chiamato pure voi i rinforzi?

Pasquale: E certo. Può essere che vi dobbiamo prendere a mazzate e sbattere fuori a calci!

Serafino:  Ma per favore. Io sono un funzionario nell’esercizio delle sue funzioni.

Pasquale: E a Franco non gliene frega niente!

Serafino:  Ma chi è ‘stu Franco?

                  Da sinistra torna Franco.

Franco:    Ch’è succieso? E’ turnata Assunta cu’ ‘o pullasto e ‘a Coca Cola?

Pasquale: No, Franchetié, ce sta ‘stu tizio. Puo’ vedé che va truvanno? Io nun ‘o capisco.

Serafino:  Permette? Sono l’ingegner Serafino Allalba.

Franco:    E con ciò?

Serafino:  Voglio capire voi tre che ci state facendo qui dentro.

Franco:    Noi tre? Ma noi non siamo in tre. Aspettate un momento. (S’avvicina a sinistra e

                  chiama) Dina, viene ‘nu sicondo ccà! (Poi torna da Serafino) Mò viene!

Serafino:  Sentite, ma che trasìte, a uno ‘a vota!

Franco:    E quella ci sta pure mia moglie Dina. Mò la vedete!

                 Da sinistra torna Dina.

Dina:        E’ succieso coccosa?

Franco:    No, niente, è trasuto ‘stu personaggio!

Serafino:  Mò songo ‘nu personaggio!

Dina:        E che vvo’?

Serafino:  Sentite, signori, ora basta. Posso sapere i vostri nomi?

Pasquale: Io sono Pasquale Rovinato.

Serafino:  Guardi che con me non attaccano queste frasi patetiche. Non mi importa se lei è

                  rovinato. Io voglio sapere il suo cognome.  

Pasquale: Ma io sono Rovinato di cognome e di fatto! E lei è mia moglie Checca Fona.

Franco:    Io invece sono Franco Danneggiato. E lei è mia moglie Dina Mite.

Dina:        Piacere!

Serafino:  E’ tutto mio. Sentite, signori, io non sono venuto qua di mia iniziativa. Quelli del

                  comune mi ci hanno mandato.

Franco:     ‘O vero? Vi ci hanno mandato?

Dina:        Uh, ‘e che scustumate!

Serafino:  Ma non è che mi hanno mandato a quel paese, mi hanno mandato in questa casa,

                  e non mi aspettavo di trovare voi quattro ad abitarci.

Pasquale: No, ma qua dentro ci abitiamo solo io, mia moglie e mia figlia che adesso è

                  andata a comprare il pollo e la Coca Cola. Invece loro due sono ospiti a pranzo!

Serafino:  Ecco, appunto, ma non dovreste essere qui, adesso! Questa casa è diroccata.

Pasquale: No, ‘sta casa è ‘a mia. Nun appartiene a “roccata”!

Serafino:  Ma no. Io voglio dire che è stata danneggiata dal terremoto dell’’80 e prima o poi

                  crollerà. Per cui, dovete evacuare.

Checca:    E chi ve l’ha ditto che ‘sta casa è pericolante?

Serafino:  Ve lo mostro subito. (Picchietta col pugno sulle mura) Ecco, guardate questo

                  muro com’è marcio. E pure quest’altro! E pure quest’altro!  

Pasquale: Alt! Scusate, ma ‘sta casa se ne sta cadenno essa sola, oppure ‘a state facenno

                  cadé vuje a furia ‘e cazzotte?!

Serafino:  M’’ite pigliato pe’ ‘na ruspa? Io vi sto solo mostrando la fragilità di questa casa.

Pasquale: (Con tono di scherno) Ma nun dicite scimmità!

                  I quattro se la ridono. Serafino li ammonisce.

Serafino:  Il riso abbonda sulla bocca degli stolti.

                  I quattro smettono di ridere.

Pasquale: Checca, t’he’ magnato ‘o riso?

Checca:    No.

Pasquale: E nun l’he’ ‘ntiso? Ha detto che noi siamo storti perché ci siamo mangiati il riso!

Serafino:  Ma non il riso come cibo, io intendevo il “riso”, cioè il “ridere”.

Franco:    Sì, ma chi ‘e nuje è stuorto?

Serafino:  Ma nessuno. Insomma, basta. Voi siete abusivi. Se non ve ne andate, vi mando i

                  carabinieri. Dopodiché abbatteremo questa casa. Va bene? Buonasera.

                  Mentre si avvia ad uscire, i quattro lo rincorrono e lo fermano.

I quattro: No, no, no!

Serafino:  Che volete, ancora?

Franco:    Sentite, a me non me ne importa niente perché io la casa ce l’ho, ma Pasquale,

                  Checca e Assunta dove se ne vanno?

Serafino:  Non è un problema mio. Buonasera!

                  Mentre si avvia ad uscire, i quattro lo rincorrono e lo fermano.

I quattro: No, no, no!

Serafino:  Ma mi lasciate andare in pace?

Checca:    Sentite, ma non si può fare niente?

Serafino:  Sì, adesso ve lo dico subito. (Poi indica verso l’alto) Uh, sta cadendo!

I quattro: (Osservano) Che cosa?

Serafino:  (Li prende in giro) Sta cadendo!

                  Indica un punto, gli altri si distraggono e lui fugge via di casa.

Checca:    Uh, mannaggia. E mò?

Franco:    Mi dispiace. Bisognava corromperlo.

Pasquale: E comme ‘o corrompevo?! Senza soldi?

Dina:        Sentite, io tengo fame. Io direi: aspettiamo che viene Assunta, mangiamo il pollo

                  che ci porta lei e poi pensiamo a questo problema. Va bene?

Checca:    Io però vulésse ‘nu poco ‘e cammumilla.

Pasquale: E chi ‘o ttene? Al massimo putìmme fa’ sulo ll’acqua calda! Accuntiéntete!

Checca:    E vabbuò.

                  Pasquale, Checca e Dina escono a sinistra. Franco resta lì per un’imprecazione.

Franco:    Ma vedìte si chisto è ‘o modo ‘e invità ‘e ggente a magnà ‘a casa propria! Bah!

                  Ed esce pure lui a sinistra.

3. [Umberto Danneggiato e Assunta. Poi Franco e Dina]

                   Dalla comune entra Assunta che tiene un grembiule da cucina in mano: è felice.   

Assunta:   Mamma mia, che bellu grembiule nuovo m’aggio accattato! Quanno so’ asciuta

                   ccà ffora, nun aggio resistito alla tentazione, so’ trasuta ‘int’’o negozio e me

                   l’aggio pigliato! (Se lo prova) Custava sulo cinch’Euro! Però n’è valsa ‘a pena!

                   Dalla comune entra Umberto. Nota Assunta e le si avvicina.

Umberto:  Uhé, Assù!

Assunta:   Uhé, Umbé! Tu staje ccà? Addò si’ stato fin’e mò?

Umberto:  Add’’a ‘nnammurata mia. Però i genitori suoi mi hanno cacciato via!

Assunta:   Uh, e pecché?

Umberto:  E pecché guarde ccà comme stongo cumbinato. M’hanne pigliato pe’ straccione!

                   Ma comme, io songo ‘na perzona accussì distinta! (Si gratta con forza in testa)

Assunta:   (Infastidita) E manco t’’o faje ‘nu shampoo?!

Umberto:  Brava! Questa è la stessa cosa che hanno detto i genitori della mia ex fidanzata.

Assunta:   Mamma mia, e chi se pénzene ‘e essere, chiste?

Umberto:  E’ meglio che nun t’’o ddico!

Assunta:   E essa nun ha fatto niente?

Umberto: Sì. Ha ditto vicino a lloro: “Beh, però pensandoci bene, avete ragione voi!”…

Assunta:   ‘E che ggente!

Umberto: (Nota il grembiule) E’ nuovo ‘stu grembiule?

Assunta:   Sì. Me l’aggio accattato mommò.  

Umberto: E cu’ quali sorde?

Assunta:  (Realizza) Ah, già, ‘e sorde me servévene p’accattà ‘o pranzo nuosto. E mò che

                  ce dico a papà e a mammà?!

Umberto: (Grattandosi addosso) Stamme a sentì a me: è meglio che nun ce dice niente!

                  Da sinistra tornano Franco e Dina, lamentandosi per la fame.

Franco:    Mamma bella, nun ce ‘a faccio cchiù, ‘e che famme che tengo!

Dina:        Nun veco ll’ora che torna… (Nota Assunta) Uh, ‘a vi’ ccanno.

Franco:    Assa fa’ Dio! E’ turnata Assunta. Chiammamme subito a Pascale e a Checca.

Assunta:  No, no, aspettate, prima vi debbo dire una cosa.

Umberto: E già, ma nun avìte visto che ce stongo pure io?

Franco:    Sì, sì, vabbuò, aroppo te salutamme!

Dina:        Mò tenìmme famme!

Assunta:  Ma io vi devo dire un’altra cosa: avìte visto che bellu grembiule me so’ accattata?

Franco:    Assù, ma che ce ne ‘mporta d’’o grembiule? Caccia ‘o pullasto e ‘a Coca Cola!

Dina:        Fa’ ambresso, ca tenimme famme!

Umberto: (Spazientito) Oh, e basta! Assunta ve sta dicenno che nun ha accattatato ‘o

                  pullasto e ‘a Coca Cola, pecché s’è accattato ‘stu grembiule!

Dina:        (Dubbiosa) E cu’ quali sorde l’he’ accattato?

Assunta:  Coi soldi che mi avete dato voi per comprare da mangiare!

I due:       Ma mò t’accedìmme!

                  I due, arrabbiati, le mettono le mani al collo per strangolarla. Umberto li calma.

Umberto: No, no, ‘nu mumento. Lassàtela, lassàtela!

                 Riesce a liberare il collo di Assunta dalle mani di Franco e Dina.

                 Non è il caso di affogarla così! (E si gratta in testa) Avete capito?

Assunta:  Ma voi mi dovete capire, io mi dovevo comprare per forza questo grembiule.

I due:       E pecché?

Assunta:  E perché, se mentre mangio, mi sporco?!

Franco:    E comme te spuorche, si nun magne?!

Assunta:  Vabbé, io avrei una soluzione.

Dina:        E sarebbe?

Assunta:  Datemi un’altra volta i soldi e io vado a comprare il pollo e la Coca Cola!

                 I due, nervosi, le mettono le mani al collo, ma Umberto prova a calmarli.

Umberto: Calma! E basta!

                 I due desistono.

                 Nun è ‘o caso ‘e fa’ male a Assunta!

Assunta:  Grazie.

Umberto: Tanto, aroppo ce pénzano Pascale e Checca!

Assunta:  (Ironica) Grazie doje vote!

Dina:        Siente, ma tu nun stive add’’a ‘nnammurata toja?

Umberto: Stevo!  

Franco:    E chi era ‘sta ‘nnammurata toja, pe’ sape’?

Umberto: La figlia dei Precario, Marzia.

Dina:        E comme va mò staje ccà?

Umberto: Pecché m’hanne cacciato.

Dina:        Ma chi?

Umberto: I genitori di Marzia.

Franco:      I “Marziani”!

Umberto:   E pure Marzia.

Dina:          Siente, Franco, è meglio che ce ne turnàmme ‘a casa nosta. Ccà nun se magna!

Franco:      E già. Assù, dincello a mammeta e a pateto che nuje ce ne simme jute.  

Dina:          Ce vedìmme ‘n’atu juorno. Umbé, nuje ce ne jamme. Tu tuorne ‘a casa?

Umberto:   E se capisce. Addò vaco a durmì?

Franco:      Appunto! Jammuncenne, Dina.

                    I due escono di casa a passo deciso. Umberto resta con Assunta.

Umberto:   Assù, he’ visto che he’ cumbinato? Ma dico io, tu he’ accattà ‘a rrobba ‘a

                    magnà? E accatta ‘a rrobba ‘a magnà. No, t’accatte ‘na mappina pe’ cuollo!

Assunta:     E ch’aggia fa’? Nun ce aggio penzato. E mò chi ce ‘o ddice a mammà e a papà?

Umberto:   Tu!

Assunta:     Io? Ma quelli mi squartano viva!

Umberto:   E allora non ci facciamo trovare qua. Andiamo dentro e ti suggerisco una scusa.

Assunta:     E vabbé. Mannaggia ‘a capa mia! Su, andiamo.

                    Escono a destra (Assunta è particolarmente preoccupata).           

4. [Vincenzo Inguaiato, Rosario Inguaiato e Pasquale. Poi Checca]

                   Dalla comune, di corsa, entrano due fratelli rapinatori: Vincenzo e Rosario

                   Inguaiato (quest’ultimo con uno zaino in mano). Hanno passamontagna in testa

                   che poi tolgono. Si appoggiano spalle al muro accanto alla soglia della porta. 

Vincenzo: (Affannoso) Rosà!

Rosario:    (Affannoso) Vicié!

Vincenzo: Tu ‘ive ditto ch’’a polizia ce metteva tre ore p’arrivà fora ‘a banca, pe’ mezza

                   d’’o traffico ‘e Napule! P’’a miseria, chella ce ha miso trenta siconde p’arrivà!

Rosario:    E già, un caso unico nella storia d’Italia!

Vincenzo: Vedi se li abbiamo seminati, i poliziotti.

                   Rosario esce dalla porta, ma poi torna di nuovo nella sua posizione, spaventato.

Rosario:    Vicié, stanne ancora ccà ffora.

Vincenzo: E mò comme facìmme?

Rosario:    Amma annasconnere ‘a refurtiva dint’a ‘sta casa.  

Vincenzo: Ma si’ scemo? Sono due milioni di Euro!

Rosario:    E allora? Ccà ddinto nun ce sta nisciuno.‘Sta casa è abbandunata.

Vincenzo: Sicuro?

Rosario:    Al 100%.

Vincenzo: E allora organizziamoci. Diamo un’occhiata veloce qua fuori.

                   I due si sporgono un po’ dalla soglia della porta d’ingresso e guardano fuori.

                   Intanto da sinistra torna Pasquale che entra e si ferma (non notando i due).

Pasquale:  Tengo ‘na fetente ‘e famme! Ma che fine ha fatto Assunta? Mò ‘a vaco a cercà!  

                   Si avvia all’uscita e nota i due di spalle.

                   E chi so’ ‘sti duje? Che vonno?

                   Gli si avvicina da dietro e gli parla, gridando un po’.

                   Scusate!

I due:        (Si spaventano e si abbracciano) Mamma mia!

Vincenzo: (Disperato) Commissario, ci arrendiamo!

Pasquale:  Commissario? A me? No, io mi chiamo Pasquale Rovinato e abito qua dentro

                   insieme a mia moglie e a mia figlia. Quella è andata dal “pollarolo”!

Vincenzo: (Sorpreso) Cioè, voi abitate qua dentro?

Pasquale:  Sì.

Vincenzo: (Guarda male Rosario) Ma questa casa non era disabitata?

Pasquale:  Ho capito: siete pure voi ingegneri del comune di Napoli!  

Rosario:    Ma che ingegneri e ingegneri? Noi siamo… noi siamo… sì, insomma, siamo…  

Pasquale:  Sembrate due personaggi della televisione!

I due:        (Lo applaudono) Bravo!

Vincenzo: Ma tu hai capito, Rosario? Questo signore ci ha riconosciuti. E come ha fatto?

Rosario:    E già, noi siamo proprio personaggi della televisione. Io sono “Ros” Inguaiato.

Vincenzo: E io “Vince” Inguaiato.

Pasquale:  E io Pasquale Rovinato! E che terzetto stamme facenno! E che ci fate qua?

Vincenzo: (Preoccupato) Ecco! Che ci facciamo qua dentro?

Pasquale:  Ve lo dico io: voi due state organizzando un nuovo gioco a premi. E’ accussì?

Vincenzo: (Sorridente) Ma quant’è intelligente st’amico! Sì, stiamo proprio organizzando

                   un nuovo gioco a premi che andrà in onda prossimamente in Rai, su La7 o Sky!

Rosario:    E allora, diamoci del tu! Lo vedi questo zaino che tengo in mano? Noi te lo

                   lasciamo e ce ne andiamo.

Vincenzo: No, aspié, ma che staje dicenno?

Rosario:    Vince, famme fa’ a me. Caro Pasquale, il gioco consiste in questo: per un mese,

                   tu dovrai conservare i soldi che stanno in questo zaino. E attenzione, non dovrai

                   spendere neppure un centesimo. E quando io e Vince torneremo tra un mese, se

                   troveremo ancora tutta la cifra che ti abbiamo lasciato…

Vincenzo: Tu e la tua famiglia vincerete premi che non vedrete mai!

Rosario:    No, vuole dire “mai visti”!

Pasquale:  Ho capito. E quanti soldi ci stanno, là dentro?

Rosario:    Sciocchezze: due milioni di Euro. Tutti in banconote da cento Euro. E… (Nota

                   che Pasquale è rimasto immobile con gli occhi sgranati) Oddio, ma che d’è?

Vincenzo: L’è venuta ‘na paresi!

Rosario:    (Lo scuote) Pasquale!

Pasquale:  (Si ridesta) Mamma bella! Scusate, mi era sembrato di sentire che là dentro ci

                   stanno due milioni di Euro!

Rosario:    E hai sentito bene. Tutti in banconote da cento Euro. E… Ma che d’è ‘sta puzza?

Vincenzo: E già. Bell’e buono è accumparuta ‘into all’aria.

Pasquale:  Songh’io! Aggiate pacienza, è ll’emozione! Duje milione d’Euro!

Rosario:    Sì, ma tu hai capito che non li devi spendere?

Pasquale:  Aggio capito, aggio capito.

Vincenzo: Bravo. Ed ora andiamo a nasconderli. C’è un posto sicuro qua dentro?

Pasquale:  Sotto ‘o lietto mio: s’è sfurnato ‘o pavimento, accussì ce sta ‘nu spazio vuoto!

                   Nisciuno ce va maje lloco sotto.

Vincenzo: Benissimo! Allora andiamoci.

Pasquale:  ‘Nu mumento, ma io aggio aspettà a mia figlia che torna cu ‘o pranzo nuosto.

Rosario:    Senti, facciamo così. (Dalla tasca estrae dei soldi) Questi sono 50 Euro, compra

                   ciò che vuoi. Però dopo! Adesso andiamo prima a nascondere i soldi. Va bene?

Pasquale:  E va bene. Seguitemi per di qua. (Indica a destra)

Rosario:    A proposito, Pasquale, io e Vincenzo preferiamo andarcene dalla finestra della

                   tua stanza, piuttosto che dalla porta d’ingresso.

Rosario:    E già, noi siamo personaggi della televisione, stravaganti! A proposito, i tuoi

                   familiari non dovranno sapere niente di tutta questa storia.

Pasquale:  Avete ragione voi. Seguitemi.

                   Si avvia a destra, camminando a gambe larghe, pian piano. 

Vincenzo: Nèh, ma pecché sta cammenànno accussì?

Rosario:    E nun ‘a siente ‘a puzza? Te sì scurdato?

Vincenzo: Ah, già! Jammuncenne, và.

                  Pasquale esce a destra, seguito dai due che fanno aria con le mani.

5. [Checca. Poi Assunta ed Umberto. Poi Pasquale. Infine Serafino]

                   Da sinistra torna Checca.

Checca:     Ma ch’è stato? Addò so’ gghiute Pascale, Franco e Dina? Ma soprattutto, addò è

                   gghiuta Assunta? (Senta la puzza nell’aria) E che d’è ‘sta puzza? E’ trasuto ‘nu

                   cavallo ccà ddinto? Mah! (E chiama) Pascà, addò staje? Va’ a cercà a Assunta!

                   Da destra tornano Assunta ed Umberto.

Assunta:   Mammà, io so’ turnata diece minute fa.

Checca:     Ah, finalmente.

Umberto:  Buongiorno, signora Checca.

Checca:     No, no, Umbé, mò nun tengo proprio ‘o tiempo ‘e te salutà!

Umberto:  Ma che d’è, ccà nisciuno me vo’ salutà? Nemmanco papà e mammà! 

Checca:     A proposito, ma addò stanne?

Umberto:  Se ne sono andati. Vi mandano i saluti.

Checca:     Sì, sì, vabbuò. Jamme Assù, caccia ‘o pullasto e ‘a Coca Cola, ch’amma magnà!

Assunta:   ‘A Coca Cola? Ehm…

Umberto:  Assù, e dincello.

Assunta:   Mammà, ‘a Coca Cola nun ce sta.

Checca:     E nun fa niente, ce bevìmme ll’acqua d’’a funtana! Allora caccia ‘o pullasto.

Umberto:  Assù, e dince ‘a verità.

Assunta:   Mammà, pure ‘o pullasto nun ce sta.

Checca:     Nun ce sta? Forse he’ truvato chiuso?

Assunta:   Ehm… sì.

Umberto:  Assù, e dince ‘a verità. Signora Checca, Assunta, cu’ ‘e solde d’’o pullasto, s’è

                   accattata ‘nu grembiule!

Checca:     Che? Disgraziata!

Umberto:  Ehm… però la colpa non è sua. E’ mia!

Checca:    (Arrabbiata) E’ ‘a toja? E allora nun abbusca sulo essa, abbuscate tutt’e dduje!

I due:        Oh, no!

                  I due fuggono fuori casa, inseguiti per un breve tratto da Checca.

Checca:    Parassiti della società! Nun ce trasìte maje cchiù dint’a ‘sta casa. Avìte capito?

                  (Va al centro) Aggio fatto st’affare: ‘nu marito che nun vò fa’ niente, ‘na figlia

                  che nun serve a niente e cierti ccumpagnie sbagliate! E chillo che ffa? Sparisce!

                  Da sinistra torna Pasquale.

Pasquale: Uhé, Checca, io sto’ ccà!

Checca:    Ah, ‘o vi’ lloco! (Sente qualcosa nell’aria) Ma che d’è ‘sta puzza?

Pasquale: Ma comme, se sente ancora? Comunque nun è niente. E Assunta è turnata?

Checca:    Sì, è turnata, però ‘o pullasto nun ce sta. Tua figlia nun l’ha accattato.

Pasquale: Che cosa? E mò che ce magnàmme io, tu, Franco e Dina?

Checca:    No, sulo io e te, pecché Franco e Dina se ne so’ gghiute.

Pasquale: Ecco qua: gli amici si vedono nel momento del bisogno! Ma mò ce penzo io.

                 (Dalla tasca estrae i 50 Euro) Guarde ccà: ‘na carta ‘e 50 Euro!

Checca:    Famme vedé ‘nu poco. (Prende la banconota e la osserva bene) Ma è ‘o vera!

Pasquale: (Se la riprende) E se capisce ch’è ‘o vera.

Checca:    E addò l’he’ pigliata?

Pasquale: Me l’ha regalata un amico!

Checca:    Uh, che bellezza! Allora mò ce facìmme ‘na bella magnata io e te!

Pasquale: ‘A faccia ‘e chi se n’è gghiuto e nun sape che s’è perzo!

Checca:    Sì, sì, va’ a accattà coccosa ‘a magnà, muòvete!

Pasquale: Veramente, io avessa ì primma ‘int’’o bagno.

Checca:    No, no, ce vaje aroppo!

Pasquale: Aroppo è tarde.

Checca:    Nun me ne ‘mporta niente.

Pasquale: E vabbuò. (Si avvia all’uscita) Uhé, ce vedìmme aroppo.

                  Ma mentre sta per uscire, si imbatte in Serafino.

Serafino:  Famiglia Rovinato, scusate un momento!

Pasquale: Vuje state ‘n’ata vota ccà? Sentite, noi dobbiamo mangiare.

Serafino:  (Sente qualcosa nell’aria) Ma che d’è ‘sta puzza?

Pasquale: E’ ‘na puzza d’’a mia! Vabbuò? 

Checca:    (Interviene tra i due) Sentite, lasciate andare a mio marito. Non gli rubate tempo!

Serafino:  Un secondo solo. Vedete, io pensavo che voi già ve ne foste andati.

Checca:    E invece stamme ancora ccà. Fateci prima mangiare e poi ce ne andiamo.

Serafino:  No, no, è proprio questo il punto. Signori miei, c’è stato un qui pro quo.

Checca:    Un qui pro quo?

Serafino:  Voi lo sapete che vuol dire “qui pro quo”?

Pasquale: Sì, sognh’’e nepute ‘e Paperino!

Serafino:  Quelli sono Qui, Quo e Qua. Invece “qui pro quo” vuol dire che c’è un equivoco.

Checca:    In che senso? Spiegatevi.

Serafino:  Poco fa, al comune, mi hanno detto che mi sono sbagliato. Non è questa la casa

                  pericolante che stiamo cercando, anche perché questa casa non è pericolante!

Pasquale: Ate visto? E io che v’aggio ditto? (Va al muro) ‘A casa mia nun è marcia. Vulìte

                  vedé? (Picchietta col pugno sul muro) Ecco qua. (Torna dai due) Avete visto?

                  Si sentono le mura scricchiolare e rumori di fondo di un imminente crollo.

Checca:    Oddio, ma che sta succedenno?

Serafino:  La casa sta per crollare! Presto, dobbiamo scappare.

Pasquale: Avviàteve tutt’e dduje, io aggio ì a piglià ‘e sorde!

Checca:    Quali sorde? Nuje nun tenìmme sorde!

Pasquale: E’ ‘na cosa che saccio io. E l’aggia ì a piglià assolutamente!

Ser-Che.: (Lo bloccano per le braccia) No, no!                  

Pasquale: Uhé, lassàteme stà, io aggia correre dinto!

Serafino:  Ma è pericoloso, dobbiamo scappare!

                  Pasquale esce a destra a prendere i soldi, poi torna da loro. Uscendo via…

Pasquale: Presi!

FINE ATTO PRIMO

Si cambia casa: basso di San Giovanni a Teduccio, il salone di casa Danneggiato. L’ambiente è spoglio. Si entra da una porta centrale (aperta). A sinistra ci sono cucina e camera da letto. A destra bagno e altre stanze. A centro salone, un tavolo con quattro sedie. C’è una credenza (destra di porta d’ingresso), un appendiabiti e un divanetto verso destra.

ATTO SECONDO

1. [Franco, Dina, Assunta, Checca e Pasquale]

                  Seduti a tavola ci sono Franco, Dina, Assunta, Checca e Pasquale. Conversano.

Franco:    Cari miei, non ci sta niente da fare: ognuno di noi sta bene solo a casa sua, sia  

                  che la casa sta a Montecarlo, sia che la casa sta ccà a San Giuanne a Teduccio!

Checca:    Comunque io, Pasquale e Assunta vi ringraziamo che ci ospitate qua da voi.

Pasquale: Ma del resto, comme amma fa’? ‘A casa nosta se n’è crollata ‘nu mese fa.

Dina:        Vabbuò, nun ve pigliate collera. Chesta casa tene sette stanze. Perciò, c’è spazio.

Franco:    Tanto, nuje ‘sta casa nun l’amme manco pavata. L’hanne abbandunata tiempo fa.

Checca:    Pe’ mezza d’’o terremoto?

Franco:    E chi ‘o ssape? L’importante è che la casa resiste e noi ci abitiamo gratis!

Assunta:  Mammà, papà, però stanotte aggio ‘ntiso ‘e scricchiolà ‘a stanza mia.

Dina:        Uhé, nun fa’ ‘a ciucciuvettola! ‘Sta casa nun l’hanne costruite ‘e cinesi.

Franco:    E i cinesi, sulle cose che costruiscono, ci mettono il marchio “Madre in Cina”!

Pasquale: “Madre in Cina”? Ha’ raggione, ma che vvo’ dicere ‘stu “Madre in Cina”?

Franco:    Vo’ dicere ch’’e cinese ténene ‘a mamma in Cina! Quelli sono mammisti!

Dina:        Che meraviglia! Vulésse essere pur’io cinese!

Checca:    No, invece a me me piacesse ‘e essere talebana!

Franco:    Ma no, Checca. E’ pericoloso a essere talebana. Ma tu non li hai mai sentiti?

Checca:    Chi?

Franco:    I terroristi di Gaeta.

Pasquale: Ma pecché, a Gaeta ce stanne ‘e terroristi?

Assunta:  Ma forse tu staje parlanno ‘e Al Qaeda!

Franco:    Per l’appunto! Chillo, Bin Laden, era ‘nu mercenario.

Pasquale: (Sorpreso) ‘O vero? E addò ‘a teneva?

Franco:    Che cosa?

Pasquale: ‘A merceria!

Franco:    Bin Laden teneva ‘a merceria? Ma no, era “mercenario”, cioè prezzolato.

Pasquale: Ah, ecco, era brizzolato! Comunque, io invece vulésse essere indiano.

Checca:    E pecché?

Pasquale: Pecché in India ce steva chillu personaggio che lottava p’’a pace…!

Assunta:   Il Mahatma Gandhi.

Pasquale: Ecco: il Mammeta Gandhi!

Assunta:   No, papà, “Mahatma”.

Pasquale: E io ch’aggio ditto? Il Mammeta!

Franco:    Io invece nun supporto ‘e francese pecché ténene ‘a “erre moscia”! A proposito,

                  tengo ‘a panza moscia! Perciò, adesso mangiamo.

Pasquale: Facciamo come sempre?

Franco:    Come sempre.

                  Pasquale, Franco, Dina e Checca si alzano in piedi. Assunta resta seduta. I due

                  uomini si frugano nelle tasche, le due donne nelle loro borse. Franco commenta.

Pasquale: E allora… (Mette delle monete sul tavolo) Ecco la mia quota: 2 Euro e 50!

Franco:    (Mette delle monete sul tavolo) Stavolta io tengo solo 1 Euro e 20!

Checca:    (Mette delle monete sul tavolo) Io invece tengo 3 Euro!

Dina:        (Mette delle monete sul tavolo) Io invece tengo duje Euro!

Franco:    Tutte ‘nzieme, amme apparate otto Euro e sittanta. Assù, tu quanto tiene?

Assunta:   (Si alza in piedi, fiera) Tengo 75 centesimi!

Checca:    E conservati quei 5 centesimi in più, a mammà! Un giorno ti devi sposare!

Assunta:   Cu’ cinche centesimi? Lascia stare, è meglio che li uso per comprare il mangiare.

                  Prende i soldi dal tavolo ed esce via.

Checca:    (Soddisfatta) Comm’è altruista, ‘a figlia mia!

Pasquale: A proposito, ma s’arricorda che ha da accattà ‘o pollo e ‘a Coca Cola?

Checca:    Ma sì, Pascà. E mò, io e Dina jamme a piglià ‘a tovaglia e ‘e pposate.

Dina:        Brava, hé ditto buono.

                  Le due escono a sinistra. Pasquale estrae un cellulare dalla tasca della camicia.

Pasquale: E allora, caro Franco, ti piace il cellulare che ti ho regalato?

Franco:    (Estrae il suo cellulare dalla tasca della camicia) Sì, sì, è bellissimo. E’ tale e

                  quale ‘o tuojo. A proposito, Pascà, ma tu comme he’ fatto a l’accattà?

Pasquale: Ehm… vuò sape’ comm’aggio fatto? Ma io non li ho comprati. Li ho trovati per

                  terra alla Vesuviana. Si vede che qualcuno li ha comprati e li ha perduti. 

Franco:    (Guarda il display) Il mio telefono tiene tre cacche.

Pasquale: (Sorpreso) Tre cacche?

Franco:    Esatto, tre cacche! E il tuo telefono quante cacche tiene?

Pasquale: (Osserva il telefono) Ma che ce sta ‘int’a ‘stu telefono? ‘E ccacche?

Franco:    E certamente. Sono quelle linee che ti dicono se il tuo telefono prende oppure no.

Pasquale: Ma allora sono le tacche, non le cacche!

Franco:    E vabbuò, io nun ne capisco. A proposito, ho notato che nel materasso del tuo

                  letto hai fatto un buco e ci hai messo una mappata di panni dentro. Ma perché?

Pasquale: Ehm… niente. L’ho messa così, per bellezza.

Franco:    (Incuriosito, si alza in piedi) E dai! Ma perché non me lo vuoi dire?

Pasquale: (Si alza in piedi) Ma ti dico che non è niente. 

Franco:    Voglio andare a vedere. Io sono tuo amico e ho il diritto di sapere i tuoi segreti.

Pasquale: Addò vuo’ ì?

Franco:    (Si avvia a destra) A vedé che ce sta!

Pasquale: (Lo segue per fermarlo) No, ma nun è ‘o caso.

                 I due escono a destra.

2. [Umberto e Serafino. Poi Vincenzo e Rosario]

                  Dalla porta d’ingresso entra Umberto. Pare deluso.

Umberto: Niente, nun ce sta niente ‘a fa’. (Si siede sul divanetto) Io, cu’ ‘e ffemmene, nun

                  tengo proprio ciorta! Uffa!

                  Poi nota Serafino (con la sua solita cartellina) che entra parlando al cellulare (e

                  non nota Umberto).

Serafino:  Assessore, sono arrivato a destinazione. Questa casa può crollare da un momento

                  all’altro. Prendo nota e poi le faccio sapere. A dopo. (Riaggancia) Bene, ora

                  mettiamoci al lavoro. (Apre la cartellina e si siede a tavola e scrive)

Umberto: Uhé, ma chi è chisto? Che sta cumbinanno? (Si alza e gli si avvicina da dietro)

Serafino:  (Ignaro, lui scrive, ragiona a alta voce) Dunque: casa fatiscente e senza messa in

                  sicurezza. Manca il salvavita contro il macroshock elettrico. (Realizza) E comme

                  se scrive macroshock? (Prende il cellulare e chiama) Assessore, mi scusi, sono

                  sempre io, l’ingegner Allalba. Sa per caso come si scrive “macroshock”?

Umberto: Ua’, ma chi te l’ha misa ‘a laurea ‘nmana?

Serafino:  Assessore, perché m’offende? E lei ha detto: “Ua’, ma chi te l’ha misa ‘a laurea

                  ‘nmana?”… Ah, non è stato lei? E come si scrive “macroshock”? Ah, non lo sa?

Umberto: ‘O ssaccio io!

Serafino:  Assessore, ma lei lo sa o non lo sa? E come, lei ha detto: “’O ssaccio io!”, con

                  una insospettabile cadenza napoletana volgare!... Ah, non è stato lei?

Umberto: E gghiamme bello, jamme!

Serafino:  Assessore, la prego, non mi dia fretta. Ma come, lei ha detto: “E gghiamme

                  bello, jamme!”… Non è stato lei? E allora chi è stato?

Umberto: (Gli si mostra, gridando) So’ stato io!

Serafino:  (Lo nota e salta in piedi, gridando dallo spavento) Mamma mia bella! Assessore,

                  davanti ai miei occhi è apparso un essere immondo!

Umberto: No, ma io nun so’ Raimondo, songo Umberto!

Serafino:  Sì, assessore, ora ci parlo. A dopo. Ossequi! (Chiude il cellulare) E chi è lei?

Umberto: Songo ‘o figlio ‘e mia mamma e mio padre!

Serafino:  E sua madre e suo padre chi sono?

Umberto: I miei genitori!

Serafino:  E voi tre insieme chi siete?

Umberto: La famiglia Danneggiato.

Serafino:  E che ci fate qua dentro?

Umberto: Ci abitiamo insieme alla famiglia Rovinato!

Serafino:  Pure?

Umberto: Scusate, ma chi site vuje, chiuttosto?

Serafino:  Sono l’ingegner Serafino Allalba.

Umberto: E pecché site trasuto ccà ddinto?

Serafino:  Io sono qui perché mandato dal comune di Napoli a ispezionare questa casa

                  pericolante. La gente delle case intorno sente spesso dei rumori.

Umberto: No, ma i rumori di questa casa sono fatti dai fantasmi!

Serafino:  E secondo lei, io devo credere che in questa casa ci sono fantasmi? Ma andiamo.  

                  Ride, si volta ridendo, nota oggetti che si muovono. Smette di ridere, intimorito.

                  Oddio mio! Maronna mia! San Giuseppe mioooo!

                  E fugge via di casa, lasciando la cartellina sul tavolo. Umberto si diverte.

Umberto: Ma che d’è? S’è appuràto? Avrà visto un fantasma! (Guarda sul tavolo) S’ha

                  scurdato pure ‘a cartellina! (La chiude e va all’uscita) Uhé, amico,t’he’ scurdato

                  ‘sta cosa! (La getta fuori casa e torna al centro) Ecco qua! E mò famme vedé si

                  riesco a magnà coccosa!

                  Esce a sinistra. Da destra entrano Rosario e Vincenzo con aria circospetta.

                  Hanno i passamontagna. Se li tolgono.

Rosario:    OK, nun ce sta nisciuno. Ce putìmme levà ‘o passamontagna. (Così fa)

Vincenzo: Finalmente! (Anche lui) Rosario, ma pecché simme trasùte p’’a fenesta, si ce sta

                  ‘a porta aperta?!

Rosario:    Perché siamo ladri.

Vincenzo: Embé, siamo ladri… mica simme scieme?!

Rosario:    Senti, Vicié, piuttosto ti sei accertato che la casa è questa?

Vincenzo: E certamente. Quel tizio che noi gli abbiamo dato i soldi, sta qua.

Rosario:    Pensava di farci fessi, eh!

Vincenzo: Adesso dobbiamo cercarlo, dirgli che il gioco a premi è finito, che ci deve

                   restituire i soldi e poi spariamo.

Rosario:    Lo spariamo? L’amma accidere?

Vincenzo: No, spariamo: verbo sparire, non verbo sparare!

Rosario:    Ma scherzi? I soldi ce li troviamo noi. Io non ho paura di niente. (Si appoggia

                   alla credenza e nota che alcuni oggetti verso il muro si muovono da soli. Si

                   spaventa e cerca di parlare a Vincenzo, ma gli escono solo versi affannosi)

Vincenzo: (Ignaro, gironzola avanti e indietro) Rosà, ci vuole troppo tempo. Non credi?

                   (Non sente risposta) Rosà, ma nun me rispùnne? (Lo nota terrorizzato) Ma ch’è

                   stato? Tu tiene ‘na brutta faccia! Me pare comme si avìsse visto ‘nu fantasma!

                   Rosario fa segno di sì con la testa. Vincenzo allora lo rimprovera.

                   Ma ‘a vuo’ fernì ‘e fa’ ‘o scemo? Quanno faje ‘nu poco ‘a perzona seria?

Rosario:    (Terrorizzato) Vicié... ‘a rrobba vicino ‘o muro… se move essa sola!

Vincenzo: Famme vedé, va’! (Getta un occhio e nota alcuni oggetti muoversi da soli. Si

                   spaventa e cerca di parlare a Rosario, ma gli escono solo versi affannosi)

Rosario:    He’ visto? E tu nun me credìve! Facìmme ambresso, che ‘sta casa è stregata!

Vincenzo: Stattu zitto! Nun te fa’ sentì!

Rosario:    Da chi?

Vincenzo: D’’e fantasme! Adesso cerchiamo i nostri soldi e poi ce ne scappiamo.

Rosario:    E non è che quel tizio li ha messi in banca?

Vincenzo: Ma quala banca? I nostri soldi stanno nascosti in questa casa. Forza, cerchiamoli.

Rosario:    E addò? (Si siede al tavolo) ‘Stu posto me pare ‘nu labirinto. (Ad un tratto salta

                  in piedi, gridando dal dolore e toccandosi il sedere) Aaaaah!

Vincenzo: Cretino, ch’allucche a ffa’?

Rosario:    ‘O fantasma m’ha dato ‘nu cavicio!

Vincenzo: Ma qualu fantasma? Forse ci sta un chiodo sulla sedia.  

Rosario:    Siente, cercàmme ‘sti solde e gghiammuncenne. (Indica a destra) Jamme allà!  

                  Vincenzo si avvia lemme a destra, stentatamente, impaurito, seguito a ruota da  

                  Rosario che gli posa una mano sulla spalle e Vincenzo si spaventa e si ferma.

Vincenzo: (Terrorizzato) Maronna!

Rosario:    Ch’è stato?

Vincenzo: ‘O fantasma m’ha miso ‘na mana ‘ncoppa ‘a spalla!

Rosario:    Scé, songh’io!

Vincenzo: Puozz’ittà ‘o sango!

                  Escono via a sinistra.

3. [Pasquale e Franco. Poi Assunta]

                   Da destra riecco Pasquale e Franco (che ha le mani tra i capelli, sconvolto).       

Franco:     Marò, Pascà! M’aggia assettà, o si no sbatto ‘nterra! (Siede sul divanetto)

Pasquale:  Stattu zitto, nun alluccà!  

Franco:     Pascà, ma tu addò l’he’ jute a piglià tutte chilli sorde?

Pasquale: (Gli siede accanto) E nun alluccà! Niente, sono anni e anni di elemosine.

Franco:    E quanti soldi sono?

Pasquale: Due milioni di Euro!

Franco:    Duje milione d’elemosina? Pascà, ma tu me vulìsse piglià pe’ fesso?

Pasquale: T’aggio ditto nun alluccà! E va bene, adesso ti dico la verità: io sto facendo un

                  gioco a premi televisivo. Se non spendo niente di quella cifra, vinco un premio.

Franco:    E tu me vuo’ fa’ credere che fin’e mò nun he’ spiso manco ‘nu centesimo?

Pasquale: ‘A verità proprio? Sì, aggio spiso coccosa. Ho comprato qualcosina da mangiare

                  e pure i due cellulari per me e per te.

Franco:    E tu, cu’ ‘sta famme che tenìmme, te miette a accattà ‘e cellulare cu’ ‘e “cacche”

                 ‘a dinto?

Pasquale: Però poi recupero i soldi con qualche elemosina e li rimetto al loro posto!         

Franco:    E fammi capire una cosa: ma perché non mi hai detto niente?

Pasquale: Nisciuno sape niente. Quelli del gioco a premi mi hanno impedito di dirvelo.

Franco:    Pascà, ma tu me staje dicenno ‘a verità?

Pasquale: Assolutamente. Uhé, però t’arraccummànno: nun dicere niente a nisciuno! Si

                  qualcheduno ‘o vvene a sape’, io songo squalificato e perdo ‘o premio.

Franco:    Nun te prioccupà. E che premio è?

Pasquale: ‘Nu viaggio. Però io lo vinco e me lo vendo, così coi soldi mi compro un sacco

                  di roba da mangiare per tutti noi.

Franco:    Buona idea.

Pasquale: E mò aspettamme che torna Assunta. M’aggia fa’ proprio ‘na bella magnata!

                  Dal centro entra Assunta. E’ assai delusa.

Assunta:   Io stongo ccà. (E si siede al tavolo imbronciata, ignorando i due)

Pasquale: (Guarda perplesso Franco, poi le si avvicina) Assù, ma addò sta ‘o magnà?

Assunta:   E tu ti preoccupi del mangiare? Papà, ‘o magnà nun ce sta.

Franco:    (Si alza ed accorre, preoccupato) Comme? E pecché?

Assunta:   M’hanne fatto ‘na rapina!

Pasquale: ‘Na rapina? A mano armata?

Assunta:   No, ‘o rapinatore era disarmato, però era gruosso assaje! Ma che mondo infame!

Pasquale: Appunto: minacciano una creatura angelica per un tozzo di cibo. Minacciate sulo

                  a essa, po’! Che c’entra il mio cibo che è povero e indifeso?  

Assunta:   Papà, io me vaco a sciacquà ‘nu poco ‘a faccia.

Franco:    Nun ce sta ll’acqua!

Assunta:   Allora me vaco a ffa’ ‘na spremuta ‘e arancia!

Franco:    Nun ce stanne arance!

Assunta:   E allora me ne vaco ‘nu poco fora ‘o balcone. Vabbuò?

                  Esce via a sinistra.    

Pasquale: Assunta va’ fora ‘o balcone? Ma dint’a ‘sta casa ‘e balcune nun ce stanne!

Franco:    Nun aggio avuto ‘o curaggio ‘e ce ‘o rricurdà!

Pasquale: E intanto mò rimanimme dijune? Amma truvà ‘o modo ‘e magnà!

Franco:    Pascà, dint’’o matarazzo tuojo ce sta ‘na miniera d’oro.

Pasquale: No, no, i soldi non si possono toccare, se no vengo squalificato.

Franco:    E che ce ne ‘mporta? Nuje ce murimme ‘e famme e tu pienze ‘o gioco a premi?

Pasquale: Ma se io vinco, aroppo amme voglia ‘e magnà!

Franco:    E secondo te è meglio ‘a gallina dimane che ll’uovo oggie? Forza, jamme a piglià

                  ll’uovo… ehm… ‘e sorde ‘a sotto ‘o matarazzo e magnàmme! (Si avvia a destra)

Pasquale: (Lo blocca) Addò vaje?

Franco:    Pascà, famme fa’!

Pasquale: No, no!

                  Franco va a destra seguito dall’amico. Da sinistra torna Assunta.

Assunta:   Saje che faccio? Me vaco a addurmì ‘ncoppa ‘o lietto mio. Anze, no, è meglio ‘o

                  lietto ‘e mammà e papà. E’ più massiccio. Ma che ce sta ‘int’a chillu matarazzo?

                  Esce via dubbiosa a destra.

4. [Checca e Dina, Tommaso Precario, Laura Noncé]

                  Da sinistra tornano Checca e Dina con tovaglie e posate che mettono sul tavolo.

Checca:     Finalmente mò se mangia!

Dina:         E già. Tengo ‘na famme che nun ce veco cchiù.

Checca:     A proposito, ma Umberto ha fatto pace cu’ ‘a figlia d’’o conte Precario?

Dina:         Purtroppo no. I Precario nun vonno fa’ carte! ‘E che gente pipì!

Checca:     Come tu sai, io e mio marito ci divertiamo a fare finta di essere gente borghese

                   come loro. E quelli ci sono sempre cascati!  

Dina:         ‘E che scieme!

                   Le due se la ridono, mentre si presentano alla porta proprio Tommaso e Laura.

Tommaso: (Accento bolognese) E’ permesso?

Dina:          Chi è?

Checca:     (Li nota e resta sconvolta) Oddio! (E si mette in disparte, nascondendo il viso)

Dina:         (Verso i due) Prego, dite, dite.

Tommaso: Siamo i conti Precario.

Dina:         (Stupita) I Precario? Ma prego, entrate!

Tommaso: Grazie.

                   I due vengono avanti.

                   Tanto piacere di conoscerla. Io sono il conte Tommaso Precario.   

Dina:         E la signora è la consorte?

Laura:       Sì, Laura Noncé.

Dina:         Molto onorata. Io mi chiamo Dina Mite. E lei è… (Nota Checca che cerca di

                   non farsi notare) Scusatemi, torno subito. (Va da Checca) Ma che ffaje?

Checca:     No, ehm… aggia ì ‘nu mumento ‘int’’a cucina.

Dina:         E ce vaje aroppo. Signori, lei è la mia amica.

Laura:       (Si avvicina alle due, sorpresa) Ma… ma… signora Francesca!

Dina:         Francesca? Ma no, Checca Fona!

Laura:       Che cafona a me?

Checca:     No, a lei!

Laura:       Lei è cafona?

Dina:         No, lei è Checca di nome e Fona di cognome!

Laura:       Ma… ma… lei mi ha detto di chiamarsi Francesca.

Checca:     (Guarda male Dina) E te ll’aggio pure ditto!

Dina:         E m’aggio scurdata.  

Laura:       (Osserva bene Checca) Ma com’è vestita?

                   Intanto Tommaso nota oggetti che si muovono alle pareti e rimane turbato.    

Tommaso: (S’avvicina pure lui a Laura) C’è qualcosa di strano in questa casa.

Laura:       No, c’è qualcosa di strano in tutto!

Checca:     Ehm… cambiamo discorso. Come state, signora Laura?

Laura:       (Fredda) Bene, grazie.

Dina:         Ma prego, accomodiamoci.

                   I quattro si accomodano al tavolo. Poi Dina li interroga.

                   Bene. E a che cosa devo questo onore?

Tommaso: Signora, parleremo alla presenza di suo marito e suo figlio. Non ci sono adesso?  

Dina:         Oddio, ma ch’è succieso coccosa?

Laura:       No, non pensi subito a male. Però si tratta di una cosa negativa. Ma stia calma!

Dina:         Aggia stà’ calma? E vabbuò. Gentili signori, vi posso mostrare la mia casa?

Laura:       Ma certo! Alziamoci!

                   I quattro si alzano in piedi.

Dina:         (Indica a sinistra) Vogliamo cominciare da là? Vi voglio mostrare il mio bagno!

Checca:     Ma comme, Dina, ce vuo’ fa’ vedé ‘o bagno? E pare brutto!

Dina:         Giusto. E allora assettàmmece ‘n’ata vota!

                   I quattro si siedono di nuovo. Dopodiché a Dina viene un dubbio.

                   Aspettate, ma non la volete vedere più la mia casa?

Tommaso: E come. Però lei ci ha detto di accomodarci di nuovo.

Dina:         No, ma scusatemi. Alziamoci di nuovo.

                   I quattro si alzano in piedi. Dina indica a destra.

                   Prego, andiamo di là.

                   I quattro si avviano a destra, poi Dina si ferma e si fermano pure gli altri. 

                   Un momento! Di là ci sta la cucina, però ci sta una muina in mezzo mai vista!  

                   Ve la mostro un altro giorno. Torniamo a sederci!

                    I quattro tornano a sedersi (Laura e Tommaso alzano gli occhi al cielo).

Checca:      Dina, ma gliela vuoi mostrare questa casa?

Dina:          Sì, sì, certo. Su, andiamo di là. (Indica sinistra) Alziamoci un’altra volta.

                    I quattro si alzano in piedi.

                    Prego, andiamo!

                    I quattro si avviano a sinistra, poi Dina si ferma e si fermano pure gli altri.    

                    Alt! Quella è la stanza di mio figlio: sembra il Vietnam! Torniamo indietro.

Tommaso: (Stufo) Signora, andiamo dove vuole lei!

Laura:       (Stufa) Basta che ci andiamo!

Dina:          E va bene. Seguitemi, seguitemi!

                    I quattro escono a sinistra.   

5. [Assunta, Pasquale e Franco]

                    Da destra torna Assunta, con le mani tra i capelli, sconvolta!

Assunta:     Giesù, ch’aggio visto! Aggio spiato a papà e a Franco ‘int’’a stanza ‘e lietto.

                    Bell’e buono papà ha cacciato ‘nu mattuoglio ‘e sorde! E addò l’ha pigliate?

                    Si siede al tavolo. Da destra tornano di corsa Pasquale e Franco.

Pasquale:   Uhé, addò sta? Addò sta?

Franco:      (Gli indica Assunta) ‘A vì lloco. S’è assettata! Jamme subito addù essa!    

                    I due corrono subito da lei. Pasquale la interroga.

Pasquale:   Assù, Assù… dint’’a stanza ‘e lietto… che he’ visto?  

Assunta:    (Sconvolta) Papà, aggio visto ‘o Paraviso!

Franco:      Ah, menu male, nun l’ha viste ‘e sorde sotto ‘o lietto tuojo!

Pasquale:   Cretino, chesta sta parlanno proprio d’’e sorde che stanne sotto ‘o lietto mio.

Assunta:     Papà, ma he’ fatto cocche rapina?

Pasquale:   Stattu zitta! Tu nun he’ visto niente. Te si’ sbagliata! He’ capito?

Assunta:     (Si alza indignata) Tu tenevi i soldi e non ce l’hai mai detto. Lo dirò a mammà!

I due:          Nooooo!

Pasquale:   Non devi dire niente a nessuno.

Franco:      Non devi dire niente a nessuno.

Pasquale:   (Lo guarda male) L’aggio ditto già io! Assù, non devi dire niente a nessuno.

Assunta:     E perché?

Pasquale:    Nun t’’o ppozzo dicere.

Franco:       E già, o si no chi ‘e ssente a chilli duje?

Assunta:     A chilli duje? Ma di chi state parlando?

Pasquale:    Nun t’’o ppozzo dicere.

Franco:       E già, o si no fernesce ‘o gioco e perdìte ‘o premio!

Assunta:     ‘O premio? Qualu premio?

Pasquale:    Nun t’’o ppozzo dicere.

Franco:       E già, vuje nun putìte spennere manco ‘nu centesimo pe’ ‘nu mese intero!

Assunta:      Papà, ma che d’è ‘sta storia?

Pasquale:    T’aggio ditto che nun t’’o ppozzo dicere!

Franco:       E già, quando abitavate nella casa vecchia, due signori sono entrati coi soldi e

                     hanno parlato con lui.

Assunta:      E quanti soldi sono?

Pasquale:    Nun t’’o ppozzo dicere!

Franco:       Bravo, Pascà, nun ce ‘o ddicere che sò duje milione d’euro!

Assunta:     (Sorpresa) Duje milione d’euro?

Franco:       E tu comm’’o ssaje?

Pasquale:    Cretino, ce l’he’ ditto tu!  

Franco:        ‘O vero? Nun me ne songo proprio accorto!

Assunta:      Papà, ma quei soldi, spendiamoli per noi. Che ce ne frega del gioco a premi?

Pasquale:     No, no, non si può.

Assunta:      Ma noi ci moriamo quasi di fame. E io me so’ scucciata ‘e fa’ ‘sta vita.

Franco:        Pascà, ‘sta meza scema ave raggione. Nuje ccà ce puzzamme quase ‘e famme!

Pasquale:     Quase? No, nuje ce puzzamme ‘e famme e basta! E allora dice buono Assunta.            

                      Sapete che vi dico? Andiamo alla pizzeria qua fuori e ci compriamo sei pizze.

Assunta:       Oh, finalmente!

Franco:        Me si’ piaciuto, Pascà! Allora và a piglià ‘e sorde!

Pasquale:     Già ‘e ttengo dint’’a sacca. Jamme, ascìmme, muvìmmece. Voglio magnà!

Assunta:       E pur’io!

Franco:        E pur’io!

                      Escono di casa felici.

6. [Tutti e infine Serafino]

                     Da sinistra totnano Vincenzo e Rosario.

Rosario:      Niente, i soldi non stanno da questa parte.

Vincenzo:    E gghiamme a vedé ‘a chell’ata parte? Ambresso, ambresso!

                    Escono a destra. Da sinistra tornano Umberto (di corsa), Tommaso, Laura,

                    Checca e Dina.

Umberto:   Uh, mamma mia, aiuto, aiuto!

Tommaso: Ah, finalmente ti ho acchiappato! (Gli afferra il braccio) Non mi sfuggi più.

Laura:        Tommaso, non lasciarlo scappare.

Umberto:   Ma che m’avìte pigliato, pe’ ‘nu capitone?!

Dina:          Scusate, ma che sta succedendo? Perché state maltrattando a mio figlio?

Checca:      Maltrattando?

Dina:          E comm’aggia dicere, allora?

Checca:      Trattando male!

Dina:          E nun è ‘a stessa cosa?

Checca:      E no. ‘Na camicia se maltratta, ‘nu cazone se maltratta… ma no ‘na perzona!    

Dina:          Checca, ma stattu zitta! Io voglio sape’ che sta succedenno cu’ mio figlio.

Tommaso: Cara signora, suo figlio ha messo gli occhi su mia figlia Marzia.

Dina:          E con ciò?

Tommaso: (Molla il braccio di Umberto) Potrebbe averla messa incinta!

Umberto:   E che ll’aggio misa incinta cu’ ll’uocchie?

Laura:        Perché, vuoi farci intendere che tu non l’hai toccata mai?

Umberto:   Cu’ ll’uocchie no, ma cu’ ‘o riesto sì!

Dina:          Scusate, ma non si erano lasciati?

Laura:        Sì, ma loro due non possono lasciarsi. Lui ormai deve riparare sposandola!

Umberto:   A chi? (Si siede al tavolo) A me me piace Marzia, ma ‘o matrimonio no!

Dina:          Cretino! Si tu te spuse a Marzia, chella t’ha da mantené economicamente!

Tommaso: Aspettate un momento, ma che sono questi discorsi?

Dina:          Stàteve zitto, vuje! Noi stiamo in trattativa familiare!

Laura:       Ma se Umberto ci garantisce che Marzia è illibata, ogni vostro discorso è inutile.

Dina:          No, no, ma quello mio figlio ha fatto, ha fatto! (Gli si avvicina e gli torce il

                   braccio) E’ ‘o vero, Umbé?

Umberto:  (Dolorante) Ah, sì, sì!

Tommaso: Perfetto. (Va a sedersi al divanetto) Allora aspettiamo il padre del ragazzo.                 

Laura:       Già, cosìci presentiamo a lui. (Gli siede a fianco) Poi però ce ne andiamo.

Dina:          Fate come volete.

                   Tornano a casa Franco, Pasquale ed Assunta (con sei cartoni di pizze in mano).

Assunta:    (Entrando) Finalmente si mangia!

Franco:      Assa fa’ ‘a…!

                    I tre si bloccano, stupiti, guardando i presenti. Silenzio generale, poi…

Checca:      (Va da Pasquale) Ehm… (Gli indica Tommaso)

Pasquale:   Oddio! (Si volta un po’ in disparte)

Assunta:    (Posa le pizze sul tavolo, davanti ad Umberto) Ma che succede, qua? (Si siede)

Dina:          (Si avvicina a Franco) Ehm… Franco, guarda chi ci sta seduto sul divanetto!

Franco:      Chi ci sta?

                    Tommaso e Laura si alzano e lo raggiungono.

Tommaso: Ah, sicché è lui suo marito.

Franco:      Sicché? Che vvo’ dicere “sicché”?

Dina:          Boh! Comunque, conte, sì, è vero, lui è mio marito Franco.

Franco:      Ah, ma ‘o conte è chisto?

Dina:          Sì, è chisto!

Tommaso: Già, è chisto…! Cioè, sono io. Io sono il conte Tommaso Precario.

Franco:      Piacere.  

Tommaso: E mia moglie Laura Noncé!

Franco:      Ah, non è venuta?

Tommaso: Sì, c’è, però Noncé.

Franco:      Scusate, ma se non c’è, perché dite che c’è?

Tommaso: Perché c’è, però Laura Noncé!

Franco:      (A Dina) Ma ce sta o nun ce sta?

Dina:          (Spazientita) Ce sta! (La indica) ‘A vi’ lloco, è chesta!

Franco:      E si ce sta, pecché ‘o conte dice che nun ce sta?!

Laura:        Ma Laura Noncé è il mio nome e cognome!

Franco:      E abbiate pazienza, me state facenno perdere ‘a capa! Comunque, piacere!

Laura:        E’ tutto suo!

Franco:      Grazie! Cari signori, adesso vi chiamo il mio migliore amico. Un secondo solo.

                    (Va da Pasquale, lo afferra per il braccio) Pascà, viene cu’ me a salutà a chille!

Pasquale:   No, no, nun pozzo, nun pozzo!

Franco:      Ma si’ scemo? Jamme, jamme!

Tommaso: (Sdegnato) Non si nasconda, signor Pasquale. Ormai l’abbiamo scoperta.

Pasquale:   (Imbarazzato) Ah, ehm… buongiorno!

Franco:      Guardate, pure se non ci sembra, lui è un nobile. Tiene ville, yacht e tanti soldi!

Laura:       (Sdegnata) E’ inutile mentire. Ormai sappiamo tutta la verità sul suo conto e di

                    sua moglie Francesca. Anzi, Checca Fona!

Dina:          Vabbé, parliamo di cose più importanti. Franco, sai perché i signori stanno qua?

Franco:      Pe’ magnà cu’ nuje?

Dina:          No, per nostro figlio Umberto.

Franco:      ‘O vero?

                   Umberto apre uno dei cartoni di pizze e guarda la pizza, stupito. 

Umberto:   Papà, e che d’è ‘sta cosa rotonda cu’ ‘a muzzarella e ‘a pummarola ‘ncoppa?

Assunta:    Ciuccio! Chella se chiamma pizza!

Umberto:   Pizza? Ma mò l’hanne ‘nventata?

Pasquale:   (Accorre a chiudere il cartone) No, l’hanne ‘nventata cinche minute fa! E mò

                    lieva ‘e mmane ‘a ccà vvicino. Chesta è ‘a cena nosta!

Checca:      (Prende i contenitori con le pizze) Mò ‘e pporto ‘int’’a cucina. Con permesso!

                    Porta il tutto via a sinistra. Tommaso riprende il discorso.

Tommaso: Dicevamo, lei deve sapere che suo figlio ha un debole per la nostra Marzia.  

Laura:       Tuttavia la cosa è impossibile, essendo lui di un ceto diverso dal nostro.

Tommaso: Ma il responso di una visita medica a mia figlia ha avuto un esito chiarissimo.  

Laura:        Direi, shockante! E così, anche se la cosa mi spiace, Umberto deve riparare.

Umberto:   (Si alza in piedi e gironzola, nervoso) Ma vi ho detto che io non saccio niente!

Dina:          Umbé, guàrdeme ‘nfaccia: ma sì proprio sicuro?

Umberto:   Sì, mammà.

Dina:          Benissimo, ha ditto ‘a verità!

Franco:      Eh, è arrivata ‘a ginecologa! L’ha fatto ‘na perizia al volo al volo!

Umberto:   Sentite, io tengo famme. Picciò, me vaco a magnà chella cosa rotonda cu’ ‘a

                    muzzarella e ‘a pummarola!

Assunta:     Pizza!

Umberto:   Appunto!

Tommaso: Ma dove vai? Noi non abbiamo ancora finito!

Umberto:    E io invece aggio fernuto! Arrivederci! (Si avvia a sinistra)

Tom&La:   Ehi, torna qua, torna qua…!

                    Umberto esce a sinistra, seguito da Tommaso e Laura che lo richiamano.  

Dina:           Néh, Franco, chilli duje stanne inseguenno a Umberto. E tu che ffaje? Niente?

Franco:      No, Dina. Vieni con me: i Precario dovranno passare prima sul tuo cadavere!

Dina:          ‘O mio? ‘O tuojo!

Franco:      E vabbuò, ‘o mio, ‘o tuojo: è ‘a stessa cosa!

                    I due escono a sinistra. Pasquale ed Assunta si guardano perplessi.

Assunta:    Papà, ma mò nun se magnà cchiù?

Pasquale:   Sì, sì, però facìmme ambresso. Approfittiamone, o si no rimanìmme dijune!

                   Anche i due escono a sinistra. Dalla comune entra Serafino. Parla al cellulare.

Serafino:   Assessore, stia tranquillo, manderò via la gente di questa casa. Qui crollerà tutto.   

                   Guardi qui, ho la spalla destra e i capelli imbiancati dai calcinacci! Come dice?

                   Non può guardare perché è al telefono? Ha ragione! Bene, adesso mi metto al

                   lavoro. A dopo. (Chiude il cellulare) ‘E che pacienza ce vo’! E allora, vediamo!

                   Esce a sinistra: si sente un rumore e lo si sente urlare.

                   Ahia!

                   Da destra tornano Vincenzo e Rosario (con un fagotto in mano).

Vincenzo:  Hai visto? Abbiamo trovato i soldi!

Rosario:     Non è stato poi così difficile. Ora scappiamo, prima che viene qualcuno.

Vincenzo:  Va bene.

                   Ma i due si bloccano perché da sinistra, ma da lì esce Umberto: sta fuggendo.   

Umberto:  Aggia fujì, aggia fujì! (Scansa i due) Levàteve ‘a nanzo, sto’ fujenno!

                   Esce via di casa, di corsa. Da sinistra giunge anche Tommaso.

Tommaso: Dov’è andato, quello screanzato?

                   I due indicano con la mano l’uscita di casa. Tommaso allora li ringrazia.

                   Grazie tante. Ehi, Umberto, sto arrivando!

                   Ed esce anche lui di casa. Da sinistra riecco Pasquale e Franco.

Franco:      (Uscendo) Umbert…!

Pasquale:   (Nota Vincenzo e Rosario) Vuje?

Ros&Vin:  Tu?

Franco:      Néh, ma chi so’ ‘sti duje?

Pasquale:   Quelli del gioco a premi. Sono loro che mi hanno lasciato i due milioni di euro.

                   (Nota il fagotto nelle loro mani) Ma chillo è ‘o fagotto cu’ ‘e sorde mie ‘a dinto!

Vincenzo:  ‘E sorde mie? ‘Sti sorde so’ d’’e nuoste e mò ce ‘e ppigliamme ‘n’ata vota!

Pasquale:   Ma io me ce songo affezionato!

Franco:      E pur’io: ‘e vvoglio bene assaje!

Pasquale:   No, so’ ‘e mie! Io ho vinto il gioco a premi.

Rosario:     Ma qualu gioco a premi? Ora basta! Io e isso nun simme d’’a televisione. Siamo  

                    due rapinatori. Amme svaligiato ‘na banca e t’amme lassato ‘e sorde pe’ nun ce

                    fa’ acchiappà d’’a polizia! Sì cuntento, mò?

Pasquale:   (Ci rimane male) Ah, sì?

Franco:      Embé, ‘sti sorde nun éscene ‘a dint’’a casa mia. (Afferra il fagotto) Mettite ccà!

Vincenzo:  Uhé, liéve ‘e mmane ‘a coppa ‘e sorde nuoste!

Pasquale:   E no, chilli sorde so’ ‘e mie!

Rosario:     Uhé, uhé!

                   I quattro si contendono il fagotto, alla fine vincono Franco e Pasquale esultanti.

I due:         Olé!

Rosario:    Ah, sì? (Estrae una pistola e la punta contro i due) Di chi sono quei soldi?

I due:        (Rassegnati, cedono il fagotto a Vincenzo) Vostri!

Vincenzo: Grazie! E grazie soprattutto per non aver speso nemmeno un soldo!

Pasquale:  Beh, veramente… non è proprio così.

Vincenzo: (Preoccupato) Ma pecché, quanto hé spiso?

Pasquale:  Sinceramente? Sì e no treciento euro.

Vincenzo: (Risollevato) Ah, vabbuò!

Franco:     Sì, però aggia confessà ‘na cosa: io aggio scoperto addò stévene nascoste ‘e

                   sorde… e così ho stretto a Pasquale a spendere ancora!

Rosario:    Che? E quanto?

Franco:     Più o meno… sei pizze!

Rosario:    Vabbuò, nun fa niente. Ve l’amme regalate. Mò però ce n’amma ì.  

Vincenzo: E grazie per aver conservato i soldi. Ora scappiamo dalla finestra.

Pasquale:  Embé, puzzate ‘ncuntrà ‘e fantasme che stanne ‘int’’a ‘sta casa!

I due:        (Se la ridono) Ahahahahah! ‘E fantasme!

                  S’avviano a sinistra, ma dalla porta di lì esce Serafino, imbiancato di calcinacci.

Serafino:  Mamma mia bella!

I due:        (Si spaventano, lasciando il fagotto a terra) Aaaah, ‘o fantasma!

                  Fuggono fuori casa dalla porta centrale, urlando come matti. Pasquale e

                  Franco si inginocchiano in terra, terrorizzati! Serafino li osserva perplesso.   

Pasquale:  Signor fantasma, non ci fate del male!

Franco:     Noi siamo brava gente!

Serafino:  Ma qualu fantasma? Io sono Serafino Allalba, quello del comune.

Pasquale:  (Si rialza) E che ci fate tutto bianco?

Serafino:   Nulla, ho toccato le mura di questa casa e mi sono caduti dei calcinacci addosso!

Pas&Fra:  (Arrabbiati) Disgraziato!

                   Inseguono fuori casa Serafino e gli fanno un “cappotto”. Da sinistra esce Dina. 

Dina:         Ma addò so’ gghiute Umberto, ‘o conte, Pascale e Franc…? (Nota il fagotto) E

                   che d’è ‘stu coso? (Apre un po’ il fagotto, nota i soldi. Resta sbalordita) Oddio!

                   Soldi! Ma allora i fantasmi in questa casa… ci sono veramente! Grazie, grazie!

                   Prende il fagotto e va via a  passo svelto a destra.

FINE ATTO SECONDO

Salone di casa Danneggiato, il giorno dopo.

ATTO TERZO

1. [Checca, Dina e poi Umberto. Poi Pasquale, Franco e Serafino]

                  Da destra entrano Dina (felice) e Checca (sconvolta) con una mano sulla fronte.

Checca:    Marò, Dina! M’aggia assettà, o si no sbatto ‘nterra! (Siede sul divanetto)

Dina:        Stattu zitta, nun alluccà!  

Checca:    E comme faccio a nun alluccà? Tu, dint’’a televisiona scassata toja, tiene astipata

                  ‘na furtuna: quasi due milioni di Euro. Ma addò l’hé truvate?

Dina:        Tu non ci crederai, ma li ho trovati là a terra. Secondo me è stato ‘o munaciello!

Checca:    E già. In questa casa ci stanno gli spiriti. Allora la nostra vita è cambiata!

Dina:        Veramente, è cagnata ‘a vita mia. ‘E sorde l’aggio truvate io. Ma stai tranquilla,

                  tu e i tuoi familiari siete amici miei, quindi non mi scorderò di voi!

Checca:    Dina, grazie di cuore. A proposito, ma agli altri glielo dirai questo fatto dei soldi?

Dina:        Beh, non subito. Per adesso lo sa solamente Umberto. Stamattina gli ho dato 500

                  Euro e gli ho detto di non tornare qua se prima non è diventato un essere umano!

                  Dalla comune entra Umberto: ben vestito, coi capelli gelatinati, tirati indietro.       

Umberto: Cià, mammà! Cià, Checca!

Checca:    (Si alza in piedi, sconvolta) Mio Dio! Umberto, ma… che t’è succieso?

Umberto: M’hanne cagnato ‘e connotati! Po’ so’ passato a m’accattà ‘sti quatte straccie!

Dina:        Si ‘a vocia nun fosse ‘a toja, sembreresti un altro uomo!

Checca:    Hai visto i soldi che combinano?

Umberto: ‘Nu mumento, mammà, ma tu ce l’he’ ditto a Checca ‘o fatto d’’e sorde?

Dina:        Sì, Checca è ‘n’amica. E’ quase ‘na sora, pe’ me.

Umberto: No, dico, ma mica t’ha cercato coccosa ‘e sorde?!

Checca:    No, però Dina, gentilmente, me li da lo stesso. Io songo comm’a ‘na sora pì essa!

Dina:        E già. Ci dobbiamo comprare una bella vasca idroformaggio!

Checca:    Idromassaggio, Dina! Io invece devo andare in un centro estetico e mi devo far

                  fare un massaggio Shatzu. Umberto, tu lo vuoi il massaggio Shatzu?

Umberto: (A Dina) Néh, ma che “Shatzu” va truvanno, chesta, ‘a me?

Dina:        Niente, niente. E mò ascìmme. Dobbiamo andare in banca a depositare i soldi.

Umberto: E nuje nun ce tenìmme niente?

Dina:        Qualcosa ce lo teniamo qua con noi. Aspettatemi qua, adesso li vado a prendere.

                  Dina esce a destra. Umberto si guarda i vestiti nuovi. Checca lo osserva

                  maliziosamente. Lui se ne accorge, si volta e la osserva.           

Umberto: Che d’è, Checca?

Checca:    Siente ‘na cosa, Umbé, tu a mia figlia Assunta ‘a cunusce ‘a quanno è nata. Ma a

                  te… però sultanto pe’ curiosità… nun è che te piace?

Umberto: Beh… ti dirò…

                  Da destra torna Dina col fagotto in mano.

Dina:        Possiamo andare.

Checca:    (Seccata) No, justo mò ‘eva turnà chesta!

Dina:        Umberto, allora noi andiamo in banca e poi dopo andiamo a comprare il cibo.

Umberto: ‘O solito pullasto cu’ ‘a Coca Cola?

Dina:        Ma che? Mò jamme ‘o ristorante e ordinamme tantu bene ‘e Dio! Cià, a mammà!

                  Le due escono di casa. Umberto si osserva ancora una volta (anche dietro).

Umberto: Tié, tié, come sono bello! Peccato che io vivo in un basso: sono un bassista!

                  Esce via a destra, camminando beatamente. Da sinistra tornano, sconvolti

                  negativamente, Pasquale e Franco. Quest’ultimo impreca.

Franco:    E io ‘o ssapevo! ‘O ssapevo! Puteva maje essere che durava pe’ sempe? No!

Pasquale: Che sfurtuna: uno trova due milioni di Euro e poi spariscono misteriosamente!

                  (Sospettoso) Franco, ma nun è che l’he’ nascoste?

Franco:    Come ti permetti di sospettare di me? Chiuttosto, nun è che l’he’ nascoste tu?

Pasquale: Uhé, embé?

Franco:    Vabbuò, basta. Nisciuno ‘e tutt’e dduje tene colpa. La colpa è di uno soltanto.

                  Torna via a sinistra.

Pasquale: Bravo. Vall’a piglià, a chillu fetente.

                  Franco torna con Serafino, legato ai polsi. Lo fa sedere sul divanetto.

Franco:    ‘O vi’ ccanno. Pe’ colpa soja, nuje simme turnate in povertà assoluta!

Serafino:  Lasciatemi. Perché mi avete rapito? Che intenzioni avete? Volete uccidermi?

Pasquale: Quase quase, m’he’ dato ‘na buona idea!

Serafino:  (Si dispera) Nooooo! (Squilla il suo cellulare) Il mio cellulare sta squillando. Ce

                  l’ho qui nel taschino destro della camicia. Sarà l’assessore.

Franco:    Famme vedé ‘nu poco. (Prende il cellulare) Sì, è isso. Adesso ve lo passo. Però

                  vi raccomando a quello che dite. Capito?

Serafino:  Va bene.

                  Franco gli accosta il telefonino all’orecchio e lui parla.

                  Pronto, assessore, sono io. Mi dispiace, ma in questo momento non posso venire.

                  Sono bloccato in una riunione con due signori. (Poi grida) Mi hanno rapitoooo! 

Franco:    (Tira via il telefono e parla lui) Assessore, sentite, io sono un povero disgraziato.

                  E questo tizio che voi mandate in tutte le case a vedere se sono pericolanti, è uno

                  iettatore! Come dite? E’ un funzionario.

Pasquale: Damme ‘nu poco ‘stu telefono. (Glielo tira di mano) Assessò, questo funzionario

                  funziona male! Ma qual è il suo funzionamento? E qual è la sua funzione? Io chi  

                  sono? Io sono più disgraziato del mio amico di prima! Sapete quel Serafino che

                  ha combinato? Ha fatto cadere prima la mia casa, poi ha fatto quasi cadere quella

                  del mio amico, infine ha fatto sparire due milioni di Euro! Dico due milioni!

Franco:    (Gli tira il cellulare di mano) E se non ricompaiono i soldi, il funzionario non

                  funzionerà mai più. Assessore avvisato, mezzo salvato! (Spegne il cellulare)

                  Ecco fatto. (Getta il cellulare sul tavolo)

Pasquale: E mò che ce ne facìmme ‘e chisto? (Indica Serafino)

Franco:    Ci deve trovare i soldi.

Serafino:  (Desolato) Ma io non so niente.

Pasquale:  Vi dobbiamo torturare? Guardate, che io sono bravo a torturare la gente.

Serafino:  Ma non faccia il gradasso!

Franco:     Hai sentito? Non fare il grasso!

Pasquale: Grasso a me?

Serafino:  Ma quale grasso? Io ho detto “gradasso”, cioè buffone.

Franco:     Buffone al mio amico? Presto, portiamolo dentro e torturiamolo!

Serafino:  Noooo, noooo!

                  Fanno alzare in piedi Serafino e lo trascinano via a sinistra.

2. [Vincenzo, Rosario e poi Assunta. Infine Umberto]

                   Dalla comune entrano Vincenzo e Rosario coi passamontagna che tolgono via.

Vincenzo: Rosà, he’ priparato ‘a machina?

Rosario:    Sì, ma teneva doje rote bucate.

Vincenzo: Benissimo, e tu hai rubato le gomme?

Rosario:    Sì, eccole. (Tira fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di chewing gum)

Vincenzo: E che sso’, cheste?

Rosario:    ‘E ggomme!

Vincenzo: Cretino! Le gomme della macchina. (Gli tira il pacchetto di mano) Che ci

                   mettiamo al posto delle ruote bucate? ‘E ggomme ‘a masticà?

Rosario:   Vabbé, ruberemo un’altra macchina. Prima però dobbiamo recuperare i soldi.

Vincenzo: E per fare questo, dobbiamo rapire qualcuno di questa casa e chiedere il riscatto.

Rosario:    (Indica a destra) Forza, andiamo da quella parte.

                   I due si avvicinano lentamente a destra, ma dalla comune entra Assunta, triste.

Assunta:   Mamma mia, comme songo depressa!

Vincenzo: (Si volta e la nota, poi richiama l’attenzione di Rosario) Guarda là.

Rosario:    Sì, chella va buono.

                   I due vanno da lei, estraggono una pistola a testa e gliela puntano contro.  

Vincenzo: Ferma qui!

Rosario:    Seguici, altrimenti ti spariamo.

Assunta:   (Placidamente) Fate pure, fate pure, io non mi oppongo!

Vincenzo: (Sorpreso, poi torna freddo) Ma tu hai capito che ti spariamo, se non ci segui?

Assunta:   No, io non vi seguo. Sparatemi direttamente! Forza!

Rosario:    Chesta ha da essere scema! 

Assunta:   No, io non sono scema. Sono solo depressa, perché ho perso una barca di soldi!

Vincenzo: Pure tu? A chi ‘o ddice?! Noi abbiamo perso due milioni di Euro.

Assunta:   Io quasi.

Vincenzo: Overamente?

Rosario:    Vicié, ma secondo te, chesta, accussì cumbinata, tene duje milione d’Euro?

Vincenzo: Rosà, ti ho detto che quando siamo sul lavoro, non dobbiamo dire i nostri nomi.

Assunta:   Ah, vi chiamate Vincenzo e Rosario? 

Vincenzo: Uhé, niente confidenze. Noi ti abbiamo rapita. E mò, jammuncenne.

Assunta:   Oddio, no! Si m’avìta sparà, va buono, ma si m’avìta rapì, io me metto appaura!

Rosario:    Uhé, mò basta, c’he’ scucciato. Vicié, purtammancella.

                   La trascinano fuori casa (Rosario fa strada ai due). Da destra torna Umberto.

Umberto:  Néh, ma mammà e Checca quanto ce mettono p’accattà ‘o magnà? Io tengo

                   famme! (Si siede al tavolo) Nun ce sta manco Assunta. Chi sa addò è gghiuta?!

                   Ad un tratto, Vincenzo, Rosario ed Assunta tornano di corsa dentro casa.    

Rosario:    Fuje, fuje, Vicié!

Vincenzo: Rosà, ma tu nun ‘ive ditto che nun ce steva nisciuno, ccà ffora?

Rosario:    E che t’aggia dicere? Bell’e buono sò accumparùte ‘a guardia ‘e finanza, ‘a

                   polizia, ‘e carabbiniere, peffìno ‘e pumpiere!

Vincenzo: Menu male che nun ce sta nisciuno, ccà ddinto.

                  Umberto osserva i due e pure Assunta. Si alza in piedi e va da lei.

Umberto:  Uhé, Assù!

                   I due si spaventano e tengono le mani in alto.

Vincenzo: (Terrorizzato) Ci arrendiamo!

Rosario:    Non sparate!

Umberto:  No, ma io so’ disarmato! In questa casa ce murìmme ‘e famme!

Rosario:    E tu comme va staje vestuto accussì elegante?

Umberto:  Ve piace ‘o vestito mio? So’ gghiuto ‘o centro ‘e bellezza e ppo’ m’aggio   

                   accattato ‘stu completo ‘e sartoria napulitana!

Assunta:   E comme he’ fatto?

Umberto:  Chesto nun t’’o ppozzo dicere. Quanno uno trova duje milione d’Euro ‘int’’a

                   casa soja, s’ha da sta’ zitto!

I due:         Che?

Umberto:  Sì, però nun dicite niente a nisciuno, o si no cocche marjuolo ce po’ rapinà!

Assunta:    Oh, no!

Umberto:  Assù, ma pecché faje accussì? Chisti duje me pàrene brava gente!

Rosario:    He’ ‘ntiso, Vicié?

Vincenzo: E già. ‘A mamma ‘e chisto ha truvato ‘e sorde nuoste.

Umberto:  Ma pecché, uno ‘e tutt’e dduje è ‘nu munaciello? 

Rosario:    (Estrae la pistola) E mò basta. Fernìmmele cu’ ‘sta pazziella. Addò stanne ‘e

                   sorde nuoste. Parlate, o si no è mal’acqua!

Umberto:  In che senso?

Assunta:    Imbecille, questi due sono rapitori. Ci vogliono rapire.

Umberto:  (Sconvolto) No! 

Vincenzo: Rosà, mò amma piglià in ostaggio pure a isso.

Umberto:  A me? Ma io nun saccio niente.

Rosario:    Resteremo insieme a voi in questa casa finché non sarà pagato il riscatto.

Umberto:  Il riscatto? Ma guardate, a noi nessuno ci può liberare, perché non teniamo soldi.

Rosario:    ‘O vero? E ‘e duje milione che ha truvato màmmeta?

Umberto:  Ehm… no, ma io stevo pazzianno. Mammà nun ha truvato ‘o riesto ‘e niente.

Vincenzo: E invece mò jamme a cercà ‘e sorde. Forza, forza! (Indica a destra) Jamme a llà.

Umberto:  Ma chi m’ha cecato a me ‘e turnà ccà? Io me ne putevo ì a magnà ‘o Vesuvius!                   

                  Cosicché i quattro escono a destra.

3. [Pasquale e Franco. Poi Dina e Checca. Infine Vincenzo, Rosario e Serafino]

                   Da sinistra tornano Pasquale e Franco, affranti e pentiti.

Franco:     Pascà, ma che stamme cumbinanno? Amme pigliato in ostaggio a chillo.

Pasquale:  E già, Franco. (Si siede al divanetto) Chisto è ‘nu reato. Si ce acchiàppene, ce sta

                  ‘a pena ‘e morte: ‘a camera a gas! Io nun voglio murì cu’ ‘o gas ‘ncuorpo.

Franco:     No, ma in Italia nun ce sta ‘a camera a gas.

Pasquale:  Ah, no? E allora peggio, ce sta ‘a sedia elettrica!

Franco:     Ma nun ce sta manco ‘a sedia elettrica.

Pasquale:  Allora l’impiccagione?

Franco:     (Gli siede accanto) Ma nemmeno. In Italia, ‘a pena ‘e morte nun ce sta.

Pasquale:  Siente, ma si allora nun ce fanne niente, pecché ce stamme prioccupanno?

Franco:     Pecché è ‘na cosa brutta chella che stamme facénno. Io dicesse: libberamme a

                   chillo… comme se chiamma? ‘A ciucciuvettola, ‘a jatta nera… ‘o funzionario.

Pasquale:  So’ d’accordo cu’ te. E alle nostre mogli, non raccontiamo niente.

Franco:     No, pe’ carità.

                   Dalla comune entrano Checca e Dina, soddisfatte. Non vengono notate dai due.

Checca:     Ecco qua. Anche questa è fatta.

Dina:         Fra mez’ora ‘o ristorante ccà ffora ce porta ‘o pranzo imperiale!

Checca:     Saje che surpresa pe’ Franco e Pascale!

Dina:         (Li nota seduti) Uh, ‘e vvi’ lloco. Jamme addù lloro.

                  Checca e Dina si avvicinano subito ai due.

Checca:     Uhé, cià, Pascalì!

Dina:         Cià, Franchetié!

Franco:     (Senza degnarle di uno sguardo) Pascà, ‘sti ddoje ténene ‘a capa fresca.

Pasquale:  Biate a lloro!

                   Checca e Dina si appartano un po’.

Checca:     Ma che d’è, Dina? Nun saccio comme ‘e vveco strane.

Dina:         Saje che te dico? Diciamogli che tra poco il ristorante ci porta il pranzo.

Checca:     Uh, e allora ce vuo’ ruvinà ‘a surpresa?

Dina:         E che ffa? Mò ce ‘o ddich’io.

                   Checca e Dina si avvicinano di nuovo a Pasquale e Franco. Dina gli parla lei.

                   Ehm… Pascà, Franco, v’amma dicere ‘na cosa. La notizia è che… 

                   Ma i quattro si voltano a destra da dove tornano Vincenzo e Rosario, seccati.

Vincenzo: ‘O guaglione ‘eva raggione: ‘e sorde lloco nun ce stanne.

Rosario:    E allora mettimme ‘a casa sotto e ‘ncoppa e truvammele.

                   I due si avviano verso sinistra, ma notano gli altri che li osservano.

Franco:     (Si alza in piedi) Vuje? State ‘n’ata vota ccà?

Vincenzo: Sì, e ‘sta vota nun ce ne jamme si nun ce restituite ‘e sorde. (Estrae la pistola)

Pasquale:  (Si alza pure lui) Uhé, ha cacciato ‘na pistola.

Rosario:    (Anche lui estrae la sua pistola) ‘A tengo pur’io.

Franco:     Complimenti!

Checca:     E ch’intenzione tenìte?

Rosario:    Siete tutti nostri prigionieri. Se pagate il riscatto, noi vi liberiamo. Se no…!

Pasquale:  Ma ‘e sorde nun ce stanne cchiù. L’amme perze aiére.

Franco:     Vuje ‘o ssapite già, dint’a ‘sta casa ce stanne ‘e spiriti. E chille so’ dispettuse.

Vincenzo: Sì? Embé, si nun aéscene ‘e sorde, nuje ve sparamme a tutte e quatte.  

Rosario:    No, a tutt’e seie. Ce stanne pure chilli duje ch’amme legate vicino ‘o lietto.

Dina:         Forse stanne parlanno ‘e Assunta e Umberto.

Checca:     Uh, mamma mia!

Pasquale:  Ma, veramente, simme sette. (Indica a sinistra) Llà ddinto ce sta ‘n’ata perzona.

Vincenzo: ‘O vero? E jatele a piglià. Rosà, va’ ‘nzieme a isso. Io non mi fido di lui.

Rosario:    (Afferra Pasquale per il braccio) Mò putimme ì.

                   Rosario e Pasquale escono a sinistra.   

Vincenzo: E mò a vuje, assettateve ‘ncoppa a ‘stu divanetto…

                   Franco, Checca e Dina si siedono.

                   E nun dicite manco ‘na parola.

Franco:     Etciù!

Vincenzo: Aggio ditto che nun ata dicere manco ‘na parola.

Franco:     E mica aggio ditto ‘na parola? Io aggio fatto ‘nu starnuto!

Vincenzo: Ma pecché, “etciù” nun è ‘na parola?

Franco:     Ma si io nun dico “etciù”, comme ‘o faccio, ‘o starnuto?

Vincenzo: He’ raggione. E allora, da questo momento, silenzio!

                   Da sinistra riecco Pasquale, Serafino e Rosario.

Rosario:    E ora sedetevi al tavolo.

                   I due eseguono senza fiatare. Vincenzo si avvicina a Serafino e lo osserva.

Vincenzo: E chisto chi è?

Serafino:   Serafino Allalba, funzionario del comune in trasferta!

Vincenzo: E che staje a ffa’ ccà?

Serafino:   Ma che ne saccio? Chi m’ha cecato a me? Mannaggia all’assessore!

                   Squilla il cellulare di Serafino sul tavolo. Rosario e Vincenzo vanno nel panico.

Vincenzo: Ch’è succieso?

Rosario:    Addò sta sunanno, ‘stu cellulare? Forse è ‘nu cellulare fantasma?

Serafino:   No, è ‘o cellulare mio. Sta ‘ncoppa ‘o tavolo. L’assessore me starrà cercanno.

Vincenzo: Va bene, rispondi. Ma ricordati di fare il bravo, perché noi ti abbiamo rapito.

Serafino:   Pure vuje?

                   Rosario accosta il cellulare di Serafino al suo orecchio e quest’ultimo parla.

                   Pronto, assessò, siete voi? Assessò, sto in un brutto momento: oggie m’hanne   

                   rapito doje vote! Voglio sape’ chi l’ha da pavà ‘o riscatto mio!

Rosario:    (Gli stacca il cellulare e lo posa sul tavolo) Basta. He’ parlato troppo assaje. 

Vincenzo: Allora, adesso, una delle due donne chiuda la porta di casa.

                  Dina si alza e va a chiudere la porta (in realtà sono due), poi torna a sedersi.  

Rosario:    Perfetto! E ora, se non escono i nostri soldi, ogni minuto che passerà, spareremo   

                   a ognuno di voi. (Guarda l’orologio) E sbrigatevi, che il tempo è carogna.

Franco:     Ma v’amme ditto ch’’e sorde so’ sparite.

Pasquale:  Overamente nun ce stanne cchiù.

Checca:     Dina, parle tu. (Al silenzio di Dina, Checca replica) E vabbuò, allora parl’io.

Dina:         No, Checca.

Checca:     E invece sì. E allora dicìmme ‘a verità: signori, i soldi li abbiamo trovati io e lei.

Dina:         Beh, veramente l’aggio truvate sulo io.

Franco:     Che cosa? E nun ce avite ditto niente?

Pasquale:  E brave, a tutt’e ddoje!

Checca:     Vi volevamo fare una sorpresa. Però non ci è riuscita.

Vincenzo: Sì, ma mò ‘e sorde addò stanne?

Dina:         In banca: Monte dei Pascoli di Siena!

Rosario:    E mò amma saglì ‘ncoppa ‘e mmuntagne ‘e Siena pe’ ce piglià ‘e sorde nuoste?

Checca:     No, ‘a banca sta ccà vicino.

Franco:     E allora, facìmme accussì: io e Pascale jamme a piglià ‘e sorde, mentre vuje

                   aspettate ccà! E’ ‘na bella idea?

Rosario:    No, è ‘na scimmità! Vuje po’ ascite e turnate ‘nzieme ‘a polizia.

Franco:     (A Pasquale) E chiste comm’’o ffanne ssape’?

Vincenzo: E che simme scieme? Chisto è ‘o mestiere nuosto. No, caso mai, jamme io e ‘a

                   signora, lloco. (Indica Dina) E così…

                   Ad un tratto suonano il campanello della porta d’ingresso.                    

Rosario:    (Terrorizzato) Oddio! E chi sarrà mò?

Vincenzo: Aspettavate visite?

Franco:     Veramente, no. Ch’amma fa’? Amma arapì?

Vincenzo: No, m’è venuta ‘n’idea: facìmme arapì a chilli duje ch’amme legato vicino ‘o

                   lietto. Al loro posto, ci leghiamo questi altri quattro.

Rosario:    Bravo, buona idea. Allora adesso, silenziosamente, alzatevi e seguiteci.

                    I quattro seguono Rosario e Vincenzo a destra.     

4. [Assunta, Umberto, i due rapitori, Tommaso, Laura, Dina, Checca, Pasquale, Franco]

                   Suonano ancora il campanello della porta d’ingresso. Da destra tornano

                   Vincenzo e Rosario, seguiti da Assunta ed Umberto.                    

Vincenzo:  Aprite la porta. Vi raccomando, guardate chi è e poi mandateli via. Capito?

Rosario:     E non fate scherzi. Sono stato chiaro?

I due:         (Malvolentieri) Sì.

Rosario:     E forza, andate a aprire. Noi ci nascondiamo con le pistole puntate verso di voi.

                    Rosario e Vincenzo si nascondono dietro la porta di destra. Assunta ed

                    Umberto vanno ad aprire la porta: sono il commendatore Tommaso e Laura. 

Tom&La.: Buongiorno!

                    Ma subito Assunta ed Umberto gli sbattono le porte in faccia.

Umberto:   Maronna, mia, ‘e signori Precario. E mò nun ce vulévene proprio, chiste!

Assunta:     E comme facìmme, mò?

                    Suonano ancora il campanello.

Umberto:   Assù, amma arapì afforza. Nun ce sta niente ‘a fa’.

                    I due aprono e si notano i Precario con la mano coprirsi il loro naso dolorante.

Assunta:    (Finge cortesia) Ehm… carissimi conti Precario! Come state?

Tommaso: Stavamo meglio prima!

Laura:       Ma io non capisco perché ci avete chiuso la porta in faccia.

Assunta:    Ci siamo sbagliati!

Umberto:   Ma mica volete entrare?!

Tommaso: E allora che siamo venuti a fare?

Assunta:    E va bene, se proprio dovete…! Prego, accomodatevi.

                   I due entrano con aria circospetta. 

Tommaso: Umberto, dobbiamo parlarti al cospetto dei tuoi genitori.

Assunta:    Allora io me ne posso andare?

Laura:       No, no, rimani pure tu. Anzi, fai venire pure tua mamma e tuo padre.

Assunta:    Ma proprio adesso?

Laura:       Sì, subito!

                   Cosicché Checca, Dina, Franco e Pasquale entrano di corsa, spinti nella stanza

                   da Rosario e Vincenzo (che però rimangono nascosti).

Franco:      Ma che maniere!

Tommaso: Ah, eccoli. Buongiorno!

Dina:          Buongiorno a voi.

Laura:        Cari signori, abbiamo bisogno di parlarvi.

Assunta:     Io vado a prendere due sedie in cucina.

                    Da destra Rosario tossisce con forza per mandarle un messaggio. Lei desiste.

                    No, non ci vado più!

Tommaso: Ma chi è che ha tossito lì dentro?

Franco:      Fantasmi! Ma non ci fate caso. Accomodiamoci tutti. Vorrà dire che Assunta ed

                    Umberto si accomoderanno per terra!

Umberto:   Mannaggia, ‘o vestito nuovo!

                    Tommaso, Laura, Checca e Dina si siedono al tavolo, Pasquale e Franco al

                    divanetto, mentre Umberto ed Assunta si siedono a terra gambe incrociate.  

Franco:      (Bisbiglia a Pasquale) Pascà, cercàmme ‘e fa’ capì a ‘sti duje che hanna ì a

                    chiammà ‘a polizia.

Pasquale:   Vabbuò.

                    I due cominciano a fare strani segni a Tommaso e Laura.

Tommaso: Dunque, cari signori… (Osserva i due) Eh?

Franco:      No, niente, continuate.

Tommaso: Stavo per tornare sull’argomento che già conoscete: nostra figlia Marzia ed

                    Umberto. Ebbene, la nostra cara figlia è incinta, ma gli esami parlano chiaro.

Laura:        Infatti. E dicono che… (Osserva i due fare segni) Ma… che c’è?

Tommaso: Non capiamo. Cosa fate?

Pasquale:   No, niente.

Umberto:   Sentite, ma mi volete dire che cosa dicono gli esami?

Laura:        Stai tranquillo, sei sciolto da ogni vincolo. Non sei tu il padre di nostro nipote.

Dina:          Uh, meglio accussì!

Umberto:   Aspiette ‘nu mumento, mammà, io nun songo ‘o pato d’’o figlio ‘e Marzia, però

                    a chistu punto io tengo ‘e ccorne!

Franco:      E ‘o vero, Umbé!

Umberto:   (Ironico) Papà, grazie d’’a conferma! (Poi serio) E mò, Marzia, cu’ chi l’ha

                    fatto chistu figlio? Chella sgualdrina!

Tommaso: Come osi?

Franco:      E no, aggiate pacienza, conte, mio figlio ave raggione! (Fa di nuovo segni)

Tommaso: Ma che volete con questi gesti? Ringraziate che non andiamo alla polizia e non

                    la facciamo venire qua!

Pas&Fra:   Ecco, sì!

Laura:        Bene, vi abbiamo detto quello che vi dovevamo dire. Fortunatamente nostra

                    figlia sposerà un uomo di una famiglia benestante.

Umberto:   E pecché, nuje nun simme addiventate benestante?

Tom.&La: Eh?

Dina:          No, niente, nun ‘o data retta, a ‘stu deficiente! 

Tommaso: Hai visto, Umberto? Ti abbiamo liberato di un peso. Finora, vivevi come con

                    una pistola puntata alla tempia!

Umberto:   E ‘o bello è che nun è fernuta ancora!

Laura:        Dai, Tommaso, ora andiamo.

                    Si alzano tutti in piedi.   

Tommaso: Va bene, allora signori, noi vi salutiamo e…

Pasquale:   No, no, aspettate, non ve ne andate ancora. Non ve lo prendete un caffè?

Tommaso: No, grazie. Dobbiamo andare da nostra figlia. Il suo bambino deve nascere.

Franco:      E ha da nascere justo mò?

Laura:        Dai, senza rancore, veniamo un altro giorno.

Franco:      No, aspettate, conte, contessa. (Si mette tra i due, poggia le braccia sulle loro

                    spalle in gesto confidenziale) Se ve ne andate, ci dispiace. (Poi bisbiglia ai due)        

                   Gna-gnate alla polizia… gna-gnate alla polizia!

Tommaso: La zia?

Franco:      ‘A zia ‘e mammeta! Ma quale zia?

Pasquale:   Ma no, Franco, accussì nun faje niente. (Si avvicina a Tommaso) Caro conte…

                    Voi siete il più grande imbecille che ho mai visto! E vostra moglie è racchia!

Laura:       Ma come vi permettete?

Franco:      Meno male che mio figlio non si sposa a quella baracca di vostra figlia!

Tommaso: Come vi permettete? Io vi querelo.

Franco:      E dove si fa la querela?

Tommaso: Alla polizia.

Pasquale:   Embé, si site ommo, l’avìta fa’!

Tommaso: Ma certo che lo faccio. Laura, andiamo!

Laura:       Subito!

                   I due escono via imbronciati. Assunta va a chiudere le imposte della porta.      

Pasquale:  E pure chesta è fatta!

Franco:     Speramme che chillo mantene ‘a parola!

                   Da destra tornano Rosario e Vincenzo.

Rosario:    Bene, sono andati via. Ora io e la signora… (Indica Dina) …andiamo in banca.

Vincenzo:  Però facìte ambresso.

Rosario:    Signora, cammina tu davanti. Io ti seguirò con la pistola puntata. Però ti

                   raccomando: non cercare di correre via.

Dina:         E chi ce ‘a fa’ a correre? A me me trémmene ‘e ccosce p’’a paura!

                   I due escono di casa e Assunta chiude la porta.

5. [Vincenzo, Checca, Franco, Pasquale, Umberto, Assunta e poi Serafino]

                   Vincenzo si accerta che la porta sia chiuda bene. Poi si riferisce ai presenti.   

Vincenzo:  Sedetevi tutti, tranne Pasquale.

                   Tutti obbediscono al comando del rapitore.

Pasquale:   Siente, scusa, ma pecché io so’ rimasto all’erto? Mica me vuo’ sparà?

Vincenzo:  Per adesso no. Va’ a piglià ‘o funzionario d’’o comune legato vicino ‘o lietto.

Pasquale:   L’aggia ì a piglià io?

Vincenzo:  Sì. E ci devi mettere meno di un minuto, o si no te vengo a cercà… e so’ guaje!

Pasquale:   E vabbuò.

                    Esce via a destra. 

Vincenzo:  E in quanto a vuje, nun fiatate. Me so’ spiegato? (Poi si volta verso destra e

                    chiama) Pascà, he’ pigliato a ‘stu funzionario?

                    Da destra esce di corsa, felice ed esultante, Serafino.

Serafino:    Libertààà! E’ fernuta ‘a prigionia! (Ma nota accanto a sé Vincenzo con pistola

                    puntata contro e cambia espressione del viso) No, nun è fernuto proprio niente!

Vincenzo:  Assiettete lloco ‘nterra, vicino ‘o divanetto.

Serafino:    Ma se sporca ‘o cazone.

Vincenzo:  E allora facìmme ‘n’ata cosa. (Indica Umberto) Tu, assiéttete ‘nterra.

Umberto:   Embé, ma che me l’aggio accattato a ffa’ ‘stu vestito nuovo? (Si siede a terra)

Vincenzo:  (A Serafino) E tu vatte a assettà ‘ncoppa ‘o divanetto.

Serafino:    Grazie. (Così fa) Me pozzo leggere ‘nu giurnale?

Vincenzo:  Ma che staje, ‘int’’o chalet? Stattu zitto ‘na mez’ora!

                   Va alla porta d’ingresso, apre un’anta e sbircia fuori.  

Pasquale:   (Bisbigliando) Franco, si tu distrae a chillo, io manno ‘nu messaggio cu’ ‘o

                    cellulare mio.

Franco:      (Bisbigliando) Sì, ma il cellulare tuo quante cacche tiene?

Pasquale:   Ancora cu’ ‘sti cacche?

Franco:      E certo. Tieni le cacche sufficienti per mandare un messaggio?

Pasquale:  So’ “cacche” che nun te riguardano!... T’aggio ditto va’ a distrarre a chillo!

                   Franco si alza in piedi e va da Vincenzo, mentre Pasquale scrive l’SMS.

Franco:     Ehm… caro rapinatore. Mi pare che ti chiami Vincenzo.

Vincenzo: Che vvuo’? Pecché te si’ aizàto?

Franco:     Stevo penzanno: giacché stamme senza fa’ niente, ce facìmme ‘nu bellu café?

Vincenzo: Chesta è ‘na bella idea. Tu ‘o ssaje fa’?

Franco:     No, io saccio mettere sulo ll’acqua ‘int’’a cafettéra! Però Checca ‘o ssape fa’!

Vincenzo: Ma pecché, ccà ddinto ce sta ‘na “checca”?

Franco:     Checca è ‘a mugliera ‘e Pascale.

Vincenzo: Pascale s’è spusato cu’ ‘na checca?

Franco:     ‘Na Checca femmena!

Vincenzo: Benissimo, allora mò jamme io, ‘sta Checca e ‘o funzionario ‘int’’a cucina. E

                  vuje invece rimanite ccà. Ma v’arraccummànno: nun facìte fessarìe. Intesi?

Franco:     Va bene.

Vincenzo: (Con un gesto chiama Checca e Serafino) Forza, muvìmmece.

                  Vincenzo, Checca e Serafino escono a sinistra. Franco corre subito da Pasquale.

Franco:     (Speranzoso) Pascà, he’ mannato ‘o messaggio?

Pasquale:  (Orgoglioso) Sì, sì, l’aggio mannato!

Franco:     E a chi l’he’ mannato? ‘A polizia? ‘E carabbiniere?

Pasquale:  No, meglio ancora: l’aggio mannato ‘o Generale De Vecchis!

Franco:     (Deluso) Pascà, ma a chi l’he’ mannato?

Pasquale:  Ma pecché, nun è buono?

Assunta:    ‘O Generale De Vecchis è muorto ‘na semmana fa! Teneva nuvantacinch’anne!

Pasquale:  Nuvantacinch’anne? Uh, e comm’è? E’ muorto accussì, bell’e buono?

Franco:     Ma che te ne ‘mporta? Chiuttosto, tu nun cunusce a nisciuno d’’a polizia?

Pasquale:  Io no.

Umberto:  E manch’io.

Assunta:   E io manco.

Franco:     E io pure. Allora ci vuole uno che va alla polizia per noi. A chi cunuscìmme?

Pasquale:  ‘A signora Esposito! E’ ‘a fruttajola che sta ccà di fronte. Tengo il cellulare suo.

Franco:     E mò t’’o faje ascì? Va’, mànnece ‘nu messaggio.

Pasquale:  Ma chella nun sape leggere. Mò ‘a telefono ‘ncoppa ‘o telefono ‘e casa. 

Franco:     Sì, ma muòvete!

Pasquale:  Subito! (Compone il numero, poi aspetta) Pronto, signò! (Poi parla gridando)

                   Signò, me sentite? So’ Pascale! (Poi a Franco) Mannaggia, io me so’ scurdato.

Franco:     ‘E che cosa?

Pasquale:  ‘A signora Esposito è completamente sorda!

Franco:     E che l’he’ chiammata a ffa’? Stuta, stuta!

Pasquale:  (Così fa) L’aggio stutato.

Franco:     Embé, quanno te serve coccheduno, nun bussa maje nisciuno a chella porta!

                  Suona il campanello della porta. I quattro si guardano perplessi.

Assunta:   (Stupita) ‘A porta!

                  Da sinistra accorre subito Vincenzo, seguito da Checca e Serafino.

Vincenzo: Zitte, nisciuno s’ha da movere. (Poi indica Assunta) Tu, aiésce fora ‘a porta e  

                  vide chi è. Se non si tratta di Rosario e della signora, mandali via. Capito?

Assunta:   Vabbuò.

                  Vincenzo apre un’anta e Assunta esce. Poco dopo Assunta torna.

Vincenzo: Chi era?

Assunta:   Erano quelli del ristorante qua fuori. Ci avevano portato il mangiare.

Franco:     A nuje?

Checca:     Uh, mannaggia! Chesta era ‘a surpresa ca io e Dina ve vuléveme fa’ a vuje.

Pasquale:  (Spalanca gli occhi) ‘O magnà! ‘O magnà steva pe’ trasì ‘int’a ‘sta casa e nuje

                   l’amme cacciato accussì, senza pietà!

Vincenzo: Oh, e te vuo’ calmà? (Poi ad Assunta) Chille d’’o ristorante se n’hanne jute?

Assunta:   Sì.

Checca:    Che peccato, l’amme pavàte inutilmente!

Franco:     Pure?

Pasquale:  Uffà, ma io tengo ‘na super-fetente ‘e famme!

Vincenzo: Jamme ‘int’’a cucina, ‘o ccafé è quase pronto!

Pasquale:  E comme me sazio? Cu’ ‘o ccafé?

Vincenzo: E tu che vvuo’ ‘a me? Io che ne sapevo d’’o fatto d’’o magnà?

Pasquale:  (Piagnucola) Ma io voglio murì, voglio murì…!

Vincenzo: (Lo consola) Jamme, nun fa’ accussì! Mò fernesce tutto cose.

                  Vincenzo, Pasquale, Franco, Serafino e Checca escono a sinistra.

Scena Ultima. [Assunta e Umberto, poi tutti gli altri tranne Tommaso e Laura]

                   Assunta è seduta sul divanetto, Umberto a terra. Poi lui le siede a fianco.  

Assunta:   Umbé, per curiosità, ma tu veramente ti eri innamorato della figlia dei Precario?

Umberto:  Beh, sì, mi piaceva, anche se era un “purpo affogato”!

Assunta:    E come mai non te la saresti sposata?

Umberto:  Assù, il matrimonio costa, sia prima che dopo. Perciò, io non mi sposerò mai.

Assunta:   Nemmeno a me?

Umberto:  No, però ti vorrei bene. E tu?

Assunta:   Pure io.

Umberto:  E allora ce vulésseme pure vasà?

Assunta:   Ma sì, io dicesse: vasàmmece!

                   Stanno per baciarsi, suona il campanello della porta, Serafino spunta tra i due.

Serafino:   La porta!

                   Accorrono Pasquale, Checca, Franco e Vincenzo (con la pistola).

Vincenzo: (Ad Assunta) Uhé, a te, va’ a vedé chi è.

Assunta:   Ma che m’he’ pigliata, p’’a schiava toja?

Vincenzo: Néh, coccosa in contrario?

Assunta:   No, no, mò vaco.

                  Assunta apre un’anta della porta. Sbircia, poi riporta a Vincenzo.

                  Sono mia mamma e il tuo compare.

Vincenzo: E muòvete, falle trasì.

                  Assunta apre ed entrano Dina e Rosario (con un fagotto pieno di soldi).

Rosario:   Missione compiuta! (Posa il fagotto sul tavolo)

Vincenzo: Finalmente. Chi si rivede! (Posa la pistola sul tavolo e sbircia nel fagotto) So’

                   quase duje mise che nun ‘e vvedevo cchiù, ‘e sorde mie.

Umberto:  (Prende la pistola di Vincenzo e la osserva) Ua’, comm’è bella ‘sta pistola!

Franco:     Cretino, puòse ‘sta pistola ‘n’ata vota!

Dina:         Néh, uhé, ma site scieme? Puntate ‘sta pistola contro a ‘sti duje.

Umberto:  He’ raggione, mammà! (Esegue) Mani in alto!

Vincenzo: (Se la ride) Mani in alto?

Rosario:   (Se la ride pure lui) Chella pistola è tale e quale ‘a mia: ‘na pazziella!

Serafino:  E’ fasulla?  

Checca:    No, è finta.

Serafino:  E pecché, io ch’aggio ditto?

Checca:    Vuje jate truvanno ‘e fasule!

Dina:         E allora sapìte che ve dico? Pascà, Franco, pigliate a mazzate a ‘sti duje!

Pasquale:  Oh, aspiette. Comm’è bellella, chesta! Ma pecché l’amma vattere proprio nuje?!

Dina:         E che l’aggia vattere io che songo femmena?

Assunta:   E allora, visto che nun ‘e pputìmme vattere, facìmmele sbarià ‘nu poco. (Prende

                   il fagotto e lo cede ad Umberto) Tié, acchiappa!

Umberto:  E ch’aggia fa’ cu’ ‘stu coso ‘nmana?

Assunta:    Tu saje correre? E curre!

                  Umberto corre via a sinistra. Rosario e Vincenzo si guardano perplessi.

Rosario:    Vicié, facìmme ambresso, acchiappàmmele!

                   Rincorrono Umberto.

Franco:     E nuje che ffacìmme? Ce guardamme ‘o film? Forza, jamme pure nuje.

Serafino:   Un momento, ma pure io?

Pasquale:  Ma vuje sapìte fa’ cadé sulo ‘e ccase? Jamme, rendetevi utile, ‘nu poco!

                   Tutti gi altri corrono a destra. Poco dopo, esce di nuovo Umberto inseguito dai

                   due e poi da tutti gli altri.   

Umberto:   Papà, acchiappa ‘stu coso!

Franco:      Votta a me.                 

                   Passa il fagotto a Franco, che lo passa a Pasquale, che lo passa a Serafino, il

                   quale fugge via inseguito dagli altri a sinistra. Poco dopo, esce Checca col

                   fagotto in mano, inseguita da Pasquale e Franco che la braccano e lei si ferma.

Checca:     (Si arrabbia coi due) Oh, songh’io!

Pasquale:   Ah, già!

                   Da sinistra entrano pure Rosario e Vincenzo (e il resto della truppa).  

Rosario:    ‘A vì lloco, ‘a vi’! Acchiappàmmele!

                   Checca, Pasquale e Franco fuggono a destra, poi tutti gli altri. Si sentono grida  

                   e botte… e lo scroscio dello sciacquone del gabinetto. Poco dopo, tutti tornano.

Pasquale:  Ua’, s’è araputa ‘a mappata e so’ gghiute a fernì ‘e sorde ‘int’’o gabinetto!

Franco:     Ma po’ chi l’ha tirato ‘o discarico?

Serafino:   Chiedo venia, involontariamente sono stato io!

Umberto:  Ne facìsseve maje una bona!

Vincenzo: Embé, e mò addò sò gghiute a fernì, ‘e sorde?

Checca:     Stanne cammenanno ‘int’’e ffognature!

Dina:         Chi schifo!

Rosario:    Sentite, se ci aiutate a prenderli, ce li dividiamo in parti uguali tutti quanti.

Vincenzo: Ci state?

Pasquale:  Uhé, jammece a ffa’ ‘stu viaggio ‘int’’e ffognature ‘e Napuleeee!

Tutti:         Sììììì!

                   Tutti escono di casa frettolosamente.

FINE DELLA COMMEDIA