Primo amore

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PRIMO AMORE

Titolo originale: Premier amour

Commedia in due parti e otto quadri

di ANDRÈ JOSSET

Versione italiana di G.V. Sampieri

PERSONAGGI

IL SIGNOR ATANASIO

MICHELE

MAURIZIO

PRISCA

MARION

IL CAMERIERE

IL BRIGADIERE

L'AGENTE

ATANAELE

LA CAMERIERA


Commedia formattata da


Questa commedia non richiede alcuna scenografia realista; al contrario essa farà a meno, e vantaggiosamente, di ogni costruzione decorativa. Ne risulterà che con tre semplici « siparietti » laterali si potranno inquadrare opportunamente alcuni elementi scenici situati sul fondo. Questi saranno: 1"- Il telaio di una finestra lunga e bassa per la piccola camera sotto i tetti                 - (primo ed ultimo quadro), che servirà anche per la scena della brasserie. 2°- Un fondale unito per la camera ammobiliata- (quarto quadro, parte prima) e per il dancing- (secondo quadro, parte seconda). 3° - Un fondale figurante l'angolo d'una casa- (primo quadro, parte seconda). 4°- Il fondale unito del quarto quadro potrà utilizzarsi anche per la proie­zione delle ombre dei gradini di una scala- (terzo quadro, parte seconda).

 

PARTE PRIMA

QUADRO PRIMO

La scena rappresenta una piccola camera sotto i tetti, in un grigio pomeriggio d'inverno. (Al levarsi del sipario un giovane, Michele, scorre con lo sguardo un grosso quaderno rilegato che ha aperto davanti. Passa un lungo tempo, durante il quale Michele smette di leggere e si abbandona ai suoi pensieri, gli occhi fissi, il volto contratto. Un secco singhiozzo lo scuote bruscamente. Poi una espressione di risolutezza quasi feroce gli indurisce i tratti della figura. Egli mormora qualche cosa che non si capisce. Nello stesso momento la porta si apre senza far rumore, e qualcuno entra nella ca­mera attraverso l'apertura. E' un vecchio signore, dall'apparenza degna e gioviale, vestito di una im­mensa redingote nera, con un vasto gibus fuori moda in testa ed un grosso ombrello tenebroso. Al suo apparire Michele si alza dì colpo. Con urba­nità perfetta ed impeccabile lo sconosciuto saluta Michele, togliendosi il bizzarro copricapo).

Lo Sconosciuto             - Vorrete scusarmi, signore, se entro in casa vostra così, senza bussare... Ma la vo­stra invocazione mi ha colpito con tanta energia, direi con tanta veemenza, che ho creduto mio do­vere non perdere un minuto.

Michele                         - Prego... (Nella sua voce c'è una certa sorpresa. Ma si riprende quasi subito, con tono d'amarezza) Ah sì, giusto... sì, sì... Voi venite per... (Non termina la frase e indica la tavola, le carte e se stesso con un gesto vago e circolare).

Lo Sconosciuto             - (inchinandosi leggermente) In fede mia, signore, poiché siete voi stesso che lo dite per primo, sì, vengo per... (E fa anche lui un gesto vago e avvolgente) Ma non vorrei disturbare... Posso benissimo aspettare... Sedetevi, signore, do­vete essere molto stanco...

Michele                         - Un poco...

Lo Sconosciuto             - (compassionevole) E' fatale, vero? Tutte queste emozioni!

Michele                         - (meccanicamente) Sì, vero? E' fatale. (Trasalendo) Ma con chi ho l'onore di parlare?

Lo Sconosciuto             - Voi avete « l'onore di par­lare»... (Esita un istante, arrischia un'occhiata obli­qua su Michele, che gli appare così giovane, così triste, con gli occhi bassi, e conclude con pietà un po' ironica) Con il signor Atanasio.

Michele                         - (meccanicamente) Atanasio.

Atanasio                        - Per servirvi... (Si inchina in modo molto cavalleresco)

Michele                         - Ah sì?... Allora entrate, signore, en­trate... Non rimanete così sulla soglia...

Atanasio                        - Molto volentieri, signor Michele. Il fatto è che da questa scala arriva una corrente d'aria veramente gelida. (Chiude la porta dietro di se) Se me lo permettete, oserò anche togliermi le soprascarpe di gomma. Sono molto infangato. Ma voi siete ancora in piedi? Sedetevi, prego.

Michele                         - (sorridendo con fredda correttezza) Grazie. (Pausa. Atanasio si siede, toglie le sopra­scarpe posandole accuratamente accanto alla sedia, mette il suo gibus sopra un mobile accanto al quale appoggia il suo ombrello, e tutto ciò senza smettere di esaminare Michele con aria sempre più inte­ressata).

Atanasio                        - (con precauzione) Siete molto malin­conico?

Michele                         - Signore...

Atanasio                        - (avvicinandosi a lui in punta di piedi) Perché non confessarlo? A me potete dir tutto. (Pausa) L'amavate molto?

Michele                         - Sì, molto.

Atanasio                        - (gli occhi al cielo) Ahimè! E che cosa vi ha fatto?

Michele                         - Mi ha... (La voce gli si strozza in gola).

Atanasio                        - E' un peccato. Sempre la stessa sto­ria. (Sospira) Si è giovani, ci si innamora, si fanno guai, e poi... pfft! Addio! (Scrolla il capo con affet­tazione) Eravate il suo amante da molto tempo?

Michele                         - Da sei mesi.

Atanasio                        - (spalancando gli occhi meravigliato) Tanto tempo? E' enorme! (Di colpo, squadrandolo) Naturalmente si trattava di una donna sposata.

Michele                         - (lontano) Naturalmente.

Atanasio                        - E il marito, evidentemente, non lo sapeva.

Michele                         - Maurizio? Evidentemente...

Atanasio                        - Curioso... Ed ora, siete certo che non vi ama più?

Michele                         - Certissimo.

Atanasio                        - Ed è per questo che la vita vi pesa?

Michele                         - (con un'esplosione di dolore) Sì, è atroce! è atroce! Non posso più vivere, così!

Atanasio                        - (con un certo rammarico nella voce e quasi con rabbia) Oh, credete proprio?

Michele                         - (vibrante) Non ne posso più.

Atanasio                        - (affettuoso) E se insistessi?

Michele                         - E' inutile.

Atanasio                        - Con discrezione, ben inteso.

Michele                         - No, no.

Atanasio                        - Con forza, allora?

Michele                         - Vi dico di no! E la vostra insistenza mi stupisce.

Atanasio                        - (battendo in ritirata e calmandolo col gesto) Basta! Basta! D'accordo. Non andate in collera. Quel che dico è nel vostro interesse perché... Quanti anni avete?

Michele                         - Vent'anni.

Atanasio                        - (facendo il gesto dì prendere il cielo a testimone) Vent'anni! Che peccato! Un giovane come voi... bello, simpatico...

Michele                         - (amaramente) Per quello che mi ha servito...

Atanasio                        - Perché voi non avete saputo mettere in valore le vostre qualità. Perché mancate di espe­rienza. Ma non c'è una ragione per disperarvi, per pensare alla morte. Non si ha il diritto di ridursi in questo stato, signor Michele. E' un delitto con­tro natura, è una cattiva azione che farebbe pian­gere gli angeli! Eh, sì. (Con un sorriso malinco­nico) Vi stupisce, vero, che io parli così?

Michele                         - (turbato) Un poco.

Atanasio                        - (con aria dì vittima) E' naturale! Sono così calunniato! Eppure ho un'anima sensi­bile... Certe volte mi capita persino di avere il cuore grosso. (Tira fuori dalla tasca il fazzoletto e si soffia il naso rumorosamente).

Michele                         - Non dico di no. Le vostre osserva­zioni sono certamente giuste. E vi ringrazio di ma­nifestarmi un interesse così inatteso. In quanto a me, il solo giudice sono io. La mia decisione è presa, e la metterò in esecuzione.

Atanasio                        - Non resta che inchinarsi. I migliori argomenti hanno sempre giustificato le più grandi sciocchezze. (Con stupefacente brutalità) Bene. Al­lora, per quando il vostro affare? Subito?

Michele                         - (vivamente e con orrore) Oh, no, no! Non prima di questa sera.

Atanasio                        - (ironico) Ma guarda! E perché?

Michele                         - (un po' vergognoso) Perché ho un appuntamento con lei...

Atanasio                        - (con l'aria di riprendere speranza e con un lampo di malizia) Ah! Qui?

Michele                         - Oh, no! E' troppo prudente per ri­schiare di venire da me. Ci incontreremo fuori... (a bassa voce) in un appartamentino ammobiliato.

Atanasio                        - A che ora?

Michele                         - Verso le sei.

Atanasio                        - Siete sicuro che verrà? Siete d'ac­cordo con lei?

Michele                         - Non completamente. Devo passare prima da suo marito.

Atanasio                        - Che idea! E per che fare?

Michele                         - (con aria lontana e sognante) Per ac­cettare l'appuntamento... sì... è il linguaggio se­greto di cui ci servivamo in altri tempi. Quando lei mi fissava una certa ora, per lettera, non sa­pendo se io avrei potuto raggiungerla, dovevo tele­fonare a casa sua o passare a vedere Maurizio per una ragione qualunque. Così lei capiva che ero libero e veniva a raggiungermi.

Atanasio                        - (con aria di ammirazione) Abbastanza abile.

Michele                         - Stamane ho ricevuto da lei un bi­glietto, (indica una lettera sulla tavola) l'ho letto; ho capito subito quello che vuole dirmi; bisogna saper leggere tra le righe... e immediatamente ho pensato a voi. D'altra parte, non era la prima volta.

Atanasio                        - (inforcando gli occhiali) Già, lo so. Quando incomincia ad andar male... (Prende la lettera e la apre) Permettete che la legga?

Michele                         - Naturalmente.

Atanasio                        - (leggendo) « 23 marzo 19... Mio caro, soffro molto perché mi accorgo che mi giudicate male... Non mi avete detto nulla, ma l'ho letto nei vostri occhi. Per di più le difficoltà aumentano tutti i giorni. I nostri appuntamenti diventano più difficili, di modo che mi è assolutamente impossi­bile trovare il tempo per venire a raggiungervi così spesso come una volta. Ad ogni modo, venite do­mani verso le sei. Vorrei parlare un po' con voi. Se accettate, passate da mio marito. Addio caro Michele. Penso tanto a voi. Prisca». (Lungo si­lenzio. Michele non si è mosso affatto. Atanasio posa la lettera) E' veramente una lettera allarmante. Credo che abbiate ragione d'aver paura. Conoscete il vostro rivale?

Michele                         - Affatto. Ed è questo che mi tortura. Non posso nemmeno pensare ad un nome.

Atanasio                        - Ma non avete cercato di farla seguire?

Michele                         - (indignato) Siete pazzo?

Atanasio                        - Scusate... L'ho domandato perché lo fanno tutti i gelosi!

Michele                         - Ma io no! E' ripugnante.

Atanasio                        - E cosa facevate, allora, per difen­dervi?

Michele                         - Cosa volete che facessi? La mia si­tuazione è delle più false. E ancora sposata. Se tento qualcosa contro di lei, faccio la figura dello sciocco. No... no, non posso far nulla. Devo accet­tare tutto senza dir niente.

Atanasio                        - Perfettamente. (Medita un istante) E non avete mai cercato, senza far nulla che potesse provocare uno scandalo, di contrattaccarla sul ter­reno che lei stessa si è scelto?

Michele                         - Cioè?

Atanasio                        - Rispondendo al suo atteggiamento evasivo con un vostro atteggiamento ancor più sfuggente, alla sua probabile infedeltà con una infedeltà notoria. E tutto ciò, beninteso, col solo scopo di riprenderla, di farla tornare a voi.

Michele                         - Non ci ho pensato. Soffrivo troppo.

Atanasio                        - Si può sapere, allora, in che modo passavate il vostro tempo?

Michele                         - (vago) Sognavo di lei.

Atanasio                        - E poi?

Michele                         - (sempre più vagamente) Le scrivevo... (Indica il quaderno aperto sulla tavola. Atanasio ci si precipita sopra).

Atanasio                        - Cos'è questa roba? (Percorre con ra­pidità un'enorme quantità di fogli) Ah, sì! E' un diario. Avrei dovuto immaginarlo! (Brontolando) Stendere su questi fogli le diecimila lagnanze ed i centomila rimproveri che non si osa fare ad alta voce! E' un sistema che i timidi apprezzano molto. (Legge) « ...Voi mi dite che io non ammetto nulla. Ma io vi chiedo: che cosa intendete per "nulla"? Forse non ammisi che quella sera, al Claridge, scappaste via, in mezzo alla folla, con degli scono­sciuti? Quando rientraste, alle tre del mattino, feci uno sforzo per essere allegro e per vincermi. E' forse questo quel che voi chiamate " non ammet­tere nulla " »? (Commentando) Grazioso. Peccato che passiamo ad altro. (Legge) « ...Malgrado tutto vi amo. Sento che non potrò mai dimenticarvi, qual­siasi cosa mi facciate». (A Michele) Ma perché raccontarle queste storie? In tal modo voi smantel­late le vostre difese. (Prosegue) « ...Se sapeste come soffro quando sono solo, durante quei rari mo­menti in cui mi è permesso di tormentarmi senza che nessuno mi veda, avreste pietà di me e anche di voi, vi sforzereste di combattere voi stessa, come io combatto me». (Con veemenza) Che ridicole utopie! Che sogni vani! Voi non sapete ancora che non bisogna aspettarsi nessun atto pietoso da una donna che si senta adorata! Ah, Michele, Michele; mio povero amico! Vi siete proprio cacciato in una brutta faccenda. Io vi dico chiaro e tondo che la faccenda Prisca è completamente perduta.

Michele                         - Oh no!

Atanasio                        - Continuate a sperare? Lasciate stare... L'errore che avete commesso è irreparabile, rimonta troppo lontano, nel passato... Data dall'epoca del primo appuntamento. Da quel momento, il vostro amore si viziò alla sorgente...

Michele                         - Le vostre parole sono atroci.

Atanasio                        - Affatto, giovanotto, affatto! Sono franche, ecco tutto. E appunto perché sono sincero, posso darvi ancora dei buoni consigli se lo desi­derate. Non per l'affare Prisca, però. Per dopo, per l'avvenire.

Michele                         - L'avvenire?

Atanasio                        - (sbuffando) Uff! Questa crisi di fi­ducia! (Si mette a declamare) « Basta, Patroclo, basta, dammi delle costole d'acciaio, altrimenti mi farò scoppiare i polmoni a forza di ridere». Non vi spaventate. E' una citazione del grande Will. Ma adesso ditemi, ci tenete a passare oggi da Maurizio?

Michele                         - (spaventato) Certo!

Atanasio                        - (facendogli vedere l'orologio) Allora vi faccio notare che sono quasi le quattro.

Michele                         - Già le quattro? Bisogna che vada...

Atanasio                        - (con calma si mette il gìbus, mentre Michele si impadronisce del cappotto in fretta e furia) Un momento, un momento! Datemi il tempo di infilare le soprascarpe. (Si siede) A pro­posito, dove abita questo bravo Maurizio?

Michele                         - (uscendo in fretta) Lontano. Ad Auteuil. Sbrigatevi.

Atanasio                        - (gridando, rivolto verso la porta) Prendiamo il venticinque. Auteuil-San-Sulpizio.

 QUADRO SECONDO

II sipario si leva su di un secondo sipario, che rap­presenta il pianerottolo di Maurizio. (Appaiono Michele e Atanasio; quest'ultimo è senza fiato, infangato, e brontola come un bravo diavolo).

Atanasio                        - Che scale, mondo cane. Quarto piano, e un guasto all'ascensore. Pare fatto apposta per sfiancare la gente...

Michele                         - Tacete. Ora suono.

Atanasio                        - Oh, tanto non possono sentirmi. Come siete pallido!

Michele                         - Sempre così, ogni volta che sto per rivederla. Il cuore mi batte, mi fa male...

Atanasio                        - Siete troppo sensibile. Via, coraggio! Tanto, ormai tutto è perduto.

Michele                         - Avete uno strano modo di consolare, voi. (Fa per suonare, poi si ferma e considera Ata­nasio con aria dubbiosa) Non avete mica l'inten­zione di entrare con me?

Atanasio                        - Certamente. Non ho nessuna voglia di rimanere qui a gelarmi i piedi aspettandovi.

Michele                         - Maurizio troverà per lo meno scor­retto che io porti uno sconosciuto in casa sua.

Atanasio                        - Non mi vedrà. Io sono discreto, non abbiate paura. Mi farò diafano e impalpabile come un soffio d'aria. Andiamo, decidetevi, giovanotto. (Michele preme sul bottone. Suona un campanello ed il sipario si solleva scoprendo un'anticamera che la cameriera sta attraversando per andare ad aprire. Il fondo dell'anticamera è rappresentato da un terzo sipario).

Michele                         - (entra, seguito da Atanasio) Buon­giorno, Adele. Il signore è in casa?

La Cameriera                - Sì, signore. Ma non so se potrà ricevervi.

Michele                         - Perché? E' occupato?

La Cameriera                - (con un sorrisetto) Figuratevi. Ha avuto una scena con la signora. Allora si è chiuso nello studio e mi ha detto che non vuole essere disturbato.

Michele                         - Fategli sapere che sono io. Certamente mi riceverà. (La cameriera esita).

Atanasio                        - (all'orecchio di Michele) Datele cento franchi. (Michele esegue).

La Cameriera                - (con molta sollecitudine) Grazie, signore. Vogliate seguirmi... (Si dirige verso il fondo. Arrivata al sipario, questo si solleva a sua volta sul gabinetto di lavoro di Maurizio che, seduto al ta­volo, scrive in silenzio. La luce della lampada si riflette sulla sua fronte calva, sulla sua pelle di vecchio avorio e sulla corta barba stile Rinasci­mento. La cameriera annuncia) Il signor Michele. (Quindi si ritira).

Michele                         - (avanzando nella penombra della stanza sempre seguito da Atanasio che finalmente si ap­posta nell'ombra, un po' in disparte) Buon giorno, Maurizio. Chiedo scusa se ti disturbo. Avevo voglia di vederti... Come stai?

Maurizio                        - (continua a scrivere in silenzio. Dopo una lunga pausa articola con voce stanca ed in­differente, senza sollevare la testa e senza smetterò di scrivere) Non c'è male, e tu?

Michele                         - (un po' sconcertato) Benissimo, grazie... Ero venuto per... (Interrompendosi bruscamente, poi, con stupore) Ma cosa vedo al tuo occhiello... un nastrino rosso; come mai?

Maurizio                        - (continuando a scrivere) Ah, l'hai notato? (Una pausa) Appunto. (Altra pausa) Sono stato nominato Cavaliere della Legion d'Onore.

Michele                         - Ma bravo! Bene! Tutti i miei com­plimenti. Ti sta veramente bene sull'abito blu scuro...

Maurizio                        - (distratto) Sì... abbastanza. Non stai male; ma nemmeno sugli altri abiti. Strano, ma è un ornamento di colore che va bene con tutto... (Riprende a scrivere).

Michele                         - (imbarazzato) Ma cos'hai, Maurizio? Mi hai ricevuto in modo veramente strambo... Non me ne vorrai perché, ho forzato la tua consegna? (Maurizio fa segno dì no con la testa) Allora cosa c'è? Perché fai quella faccia? (Si guarda intorno) Sembra di stare nella camera d'un morto,

Maurizio                        - Quest'atmosfera conviene perfetta' mente al mio stato.

Michele                         - Il tuo stato? Non avrai per caso un I po' di spleen, tu, il principe del buonumore?

Maurizio                        - (sollevando la destra e guardando Mi­chele molto gravemente) Non mi prendere in giro, sono in piena crisi di depressione morale... (Sorridendo insidiosamente) Il che del resto non. mi impedisce di scrivere, come al solito. Ma di sai vere cosa? Non l'indovineresti fra mille: un ro­manzo «curioso». Un romanzo che, ne sono certo, sarà fra i più curiosi... (Rovescia la testa indietro, fissa gli occhi al soffitto e ride sarcasticamente).

Michele                         - (con sorpresa e timore) Ah?

Maurizio                        - Sì. (Fa un gesto come per scacciare le mosche) Ma andiamo, non si tratta di questo. Mi hai detto di esser venuto a farmi visita. A che cosa devo l'onore di vederti?

Michele                         - Ma, così; volevo soltanto salutarti, darti il buongiorno...

Maurizio                        - Ma va! Simpatica attenzione!

Michele                         - E poi, volevo... volevo chiederti notizie di Prisca. Sta bene?

Maurizio                        - Non troppo, ma grazie del tuo interessamento.

Michele                         - (non sa più che dire) Son contento, cioè no, mi dispiace che non stia bene. Spero che avrò il piacere di vederla.

Maurizio                        - Non credo.

Michele                         - Non vedrò Prisca? (Già tremando) Forse... (Improvvisamente il suo sguardo si urta in quello di Maurizio e tace imbarazzato).

Maurizio                        - (perfettamente calmo) Forse che cosa? (Una pausa) Spiegati meglio. (Michele lo guarda fissamente) Oh, no! No, nulla di grave... Nulla di più grave del solito, per lo meno. Una sigaretta?

Michele                         - (distratto) No, grazie. (Maurizio prende una sigaretta dalla scatola, l'accende e quindi si sprofonda nei suoi pensieri. Michele allora si volta verso Atanasio, in piedi e silenzioso dietro di lui, e gli bisbiglia con tono angosciato) Cosa significa tutto questo? Perché mi dice che non la vedrò? Forse è lei che non mi vuol vedere? Avrà dimen­ticato l'appuntamento?

Atanasio                        - (con flemma) Forse sì, o forse no.

Michele                         - (con disperazione) Non ha potuto di­menticare così presto! La sua lettera è stata impo­stata stamane. No, no... è accaduto qualche cosa qui, dopo. Devono aver litigato; ci deve essere stato un incidente.

Atanasio                        - Possibile.

Michele                         - A proposito di che, allora? Forse ha scoperto che amo Prisca? Evidentemente, la sua maniera di ricevermi non è stata molto cordiale. Aveva piuttosto l'aria di trattarmi come un impor­tuno, non però come un nemico. Non sono io, dunque, la causa...

Atanasio                        - Il ragionamento è abbastanza logico.

Michele                         - Di che potrebbe trattarsi, allora? O di chi? (Impallidisce d'un tratto, porta la mano alla bocca, come per soffocare un grido) Mio Dio, voi siete testimone che sto facendo di tutto per allon­tanare questo dubbio che ritorna senza posa! Senza posa! (Si guarda intorno, come pazzo) Ma che sto mai facendo? Io divento pazzo. Da quanto tempo sto sognando? Cosa penserà del mio silenzio?

Atanasio                        - (indicando Maurizio che imperturbabile continua a fumare con la sigaretta incollata alle labbra, lo sguardo lontano) Guardatelo.

Michele                         - Lo guardo.

Atanasio                        - Adesso tossite. (Michele tossisce).

Maurizio                        - (svegliandosi e proseguendo senza alcuna transizione) Forse che cosa? Spiegati meglio.

Michele                         - (spalancando gli occhi) Spiegare cosa? A che alludi?

Maurizio                        - (tirandosi elegantemente un polsino) Non mi hai forse chiesto or ora che cosa c'è a pro­posito di Prisca? Soffri per caso di amnesia?

Atanasio                        - (a Michele, mormorando) Vedete... Il tempo è passato per ambedue con la stessa ve­locità.

Michele                         - (respira sollevato e si rivolge nuovamente a Maurizio) Ah, perfettamente! Mi dicevi che non l'avrei rivista. E' uscita. (A queste parole Mau­rizio solleva la testa, inarca i sopraccigli ed esamina attentamente Michele. Poi si incastra nell'orbita il monocolo e lo esamina di nuovo).

Maurizio                        - Ne sai più di me. Il fatto è che dopo colazione aveva un'atroce emicrania.

Michele                         - (sconvolto) Ed è uscita in quello stato! Dove ha potuto andare? Avresti dovuto trattenerla con la forza, nell'interesse della sua salute. Si sa­rebbe allungata in una sedia a sdraio, nel salone, ed io le avrei tenuto compagnia, dato che tu stai lavorando...

Maurizio                        - (approvando, senza lasciare con lo sguardo Michele) Già... proprio così.

Michele                         - Spero ad ogni modo che fra due ore sarà guarita.

Maurizio                        - (ambiguamente) Oh, sì. Ma se non guarirà prima di due ore, bisognerà pure che gua­risca un giorno o l'altro, del tutto. Intanto ti rin­grazio fraternamente per la tua offerta disinteres­sata. (Si mette a ridere sommessamente e con non­curanza scuote la cenere della sua sigaretta).

Atanasio                        - (a bassa voce, a Michele) Ebbene, siete contento adesso? Non vi accorgete che vi sta prendendo in giro?

Michele                         - (con tono arrabbiato) E cosa volete che faccia? Prisca mi ha scritto stamattina. Mi ha chiesto di venire e non è in casa. Sono sconcertato, sono... (In questo preciso momento una porta sbatte, vicino, e si sentono dei passi affrettati nella stanza accanto. Sì apre la porta. Appare Prisca, la quale attraversa il gabinetto di lavoro conte una meteora lasciandosi dietro una specie di atmosfera irritata. Scompare nel salone accanto; Michele, meravigliato, non capisce più nulla) Stavolta è peggio che dall'illusionista! Credevo che fosse uscita con la sua emicrania, ed eccola che passa in vestaglia. Hai visto?

Maurizio                        - Ho visto cosa? Io non ho visto nulla.

Michele                         - Non hai visto nulla?!

Maurizio                        - (con fermezza) Assolutamente nulla.

Michele                         - Tuttavia...

Maurizio                        - Cosa? Avresti per caso delle visioni? (Sorride del suo sorriso pallido e un po' funebre: soffia sulla sigaretta. Michele lo guarda come si guarda un pazzo. Improvvisamente il monocolo di Maurizio si mette a scintillare) In verità, mi sembra di essere troppo buono a mettermi così in pena. Precisiamo i nostri punti di vista poiché lo desi­deri. (Con voce netta e tagliente) Tu sostieni che Prisca ha attraversato questa stanza. Io ho il ram­marico di non essere del tuo parere. Per me, se questa creatura ha fatto quel che tu credi, la cosa non conta. L'ignoro, e continuerò ad ignorarlo fin quando mi piacerà.

Michele                         - (furioso) Ma insomma, Maurizio, quando la finirai di prendermi per un... (Non ter­mina la frase. Il rumore del telefono che Prisca deve aver 'preso, risuona nel salotto vicino tagliando corto alla discussione. Nel silenzio che è caduto su di essi come una cappa di piombo, i due uomini ascoltano, intensamente tesi verso l'esterno. Sì sente la voce di Prisca che chiede un numero).

Voce di Prisca               - Pronto... Auteuil cinquanta... (Il resto si perde nel brusio del telefono che non cessa di far chiasso per qualche istante. Si sentono in seguito diversi rumori esterni che impediscono dì afferrare quanto vien detto nella stanza accanto: il passaggio di un autobus, dei colpi di claxon nella strada).

Michele                         - (mormorando) Telefona ad Auteuil.

Maurizio                        - (scuro e distante) E' il suo diritto. (Ripiomba il silenzio. Approfittando dell'immobilità di Maurizio, Michele si avvicina a passi di lupo alla porta del salotto. Ma la sua attesa è ingannata; Prisca si esprime all'apparecchio in una lingua in­comprensibile).

Michele                         - (si volta verso Maurizio ed esclama con voce soffocata, come se avesse fatto una scoperta spaventosa) Maurizio, Maurizio... parla spa­gnolo...

Maurizio                        - (impassibile) Non sapevo che cono­scesse lo spagnolo.

Atanasio                        - (a Maurizio) Bugiardo. (Nel salotto il dialogo di Prisca con il suo lontano interlocu­tore prosegue. Improvvisamente, in una frase più distinta si afferra un nome che colpisce Michele al cuore: «Vanni». Da questo momento, lo stesso nome viene frequentemente ripetuto con tono ca­rezzevole misto a piccole risatine).

Michele                         - (torna verso Maurizio e, appoggiandosi con le mani alla scrivania, lascia cadere una sola parola) Vanni! (Maurizio lo guarda senza scom­porsi, Michele riprende) Chi è Vanni? Lo conosci? (La risposta gli giunge come dal fondo d'un pozzo).

Maurizio                        - Non conosco nessun Vanni.

Michele                         - E lei?

Maurizio                        - Ignoro se lei ne conosca uno.

Michele                         - Ma allora, chi è? Chi è?

Maurizio                        - (con falsa allegria) Non ne so nulla, povero amico! Perché mi fai questa domanda? Può essere che si tratti d'un parente di provincia. (Mi­chele non risponde. Tutto vacilla intorno a lui. Anche lo volesse, non potrebbe dominarsi. Né po­trebbe distogliere da Maurizio i suoi occhi pieni di lacrime).

Atanasio                        - (avvicinandosi vivamente a Michele, gli parla all'orecchio col tono di chi disapprova) Per Dio, Michele, finitela con queste fanciullaggini. Non c'è nessuna ragione di scoprirsi così. Non vi basta che egli sappia che siete l'amante di sua moglie: volete persino confessarglielo?! (E poiché Michele ha un tremito) Ma no, non abbiate paura, non abbiate vergogna. Quest'uomo non ve ne vuole perché soffrite a causa di lei. Ecco, vedete, egli vi guarda senza ombra d'ironia, ma al contrario, quasi con bontà. E c'è anche un sorriso, vedete? appena abbozzato nella sua corta barba. Il sorriso della malinconia intelligente, Michele... dell'uomo che sa...

Maurizio                        - (risvegliandosi) Ebbene, caro, si può sapere cosa stai facendo, curvo come sei, come una cariatide? Hai l'aria di vedermi per la prima volta... Va' a dire buon giorno a Prisca... poiché ha finito di telefonare, ma deve aspettarti... Poi prenderete il tè insieme, l'uno a fianco dell'altra, mentre io continuerò a lavorare.

Michele                         - (sperduto, quasi singhiozzando) No, no! Per nulla al mondo! Perdonami, Maurizio! Addio! (Fugge).

QUADRO TERZO

Una brasserìe piena di movimento, di chiasso e di consumatori. (Atanasio e Michele stari seduti, in primo piano, su un banco la cui alta spalliera, munita di una stanghetta di rame per i cappelli, nasconde quasi interamente il fondo della scena. Dietro il banco, passano e ripassano i camerieri che portano sul pal­mo delle mani vassoi pieni dì bottiglie. Sullo sfondo lontano, si intravede la vasta sala da caffè con la sua atmosfera bluastra e le sue luci moltiplicate all'infinito da specchi opachi. Michele e Atanasio continuano la loro conversazione in mezzo ai diversi rumori di questa immensa kermesse).

Atanasio                        - Sentite che vento, fuori? E' stata una fortuna che ci siamo potuti rifugiare qui dopo aver lasciato Maurizio. (Estrae l'orologio) Manca mezz'ora all'appuntamento.

Michele                         - (con la testa fra le mani) Ah, che umiliazione! Non potevo più sopportare i suoi oc­chi. E dire che quest'uomo che io credevo cieco... sapeva tutto!

Atanasio                        - Capita sempre così, in questo basso mondo. Se non foste un ragazzo, ne sareste meno sorpreso.

Voce d'un Cameriere    - (annunciando le ordina­zioni) Mezza birra... Tre anici... Una minerale, due cappuccini, due...

Atanasio                        - (battendo sulla tavola con l'ombrello) E due americani, qui! Cameriere, abbiamo fretta.

Voce del Cameriere      - Ecco! Ecco!

Michele                         - Che forza! Mai una parola! Come deve aver sofferto!

Atanasio                        - E' così che la vita insegna agli uomini la saggezza, insegna a tacere.

Michele                         - Ma se è stato zitto quando io ero l'amante di Prisca, perché oggi le ha fatto una scena per un altro?

Atanasio                        - Siete proprio strambo, voi! Ci sono delle sfumature, nelle cose, che non si possono im­pedire. Vanni, ecco, è un bel nome di ballerino mondano... Mentre voi... Voi avete un nome cor­retto. Confessate che questa ipotesi potrebbe per­fettamente spiegare una protesta di Maurizio, una ferita d'amor proprio di Prisca e la sua vendetta... telefonica!

Michele                         - Sì, sì, capisco. Povero Maurizio! Chis­sà attraverso quante disgrazie è dovuto passare per arrivare fin qui. E' questo, quel che ci tocca subire.

Atanasio                        - Vi faccio notare che continuando a pensare in tal modo, finirete col cadere fatalmente nei più vuoti luoghi comuni. Invece di disperarvi, cercate di vincere le vostre noie. Questo è il primo consiglio che vi offro.

Michele                         - Se lo seguissi, sarei veramente degno di compassione! Così, invece, mi fabbrico delle il­lusioni. E la mia vita non sarà più abbastanza lunga per ucciderle una dopo l'altra.

Atanasio                        - (passando il braccio sotto quello di Mi­chele e parlando con voce insinuante) Ma perché compatite Maurizio? Egli ha ancora una dignità. Ben inteso, voi mi direte...

Voce del Cameriere      - (che salmodia dall'interno) Due vermouth, quattro aperitivi lisci, un cioc­colato...

Atanasio                        - ...che l'apparenza è sempre bella, ma che se si sollevasse il coperchio, si scorgerebbe un interno desolato, in rovina. Solitudine e profonda stanchezza! Certamente, mio buon Michele, certa­mente. Ma non è forse già una bella cosa resistere per anni alla pioggia tediosa che tutto distrugge e sopravvivere con calma alla propria rovina?

Michele                         - Orrore! Perché dire simili cose? In­vece di consolarmi, mi convincete sempre più a farla finita, piuttosto che arrivare ad una così orribile rassegnazione.

Atanasio                        - (carezzandolo) Ragazzo! Eppure sapete bene che è solo la vostra felicità quella che mi sta a cuore. Voi respingete con disgusto la visione di Maurizio, come il fantasma di quel che sarete a quarant'anni: ma lo sapete perché egli è diventato un fantasma? Perché, come voi, non ha saputo farsi amare; e anche perché, a differenza di quanto è capitato a voi, egli non ha avuto durante la sua tenera giovinezza un amico come me che gli desse qualche buon consiglio.

Michele                         - (ritraendosi e rabbrividendo) Non ca­pisco cosa mi prende. Voi mi parlate amichevol­mente. (Lo guarda con timore) Eppure mi domando cosa mi fa tremare.

Atanasio                        - (paterno) Il freddo, senza dubbio, o la pena. Il dolore abbassa facilmente la temperatura dell'anima al di sotto dello zero. Ed è questo che spiega la strana paralisi delle membra e dell'intel­ligenza, che vi colpisce e vi impedisce ogni difesa.

Michele                         - E' vero. Mi sento così anche con Prisca, di tanto in tanto.

Voce del Cameriere      - Un piatto freddo al due, per un signore che ha fretta.

Atanasio                        - (spazientito) Ma questo tipo è insop­portabile! Hei, cameriere, i nostri americani? (Nes­suna risposta) Vedete, è perfettamente inutile che cerchi di materializzarmi... tanto, non riesco a farmi sentire.

Voce del Cameriere      - Tre tè.

Atanasio                        - Grazie! E scusatemi di avervi distur­bato. (A Michele) Cosa mi stavate dicendo?

Michele                         - Che talvolta mi sento così, con Prisca.

Atanasio                        - Evidentemente. Quando sarete un esperto, uno scaltrito conoscitore della manovra d'a­more, sarete voi a provocare questi colpi fatali. Sarete voi che afferrerete l'avversario alla gola e lo tratterrete senza pietà fino alla fine.

Michele                         - Di quale avversario parlate?

Atanasio                        - Di che cosa stiamo parlando, se non dell'amore?

Michele                         - Allora si tratta di una lotta?

Atanasio                        - O candore disarmante! Certo che si tratta di un combattimento. E con questo in più, che il primo che si scopre è finito! Ricordatevene bene, Michele: se volete riuscire in amore, dovete attenervi alla famosa regola che ha salvato la vita di tanti delinquenti: non confessate mai! Tutto qui. Per avere una donna, come per poi tenerla, non confessate mai di amarla.

Michele                         - (con sorpresa) E non bisogna dirle niente? Nemmeno in principio?

Atanasio                        - (con veemenza) Guardatevene bene! Se desiderate una di queste radiose sirene...

Voce del Cameriere      - (squittendo) Sì, signore, una bionda... una birra bionda!

Atanasio                        - Un po' di silenzio, laggiù! Oppure portateci i nostri americani. (Riprendendo) Bisogna prima di tutto che vinciate la tentazione di farle la corte. Non vi confondete con l'oscuro gruppo degli spasimanti che la circondano di fervore e di complimenti. Quelli là sono battuti in anticipo. Nascondetevi! Incrociate, come una corazzata, ai li­miti delle acque territoriali. Di tanto in tanto uno sguardo profondo, presto distolto. Poi, aspettate. Una Voce     - Cameriere, la lista!

Atanasio                        - Siate paziente! Al termine di un certo periodo che varia secondo i casi, voi la vedrete ve­nire ad incrociare a sua volta nei vostri paraggi. Lasciatela fare. Lasciate che manovri i suoi segnali, le sue bandierine, che si avvicini a cerchi concen­trici. Siate impassibile, apparentemente. Che non si muova neppure un capello! E' vicinissima! La curiosità la solletica. Vi sorride. Voi rispondete. La vostra situazione è perfetta, poiché è lei che vi sollecita. Ecco come si incomincia.

Michele                         - (interessato suo malgrado) E come si continua?

Atanasio                        - Sempre la stessa formula. Prudenza e dissimulazione. Nascondetevi come un ladro! Sotto pena di morte, lei non deve sapere che l'amate. Rendetevi cosi leggero, così lontano, in modo che non sia mai sicura di possedervi interamente. Che sia costretta a riconquistare ogni giorno quel che aveva già ottenuto la vigilia. Questa incessante an­goscia assorbirà tutte le sue facoltà e non penserà che a tenervi sempre più stretto.

Michele                         - Sì, capisco. Ma perché un uomo possa condursi così, perché abbia la forza di recitare senza sbagliarsi una parte così crudele...

Atanasio                        - Ebbene?

Michele                         - Bisogna che abbia sempre il suo san­gue freddo. Bisogna... che non ami.

Atanasio                        - Siete troppo esigente, giovanotto. Non si può aver tutto: bisogna scegliere tra il soffrire ed il far soffrire, mi pare.

Michele                         - Che orribile modo di pensare! Tacete.

Atanasio                        - Eppure è proprio così. Personalmente, io non ci posso fare nulla. L'amore perfetto è raro; quello imperfetto un po' meno.

Voce del Cameriere      - Tre mandarini al curacao... Una minerale...

Atanasio                        - (a Michele che ha abbassato la testa) Vi fa male che vi dica queste cose?

Michele                         - Strana domanda. (Una pausa).

Atanasio                        - (con un sorriso furtivo) E tutto ciò non vi fa riconciliare con la vita? (Michele non risponde. Passa ancora un momento, mentre si odo­no risa vaghe e rumori diversi) Avete torto. La vita è la migliore consolatrice. Guardatevi intorno. Se chiedessimo a tutta questa gente il nome della loro prima esperienza, quanti sarebbero capaci di ricor­darsene? Fate come loro, immergetevi come loro nella corrente. Non rimanete indietro per piangere su una tomba. (Michele improvvisamente piange) Sì, lo so, è doloroso.

Michele                         - E' terribile.

Atanasio                        - Lo so. Un primo amore sfortunato è cosa difficile da vincere. E' una prova capitale, in tutto il senso della parola. Conosco qualcuno che se n'è tirato fuori sentimentalmente spossato fino alla morte. Ma quelle vittime non ci interessano. Quel che noi dobbiamo vedere, è se voi sarete ca­pace di saltare l'ostacolo e di continuare per la vostra strada dimenticando questa donna.

Michele                         - (con voce soffocata) E' lei che mi dimenticherà. Tutti mi dimenticheranno. Sarà pro­prio così.

Atanasio                        - Silenzio! Silenzio! Non facciamoci troppo notare. (Guarda l'orologio) Sono d'altra parte le sei meno venti e se non vogliamo essere in ritardo, sarebbe meglio andare.

Michele                         - (alzandosi lentamente) mi, sono pronto.

Atanasio                        - Credetemi, questa male. Almeno lo spero.

Michele                         - (pallido e ostinato)

Atanasio                        - (prendendolo per un braccio) Andia­mo, via. Accadrà come per i nostri aperitivi: noni è ancora la volta buona. (Escono).

QUADRO QUARTO

Una camera ammobiliata con una certa ricerca­tezza, inondata di una luce pallida nella quale pal­pitano ancora i riflessi rosa d'un grande fuoco di legna nel camino. Si sentono, di tanto in tanto, delle ondate di musica da ballo suonata da una lontana orchestra.

(All'alzarsi del sipario Atanasio e Michele sono ap­pena entrati nella stanza).

Atanasio                        - (aiutando Michele a togliersi il cappotto) Non parlate così.

Michele                         - So benissimo quel che dico. Fra un quarto d'ora sarà tutto finito. La prova, ecco. (Fa segno ad Atanasio di ascoltare) Sentite questa musica?

Atanasio                        - Sì, il dancing. E allora? Di che prova volete parlare?

Michele                         - Oh, nulla. Dicevo così per dire. (Cerca di sorridere) Ho sempre avuto il presentimento che morirò a suon di musica.

Atanasio                        - (mettendo su di una sedia gl'indumenti di Michele) Ma guarda cosa mi tocca sentire! (Tra se) Questo giovanotto incomincia a spaven­tarmi; non parlerà mica sul serio? (A Michele) Do­vreste decidervi a mettere in pratica i consigli che vi ho dato poco fa, non foss'altro che per orgoglio.

Michele                         - (con disprezzo) La dissimulazione

Atanasio                        - (sardonico) E perché no? Queste belle signore sono così cangianti, così sensibili... Prende­tela di sorpresa! Colpitela con l'arma dello stupore. Prisca si aspetta una scena di lacrime, mostratevi invece a lei come una specie di eroe intrepido, de­ciso e freddo sotto la tempesta. Un eroe la cui sof­ferenza si traduce nell'eco lontana d'una contesi furiosa, nel sordo tumulto delle passioni che voi domate con mano ferrea, sotto un'apparenza di mar­mo. Stupefacente stranezza. La sorpresa potrebbe far rinascere in lei la curiosità, e per conseguenza, l'amore.

Michele                         - (violento) Non è vero!

Atanasio                        - Vi dico che può avverarsi.

Michele                         - Vi ripeto di no. (Con disperazione) E' impossibile che l'amore sia un semplice gioco a nascondersi, nel quale il vincitore deve la vittoria alle sue qualità d'i commediante. Io non re­citerò una parte così sleale.

Atanasio                        - Ma Prisca è stata sleale con voi e fra poco lo sarà ancora. Credete forse che vi dirà fran­camente di volervi lasciare per un altro? Giocherà d'astuzia, ne sono certo.

Michele                         - E perché dovrebbe mentire così?

Atanasio                        - Prima di tutto perché è bene edu­cata; poi, perché non vuole drammatizzare per la sua tranquillità mondana. Tenetevi dunque pronto ad ascoltare mille false ragioni, la storia di impe­dimenti vari, magari di rimorsi. E sarete ancora fortunato se non addosserà tutta la colpa su di voi. Allora? Perché volete rifiutare il solo mezzo di sal­dezza che vi si offre?

Michele                         - Perché le vostre storie mi ripugnano. Esse demoliscono tutte le mie convinzioni. Io non le impiegherei neanche per salvarmi l'anima. (Un breve silenzio. Un'ondata di musica passa come un soffio. Atanasio sospira profondamente).

Atanasio                        - Ahimè! Non mi vuol dare ascolto. (Guarda Michele con aria insieme arrabbiata e im­pietosita) Siete ancora troppo puro, troppo vibrante d'illusioni, I miei argomenti cadono come piombo nel vostro cuore, senza risvegliare alcuna eco. (Con più forza, ispirato) Ma un giorno risusciteranno, Michele! Io non lavoro soltanto per il presente, ma per il futuro, per tutto l'immenso futuro che vi attende. (Ancora una pausa. Poi, un pendolo, im­provvisamente sgrana in qualche luogo sei colpi cristallini, rapidissimi).

Michele                         - Le sei. Eccola. Ritiratevi, lasciateci soli.

Atanasio                        - (molto dignitosamente) Certo, certo. (Si dirige verso la destra in punta di piedi) Avevo già individuato la sala da bagno. E proprio quel che ci voleva. (Si volta sulla soglia della porta, con un sorriso teso) Allora, Michele... Intesi? A fra poco.

Michele                         - Sì, sì. Vi chiamerò (più basso) quando avrò bisogno di voi.

Atanasio                        - (minaccioso) Ne riparleremo. (Scom­pare. Rimasto solo, Michele si irrigidisce. Pausa. Ad un tratto la porta si apre ed appare Prisca).

Michele                         - Prisca!

Prisca                            - (pallida e agitata) Tacete! Lasciatemi ascoltare. (Pausa. Più calma) No, non era nulla. Anche questa volta sono salva.

Michele                         - Salva? Avete corso un pericolo?

Prisca                            - (facendo finta dì essere sfinita) Non so nemmeno io. Un tassì ha seguito il mio fino alla piazza dell'Etoile. Allora sono scesa e ne ho preso un altro.

Michele                         - Maurizio?

Prisca                            - (che l'ipotesi meraviglia suo malgrado) Cosa? Oh, no. (Riprendendosi) Non lo so. Mi sento proprio impazzire, da un po' di tempo a questa parte. Ho paura di tutto.

Michele                         - (prendendola nelle sue braccia) Ma no.

Prisca                            - (dolente) Ma sì. Mi rendo conto che è infame ciò che faccio. Queste paure... queste... (Si interrompe) Non vi ho detto ancora buon giorno. Son contenta di vedervi, Michele. Era molto che aspettavate?

Michele                         - Vi avrei attesa fino alle otto, se fosse stato necessario, come il giorno in cui veniste quando già imbruniva.

Prisca                            - Non dovete prendervela con me, Mi­chele. La mia vita è complicata. Il mestiere di Mau­rizio mi obbliga ad uscire spesso, allora...

Michele                         - Ma certo, Prisca. Non mi lamento affatto: le ore che passo qui ad attendervi sono le più belle della mia vita, ed anche le più tristi talvolta.

Prisca                            - (liberandosi) Via, non cominciate a dire sciocchezze. Voglio che siate allegro, Michele. Al­legro come un tempo.

Michele                         - Faccio proprio quel che posso, ve l'as­sicuro.

Prisca                            - Ma ci riuscite male. Aiutatemi a to­gliermi la pelliccia.

Michele                         - Sì, cara. Tutto quel che volete.

Prisca                            - Grazie. Dio, come si sta bene qui. Que­sto fuoco è delizioso. Che peccato dover ritornare nella neve, tra poco.

Michele                         - Non vorrete già ripartire!

Prisca                            - Non so se potrò restare molto tempo.

Michele                         - Prisca! Non comincerete come l'altra volta; vi siete fermata appena mezz'ora.

Prisca                            - Non potete immaginare quanto mi co­stino queste mezz'ore. Accumulo menzogne su men­zogne.

Michele                         - Avete troppa fantasia; è inutile accu­mularne tante.

Prisca                            - Non prendete quel tono addolorato. E poi dite che vi fa tanto piacere la mia presenza.

Michele                         - Cosa dite, Prisca?

Prisca                            - La verità. Dite che siete triste perché non mi vedete abbastanza e poi, quando si pre­senta l'occasione, non ne approfittate.

Michele                         - Citatemi un solo esempio.

Prisca                            - Oggi, proprio. Siete scappato senza nem­meno dirmi nulla.

Michele                         - Scappato, io?!

Prisca                            - Allora è stato il gatto. Maurizio mi ha raccontato che nel bel mezzo d'una banalissima conversazione, ve ne siete precipitosamente andato via senza dare alcuna spiegazione. Non ha ancora, capito perché avete agito così.

Michele                         - Maurizio non ha capito?

Prisca                            - Così mi ha detto.

Michele                         - (guardandola) Vi ha detto questo) Credevo che non vi parlaste più.

Prisca                            - (inarcando leggermente i sopraccigli) Che idea! Non ci sarebbe nessuna ragione. D'al­tronde, queste cose con Maurizio non durano molto. E' sempre lui che fa il primo passo verso la ricon­ciliazione.

Michele                         - Qual è stata la causa della scenata oggi'

Prisca                            - Non c'è stata nessuna scenata. Volete forse farmi un interrogatorio?

Michele                         - Prisca! Prisca! Ascoltatemi!

Prisca                            - No, no. (Sorridente) Vi date troppo da fare, oggi, mio piccolo Michele. E' anche vero che in compenso, certi giorni, siete così poco espansivo...

Michele                         - Ancora rimproveri. Ma che volete dire?

Prisca                            - Ho constatato che spesso siete molto freddo con me, Michele, e che da un po' di tempo siete cambiato.

Michele                         - Non è affatto freddezza, la mia

Prisca                            - E cos'è allora? Per esempio, la serata dai Duplan. Ero là, eppure voi avevate un'aria annoiatissima. Mi avete fatto ballare una sola volta, per pura cortesia. Oh, adesso me ne rendo perfet­tamente conto. Poi ve ne siete andato prestissi­mo, ed io son rimasta sola con tutta quella gente.

Michele                         - Sola?

Prisca                            - (senza rilevare l'allusione) Non fa pia­cere constatare queste cose, sapete? E' inutile cer­care delle scuse. La prima volta che se ne ac­corge è difficile non provarne dolore...

Michele                         - Se quella notte aveste fatto un po' di attenzione a me, avreste saputo subito cosa pen­savo. Ma mi lasciaste andar via senza una parola.

Prisca                            - Ero mortificata per il vostro atteggia­mento.

Michele                         - (dolcemente) No.

Prisca                            - Sì, invece. E dopo, non avete fatto altro che confermare i miei tristi sospetti. E' im­possibile che un uomo che ama si comporti in tal modo. Oh, non protestate. E' inutile. Oramai ho capito che non mi amate più.

Michele                         - (in un grido) Io?!

Prisca                            - (più mollemente, turbata suo malgrado tanto il grido è stato profondo) Proprio così.

Michele                         - Via, Prisca, siete in mala fede. Voi, intelligente come siete, non avrete mica l'intenzione di sostenere che vi siete ingannata a tal punto, circa i miei sentimenti! Voi cercate di mettermi in una falsa luce, cara. Io vi amo più di qualsiasi cosa al mondo, e lo sapete bene.

Prisca                            - (annoiata) Perché me lo dite...

Michele                         - (febbrilmente) No! Perché è la verità. E vi ripeto che lo sapete benissimo. Potreste lasciarvi ingannare da ciò che chiamate un mio cambiamento, se foste per me un'estranea. Ma voi, voi non potete ignorare quel che si nasconde sotto queste appa­renze. Sapete perfettamente "che la mia freddezza è una maschera, è uno schermo che serve a nascon­dere agli altri il mio dolore.

Prisca                            - Soprattutto, non esaltatevi così.

Michele                         - (ancor più febbricitante) Sono calmis­simo. Quando penso che siete stata proprio voi a domandarmi d'essere prudente in pubblico, non riesco a capire la vostra accusa. Ve l'avevo promesso,, Dunque ho mantenuto la parola. Dio solo sa quanto mi costasse conservare il mio sangue freddo quando vi vedevo felice e splendente, radiosa di gioia nel! bel mezzo d'un ballo, quando i nostri sguardi si incontravano e si congiungevano di lontano, quando I venivate raggiante verso di me in una di quelle stu­pende toilettes che voi sola sapete portare.

Prisca                            - Tutto ciò è molto lontano.

Michele                         - Sì, tremendamente lontano. Tre setti-1 mane, circa.

Prisca                            - Così lontano? Di già?

Michele                         - Per voi, Prisca. Per me i giorni son pas­sati più lentamente. Io ho verificato molte volte se essi sono veramente di ventiquattro ore...

Prisca                            - E... soffrivate?

Michele                         - Ricordavo, semplicemente. Pensavo ai quel tempo che per voi è già così lontano. Allora, non giudicavate tanto male il mio amore, non arri­vavate con delle inique scuse, con delle accuse alle quali, d'altra parte, non credete nemmeno voi.

Prisca                            - Ah! Vi chiedo scusa.

Michele                         - Anch'io.

Prisca                            - Mi volete lasciar parlare? Se mi amavate ancora perché mi avete lasciato credere il contrario? Confessate che nel vostro atteggiamento non c'era alcuna tenerezza. Eravate sempre scuro e scontroso, invece di aiutarmi, non avete avuto alcuna indul­genza per me.

Michele                         - Ma come avrei potuto fare? Da venti 1 giorni, non mi è stato possibile ottenere da voi una sola spiegazione. Sentivo che mi nascondevate qual­cosa. Ed è per questo che passavate il tempo a sfug­girmi. Ecco cosa mi rendeva scuro.

Prisca                            - (cominciando a innervosirsi) Ammet­tiamo, ammettiamo pure. Resta però che adesso il male è fatto e che né voi né io possiamo più riparare.

Michele                         - Prisca! Volete scherzare?

Prisca                            - No, non scherzo. La verità è che io non posso più sopportare questa vita di appuntamenti alla quale mi avete obbligata da quando ci conosciamo. Con tutte le cose che ho da fare, io passo il mio tempo a cercare le più inverosimili combina­zioni per potermi incontrare con voi.

Michele                         - . Prima mi dicevate che questa era la vostra felicità.

Prisca                            - E' possibile. All'inizio tutto sembrava facile. Ora, però ci rinunzio. Abbiate pietà di me. Sono malata, stanca, avvilita... Vorrei tornare ad essere come prima, non mentire più, essere tran­quilla.

Michele                         - Libera!

Prisca                            - Poter guardare Maurizio in faccia. Non subire più le sue persecuzioni. Sì, le sue persecu­zioni, poiché il suo silenzio è anch'esso una perse­cuzione. Sentirsi spiata da qualcuno che ha l'aria di chi ha già tutto indovinato, che non si lamenta, che incassa tutti i colpi con una specie di ghigno dolo­roso... Tutto ciò mi fa impazzire. Talvolta mi sento persino terribilmente crudele. Ed anche vile. Per esempio...

Michele                         - (sordamente) ... quando telefonate? (Una pausa. Prisca resta per un attimo titubante poi continua come se non avesse sentito).

Prisca                            - Allora, ecco... vi ho scritto. (Con viva­cità) Ma soprattutto non vorrei farvi pena a nessun costo. Non è perché voi avete dei gravi torti a mio riguardo che io devo farvi del male. D'altra parte, non si tratta affatto di separarci. E la prova è che 'ci vedremo ancora. Meno spesso, ecco tutto.

Michele                         - Meno spesso?

Prisca                            - Se siete d'accordo, ben inteso. E altrove naturalmente, non in questa camera troppo graziosa. Non so. Per esempio, a delle serate, o ai balli, op­pure a teatro. Non" ci sarebbe nulla di cambiato fra noi, salvo che non verrei più qui.

Michele                         - Mai più?

Prisca                            - Che ne pensate? Vi pare giusto?

Michele                         - Non lo so.

Prisca                            - Bisognerà pure, Michele. Certo non sarà piacevole, lo ammetto, ma credete forse che io non ne soffrirò?

Michele                         - Non credo che ne soffrirete molto.

Prisca                            - E' proprio qui che vi sbagliate.

Michele                         - (animandosi) Via, Prisca, siate sincera, Una volta per sempre. Riconosco che siete abilissima e che sapete arrivare ad una rottura con molta deli­catezza. Mi avete parlato di doveri mondani, di ragioni di salute, di rimorsi, di tutto e tutto, ma nulla è la verità.

Prisca                            - Eppure vi assicuro che non c'è altro.

Michele                         - Io invece vi dico che c'è dell'altro. C'è appunto quel che voi vi ingegnate a nascondermi da mezz'ora. C'è semplicemente che non mi amate più. Vi siete staccata da me, amate un altro uomo, e mi lasciate per lui.

Prisca                            - Non è vero!

Michele                         - Non mentite.

Prisca                            - Io non amo nessuno.

Michele                         - Abbiate per lo meno il coraggio di confessare. Non continuate a giocar d'astuzia come state facendo da quando siete arrivata.

Prisca                            - (irritata) Michele.

Michele                         - Non c'è più Michele che valga! Ose­reste guardarmi negli occhi e ripetere quel che mi avete detto? Fatelo, se potete, ditemi che non lo amate. Ditemelo.

Prisca                            - Ci tenete tanto? Ebbene, sì, ecco, lo amo! Siete contento adesso? (Michele non risponde. Il suo corpo sembra improvvisamente afflosciarsi come se avesse ricevuto un gran colpo. C'è un lungo si­lenzio durante il quale Prisca osserva Michele con acuta attenzione. Si direbbe che la vita si è brusca­mente ritirata da questo corpo accasciato e che da­vanti alla donna non c'è più che una figura informe la cui sola espressione sembra essere quella di una vaga indifferenza. Prisca improvvisamente spaven­tata) Ebbene? Non mi rispondete? (Appoggia una mano sulla sua spalla) Mi sentite?... Ma cos'avete? (Lo scuote) Michele! Rispondetemi dunque... Cosa vi succede?... Vi sentite male?... (Michele ha dolce­mente rabbrividito al suono della cara voce. Guarda Prisca, la riconosce, cerca di sorridere).

Michele                         - Oh, no... benissimo... Poco fa, invece, sì... Non andava troppo bene... Un gran colpo sulla testa... Adesso, invece...

Prisca                            - Adesso invece va meglio.

Michele                         - Molto meglio di quanto non osassi immaginare. Capirete, a partire dal momento in cui non c'è più speranza, si sente un vuoto, una calma... un sollievo.

Prisca                            - Ah, bene! Mi tranquillizzate. Sono con­tenta. Non avrei potuto lasciarvi in quello stato.

Michele                         - Potete andarvene tranquillamente. Sol­tanto... vorrei che mi diceste...

Prisca                            - Sì?

Michele                         - E' Vanni che amate, adesso?

Prisca                            - Ebbene?

Michele                         - Chi è?

Prisca                            - Oh! qualcuno che non vale voi.

Michele                         - Grazie. Siete sempre molto gentile. Lo conosco?

Prisca                            - Evidentemente no.

Michele                         - Perché « evidentemente »? E Maurizio, lo conosce?

Prisca                            - Sa che esiste.

Michele                         - E' qualcuno del nostro mondo?

Prisca                            - Ma... sì.

Michele                         - Che mestiere fa?

Prisca                            - Nessuno. Ma perché vi interessa saperlo? Credete forse che ciò possa cambiare la situazione?

Michele                         - (disperandosi) Forse vi sbagliate. Forse credete di amarlo senza amarlo veramente.

Prisca                            - Se non fossi sicura di me, non farei quel che faccio. Quanto poi a sapere se egli mi ama... è un'altra questione, che dovrà presto chiarirsi, per il meglio come per il peggio.

Michele                         - Il peggio, Prisca? Volete dire che già ci avete pensato?

Prisca                            - Oh, in tutti i casi non è ancora il mo­mento. Ho tante settimane davanti a me... (Sorri­dendo) Sarebbe come dire un'eternità.

Michele                         - Che voi valutate in settimane. Non avete nemmeno il coraggio di dire dei mesi.

Prisca                            - Le settimane fanno i mesi, i mesi fanno gli anni... ed io sono piena di speranza ed ho fidu­cia. Con tutte le risorse che conosco, la lotta non può volgere a mio svantaggio. Oh! poi, tutto ciò è tanto lontano! Si vedrà. Si vedrà. Ho una tal sete di felicità, che nulla potrebbe togliermi l'arsura. Mi sento come se fossi ancora piccola, alla vigilia delle vacanze...

Michele                         - (con amarezza) Delle vacanze!

Prisca                            - ... una mattina di luglio! Ci si diceva: tre mesi in campagna, che bellezza! Talvolta l'idea delle scuole in ottobre ci sorprendeva nel bel mezzo della giornata, dandoci un brividino spiacevole. Ma era poi veramente spiacevole? Non ci affrettavamo a scacciare l'idea guasta feste, perché subito dopo sen­tivamo in modo ancor più acuto la bellezza dell'ora. Poi godevamo delle gioie che ci sembravano mille volte più deliziose che mai.

Michele                         - (colpito, sognante) Per la paura di per­derlo? Ma dove ho già ascoltate idee di questo genere'?

Prisca                            - Ebbene, ecco, è questo esattamente quel che provo oggi, Michele. Ho paura di Vanni, ho paura per me, tremo al solo pensiero di poterlo per­dere un giorno; e forse un giorno soffrirò come voi, adesso. Eppure, vedete? Accetterei qualsiasi cosa, ma non rifiuterei di correre il rischio. Sarà bello, sarà una pazzia, ma sarò felice.

Michele                         - Con me non lo eravate.

Prisca                            - Oh, sì! Certo. Solo, ecco, voi...

Michele                         - Io vi ho delusa.

Prisca                            - Non precisamente. Mi rendo conto che sono stata un po' troppo esigente. Non parlo dei sensi. Da questo punto di vista siete perfetto.

Michele                         - Ancora gentile: grazie.

Prisca                            - Io parlo del cuore, Michele. Si tratta del modo in cui voi avete condotto il nostro amore, dei vostri atteggiamenti davanti alle donne. Bisognava avere un po' più di energia, Michele, Bisogna saper essere cattivi, altrimenti è l'avversario che finisce per dominare.

Michele                         - Basta, per l'amor di Dio, basta. Inco­mincio ad averne abbastanza di tutte le lezioni che ricevo, oggi: è un incubo, un cattivo sogno. Ditemi che non mi lascerete.

Prisca                            - Purtroppo bisogna che ve lo dica, poiché amo un altro uomo. Del resto, si sta facendo tardi. Vi chiedo scusa.

Michele                         - Non partite, Prisca. Restate. Oh, non può essere questa l'ultima volta che vi vedo...

Prisca                            - No, ve lo ripeto. Perché drammatizzare? Verrete a casa, a vedere Maurizio, come prima...

Michele                         - (singhiozzando) Prisca...

Prisca                            - Sì, sì, voi soffrite. Oh, lo so; sono addolo­rata. Ma non posso fare altrimenti. Ho passato i 1 begli anni della mia vita a cercare l'amore che fug­giva davanti a me. Allora, mi capite.

Michele                         - Sì, sì. Addio, addio.

Prisca                            - Su, via, un po' di coraggio. Siete così giovane, Michele, e la ferita non è poi cosi pro-i fonda. (Va a prendere il mantello) Dite, vi vedrò domani alla serata dei Maubry? Ah, mio Dio. Le sei e venti! E debbo ancora passare dalla modista. (Uscendo) Arrivederci, allora. (Dalla porta) Vera­mente non verrete dai Maubry? Una volta... due! volte... No? (Fa un gesto d'indifferenza) Pazienza. (Esce di scatto. Pausa. Atanasio si affaccia discreta­mente dalla porta del bagno).

Atanasio                        - Si può entrare adesso? Se n'è andata?

Michele                         - (con voce strozzata) Sì.

Atanasio                        - (fa qualche passo prudente in direzione di Michele, immobile e prostrato. Chiede con precauzione) Vi ha lasciato?

Michele                         - Sì.

Atanasio                        - (incolore) Ah! (Un profondo silenzio. Atanasio si stropiccia le lunghe ossute -mani) E, naturalmente, ci sono state da parte vostra delle gran­di dimostrazioni di... sensibilità? (Michele non risponde) Seguite da una paralisi totale delle quattro membra e da una afonia radicale dello spirito? (Stes­so silenzio di Michele, ha voce di Atanasio comin­cia a rimproverare) Ed io che avevo avuto il corag­gio di sperare. Mi dicevo: è intelligente, può farsi coraggio. Invece, nulla! Belati, sospiri, scene di ge­losia, disordine e compagnia!

Michele                         - L'amavo!

Atanasio                        - (irritato) Non sapete dire nessun'altra parola, voi! Ci sarebbe da credere che non c'è che quella donna sulla terra e che tutto è finito perché lei si è presa un altro amante.

Michele                         - Tutto è perduto per me.

Atanasio                        - (agitando l'ombrello con furore) E grottesco quel che dite! (E poiché Michele cerca d'interromperlo) State un po' zitto, perdio! Ascol­tate questa musica. (Si sente più nettamente la stessa musica da ballo indebolita e come sotterra­nea) Vi ingiungo di scendere e di far conoscerla con una delle ragazze che stanno ballando! E non dimenticate i miei consigli. (Con un gesto senza replica) Andate!

Michele                         - Mi rifiuto.

Atanasio                        - Fate attenzione!

Michele                         - Voi non avete il diritto di impedirmi... voi meno d'ogni altro.

Atanasio                        - Ed invece io ho questo diritto! (Varia con voce sibilante e a scosse) il vostro desiderio di darvi la morte dipende da una disperazione fan­ciullesca. La vostra ora non è ancora venuta: del resto, fra non molto mi ringrazierete.

Michele                         - Già! Dovrei anche... Come se non po­tessi nemmeno lamentarmi del vostro...

Atanasio                        - Tacete, ragazzaccio; dovrei essere io, piuttosto, a lamentarmi di voi. Non si disturba la Morte per delle ragazzate.

Michèle                         - Vi sono molto riconoscente per la vo­stra cortesia, per la cura che prendete della mia esistenza. Ma vi assicuro che nulla cambierà la mia risoluzione. Poiché vi ho chiamato, sono ai vostri ordini.

Atanasio                        - (dirigendosi verso Michele con passo lento e terribile, lo fa arretrare verso il muro) Ah! Siete ai miei ordini! E' così che fate il testardo? Ebbene! Volete vedere la mia vera faccia, disgra­ziato imprudente? Volete vedere lo spettacolo che io offro a coloro che mi disturbano per niente? Ditemi ora se avete il coraggio di perseverare... Ditemi se quel che vedete adesso vi pare ancora preferibile ad una delusione amorosa. (Mentre Ata­nasio parla, una prodigiosa trasformazione si opera nella sua persona. Il suo corpo, visto di spalle dalla sala, grazie ad un effetto di luci, sembrerà ingran­dirsi e gonfiarsi. L'alto collo del mantello si gonfierà e «palpiterà come le guancie di un serpente in col­lera.; il suo dorso, le sue gambe, sembreranno ingi­gantiti, la sua ombra obliqua coprirà il muro fino al soffitto. Spaventatissimo, la bocca spalancata, Mi­chele prima non riesce a distogliere il suo sguardo dall'orribile figura che lo affascina, poi, finalmente riesce a parlare con un soffio di voce rauca, per­duta e lontana).

Michele                         - No, no... Basta... no!... (La sua voce si spegne in uno spasimo. Nel medesimo istante Atanasio, cessato il giuoco delle luci riprenderà, il suo aspetto normale, umano. Ed è di nuovo il vec­chio signore degno ed ameno, che, inchinandosi profondamente dice a Michele)

Atanasio                        - Alla buon'ora! Tutto è bene ciò che non finisce male. Ero convinto che foste un ragazzo d'avvenire. (Raccoglie la roba di Michele e gliela mette sul braccio) Via, questa volta, buona sera, sul serio. Scendete, giovanotto. Vi aspettano da basso. (La musica del dancing si è alzata d'una misura. Michele si allontana. Arrivato sulla soglia della porta, esita, si volta a metà, con un sorriso raggiante).

Michele                         - (a bassa voce) Grazie. (Scompare. Ri­masto solo, Atanasio lascia andare una piccola risa­tina, solleva le spalle divertito, riflette per un istante. D'un tratto torna serio. Tira fuori dalla tasca una piccola agenda).

Atanasio                        - Vediamo. Non deve esser tutto per oggi. Mi sembra che debbo avere un altro appuntamente verso le sette. (Sfoglia l'agendina) Sì, pro­prio così. (Legge) « Otenwalter Oscar, 51 anni, fal­limento doloso. In fuga da tre giorni. Hotel Bluche, via Rochechouart, camera 14». (Chiude l'agendina seccamente) Oh, questo qui è un caso ben chiaro. (Esce).

PARTE SECONDA

QUADRO PRIMO

Due anni dopo. Una notte di Natale sulle rive della Senna, all'isola San Luigi, all'angolo del lungo Senna dei Borbone e di quello d'Orléans. In fondo, il parapetto del fiume. A sinistra, mezzo nascosta da una vaga nebbiolina bluastra, la facciata della casa che forma l'angolo dei due lungo Senna, si innalza dalla oscurità come la prua di un gigante­sco vascello-fantasma. A destra, un lampione illu­mina debolmente la scena. Parecchie finestre della casa sono illuminate. Gai rumori, cori lontani, risate. (Attraversano la scena due agenti che fanno malin­conicamente la ronda).

Il Brigadiere                  - (indicando alla guardia le finestre della casa) Sentite come si divertono, agente Flube. Ah, se potessi metter dentro questa banda di ubriaconi!

L'Agente                       - Gli fareste passare il gusto del ve­glione, e sarebbe piane benedetto, brigadiere Peti-

tange.

Il Brigadiere                  - Avete indovinato, agente. E' tri­ste far servizio la notte di Natale, invece di mangiare il budino e festeggiare il piccolo Gesù.

L'Agente                       - Non c'è altro da fare che prendersela con i nottambuli che ci capiteranno fra le mani. Vicino al tabaccaio è il miglior posto per vendi­carsi dell'ingiustizia umana.

Il Brigadiere                  - Ecco appunto un tipo che avevo notato al principio della ronda: son quasi venti minuti che staziona sotto l'arco della porta, nascon­dendosi sotto il cappello.

L'Agente                       - (sospettoso) E' un uomo qualunque.

Il Brigadiere                  - E se stesse aspettando che quelli là (indica le finestre illuminate donde viene la mu­sica) si siano ubriacati ben bene, per poi andare a rubare negli appartamenti?

L’Agente                      - Bisognerà interrogarlo.

Il Brigadiere                  - Piano, piano. Non guastiamoci il piacere con troppa precipitazione. Passiamo sul mar­ciapiede di faccia e tiriamo avanti come se niente fosse, appostandoci sul ponte di Nótre-Dame; al primo gesto sospetto...

L’Agente                      - ...lo accalappiamo. Ma guarda, ora passa giusto di qui.

Il Brigadiere                  - (trascinando il collega ed uscendo con lui a sinistra) Fate finta di niente. (Scom­paiono nella nebbia, incrociando Atanasio che, sotto il suo enorme gìbus, è apparso dal fondo e segue con gli occhi gli agenti, brontolando).

Atanasio                        - Non hanno nulla di meglio da fare, quelle due lumache, che sorvegliare me. Bene speso il tempo, mi pare. (Sternutisce) Benissimo, adesso ho preso anche il raffreddore. Stiamo bene. Magari domani dovrò passare la giornata a fare inalazioni. E tutto ciò per colpa di quest'altro stupidello che non si decide ad arrivare. (Interpella da lontano una forma umana che, uscendo dalla nebbia e dalla notte, si avvicina rapidamente) Potreste anche af­frettarvi. Non è gentile che un giovanotto faccia aspettare un vecchio signore tre quarti d'ora, e con questa nebbia.

Michele                         - (arrestandosi a qualche passo da lui) Scusatemi, signor Atanasio, il mio autobus...

Atanasio                        - (furente) Non so cosa farmene del vostro autobus! Sarà colpa vostra se mi buscherò l'influenza. E per di più ho dimenticato di mettermi le soprascarpe di gomma. E il mio ombrello è bucato.

Michele                         - (cercando di sorridere) Via, via... Vedo che dopo due anni non siete affatto cambiato. Ci siamo appena rivisti, e già ricominciate a bronto­lare come nei più bei giorni della mia vita.

Atanasio                        - Mi chiedo proprio perché dovrei es­sere di buon umore. Mi fissate un appuntamento alle 23,35 in capo all'isola di San Luigi, senza nem­meno chiedermi se ho voglia di andare alla veglia come tutti gli altri. (Sempre più irritato) Credete forse di avere dei diritti su di me perché due anni fa mi invitaste a prendere un aperitivo che non ho mai avuto il piacere di bere?

Michele                         - (la testa inclinata, come per pensieri lontani) So di essere molto indiscreto.

Atanasio                        - E' proprio quello che penso.

Michele                         - Ma mi sono detto che forse non avete del tutto dimenticato le ore che abbiamo vissuto insieme e che... mi sembrava avessero creato fra noi una certa simpatia.

Atanasio                        - Sì, sì. Questo ricordo non vi deve però incoraggiare a chiedermi quel che non potei accordarvi l'ultima volta. Forse mi comporterei di­versamente oggi, se aveste il coraggio di ripetere le vostre provocazioni.

Michele                         - Rassicuratevi. Questa sera non si tratta di me, perché personalmente, non so se avete avuto il tempo o la curiosità di notarlo... ma io non ho più bisogno di nulla.

Atanasio                        - (registrando) Più bisogno di nulla.

Michele                         - (sollevando bruscamente la testa) Nem­meno di voi. (Una pausa. Atanasio, la testa incli­nata a destra, scruta fissamente il viso di Michele che sotto la luce del lampione gli appare per la prima volta nel suo vero aspetto: bello, ma crudelmente incavato ed amaro; e fa sentire un leggero fischio di sorpresa).

Atanasio                        - Acciderba! E' vero che siete profon­damente cambiato, signor Michele! Siete sempre bello, ma giallo, magro, con lo sguardo spento e sulle labbra un'espressione non troppo piacevole.

Michele                         - Sono diventato così dopo il nostro ultimo incontro.

Atanasio                        - Veramente?

Michele                         - Sì. Non m'importa più di nulla.

Atanasio                        - Nulla?

Michele                         - E di nessuno.

Atanasio                        - (discreto) Guarda un po'. (Raddrizzandosi improvvisamente ed incrociando le braccia con indignazione) Ditemi allora, giovane amico, mi prendete in giro? Se non dovete chiedermi nessun piacere per voi stesso, perché mi avete dato appuntamento qui nella nebbia? E tra le correntid'aria? Per farmi morire?

Michele                         - Questa facezia non è da voi.

Atanasio                        - (guardando la nebbia) E quest'appuntamento lo è meno.

Michele                         - La situazione è grave. Più grave ancora di quel che potete immaginare. Si tratta di un altro, in favore del quale io vengo ad intercedere,

Atanasio                        - Vi prendete forse per un ambasciatore accreditato presso la mia persona? Del resto, può interessarvi la sorte di qualcuno, se mi avete detto poco fa che non tenete più a nulla né ad alcun essere umano?

Michele                         - Il tentativo che io faccio per salvare questo qualcuno è direttamente legato alla mia indifferenza.

Atanasio                        - La vostra indifferenza verso questa persona?

Michele                         - E verso la mia crudeltà. (A questa parola, Atanasio si avvicina a Michele. Da sotto il suo gibus lo fulmina con uno sguardo obliquo, diver­tito, nel quale la curiosità e l'ironia cercano di sopraffarsi).

Atanasio                        - Voi? Voi siete diventato crudele?

Michele                         - (sospirando) Proprio io, signor Atanasio.

Atanasio                        - (sorridendo più apertamente) Voi, la tenera vittima che si sarebbe lasciata così facilmente sacrificare? E come è avvenuto?

Michele                         - (con grande sincerità e con la calma malinconia che conferisce a tutto quel che dice un accento di verità) Bisogna risalire a quel triste giorno in cui, precipitandomi giù per le scale della casa nella quale avevo ricevuto una sì grave ferita, mi credetti salvo. Seguendo il vostro consiglio, en­trai nel dancing di cui avevamo sentito la musica, e là, incontrai una ragazza...

Atanasio                        - Se veramente credete che tutto ciò mi meravigli...

Michele                         - Una fanciulla molto graziosa.

Atanasio                        - Questo mi meraviglia ancor meno.

Michele                         - Che si chiama Marion. (Atanasio fa un leggero movimento. Volta la testa, alza i soprac­cigli, e sembra cercare nella memoria un ricordo incerto. Ripete col tono di chi riflette).

Atanasio                        - Marion.

Michele                         - (con inquietudine) Sì. La conoscete?

Atanasio                        - No... Affatto. Affatto. Continuate pure...

Michele                         - Ero seduto, ricordo, solo in un angolo, con una faccia, Marion stessa me lo disse più tardi, che lasciava trasparire una grande gioia ed un gran­de dolore, come le giornate che sono mezza luce e mezza ombra.

Atanasio                        - Ben detto: è una fine osservazione.

Michele                         - Mi sentivo nello stesso tempo così solo al mondo, così abbandonato, così in frantumi, dopo quell'atroce giornata, che immediatamente Marion se ne accorse. Io sollevai la testa bruscamente e vidi il suo sguardo tenero, così tenero che improvvisa­mente la invitai a ballare.

Atanasio                        - Mica male, mica male...

Michele                         - Grazie... Avete voglia di scherzare, oggi! Avrebbe potuto fare di me quel che voleva se non fosse stata tanto discreta, e così rispettosa dei miei segreti. Invece di farmi parlare, quando mi vedeva scuro e silenzioso, lasciava passare il tempo in silenzio... E durante questi mesi ambigui, il male che mi ha colpito si è sviluppato in me gior­no per giorno senza ch'ella dubitasse di nulla. Oh, mi sono spesso ricordato, dopo quel giorno, di una parola che voi mi avete detto in quella brasserie nella quale aspettavo che si compisse la mia sorte...

Atanasio                        - Non ricordo.

Michele                         - Mi parlaste delle conseguenze di un primo amore sfortunato: « Coloro che se la cavano materialmente, possono rimanere sentimentalmente uccisi sino alla loro fine reale». Sentimentalmente ucciso, ecco cosa mi è accaduto. E persino peggio.

Atanasio                        - E cioè?

Michele                         - Non mi sono accontentato di allonta­narmi da Marion, di chiudere il mio cuore... Poco per volta ho finito per guardare l'amore e le donne con diffidenza, con disprezzo, con ostilità. Sono diventato un tipo pericoloso.

Atanasio                        - Povero ragazzo.

Michele                         - Non è colpa mia.

Atanasio                        - No. E' una cosa naturale. Siete stato un poco assassinato da una donna, ed è compren­sibile che adesso siate diventato un poco assassino.

Michele                         - (commosso) E' vero, ho sentito spesso in me dei sentimenti di questo genere. Questa mat­tina per esempio... Perché prolungare una situa­zione senza uscita? Ho rotto con Marion, l'ho la­sciata... Forse un po' troppo duramente.

Atanasio                        - Ah!

Michele                         - Per questo, oggi sono stato preso dal­l'angoscia pensando alle ore tormentose che starà passando. Mi sono ricordato il mio dolore di un tempo. E sono venuto da voi per supplicarvi di non ascoltarla, se mai vi chiedesse di partire con voi.

Atanasio                        - (brontolando) Tornate da Marion, ri­conciliatevi con lei. Sarà meno pericoloso che con­tare sulla mia cortesia.

Michele                         - (disperato) Ma io non posso, è im­possibile. E' come se fossi trascinato ed accecato da qualcosa di affascinante.

Atanasio                        - Che cosa?

Michele                         - Che cosa? (Appoggia bruscamente la mano sul di lui braccio) Mi credereste se vi con­fessassi... Se vi facessi una confessione inaudita, se vi giurassi che è vera?

Atanasio                        - (sghignazzando) Non so se potrò se­guirvi... è troppo difficile.

Michele                         - Via via che le mie possibilità di amare e di essere felice diminuivano e si spegnevano, que­sta specie di luce rossastra che illumina in me il ricordo di Prisca si rianimava, riviveva. E' possibile, ditemi, è possibile che si possano riporre tutte le proprie speranze in quella stessa donna che ha uc­ciso l'amore? Quella donna che mi ha rigettato, il cui tradimento mi è costato tanto dolore. Come mai, dopo parecchi mesi, io mi rivolgo di nuovo a lei per aspettare la salvezza?

Atanasio                        - (sardonico) Perché vi ha colpito...

Michele                         - Come?

Atanasio                        - Vi ha gravemente colpito, e poi, su­bito dopo, è scomparsa lasciando nella vostra memo­ria una scia di sofferenza, di crudeltà e di mistero; una scia leggermente tinta di sangue, indimenti­cabile. Ella usufruisce, nel vostro spirito, di questo presagio un po' sinistro che si potrebbe chiamare «il prestigio del martello». Del martello con cui vi ha colpito.

Michele                         - Sì, forse è proprio così... E' orribile, vero?

Atanasio                        - No, non siamo lirici! La crudeltà fissa i cuori teneri come il serpente affascina gli uccelli. E' solamente normale, magari curioso, e un po' ri­voltante...

Michele                         - (con spavento) Ma se sono fatto così, ogni speranza è perduta!

Atanasio                        - Non lo so.

Michele                         - Che sarà di me?

Atanasio                        - Non sono un profeta!

Michele                         - Non guarirò mai. .

Atanasio                        - (categorico) Basta. (Pausa. Vicino alla casa che forma l'angolo dei due lungo Sen­na, sì scorgono, nel buio luccicante della notte, le mantelline degli agenti che tornano indietro cer­cando di ascoltare il colloquio. Per paura di essere scorti, i due agenti rientrano bruscamente nell'om­bra. Atanasio meditando) La verità, Michele, è che voi vivete da due anni in mezzo al marciume dei ricordi che, dopo avervi avvelenato, minacciano di avvelenare gli altri. Voi attraversate una gravissima crisi che ha compromesso prima la vostra esistenza, e adesso mette in causa la vostra capacità di essere felice, di accettare la felicità che potrà offrirvisi. Il peggior male che Prisca vi ha fatto non è stato quello di lasciarvi, ma di lasciarvi in tale maniera da far nascere in voi, con la sua condotta, un senso di disgusto per tutte le altre donne. Allora che suc­cede? Voi voltate le spalle alla vita e vi avviate verso la peggiore delle siccità, quella del cuore: ver­so l'egoismo. Non solamente voi rischiate di diven­tare un morto come Maurizio...

Michele                         - Lo sono già.

Atanasio                        - Niente affatto. Non ancora. Non so­lamente, dicevo, voi rischiate di diventare un morto del genere di Maurizio, ma un morto pe­ricoloso, perché siete giovane e bello. Perché la vostra apparenza costituirà una tentazione per la quale molti si perderanno. Ed è per questo che il vostro caso mi interessò sin dall'inizio. Non lo cre­derete, ma mai avrei accettato di sciupare del tem­po per ascoltare le vostre future vittime e permesso a voi di inviarmele. Vi avrei facilmente applicato una amnesia locale che vi avrebbe liberato per sem­pre da un ricordo così ingombrante. Poiché in voi ho da tempo trovato un cuore, mi permetto di atti­rare la vostra attenzione... (Sghignazza a lungo) Pre­ferisco giocarvi un brutto tiro...

Michele                         - Cosa dite?

Atanasio                        - Che consisterà nel lasciarvi solo a rimettere un po' d'ordine nel vostro caos, a scoprire da solo chi amate e chi odiate.

Michele                         - Come sarebbe a dire, chi odio?

Atanasio                        - Fin d'ora ed in anticipo rigetto su di voi la piena responsabilità di quel che accadrà sta­notte al ristorante del Principe Reale di Svezia. Se sarà Marion che mi invierete io la riceverò senza esitazioni e non la rivedrete più, anche se verrete ad arrampicarvi sulle mie ginocchia. Perciò, siate prudente. E' un consiglio amichevole.

Michele                         - (guardando Atanasio con espressione ter­rorizzata) Cosa vuol dire tutto ciò? Come fate a sapere che il ritrovo notturno in cui Marion pre­senta un numero di ballo si chiama il Principe Reale di Svezia? L'avete dunque vista? Vi ha scritto?

Atanasio                        - (con tono deciso) Rifiuto di rispon­dervi.

Michele                         - Vi ha chiesto un appuntamento dopo la nostra rottura?

Atanasio                        - Segreto professionale.

Michele                         - (in preda ad una furiosa collera, gettan­dosi sul vecchio, lo prende per il bavero) Ma come? E' pazzesco! Bisogna che mi diciate...

Atanasio e Michele       - (quasi insieme, lottando) Volete lasciare in pace la mia redingote? Non vi lascerò... Non vi... finché... Ma guarda che ener­gumeno! State attento, io... (In questo momento gli agenti compaiono all'angolo del lungo Senna e si precipitano fra Michele e Atanasio).

Il Brigadiere                  - Ehi, voi... Dite, avete finito o no di far del chiasso per la strada?

Atanasio                        - Non è nulla, signor agente. Una pic­cola discussione fra amici.

L’Agente                      - Con scambi di colpi e di grida da svegliare tutto il quartiere?

Il Brigadiere                  - Prima di tutto, di che cosa discu­tevate? Fatemi vedere le vostre carte.

Atanasio                        - Le mie carte? E perché?

Il Brigadiere                  - Per avere il piacere di portarvi dentro, se, beninteso, non sono in regola.

Atanasio                        - Permettetemi di farvi osservare...

Il Brigadiere                  - Non fate osservazioni e mostra­teci le vostre carte.

Atanasio                        - (si fruga le tasche brontolando) E se non obbedisco, che fenomeno si produrrà? Il Brigadiere e

L’Agente                      - (insieme) Vi porte­remo in guardina.

Atanasio                        - Ma questi due agenti non hanno testa che... Volete scommettere, se continuate...

Il Brigadiere                  - Vi si dice...

Atanasio                        - (all'agente) Volete scommettere cin­quanta franchi che fra pochi secondi sarete disteso per terra con una gamba rotta? (Al brigadiere) E che vi appiccicherò una di quelle emorragie cere­brali con emiplegia alternata che non vi lascerà per un certo numero di trimestri? Insistete ancora per vedere le carte?

L’Agente                      - (tremando) Io, per me, no. (Tirando il brigadiere indietro) Ha degli strani occhi, pieni di fosforo.

Il Brigadiere                  - Avete ragione, agente Flube. Nel nostro mestiere si fanno talvolta degli incontri strani. (Dignitosamente i due battono in ritirata, ma veden­do improvvisamente Atanasio che li segue mostrando ì denti, si mettono a correre e scompaiono).

Atanasio                        - (tornando a Michele, gli fa vedere il suo gibus tutto sciupato e col bordo strappato nel corso del precedente alterco) Guardate, brutto villano, mi avete rovinato il cappello. Un bel cappello nuovo che avevo comprato appena tre anni fa in un bazar.

Michele                         - Non dovevate farmi arrabbiare con la storia della lettera che Marion ha potuto scrivervi.

Atanasio                        - E' questo quello che voi chiamate far­vi arrabbiare? E siete capace di simili esplosioni di furore? Che sarebbe successo, se aveste amato Marion? (Mostrandogli il cappello) Me l'avreste fatto mangiare il mio cappello?

Michele                         - Lasciatemi in pace. Davvero mi sto domandando se tormentandomi come state facendo, non avete la segreta intenzione di ricondurmi a lei con la forza.

Atanasio                        - (gravemente) Vi sbagliate, Michele. Anche se lo volessi, non potrei più agire su di voi come un tempo, quando eravate solo in causa. Que­sta sera, sono altre persone, e non voi, che stanno per giocare la loro ultima partita. Avevo supposto che questo spettacolo vi avrebbe forse schiarito le idee, mettendo un po' d'ordine nella confusione che regna nel vostro spirito. Ma poiché siete irre­ducibile, mi dichiaro vostro servitore.

Michele                         - Cosa volete dire con questo?

Atanasio                        - (chiamando a sinistra) Tassì... Tassì! Acciderba, occupato.

Michele                         - (perde la testa, segue Atanasio che torna verso la destra) Vi prego, non andate laggiù... Era la nostra ultima serata, e le avevo promesso che l'avremmo passata insieme, dopo il suo numero.

Atanasio                        - Che combinazione! Sarà divertente! Passeremo la serata in tre. Forse in quattro...

Michele                         - Cos'è questo scherzo? Che volete dire?

Atanasio                        - Mi volete lasciare in pace? O debbo richiamare gli agenti?

Michele                         - Io non vi lascerò. Vi accompagno. Voi cercate di influenzarmi, ma ve lo impedirò.

Atanasio                        - (esasperato) Ascoltatemi, amico. Io vi voglio bene, sono paziente, ma c'è un limite a tutto. Mi avete già rovinato il cappello... Adesso mi rom­pete la testa... Se non la finite, questa volta vi uc­cido. (La scena si spegne. 1 due se ne vanno nel buio. Si distinguono camminare lungo le strade, sotto le luci dei lampioni. Continuano a bisticciare e a gesticolare, ma le loro parole sono inafferrabili. Si arrestano davanti alla porta di un bar che si apre alla loro spinta, mostrando una stanza oblunga con banchi color corallo e cinque o sei tavoli. In fondo, un tramezzo bianco, all'altezza di una porta, lascia a destra un passaggio attraverso il quale gli artisti penetrano nella piccola saletta del fondo, dove si svolgono gli intermezzi durante il « souper » che è servito in questo momento al suono di un'or­chestra soffocata. Quando il foyer degli artisti del Prìncipe Reale di Svezia si illumina, un cameriere avanza verso Michele e Atanasio che entrano sem­pre altercando).

QUADRO SECONDO

 (Il ristorante del Principe Reale di Svezia).

Atanasio                        - (a Michele) Voi non siete che un piccolo uomo.

Michele                         - E voi un vecchio rudere.

Atanasio                        - (al cameriere) Non fateci attenzione. Ha bevuto un poco.

Michele                         - (al cameriere) Non è vero. E' lui che ha bevuto.

Atanasio                        - (soffocando) Io? Mi accusa d'essere ubriaco! (Al cameriere) Signore, vi lascio giudicare. Guardate se l'ombrello trema in cima al mio brac­cio teso. Dite ora se vi sembro ubriaco.

Il Cameriere                  - (con sussiego) Signore, vogliate scusarmi, ci deve essere un errore. Questo è il sa­lotto privato del Principe Reale di Svezia, riservato agli artisti che fanno le attrazioni ed alle loro co­noscenze. L'entrata del ristorante è dall'altra parte.

Atanasio                        - E' proprio in questo piccolo angolo che io ho da fare stasera.

Il Cameriere                  - (con diffidenza) Da fare?

Atanasio                        - (si volta, fissa il cameriere senza nessuna benevolenza) Sì, da fare. Vi dà fastidio?

Il Cameriere                  - (turbandosi) A me? Affatto. Vo­levo dire... (Tossicchia, imbarazzato) Vedo che il signore non è di buonumore.

Atanasio                        - (mutando tono) No, sono di ottimo umore. Vorrei un buon tavolo.

Il Cameriere                  - (conducendolo verso destra, gli in­dica Michele immobile, che guarda verso la strada) Con il signor Michele?

Atanasio                        - (con rancore) Se vorrà. Io non tengo particolarmente alla compagnia di questo giovanotto. Ma se vuole, posso offrirgli qualcosa.

Michele                         - (dando l'impressione di ignorare l'invito di Atanasio, si rivolge al cameriere) La signorina Marion è già arrivata?

Il Cameriere                  - Non tarderà molto, signor Mi­chele. Il suo numero è tra un quarto d'ora.

Atanasio                        - (a Michele) La vostra conversazione è finita? (Al cameriere) Datemi la carta dei vini.

Il Cameriere                  - Abbiamo un Pommery 1928, extra secco, gusto americano, che...

Atanasio                        - Prenderò una bottiglia di birra. (Con autorità) Ma voglio egualmente la carta dei vini.

Il Cameriere                  - Per farne, se volete della birra?

Atanasio                        - Per darmi un contegno mentre sarò solo. (Vede improvvisamente Marion che entra, ve­nendo dalla strada. Lascia scappare una esclama­zione soffocata) Ah! (Al cameriere) Lasciatemi tran­quillo. (E voltando la testa vivamente, fa finta di mettersi a leggere la carta dei vini. Il cameriere va a sedersi in fondo, vicino al tramezzo, donde sorveglia Atanasio con perplessità. Nel frattempo Mi­chele, in primo piano, aiuta Marion a togliersi il mantello).

Michele                         - (a Marion, con ansia) Come stai? Sei andata al Bois come avevi promesso? Hai fatto un poco di esercizio? La passeggiata all'aria aperta ti ha fatto bene?

Marion                          - (pallida, con gli occhi pesti) Sì, molto.

Michele                         - (più sollevato) Son contento. In que­sti casi, sai, il colpo più duro è il primo. Dopo ci si abitua abbastanza a questo genere di situazioni.

Marion                          - (dolorosamente ironica) Si, tu ne sei la prova. E' un esempio incoraggiante.

Michele                         - Oh, per me è un'altra cosa, io sono soprattutto un po' pazzo. Tu, invece, Marion, sei piena di buon senso e di pazienza. Vedrai, tutto si aggiusterà tra qualche giorno.

Marion                          - Hai ragione, Michele, tutto si ag­giusterà.

Michele                         - (nuovamente allarmato dal tono di Ma­rion) Cosa, Marion? Parla senza sottintesi.

Marion                          - (sorridendogli) Ma no, quanto sei sciocco. Sono molto più coraggiosa di quanto tu non pensi. (Febbrilmente) E poi non vorrei guastare la nostra ultima serata. Dobbiamo essere allegri tutta la notte. E domani, come dicevi, sarò più paziente. (Scoppia in lacrime).

Michele                         - (sconvolto) Marion, giurami che non farai nulla di insensato. Giuramelo.

Marion                          - (sparisce verso destra dicendogli) Vado a vestirmi. A fra poco.

Atanasio                        - (chiamando dal suo posto) Cameriere!

Il Cameriere                  - (alzandosi) Signore?

Atanasio                        - (alzandosi anche ha) Il vostro Pommery extra secco 1928, di cui mi parlavate poco fa, è sempre disponibile?

Il Cameriere                  - Il Pommery? Ma certo, signore.

Atanasio                        - (indicando Michele che viene verso di lui, il viso turbato e gli occhi bassi) Portatene una grossa bottiglia per rimettere in sesto il signore. (A Michele) Voi, venite qui. (II cameriere si allon­tana immediatamente verso il fondo. Atanasio pren­de Michele sotto braccio e lo conduce ad un altro banco a destra, poi lo fa sedere esaminandolo con sguardo acuto) A quel che vedo, il vostro incontro con Marion non ha l'aria di tranquillizzarvi.

Michele                         - (con voce spenta) Credevo che men­tiste per farmi paura, quando vi siete rifiutato di parlarmi della sua lettera. Adesso non posso più dubitarne: vi ha proprio scritto, vi ha convocato qui. Per questa notte, vero? Per questa notte?

Atanasio                        - E poi? Dato che non l'amate...

Michele                         - (con stupore) Come « e poi »?

Atanasio                        - (diabolico) Ma certo! Che importa? Si consolerà con me del dolore che voi le procu­rate. Io le farò presto dimenticare che c'è stato un Michele che l'ha tanto tormentata. E se io, a mia volta, l'inganno con un'altra giovincella, vi potrete almeno rallegrare della certezza che, questa volta, non potrà chiamare con un biglietto un altro signor Atanasio.

Michele                         - (sollevandosi, con un movimento solenne) Voi! (Ricade al suo posto con un sospiro sof­focato cercando di sorridere) Sono veramente inge­nuo ad abbandonarmi così a tutti i vostri scherzi... alle vostre provocazioni che tradiscono chiaramente lo scopo che vi siete prefisso. So benissimo che! non amate le persone che vorrebbero darsi a voi prima dell'ora segnata dal loro destino. Ogni qual volta lo potete, tentate con tutti i mezzi di farle rientrare in quel mondo ch'esse detestano. Ed è per questo che desiderate tanto che io salvi Marion, rinunciando alla nostra rottura.

Atanasio                        - Avanzate a passi da gigante nel chia­roscuro del mistero!

Michele                         - Ma io non sento in me che della pietà, del rammarico, della simpatia, magari, quan­do penso a lei... Spesso, ve lo giuro, ho cercato di ritrovare al suo fianco questo clima di violenza e di dolcezza divina la cui privazione mi fa tanto soffrire. Sono rinchiuso in un ricordo, un ricordo di dolore, che esercita su di me un fascino invin­cibile. Forse lo sarò anche dopo averla ritrovata, ma così come si può riunire l'allegria con la tri­stezza; con Prisca io costruirò la felicità col mio dolore.

Atanasio                        - Sì? Allora è finita. Potevate scegliere fra Prisca e Marion, tra il passato e l'avvenire. Avete scelto il passato. Non mi resta che assistere allo svolgimento degli avvenimenti con la più sin­cera desolazione.

Michele                         - Allo svolgimento degli avvenimenti?

Atanasio                        - Degli avvenimenti inevitabili.

Michele                         - (con una specie di gioia) Ah, sì! Vi capisco. Il mio ritorno da Prisca. Sapete, signor Atanasio, come ho passato il tempo da quando l'ho perduta? A cercarla.

Atanasio                        - (distratto) In verità...

Michele                         - Dappertutto! Mi ha lasciato per un 1 ballerino, e io frequento i luoghi in cui si danza, rifaccio le passeggiate che lei prediligeva, i tè, certi negozi... Finora non ho avuto successo.

Atanasio                        - (guardandolo) No!

Michele                         - Ma so che riuscirò. Via via che pas­sano i giorni, la sua aureola ingrandisce. Il prestigio dell'assenza, della scomparsa... Sì, so che la ritroverò.

Atanasio                        - (con calma) L'avete già ritrovata.

Michele                         - Cosa dite?

Atanasio                        - (grave e rattristato) Prisca è qui.

Michele                         - Prisca?

Atanasio                        - Voltatevi. (Michele obbedisce con un brivido. E là, in piedi nel passaggio che lascia a destra il piccolo muro bianco dietro il quale si trova la sala del Principe Reale di Svezia, c'è elettiva­mente Prisca in abito da sera, sotto la meravigliosa luce del passato. Per un momento tutti i personaggi restano immobili e rigidi come statue, poi Prisca, per prima, si anima, scende i due scalini, attraversa il ridotto in diagonale, dimagrita, ma sempre bella, splendente di gioielli. Maurizio la segue. La coppia si siede a sinistra, sul banco color corallo, davanti a Michele il cui viso e atteggiamento sono quelli di un essere affascinato, svenuto in piedi, fulminato. In questo preciso istante appare Marion, dal suo camerino. Va verso Michele senza notare Prisca, ma nel momento in cui sta per parlargli, Atanasio si intromette) Permettete che mi presenti: sono un amico di Michele. Egli ha appena ricevuto una brutta notizia e non desidera ancora comunicarvela. Ha altro da fare, ma saprete tutto dopo il numero che voi interpretate con la più poetica malinconia. Depongo i miei omaggi ai vostri piedi. (S'inchina davanti a Marion mostrandole la sala del fondo. La donna obbedisce con stupore, si allontana, sì volta brevemente verso Michele, poi scompare dietro il muro bianco. La sua danza comincia subito dopo su di un'aria soffocata. Atanasio offre a Michele una coffa ch'egli ha appena riempito di champagne) Bevete. Ne avrete bisogno. (Gli indica Prisca) Adesso, coraggio. Avete incontrato il vostro primo amore. (Michele avanza lentamente e macchinal­mente in direzione del tavolo di Prisca).

Michele                         - (a Prisca) Non mi aspettavo di ve­dervi qui.

Maurizio                        - (inclinando il corpo in avanti gli risponde freddo e gentile) Come stai, Michele? (Si alza con aria sognante e continua senza aspettare risposta) Vi lascio un momento. Vado a veder danzare quella ragazza. (Va a piazzarsi sul fondo, il dorso voltato nell'apertura che conduce alla sala. Atanasio sì è nuovamente seduto dall'altra parte, in faccia a Mi­chele e Prisca. Si versa anche lui una coppa di champagne).

Michele                     - (a Prisca, con la stessa aria dolorosamente sorpresa con cui l'aveva salutata) Non mi aspet­tavo di vedervi qui.

Prisca                        - Io sì.

Michele                         - Come?

Prisca                            - Me l'aspettavo, perché sapevo che vi avrei trovato qui. Sono venuta per vedervi. Ho saputo dall'agenzia alla quale mi sono rivolta che frequen­tate questo locale.

Michele                         - E perché mai desiderate vedermi?

Prisca                            - (risponde con voce contenuta) Perché volevo chiedervi perdono.

Michele                         - A me?

Prisca                            - (melanconica) Vi sorprende, vero? Certo conservate di me un ricordo di crudeltà, di men­zogna e d'ingiustizia. Mi detestate.

Michele                         - Oh!

Prisca                            - Ed avete ragione. Ricordo quel pomerig­gio in cui vi colpii con tante... precauzioni che dovet­tero farvi l'effetto d'una crudeltà doppia. Mi avete perdonata?

Michele                         - Ma... sì.

Prisca                            - Grazie. (Tace un secondo. Un furtivo sorriso amaro contrae leggermente i suoi lineamenti. Prosegue tristemente) Oggi sono diversa. Tutto è cambiato in me, intorno a me, senza che io abbia potuto far nulla per impedire il naufragio. Vi ricor­date di Vanni?

Michele                         - Non pronunciate questo nome.

Prisca                            - Scusatemi. Sono diventata maldestra. Ho un po' perduto quella correttezza che vi faceva dire un tempo: siete sempre molto fine. Adesso, non so più usare le parole. Sono molto in basso.

Michele                         - Non vi umiliate così.

Prisca                            - Non lo faccio di proposito. Non vi sto giocando un brutto scherzo: l'umiliazione l'ho subita ogni giorno e l'accetto perché non sono più capace di lottare.

Michele                         - Perché?

Prisca                            - Ricordate quel che vi dicevo quando evocavo dinanzi a voi ed ai miei stessi occhi il mio avvenire con quell'uomo, ciò che io speravo da lui, la fiducia che avevo nelle mie risorse per conservarmi l'amore che credevo di aver conquistato?

Michele                         - Sì. E contavate le vostre previsioni a settimane.

Prisca                            - Ho lottato di più: undici mesi.

Michele                         - (dolorosamente ironico) Un'eternità. (Subito dopo, una specie di sorpresa mista a timore si legge sul suo volto, come se non riuscisse a ren­dersi conto di poter ironizzare su Prisca e temesse nello stesso tempo di ricevere quel che gli spetta. Ma Prisca non ha notato la sfumatura. Continua con sordo rancore).

Prisca                            - Sì, un'eternità. E' la parola che ci vuole. Un'eternità di inquietudini, di vittorie, di sconfitte immediatamente vendicate, subito riprese. Una per­petua lotta contro un essere leggero, sfuggente...

Michele                         - Danzante.

Prisca                            - Bugiardo, cinico, odioso! Ecco quel che ho vissuto durante undici mesi della mia vita. Ecco come ho vissuto, Michele.

Michele                         - Infine?

Prisca                            - Infine ho rinunciato e sono partita. Ho detto ancora una volta addio alla possibilità d'essere felice, di conservare la mia felicità. E poi...

Michele                         - Questa possibilità si è ripresentata.

Prisca                            - Oh, non per molto tempo, questa volta. Compresi quasi subito. Dopo sei settimane, mi ero già liberata. Perché alla lunga, il vostro ricordo, Michele...

Michele                         - Si infiltrava nel letto deserto.

Prisca                            - Come?

Michele                         - Nulla. Scusatemi. Continuate.

Prisca                            - Dapprima ho cacciato quest'idea come impossibile, e anche stupida. L'orgoglio si rifiutava, ed anche la certezza che non avrei dovuto aspet­tarmi nulla di nuovo da voi. Ero disperata, il vuoto si era fatto intorno a me, avevo l'impressione di essere sola al mondo.

Michele                         - So, so. Ma... Maurizio... Non era forse al vostro fianco?

Prisca                            - (ride, ma la sua strana allegria suona velata e incrinata da una specie di paura) Oh, Maurizio, sapete, con i mesi e gli anni il suo stato non ha fatto che peggiorare.

Michele                         - C'è dunque cosa più grave di quella d'essere morto per tutto?

Prisca                            - (a queste parole, si ferma, un po' impressio­nata. Guarda Michele con aria interrogativa, allar­mata) Morto per tutto? Cosa volete dire?

Michele                         - Nulla. Era un'espressione figurata. Un po' troppo fantastica... Continuate.

Prisca                            - (sognante) E' curioso. Questa immagine di cui vi siete servito per qualificare Maurizio è passata spesso anche nel mio cervello. Ho provato parecchie volte ad impiegarla quando cercavo di capire a che punto egli fosse arrivato. Ho avuto spesso l'impressione di vivere come in un vuoto. Sì, il suo stato ha peggiorato, peggiorato nel senso che egli non protesta più, nemmeno silenziosamente, contro quello che faccio. E' strano, ma in certi mo­menti mi sembra persino che egli voglia aiutarmi.

Michele                         - A far cosa?

Prisca                            - Non saprei dirlo, esattamente. Forse a spingermi in avanti, a favorirmi, ad affrettare non so cosa. Sì, vi assicuro, Michele, spesso mi fa paura. Tanta paura che mi capita di sognarlo. Lo vedo in piedi, all'ingresso di un viale e, cosa più singolare ancora, la sua aria è di chi aspetta. Ha l'aria di aspettarmi, sì.

Michele                         - Di aspettarvi?

Prisca                            - Sì. Ed anche di chiamarmi, di farmi dei cenni persuasivi. (Si scuote come per reagire ad una sensazione agghiacciante, poi, con leggera febbre che fa luccicare i suoi occhi supplichevoli) In­fine, tutto ciò ha ben poca importanza: quel che conta adesso è che finalmente ci siamo ritrovati.

Michele                         - (turbato) Prisca...

Prisca                            - E che io abbia chiesto perdono per il passato senza nascondervi nulla della mia attuale sofferenza, con la speranza che questa confessione faccia sparire ogni rancore, perché, vedete Michele, io credo... io credo che vi siate ben vendicato. (Lascia passare qualche secondo, quindi avvicinandosi a Mi­chele, gli sussurra) Ritornerete un giorno a me, Michele?

Michele                         - (strappando a se stesso la risposta con una specie di terrore) Non lo so.

Prisca                            - (trasalendo) Non lo sapete?

Michele                         - In questo momento provo una sensa­zione intollerabile.

Prisca                            - Intollerabile?

Michele                         - Impiegabile. Io che avevo tanto atteso, tanto sperato, che avevo sognato questo momento meraviglioso in cui ci saremmo rivisti... non so adesso cosa mi capita. E' come se, via via che voi parlate, il mio cuore si copra di cenere. Ho paura e non capisco. Non capisco cos'è successo. (Si alza violente­mente, agitato, comincia a camminare in lungo ed in largo senza sapere dove va) Poco fa, quando siete entrata, ero come fulminato, affascinato, il cuore mi batteva a gran colpi, la testa mi girava. Ancora in quel momento avevo la certezza che avreste fatto di me tutto quello che avreste voluto, esattamente come in quel giorno in cui mi colpiste senza che potessi difendermi. E adesso, ecco che anche questo senti­mento sembra essersi spento, (ha guarda improvvi­samente con occhi stralunati) Avete distrutto anche questo!

Prisca                            - Michele!

Michele                         - L'amore, il ricordo, il tormento del pas­sato, i ritorni deliziosi e amari su quel che fu, su quel che non sarà più? Anche quest'ultima speranza che io mi ero conservata è finita a sua volta? O forse non era altro che un sogno, un'illusione che mi tra­scinavo dentro, facendo credere a me stesso che non era illusione?

Prisca                            - (afferrandolo con forza) Michele, siete pazzo! Non sapete più quello che dite, oppure fate allusione a delle cose, a delle idee che per me sono incomprensibili, poiché io non so più nulla di voi da due anni. Michele, spiegatevi. Mi avete parlato di un'ultima speranza. Speranza in che? In chi?

Michele                         - In voi. In me. In questa facoltà di po­ter sentire l'amore che noi tutti, più o meno, posse­diamo, che io possedevo due anni fa e che mi strap­paste allontanandomi da voi.

Prisca                            - Che io vi ho strappato?

Michele                         - Non capite?

Prisca                            - Ma cosa volete che capisca?

Michele                         - Dopo avermi abbandonato, non vi siete mai chiesta che cosa sarebbe accaduto di me? Non avete avuto neppure un pensiero per me, nep­pure uno, non un'inquietudine, non uno sguardo indietro?

Prisca                            - Non oso rispondervi, Michele. Ma anche voi, a vostra volta, cercate di ricordarvi che cosa anelavo quando vi abbandonai, con quale febbre giocavo la mia vita, in quel tempo benedetto in cui credevo ancora che l'amore mi aspettasse alla porta della casa in cui ero venuta a dirvi addio. Ero tanto presa dal mio destino, che sono scusabile se non ho affatto pensato al vostro.

Michele                         - Ebbene, in quello stesso tempo, io scen­devo una scala di miseria, mentre voi lottavate e vivevate; voi soffrivate senza dubbio, ma almeno era una sofferenza al sole, sotto la bella luce del cielo, poiché voi, per lo meno, avevate la gioia di poter soffrire, di vivere! Io invece, andavo sempre più in basso per quella mia scala miserabile, e mentre scen­devo il coro delle voci indimenticabili che avevo ascoltato al vostro fianco, che mi aveva fatto fremere, piangere, amare, questo coro, queste voci si spegne­vano a poco a poco, si allontanavano come se io scendessi in una cantina e sopra la mia testa si chiu­desse per sempre l'accesso all'aria libera, alla felicità, dalle quali voi mi avete scacciato. Da quel momento, io abito in un paese in cui non esiste nulla all'infuori del rammarico di quel che io chiamo come voi un «tempo benedetto». Ho cercato di dimenticare, di amare un'altra donna, ma non ho trovato che l'apparenza dell'amore, delle tenerezze fredde ed incomplete, delle insoddisfazioni tanto più crudeli ed ironiche quanto più potevo paragonarle con quel che era stato il nostro amore. Ero arrivato a non contare più che su di voi, a riporre tutte le mie spe­ranze di guarigione in voi stessa, nella donna che mi aveva ferito. Adesso vedo però che mi cullavo nelle illusioni, che ormai tutto è finito per me. Chi mai mi guarirà? Ve lo chiedo... Chi? (Verso la fine di questa replica, fatta sul tono di una dolorosa vio­lenza, egli ha afferrato con forza le mani di Prisca che, malgrado la sofferenza, non le ha ritirate. Il suo viso però è impallidito, si è indurito. Essi riman­gono immobili, le mani serrate, contemplandosi con una espressione angustiata e nemica insieme. In questo momento Marion ha terminato il suo nu­mero e riappare in fondo al ridotto. Vedendola, Ata­nasio si alza precipitosamente e va a lei, raggiun­gendola giusto a tempo per sostenerla nel momento in cui, scorgendo la coppia, accenna a perdere le forze. Maurizio, vicinissimo a lei, non si è voltato. Si direbbe veramente che non si è accorto di nulla. Marion chiede ad Atanasio con un filo di voce).

Marion                          - E' Prisca?

Atanasio                        - Sì, piccola.

Marion                          - (piano) Adesso ho perduto tutto. Come la guarda appassionatamente! Non mi ha mai guar­data così! Mai!

Atanasio                        - Meglio per voi.

Marion                          - Perché?

Atanasio                        - Perché è uno sguardo pieno d'odio.

Marion                          - Non vi credo. Michele appartiene a lei. Soffoco, non ne posso più. (Bruscamente singhiozza, senza far rumore) Andiamocene, andiamocene, signor Atanasio...

Atanasio                        - (con irritazione, prendendo la fanciulla alla vita, e facendola voltare verso la sala del fondo per portarla via) E' incredibile come tutta questa gente sappia il mio nome! Andiamo, venite. E' me­glio. E' un villano, un perverso! Una canaglia! (Escono lentamente. La testa dì Marion si è posata sulla spalla di Atanasio) Sì, un tassì. (Scompaiono in fondo. Simultaneamente, Michele ha sciolto la stretta. Indietreggia d'un passo davanti a Prisca, gli occhi sempre fissi su di lei. E' solamente allora che Maurizio si volta. Egli seguirà la fine della scena con vigilante attenzione, avanzandosi poco a poco).

Michele                         - (a Prisca) Adesso guardo voi, voi che ho tanto desiderato, e non arrivo a riconoscervi. Siete voi che avete assillato le mie notti e i miei giorni? Voi che io avevo posto così in alto nel mio amore, nel mio terrore? Come mai io non provo più per voi... Perdonatemi la parola, che è crudele, ma è vero e debbo dirla: come mai non provo più per voi che dell'indifferenza, come mai, mio Dio, come mai?

Prisca                            - (si è leggermente sollevata sotto l'insulto e guarda Michele con sdegno mal celato) Perché mi vedete infelice, perché sono a pezzi, perché mi sono lamentata, perché ho pianto. Ho commesso l'errore di denudarmi davanti a voi di tutto il pre­stigio che aureolava il mio ricordo nella vostra me­moria; la mia crudeltà, la mia mala fede, la mia infe­deltà. Tutto ciò era così seducente! Tutto ciò è svanito come un miraggio, e davanti a voi non c'è più che una creatura improvvisamente banale, quasi ridicola, mentre voi l'immaginavate tanto superiore. Ed ora vi disprezzate per aver perduto, per tutto questo, due dei più begli anni della vostra esistenza.

Michele                         - (balbettando) Prisca, è terribile, ma credo sia proprio così. Sì, è così che siamo fatti: sangue, lotte, sorprese, pericoli, sempre. Lo sapevo, me lo avevano già detto. Adesso sì che riconosco la sua abominevole conoscenza del cuore umano mista ad una strana pietà per noi, una pietà che non ci si sarebbe aspettati da un personaggio tanto fantastico... (Un silenzio; Michele si è seduto, la testa tra le mani. Prisca si avvicina a lui lentamente).

Prisca                            - (a Michele, posandogli la testa sulle spalle e con una bizzarra dolcezza) Adesso ecco l'ora di Svalutarci, di scambiarci questa volta degli addii vera­mente definitivi. Non ci vedremo più, Michele.

Michele                         - (con voce soffocata) Mai più. Addio.

Prisca                            - (calmissima) Addio, piccolo Michele. Vi ho amato molto in principio, poi... (Va a prendere il suo mantello che aveva lasciato sulla tavola. Ritor­nando si trova faccia a faccia col marito che ha se­guito con gli occhi tutti i suoi movimenti, come se, sorvegliandola col suo strano e silenzioso atteggia­mento solitario, egli avesse registrato profondamen­te nella memoria i minimi gesti dì sua moglie per non dimenticarli più. Prisca si ferma un momento davanti al suo corpo obliquo e parla senza guardarlo) Vi proibisco di seguirmi.

Maurizio                        - (con voce rauca) Non vi seguirò.

Prisca                            - Vi proibisco di aiutarmi.

Maurizio                        - Non vi aiuterò.

Prisca                            - Io non vi ho dato che tormenti. Ma non considerate questa frase come una condanna del mio passato. Se non ho cercato l'amore come fanno i cuori semplici, l'ho però cercato con passione. Questa sarà la mia sola scusa. Addio, Maurizio. (Sentendo queste parole, Maurizio indietreggia un po'. Un leggero brivido lo scuote, e levando il dito verso sua moglie in un gesto che vuol dire e pro­messa e monito, egli rettifica guardandola con un lampo negli occhi).

Maurizio                        - No, non addio: arrivederci, Prisca! (Prisca esce dal primo piano, la pelliccia sul braccio. Il suo luccicante vestito da sera si perde nel buio esterno. In scena non restano più che Maurizio e Michele, l'uno vicino all'altro, muti. Alla fine Mi­chele solleva la testa e mormora serrando ì denti).

Michele                         - Sempre manovre, sempre nuove lotte. Non può essere, non può. Esiste anche dell'altro. (Scorge Maurizio) Chi è? Sei tu, Maurizio?

Maurizio                        - Sì, Michele.

Michele                         - Dell'altro, dell'altro, lo so. Ne son sicuro. Oh, mi sento meglio. Vedi, Maurizio, è come se stessi uscendo da un incubo. Respiro meglio. Tutto è più caro. Forse ho già trovato quel che cercavo, quest'altra cosa, mi capisci, Maurizio? Il rifugio, vero? Sì, forse, forse... Marion! Dov'è Marion?

Maurizio                        - (grave e calmo) Non lo so.

Michele                         - Che ore sono? Deve aver finito il suo numero. Ed io che l'ho lasciata sola! Deve aspet­tarmi nel suo camerino.

Maurizio                        - No, non ti aspetta.

Michele                         - (non capisce) Marion non mi aspetta?

Maurizio                        - E' andata via, Michele; è andata via con qualcuno.

Michele                         - Qualcuno? Chi? (Si solleva bruscamente, pallido, spaventato, si guarda intorno, non vede più Atanasio, torna a Maurizio e gli dice a bassa voce) Vuoi forse dire con...

Maurizio                        - (inclina la testa con pietà) Sì.

Michele                         - (livido, indietreggia) Non è vero!

Maurizio                        - (guarda a sua volta la stanza deserta. Il suo sguardo si sofferma un attimo sul posto prima occupato da Prisca. Risponde con voce senza timbro, allargando le braccia, come per deplorare tutte queste assenze) Vedi...

Michele                         - (con un'esplosione di disperazione, di fu­rore, di dolore, di panico) Ma... ma è impossi­bile, Maurizio'. Marion! Marion! Non fare questo... no, no... Marion! Marion!

Maurizio                        - Taci, Michele, è inutile. Tu non pura impedire nulla. Hai già fatto troppo il pazzo questa sera. Ti svegli troppo tardi.

Michele                         - Ma io non voglio, Maurizio! Io non voglio che muoia, non voglio. Non potrei, Mau­rizio, non potrei! (Singhiozza).

Maurizio                        - Calmati, Michele, calmati. Vieni con me, ti condurrò a casa. Non c'è altro da fare.

Michele                         - (con voce ora spezzata, ora acuta, come onde terribili che si succedono) Ricondurmi a casa? Sei pazzo? Bisogna cercarla, riprenderla. Bi­sogna che la ritrovi, capisci? Bisogna! Bisogna ri­trovarla, ti dico, oppure... io non potrei, non porrei, Presto, presto...

Maurizio                        - Ci tieni dunque tanto a questa pio cola Marion? E fino ad ora non lo sapevi?

Michele                         - (fuggendo dal primo piano) No, non lo sapevo. Lo capisco soltanto ora; ora so che amo soltanto lei al mondo (Scompare).

Maurizio                        - (seguendolo) Fortunato! (II camerieri accorre quando tutti sono usciti. Resta solo in scendi.

Il Cameriere                   - (perplesso) E il conto? (La luce si spegne).

QUADRO TERZO

(In una penombra di un blu profondo, luci confuse sì accendono una dopo l'altra, in differenti punti della scena, illuminando di sbieco ombre di pas­santi, fra le quali si riconoscono Michele e Maurizio che interrogano dei funzionari successivamente in diversi luoghi).

Maurizio                        - E' qui il municipio del sedicesimo quartiere?

Il Funzionario               - Sì.

Michele                         - Cerchiamo due donne scomparse.

Il Funzionario               - Nulla del genere, qui da noi. (Un'altra lampada si illumina).

Michele                         - Il commissariato dell'ottavo quartiere Palazzo Borhone?

Il Brigadiere                  - Desiderate?

Maurizio                        - Due scomparse.

Il Brigadiere                  - Cercate altrove. (Si illumina una terza lampada).

Maurizio                        - L'ospedale Broussais?

Il Portiere di servizio    - Venite per i due suicidi di poco fa?

Maurizio e Michele       - (insieme) Due giovani dorme?

Il Portiere                      - No. Una vecchia ed una giovane. Maurizio e

Michele                         - (insieme) No. Grazie. (Sì accende una quarta lampada).

Maurizio                        - (curvo su un registro) Ventisette an­ni? E' la sua età.

Michele                         - (al funzionario) E l'altra, Bruna. Oc­chi neri?

Il Funzionario               - Ventidue anni.

Michele                         - E' Marion!

Il Funzionario               - (consultando una schedina) Dite Marion?

Maurizio                        - Sì, sì. Ebbene, sono loro?

Il Funzionario               - (soffocando uno sbadiglio) No. Si chiama Giulietta. (Da questo momento le lam­pade sì accendono e si spengono con ritmo sempre pù accelerato. Le domande e le risposte ripetute da voci diverse si incrociano con rapidità crescente) Una giovane signora? Non è qui. Trentatrè anni? No, ventisette. Bionda? Ca­stana. Non è qui, vi ripetiamo. Sono impos­sibili questi due tipi. E' già la seconda volta che vengono. Non è entrato nessuno, questa notte. Il commissario del nono quartiere? I funzio­nari hanno il diritto di dormire come tutti gli altri.

Michele                         - E' l'alba.

Maurizio                        - Vieni, Michele, è finita.

Michele                         - Continuerò fin quando cadrò a terra.

Maurizio                        - Ti riconduco a casa.

Michele                         - Marion! Marion! (A questo appèllo lacerante una voce risponde: «Non è qui Non è qui ». E subito dopo cento altre voci, sempre più rimbombanti, echeggiano in un terribile coro: « Non è qui Non è qui ». II coro sì gonfia prodigiosa­mente, poi tace d'un tratto, in un ultimo suono terrificante, mentre la scena si illumina della luce dell'alba. Sì rivedono Michele e Maurizio seduti l'uno a fianco dell'altro, sfiniti, in basso alla scala che conduce alla camera dì Michele. Fa giorno lenta­mente) E' finita. Non la rivedrò più.

Maurizio                        - Non è ancora detto.

Michele                         - Troppo tardi.

Maurizio                        - Chi lo sa? Non le abbiamo ritrovate, ma nemmeno gli ospedali e la polizia sanno nulla. Può darsi che abbiano errato tutta la notte per le strade e forse ritorneranno nella mattinata.

Michele                         - Non lo credo.

Maurizio                        - E' possibile. So bene che ci sono persone che scompaiono e delle quali poi non si sente più parlare. Ma tuttavia due donne insieme non è tanto facile. Ricomincio veramente a sperare.

Michele                         - Mi ridai coraggio. Torneranno stamat­tina, credi?

Maurizio                        - Sì, sì. Nell'attesa ti riconduco a casa tua. Non ne posso più, ed anche tu non puoi più sopportare questa angoscia.

Michele                         - Sì, andiamo, vieni, Maurizio. (Si al­zano faticosamente. Scompaiono nelle scale. Si sen­tono le loro voci che si rispondono mentre salgono lentamente).

Maurizio                        - Ne sono sempre più sicuro. Sono salve tutte e due.

Michele                         - Dio lo voglia, Maurizio. Dio lo... (Tace, tende l'orecchio, nell'ombra, verso una sorta di bri­vido musicale che sembra scendere dall'alto della casa. Michele poggia la mano sulla spalla di Mau­rizio) Senti? C'è qualcuno che suona, lassù.

Maurizio                        - (ascoltando anche lui) Suonano lo « Studio n. 19 » di Chopin.

Michele                         - E' curioso che ci sia qualcuno che suona a quest'ora, alle sei del mattino.

Maurizio                        - C'è un pianista in casa tua?

Michele                         - Ma no.

Maurizio                        - Qualcuno suona Chopin. E bene, anche.

Michele                         - A parte il mio, ch'io sappia, non c'è altro pianoforte in tutta la casa.

Maurizio                        - Marion sa suonare?

Michele                         - (improvvisamente esaltato) Ma sì, sa suonare! E' lei. E' lei, è là! E rientrata, Maurizio. Marion! Marion!

Maurizio                        - (frenandolo) E se fosse Prisca? Non possiamo saperlo. Presto, presto. (Entrano e s'ingol­fano su per le scale. Sì sentono ì loro passi precipitati. Man mano che salgono la musica si fa piùnforte, più vicina, più precisa. Michele e Maurizionsbucano sull'ultimo pianerottolo. Michele, senzanfiato, porta la mano alla tasca).

Michele                         - Ah, che gioia! Che gioia! La chiave? Dov'è la chiave? Ah! Eccola.

Maurizio                        - Sbrigati! (Michele apre. E il sipario si leva per l'ultima volta sulla piccola camera dove abbiamo visto per la prima volta Michele).

QUADRO QUARTO

La camera di Michele sotto i tetti, tutta in ombra. ha musica risuona ancora con sicurezza, come  una meravigliosa poesia).

Maurizio                        - Cosa vuol dire? Si può suonare così al buio?

Michele                         - (chiamando) Sei tu, Marion. Aspetta, accendo la luce. (Accende. Con la luce, Maurizio e Michele vedono di spalle, seduto al piano, il cap­pello in testa, uno strano artista che non è altri che Atanasio, il quale si volta lentamente. Guarda i due nuovi arrivati, fermi e muti, in piedi, a bocca aperta, presso la porta).

Atanasio                        - (con voce la cui profonda tristezza li fa fremere fino ai piedi) Oh, ecco i nostri due viag­giatori! Arrivate veramente tardi, molto tardi. E' parecchio tempo che vi aspetto qui.

Michele                         - (balbettando) Ci aspettavate?

Atanasio                        - Sì.

Michele                         - Perché? (Atanasio dapprima non ri­sponde, lentamente si alza, si dirige verso i due personaggi e lì guarda, uno dopo l'altro, in piedi, di faccia a lui, fianco a fianco).

Atanasio                        - Perché qualcuno che voi conoscete mi aveva dato appuntamento in questa camera. Non ho potuto rifiutarmi, come capita di tanto in tanto, perché taluni esseri, veramente giunti alla fine del­la loro corsa, non accettano discussioni. Io faccio sempre queste cose contro voglia. Non mi piace essere obbligato. Ma quando si esige veramente il mio concorso, non ho il potere di rifiutare, (li guarda ancora una volta prima di proseguire con tono più basso) C'è qualcuno che dorme nella ca­mera accanto.

Michele                         - (spaventato, in un soffio) Chi?

Atanasio                        - Non muovetevi di là, tutti e due. (Se ne va, si volta d'un tratto, terribile, messo in guar­dia da un movimento di Michele e di Maurizio) Non muovetevi! (Continua più calmo, guardando il pavimento) Vi mostrerò io stesso di chi si tratta, (Entra nella camera. Maurizio e Michele si guar­dano senza parlare. Improvvisamente Michele ss mette a battere i denti).

Michele                         - Non è Marion, non può essere Marion,

Maurizio                        - Va bene, non sarà lei.

Michele                         - Io ho giocato con la morte, l'ho chia­mata, voluta, ed essa ha finito per obbedire. Ma Marion no, Marion no!

Maurizio                        - Sta' tranquillo, amico. Il gioco è fatto da parecchio tempo. Tu non hai mai voluto uccidere quella che ami, mentre io ho sperato ardente­mente ed in silenzio ch'essa bevesse il veleno che mi aveva somministrato per tanto tempo. Uno di noi doveva soccombere dopo questo combattimento mortale. (Grida con voce trionfante) Guarda, è lei! E' lei che ha ceduto, Michele! Sono io che ho vinto. (Prisca appare al limite dell'ombra che oscura la camera vicina. Dura, rigida, assente, avanza ad  un passo, si ferma. Atanasio che la segue si dirige verso Maurizio, lo chiama con un segno. Maurizio senza vedere il gesto cammina diritto verso la morta, la chiama con voce sorda, con un'intonazione di rimprovero, di gelosia lancinante) Perché sei venuta qui? Perché ti sei uccisa qui? Perché da lui? Perché?

Atanasio                        - (bisbiglia al suo orecchio) Vi odiava.!

Maurizio                        - Ah! E' così. Capisco. Anche sulla soglia della morte non ha voluto disarmare. Il di­vorzio che esiste fra noi lo ha voluto spingere sino al più estremo limite, sino a rifiutarsi di morire a casa nostra, facendomi capire con questo che il suo voto supremo, irreparabile, era quello di sfuggirmi fino al suo ultimo soffio. Ha preferito morire sola, affinchè io, a mia volta, rimanga solo, senza nem­meno avermi dato la consolazione di un addio.

Atanasio                        - In tal maniera voi avete ricevuto, l'uno e l'altro, lo scotto della guerra che vi eravate dichiarata, invece di provare a fare la pace fra voi. Di quel che conteneva il vostro amore non resta più che una scorza vuota. Ve la rendo, è vostra.

Maurizio                        - (amaramente) Son ben costretto di accontentarmene.

Atanasio                        - Vi resterà sempre la consolazione di andare tutte le domeniche a farle una visita. E que­sta volta lei vi aspetterà. Andate pure.

Maurizio                        - Non so come fare per condurla a casa.

Atanasio                        - Non vi preoccupate. Ho qui il mio uomo di fatica. (Fa un segno dì richiamo verso l'interno della camera) Atanaele. (Una specie dì gigante affare sulla soglia della porta. Deferente, testa nuda, gli occhi fissi su Atanasio, aspetta gli ordini senza fiatare) Atanaele, prenderai questa donna, e la ri­condurrai in vettura al domicilio di suo marito. Poi tornerai ad aspettarmi da basso, davanti alla porta.

Atanaele                        - Sarà fatto, padrone.

Atanasio                        - (a Maurizio) Scendete. (Atanaele, con delicata precauzione, prende il corpo di Prisca sulle sue braccia. La serra quasi affettuosamente sul suo vasto petto. Così abbandonata a colui che la fona, un braccio pendente e gli occhi chiusi, Prisca sembra dormire. Michele al suo passaggio si è alzato. Piange. Allunga la mano per arrestare il corteggio, per dire forse il suo ultimo saluto. Ma Atanaele, seguito da Maurizio, gli passa davanti e si allontana. L'eco dei loro passi si spegne nelle scale deserte. Mi­chele si volta faticosamente verso Atanasio).

Michele                         - (ancora disfatto) E Marion?

Atanasio                        - La rivedrete fra poco.

Michele                         - (sorride vagamente) Rivederla!

Atanasio                        - In un triste stato, ma viva.

Michele                         - Dov'è, signor Atanasio?

Atanasio                        - (indicando il piano superiore) Vicinis­sima. Seduta su uno scalino. Aspetta.

Michele                         - (volgendo gli occhi verso la stanza) Ha... ha assistito?

Atanasio                        - No. E' arrivata dopo. Durante il tra­gitto dal ristorante a qui si levò improvvisamente nel tassì e voleva scendere. Allora pensate se l'ho la­sciata fare. Mi aveva convocato come l'altra per questa notte, ma io speravo... Quando Prisca entrò, io chiusi la porta a chiave dietro di lei, e tutto si svolse così rapidamente. Il mio collaboratore Ata­naele aspettava Prisca nella camera, ed allora...

Michele                         - (con orrore) Tacete.

Atanasio                        - (molto dignitosamente) Scusate. Non vedo cosa dovrei nascondervi. Noi abbiamo le mani pulite, Atanaele ed io. Abbiamo chiuso i begli occhi che non vedranno più la luce del giorno. A questo soltanto si è limitato il nostro intervento.

Michele                         - Prego, non avrei mai sospettato di voi.

Atanasio                        - E' naturale. Evidentemente mi rendo conto di non essere proprio come la moglie di Cesare.

Michele                         - Sono io la causa di tutto, di questa fine. Se non l'avessi respinta così duramente, forse...

Atanasio                        - (alzando le spalle) Andiamo.

Michele                         - Sono colpevole quanto Maurizio.

Atanasio                        - Nessuno di voi è colpevole di nulla, nemmeno Prisca. Tutte le esperienze hanno delle vittime. Vi ha inflitto una prova di due anni che alla fine l'ha uccisa perché lei stessa si era tagliato dietro tutti i ponti. Voi siete solamente un conva­lescente, Michele, un convalescente del primo amore che vi ha reso maturo senza uccidervi, il che è un segno di forza... e di fortuna. Approfittatene. Marion vi aspetta. Voi adesso l'amate, vero? L'avete final­mente capito questa notte?

Michele                         - (abbassando gli occhi) Non lo so. Lo spero.

Atanasio                        - Ah, ah! Eravate molto più deciso poco fa.

Michele                         - La crisi è passata, l'eccitazione anche.

Atanasio                        - Ma cosa provate per questa giovane ballerina? Via, da vero uomo, sentiamo.

Michele                         - Questo lo so: una grande tenerezza, una grande... (Si ferma).

Atanasio                        - Non è l'amore travolgente, ma qual­cosa di simile; qualcosa che malgrado tutto può consolare il cuore di un uomo. Non fate smorfie; non siete vittorioso su tutta la linea. Non uscite da questa storia con il grande amore; ne uscite ampu­tato, per il momento, d'una delle più alte speranze della natura umana, che è l'amore perfetto ed eterno. Ma ne uscite vivo e quasi felice, il che è già molto. Via, e buona fortuna, giovane amico: siete libero, e per molto tempo, questa volta.

Michele                         - Veramente?

Atanasio                        - Oh, sì! Molto tempo: alcuni decenni si aggiungeranno alla vostra giovane età. (Michele sorridendo ad Atanasio, gli fa un gesto d'addio ed esce).

Voce di Marion             - Michele!

Voce di Michele           - Marion!

Atanasio                        - (solo, tornando verso il piano, lentamente) Povere creature umane. Come l'amore le fa soffrire. Non vorrei essere al loro posto. (Si siede sul seggiolino, con un riso amaro. Appaiono gli amanti, ma fuggono immediatamente. Resta un istante assorto, ma poi, scuotendosi, si mette improv­visamente a suonare con violenza una musica india­volata).

FINE