PROCESSO ALL’ILLUSIONE
Quando i poveri speravano ancora di potere un giorno diventare ricchi ed i deboli confidavano nell’aiuto dei più forti, si diceva che vivevano di illusioni.
Si illudeva l’operaio di diventare dirigente, il disoccupato di trovare un bel lavoro, lo studente di essere promosso a pieni voti, il marito di non essere mai tradito. In quel tempo si illudevano tutti quanti di potere andare avanti, secondo i propri progetti o le aspirazioni, perché al mondo c’era ancora la possibilità di farsi delle belle, sacrosante illusioni, che aiutavano a campare.
Poi un giorno è accaduta una cosa molto strana e del tutto inaspettata: l’illusione è stata denunziata e poi arrestata, con l’accusa di arrecare confusione in questo mondo.
Nel corso del processo le sono state indirizzate le invettive più pesanti e contro questa poverina sono state dette cose, che l'hanno fatta stare male.
“Accidenti a tutti quelli che ancora si fanno delle illusioni” ha tuonato, alla fine della sua severissima requisitoria, il rappresentante dell’accusa.
“La giustizia deve fare il suo corso e deve dare con il suo verdetto una severa lezione, per liberare questo mondo da ogni e qualsiasi illusione. L’uomo deve stare sempre con i piedi per terra, non deve più servirsi di questo inutile feticcio e deve accettare, come immutabile, qualunque realtà che lo circonda, senza sperare assolutamente di cambiarla” ha concluso il Pubblico Ministero.
“Signori della Corte, io vorrei che voi giudicaste con la massima saggezza, dopo avere meditato bene. Io sono stata accusata di volere cambiare il mondo, di sovvertire l’ordine naturale delle cose, di volere addirittura fare la rivoluzione. Ma vi giuro che non ho alcuna colpa, perché io non sono pericolosa. Sono solo l’illusione e di me non si deve aver mai paura.
Ho cercato in tutti i modi di aiutare le persone a rendersi migliori, a sperare nel futuro, a non lasciarsi mai andare nei momenti di sconforto ed ho pensato anche che fosse giusto, per esempio, andare in giro per il mondo a vendere semplicemente un po’ di onestà, di buon senso e di umanità a chi mi pareva ne avesse bisogno. Non nego, perciò, né ritratto quello che ho detto e quello che ho fatto, anzi mi assumo tutta la responsabilità e rendo ampia confessione delle mie supposte malefatte, così come le ha chiamate il signore dell’accusa.
Ebbene sì, signori della Corte eccellentissima, io mi sono recata innanzitutto presso alcune banche nazionali ed ho invitato i presidenti ed i loro dirigenti ad acquistare un pochino di onestà. Forse sono stata un po’ imprudente, ma ero convinta di fare una cosa giusta nell’interesse generale e dei miei concittadini.
Mi hanno accolto gentilmente e mi hanno fatto accomodare nel salotto degli affari. Mi hanno fatto i complimenti per la bella iniziativa commerciale, coraggiosa, produttiva, con una grande prospettiva di sviluppo e di conquista del mercato, e mi hanno subito proposto di aprire un conto corrente con un fido molto alto, per fare fronte alle prime spese per l’attività promozionale. Poi mi hanno offerto un bel finanziamento a tasso fisso, naturalmente con indice usurario, chiedendomi adeguate garanzie soprattutto immobiliari, per cui ho compreso subito che non erano per me i clienti appropriati.
Quando hanno scoperto che ero l’illusione non vi dico cosa è successo: me ne hanno dette di tutti i colori, mi hanno buttata fuori a calci nel sedere, rimproverandomi, innanzitutto, di non essere concreta e di avergli fatto perdere, perciò, del tempo prezioso. «Non ti vergogni, vecchia strega, miserabile stracciona, ad andare in giro per il mondo a caccia di clienti? Da molto tempo non c’è più posto per i sogni e tu hai l’ardire di venire in questo tempio del denaro a proporre proprio a noi di acquistare l’onestà? Non ne abbiamo alcun bisogno, perché ciò che regola gli affari è il profitto ed il guadagno, non lo sai? Tu vorresti con l’inganno inquinare la legge del libero mercato, dove giustamente vince sempre chi è più forte? Ebbene, questa è e rimarrà per sempre solamente un’illusione».
Signori della Corte, ho solo un po’ insistito ma non ho fatto resistenza e me ne sono andata spontaneamente per la mia strada. Perciò respingo fermamente questa accusa.
In prosieguo sono andata a far visita ad alcuni grandi industriali, ritenendo che anch’essi avessero bisogno di questi miei prodotti. Gli ho parlato con il cuore in mano, stando molto attenta a non contrariarli.
Se decideste di comprare un pochino di onestà, ho detto umilmente con un filo di voce, il mondo del lavoro potrebbe forse andare meglio. Se poi ci aggiungeste un briciolo di umanità, sono certa che i lavoratori ne trarrebbero vantaggio. Se volete, potete, anche investire una piccola parte dei vostri lauti profitti, nella sicurezza sul lavoro, evitando così che ogni anno migliaia di operai continuino a pagare con la vita la necessità di lavorare.
«Ma chi sei tu, spregevole carogna?» così mi hanno detto «e come ti permetti di parlare a noi di onestà e di senso umanitario? Quello degli affari è un mondo dove domina la concorrenza più spietata e c’è la necessità di abbassare i costi di produzione, per non perdere fette di mercato. Di onestà e di umanità abbiamo pieni i magazzini. Ce le siamo fatte consegnare persino dai nostri dirigenti, con la promessa di tenerle chiuse a chiave fino a quando se ne andranno in pensione”.
Eccellenze, Presidente, anche questa volta non ho concluso niente, ma non merito per questo l’accusa, che testé mi è stata mossa, perché io ho fatto tutto questo a fin di bene, senza vantaggio personale.
Mentre meditavo su questo mio ennesimo fallimento, mi è venuta in mente l’idea di andare in Parlamento. Lì, pensai, vado proprio sul sicuro, sono tutte persone elette e, perciò, interessati a comportarsi rettamente e, se qualcuno avesse per caso esaurita la sua scorta di buon senso e di onestà, io potrei provvedere a rifornirlo là per là.
«Qui non c’è posto per l’illusione» disse un deputato ad alta voce, «qui siamo tutti terra terra. Nessuno ha bisogno di acquistare buon senso ed onestà. Cosa sono queste cose? Noi che siamo qua dentro nemmeno le conosciamo.»
Assolvetemi, perciò, dall’accusa di sfiducia e tradimento. Io volevo solamente migliorare il Parlamento.
Non sapendo più cosa fare me ne sono andata a vendere la merce per la strada.
Chi la vuole, chi la prende? Io strillavo per le strade, non è vero che l'onesta non vale niente. Ve lo dice l’illusione: è importante anche nell’amore perché è l’antidoto migliore della gelosia.
Purtroppo mi hanno denunciato alla magistratura, accusandomi di vendere un prodotto avariato, fuori moda, con la data di scadenza abbondantemente superata e, quindi, da buttare. La verità è, signori Giudici, che nessuno vuole più rischiare di essere onesto, temendo di pregiudicarsi l’avvenire ed essere considerato solamente un grande fesso.
Per disperazione allora ho deciso di andare a vendere un pochino di onestà, nelle zone più degradate della periferia delle grandi città ed ho cercato di convincere ad acquistarla borseggiatori, scippatori, ladri, spacciatori, truffatori...., tutti quei soggetti, insomma, che per certo hanno bisogno di onestà.
E finalmente ne ho venduta tanta, ma tanta, tanta......sulla parola e sulla fiducia. Naturalmente mi hanno fregato perché nessuno mi ha mai pagato.
C’è stato qualcuno, addirittura, che ne ha fatto contrabbando, rivendendosi l’onestà ad un gruppo di scafisti tunisini, che giunti sotto costa vicino a Lampedusa, l’hanno scaricata in mare, facendola annegare insieme ai passeggeri di un gommone.
Che colpa ne ho io, signori giudicanti, se la gente è così cattiva e violenta? Mi sono illusa, questo è vero. Ho peccato forse di leggerezza, ma questa per me non è un’eccezione, perché io sono soltanto l’illusione.
Signori della Corte, dimenticavo la cosa più importante: prima di ritirarvi in Camera di Consiglio per stilare quel verdetto, che decide il mio destino, vi voglio regalare quel pochino di buon senso, che ancora mi è rimasto nella borsa, per farvi capire che se è importante punire i delinquenti, importante è anche assolvere coloro che sono innocenti.
Io mi affido a voi con la massima fiducia.
La sentenza, invece, fu tremenda. L’illusione fu condannata senza alcuna attenuante a restare sempre tale, per tutta la vita, a fare eterna penitenza ed a vagare per il mondo senza mai trovare asilo né accoglienza da parte di qualcuno.
Monologo tratto dal libro “La Palla di pezza” Prospettiva editrice
e contenuto nella raccolta “Cose di questo e dell’altro mondo”
Italo Schirinzi